psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · psicosi, funzione riflessiva ......

22
Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive Laura Bologna 1 , Andrea Mosconi 2 Abstract L’articolo propone una lettura dei sintomi psicotici come conseguenza del «non utilizzo» da parte del paziente della funzione riflessiva, nell’accezione di Fonagy e Target. Attraverso una riflessione su questo tema e l’analisi di un caso clinico, si ipotizza che la terapia sistemica, con la sua premessa riflessiva e l’utilizzo di tecniche specifiche, come la domanda, possa essere un contesto particolarmente indicato per l’esercizio e la riattivazione di questa funzione, e si individua nelle domande triadiche il principale strumento attraverso cui il terapeuta può intervenire per guidare il paziente psicotico verso il cambiamento. Le domande triadiche costituiscono infatti delle richieste esplicite di esercizio della funzione riflessiva , in quanto impongono lo sforzo di utilizzare una teoria della mente dell’altro, ipotizzandone i contenuti mentali a partire dalle azioni, e tendono a stimolare l’utilizzo della mentalizzazione come modalità nuova di relazione con il mondo interno ed esterno. Parole chiave AMBITO Teorico INDIRIZZO TEORICO Sistemico CONTESTO DI INTERVENTO Psicoterapia OGGETTO Ricerca PROBLEMA O TEMA TRATTATO Funzione riflessiva e domande triadiche PARTE DEL SISTEMA IMPLICATO Individuo ALTRA CLASSIFICAZIONE 1 BOLOGNA LAURA, Psicologa, Psicoterapeuta sistemico-relazionale. 2 MOSCONI ANDREA, Psichiatra, Psicoterapeuta, Didatta del Centro Milanese di Terapia della Famiglia, Direttore del Centro Padovano di Terapia della Famiglia. Il presente lavoro fa parte delle attività di ricerca del Centro Padovano di Terapia della Famiglia diretto dal Dott. A. Mosconi. 1

Upload: vuongnga

Post on 18-Feb-2019

231 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive

Laura Bologna1, Andrea Mosconi2

Abstract

L’articolo propone una lettura dei sintomi psicotici come conseguenza del «nonutilizzo» da parte del paziente della funzione riflessiva, nell’accezione di Fonagy eTarget. Attraverso una riflessione su questo tema e l’analisi di un caso clinico, siipotizza che la terapia sistemica, con la sua premessa riflessiva e l’utilizzo di tecnichespecifiche, come la domanda, possa essere un contesto particolarmente indicato perl’esercizio e la riattivazione di questa funzione, e si individua nelle domande triadicheil principale strumento attraverso cui il terapeuta può intervenire per guidare ilpaziente psicotico verso il cambiamento. Le domande triadiche costituiscono infattidelle richieste esplicite di esercizio della funzione riflessiva , in quanto impongono losforzo di utilizzare una teoria della mente dell’altro, ipotizzandone i contenuti mentalia partire dalle azioni, e tendono a stimolare l’utilizzo della mentalizzazione comemodalità nuova di relazione con il mondo interno ed esterno.

Parole chiaveAMBITO TeoricoINDIRIZZO TEORICO SistemicoCONTESTO DI INTERVENTO PsicoterapiaOGGETTO Ricerca PROBLEMA O TEMA TRATTATO Funzione riflessiva e domande triadichePARTE DEL SISTEMA IMPLICATO IndividuoALTRA CLASSIFICAZIONE

1 BOLOGNA LAURA, Psicologa, Psicoterapeuta sistemico-relazionale. 2 MOSCONI ANDREA, Psichiatra, Psicoterapeuta, Didatta del Centro Milanese di Terapia dellaFamiglia, Direttore del Centro Padovano di Terapia della Famiglia.

Il presente lavoro fa parte delle attività di ricerca del Centro Padovano di Terapia dellaFamiglia diretto dal Dott. A. Mosconi.

1

Page 2: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

Che cos’è la funzione riflessiva?

Il presente articolo si propone di formulare alcune riflessioni sull’utilità che può avereun lavoro sulla «funzione riflessiva» o mentalizzazione (secondo la definizione diFonagy e Target) all’interno di un contesto di intervento terapeutico con una personacon comportamento psicotico, e su come questo possa essere svolto in modo piùefficace attraverso l’utilizzo di domande riflessive e triadiche.Il concetto di «funzione riflessiva» si riferisce alla capacità dell’individuo di costruireuna «teoria della mente» (Premack, D., Woodruff, G., 1978) che funga da guida nelrapporto con il mondo esterno, cioè alla capacità di percepire se stessi e gli altri comeindividui pensanti, con delle idee e dei contenuti mentali che ne determinino l’agire. Secondo Peter Fonagy e Mary Target (alcuni tra gli autori che più a lungo si sonooccupati dello sviluppo di questa funzione nel processo di crescita dell’individuo) la«funzione riflessiva», è «l’acquisizione evolutiva che permette al bambino dirispondere non solo al comportamento degli altri, ma anche alla sua concezione deiloro sentimenti, credenze, speranze, aspettative, progetti, ecc.», cioè che «permette albambino di leggere la mente delle persone» (Fonagy, P., Target, M., 1997, p. 101,102). La funzione riflessiva costituisce quindi una sorta di mediatore tra i fatti e lerisposte dell’individuo a questi. Possedere una «teoria della mente» permette dilavorare nell’ambito della credenza, della rappresentazione mentale, e di costruiremodelli di causalità più complessi per spiegare ciò che accade intorno a noi. Creareuna «teoria della mente» vuol dire quindi riuscire a differenziare ciò che «è» da ciòche si può credere o inferire in base alle informazioni che si possiedono. Proprio perquesto motivo, questa capacità permette un maggiore adattamento nelle relazionisociali, consentendo all’individuo di rispondere al comportamento di un’altra personadopo averne ipotizzato e valutato le intenzioni, i pensieri o i sentimenti, e non soloconsiderandone gli effetti concreti. Al contrario, un individuo che non possieda unmodello di teoria della mente che gli permetta di dare un senso alle azioni altrui, sipercepirà in balia degli eventi, sperimenterà un senso di mancanza di controllo sullapropria vita e sull’ambiente che lo circonda, e avrà difficoltà a relazionarsi con glialtri in modo adeguato. Alla luce di queste considerazioni, riteniamo che possa essere importanteapprofondire il processo attraverso il quale tale funzione nasce e si sviluppa, per potermeglio comprendere quali siano le condizioni e i fattori che ne determinano laformazione. La mentalizzazione si sviluppa nei primi anni di vita attraverso le relazioni che sicreano con le figure di riferimento significative. Perché la funzione riflessiva sisviluppi in modo adeguato, i caregiver devono essere essi stessi in grado di«mentalizzare», e quindi di vedere se stessi e gli altri come «esseri pensanti» (Fonagy,P., 1991), e inoltre essere «sufficientemente amorevoli e riflessivi» (Fonagy, P.,Target, M., 1996, p. 139), creando le basi per un legame di attaccamento sicuro.Inizialmente, infatti, il bambino non riesce a distinguere i contenuti mentali dallarealtà e considera il mondo interno e il mondo esterno come coincidenti ( equivalenzapsichica): «Ciò che esiste nella mente deve esistere nel mondo esterno e ciò che esisteall’esterno deve necessariamente esistere anche all’interno della mente» (Bateman, A.,Fonagy, P., 2006, p. 85). Tuttavia, nello stesso tempo, nel contesto di gioco vienesviluppata anche una seconda modalità con la quale si può mettere in relazione il

2

Page 3: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

mondo interno con quello esterno: la modalità del far finta. Questa permette di tenereseparata la realtà esterna da quella interna, per cui «lo stato interno è concepito comeprivo di qualsiasi connessione con il mondo esterno» (Bateman, A., Fonagy, P., 2006,p. 86). La mentalizzazione nasce proprio dall’integrazione tra questi due aspetti, nelmomento in cui i pensieri e i sentimenti sono riconosciuti come dellerappresentazioni e la relazione tra la realtà interna e quella esterna è compresa nellasua complessità (Bateman, A., Fonagy, P., 2006). In questo processo il genitore ha unruolo fondamentale, perché è proprio attraverso l’interiorizzazione della suarappresentazione del figlio che il bambino può iniziare a percepirsi come una personache possiede dei contenuti mentali in termini di pensieri, sentimenti e desideri. Inoltre,può iniziare a collegare l’agire ai pensieri e ai sentimenti sottostanti, e costruire unateoria sul funzionamento mentale degli altri. Un genitore che utilizzerà lamentalizzazione nella relazione con l’ambiente trasmetterà quindi al bambino l’ideache il suo comportamento e quello altrui sono strettamente connessi agli stati mentali,e non indipendenti da questi, e gli fornirà uno strumento importante per «leggere» larealtà esterna. «Attribuendo stati mentali, il bambino rende significativo e prevedibileil comportamento degli altri», e quindi potrà percepire il mondo esterno come dotatodi senso (Fonagy, P., Target, M., 1997, p. 102). Altrettanto importante è la capacità delgenitore di far sentire il bambino amato e accettato, perché se l’immagine di sé che ilbambino vede nella mente del caregiver è quella di una persona rifiutata o odiata, eglipreferirà percepire l’altro come non dotato di mente, e se stesso come non in grado dipensare, piuttosto che accettare il fatto che il genitore possa provare dei sentimentinegativi nei suoi confronti. Utilizzando un linguaggio sistemico, potremmo dire che èfondamentale un atteggiamento genitoriale di conferma del sé del bambino. Comesottolineano Watzlawick, Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazioneumana, la conferma del sé da parte dell’altro è «probabilmente il più grande fattoresingolo che garantisca lo sviluppo e la stabilità mentali» (Watzlawick et al., 1967, p.74). Un bambino che si sente «confermato» nei propri pensieri, sentimenti,comportamenti, potrà permettersi di sentire ciò che pensa, sente e fa come qualcosa diproprio, di cui egli stesso è l’autore e il responsabile. Inoltre, i genitori devono essere in grado di «sintonizzarsi affettivamente» con ilfiglio, comunicandogli che comprendono ciò che sente, e al contempo non devonotuttavia riflettere in modo identico i suoi sentimenti, ma presentargli un altro punto divista da cui poterli affrontare. Infatti, se un bambino ha un genitore sicuro, capace diriflettere, contenere e alleviare il suo disagio, imparerà che quest’ultimo può essereaffrontato in modo positivo e rinforzerà la propria capacità di tollerare gli affettinegativi (Fonagy, P., Target, M., 1997). In questo senso la funzione riflessiva ha unruolo fondamentale nel processo di adattamento alla realtà, in quanto favorisce losviluppo della capacità del bambino di gestire gli affetti e di riflettere prima di agire.La possibilità di rappresentare l’idea di un affetto è infatti fondamentale per laregolazione e il controllo di quest’ultimo.

La mentalizzazione svolge quindi delle funzioni fondamentali nella vita di ogniindividuo: permette di dare un senso al mondo esterno rendendolo più comprensibile,rende il comportamento degli altri prevedibile, aumentando la percezione delleproprie possibilità di controllo sull’ambiente circostante e agendo come fattore diprotezione rispetto alle situazioni traumatiche, consente di rispondere in modo piùadeguato al comportamento altrui facilitando un migliore adattamento sociale,favorisce il controllo degli impulsi. Se si riflette sull’importanza che tutte questefunzioni hanno nel rapporto della persona con se stessa e con gli altri, si possono

3

Page 4: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

facilmente comprendere le difficoltà che si devono affrontare in situazioni in cuiquesta capacità non è sviluppata o non può essere utilizzata. Secondo il nostro puntodi vista, una di queste è la condizione psicotica.

Quando la mentalizzazione non viene utilizzata: il comportamentopsicotico

In letteratura non sono presenti molti studi specifici che tentino di stabilire unarelazione tra la funzione riflessiva e il comportamento psicotico; tuttavia, a partiredalle considerazioni sopra effettuate, a noi sembra importante tentare di formularedelle ipotesi su tale rapporto. La condizione psicotica è caratterizzata da modificazioni nell’esperienza chel’individuo fa del mondo interno e del mondo esterno. È una situazione quindi cheriguarda non solo il rapporto del soggetto con se stesso, ma anche le relazioni con glialtri. I principali elementi (sui quali converge il consenso della maggior parte deiprofessionisti) in genere utilizzati come criteri per valutare se si è di fronte ad unasituazione di psicosi o meno sono: presenza di deliri e di allucinazioni, sensazione diperdita di controllo sulle proprie azioni e sui propri pensieri (Borgna parla di perditadel senso di meità), compromissione dell’aspetto semantico e pragmatico dellinguaggio, confusione tra finzione e realtà e tra contenuti interni e mondo esterno,difficoltà nelle relazioni sociali legate alla mancanza di utilizzo dell’empatia eall’impossibilità di comprendere l’altro, ansia nella relazione con il mondo esternofisico e sociale, scarso controllo degli impulsi.

Bateson ha formulato una teoria sull’origine della schizofrenia che ci sembrainteressante per provare a costruire un’ipotesi sul rapporto tra psicosi e funzioneriflessiva. Secondo Gregory Bateson, nelle famiglie con un membro schizofrenico,almeno uno dei componenti (in genere un genitore) manifesta un comportamentodefinito dall’autore come «schizofrenia latente». Lo schizofrenico «latente» tende amodificare la tipologia logica dei messaggi, rispondendo ai messaggi degli altri comese fossero di tipo logico diverso da quello inteso da chi li emette, e definendo eglistesso ciò che l’altro pensa, sente o fa. Questo aspetto potrebbe essere connesso allaperdita del senso di meità tipico dello psicotico di cui parla Borgna (Borgna, E., 1999)e alla percezione del soggetto di non sentirsi padrone delle proprie azioni e dei propripensieri, ma piuttosto di sperimentarli come «indotti», inseriti dall’esterno. In questefamiglie, il genitore invia dei messaggi a livello verbale, che vengono contraddetti dalcomportamento non verbale che li accompagna. Questa modalità comunicativa generaconfusione nello schizofrenico conclamato, impedendogli di costruire delle regolechiare relative alla comunicazione e portandolo a sperimentare una costante«difficoltà nell’identificare e nell’interpretare quei segnali che dovrebbero direall’individuo di che genere è un messaggio» (Bateson, G., 1972, p. 236),permettendogli quindi di andare oltre il semplice contenuto e di completarlo conelementi relazionali. Inoltre, così come l’individuo non riuscirebbe ad attribuire ilgiusto significato ai messaggi degli altri, allo stesso modo non sarebbe in grado,quando emette un messaggio, di accompagnarlo con quei segnali che permetterebberoagli altri di decifrare ciò che egli vuole dire. «In questo sistema di comportamento, imessaggi dell’interlocutore vengono continuamente squalificati dall’indicazione chesono o risposte inappropriate a ciò che ha detto lo schizofrenico latente o il risultato diqualche difetto del carattere o delle intenzioni di chi li emette. Inoltre questocomportamento distruttivo è in genere adottato in modo da non poter essere rilevato»

4

Page 5: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

(Bateson, G., 1972, p. 307-308). Questa condizione di «indecidibilità» e soprattutto,come sostiene Watzlawick, la «proibizione» dell’acquisire consapevolezza dellacontraddizione della situazione (Watzlawick et al., 1967) costituirebbero quel doppiolegame che caratterizza l’ambiente in cui vive lo psicotico e gli impedirebbero dicostruire delle regole chiare per prevedere il comportamento altrui, cioè delle normesulla relazione tra contenuto mentale e azione. La modalità comunicativa utilizzata dalgenitore infatti tenderebbe a generare confusione tra i livelli di comunicazione, siapropri (contraddizione tra il livello verbale e quello non verbale) che altrui(attribuendo al messaggio dell’altro una intenzione diversa da quella che aveva chi loha inviato), impedendo al figlio di «leggere» i comportamenti verbali e non verbalidegli altri come la conseguenza di idee, pensieri, sentimenti. Ciò implicherebbe che ilcomportamento dell’altro apparirebbe come imprevedibile, e indipendente dalleproprie azioni, e si svilupperebbe la percezione di una scarsa possibilità di controllosul mondo esterno. Il contesto familiare in cui l’individuo crescerebbe, quindi,sarebbe tale per cui egli interiorizzerebbe l’idea che non esistono regole chepermettano di interpretare chiaramente la realtà. Come conseguenza di ciò, egliavrebbe difficoltà a comprendere che significato attribuire alle varie situazioni in cuisi trova e probabilmente metterebbe in atto dei comportamenti inadeguati rispetto aidiversi contesti (Sluzki, C., Veron, E., 1971). Di fronte ad una situazione di questotipo, in cui il mondo appare incomprensibile e governato dal caos, lo psicoticopreferirebbe ritirarsi dalla realtà, o comunque evitare ogni possibilità di confronto conessa. Questo comportamento dello schizofrenico latente, caratterizzato da unacontinua disconferma dell’altro come individuo, con pensieri e sentimenti diversi daipropri, e dal tentativo di negarne il sé, definendone i contenuti mentali e spiegandone icomportamenti, appare, a nostro avviso, come un comportamento tipico di unindividuo che non è in grado di (o sceglie di non) utilizzare la funzione riflessiva .Sembrerebbe infatti che queste persone non riescano a vedere gli altri membri dellafamiglia come individui mentalmente separati da loro, e quindi con dei propripensieri, idee, sentimenti, intenzioni. Qualsiasi «lettura» della realtà che il genitorenon riuscirebbe a tollerare verrebbe negata, e di conseguenza verrebbero accettatesolo quelle visioni del mondo che egli reputerebbe corrette. Potremmo quindiipotizzare che tale genitore non sarebbe in grado di vedere il figlio come esserepensante indipendente da se stesso, perché questo minaccerebbe la propria visionedella realtà, e pertanto assumerebbe un atteggiamento di continua «disconferma» dellecomunicazioni provenienti dagli altri membri della famiglia, sostituendo i significatiche l’altro dà al messaggio inviato, con i propri. Pertanto lo psicotico sperimenterebbeuna condizione in cui il genitore può vederlo come essere pensante solo se egli accettai pensieri «permessi» nel sistema familiare. I contenuti mentali del figlio verrebberosistematicamente disconfermati e sostituiti con i propri. Un genitore che non riuscissead accettare la presenza di una realtà esterna diversa dalla propria non potrebbe inoltreinsegnare ai figli che possono esistere più punti di vista relativamente alla stessa cosa.Analogamente, qualsiasi affetto negativo che il genitore non riuscisse a tollerareverrebbe negato. Infine un genitore che non utilizza la mentalizzazione nel rapportocon se stesso e con la realtà esterna non crea le basi perché il figlio possa a sua voltasvilupparla e farne uso. Le conseguenze di questa modalità relazionale e comunicativasarebbero che il bambino avrebbe difficoltà ad imparare che gli altri possono averecontenuti mentali diversi dai propri, e che le proprie idee e convinzioni (coincidenticon quelle della famiglia) sono solo stati mentali, distinti dalla realtà esterna; amettere in relazione contenuti mentali e azioni, in quanto egli, osservando ilcomportamento genitoriale e accettando le dichiarazioni dei genitori sui loro pensieri

5

Page 6: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

e sentimenti, si troverebbe di fronte ad una incoerenza tra il livello verbale e quellonon verbale, e quindi nell’impossibilità di comprendere il rapporto esistente tra statimentali e comportamento; a riconoscere ciò che gli altri sentono, anche utilizzandoindicatori come il comportamento non verbale; a rappresentare mentalmente gli affettie quindi a imparare a gestirli (la tendenza all’impulsività e l’espressione inadeguata diaggressività e sessualità si ritrovano spesso negli individui con disturbo psicotico). Lerelazioni con gli altri sarebbero quindi caratterizzate o dal ritiro, o da comportamentiinadeguati a causa della mancanza di consapevolezza dei bisogni altrui. La realtàverrebbe spogliata di ogni aspetto emotivo, nel tentativo di sfuggire allacontraddizione e all’impossibilità di comprendere con sicurezza l’altro, e pertantol’individuo si relazionerebbe a se stesso e agli altri come ad oggetti.

Queste riflessioni ci portano a pensare ad una relazione tra comportamento psicotico eutilizzo della funzione riflessiva. Proponiamo di seguire uno schema che ne sintetizzai principali aspetti.

Se un individuo non utilizza la funzione riflessiva nel rapporto con se stesso e con ilmondo esterno, probabilmente:

A. avrà difficoltà a percepire i propri contenuti mentali come tali e lisperimenterà come coincidenti con la realtà esterna (modalitàdell’equivalenza psichica);

B. non potrà percepire l’altro come separato da sé, né dal punto di vista fisico néda quello mentale;

C. non sarà pertanto in grado di formulare ipotesi su ciò che l’altro pensa osente, sulle sue credenze e sui suoi desideri.

Le conseguenze che possiamo ipotizzare conseguire da tale situazione sarebbero:

confusione tra realtà interna e realtà esterna, e allucinazioni (connesse al puntoA);

sensazione di perdita di controllo sulle proprie azioni e sui propri pensieri,confusione tra sé e l’altro, vissuti di intrusione (connessa al punto B);

difficoltà nelle relazioni sociali legate alla mancanza di utilizzo dell’empatia eall’impossibilità di comprendere l’altro, ansia nella relazione con il mondoesterno fisico e sociale, interpretazione letterale dei messaggi (connesse alpunto C: se io non sono in grado di formulare una teoria della mente dell’altroe quindi di immaginare i suoi contenuti mentali, probabilmente avrò difficoltàad interpretare l’intenzione che sottende il messaggio e pertanto mi limiterò aduna lettura letterale dello stesso).

Possiamo quindi ipotizzare, a seguito di tali considerazioni, che alcuni dei principalisintomi che vengono considerati come specifici della condizione psicotica, possanoessere la conseguenza del non utilizzo da parte del soggetto della funzione riflessiva .Riteniamo importante sottolineare come le idee esposte siano solo delle ipotesiformulate a partire da alcune riflessioni e che i sintomi schizofrenici potrebbero esserelegati a motivi diversi dal mancato utilizzo della mentalizzazione. Tuttavia, secondo ilnostro punto di vista è probabile che una persona che non utilizza la funzioneriflessiva abbia comunque dei comportamenti simili a quelli descritti.

Tali riflessioni portano a formulare la seguente domanda: il non utilizzo dellamentalizzazione nello psicotico dipende dal fatto che essa non è mai stata sviluppata

6

Page 7: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

in modo adeguato o piuttosto dal fatto che è inibita relativamente alle aree dellarelazione più conflittuali o meno comprensibili alla persona? L’importanza di trovareuna risposta a tale quesito è legata ai risvolti che questa ha ai fini della terapia con ilpaziente schizofrenico. A partire dalle riflessioni proposte in precedenza che prendonospunto dalla teoria di Bateson, tentiamo quindi di formulare un’ipotesi che possafornirci una risposta.Secondo la nostra idea, un bambino che cresce in una famiglia caratterizzata dainterazioni comunicative contraddittorie ( doppi legami ) e da comportamentigenitoriali di rifiuto dell’altro come separato mentalmente ( disconferma) non potràimparare in tale contesto a costruire delle teorie sulla mente propria e altrui, eutilizzerà delle modalità relazionali patologiche coerenti con il sistema familiare.Tuttavia il contesto familiare non è l’unico ambiente in cui l’individuo vive, epertanto si potrebbe supporre che la possibilità di interagire con situazioni diverse daquella familiare, durante il percorso di crescita (scuola, amici, ecc.), possa permetteredi creare comunque delle basi per lo sviluppo della mentalizzazione. Dal nostro puntodi vista, quindi, grazie al contatto con ambienti esterni alla propria famiglia, ilsoggetto apprenderebbe che nel mondo esterno esistono delle regole di comunicazionediverse (e spesso in contrasto) con quelle del proprio sistema familiare. Ciò tuttaviacondurrebbe alla nascita di un conflitto tra le idee e le modalità comunicative propostein modo assoluto dalla propria famiglia (che funzionano bene al suo interno), e ledifficoltà relazionali che invece comporta l’utilizzo di tali modalità in contesti esterni.Si genererebbe pertanto una certa confusione tra le premesse e le norme chegovernano il proprio sistema familiare, che sono proposte come giuste e assolute, eciò che viene rimandato dal mondo esterno circa questi modelli relazionali o dipensiero. Di fronte all’impossibilità di conciliare due modalità così diverse (e incontraddizione tra loro) di relazionarsi con «l’altro da sé», l’individuo sceglierebbe ingenere quella utilizzata dalla propria famiglia, per il valore affettivo e disopravvivenza che essa ha per il soggetto, e per la forza con cui viene imposta dalsistema. È plausibile quindi che, nonostante a livello potenziale la persona sarebbe ingrado di far uso della funzione riflessiva nel rapporto con gli altri e con la realtà, nonsarà abituata ad utilizzarla come regola nella relazione con il mondo esterno, epertanto tenderà a privilegiare l’inibizione di questa capacità per essere «fedele» alproprio sistema familiare. Tuttavia, il conflitto così evitato tenderà comunque adesplodere in risposta a qualche evento particolarmente significativo da un punto divista emotivo-affettivo in genere legato a vicende adolescenziali o della primamaturità. Spesso infatti sono le «normali» situazioni di crisi che caratterizzano questefasi del ciclo vitale (legate alle problematiche dell’autonomia, dell’indipendenza,della responsabilità, e più soggette a cambiamenti) che fanno emergere con forza lecontraddizioni che l’individuo non è in grado di fronteggiare. La mancanza diabitudine a far uso della funzione riflessiva aggraverebbe le difficoltà del soggetto, inquanto essa fungerebbe da fattore di protezione di fronte a situazioni problematiche edeventi traumatici, rendendo il mondo più comprensibile e prevedibile agli occhi dellapersona, permettendole di sperimentare un maggiore senso di controllo sulla realtàesterna. Non essendo in grado di utilizzare adeguatamente questa funzione,aumenterebbe la vulnerabilità dell’individuo di fronte agli eventi stressanti e il rischiodi esito in un comportamento psicotico. Quest’ultimo, infatti, è l’unica soluzione cheil soggetto troverebbe per sfuggire alla condizione di indecidibilità e impotenza in cuiil conflitto lo pone. È chiaro che con l’esplosione del comportamento psicotico lacapacità di mentalizzazione risulterebbe ulteriormente inibita e l’individuo sitroverebbe all’interno di un circolo vizioso dal quale non sarebbe più possibile uscire.

7

Page 8: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

Secondo la nostra ipotesi, dunque, anche in un contesto familiare caratterizzato dadoppi legami e disconferme, la funzione riflessiva non viene utilizzata perché è inibita,e non perché non si è mai sviluppata.

Le domande che «attivano» la mentalizzazione in terapia

La funzione riflessiva svolge un ruolo fondamentale non solo nella vita di ognuno dinoi, ma anche nella pratica psicoterapeutica. Secondo Baldoni, «Il concetto difunzione riflessiva risulta particolarmente utile in psicoterapia. In molti casi èfondamentale che il terapeuta, svolgendo una funzione riflessiva, faccia percepire alpaziente che sta riflettendo su di lui considerandolo in termini di stati mentali. […] Ilpaziente, rispecchiandosi nel pensiero del proprio terapeuta, può riconoscere i propriprocessi mentali raggiungendo un maggiore livello di consapevolezza e sviluppando apropria volta una migliore capacità riflessiva» (Baldoni, F., 2008, p. 8). E ancora: «Inpsicoterapia le affermazioni riflessive della famiglia costituiscono un indice delladisponibilità a sviluppare un’alleanza terapeutica, a elaborare i problemi e adaffrontare i cambiamenti» (Baldoni, F., 2008, p. 7). Secondo l’approccio sistemico,così come altre forme di psicoterapia, uno dei principali presupposti perché il lavorodel terapeuta abbia dei buoni risultati è la capacità del paziente di riflettere sui propricontenuti mentali e su quelli degli altri, formulando ipotesi su ciò che l’altro pensa osente, sul perché lo pensi, sul perché egli stesso abbia delle idee e non altre, evalutando altri punti di vista offerti dal terapeuta sul modo di vedere la realtà. Quandosi lavora con un individuo che non utilizza la funzione riflessiva diventa quindiimportante porsi come primo obiettivo quello di tentare di sviluppare tale funzione.Nella pratica sistemica, uno degli strumenti più utilizzati per promuovere ilcambiamento è la domanda. Le domande possono essere formulate in vari modi e condiversi scopi, permettendo di raggiungere obiettivi diversi. C’è una differenza, infatti,tra le domande che hanno lo scopo di raccogliere semplici informazioni anagrafiche, equelle che invece hanno come intento quello di sollecitare nel paziente riflessioni,collegamenti, ipotesi. L’utilità della domanda come tecnica di intervento consiste nel fatto che questa puòaiutare il soggetto a riflettere sui propri pensieri e sentimenti, a percepirli comecontenuti mentali e quindi suscettibili di modifica, e consentire l’apertura a nuovipunti di vista e a nuovi modi di leggere la realtà, aprendo la strada verso ilcambiamento. Un esempio di domande formulate con questo scopo è quello delle«domande riflessive» proposte da K. Tomm. L’autore classifica questo tipo didomande in diversi gruppi, in relazione allo scopo che il terapeuta si pone nel porle:

domande orientate al futuro , che permettono all’individuo di spostarsi dalpresente o dal passato al futuro, immaginando ciò che potrebbe accadere, ciòche vorrebbe che accadesse, e quali conseguenze potrà avere ciò che lui o altristanno facendo attualmente;

domande relative al punto di vista dell’osservatore , che tendono a stimolare ivari membri della famiglia ad assumere il punto di vista dell’altro,aumentando la comprensione delle relazioni;

domande che cambiano inaspettatamente contesto , con cui il terapeutapropone l’idea di un cambiamento significativo rispetto al contesto abitualedella famiglia;

domande che contengono suggestioni , in cui il clinico inserisce deisuggerimenti diretti ad uno o più membri del sistema, che a suo parere

8

Page 9: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

costituirebbero un vantaggio per questi; domande di comparazione normativa , con le quali si ragiona insieme alla

famiglia relativamente alla regola che essa ritiene o non ritiene di doverrispettare;

domande di chiarificazione-distinzione , che aiutano non solo il terapeuta acomprendere meglio, ma evidenziano anche ai membri del sistema eventualicontraddizioni o mancanze di connessioni tra gli elementi riportati;

domande che introducono ipotesi , con le quali il clinico propone delle ipotesi,in genere parziali, sul sistema;

domande che interrompono un processo , che servono per spostare l’attenzioneper esempio dal contenuto di una discussione all’aspetto relazionale (Tomm,K., 1991).

Tutti questi tipi di domande proposti da Tomm implicano che il soggetto effettui delleconnessioni tra contenuti mentali propri o altrui e risposte comportamentali, e sullepossibili conseguenze dei suoi comportamenti, o formuli ipotesi sui pensieri, le idee ele intenzioni di altri membri della famiglia deducendoli dalle loro risposte di fronteagli eventi o alle sue azioni. In tutti questi casi, quindi, per rispondere in modoadeguato alle domande del terapeuta, il paziente deve essere in grado di utilizzare lafunzione riflessiva. Alcune delle domande riflessive proposte da Tomm possono essere formulate come«domande circolari» che, secondo la definizione del Milan Approach, sono quelledomande che «chiariscono e definiscono le idee confuse e i comportamenti ambigui»e permettono di co-creare significati multipli che prendano in considerazione nuovipunti di vista (Boscolo, L., Cecchin, G., Hoffman, L., Penn, P., 1987, p. 112). Dei tretipi di domande circolari descritte dal modello sistemico, triadiche, ipotetiche einformative (Peruzzi, P., 1988), sono soprattutto le prime ad essere particolarmenteefficaci per stimolare l’utilizzo della mentalizzazione nel cliente. Infatti, sebbene tuttie tre i tipi di domande permettano di creare una connessione tra idee, emozioni ecomportamenti, cioè introducano «il punto di vista relazionale» (Gonzo, M., Tirelli,M., Mosconi, A., 1999, p. 20), le domande triadiche necessitano più delle altre di unacapacità riflessiva.

Sulla base della definizione che abbiamo dato di funzione riflessiva e degli aspetti chela caratterizzano, proponiamo di seguire degli esempi di domande che potrebberorisultare utili per riattivare la capacità di mentalizzare nel paziente psicotico, e degliaccorgimenti che a nostro avviso sarebbe opportuno seguire nel lavoro, in questo tipodi situazione. La premessa fondamentale per un lavoro sulla mentalizzazione con lo psicotico èsicuramente che il terapeuta stesso abbia una buona capacità di mentalizzare e checonduca l’incontro avendo in mente la «premessa riflessiva» secondo cui la personache si trova davanti ha dei contenuti mentali diversi dai propri (che ne determinano ilcomportamento). Inoltre, è importante che questa premessa emerga chiaramente daciò che dice o fa. Per verificare che il paziente riconosca la presenza di pensieri,sentimenti, intenzioni, ecc. in se stesso e negli altri, e per trasmettergli eventualmentequesta idea, il terapeuta può utilizzare delle domande con le quali chiedeespressamente cosa pensa o sente la persona, e mette a confronto i contenuti mentalidi quest’ultima con quelli altrui. Esempi di domande di questo tipo potrebbero essere:

- Lei cosa pensa di questa cosa?

9

Page 10: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

- Secondo lei, cosa pensa di diverso da lei quest’altra persona? Su quali coseavete idee diverse? Su quali siete d’accordo?

- Lei cosa sente in merito a questa situazione?- Secondo lei, cosa sente di diverso da lei quest’altra persona?

Se queste domande sono formulate in modo triadico richiedono una maggiorecapacità riflessiva e costituiscono un ulteriore elemento per valutare il livello dimentalizzazione del paziente. Esempi di questo tipo possono essere:

- Secondo lei, su quali cose queste due persone sono d’accordo tra loro, ma indisaccordo con lei?

- Secondo lei, cosa pensa questa persona di quest’altra?- Secondo lei, cosa sente questa persona per quest’altra?

In questi casi vengono messi a confronto pensieri e sentimenti di diverse persone,secondo l’idea del paziente. In tutte queste domande ci sembra importante premettere«secondo lei» per evidenziare ulteriormente che ciò che viene detto è un punto di vistasu qualcosa, e non una verità unica e assoluta.

Questo primo gruppo di domande, oltre a sottolineare l’idea di contenuto mentale e lasua relatività, dovrebbe anche essere utilizzato per aiutare la persona a identificare inmodo chiaro ciò che pensa o sente. Quest’ultimo aspetto, infatti, è fondamentale per ilpassaggio successivo del lavoro terapeutico, relativo alla capacità di connettere icomportamenti ai pensieri, sentimenti, desideri, intenzioni sottostanti. Solo se ilpaziente avrà chiaro ciò che pensa/sente, il terapeuta potrà valutare l’appropriatezzarispetto alle azioni conseguenti. Questo secondo passaggio del lavoro terapeutico implica l’utilizzo, da parte delterapeuta, di un «atteggiamento mentalizzante»: «l’atteggiamento mentalizzante èl’abilità di interrogarsi costantemente su quali stati mentali interni, propri o delpaziente, possano spiegare ciò che accade nell’ hic et nunc» (Bateman, A., Fonagy, P.,2006, p. 249). Il terapeuta dovrà quindi formulare le domande in modo che risultichiara la regola che ogni comportamento è legato ad un’intenzione, un sentimento, unpensiero sottostante. Nello stesso tempo potrebbe essere utile proporre delle domande che permettano alclinico di capire che difficoltà incontra il paziente nel considerare la connessione trastati mentali e azioni, e la coerenza della stessa. Esempi di queste domandepotrebbero essere:

- Quando lei pensa/sente così, cosa fa? - Quando l’altro (madre, padre, sorella, fratello, o qualsiasi altra persona

appartenente alla famiglia nucleare o allargata) pensa/sente così, come sicomporta?

- Quando l’altro (persona estranea al contesto familiare, ma significativa nellavita del paziente) pensa/sente queste cose, come agisce?

La differenza tra il secondo e il terzo tipo di domanda ci sembra utile perché potrebbepermettere di capire se la persona riesce a «vedere» delle regole di comunicazionediverse all’interno e all’esterno della famiglia. Come abbiamo sottolineatoprecedentemente, infatti, è possibile che lo psicotico non riesca ad utilizzare lafunzione riflessiva all’interno del contesto familiare, ma potrebbe riuscire a farlo

1

Page 11: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

all’esterno.Anche queste domande, come le prime che abbiamo proposto, hanno una valenza ditipo «valutativo», in quanto permettono di ottenere informazioni su come e se ilpaziente utilizzi questo aspetto della funzione riflessiva.

Un altro tipo di domande è quello attraverso il quale il terapeuta propone la regola cheogni comportamento è collegato a contenuti mentali. Le domande di questo tipo potrebbero essere divise in due gruppi:

A) domande in cui il terapeuta rimanda al paziente l’idea che lo vede come esserepensante e quindi cerca una connessione tra ciò che ha fatto e ciò che può aversentito o pensato;

B) domande in cui viene trasmessa l’idea che il comportamento degli altri sialegato a contenuti mentali.

Nel primo caso, si potrebbe sia utilizzare ciò che il paziente sta facendo in quelmomento per aiutarlo a identificare i suoi stati mentali, o a riprendere situazionipassate creando collegamenti in riferimento a quelle. Esempi di questo primo gruppopotrebbero essere i seguenti:

- Cosa sta pensando in questo momento in cui si sta comportando così? - Come si sente adesso? Le è successo altre volte che quando si sentiva così

abbia fatto quello che sta facendo ora?- Quali sono state le idee che le hanno fatto decidere di comportarsi così in

quella situazione?-

Esempi del secondo gruppo potrebbero invece essere:

- Secondo lei, quali erano i pensieri, le idee di quella persona che l’hannoportata a comportarsi in quel modo?

- Da come si comporta questa persona verso di lei, cosa pensa che provi?

Per potenziarne l’effetto «attivante» rispetto alla capacità di mentalizzare, questi tipidi domande potrebbero essere seguite da altre in cui il terapeuta utilizza l’idea che si«apprende per differenza», ovvero domande in cui non venga ipotizzato solo unrapporto tra un pensiero o un sentimento e un’azione, ma venga anche proposto diconsiderare dei sentimenti e dei pensieri diversi, e di immaginare il comportamentoconseguente, lasciando quindi intendere che quest’ultimo cambia se cambiano icontenuti mentali sottostanti. Questa ci sembra una modalità utile per far comprenderealla persona come funziona la mentalizzazione e per esercitarla. Questo tipo didomande può essere riferito al paziente stesso o ad un’altra persona. Esempi di queste domande possono essere:

- Se si fosse sentito o avesse pensato in quest’altro modo, come si sarebbecomportato? Cosa avrebbe fatto di diverso?

- Se quest’altra persona avesse pensato o sentito in quest’altro modo, comeavrebbe agito?

Dalle risposte che fornisce il paziente si può comprendere se è in grado di formulareun’ipotesi che metta in relazione in modo coerente pensieri/sentimenti e

1

Page 12: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

comportamenti. Se il terapeuta ritiene che quest’ultimo aspetto non è presente, puòproporre degli esempi in cui la regola della coerenza tra contenuti mentali e azionivenga rispettata, e, partendo da alcuni tipi di comportamento, ipotizzare i pensieri o isentimenti che possono averlo determinato.

Ad un livello ancora più elevato di complessità nell’uso della mentalizzazione,troviamo le domande triadiche, di cui abbiamo già riportato alcuni esempi. Le domande triadiche costituiscono delle richieste esplicite di esercizio della funzioneriflessiva, in quanto consistono nel chiedere ad un membro della famiglia come vedela relazione tra altri due, oppure cosa, secondo lui, un membro della famiglia pensa diun altro membro, e pertanto impongono lo sforzo di mettersi nei panni dell’altro e diutilizzare una teoria della mente dell’altro, ipotizzandone i contenuti mentali a partiredalle sue azioni. Aiutano quindi il paziente ad abbandonare la sua visione egocentrica,aprendosi ad altri punti di vista e creando collegamenti tra contenuti mentali ecomportamenti.Esempi di questo tipo di domande possono essere:

- Secondo lei, cosa pensa questo membro della famiglia di quest’altra persona? - Secondo lei, cosa sentono l’uno per l’altro?

O ancora, per sottolineare nuovamente la regola della coerenza tra contenuti mentali eazioni:

- Da quali comportamenti di questa persona deduce che abbia questa idea suquest’altra persona?

- Quali sono gli atteggiamenti che le fanno pensare che questo individuo nutrequesto tipo di sentimenti per l’altro?

Tutti gli esempi di domande sopra riportati hanno lo scopo di stimolareun’«attivazione» della funzione riflessiva nel paziente psicotico. Oltre alle domande, ilterapeuta possiede altri strumenti che possono essere utilizzati con questa finalità, main generale potremmo ipotizzare che, forse, la maggiore o minore utilità delle tecnicheusate ai fini dello sviluppo o dell’attivazione della mentalizzazione non risieda tantonella tecnica in sé, quanto nella premessa con cui il terapeuta la utilizza. Vale a dire,sia che si tratti di una domanda, sia che si tratti di una metafora, sia che si tratti dellaproposta del proprio punto di vista, l’elemento essenziale perché sia coinvolta lafunzione riflessiva è che il clinico utilizzi lo strumento scelto avendo in mente la«premessa riflessiva» secondo cui la persona che si trova davanti ha dei contenutimentali diversi dai propri, che determinano il comportamento sia dell’uno chedell’altro, e che questa premessa emerge chiaramente da ciò che dice o fa. Peresempio, se il terapeuta propone il proprio punto di vista, dovrà sottolineare che è ciòche pensa lui e che probabilmente l’altro potrà pensarla in modo diverso, e magarichiedergli di esplicitare il suo pensiero (anche in questo caso il confronto tra le dueidee è una modalità di intervento che può aiutare il paziente ad apprendere perdifferenza). Questo aspetto della tecnica è ovviamente inestricabilmente intrecciato con quello dellinguaggio. Così come per gli strumenti terapeutici, riteniamo che anche per illinguaggio valgano le stesse considerazioni, ossia che per sviluppare, attivare o ri-attivare la funzione riflessiva occorra un linguaggio che nell’implicito (e a volteanche nell’esplicito) trasmetta l’idea di me e dell’altro come individui mentalmente

1

Page 13: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

separati, con contenuti mentali diversi che ne determinano le azioni. Particolarmenteutili a questo scopo potrebbero essere i suggerimenti sistemici di non utilizzare ilverbo «essere», le affermazioni o le interpretazioni: al verbo «essere» dovrebberoessere sostituiti verbi come «sembrare», «apparire», «mostrare», che presuppongonol’esistenza di diversi punti di vista sullo stesso oggetto; le affermazioni dovrebberoessere accompagnate da premesse come «secondo me», «a mio parere», «questo mi fapensare che…». Infine, nel lavoro con un paziente psicotico, a nostro parere dovrebbero essere evitatele interpretazioni (per es.: «Lei ha fatto questo perché…») e tutte quelle espressioniche indicano un tentativo di «lettura della mente» da parte del clinico (per es.: «Inquesto momento lei sta pensando/provando questo.»), in quanto per lo psicoticocostituirebbero un’ulteriore conferma del fatto che ciò che lui pensa o sente provienedall’esterno e che non ha dei contenuti mentali privati.

Le conclusioni cui queste riflessioni ci conducono sono dunque che nello psicotico lacapacità di mentalizzare non è «inesistente», ma solo inibita a causa dellecaratteristiche del contesto relazionale all’interno del quale l’individuo è cresciuto, eche attraverso un lavoro terapeutico che faccia uso di strumenti in grado di stimolarnel’esercizio, essa possa essere nuovamente «attivata» e utilizzata. A sostegno di questa ipotesi, prenderemo ora in esame alcune parti di una sedutaterapeutica con una paziente definita psicotica, prestando particolare attenzione a queipassaggi che richiederebbero un utilizzo della funzione riflessiva.

Dalla teoria alla pratica: il caso di C.

Il caso esposto è quello di C., una ragazza di 30 anni, figlia unica. La richiesta di unaterapia parte dai genitori, ed è legata al fatto che da alcuni anni C. si comporta «inmodo strano». Il padre e la madre, presenti al primo incontro, non sono in grado didescrivere dei comportamenti specifici, ma sostengono che c’è un cambiamentocontinuo in queste sue «stranezze». L’unica cosa di cui si lamentano chiaramenterispetto al comportamento della figlia è il fatto che nella relazione con loro è diventata«assente»: non parla, non risponde alle loro domande, non fa nulla tutto il giorno,tranne uscire con il padre. La sua necessità di uscire è legata al fatto che non riescepiù a stare da sola in casa con la madre, che accusa di averle arrecato un «danno»irreparabile. Il tema principale intorno a cui ruotano tutti i pensieri di C. è proprioquesto «danno» provocato dalla madre, al quale C. non riesce a smettere di pensare.La parte che segue è tratta dalla seconda seduta, dove è presente solo la cliente. C.racconta di essere stata in vacanza da una zia a Firenze per due settimane, e di essersitrovata bene. Tuttavia, poco dopo riprende l’idea che il danno che ha subito è talmentepervasivo che non c’è più speranza, tutto è inutile.

Terapeuta: Mettiamo che lei si veda da una nuvola e che veda se stessa che prima di Firenzeha questa idea di danno senza speranza, e a Firenze che si muove, va in giro per la città, ecc…Che idea si fa di questa ragazza che vive questi due momenti della sua vita?C: L’idea che tutto sia inutile.Terapeuta: Ah, anche vedendola dall’esterno… C: Sì, sì…

Nonostante C. abbia ammesso di essere stata bene a Firenze, non riesce tuttavia ad

1

Page 14: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

abbandonare l’idea del danno e a separare le due situazioni tentando di dare unaspiegazione del perché a Firenze fosse stata bene e perché a casa non sia lo stesso.

[…]Terapeuta: Mi è rimasta questa cosa che lei ha detto la volta scorsa… che in qualche modo èstato più forte di lei come figlia lasciarsi danneggiare…C: Sì, per quanto riguarda appunto il mio ruolo, perché ero in un ruolo… tanto abituata adessere in un ruolo che alla fine non sono… non perché non sia forte, ma perché ormai sonoimmedesimata in questo ruolo… in un ruolo talmente potente che non ce l’ho fatta auscirne…

Anche qui emerge, come nell’esempio precedente, la contraddizione tra due diversedefinizioni che C. dà di se stessa: da una parte «è forte», ma nello stesso tempo ilruolo che le è stato dato «è ancora più forte di lei». Pittman, a questo proposito,sostiene che «le persone si adattino a qualunque ruolo la famiglia si aspetta da loro. Senon interpretano quel ruolo, la famiglia esercita su di loro tanta pressione cheinterpreteranno qualche altro ruolo, come quello del paziente, che toglierà allafamiglia il peso di averle messe in un ruolo alla cui altezza non erano fin dall’inizio.[…] noi riteniamo che chiunque, sotto una pressione abbastanza forte, possa diventarepsicotico» (Pittman, F. et al., 1967, p. 343). In questo passaggio ci sembra che C. attivi una prima funzione riflessiva sul suo statomentale nel tempo, riconoscendo un «prima» in cui non aveva questo ruolo, un «ieri»in cui era in un ruolo, un «poi» in cui si è ormai immedesimata.

[…]Terapeuta: Da dove viene questa…. C: È tutta la vita che ricevo ordini, quindi sono talmente abituata a riceverne che… non chealle volte non mi sia mai imposta, mi sono imposta anche io, però mi viene istintivo eseguiregli ordini, perché è da quando sono nata che lo faccio… e nella mia famiglia le cosefunzionano in quel modo…[…]Terapeuta: E a lei viene automatico obbedire…C: Sì…

In questo passaggio C. fa una lettura interessante di come l’aver vissuto all’internodella sua famiglia per tanti anni in una situazione in cui è stata abituata ad obbedire(inibendo, quindi, la funzione riflessiva) l’ha portata a consolidare questo tipo dimodalità relazionale con i propri genitori, facendo propria la regola familiaredell’obbedienza. Ci sembra importante notare come, in questa occasione, la capacitàdi «mentalizzare» di C. sembri funzionare adeguatamente. Quello che lei dice implical’aver costruito una teoria sulle relazioni che potrebbe essere descritta nel modoseguente: se i tuoi genitori ti insegnano a comportarti in un certo modo per diversianni, è «normale» imparare ad agire così, ci si convince che quella regola sia giusta eci si comporta di conseguenza, cioè seguendola. Tuttavia, anche se in questo caso sembra che C. adoperi la «funzione riflessiva» inmodo adeguato, non lo fa in altri momenti del colloquio.

Terapeuta: Adesso lei è pronta a far la figlia a vita… ma ha perso anche la fantasia di quelloche avrebbe potuto fare se non fosse così?C: Quello che avrei voluto fare non lo posso più fare, quindi…Terapeuta: Quindi ha perso anche la fantasia? C: Sì…

1

Page 15: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

Terapeuta: Non c’è mai neanche un minuto, neanche mezzo minuto in cui pensa chepotrebbe fare qualcosa di diverso?C: No..Terapeuta: E allora come mai ciò nonostante viene qui oggi?Silenzio[…]Terapeuta: C’è qualcosa che si aspetterebbe da noi?

Il terapeuta a questo punto si concentra sull’idea di perdita di speranza e diirreversibilità del danno subito che C. porta con sé fin dall’inizio del colloquio.Appare evidente la difficoltà della ragazza di proiettarsi nel futuro, a causa di questograve danno irreparabile che non le consente di immaginare un futuro diverso dalpresente. La perdita della dimensione temporale, con una fissazione al presente, è unacaratteristica del disturbo psicotico.

[…]C: Vorrei farle una domanda, dottore. Se una persona è adorata da qualcuno, da un’altrapersona, però ha commesso delle cose mostruose contro questa persona, non come dato difatto, ma con il pensiero, e a volte i pensieri sono come le azioni, perché se si potesseroavverare, mettere in pratica… sarebbe … ecco… Però questa persona è sempre adorata daquest’altra persona… secondo lei può arrivare a perdonarla oppure c’è la possibilità chequesta persona, pur continuando ad adorare quest’altra persona, non la perdoni o decida dinon vederla più…?Terapeuta: Questo sarebbe lei con qualcun altro? Con mamma…C: No, non sono i miei genitori.

In questa parte del colloquio sembra che per C. i pensieri tendano a confondersi con larealtà e vengano vissuti come qualcosa di reale. Abbiamo sottolineato in precedenzacome questa confusione tra contenuti mentali e realtà sia non solo una caratteristicadella psicosi, ma anche un indicatore di un funzionamento inadeguato della «funzioneriflessiva».

[…] C: Sono io che sono adorata da qualcuno e ho pensato delle brutte cose… che pur adorandoquesta persona ho pensato delle cose un po’ mostruose su questa persona, per le quali questapersona ha avuto un grande dolore… per le quali potrebbe non perdonarmi mai, purcontinuando ad adorarmi…[…]Terapeuta: Lei si sente colpevole per aver pensato queste cose? E ha paura che i suoi pensieripossano aver danneggiato questa persona?C: Beh, danneggiato nel senso che potrebbe non perdonarmi mai…

Il terapeuta indaga la capacità di C. di operare una differenziazione tra pensiero erealtà, e sembra chiaro che, in questo caso, la ragazza sia in grado di farlo.

[…]Terapeuta: Secondo lei è stato più l’amore che questa persona aveva per lei che l’ha resadisponibile ad essere danneggiata da lei, o sono stati più i suoi pensieri negativi verso questapersona a danneggiare… […]C: Sono stati più i miei pensieri.

Qui invece sembra venire meno la differenziazione tra contenuto mentale e realtà, e

1

Page 16: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

come apparirà evidente in seguito, appare una grossa confusione su «cosa hadeterminato cosa». Infatti, in questa parte del colloquio sembra che C. sia convintache i suoi pensieri negativi abbiano danneggiato l’altro, mentre, successivamente, dalsuo racconto emergerà che questi pensieri negativi hanno seguito, e non preceduto,l’allontanamento di questa persona. Sembra quindi che il rapporto tra contenutimentali negativi e realtà sia piuttosto confuso.

[…]Terapeuta: Secondo lei questi pensieri hanno una storia? Cioè sono venuti fuori ad un certopunto nel rapporto con questa persona? […] Come mai ad un certo punto le sono venuti inmente dei pensieri negativi?C: No, non sono stati generati da nessun contrasto con questa persona, sono venuti fuori dallamia mente…

Emerge in questo passaggio l’idea, caratteristica degli psicotici, di perdita di controllosulla propria mente.

Terapeuta: E come può essere che la sua mente… la sua mente è lei o è diversa da lei? È unaparte di lei la sua mente? C: Sì.Terapeuta: Cosa può contribuire a far sì che ad una ragazza della sua età vengano in mente ipensieri che le sono venuti?C: La solitudine… perché io sono impazzita con la solitudine… e la mia mente… hocominciato ad avere delle paure, ho cominciato ad aver paura di pensare delle cose negative…e la mia mente ha cominciato a pensarle, e non sono più riuscita a controllarla… […] la miamente ha cominciato a sfuggirmi dal controllo…[…]C: Per un periodo non sono potuta entrare in contatto con questa persona e quindi sonoimpazzita… […] perché questa persona per quel periodo aveva detto… siccome avevo fattouna cosa che non dovevo fare, era una sorta di punizione che per quel periodo non sareipotuta stare… c’era stata una cosa, ma era stata una cosa non molto importante, un piccoloerrore, però questa persona mi ha voluto un po’ punire… […] non era stato un contrasto, c’erastata una cosa che a questa persona non era piaciuta…[…]Terapeuta: E lei però si è arrabbiata molto per questa punizione.C: No, non mi sono arrabbiata per niente… mi sono trovata molto sola… la mia mente hacominciato a sfuggirmi al controllo…

Il terapeuta avanza l’ipotesi che i pensieri negativi siano nati per questo dispiacerelegato alla solitudine. C. non l’accetta. Non mette in relazione le due cose, preferiscedare una spiegazione diversa. Dice che lei era tranquilla, che se ne era fatta unaragione e pensava a quando avrebbe rivisto questa persona. Di conseguenza nonriesce a capire da dove possano venire questi pensieri negativi.

C: Ma… io mi sentivo tranquilla…Terapeuta: Però ad un certo punto le sono venuti i pensieri negativi… è tutto nella sua testa,non è che è un pezzo di qua e un pezzo di là… […] A me viene da pensare che lei nello sforzodi accettare la decisione di questa persona di punirla tenendola a distanza cercava ditranquillizzarsi, ma dall’altra venivano fuori questi pensieri negativi… C: Non potrebbe essere solo la solitudine? Senza il dispiacere… solo la solitudine… […] uncontinuo colloquio interiore che la persona fa, che io faccio, e quindi ad un certo punto lamente sfugge dal controllo e la persona impazzisce.

1

Page 17: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

Da questa spiegazione che C. dà relativamente alla nascita di pensieri negativi emergecome preferisca rifiutare l’idea di essersi sentita dispiaciuta della decisione dell’altrapersona di non vederla, e sembra quindi non voler accettare la possibilità di averprovato sentimenti negativi verso questa persona. Forse è perché vede i sentimentiancora confusi con la realtà e teme che questi possano interferire nella sua relazionecon questa figura. Continua ad affermare di essere tranquilla, di non aver avuto alcuncontrasto con la persona di cui parla, né di essere arrabbiata con lui/lei. Anche inquesta occasione, quindi, sembra esserci stato un indebolimento nel funzionamentodella «mentalizzazione».

[…]C: Secondo lei può essere che questa persona pur continuando ad adorarmi decida di nonperdonarmi, di non vedermi mai più? Pur continuando… si può tenere, poniamo, nella propriasfera affettiva una persona… […] tenerla in una posizione di importanza, adorarla, peròquesta persona ha fatto delle cose che reputa tremende e decidere quindi di non perdonarla edi non vederla mai più?(Il terapeuta sottolinea come anche in questa relazione C. si metta in posizionepassiva.) Terapeuta: Sembra che lei abbia deciso che debba sempre essere di serie B nella vita…com’è questa roba? Com’è che ha deciso che nei rapporti può essere solo di serie B… cheabbia deciso che debba sempre adattarsi?(C. dice di non poter fare altrimenti, anche se non può spiegare il perché.)C: In certi casi non ho giustificazioni, in certe cose che ho fatto con questa persona…(Il terapeuta prova a sostenere la tesi opposta a quella di C., dicendo che una personapuò continuare a voler bene ad un’altra nonostante non voglia vederla più perchéquesta ha commesso delle scorrettezze nei suoi confronti.)C: E non è un controsenso?Terapeuta: No, non è un controsenso… […] secondo lei nella vita c’è solo chi ama del tutto echi odia del tutto?C: No…Terapeuta: È possibile che delle cose stiano insieme…C: Ma se per questa persona potessi essere importantissima… a me sembrava un po’ uncontrosenso che questa persona continuasse ad adorarmi però mi lasciasse senza vedermipiù… mi sembrava un po’ un controsenso… perché visto che sono importante per questapersona, dovermi abbandonare perché ho fatto delle cose che non dovevo fare sì, però questolo capirei se questa persona mi odiasse, allora lo capirei, però visto che questa personasempre mi adora allora non capisco perché non perdonarmi e non avere un rapporto conquesta persona.

Qui C. sembra riuscire ad utilizzare bene la capacità di «mentalizzare» mettendo inrelazione i sentimenti con le azioni conseguenti, e opponendosi all’idea del terapeutadiversa dalla propria.

[…]C: Però a me sembra tanto… forse di questa contraddizione non riesco a capacitarmi… cioè ame sembra una contraddizione, perché se, poniamo, occupo un certo posto, questo posto restacome… come potrei dire… un posto fasullo, perché questa persona mi tiene in un certo posto,ma le altre persone le vede, ha un rapporto con le altre persone, le frequenta, mentre invececon me è solo… magari mi ama più di moltissime altre persone che vede, che frequenta, manon mi vuole più vedere… e questo mi sembra una cosa…un posto fasullo il mio… questoposto, in questa scala… mi sembra che questa persona abbia un posto fasullo… un posto cheriguarda me…[…]

1

Page 18: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

Terapeuta: Mi sembra che da parte sua lei abbia deciso, nonostante senta di occupare unposto fasullo, che resta lì, di aspettare di capire se questa persona supera questecontraddizioni. […]C: Forse ho sempre la speranza che questa persona riesca a perdonarmi…[…]Terapeuta: È come se lei avesse messo tutti gli altri su un gradino più sopra di se stessa…C: Beh, i miei genitori no…Terapeuta: Beh, anche i suoi genitori… […](A questo punto il terapeuta propone a C. un’idea, cioè che lei preferisca essere malatapiuttosto che essere considerata cattiva.) C: Sì, in questo periodo da quando è successa quella cosa tremenda la mia considerazione dime stessa è calata… prima non ero in questo modo… prima non ero in questo modo… èadesso che è diventata… in questo modo…(Al termine del colloquio C. rivela che il danno, provocato dalla mamma, è legato allapersona di cui ha parlato durante questo incontro.)

Dalle osservazioni riportate relativamente a questa seduta con C. sembra emergerel’ipotesi che nello psicotico la funzione riflessiva non sia del tutto assente, mapiuttosto che in alcuni momenti non venga utilizzata. È interessante notare, infatti,come la paziente «scelga» di adoperare o meno la sua capacità di mentalizzare in basealle proprie esigenze: la adopera quando vede la contraddizione tra il sentimento di«adorazione» di questa persona verso di lei, e la sua scelta di non vederla più; non laadopera quando rifiuta di accettare l’idea del terapeuta secondo cui i pensieri negativiche lei prova sono la conseguenza di sentimenti negativi generati dal comportamentodi questa persona; al contrario, C. continua a sostenere che non dipendono da lei, masono imposti dalla sua mente. A supporto di questa idea, Pittman sostiene che gliindividui con un comportamento psicotico spesso partecipano alla conversazione inmodo razionale, se inseriti in un dialogo in cui sentono di dover intervenire dapersone sane. A questo proposito, egli fa l’esempio di una signora che «smise il suocomportamento pazzo» appena lui iniziò ad attaccare il figlio, e lei si sentì in doveredi difenderlo. Secondo questo autore, se il terapeuta invece si fosse concentrato sulladonna, allora questa avrebbe proseguito a fare «la psicotica». Analogamente, egliriferisce di un paziente che, quando arrivò in ospedale, cominciò ad agire da «pazzo»,e, di fronte alla richiesta dello psichiatra sul motivo di quel comportamento, eglirispose: «Non è questo che ci si aspetta da me?» (Pittman, F. et al., 1967, p. 343).

Conclusioni

Il materiale clinico proposto non può essere considerato significativo dal punto divista sperimentale, e pertanto non è opportuno trarre delle conclusioni basandosi solosu di esso; tuttavia può risultare utile come punto di partenza per considerarequantomeno plausibile l’ipotesi proposta in precedenza. Tenteremo quindi di avanzare alcune considerazioni a conclusione del presentelavoro. Partendo dalla definizione di mentalizzazione proposta da Fonagy e Target, possiamoipotizzare che i sintomi psicotici siano il risultato di una situazione in cui la personanon utilizza tale funzione. Ciò potrebbe essere legato principalmente al contestofamiliare in cui il soggetto è cresciuto, caratterizzato dal mancato utilizzo da parte dei

1

Page 19: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

genitori della funzione riflessiva e dalla conseguente creazione di una condizione didoppio legame . Il bambino sarebbe pertanto esposto a continue incoerenze econfusioni tra i livelli di comunicazione, non riuscirebbe a vedere se stesso se noncome proiezione del genitore e non potrebbe imparare a percepirsi come separatomentalmente dall’altro, con dei contenuti mentali propri, tantomeno connessi alleazioni. Nel confronto con la realtà esterna il soggetto tuttavia si troverà in conflitto difronte ad un mondo relazionale e comunicativo governato da regole diverse da quelleesistenti in famiglia. Per superare il conflitto accetterà passivamente queste normefamiliari, negando la contraddizione con le altre. La conclusione di tali riflessioni èpertanto che lo psicotico sarebbe in grado di utilizzare la funzione riflessiva se inseritoin un contesto in grado di riattivarla ed esercitarla. Un simile compito può esseresvolto dalla terapia. Infatti, un contesto terapeutico che utilizzi la «premessariflessiva» come regola nel rapporto con il cliente potrebbe aiutare questi individui arecuperare tale funzione e iniziare a farne un uso abituale nella relazione con la realtà.Un contesto di comunicazione «sana», quindi, guidato dall’idea che ognicomportamento è connesso ai contenuti mentali sottostanti, differenti nei diversiindividui, potrebbe facilitare nello psicotico l’apprendimento di una nuova norma perla «lettura» del mondo esterno e delle relazioni. Lo psicotico probabilmente siaspetterà di trovare la stessa modalità di comunicazione disturbata che caratterizza lapropria famiglia anche negli altri contesti, tuttavia la creazione di una relazionesignificativa, continua nel tempo, caratterizzata da un tipo di comunicazione diversa,più «sana», potrebbe modificare il suo modo abituale di comunicare e di relazionarsi.Il contesto terapeutico funzionerebbe pertanto da «palestra» in cui l’individuosperimenterebbe questa nuova modalità di rapportarsi alla realtà, e inizierebbe a farneun uso più frequente. Il terapeuta in questo senso dovrebbe lavorare su quegli aspettiche, come abbiamo sottolineato precedentemente, sono necessari per uno sviluppoadeguato della mentalizzazione nel bambino:

rimarcare la propria visione di se stesso e dell’altro come esseri pensanti, condei contenuti mentali soggettivi, diversi da quelli degli altri, che nedeterminano il comportamento;

sintonizzarsi affettivamente con il cliente, comunicandogli che comprende ciòche sente, pur non riflettendo in modo identico i suoi sentimenti, mapresentandogli un altro punto di vista da cui poterli affrontare e quindifornendogli degli strumenti per la loro gestione.

In questo senso il contesto terapeutico avrebbe la funzione di «attivare» la capacitàriflessiva dell’individuo. A questo scopo riteniamo che la terapia sistemica, con la«premessa riflessiva», e l’utilizzo di tecniche che la trasmettano, stimolando nelcliente «l’attivazione» di modelli riflessivi di relazione con se stesso e con il mondoesterno, possa essere un approccio terapeutico particolarmente utile anche nei casi diintervento individuale con soggetti psicotici. In questo tipo di situazioni, il terapeutasistemico potrà avvalersi delle domande come strumento principale per effettuare unavalutazione sull’utilizzo che il paziente fa della mentalizzazione e per ri-attivarla esvilupparla. Infatti, sia le domande riflessive di Tomm, sia quelle elencate inprecedenza richiedono alla persona di allontanarsi dall’aspetto pratico della realtà perlavorare nell’ambito delle idee, dei significati e delle ipotesi, cioè dei contenutimentali. In questo senso la domanda costituisce un intervento indipendentementedalla risposta, in quanto strumento attraverso cui il terapeuta esprime le sue premessee le sue regole comunicative e relazionali. Grazie ad essa, queste ultime non vengono

1

Page 20: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

«insegnate» al paziente, come in un rapporto docente-alunno, ma vengono proposte alsoggetto in modo indiretto, attraverso le riflessioni e le idee che le domande stessestimolano e attivano in lui. Il valore della domanda secondo noi sta proprio nelpermettere allo psicotico di compiere da solo dei piccoli passi verso un nuovo mododi vivere la realtà e il rapporto con gli altri, rispettando i suoi tempi, il suo bisogno dinon «rompere» improvvisamente con tutte quelle che sono sempre state le sueconvinzioni e il suo modo di vedere il mondo, e la sua paura delle conseguenze chepotrebbe avere un cambiamento. In questo senso la domanda è propositiva, nonimpositiva rispetto all’idea altrui, e dà all’altro la possibilità di scegliere se e quandosente di poter accettare qualcosa di nuovo e di diverso. Quest’ultimo aspetto ci sembraparticolarmente importante nella terapia con questi pazienti che, sperimentando ilmondo esterno come imprevedibile, lo vivono come luogo terrificante. Diventa quindifondamentale che il lavoro terapeutico tenga conto di questi aspetti e che il terapeutatrasmetta la sua intenzione di volersi prendere cura dell’altro attraverso unatteggiamento che esprima attenzione per le sue necessità e delicatezzanell’introduzione di diversità. La nostra idea è quindi che un paziente psicotico costruendo una relazione con unaltro individuo, cioè il terapeuta, che lo aiuti ad avvicinarsi ad un nuovo modo diinterpretare il proprio mondo relazionale e le interazioni con le altre persone, possafinalmente vedere davanti a sé una possibilità di scelta e possa decidere di guardare larealtà con occhi diversi, di dare un significato diverso a ciò che accade e un perchésoddisfacente a ciò che egli stesso pensa o sente.

2

Page 21: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

BIBLIOGRAFIA

Baldoni, F. (2008) Alle origini del trauma: confusione delle lingue e fallimento dellafunzione riflessiva . In Crocetti, G., Zarri, A. (a cura di): Gli dei della notte sullesorgenti della vita, il trauma precoce dalla coppia madre al bambino . Pendragon,Bologna, 2008.

Bateman, A., Fonagy, P., (2004) Psychotherapy for borderline personality disorder.Mentalization-based treatment . Oxford University Press (trad. it. Il trattamentobasato sulla mentalizzazione. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006).

Bateson, G. (1972) Steps to an Ecology of Mind. Chandler Publishing Company (trad.it. Verso un’ecologia della mente. Adelphi, Milano, 1976).

Borgna, E. (1999) L’esperienza allucinatoria nella schizofrenia . In Rossi Monti, M.,Stanghellini, G. (a cura di), Psicopatologia della schizofrenia , Raffaello Cortina,Milano, 1999.

Boscolo, L., Cecchin, G., Hoffman, L., Penn, P. (1987) Milan Systemic FamilyTherapy. Conversation in Theory and Practice . Basic Book (trad. it. ClinicaSistemica. Bollati Boringhieri, Torino, 2004).

Fonagy, P. (1991) Pensare sul pensiero: osservazioni cliniche e teoriche sultrattamento di un paziente borderline. In Fonagy, P., Target, M., Attaccamento efunzione riflessiva. Raffaello Cortina, Milano, 2001.

Fonagy, P., Target, M. (1996) Giocare con la realtà. I. Teoria della mente e svilupponormale della realtà psichica. In Fonagy P., Target M. Attaccamento e funzioneriflessiva. Raffaello Cortina, Milano, 2001.

Fonagy, P., Target, M. (1996) Giocare con la realtà. II. Lo sviluppo della realtàpsichica da un punto di vista teorico. In Fonagy, P., Target, M. Attaccamento efunzione riflessiva. Raffaello Cortina, Milano, 2001.

Fonagy, P., Target, M. (1997) Attaccamento e funzione riflessiva: il loro ruolonell’organizzazione del Sé . In Fonagy, P., Target, M. Attaccamento e funzioneriflessiva. Raffaello Cortina, Milano, 2001.

Fonagy, P., Steele, M., Steele, H., Leigh, T., Kennedy, R., Mattoon, G., Target, M.(1995) Attaccamento, Sé riflessivo e disturbi borderline . In Fonagy, P., Target, M.Attaccamento e funzione riflessiva. Raffaello Cortina, Milano, 2001.

Gonzo, M., Tirelli, M., Mosconi, A. (1999) Dalla raccolta dei dati all’intervistasistemica. In Gonzo, M., Tirelli, M., Mosconi, A. (a cura di) L’intervista nei servizisocio-sanitari. Raffaello Cortina, Milano, 1999.

Marcelli, D. (2003) L’enfant, chef de la famille . Albin Michel S.A. (trad. it. Ilbambino sovrano. Raffaello Cortina, Milano, 2004).

Peruzzi, P. (1990) La conversazione sistemica: l’evoluzione della circolarità nella

2

Page 22: Psicosi, funzione riflessiva e domande triadiche e riflessive · Psicosi, funzione riflessiva ... Beavin e Jackson nella Pragmatica della comunicazione umana, la conferma del s

tecnica di seduta della scuola di Milano . Il Bollettino (Centro Milanese di Terapiadella Famiglia), n. 20, pp. 33-37.

Pittman, F., Flomenhaft, K., De Young, C. (1967) La pulizia della casa. In Haley, J.,Hoffman, L. Techniques of family therapy . Basic Books, Inc., New York (trad. it.Tecniche di terapia della famiglia. Astrolabio, Roma, 1974).

Premack, D., Woodruff, G. (1978) Does the chimpanzee have a theory of mind?Behavioral and Brain Sciences, n. 4, pp. 515-528.

Sluzki, C., Veron, E. (1971) Il doppio legame come situazione patogena universale .Family Process, n. 10, pp. 397-410.

Tomm, K. (1991) Parte II. Le domande riflessive come mezzi per condurreall’autoguarigione. Il Bollettino (Centro Milanese di Terapia della Famiglia), n. 23,pp. 3-19.

Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D. (1967) Pragmatics of HumanCommunication, W.W. Norton & Co., Inc., New York (trad. it. Pragmatica dellacomunicazione umana. Astrolabio, Roma, 1971).

Wellman, H. M. (1991) Dai desideri alle credenze: l’acquisizione di una teoria dellamente. In Camaioni, L. (a cura di) La teoria della mente. Bari, Laterza, 2006.

2