ps-la sindrome di stoccolma
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LA SINDROME DI STOCCOLMA NEI
SEQUESTRI DI PERSONA
Dott. Marco MONZANI, giurista criminologo
--A.I.P.I. Associazione Italiana di Psicologia Investigativa
- A.P.S.I. Accademia di Psicopatologia e criminologia
della Svizzera Italiana
- Respons. Servizio di “criminologia e vittimologia” di L&BA
Law and Behavior Analisys Research Institute
dott. Marco Monzani 2
RELAZIONE AUTORE-VITTIMA
TERZA CREATURA (ASSIEME AD AUTORE E VITTIMA) PRESENTE SUL LUOGO E AL MOMENTO DEL DELITTO.
VITTIMOLOGIA: branca della criminologia che ha per oggetto di studio la VITTIMA del reato e la sua RELAZIONE con l’autore.
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CRIMINOLOGIA / VITTIMOLOGIA
CRIMINOLOGIA: studia l’autore e la relazione autore/vittima.
VITTIMOLOGIA: studia la vittima e la relazione vittima/autore.
Vittim. Crimin.in
senso stretto
Crimin. in senso lato
Relaz.
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LA SINDROME DI STOCCOLMA
CHE COS’E’ ?E’ un “fenomeno” che si verifica, a volte,
quando un soggetto viene privato della sua libertà personale, contro la sua volontà, ad opera di un altro soggetto che lo tiene segregato.
Oltre al sequestro di persona, quali altre condizioni, in cui si potrebbe verificare ciò, vi vengono in mente?
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RELAZIONE AUTORE-VITTIMAAUTORE : SEQUESTRATORE
= VITTIMA : SEQUESTRATO
AUTORE : CARCERIERE=
VITTIMA : CARCERATO
SEQUESTRATORE : CARCERIERE=
SEQUESTRATO : CARCERATO
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SINDROMI REATTIVE ALLA CARCERAZIONE
La permanenza, in particolare contro la propria volontà, in istituzioni chiuse (carceri, ospedali psichiatrici, campi di prigionia) può dare luogo a reazioni psicologiche e psicopatologiche assai varie come tipologia e gravità.
Solitamente per “sindromi reattive alla carcerazione” si intendono quelle manifestazioni psicopatologiche reattive che hanno luogo in carcere, cioè “a causa” di istituzioni totali statali.
Ma la Sindrome di Stoccolma potrebbe rientrare nelle “sindromi reattive alla carcerazione”?
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SINDROME PERSECUTORIAE’ caratterizzata da sospettosità,
atteggiamento guardingo, aspettative di danno, tendenza a sentirsi svalorizzato, ostacolato, insultato, minacciato, da parte di altri detenuti o del personale di custodia. Tendenze di tipo paranoideo.
Nelle forme più gravi può giungere ad un “delirio sistematizzato di persecuzione”, provocando sentimenti rivendicativi, aggressivi e violenti nel corso dell’episodio psicotico.
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SINDROME DI INNOCENZALa negazione cosciente della propria responsabilità
potrebbe dipendere da un’effettiva estraneità ai fatti, o far parte di una particolare strategia difensiva.
Dopo una prima “confessione piena” il detenuto può offrire una successiva confessione parziale ove le sue colpe sono ridotte; la pena viene percepita come troppo grave in rapporto al reato commesso. Intervengono meccanismi di difesa inconsci: minimizzazione, razionalizzazione, proiezione.
A volte l’autore si sente giustificato, quando non obbligato, ad eseguire il delitto. Ciò consente all’autore di mantenere una buona stima di sé.
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SINDROME DELL’AMNISTIA O DELLA GRAZIA
Consiste in un’intensa, vivace e continua speranza di ottenere una riduzione del periodo di detenzione. E’ un salto di desiderio nel futuro. Convinzione non adeguata alla situazione reale, speranze inadeguate e acritiche. Può provocare episodi depressivi autolesionistici.
Nei casi più gravi può avere luogo un delirio sistematizzato di amnistia o di grazia.
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LA MALATTIA DELLA MONTAGNA MAGICA
Dal racconto di Thomas Mann.Consiste in conversazioni interminabili su tutti
i possibili argomenti ed in particolare sull’idea della morte, estraniandosi sempre più dalla realtà.
Nei casi più gravi l’aspetto fantasioso può portare a staccarsi sempre di più dalla realtà e a proiettarsi in un mondo completamente avulso dal reale, sino a giungere a vissuti di scompenso psicotico.
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PERSISTENZA MENTALE MORBOSA
Nel corso della permanenza all’interno dell’istituzione totalizzante, pur dopo un obiettivo miglioramento della sintomatologia, possono manifestarsi sintomi della fase acuta. Si tratta di soggetti “entrati nel ruolo” della malattia mentale.
Si hanno comportamenti presenti già al di fuori della situazione carceraria e portati all’interno del carcere.
A volte l’ingresso in carcere porta il soggetto ad assumere ruoli specifici: “il duro”, “il bravo ragazzo”… che tendono a fissarsi con modalità patologica.
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SINDROME DA PRISONIZZAZIONE
Consiste in un accrescimento del sentimento di inadeguatezza sociale.
Comporta una riduzione drastica e una distruzione dei legami affettivi con la famiglia, gli amici, i colleghi.
Lo spazio, il tempo e la dimensione sociale della vita in carcere risultano assai alterati rispetto alla vita fuori dal carcere.
Riduzione del sentimento di appartenenza alla società.
Processi di deterioramento emotivo.
Solitamente ha carattere temporaneo e reversibile una volta terminato il periodo di detenzione.
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L’IRRADICAMENTORiguarda solitamente soggetti di età superiore
ai 50 anni, con carattere passivo, non coniugati, senza lavoro, con livello socio-economico medio-basso, i quali tendono a rimanere il più possibile all’interno dell’istituzione totale.
L’istituzione totale viene percepita come luogo accogliente e sicuro e preferita all’ambiente esterno, foriero di ansie, difficoltà sociali ed economiche.
In procinto dell’avvicinarsi della dimissione si verificano ricadute per evitare la dimissione stessa.
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LA VERTIGINE DELL’USCITA
Alcune settimane prima dell’uscita dall’istituzione i soggetti sono preda di uno stato d’ansia o di agitazione psichica e motoria; diventano insonni e aumenta la loro aggressività. I loro pensieri sono concentrati sulle difficoltà del mondo esterno e sul timore di non essere in grado assumere una valida autonomia.
Nei casi più gravi i soggetti potrebbero compiere azioni dissociali all’interno del carcere allo scopo di non uscire.
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SINDROME DA ISOLAMENTO E PRIVAZIONE SENSORIALE
Consiste nella messa in atto di una serie di tentativi idonei a far trascorrere il tempo senza annoiarsi: cantare, scrivere, ecc.
Successivamente può intervenire irrequietezza, irritabilità, ostilità ed instabilità nel comportamento.
A volte può portare ad attività allucinatoria con spunti deliranti, sensazione di depersonalizzazione ed intensi disturbi somatici.
In alcuni casi i soggetti arrivano a non percepire più il loro corpo (es. durante le perquisizioni personali).
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STATI DI REGRESSIONE
Il detenuto tende a perdere la propria autonomia, si lascia guidare, limita le abitudini, si dimostra ansioso di fronte a qualsiasi novità, si chiude in se stesso.
In alcuni casi si possono verificare forme patologiche di regressione più grave fino a processi di infantilizzazione.
Tali soggetti subiscono una profonda disgregazione della propria identità.
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LA SINDROME DEL GUERRIERO
Vengono definiti “coloro che non hanno nulla da perdere”.Soggetti tra i 30 e i 50 anni, con lunghe pene. E’
sufficiente una minima provocazione per farli reagire in modo inadeguato ed eccessivo con aggressività e violenza messe in atto con la volontà di ferire o procurare la morte.
Hanno sostituito la speranza di uscire con un’affermazione narcisistica di sé attraverso il controllo violento sugli altri.
Riguarda una cerchia minoritaria di detenuti e non va confusa con l’immagine del duro che non presenta tratti così pronunciati.
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LA SINDROME DA INAZIONE
Disperato sentimento di vuoto interiore.In carcere la maggior parte del tempo
trascorre nella noia, senza attività creative.Progressivo impoverimento della vita
emozionale, dell’energia e dell’iniziativa, della capacità a concentrarsi.
E’ assai diffusa in tutto il mondo carcerario e rappresenta un grave intoppo a quel processo di trattamento mirante al recupero della creatività personale socializzata.
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LA SINDROME DA CONGELAMENTO
La dimensione adottata dal soggetto è quella di rimanere immobile, inerte, prediligendo il “non fare”.
E’ spesso presente al momento del primo impatto col carcere, momento nel quale il soggetto è spaventato e reso ansioso dagli stessi detenuti che ritiene persone violente e pericolose.
Comporta una sorta di blocco delle idee, e nei casi più gravi, fenomeni di onirismo.
Confusione mentale senza agitazione motoria.
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LA SINDROME MOTORIANei casi più manifesti consiste in episodi di
aggressività, talvolta apparentemente immotivati od inadeguati allo stimolo, con comportamenti aggressivi violenti su persone o cose.
Tali manifestazioni motorie a volte ricordano attacchi epilettici o crisi isteriche.
Si manifesta in occasione dell’impatto col carcere, dell’arrivo di una notizia ansiogena, di una presunta ingiustizia.
A volte si verificano episodi di autolesionismo.
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SINDROME DA INTERVALLO
Brevi periodi di detenzione possono essere vissuti come una sorta di intervallo, fonte di sollievo sia a livello fisico che psichico, da una vita e da un ambiente esterno divenuti difficili, frustranti, ansiogeni.
Riguarda solitamente soggetti condannati per reati minori, dediti all’alcool, anziani, senza famiglia, senza fissa dimora i quali riescono a farsi mettere “al caldo” per alcuni mesi, soprattutto nel periodo invernale.
Riguarda anche i delinquenti per senso di colpa che arrivano ad espiare la pena tanto agoniata.
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BIBLIOGRAFIA CARLO SERRA: “Psicologia penitenziaria”, Milano,
Giuffrè editore.
CARLO SERRA: “Il posto dove parlano gli occhi”, Milano, Giuffrè editore.
RENATO CURCIO: “La soglia”,
FERRACUTI F. (a cura di): “Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense” vol. VI, Milano, Giuffrè editore.
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LA SINDROME DI
STOCCOLMA
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LA RELAZIONE AUTORE-VITTIMA
Soltanto attraverso lo studio della RELAZIONE autore-vittima è possibile comprendere non solo il perché si è consumato un reato, ma anche e soprattutto perché un reato si è verificato proprio tra quei due soggetti e non tra altri, perché si è verificato proprio quel tipo di reato e non un altro, perchè il reato si è verificato proprio in quel momento e non in un altro, perché si è verificato proprio con quelle particolari modalità e non con altre…..
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LA RELAZIONE AUTORE-VITTIMADa quando la criminologia ha iniziato ad
occuparsi della RELAZIONE autore-vittima lo ha fatto studiando detta relazione prima del reato in modo da comprendere perché quel determinato reato ha coinvolto proprio quelle due persone e con quelle particolari modalità e non con altre.
Successivamente la criminologia ha iniziato a studiare detta relazione dopo il reato, ad esempio nei programmi di mediazione penale.
Mai, prima d’ora, la criminologia aveva studiato detta relazione durante il reato.
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LA “VITTIMALISTICA” ?Branca della criminalistica applicata alla vittima
del reato.
Criminalistica tradizionale applicata alla vittima non sopravvissuta al reato
+Psicologia della testimonianza vittima
sopravvissuta sul FATTO e sulla RELAZIONE
Criminologia : Criminalistica =
Vittimologia : vittimalistica
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LA VITTIMALISTICA
Approccio della criminalistica applicato alla vittima del reato; si propone un ampliamento dell’oggetto di studio della criminalistica tradizionale (attraverso un ampliamento del concetto di “traccia del reato”) ricomprendendo in esso non solo la vittima non sopravvissuta al reato ma anche e soprattutto la vittima sopravvissuta attraverso l’esame della sua testimonianza, utile per un’esatta RICOSTRUZIONE DEI FATTI oggetto di reato.
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LA VITTIMALISTICA
Modello operativo di indagine della psicologia investigativa la quale ha, tra le sue finalita’, oltre alla ricostruzione dei fatti oggetto di reato (attraverso la raccolta di tracce mnestiche dei fatti stessi nei testimoni e nella vittima-testimone) anche la comprensione delle motivazioni e delle DINAMICHE RELAZIONALI tra autore e vittima che hanno fatto sì che i due soggetti (o almeno uno di loro) abbiano deciso di risolvere un conflitto attraverso la commissione di un reato.
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I FATTI
QUANDO? = giovedì 22 agosto 1973, ore 10,15
DOVE? = Stoccolma, Sveriges Kreditbank
DURATA DELL’EVENTO = 131 ore
OSTAGGI = 4 impiegati tra i 21 e i 31 anni
SEQUESTRATORE = evaso di 32 anni con complice
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I FATTI- Le vittime temevano la polizia più di quanto non
temessero i rapinatori
- “I ladri ci stanno proteggendo dalla polizia”
- Dopo il rilascio, alcuni degli ostaggi si chiesero: “Perché non odiavamo i sequestratori?”
- Per molte settimane dopo il rilascio: incubi di una possibile fuga dai sequestratori, pur non provando alcun odio per essi.
- Sensazione che i criminali avessero ridato loro la vita, e quindi si sentivano emotivamente in debito verso i loro sequestratori per questa loro generosità.
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IL FENOMENO
La Sindrome di Stoccolma sembra essere una risposta emotiva automatica, spesso inconscia, al trauma del divenire un ostaggio. Tale risposta non è una scelta razionale della vittima.
Essa comprende un alto grado di stress.
TALE FENOMENO COINVOLGE SIA GLI OSTAGGI CHE IL SEQUESTRATORE, i quali sviluppano la filosofia del “siamo noi contro di loro” (intendendo quel “loro” come le forze di polizia).
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LE FASI1) Sentimenti positivi degli ostaggi verso
i loro sequestratori
2) Sentimenti negativi degli ostaggi nei confronti della polizia
3) Reciprocità dei sentimenti positivi da parte dei sequestratori
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LE TEORIEANNA FREUD: teorie dei MECCANISMI DI
DIFESA: servono a proteggere il sé dal danno e dalla disorganizzazione. L’ostaggio vuole sopravvivere e l’Io sano cerca un mezzo per permettere la sopravvivenza.
IDENTIFICAZIONE con l’aggressore per proteggersi dalle figure autoritarie che causano ansia. Serve ad evitare l’ira e le conseguenti punizioni del “nemico”.
INTROIEZIONE: legata all’apprendimento imitativo: si assumono le caratteristiche ammirate di altri modelli. “Se non puoi vincerli, unisciti ad essi”.
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LE TEORIE“Consideriamo la Sindrome di Stoccolma come
una regressione verso un livello di sviluppo più elementare di quello che si nota nel bambino di 5 anni. L’ostaggio è più simile al neonato, in uno stato di estrema dipendenza e paura, terrificato dal mondo esterno e dalla prospettiva di essere separato dal “genitore”.
Ogni respiro dell’ostaggio è un dono che riceve dal sequestratore. Egli è ora dipendente come lo era da neonato”.
Le armi che la polizia si appresta ad usare contro il delinquente sono, nella mente dell’ostaggio, rivolte anche verso di lui.
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LE FASI DI REAZIONE DELL’OSTAGGIO
La maggior parte degli ostaggi condivide questa sequenza di eventi emotivi:
1) Diniego (“Deve essere stato un sogno”)2) Illusione di ottenere la liberazione3) Attività frenetica4) Esame di coscienza (“Se avessi un’altra
occasione vorrei essere migliore”).
L’alleanza che si forma tra gli ostaggi e il sequestratore si verifica più tardi.
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IL TEMPOIl trascorrere del tempo può produrre un
legame positivo o negativo, che dipende dalle interazioni degli ostaggi e dei sequestratori. Se costoro non abusano delle loro vittime le ore trascorse insieme produrranno, molto probabilmente, risultati positivi.
“La Sindrome di Stoccolma non è un “fenomeno magico” ma una logica conseguenza di un’interazione umana positiva” (Strentz, 1976).
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IL TEMPOL’atteggiamento della vittima verso i
sequestratori variava da sequestratore a sequestratore e da vittima a vittima, a prescindere dalla durata del periodo trascorso in cattività.
La relazione autore-vittima è una terza creatura, unica e irripetibile, non confrontabile con nessuna altra relazione.
Tutto dipende dal contatto positivo o negativo tra i due soggetti, a prescindere da quando fosse avvenuto il rilascio.
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TESTIMONIANZA “Dopo che tutto era finito e che eravamo salvi ho
realizzato che i sequestratori mi avevano fatto passare l’inferno, e avevano causato ai miei genitori ed alla mia fidanzata un forte trauma.
Eppure io ero vivo.Ed ero vivo perché essi mi avevano lasciato vivere.
Voi conoscete soltanto poche persone, o forse nessuna, che possa tenere la vostra vita nelle sue mani, e ridarvela quando vuole. Quando tutto fu finito, ed eravamo salvi e loro avevano le manette, io andai verso di loro e li baciai ad uno ad uno dicendo: “Grazie di avermi ridato la vita”. So bene che sembra ridicolo, ma è così che mi sentivo”
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TESTIMONIANZA“Essi non avevano niente, le bombe erano finte, ma
erano veramente dei tipi in gamba. Voglio proprio assistere al loro processo”
QUESTA TESTIMONIANZA POTREBBE CONFIGURARE UN CASO DI SINDROME DI STOCCOLMA?
O QUESTO SENTIMENTO DI AFFETTO E’ SEMPLICEMENTE SINTOMO DI UNA GRANDE CONFUSIONE INTERNA?
P.S. la bomba c’era, aveva ucciso una persona e ne aveva ferite altre tre.
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EFFETTO CONTRARIOIn alcuni casi i sequestrati sono riusciti non solo ad
evitare l’identificazione con il sequestratore, ma addirittura sono riusciti ad influenzare i sequestratori stessi, al punto che l’organizzazione terrorista ritenne necessario cambiare le guardie che stavano cadendo sotto la loro influenza.
“…essi si trovarono obbligati a cambiare spesso i guardiani e ad isolarlo, per timore che egli potesse riuscire a convincerli che la sua causa era giusta e la loro una follia (Jackson, 1973).
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AVVERTENZATutte le ricerche svolte fino ad oggi in materia non
hanno identificato un tipo di personalità che sembri più incline alla Sindrome di Stoccolma.
COSA SIGNIFICA CIO’ ?
Ciò significa che questo fenomeno è essenzialmente di tipo relazionale, che dipende dalla relazione instaurata tra sequestrato e sequestratore, e dalle condizioni esterne ed ambientali particolari.
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IL CONTATTO POSITIVOLa principale esperienza condivisa dalle vittime
della Sindrome di Stoccolma è un contatto positivo con il sequestratore.
Il contatto positivo è caratterizzato dalla mancanza di esperienze negative, quali le percosse, la violenza carnale o l’abuso fisico, piuttosto che da atti positivi reali e specifici da parte dei sequestratori.
Queste vittime percepiscono inoltre la qualità umana dei loro rapitori e si identificano con essi.
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IL DILEMMA COMUNEQuando un rapinatore, durante una rapina in banca, viene
circondato dalla polizia, vorrebbe riuscire ad andarsene col denaro e la vita salva.
Anche l’ostaggio è all’interno, e il suo dilemma è uguale a quello del rapinatore: uscire dalla situazione e non riuscire a farlo.
Egli vede l’arrogante criminale diventare lentamente “una persona”, con un problema del tutto uguale al suo.
La polizia considera la libertà degli ostaggi come una responsabilità del rapinatore. Tuttavia gli ostaggi percepiscono le armi della polizia come puntate verso di loro.
L’insistenza della polizia per la resa del criminale è ciò che li mantiene nello stato di ostaggi.
“Se la polizia se ne andasse io potrei andare a casa”.
Così inizia il legame tra vittima e sequestratore.
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LE REAZIONI DEL SEQUESTRATORE
Col passare del tempo si verificano cambiamenti notevoli nella qualità delle interazioni reciproche tra sequestratori e sequestrati.
Nella maggior parte dei casi la Sindrome di Stoccolma funziona nei due sensi, dal sequestrato verso il sequestratore e viceversa.
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INTERAZIONE SEQUESTRATORE-SEQUESTRATO
E’ fondamentale non confondere gli effetti della Sindrome di Stoccolma con le normali reazioni positive delle vittime che sono state trattate “in modo gentile”.
Se un individuo è gentile con un altro si sviluppa un normale sentimento positivo, anche se questi è un rapinatore, un terrorista o quant’altro.
Un comportamento inequivocabile è quello del sequestrato che si offre come scudo umano al suo sequestratore contro l’irruzione della polizia ?
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INTERAZIONE SEQUESTRATORE-SEQUESTRATO
Nella vittima la necessità di sopravvivere è più forte del suo impulso ad odiare la persona che gli ha creato il trauma.
Ad un livello inconscio l’Io ha messo in moto i propri meccanismi difensivi nella corretta sequenza di diniego, regressione, identificazione o introiezione, al fine di sopravvivere.
“La Sindrome di Stoccolma è in fondo un altro esempio dell’abilità dell’Io sano a lottare e ad adattarsi di fronte alla tensione prodotta da un trauma”.
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CONSEGUENZE POSITIVEIMMEDIATE:
1) salva la vita del sequestratore (attraverso l’”intercessione” del sequestrato).
2) Salva la vita del sequestrato (grazie al rapporto instaurato con il sequestratore).
SUCCESSIVE:
1) Provoca minori conseguenze psicologiche per la vittima, dovute alla vittimizzazione.
2) Facilità ad intraprendere un percorso di mediazione penale tra i due.
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CONSEGUENZE NEGATIVE1) Possibili “storture” nella testimonianza della vittima
nel processo, al fine di rendere la situazione giudiziaria dell’autore meno compromettente, consentendo, ad esempio, l’applicazione delle attenuanti generiche.
2) Ostilità nei confronti delle forze dell’ordine anche dopo finito l’assedio.
TUTTAVIA UNA VITA UMANA è UN BENE INSOSTITUIBILE E VALE LA PENA DI RISCHIARE ANCHE L’OSTILITA’.
UN TESTIMONE NON COLABORANTE E’ UN PREZZO NON TROPPO ALTO DA PAGARE PER QUALCHE VITA SALVATA.
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CONCLUSIONELe vittime del caso originario di
Stoccolma continuarono a visitare i loro sequestratori in carcere, ed una delle impiegate della banca si è fidanzata con uno di essi.
In altri casi le vittime hanno stanziato fondi per la difesa legale dei loro sequestratori.
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ESISTE LA SINDROME DI STOCCOLMA
“PER PROCURA” ?
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