quaderno carpi: marzo 2011

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Quaderno della Scuola elementare di scrittura emiliana a Carpi Marzo 2011

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sono qui raccolti alcuni degli esercizi usciti dalla Scuola elementare di scrittura emiliana a Carpi tenutasi allo Spazio Meme sabato 20 e domenica 21 novembre 2010

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Quaderno della Scuola elementare

di scrittura emilianaa Carpi

Marzo 2011

sono qui raccolti alcuni degli esercizi usciti dalla Scuola elementare di scrittura emiliana a Carpi tenutasi allo Spazio Meme sabato 20 e domenica 21 novembre 2010

esercizio della finestra: descrivete quello che vedete fuori dalla vostra finestra

girando con la mano un aggeggio freddo, ad altezza del petto, si apre quella che loro chiamano porta, simile alla nostra birimn, più esattamente birimn kaiù, porta a vetri, da cui si accede a quella che da noi si chiama Kaiù kai e che loro chiamano terrazzo. Sopra al Kaiù kai si trovano degli oggetti freddi, atti al contenere, simili ai nostri vlan con dentro dei cilindretti nocciola e bianchi che puzzano, che corrispondono ai nostri kasai e che loro chiamano mozziconi di sigarette(Francesca Cardarelli)

dalla finestra della mia camera da letto, oltre il davanzale in cemento, io vedo il cortile nord del mio condominio, uno strato spesso di foglie gialle e marroni bagnate, tre alberi di cui, da destra verso sinistra, una magnolia, uno completamente spoglio e un altro con una ventina di foglie gialle svolazzanti, una buchetta per lo scolo dell’acqua, il cordolo in cemento dell’aiuola e la rete di confine con i pali a intervalli di circa 4 metri. Poi vedo il cortile sud del condominio di fianco, quindi un po’ d’erba, poche foglie cadute, quattro alberi completamente spogli, appena potati, due buchette per lo scolo dell’acqua, il cordolo in cemento dell’aiuola, il marciapiede, lo spiazzo di asfalto, tre portoni dei garage, due pali e il filo per stendere i panni, il condominio, una finestra al piano terra più larga che alta, con le inferriate, tre finestre al primo piano di cui quella centrale più alta che larga, tre finestre al secondo piano, di cui quella centrale più alta che larga, le tapparelle abbassate ad altezze diverse, il muro giallo, la grondaia, il tetto, il cornicione, l’antenna.Vedo ancora la strada che corre davanti ai due condomini con un attraversamento pedonale ai 30 metri verso sud che non avevo mai notato e che mi pare anche un po’ inutile visto che per attraversare serviranno sì e no otto passi.(Sandra Buraschi)

Ore 6 e 45: il calore che il mio corpo rilascia è così mischiato da ore tra noi che è impossibile ricostruirne la proprietà; esco nel buio e barcollando salgo le scale, non tocco niente e tutto è di ghiaccio. Metto ad ardere il rito della miscela tostata e vado ad aprire il sole o meglio quel che la mattina qui vicino al fiume si intravede del sole. Senza rompere i vetri metto le guance all’aria e mentre le rotelle che dentro il mio corpo riprendendo a girare mi provocano gesti di natura selvatica, guardo avanti un grande riquadro dove la terra, che ci affondi e si attacca alle suole, è ricoperta da erbe con spine e piccoli fiori di diversi colori. Il respiro frizzante del giorno appena iniziato mi dà piccoli pizzicotti di benvenuto e mettendo a fuoco nell’acqua vaporizzata che galleggia, vedo piccoli vermi che volano a sfamare batuffoli di piume tra le pietre sopra la mia testa. Margot con la coda dritta descrive l’infinito tra le mie caviglie: quest’istante mi sembra una poesia che ha la forma di una gatta.Anche questa mattina sorrido al pensiero di aver salvato quello spazio vuoto di là dalla strada, non ci costruiranno e non ci sarà speculazione che ci renderebbe miopi al paesaggio e così, le colline sullo sfondo e la pura lana vergine che ancora cammina e le “S” degli alberi lungo il corso del Nestore e la casa del formaggio e della ricotta, saranno per sempre la fotografia incorniciata nei vetri delle antiche finestre rivolte a sud.Luisa, che in questo momento gode ancora di tutto il calore della notte, l’ha voluto con tutta la sua forza e io ho fatto la mia parte; non avremmo sopportato di scappare da qui a causa delle scelte altrui che ci avrebbero colpito come un’infezione agli occhi e al cuore, negandoci l’orizzonte che per noi è l’immagine della vita vera. Scappare da qui dove sentiamo di aver messo radici, questa possibilità reale e vicina ci ha fatto tremare la voce e una volta urlare tra di noi.Da qualche giorno, il campo che poco tempo fa ci sembrava un mare in burrasca che ci minacciava, é calmo e piatto e così resterà nel futuro. Nel mezzo adesso c’è un’isoletta che dichiara raggiunta salvezza. Abbiamo intrecciato rami, sterpaglie, foglie e piccoli scarti di legno a formare un secco scoglio più alto di noi che illuminerà il cielo la sera del giorno in cui il sole avrà più bisogno di aiuto per scaldarci, giorno che anche quest’anno cade il 21.Gli amici vicini sono già invitati e giorno per giorno verificano a vista

la consistenza e forza della catasta. Quanto arriveranno alti i segnali di fuoco? Fin dove li vedranno? E vedendoli vedranno anche noi? Sapranno che siamo noi? Da che lato accenderò? E il vento, sarà dalla nostra?Che bell’investimento abbiamo fatto! Abbiamo comprato un piccolo pezzo di terra e ci siamo così regalati colline e un fiume e boschi e pascoli!Ho gli angoli della bocca fissi all’insù, non ho ancora detto una parola, sorrido e basta, bloccato, fisso... ma non è una paralisi dovuta al freddo è solo selvatica felicità che intontisce! Mi gratto la barba e poi, mentre l’indice saluta una narice, penso che la passerei qui la giornata, tra il davanzale e il posto del fuoco, da inconsapevole e moderno Charms ma dato che non ne ho nemmeno lontanamente l’altezza e che il lavoro mi aspetta, anche se non avrei voglia di andarci mi devo muovere perché in fondo gli devo rispetto, anche lui ha contribuito a questo progetto!Così, mentre la voce roca del caffè mi chiama e la luce germoglia sulla confusione che c’è in casa, senza rompere i vetri richiudo fuori la nebbia.(Luca Parenti)

Guardo fuori dalla finestra e la prima cosa che sempre mi si pone davanti è il condominio gemello speculare al mio, Il botticelli, sì come il pittore.Il botticelli color verdone militare è un edificio di otto piani totali, suddiviso in, pianterreno e primo piano con solo uso ufficio, poi cinque piani di appartamenti e l’ultimo piano è l’attico una summa delle piante abitative degli appartamenti sottosanti. Particolarità dell’architettura del botticelli è che i due piani uffici, si espandono prolungandosi verso l’esterno per circa 6 vetrine di lunghezza creando cosi con l’intera superficie dell’edificio un perimetro a forma di L. Di fronte c’è l’andrea del sarto, il condominio gemello, dove abito, sempre a forma di L, di colore fucsia tendente al rosato.I due condomini opposti l’uno con l’altro sembrano due enormi navi mercantili.Dalla mia finestra i due prolungamenti uffici sembrano una sola cosa. Quello che non mi sono mai spiegato è che sul tetto, una superficie piana, sia ricoperta da sassi!Ma cosa servono dei sassi?Sono dei sassi della dimensione di un mandarino, io i sassi li ho visti solo

lungo il fiume o in una spiaggia al lago di Garda secondo me, i costruttori si sono dimenticati di dirci che su quelle terrazze dobbiamo metterci l’ombrellone, metterci lo sdraio e andare a prenderci il sole.(Federico Verbini)

Mi sveglio, mi alzo dal letto, e ancora nella penombra mi avvicino alla finestra della mia stanza, e apro il sipario. È una giornata invernale, grigia e carica di una pioggia insistente.Di fronte a me, appena oltre la siepe di gelsomini c’è una costruzione la cui distanza dalla mia finestra, in giornate come questa, sembra mutare, ed essa si avvicina in modo insistente ed opprimente.Nonostante ciò, mi costringo ad osservarla, e grazie anche al cambio di prospettiva, dovuto al suo ravvicinamento, mi sembra di vedere questo fabbricato con occhi diversi.Gli spiragli di cui il fabbricato è distribuito, in modo abbastanza uniforme, cominciano, complice anche la penombra invernale, a sembrarmi gli unici punti visibili di tutto l’edificio. Come delle cornici di luce nella notte, la costruzione che li conteneva sparita.In modo del tutto casuale questi spiragli, di grandezze e aspetto regolari e uniformi, cominciano ad animarsi, e io riesco perfettamente a scorgere accenni di movimenti all’interno di essi. Sono forme non nitide, appena abbozzate, i cui movimenti sembrano rallentati e rituali, grazie anche all’effetto creato da strani velari multicolori.Queste forme accennate ed instabili, subiscono multiformi cambiamenti, quando le luci all’interno di queste cornici sospese si accendono, accentuando colori e contrasti, ma anche allungando e deformando i contorni di queste penombre danzanti. Il continuo e casuale susseguirsi di queste alternanze di luci che si accendono e si spengono, comincia a formare all’interno della mia mente una sorta di sinfonia musicale, e mi sembra quasi che le ombre si muovano in assonanza con la musica che sto immaginando, e che siano la manifestazione visiva della mia colonna sonora immaginaria. Mi lascio trasportare da tutte queste suggestioni, e mi rendo conto che la mia memoria mi ha riportato dopo moltissimo tempo davanti ad un fantasmagorico e vasto teatro delle ombre.(Fabrizio Ascari)

Paolo Nori ci ha dato questo compito di descrivere quello che vediamo fuori dalla finestra della nostra camera appena svegli. Allora devo aprire la finestra della camera e guardar fuori. Io la finestra della camera non la apro mai. Io le finestre, se fosse per me, le terrei sempre chiuse. Quella della camera poi, in particolare, è di uno scomodo da aprire. Non ha mica quel nastro da tirare come tutte le finestre normali. C’è un’asta che in fondo è imbullonata in modo da potersi scavezzare in tre parti così da creare una sorta di manovella. Tu giri la manovella e al primo colpo sbagli verso e la tapparella non si apre. Giri dall’altra parte e, con non poca fatica, tiri su la tapparella.Ma io non lo faccio mai. Non lo faccio mai anche perché quella finestra lì, anzi tutte le finestre del mio appartamento, tranne una che dà su un ristorante cinese, che molti mi dicono: “è comodo avere un ristorante cinese sotto casa ma chissà che puzza”, invece io, che tengo le finestre chiuse, non sento niente. Comunque, dicevo, tutte le finestre si affacciano su una strada che non mi piace per niente.C’è uno lì davanti che ha un negozio che vende roba per il bagno ma non è per quello che vende roba per il bagno che non mi piace. C’è una fermata dell’autobus ma non è per la fermata dell’autobus che non mi piace. C’è un palazzo con in cima un appartamento che è sempre in vendita ed io mi chiedo sempre: “ma se poi lo vendono mi guarderanno in casa.” Poi penso che tanto io tengo le finestre chiuse, non m’importa. Insomma, non è nemmeno quello che mi infastidisce.La strada, così com’è, non ha niente che non va. E’ una strada. E’ grigia. Ha la sua bella striscia bianca tratteggiata in mezzo. Solo che su questa strada ci passano le macchine. E ce ne passano in continuazione. Anche adesso che sono le otto e venti di domenica mattina le sento passare. D’estate, quando la mia morosa vuole aprire le finestre per il caldo, non si può perché poi non senti più niente, fai fatica a comunicare per il rumore delle macchine giù in strada. Allora le dico: “chiudi le finestre che accendo l’aria condizionata.”Beh, sapete cosa vi dico? Io ho scritto 3 pagine senza aprire la finestra. Son molto soddisfatto. Se poi a Paolo Nori non gli va bene, fatti suoi.(Mattia Tarabini)

sul modello del Dizionario affettivo della lingua italiana, a cura di Matteo B. Bianchi: scegliete una parola che vi piace e spiegate perché

La mia parola preferita è CARAFFA perché a ripeterla due o tre volte non significa più nulla e anche a dirla una volta sola mi sembra che evochi mondi lontani e che l’oggetto sfugga alla parola.(Sandra Buraschi)

A me piace la parola “fumare” perché non amo il mare, allora l’idea che il mare fu e ora non c’è più mi consola. Così questa estate vado in montagna.(Mattia Tarabini)

Despegnèt (non garantisco che il termine sia scritto correttamente, è una trasposizione orale) significa sbrigati, disimpegnati, perché è una tra le parole dialettali carpigiane pronunciate da mia nonna, a cui mi sono avvicinato in un vero rapporto di conoscenza negli ultimi 4 anni della sua vita, e simbolicamente rappresenta una esigenza/urgenza di sapere del passato familiare ma anche dei luoghi dove risiedo. (Federico Verbini)

Toppare. Hai toppato: da toppa, pezzo di tela usato fino a qualche anno fa per risarcire un buco sulle ginocchia o nel cavallo dei calzoni, o sulle maniche lise dei maglioni in zona gomito. In Emilia, chissà perchè, nel senso ti sei sbagliato. Lo usavo molto sui 17 anni con gli amici più cari Guarda che stavolta hai proprio toppato.(Francesca Cardarelli)

StuporeEmozione provocata dal presentarsi ai nostri sensi di qualcosa di inaspettato e tutto sommato di piacevole. È accompagnata spesso

dall’apertura involontaria della bocca intenta a riprodurre una muta o sonora ‘o’. La riproduzione reale o immaginaria della ‘o’ è un residuo fonetico della prima forma conosciuta della parola: stupoore. (Valeria Addezio)

La parola “disegno” mi piace perché è di un linguaggio universale, se la volessi scrivere senza utilizzare le lettere dell’alfabeto potrei farla in forma di Parmigiano Reggiano o di involtino primavera ma sempre disegno sarebbe(Luca Parenti)

esercizio del Mi ricordo: sul modello del libro di Georges Perec Je me souviens, scrivete una serie di frasi che comincino tutte con Mi ricordo

Mi ricordo “Funes, o della Memoria”Mi ricordo il modo di gesticolare di mio fratello Mi ricordo un gioco di abilità che consisteva nel far rimbalzare due palline di legno fissate ad una corda unita alle due estremità con una linguetta di plasticaMi ricordo i lividi che mi venivano sulle braccia quando ci giocavoMi ricordo una decisione importante presa mentre giocavo con CesareMi ricordo una notte d’estate passata in riva al mare a fare l’amoreMi ricordo la Cutty Sark a GrenwichMi ricordo la nebbia nella pianura padanaMi ricordo di non avere mai visto la nebbia di LondraAnche io Mi ricordo di caroselloMi ricordo di avere creduto di essere disperato.(Fabrizio Ascari)

Mi ricordo che i miei fratelli d’estate potevano giocare nella falegnameria di mio padre e io invece ero femmina e non potevo. Mi ricordo che mi arrabbiavo molto. Mi ricordo l’odore della segatura. Mi ricordo che era ammucchiata dietro la pialla e faceva da cuccia a Sciancato che si chiamava così da quando aveva avuto un incidente ed era diventato zoppo.Mi ricordo la casa al mare: i letti a castello, il tavolino tondo e basso su cui disegnavamo e il dondolo blu e bianco con i cuscini di gommapiuma che quando ti addormentavi il pomeriggio ti svegliavi tutto sudato.Mi ricordo che a sei anni credevo che la Pimpa avesse sempre ragione. Mi ricordo le corse in pineta in bicicletta e le urla di mia madre quando

tornavamo tardi e lei pensava sempre che fosse successo qualcosa di brutto. Mi ricordo che quando mia cugina aveva cominciato a mettere il due pezzi io mi vergognavo dei miei seni inesistenti ma nudi. Mi ricordo che mia madre mi diceva davanti a tutti ‘cosa devi fare con il pezzo di sopra che non hai niente’ e io mi vergognavo ancora di più. Mi ricordo gli album delle figurine, le bustine comprate in edicola e lo scambio dei doppioni. Mi ricordo che noi femmine tenevamo le figurine in mano in un pacchetto ordinato e ogni volta sfogliavamo tutto il pacchetto alla ricerca della figurina con il numero giusto che scambiavamo con una o più di pari valore. I maschi invece le piegavano, battevano le mani sul pavimento per farle saltare e le vincevano o perdevano. Mi ricordo che quando non andavo a scuola e faceva freddo mi nascondevo con Anna nella pizzeria di Paolo che ci preparava il pane caldo con la nutella. Mi ricordo che quando non andavo a scuola e faceva caldo andavo in motorino al mare o al parco virgiliano a parlare e a fumare guardando il mare dall’alto.Mi ricordo che quando ho preso la patente ho regalato il motorino a mio fratello che lo ha smontato perché diceva che i ragazzi prima di usare un motorino devono smontarlo e che io ero femmina e non potevo capire. Mi ricordo che quando lo ha rimontato sono avanzati due pezzi e per questo lo abbiamo preso in giro per settimane, invece era stato bravo perché il motorino funzionava benissimo. Mi ricordo che mio fratello inventava un sacco di storie di quando era piccolo. La più famosa che ricordiamo ancora oggi a natale e capodanno e in tutte le riunioni familiari è quella in cui all’aeroporto aveva dato un calcio a un concorde. Mi ricordo del terremoto dell’ottanta, del rumore di piatti e bicchieri e delle notti passate in macchina a dormire e aspettare il permesso di rientrare in casa. Mi ricordo la prima volta che ho fatto la babysitter a Francesca. Sono andata undici volte a sentire se respirava nel sonno. Mi ricordo che l’ultima volta ho pensato che forse ero un po’ squilibrata e

non sono andata più, ma sono stata in ansia finché non si è svegliata. Mi ricordo che la prima volta che ho aspirato una sigaretta è stato per errore. Erano giorni che volevo imparare ma riuscivo solo ad ingoiare il fumo. Mi ricordo quando ho cominciato a comprare le sigarette con le le mie amiche. Andavamo lontanissimo da casa e facevamo sempre finta che fossero per i nostri genitori. Mi ricordo quando non c’erano supermercati e ipermercati e i negozi li chiamavi con il nome del proprietario. Mi ricordo che non si diceva ‘vado alla coop, al carrefour, al pam o al simply a fare la spesa’ ma ‘vado da Paolo a comprare la carne o da Vitale a comprare la verdura’.Mi ricordo che il salumiere era l’unico che chiamavamo con il cognome ma non ho mai capito perché. Mi ricordo alcuni miricordo che preferisco dimenticare quindi per ora smetto di ricordare. (Valeria Addezio)

Mi ricordo che la prima volta che ho fatto a botte è stato all’asilo, poi non l’ho più fatto.Mi ricordo che la prima volta che ho rubato è stato all’asilo, poi non l’ho più fatto.Mi ricordo che la prima volta che ho dormito su una brandina è stato all’asilo, poi non l’ho più fatto.Mi ricordo che non ho mai mangiato la sabbia come facevano gli altri bambini all’asilo e continuo a non farlo.Mi ricordo che, quando piangevo in pubblico da bambino, mia madre mi diceva in un orecchio: “se smetti di piangere ti regalo un puffo.”Mi ricordo che le amiche di mia madre le domandavano: “ma come fai a farlo smettere di piangere? Col mio non c’è verso.”Mi ricordo che mia madre si vantava di avere un buon metodo educativo.Mi ricordo che mio padre mi aveva detto che un vero uomo cammina con i piedi un po’ aperti a V.Mi ricordo che, alle elementari, il maestro di ginnastica disse che bisogna camminare tenendo i piedi paralleli.

Mi ricordo che mi sembrò più plausibile la versione del mio maestro di ginnastica.Mi ricordo che una volta ho fatto la prima comunione.Mi ricordo che una volta ho fatto la cresima.Mi ricordo che una volta mi sono sposato.Il battesimo invece non me lo ricordo affatto.Mi ricordo che una volta credevo che Dio esistesse.Mi ricordo che l’esistenza di Babbo Natale e Santa Lucia non mi ha mai convinto più di tanto.Mi ricordo che, quando a scuola davano come compito da scrivere qualcosa su un argomento, io facevo sempre fatica a trovare una conclusione.(Mattia Tarabini)

Mi ricordo che all’asilo mi sembrava di stare in guerra.Mi ricordo che mia nonna mi accompagnava in bicicletta.Mi ricordo che una volta qualcuno ci ha chiuso la bicicletta e ha buttato via la chiave.Mi ricordo quando mio padre mi insegnava a leggere l’orologio.Mi ricordo quando mio padre mi insegnava la differenza tra le parole papa e papà.Mi ricordo quando d’inverno gelava l’acqua nei tubi.Mi ricordo che quando nevicava mia madre si piantava sempre con la Panda agli incroci.Mi ricordo quando in macchina io stavo sempre dietro.Mi ricordo che andare a Rolo a me sembrava di andare dall’altra parte del mondo.Mi ricordo che alle 5 del pomeriggio suonava la sirena delle fabbriche e dopo un quarto d’ora mio padre arrivava a casa.Mi ricordo che quando c’era la Cipa vicino al passaggio a livello, alla mattina presto si sentivano i maiali prima di essere macellati.Mi ricordo che alle elementari eravamo tutti figli di operai, tranne una che era figlia di un’impiegata.Mi ricordo che quando andavamo in vacanza, mio padre voleva che partissimo alle 5 del mattino per evitare il traffico.Mi ricordo che quando c’era da preparare la roba per le vacanze, mia

madre metteva tutto sul letto poi arrivava mio padre per fare la valigia e chiuderla e si dava un’importanza che sembrava un chirurgo.Mi ricordo che la domenica sera andavamo sempre dai miei nonni che abitavano in campagna e tutte le domeniche sere guardavamo la Domenica Sportiva con Tonino Carino da Ascoli e Paolo Valenti.Mi ricordo la sigla della Domenica Sportiva che voleva dire che il giorno dopo dovevo andare a scuola, così come l’estrazione della lotteria italia della Befana voleva dire che eran finite le vacanze di Natale.Mi ricordo che il primo film che ho visto al cinema è stato Porca Vacca con Renato Pozzetto.Mi ricordo che i miei genitori mi lasciavano con mia nonna a giocare a tombola e poi loro andavano al cinema a vedere i film di Pozzetto.Mi ricordo che al sabato pomeriggio facevo un corso di ballo liscio alla Casa del Popolo di Fossoli e tutti gli anziani volevan ballare con me perché dicevano che mi facevo guidare bene.(Sandra Buraschi)

Mi ricordo che a Casalecchio di Reno abitano Nicola e Riccardo, miei amici d’infanzia Mi ricordo che Nicola, spesso voleva avere ragioneMi ricordo che gli volevo imporre di comportarsi in un certo modoMi ricordo che nel 1983 mi diceva che l’anno prossimo nell’INTER non avrebbe giocato neanche un italiano, si chiama internazionale!!!Mi ricordo che tra me e me pensavo “ma sé, chi ci crede”.Mi ricordo la mamma di Francesca che mi insegnava franceseMi ricordo che quando andammo in Provenza Costa azzurra, ero carico come una molla.Mi ricordo quando le mie compagne di classe cantavano a squarciagola ‘Wild Boys’ dei DURAN DURAN.Mi ricordo quanto eravamo entusiasti. (Federico Verbini)

Mi ricordo mia nonna paterna. Si chiamava Venezia come la città.Se penso a mia nonna mi viene in mente l’odore della naftalina perchè lei metteva delle palline di naftalina dappertutto, per fare in modo che le

tarme non mangiassero la lana.Mi ricordo l’odore di naftalina e l’odore del profumo Roger Gallet, che era il suo profumo preferito, e che mia nonna era una donna dalla pelle sottile.Mi ricordo mio nonno che sapeva di grasso un po’ anziano, Vai a dare un bacio al nonno! Bé sì, ci andavo, era mio nonno, ma quell’odore lì mi piaceva pochissimo.Mi ricordo mio nonno Werther e che appena potevo mi infilavo su per le scale e andavo a guardarlo mentre studiava o lavorava, e delle volte gli dicevo, nonno vuoi un massaggino alle spalle e lui lo prendeva sempre volentieri.Mi ricordo che mio nonno prima di morire aveva dei mali di pancia fortissimi, ma non diceva niente, stava davanti alla tele, mi ricordo che anch’io stavo lì, vicino lui, con dei mali di pancia fortissimi, una sera che guardavamo il ventre dell’architetto.Mi ricordo che prima di morire, mio nonno parlava continuamente di quando era stato soldato in guerra in jugoslavia, mi ricordo che mia madre non reggeva e andava di sopra in cucina, mi ricordo che io stavo lì vicino al letto, spesso, con lui, in quegli ultimi tempi, e gli dicevo ti ricordi quell’estate sul Pelmo quando abbiamo trovato quell’amonite grandissima...(Francesca Cardarelli)

Mi ricordo che il bagno dei mi’ nonni era in giardino. Mi ricordo che mi faceva fatica andare a farci la pipì o forse era paura.Mi ricordo la 600 bianca del mi’ nonno e la 126 verdina e di quando andavo con lui in macchina al circolo; mi ricordo che lui sputava fuori dal finestrino, e io vedevo passarmi per aria davanti agli occhi un piccolo paracadute.Mi ricordo che quando arrivavo al circolo col mi’ nonno, che lui lì ci arrivava da Livorno, le feste che riceveva erano tante ed io mi sentivo importante.Mi ricordo molto bene di nonno Quintilio quella volta che scese dal macchinone del mi’ zio.Mi ricordo quando portarono la TV a colori a casa, erano in due con il camice bianco.

Mi ricordo di alcune ragazze alla pari che hanno vissuto con noi quando ero bambino e di quanto in paese, queste inglesine, fossero una bella novità.Mi ricordo che grazie all’Inghilterra avevo amici molto più grandi di me, ma forse non era la mia amicizia che gli interessava.Mi ricordo che poi anche al liceo ho avuto la maggior parte degli amici che erano più grandi di me e che lì era la mia amicizia che gli interessava.Mi ricordo di quando, a causa di una sterzata troppo stretta, feci volare da dietro la bicicletta la mi’ sorella Elenina.Mi ricordo che al circolo, con 150 Lire, prendevo un bicchierino di cialda ripieno di panna montata.Mi ricordo di quando, davanti al comodino del mi’ babbo, parlavo con la foto della mi’ nonna Anna Maria Balderi in ParentiMi ricordo la ricerca sui serpenti che ho preparato per l’esame di V elementare. Mi ricordo dell’esame e delle maestre che mi volevano congedare senza farmi dire la ricerca sui serpenti che avevo preparato a metà con Leo; mi ricordo che dissi: “no! Me l’avete fatta fare e ora la dico!” e così la dissi.Ora che son tornato alla scuola elementare mi ricordo bene di quando si doveva scegliere la scuola superiore e io volevo andare al Liceo Artistico e i miei genitori, visto che la scuola si trovava a Lucca e non a Pisa, preferivano di no.Mi ricordo che una sera dissi allora che a scegliere avrebbero potuto provvedere loro, a loro piacimento, che avrei fatto la scuola che mi sarebbe stata assegnata con profitto, che non mi importava che scuola era, che tanto io avrei voluto fare solo il Liceo Artistico.Mi ricordo che la mattina seguente al risveglio il mi’ babbo mi disse: “Luca, con mamma abbiamo deciso, te vai a fare il Liceo Artistico a Lucca:”Mi ricordo di Lisa che, in prima liceo, fece vedere il seno a Pietro; le vidi anch’io.Mi ricordo di quelle mattine che perdendo l’autobus andavo a piedi alla stazione; mi ricordo che per far prima, al cavalcavia di Sant’Ermete, scendevo sui binari e per non essere fermato mi fingevo ferroviere. Oppure di quelle volte che facendo autostop per lo stesso motivo mi caricava la mi’ mamma in pigiama che, dal letto nel dormiveglia dell’alba, aveva capito.Mi ricordo di quando ho deciso di andare ad abitare per qualche giorno

dai miei nonni a Livorno. Mi ricordo che così, per andare a Lucca, mi dovevo alzare mezz’ora prima del normale, alle 6! e che la mi’ nonna ogni giorno la trovavo già sveglia a prepararmi la colazioneMi ricordo di quando tornavo a notte fonda a casa mi facevo latte e biscotti.Mi ricordo di Leo, il mio compagno delle elementari e di quando, dopo molti anni, l’ho visto paralizzato nel letto.Mi ricordo tutti i tipi di treno che ho preso facendo lo studente pendolare. Mi ricordo che quando vedevo arrivare il treno sapevo già in quale posto sedermi e quale posizione assumere per dormire meglio.Mi ricordo i campeggi di Marina di Bibbona, di Chianciano, del Gargano, di Arzachena e di quello libero in Corsica, mentre di quello in Calabria mi ricordo solo una piazzola sull’autostrada.Mi ricordo di quando ero scout e cuocevo il latte e la minestrina liofilizzata nel pentolino sporco da due giorni di latte e minestrine liofilizzate.Mi ricordo quella volta che Angelita e Roberta mi chiesero di fregare un pacchetto di patatine, mi ricordo che con una fatica enorme riuscii a nasconderlo sotto il piumino e che, alzando il braccio per salutare prima di uscire con il malloppo, il pacchetto scivolò e cadde dentro una scatola in terra. Mi sembra ancora di percepire la veloce carezza che mi dette su tutta la pancia. Mi ricordo che non ho più messo piede in quel negozio.Mi ricordo che Angelita era mora e Roberta era bionda, mi ricordo che mi garbava molto più Angelita di Roberta ma che se Roberta mi avesse voluto baciare mi ricordo che avrei immediatamente rinnegato l’amore per Angelita. Mi ricordo che mi sarei adattato, se solo avessero voluto.Mi ricordo di Marco il mio compagno di stanza a Firenze, che giù in strada si allontana salutandomi come non era mai successo. Andava a fare l’amore, per la prima volta, con la sua prima ragazza; mi ricordo che era americana!Mi ricordo che nella palestra della scuola elementare c’era la sezione del PSI e quella del PCI, una porta era su un lato una sull’altro. Semplici realtà, ormai di un altro mondo.Mi ricordo un sacco di cose! Non credevo di averle ancora in mente!(Luca Parenti)

esercizio del Mi sono dimenticato: sul modello di J’ai oublié di Jacques Bens, scrivere una serie di frasi che comincino tutte con Mi sono dimenticato, o Mi sono scordato, o simili

Mi son scordata il significato delle parole falotico, saturnino, levantino, attanziale, barracano.Mi son scordata perché Il nome della rosa si chiama così.Mi son scordata, un’estate di molti anni fa, che avevo promesso a una signora di dare delle ripetizioni di matematica a suo figlio. Che poi ho fatto anche una brutta figura perché quando me lo ha ricordato non potevo più.Mi son dimenticata delle cose che se ci penso non riesco a capacitarmi di essermele dimenticate. Eppure.Mi son dimenticata se da piccola avevo problemi ad andare in bagno.Mi son dimenticata cosa ne pensavo da piccola del matrimonio, del fare dei figli, di cosa mi credevo che avrei fatto nella vita.Mi son dimenticata che l’ultima lettera che ho ricevuto me l’ha mandata uno di cui ero molto innamorata che mi diceva che non se la sentiva più di continuare a vedermi.Mi son dimenticata tutte le poesie che mi han fatto imparare a memoria e secondo me anche l’Ave Maria.Mi son dimenticata che Rocco e suoi fratelli è di Luchino Visconti e anche adesso faccio fatica a crederci.Mi son dimenticata di nuovo tutte le date e tutte le fasi della seconda guerra mondiale.Mi son scordata che libri consigliare in biblioteca quando mi chiedono un libro leggero “che già la vita è così triste”.

Mi son scordata che MikeBongiorno è morto.Mi son scordata che Brunetta aveva augurato a quelli di sinistra di andare a morire ammazzati.(Sandra Buraschi)

Mi sono dimenticata mio figlio a scuola, un giorno, stavo malissimo, ho telefonato a mia madre e le ho detto: Va a prendere Marco che è già l’una e venti e mi son dimenticata.Questa cosa mi aveva fatto montare un’ansia tale, che stavo lì sulla porta a cercare delle giustificazioni plausibili da dare a mio figlio e mi sembrava che non ce ne fossero, e allora quando l’ho visto arrivare gli ho chiesto: Hai avuto paura, ti eri preoccupato? E lui mi ha detto che si era divertito moltissimo con la bidella a fare dei disegni con le dita sul vetro appannato. (Francesca Cardarelli)

Mi sono dimenticato di ascoltarti di capirti di appoggiarti di guardartidi aspettarti di abbracciarti di aiutarti di osservare i tuoi piccoli gesti dare importanza ai tuoi bisogni di dirti che ti amavo di condividere quando te ne sei andata,Ti sei dimenticata di salutare. (Fabrizio Ascari)

Mi son scordato del lavoro, almeno ieri e oggi.Mi son scordato del lavoro anche tutte le volte che ho lavorato a cose non di lavoro

Mi son scordato mezze delle cose che ho studiato a scuola, e mi ricordo la metà che praticamente mi serve meno, che bischero!Mi son scordato la chitarra e ho suonato un pezzo contemporaneo.Mi son scordato di tanti posti che ho visitato e te per questo ti arrabbi. Poi ci torniamo e ti dico: “ma, sì certo, mi ricordavo!”Mi son scordato troppe volte di scordarmi cose inutili e pesantiMi son scordato di scrivere subito tutti i “mi son scordato” che ho pensato ieri sera e così stamattina mentre scrivo me li son scordati.Mi son scordato l’ombrello a casa e Margot, la mia gatta, fuori in giardino e mi son scordato di prendere il pane, di chiamare Francesco e mi son scordato il giornale sull’autobus e che Sean mi aveva invitato a cena. Che giornata, meglio scordarla!Mi son scordato chi ero... purtroppo è successo solo due volte!(Luca Parenti)

Mi sono dimenticato di farmi la barbaMi sono dimenticato le chiavi dell’auto per andare a lavorareMi sono dimenticato se ho chiuso l’autovetturaMi sono dimenticato di timbrare il cartellinoMi sono dimenticato il grembiuleMi sono dimenticato la chiavetta della macchina del caffèMi sono dimenticato le monete per caricare la chiavetta della macchina del caffèMi sono dimenticato di portare l’arancio come merendaMi sono dimenticato che a lavorare devo anche lavorare e non sempre parlare (Federico Verbini)

esercizio della descrizione: descrivetevi in cinque righe

Mi chiamo Federico, nato a Modena, ho 38 anni, segno zodiacale dei pesci. Mio padre è di origine reggiana e mia madre di Migliarina di Carpi, mia sorella ha 34 anni. Sono cresciuto in una bella esperienza parrocchiale, da cui mi sono progressivamente allontanato. Ho la maturità di Perito elettronico. Attualmente lavoro come operaio metalmeccanico, sono o ero un “timido” forse perché non so cosa cerco. (Federico Verbini)

Mi chiamo Luca, ho 41 anni all’anagrafe. Sono nato a Livorno, sono cresciuto a Pisa, ho studiato prima a Lucca e poi a Firenze. A Siena e Volterra, tanto per completare il quadro delle mie radici, ci sono andato molte volte in gita. In Umbria dove vivo adesso mi chiamano “il toscano”, per loro ha significato di straniero, per me quello di sigaro.Ero molto piccolo quando i miei mi comprarono un piccolo kit da falegname, piccolo, ma vero, con il quale ho sezionato la mia camera e costruito un nuovo modo di abitare. Forse per questo mi ritrovo con una discreta manualità e sono capace a fare di tutto ma, mi guardo intorno di quel che c’è da fare e, stando così le cose a questo punto, non ho più voglia di far niente di inutile. (Luca Parenti)

Mi chiamo Francesca, ho 41 anni, abito a Carpi, Francesca se vai a vedere il nome dice: donna libera che è una di quelle parole enormi. (Francesca Cardarelli)

Mi chiamo Fabrizio.Mi percepisco come un’identità bloccata in un lungo istante del proprio passato,che cerca disperatamente di tendere la propria mano verso il futuro. (Fabrizio Ascari)

Mi chiamo Sandra, abito a Carpi, lavoro in biblioteca a Mirandola, vivo da sola, mi piace leggere e andare al cinema e cerco di tenermi compagnia. Sono molto pessimista. (Sandra Buraschi)

Sandra BuraschiLuca Parenti

Federico VerbiniFabrizio Ascari

Francesca CardarelliMattia Tarabini

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