prevenzione cardiovascolare nel paziente diabetico o con sindrome metabolica: ruolo e rilevanza...

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3 rd Expert Meeting of EUROPEAN SOCIETY FOR CARDIOVASCULAR PREVENTION Chairmen Gaetano Crepaldi, Antonio Tiengo Speaker Roberto Volpe Discussants Domenico Cucinotta, Dario Giugliano, Enzo Manzato, Augusto Zaninelli Prevenzione Cardiovascolare nel Paziente Diabetico o con Sindrome Metabolica: Ruolo e Rilevanza Clinica della Riduzione del Rischio Residuo con farmaci ipolipemizzanti Sessione I Napoli, 3 Aprile 2008

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3rd Expert Meeting of

EUROPEAN SOCIETY FOR CARDIOVASCULAR PREVENTION

ChairmenGaetano Crepaldi, Antonio Tiengo

SpeakerRoberto Volpe

DiscussantsDomenico Cucinotta, Dario Giugliano,

Enzo Manzato, Augusto Zaninelli

Prevenzione Cardiovascolare nel Paziente Diabetico o con Sindrome Metabolica:

Ruolo e Rilevanza Clinica della Riduzione del Rischio Residuo con farmaci ipolipemizzanti

Sessione I

Napoli, 3 Aprile 2008

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Chairmen

Gaetano Crepaldi Università degli Studi di Padova - Sezione Invecchiamento CNR PadovaAntonio Tiengo Università degli Studi di Padova

Speaker

Roberto Volpe Consiglio Nazionale delle Ricerche Roma - Servizio Prevenzione e Protezione

Discussants

Domenico Cucinotta Università degli Studi di MessinaDario Giugliano Seconda Università di NapoliEnzo Manzato Università degli Studi di PadovaAugusto Zaninelli Università degli Studi di Firenze

3rd Expert Meeting of

EUROPEAN SOCIETY FOR CARDIOVASCULAR PREVENTION

Prevenzione Cardiovascolare nel Paziente Diabetico o con Sindrome Metabolica:

Ruolo e Rilevanza Clinica della Riduzione del Rischio Residuo con farmaci ipolipemizzanti

Sessione I

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INDICE

Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5

Rischio cardiovascolare nel Paziente Diabetico o con Sindrome Metabolica . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5

Rischio residuo durante trattamento con statine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 8

Ruolo di colesterolo HDL e trigliceridi sul rischio coronarico:

possibili obiettivi per la riduzione del rischio residuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 10

Azione multifattoriale sui parametri lipidici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 13

I fibrati e la riduzione del Rischio Residuo nella pratica clinica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 15

Rischio macrovascolare e microvascolare: possibili impieghi terapeutici dei fibrati . . . . . . . . . . . pag. 18

Rischio non cardiovascolare e mortalità totale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 19

Fenofibrato: monoterapia e terapia di associazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 20

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 23

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PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE NEL PAZIENTE DIABETICO O CON SINDROME METABOLICA: RUOLO E RILEVANZA CLINICA DELLA RIDUZIONE DEL RISCHIO RESIDUO CON FARMACI IPOLIPEMIZZANTI

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INTRODUZIONE

La prevenzione cardiovascolare rappresenta perl’intera comunità scientifica un interesse prioritario.Essa è infatti uno degli strumenti essenziali nel ri-durre l’impatto sociale delle malattie cardiovascolari,condizioni cliniche a diffusione crescente che hannoraggiunto livelli allarmanti nei Paesi industrializzati eche attualmente rappresentano un problema econo-mico e sanitario di proporzioni sempre maggiori. Ilpaziente che sopravvive ad attacco cardiaco diviene,infatti, un «malato cronico» e la malattia ne modificala qualità di vita e l’attività lavorativa, comportandonotevoli costi economici per la società.In un’epoca come la nostra, di continua innovazio-ne delle conoscenze scientifiche e conseguentemen-te ricca di nuove applicazioni terapeutiche, è semprepiù utile rivolgere la massima attenzione alla pre-venzione cardiovascolare. La European Society for Cardiovascular Prevention sipropone promotore di un’iniziativa che intende for-nire le basi per una corretta diagnosi, terapia e so-prattutto prevenzione delle patologie cardiovascolarimediante lo studio e l’analisi delle evidenze scienti-fiche ad opera di Esperti del Settore. Il confronto traEsperti (in ambito di prevenzione cardiovascolare) sidimostra estremamente utile per indagare la possibi-lità di prevenzione delle complicanze cardiovascolariin particolari tipi di pazienti, ad esempio quelli af-fetti da Diabete Mellito o con Sindrome Metaboli-ca. In tali tipologie di pazienti, particolare attenzio-ne è rivolta alla possibilità della riduzione del cosid-detto «rischio cardiovascolare residuo».A tale riguardo, nei pazienti affetti da Diabete Mel-lito in particolare si ha, da un lato un aumento pre-coce e significativo dei valori plasmatici di trigliceri-di e di colesterolo LDL e, dall’altro, una riduzionedel colesterolo HDL, che nel complesso determina-no un profilo lipidico cosiddetto «aterogeno» cosìche in questi pazienti vi è un aumento da 3 a 6 voltedel rischio di sviluppo di eventi cardiovascolari, co-me infarto del miocardio, ictus cerebrale, morte im-provvisa per cause cardiovascolari. Pertanto, il pa-ziente diabetico mostra lo stesso profilo di rischiocardiovascolare globale di un paziente che ha giàavuto un evento cardiovascolare maggiore, come adesempio un infarto del miocardio.

Il presente Documento si inserisce in un progettopiù ampio che mediante l’Organizzazione e il Coor-dinamento di alcune équipe di Esperti europei af-fronta di volta in volta temi di attuale interesse sinoad arrivare all’elaborazione di un Documento diConsenso e alla sua diffusione alla Classe Medica,con particolare interesse all’Area Cardiologica, In-ternistica e alla Medicina Generale. La discussione tra Esperti, l’interpretazione delle re-centi evidenze disponibili in Letteratura ed il con-fronto delle Linee Guida Italiane con quelle Euro-pee ed Internazionali permettono di trovare il mini-mo comune denominatore utile a raggiungereobiettivi di cruciale importanza nella pratica clinicaquotidiana per un’efficace prevenzione primaria del-le malattie cardiovascolari e delle complicanze meta-boliche ad esse correlate.

RISCHIO CARDIOVASCOLARE NEL PAZIENTE DIABETICO O CONSINDROME METABOLICA

Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari rap-presentano le patologie predominanti nei Paesi in-dustrializzati e la causa principale di mortalità, mor-bilità e invalidità(1). Le malattie cardiovascolari rap-presentano la prima causa di morte a livello mon-diale (Fig. 1), sebbene ci sia stata una certa riduzione

Messaggi Chiave• Le malattie cardiovascolari costituiscono la prima

causa di morte nei Paesi industrializzati.• L’introduzione nella pratica clinica delle statine ha

rappresentato uno dei più importanti progressiscientifici degli ultimi decenni garantendo una ridu-zione di circa il 30% del rischio di eventi cardiova-scolari.

• Comunque, la maggioranza dei pazienti, nonostanteil trattamento con statine, continua a presentare unelevato rischio di eventi.

• Nella pratica clinica è necessaria particolare cautelanell’uso di elevati dosaggi di statine sia per l’elevataincidenza di reazioni avverse sia per la possibilità diinterazioni involontarie con altri farmaci.

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PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE NEL PAZIENTE DIABETICO O CON SINDROME METABOLICA: RUOLO E RILEVANZA CLINICA DELLA RIDUZIONE DEL RISCHIO RESIDUO CON FARMACI IPOLIPEMIZZANTI

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della loro incidenza in termini assoluti dovuta so-prattutto all’implementazione delle modifiche dellostile di vita (ad esempio sospensione del fumo di si-garetta).Negli ultimi 20 anni, infatti, la mortalità per causecardiovascolari è diminuita in termini assoluti, ma ilrischio di sviluppare tali patologie è ancora estrema-mente elevato (Fig. 2). In Italia, l’analisi dei datiISTAT(2) dimostra come vi sia stata una netta ridu-zione del rischio cardiovascolare ed una minore in-cidenza delle patologie cardiovascolari, correlata, adesempio, ad una riduzione significativa della per-centuale di soggetti fumatori (attualmente, circa il30% degli uomini e il 20% delle donne) o all’effica-cia dei farmaci a disposizione, quali quelli antiiper-tensivi e ipolipemizzanti.A tale riguardo, l’introduzione nella pratica clinicadi farmaci ipocolesterolemizzanti (o «statine») harappresentato uno dei più importanti progressiscientifici degli ultimi decenni nel trattamento deipazienti a rischio di malattie cardiovascolari. Le sta-tine, dopo gli antibiotici, sono infatti i farmaci do-tati del miglior rapporto costo-efficacia nel tratta-mento delle principali patologie a livello mondiale.

In Italia, tali farmaci sono stati introdotti a partiredal 1989 con la simvastatina, seguita nel 1990 dallapravastatina e successivamente dalle altre molecoledella classe. I primi studi clinici di intervento con queste mole-cole, controllati contro placebo (4S, CARE, WO-SCOPS, AFCAPS, LIPID, HPS, ASCOT-LLA)hanno dimostrato su un totale di quasi 80.000 pa-zienti una significativa riduzione del rischio cardio-vascolare (circa il 30%) (Fig. 3).In generale, tuttavia, si è portati a considerare sol-tanto il beneficio dell’effetto di un farmaco (nel casoparticolare la riduzione del 30% del rischio di even-ti cardiovascolari), omettendo di segnalare come visia una maggioranza di pazienti che, nonostante iltrattamento con statine, presenti ancora un impor-tante rischio di eventi cardiovascolari(3). Studi recenti hanno peraltro dimostrato un apparen-te beneficio ottenuto dalla somministrazione di ele-vati dosaggi di farmaci. In particolare, studi condotticon elevati dosaggi di statine(4,5), tra i primi lo studioPROVE IT(6), hanno dimostrato i benefici in termi-ni di prevenzione cardiovascolare. L’interpretazionecorretta dei risultati di questi studi è fondamentale e

Figura 1. Principali cause di mortalità.

500

400

300

200

100

0

Uomini

Donne

Cardiopatiae ictus

Cancro ACV Patologiecronichedelle vie

aeree inferiori

Diabete

Dati del 2002National Center for Health Statistics 2004

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richiede un’analisi che non consideri esclusivamentel’effetto «complessivo» del trattamento in oggetto,mostrato nelle curve di Kaplan-Maier. Tale necessità emerge ulteriormente dallo studioPROVE IT- TIMI 22(6), coordinato da Ricercatoridel Brigham and Women’s Hospital di Boston. Tale stu-dio ha incluso 4.162 pazienti ospedalizzati nei 10giorni successivi ad una sindrome coronarica acuta eha considerato come obiettivo primario la morte per

qualsiasi causa o evento cardiovascolare maggiore neisuccessivi 30 mesi. Lo studio ha confrontato dueschemi terapeutici a base di statine (pravastatina 40mg vs atorvastatina 800 mg), dimostrando una signi-ficativa riduzione della mortalità e dell’incidenza dieventi cardiaci maggiori nei pazienti trattati con lastrategia più intensiva (atorvastatina 80 mg) rispettoa quanto osservato nei pazienti trattati con la strate-gia meno intensiva (pravastatina 40 mg).Nonostante tale beneficio, se si considera il numerodi pazienti in trattamento al secondo anno si notacome solo il 40% fosse ancora in terapia, mentre al-la fine dello studio era in terapia soltanto il 6% deipazienti arruolati. In effetti, i dati sulla sicurezza ditale terapia(6) evidenziano come, nonostante i duefarmaci siano stati generalmente ben tollerati, si sia-no verificati effetti collaterali a livello epatico signi-

ficativamente maggiori nel gruppo di pazienti intrattamento con alte dosi di atorvastatina rispetto aquanto registrato nel gruppo di pazienti in tratta-mento con il dosaggio standard di pravastatina.Come per la maggior parte degli agenti farmacolo-gici, è ovviamente necessaria particolare cautela nel-l’impiego di elevati dosaggi di statine, non solo neipazienti inclusi negli studi clinici (in cui il controlloclinico è molto «rigoroso»), ma anche e soprattutto

PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE NEL PAZIENTE DIABETICO O CON SINDROME METABOLICA: RUOLO E RILEVANZA CLINICA DELLA RIDUZIONE DEL RISCHIO RESIDUO CON FARMACI IPOLIPEMIZZANTI

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Figura 2. L’incidenza della mortalità per patologia CVmaggiore aggiustata per età è diminuita negli ultimi 20 an-ni, ma il rischio permane molto elevato.

600

500

400

300

200

100

0

Dece

ssi/1

00.0

00

Anno

Rischio di 1° evento nel corso della vitaall’età di 40 anni:

Uomini = 48.6%Donne = 31.7%

79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00

1ª statina introdotta

Figura 3. Rischio vascolare in terapia con statine (vs placebo).

Studio N N. eventi % riduzioneControllo Statina rischio

4S, CARE

WOSCOPS 30.817 2.042 1.480 26AFCAPS, LIPID

HPS 20.536 1.212 898 27

ASCOT-LLA 10.305 154 100 36

Totale 77.817 4.185 3.160 30

}

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nella pratica clinica quotidiana, proprio per l’elevataincidenza di possibili reazioni avverse legate all’usodi tali farmaci. Inoltre, i pazienti seguiti nella prati-ca clinica hanno generalmente più condizioni pato-logiche coesistenti rispetto ai pazienti inclusi neglistudi clinici internazionali (dal momento che ven-gono «selezionati» in base a rigidi criteri di inclusio-ne) e potrebbero tollerare ancora meno una terapiaa base di alti dosaggi rispetto a quanto osservato ne-gli studi clinici. Nella pratica clinica, infatti, è piùdifficile controllare in modo altrettanto rigoroso eperiodico i pazienti, ed è necessario considerare an-che la possibilità di interazioni involontarie conl’assunzione di altri farmaci. Pertanto, alla luce ditali considerazioni, l’impiego degli alti dosaggi distatine potrebbe non essere la soluzione ideale. In definitiva, le evidenze disponibili dimostrano co-me una terapia basata sulle statine assicuri una si-gnificativa riduzione del rischio cardiovascolare.Nonostante tale beneficio, permane un rischio resi-duo, sul quale si può e si deve intervenire con mag-giore incisività(7) (Fig. 4).

RISCHIO RESIDUO DURANTETRATTAMENTO CON STATINE

PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE NEL PAZIENTE DIABETICO O CON SINDROME METABOLICA: RUOLO E RILEVANZA CLINICA DELLA RIDUZIONE DEL RISCHIO RESIDUO CON FARMACI IPOLIPEMIZZANTI

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Figura 4. Definizione del rischio residuo di patologia cardiovascolare in pazienti con dislipidemia.

Messaggi Chiave

• In un paziente affetto da iperlipidemia aterogena,Sindrome Metabolica o Diabete Mellito, la copre-senza di altri fattori di rischio cardiovascolare au-menta in modo significativo il rischio di complican-ze cardiovascolari.

• L’iperlipidemia aterogena o «triade lipidica» caratte-rizza il 50-60% dei pazienti con patologia cardiova-scolare e consiste, oltre che nell’aumento del coleste-rolo totale e LDL (in modo particolare delle LDLcosiddette piccole e dense), nell’aumento dei valoridi trigliceridi e nella riduzione dei valori di colestero-lo HDL.

• Nel paziente diabetico, il rischio cardiovascolare è pa-ragonabile a quello di un paziente non diabetico inprevenzione secondaria, per cui si ha un aumento da3 a 6 volte del rischio di sviluppare patologie cardio-vascolari.

Riduzione dellʼincidenza deiprimi eventi coronarici

maggiori con una riduzione di39 mg/dl del colesterolo LDL

RischioResiduo

Dislipidemiaaterogena

SindromeMetabolica

Diabete

Ipertensione

Fumo disigaretta

23%

77%

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Le malattie cardiovascolari hanno un’eziologia mul-tifattoriale. I più importanti fattori di rischio (età,sesso, pressione arteriosa, abitudine al fumo di siga-retta, diabete, colesterolemia) contribuiscono con-temporaneamente allo sviluppo di tali patologie.Sono diversi i fattori per i quali è stata dimostrata lareversibilità del livello di rischio in seguito alla lorocorrezione o eliminazione. Per questo, nel corso de-gli ultimi anni è stato possibile migliorare in modosostanziale la prognosi correlata alla malattia cardio-vascolare.I fattori di rischio cardiovascolare, se presenti in unsoggetto apparentemente sano, aumentano la pro-babilità di insorgenza della malattia. In un pazienteaffetto da iperlipidemia aterogena, Sindrome Meta-bolica, Diabete Mellito o ipertensione arteriosa,l’impatto di tali fattori aumenta in modo significati-vo il rischio di complicanze cardiovascolari. In que-sti casi, la gestione clinica diventa molto più com-plessa e necessita di una valutazione globale del pro-filo di rischio cardiovascolare, in modo più appro-fondito di quanto normalmente si faccia in un sog-getto sano.Le evidenze hanno dimostrato che la prevenzionedel rischio cardiovascolare nei pazienti diabetici èpossibile e come lo sia ancora di più nei pazienti af-fetti da Sindrome Metabolica; pertanto, la preven-zione cardiovascolare deve essere attuata e rappre-senta un obiettivo prioritario per il prossimo futuro. Il numero crescente di studi clinici e ricerche di basecondotti nel corso degli ultimi anni suggerisce chela Sindrome Metabolica è un tema costante, la cuiimportanza sta progressivamente emergendo, assu-mendo un interesse crescente anche a livello inter-nazionale. Affrontare il tema della Sindrome Metabolica signi-fica affrontare la questione dello stile di vita, dellanutrizione, e di conseguenza anche il problema deltrattamento dell’alterazione del profilo lipidico chela caratterizza. La dislipidemia presente nella Sin-drome Metabolica non si caratterizza semplicemen-te per la presenza di ipercolesterolemia (aumentodei valori plasmatici di colesterolo totale e LDL),ma per la presenza della cosiddetta «iperlipidemiaaterogena» («triade lipidica») che consiste, oltre chenell’aumento delle LDL piccole e dense, anche nel-l’aumento dei valori di trigliceridi e nella riduzione

dei valori di colesterolo HDL. Tale dislipidemia èpresente in circa il 50-60% di tutti i pazienti conpatologia cardiovascolare. Il cambiamento dello stiledi vita, volto a un’alimentazione corretta basata suiprincipi della dieta mediterranea e allo svolgimentodi una moderata ma regolare e costante attività fisi-ca di tipo aerobico, rappresenta il primo approccioterapeutico in quanto la riduzione del peso corpo-reo, comunque ottenuta, si accompagna nei pazien-ti in soprappeso, diabetici o non, a un marcato mi-glioramento della sensibilità all’insulina, a un ripri-stino della normale funzione endoteliale e a una ri-duzione dei marker di infiammazione vascolare(8).Nei casi in cui non si riesca a raggiungere un idoneocontrollo dei livelli dei fattori di rischio, va associatoun trattamento farmacologico.Lo studio Hyvet (Hypertension in the Very ElderlyTrial)(9), recentemente pubblicato sul New EnglandJournal of Medicine, dimostra come la riduzione dellapressione arteriosa mediante il trattamento antiiper-tensivo con diuretici ed ACE inibitori in pazientidiabetici di età superiore a 80 anni determini una ri-duzione del 30-40% del rischio di ictus cerebrale edi tutte le complicanze ad esso correlate, nonchédella mortalità totale (principalmente per effettodella minore incidenza di patologie cardiovascolari).I risultati di tale studio apriranno sicuramente nu-merose prospettive in termini di prevenzione car-diovascolare nel paziente anziano con Diabete oSindrome Metabolica, uno scenario finora moltopoco conosciuto, tanto è vero che ad oggi alcuni far-maci non vengono utilizzati nel paziente anziano. Come già accennato, numerose evidenze dimostra-no come il paziente affetto da Diabete Mellito ab-bia un rischio cardiovascolare comparabile a quantoosservato in prevenzione secondaria(10). Nel pazien-te diabetico coesistono, infatti, diversi elementi chenel complesso aumentano il rischio cardiovascolare.In primo luogo, la presenza di fattori di rischio spe-cifici come iperglicemia (a digiuno e postprandia-le), iperinsulinemia, insulino-resistenza. In secondoluogo, la presenza di alcune alterazioni fisiopatolo-giche dovute ai prodotti della glicazione e allo stressossidativo. Infine, la presenza della associazione dimolteplici fattori di rischio, come dislipidemia,ipertensione arteriosa, obesità, stato protrombotico.In tali casi, è necessario quindi essere particolar-

PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE NEL PAZIENTE DIABETICO O CON SINDROME METABOLICA: RUOLO E RILEVANZA CLINICA DELLA RIDUZIONE DEL RISCHIO RESIDUO CON FARMACI IPOLIPEMIZZANTI

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mente «aggressivi» dal punto di vista terapeutico,come peraltro raccomandato dalle Linee GuidaADA, il cui intento è quello di considerare il diabe-tico già come un paziente in prevenzione seconda-ria, e dunque proporsi un obiettivo terapeutico piùambizioso.

RUOLO DI COLESTEROLO HDL ETRIGLICERIDI SUL RISCHIOCORONARICO: POSSIBILI OBIETTIVI PERLA RIDUZIONE DEL RISCHIO RESIDUO

Come precedentemente discusso, la dislipidemia deldiabetico non si caratterizza soltanto per l’aumentodel colesterolo totale e del colesterolo LDL (e delleLDL piccole e dense)(11,12); pertanto è opportuno ri-cordare come in questo tipo di paziente siano fre-quentemente riscontrati bassi livelli di colesteroloHDL ed aumentati livelli di trigliceridi, che determi-nano quindi un profilo lipidico di tipo «aterogeno»(cosiddetta «triade lipidica») (Fig. 5). Questo profilolipidico «aterogeno» contribuisce all’aumento da 3 a6 volte del rischio di comparsa di patologie cardiova-scolari. Infatti, in aggiunta agli elevati valori di colesteroloLDL, anche elevati valori di trigliceridi e bassi valoridi colesterolo HDL rappresentano un importantefattore di rischio cardiovascolare.Le HDL sono lipoproteine piccole e dense costitui-te per il 50% da proteine. Le principali lipoproteine

presenti nelle HDL sono la Apo-AI e la Apo-AII.L’importanza delle HDL appare in relazione non so-lo alla loro funzione di trasporto inverso del coleste-rolo, su cui si è tanto dibattuto in passato, ma anchealla loro azione favorevole su altri aspetti della pato-logia aterosclerotica, come ad esempio l’inibizionedella ossidazione delle LDL o la ridotta espressionedelle molecole di adesione. Le HDL possiedono, in-fatti, proprietà antiaterogene legate a diversi mecca-nismi(13). Pertanto, se le LDL e l’apolipoproteina Bad essa associata mediano l’ingresso del colesterolonelle cellule della parete arteriosa, l’efflusso di cole-sterolo dalle cellule schiumose mediato dalle HDLrappresenta un passaggio chiave nella prevenzione enella regressione dell’aterosclerosi. Le HDL sonocorrelate con il metabolismo di altre lipoproteine:ad esempio, la formazione delle LDL piccole e den-se, che sono particolarmente aterogene, è ridottaquando il colesterolo HDL è elevato.Infine, le HDL riducono nelle cellule endotelialil’induzione delle molecole di adesione che rappre-senta un meccanismo fondamentale nella formazio-ne e progressione delle lesioni aterosclerotiche.Importanti studi epidemiologici prospettici, con-dotti sia in prevenzione primaria sia in prevenzionesecondaria, hanno dimostrato come ridotte concen-trazioni di colesterolo HDL siano associate ad unaumentato rischio di malattia coronarica(14). NelFramingham Heart Study, condotto negli Stati Uniti,circa il 44% degli eventi coronarici ha colpito sog-getti con valori plasmatici di colesterolo HDL <40mg/dl (22% della popolazione generale).Sulla base di queste evidenze, è stato possibile dimo-strare che un aumento del colesterolo HDL (anchesolo di 1 mg/dl) si associa, sia nell’uomo sia nelladonna, ad una riduzione del rischio di eventi coro-narici pari al 2-4% (Fig. 6). Pertanto, le HDL nonsolo sono un fattore importante di rischio cardiova-scolare, bensì rappresentano una possibilità concretadi intervento terapeutico al fine di ridurre il rischiocardiovascolare globale.Lo studio STELLAR (Statin Therapies for Elevated Li-pid Levels compared Across doses to Rosuvastatin)(15) havalutato gli effetti della rosuvastatina 10, 20 e 40mg, dell’atorvastatina 10, 20, 40 e 80 mg, della sim-vastatina 10, 20, 40 e 80 mg e della pravastatina 10,20 e 40 mg sui livelli dei lipidi plasmatici in pazien-

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Messaggi Chiave

• Le HDL sono lipoproteine piccole e dense costitui-te per il 50% da proteine. Le principali lipoprotei-ne sono la Apo-AI e la Apo-AII.

• Le HDL possiedono proprietà antiaterogene legatea diversi meccanismi: trasporto inverso del coleste-rolo, inibizione della ossidazione delle LDL, ridottaespressione delle molecole di adesione.

• Studi epidemiologici prospettici, sia in prevenzioneprimaria che secondaria, hanno dimostrato comeridotte concentrazioni di colesterolo HDL siano as-sociate ad un aumentato rischio di malattia corona-rica.

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Figura 5. Profilo lipidico in soggetti diabetici e non diabetici.

300

250

200

150

100

50

0

NHANES IIIN=2844

Valori di riferimento raccomandati dalle LG ADA nei pazienti diabetici:C-LDL <100 mg/dl; C-HDL >40 mg/dl nell’uomo; >50 mg/dl nella donna; TG <150 mg/dl

Conc

entr

azio

ne s

ieric

a (m

g/dl

)Diabetici

Non Diabetici

Valori di riferimento raccomandati dalle LG ADA

216 215

ColesteroloTotale

131 137

C-LDL

41 51

C-HDL

245

143

TG

Figura 6. Framingham Heart Study: incidenza degli eventi coronarici.

0

-2

-4

-6

-8

-10

FHS LRCF CPPT MRFIT FHS LRCF

FHS: Framingham Heart Study; LRCF: Lipid Research Clinics Prevalence Mortality Follow-up Study;CPPT: Lipid Reasearch Clinics Coronary Primary Prevention Trial;MRFIT: Multiple Risk Factor Intervention Trial

Uomini Donne

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ti ipercolesterolemici (definiti per valori di coleste-rolo LDL ≥160 e <250 mg/dl, nonché per valori ditrigliceridi <400 mg/dl), con 3 o più fattori per laSindrome Metabolica in accordo con le Linee Gui-da NCEP-ATP III. Nei 2.268 pazienti inclusi nellostudio, sono state osservate riduzioni percentuali deilivelli di colesterolo LDL varianti tra il 20% nei pa-zienti trattati con pravastatina 10 mg e il 55% neipazienti trattati con rosuvastatina 40 mg. Il coleste-rolo HDL è aumentato di circa l’8-11% con rosuva-statina, del 5-9% con atorvastatina, dell’8-10% consimvastatina e del 3-7% con pravastatina. Tutte lestatine hanno, dunque, dimostrato di esercitare ef-fetti favorevoli sulla dislipidemia aterogena associataalla Sindrome Metabolica, ma in tale studio i mi-gliori effetti in termini di aumento del colesteroloHDL sono stati ottenuti dopo trattamento con ro-suvastatina. Tale studio dimostra, inoltre, come lestatine, anche quando usate a dosaggi elevati, abbia-no un’azione molto positiva sulle LDL, ma effetti li-mitati sul colesterolo HDL: infatti, esse determina-no un aumento dei valori di colesterolo HDL, main maniera non uniforme e non costante. Peraltroesistono dei casi «paradosso», come ad esempiol’atorvastatina, la quale è in grado di aumentare ilcolesterolo HDL in modo maggiore quando utiliz-zata ai dosaggi tradizionali rispetto a quanto osser-vato a dosaggi più elevati.Pertanto, alla luce delle evidenze attualmente dispo-nibili, è possibile concludere che le statine, non in-nalzando significativamente i livelli di colesteroloHDL, quando vengono utilizzate in soggetti conbasso colesterolo HDL, pur riducendo il rischio car-diovascolare, questi permane elevato. Una confermadi questo «limite» delle statine si ottiene dall’analisidel Pravastatin Pooling Project (PPP)(16), uno studioprospettico che ha valutato gli effetti della pravasta-tina rispetto a placebo sugli eventi coronarici utiliz-zando i dati provenienti dallo studio LIPID (Long-Term Intervention with Pravastatin in Ischaemic Disea-se), dal CARE (Cholesterol and Recurrent Events) e dalWOSCOPS (West of Scotland Coronary PreventionStudy). Il Pravastatin Pooling Project, che ha conside-rato i dati provenienti da quasi 20.000 pazienti re-clutati con un tempo di trattamento medio di 5 an-ni, ha dimostrato come la pravastatina, sia in pre-venzione primaria che secondaria, abbia prodotto,

in pazienti con bassi valori di colesterolo HDL(HDL <39 mg/dl), una riduzione degli eventi coro-narici, eventi che comunque rimangono elevati, conuna incidenza paragonabile, se non peggiore, a quel-la riscontrata nei pazienti con valori di colesteroloHDL ≥39 mg/dl ma non trattati, in quanto neigruppi a placebo (Fig. 7).Gli studi epidemiologici osservazionali, come è sta-to già menzionato, hanno dimostrato che valori bas-si di colesterolemia HDL e valori alti di trigliceride-mia sono correlati ad un aumentato rischio di even-ti coronarici(17). Tuttavia, i trigliceridi possono perdere il loro poterepredittivo in termini di rischio di incidenza dellacoronaropatia in quanto spesso appaiono associatiad altri fattori di rischio cardiovascolare come obe-sità, fumo, bassi valori di colesterolo HDL. Co-munque, dopo correzione per la presenza di questialtri fattori, soprattutto se si considerano valori ditrigliceridi superiori a 200 mg/dl, essi di certo rap-presentano un importante fattore di rischio cardio-vascolare correlato all’incremento di incidenza dieventi coronarici, soprattutto in quei pazienti chemostrano la presenza concomitante di elevati valoridi colesterolo LDL (e delle LDL piccole e dense) ebassi valori di colesterolo HDL (cosiddetta triadelipidica). Ne è prova lo studio di popolazione Prospective Car-diovascular Münster (PROCAM), che ha dimostratouna correlazione significativa e indipendente tra li-velli sierici di trigliceridi e incidenza di eventi coro-narici maggiori. Su 4.639 soggetti selezionati, ben

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Figura 7. Pravastatin Pooling Project: maggior rischio resi-duo nei pazienti con basso C-HDL.

C-HDL Eventi coronarici Eventi coronarici(mg/dl) nel gruppo nel gruppo

pravastatina placebo

<39 11.7% 15.3%

≥39 7.2% 9.7%

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il 38% di quelli che hanno successivamente presen-tato un infarto miocardico aveva al momento del-l’arruolamento livelli basali di trigliceridi pari o su-periori a 200 mg/dl. Tali dati hanno segnato l’iniziodi una nuova era nel trattamento della dislipidemiaaterogena, in quanto in precedenza era ancora con-troverso se aumentati livelli di trigliceridi rappre-sentassero effettivamente un fattore di rischio car-diovascolare indipendente o se essi aumentassero ilrischio unicamente in pazienti con elevato coleste-rolo totale o con ridotti livelli di colesterolo HDL. A tale riguardo, però, i principali studi clinici con-dotti con statine(18,19), sia in prevenzione secondariasia in prevenzione primaria, dimostrano come neipazienti con bassi valori di colesterolo HDL ed ele-vati valori di trigliceridi la protezione cardiovascola-re sia presente, ma come questa non sia del tuttocompleta, ottenendo, pertanto, un beneficio «par-ziale» proprio nei pazienti a più elevato profilo di ri-schio cardiovascolare (Fig. 8). Date le premesse, è necessario quindi valutare stra-tegie terapeutiche mirate per ridurre il rischio resi-duo mediante l’aumento dei valori di colesteroloHDL e la diminuzione dei valori di trigliceridi.

AZIONE MULTIFATTORIALE SUIPARAMETRI LIPIDICI

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Figura 8. PROCAM Study: aumentata incidenza di eventi coronarici nei soggetti portatori di dislipidemia aterogena (triadelipidica).

Studio PROCAM(uomini, 40-65 anni, n=1593)

p: prevalenza; i: incidenza eventi coronarici

TG (mg/dl) 150-1999%17%

≥2009%16%

<150p 16%i 13%

150-1998%84%

<150p 6%i 64%

TG (mg/dl) ≥200

CT/HDL ≥5

p 53% i 42%

8%116%8%

116%

HDL ≤35 mg/dl

p 19% i 91%

HDL >35 mg/dlp 34% i 15%

CT/HDL <5p 47% i 9%

Messaggi Chiave

• I fibrati, l’acido nicotinico e, in parte, gli acidi gras-si omega-3 sono farmaci efficaci nell’aumentare ivalori del colesterolo HDL e nel diminuire i valoridei trigliceridi.

• I fibrati attivano i recettori PPARα, fattori di tra-scrizione nucleare che modulano l’espressione dinumerosi geni importanti sia per il metabolismo fi-siologico della cellula sia per alcuni processi fisiopa-tologici implicati nello sviluppo delle lesioni atero-sclerotiche.

• I fibrati hanno un meccanismo d’azione multiplo eriescono a modulare il metabolismo lipidico megliodi altri approcci terapeutici. I fibrati possono essereconsiderati i farmaci di riferimento per aumentare ilivelli di colesterolo HDL e per diminuire i livelli ditrigliceridi.

• La loro efficacia si esplica essenzialmente medianteun’azione metabolica e un’azione vascolare (antiin-fiammatoria e antitrombotica).

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Una corretta alimentazione rappresenta, assieme al-l’aumento dell’attività fisica e alla sospensione delfumo, il primo provvedimento da attuare per il con-trollo del rischio cardiovascolare. Chiaramente è op-portuno educare il paziente affinché le modificazio-ni dello stile di vita siano significative, permanenti emantenute anche dopo l’inizio della terapia farma-cologica, che deve essere ovviamente continuativa enon occasionale o ciclica. Tra i farmaci efficaci nell’aumentare i valori del co-lesterolo HDL e diminuire i valori dei trigliceridi visono i fibrati, l’acido nicotinico e, parzialmente, gliacidi grassi omega-3 (in realtà, questi ultimi al do-saggio di 3 g al giorno sono in grado di ridurre i va-lori plasmatici dei trigliceridi, ma non di aumentarei valori di colesterolo HDL).I fibrati hanno un meccanismo d’azione multiplo, inquanto non solo riducono il colesterolo LDL, mariescono, meglio di altri farmaci, a modulare il meta-bolismo lipidico mediante la riduzione dei livelli deitrigliceridi (sia basali che postprandiali) e l’aumentodei livelli di colesterolo HDL. Ovviamente, l’effettodei fibrati sul colesterolo LDL non è paragonabile aquello osservato con le statine, che rappresentano ifarmaci di scelta per la riduzione del colesteroloLDL. Dicevamo che i fibrati producono effetti significati-vi e importanti sul colesterolo HDL. Essi esplicanoil loro effetto protettivo attraverso l’attivazione dellatrascrizione nucleare dei recettori dei peroxisome pro-liferator-activated receptor-α (PPARα). I PPARα, come è noto, sono fattori di trascrizionenucleare che modulano l’espressione di numerosigeni, importanti sia per il metabolismo fisiologicodella cellula sia per alcuni processi fisiopatologiciimplicati nello sviluppo delle lesioni ateroscleroti-che. Per quanto riguarda gli effetti sul metabolismo, talirecettori agiscono sulla trascrizione genica dell’Apo-lipoproteina-AI, provocando un aumento direttodel colesterolo HDL. Inoltre, essi determinano unaumento indiretto del colesterolo HDL, in quantoriducono l’apolipoproteina-CIII aumentandol’attività della lipoproteinlipasi che determina a suavolta riduzione dei trigliceridi e il conseguente au-mento dell’HDL. A tal proposito, valutandol’effetto sulla riduzione dei livelli di Apo-CIII (lipo-

proteina che influenza l’attività della lipoproteinli-pasi), indubbiamente non vi è confronto tra fenofi-brato (riduzione del 20%) e atorvastatina (riduzionedel 7%)(20-22). Sulla base di tale effetto, risulta quindiche il fenofibrato è maggiormente in grado rispettoall’atorvastatina di aumentare il diametro delle LDLe quindi di ridurre il numero di LDL piccole e den-se, che sono le molecole più aterogene. Se, talvolta,con i fibrati si può paradossalmente avere un au-mento delle LDL mediante attivazione della lipo-proteinlipasi e stimolazione del catabolismo delleVLDL, questo è solo apparente, perché serve a nor-malizzare le LDL e in realtà si verifica un aumentodelle dimensioni delle LDL con riduzione del loropotere aterogeno(20-22). Sulla base delle evidenze attualmente disponibili èpossibile, pertanto, considerare i fibrati come far-maci di riferimento per aumentare i livelli di cole-sterolo HDL. Va aggiunto che l’attivazione del PPARα consentela riduzione dell’aterosclerosi mediante un duplicemeccanismo che prevede, oltre alla già ricordataazione metabolica, un’azione vascolare. Quest’ulti-ma consente di intervenire sui fattori dell’infiam-mazione e su quelli che regolano la funzione endo-teliale mediante effetti antiinfiammatori e antitrom-botici.Diversi studi clinici dimostrano come il fenofibratosia in grado di ridurre le concentrazioni plasmatichedi proteina C-reattiva, sia in prevenzione primariache secondaria(23). Altri studi controllati vs placebo dimostrano che ilfenofibrato consente il ripristino della funzione en-doteliale in una popolazione di soggetti ipertriglice-remici, con o senza Sindrome Metabolica(24). I fibrati proteggono dal rischio residuo con un mec-canismo che va oltre il semplice controllo del profilolipidico. Anche per i fibrati si può parlare di effetti pleiotro-pici che, oltre a quelli classici di diminuzione del-l’ossidazione delle LDL, ripristino della funzioneendoteliale, attivazione dei meccanismi antitrombo-tici, diminuzione della risposta infiammatoria e sta-bilizzazione di placca, includono il miglioramentodella sensibilità all’insulina e l’azione ipouricemiz-zante, elementi fondamentali nella gestione clinicadella Sindrome Metabolica.

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I FIBRATI E LA RIDUZIONE DEL RISCHIORESIDUO NELLA PRATICA CLINICA

I fibrati, sia in studi di prevenzione primaria che se-condaria, hanno dimostrato di ridurre il rischio car-diovascolare di circa il 20%. Tra questi, va ricordatolo studio VA-HIT: studio di prevenzione secondariain cui sono stati inclusi oltre 2.500 pazienti con tri-gliceridi elevati (160 mg/dl), valori di colesteroloLDL moderatamente elevati (111 mg/dl) e con bas-si valori di colesterolo HDL (32 mg/dl). I risultatidello studio VA-HIT confrontati con quelli degli al-tri studi in prevenzione secondaria condotti con sta-tine (HPS, 4S, CARE, LIPID) dimostrano come i

fibrati garantiscano una riduzione degli eventi coro-narici paragonabile a quella osservata con le statine(Fig. 9).Inoltre, nei soggetti con bassi valori di colesteroloHDL il numero di pazienti da trattare con gemfi-brozil per prevenire un evento è minore del numerodi pazienti che dovrebbero essere trattati con prava-statina. Infine, tale dato non si discosta molto daquello dello studio HPS che, come è noto, rappre-senta un importante studio di riferimento. Un altro studio, l’Helsinki Heart Study (1987-1988),condotto su oltre 4.000 pazienti in prevenzione pri-maria in trattamento con gemfibrozil vs placebo, hadimostrato come i risultati migliori del trattamentocon fibrati si ottengano nel gruppo di pazienti conelevati valori di trigliceridi e bassi valori di colestero-lo HDL (Fig. 10). Il BIP study, uno studio in prevenzione secondariacondotto con bezafibrato vs placebo su oltre 3.000pazienti, ha dimostrato nella totalità dei pazienti in-clusi una riduzione non significativa del rischio car-diovascolare (pari a circa il 9%), riduzione che peròdiveniva significativa nei pazienti con SindromeMetabolica, caratterizzati dalla presenza di dislipide-mia aterogena(25).Anche nel già citato studio VA-HIT, nel quale il25% dei pazienti inclusi era diabetico e presentavatrigliceridi elevati, la riduzione del rischio cardiova-

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Messaggi Chiave

• Studi di prevenzione primaria e secondaria dimo-strano che la terapia con fibrati riduce di circa il20% il rischio cardiovascolare.

• I benefici dei fibrati sono dimostrabili anche neisoggetti «ipercolesterolemici puri»; tuttavia, i risul-tati migliori si ottengono nel gruppo di pazienti ca-ratterizzati da elevati valori di trigliceridi e/o bassivalori di colesterolo HDL.

• I fibrati trovano la loro indicazione nella «dislipide-mia diabetica» caratterizzata da ipertrigliceridemiae bassi valori di colesterolo HDL.

Figura 9. Prevenzione secondaria: riduzione degli eventi coronarici in pazienti con differenti valori basali di C-LDL e HDL.

Studio LDL/HDL % eventi % riduzione N. pazienti(mg/dl) placebo (%) farmaco (%) rischio da trattare per

prevenire 1 evento

HPS 131/41 11.8 8.7 -27 18

4S 189/46 28.0 19.4 -32 12

CARE 139/39 13.2 10.2 -23 33

LIPID 150/36 15.9 12.3 -23 28

VA-HIT 111/32 21.7 17.3 -20 23

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scolare nei soggetti diabetici è risultata superiore ri-spetto a quanto osservato nella popolazione generalenon diabetica.Gli studi clinici condotti con fibrati che hanno valu-tato la presenza della regressione o della ridotta pro-gressione dell’aterosclerosi, come lo studio DAIS,durato 3 anni e condotto con fenofibrato in 418 pa-zienti diabetici con iperlipidemia mista, hanno di-mostrato come i fibrati garantiscano rispetto al place-bo una significativa minor progressione dell’atero-sclerosi coronarica(26). A proposito di diabetici, i vari studi clinici condotticon statine non sono sempre concordi nel dimostrarei benefici clinici su questa tipologia di pazienti(27-28).Occorre peraltro sottolineare come gli studi su stati-ne non siano indirizzati principalmente a pazientidiabetici, sebbene prevedano spesso un sottogruppoconsiderevole di tali pazienti. Nello studio HPS, adesempio, in cui è stato possibile dimostrare un signi-ficativo beneficio derivante dal trattamento basato susimvastatina nella popolazione generale, tale benefi-cio si manifestava anche nel sottogruppo di pazientidiabetici con HDL basso (<35 mg/dl), sottogruppoche, comunque, continuava a presentare un alto ri-

schio residuo, superiore a quello riscontrato nei pa-zienti diabetici ma con colesterolo HDL >35 mg/dl etrattati con placebo(29) (Fig. 11).La mancanza di studi specificatamente dedicati ai pa-zienti diabetici è stata colmata dallo studio CARDS(Collaborative AtoRvastatin Diabetes Study), condottosu 2.838 pazienti diabetici di età compresa tra i 40e i 75 anni, in trattamento con atorvastatina 10mg/die, controllato contro placebo(30). Tale studio èstato condotto in Gran Bretagna e in Irlanda su pa-zienti diabetici con rischio calcolato a 10 anni parial 24% secondo Framingham, e quindi a rischioelevato dovuto alla concomitante presenza di altrifattori di rischio. Al fine di valutare l’efficacia del-l’atorvastatina, tale studio prevedeva un endpointprimario molto ampio, comprendente eventi coro-narici maggiori tra cui morte per coronaropatiaacuta, IM non fatale (compreso IM silente), anginainstabile, CABG o altra rivascolarizzazione corona-rica, arresto cardiaco sottoposto a rianimazione e ic-tus cerebrale(30) (Fig. 12).Il trattamento basato su atorvastatina ha dimostratouna riduzione altamente significativa del rischio co-ronarico. Tuttavia, occorre precisare come i pazienti

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Figura 10. Helsinki Heart Study: maggior beneficio del gemfibrozil nei pazienti con alti TG e basso C-HDL.

Gemfibrozil

Placebo

Inci

den

za d

i eve

nti

co

ron

aric

i(p

er 1

000

per

son

e-an

no

)

Prevenzione primaria(n=4081)

27 36 7 9 14 16 8 23

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Figura 11. HPS: maggior rischio residuo nei pazienti diabetici con basso C-HDL.

Simvastatina

Placebo

Eve

nti

co

ron

aric

i

11%

8%

14%

9%10%

7%

16%

13%

Figura 12. Effetti dei trattamenti sull’endpoint primario.

Evento Placebo Atorvastatina Rapporto di rischion (%) n (%) (IC)

Endpoint primario 127 (9.0%) 83 (5.8%) 0.63 (0.48-0.83)p=0.001

Eventi coronarici 77 (5.5%) 51 (3.6%) 0.64 (0.45-0.91)

Rivascolarizzazionecoronarica 34 (2.4%) 24 (1.7%) 0.69 (0.41-1.16)

Ictus 39 (2.8%) 21 (1.5%) 0.52 (0.31-0.89)

0.2 0.4 0.6 0.8 1.0 1.2

A favoredi placebo

A favoredi atorvastatina

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inclusi in questo studio avessero valori di colesteroloHDL elevati (54 mg/dl), contrariamente a quanto siverifica nei soggetti diabetici. Ricordando i dati del-l’HPS nei diabetici con basso HDL, è proprio invirtù di questa particolare selezione di pazienti ope-rata nel CARDS che si può spiegare l’efficacia del-l’atorvastatina in questo studio.

RISCHIO MACROVASCOLARE EMICROVASCOLARE: POSSIBILI IMPIEGHITERAPEUTICI DEI FIBRATI

Lo studio FIELD (Fenofibrate Intervention and EventLowering in Diabetes), multicentrico randomizzato indoppio cieco e controllato contro placebo con un fol-low-up di 5 anni, ha verificato l’efficacia del fenofi-brato in termini di morbilità e mortalità coronaricain pazienti con Diabete Mellito di tipo 2. Lo studioha considerato una popolazione globalmente inbuon controllo glicemico, con o senza dislipidemia.È il più grande studio clinico controllato sinora con-dotto in pazienti con diabete di tipo 2 (9.795 sogget-ti) che abbia considerato il maggior numero di pa-zienti diabetici in prevenzione primaria (7.664 sog-getti senza preesistente malattia cardiovascolare)(31).Lo studio FIELD ha generato grosse discussioni tragli Esperti, in quanto i risultati ottenuti suggerisco-no che la terapia basata su fenofibrato conferisca unsignificativo grado di protezione cardiovascolare in

prevenzione primaria, mentre essa sembrerebbe nonproteggere in prevenzione secondaria e non ridur-rebbe la mortalità totale. Tuttavia, è necessario in-terpretare i dati in maniera complessiva, confron-tando ad esempio i dati dello studio FIELD conquelli dello studio CARDS. I pazienti inclusi nellostudio FIELD avevano, rispetto a quelli inclusi nel-lo studio CARDS, un assetto lipidico più simile aquello che comunemente si riscontra nei pazientidiabetici: valori medi di colesterolo HDL pari a 42mg/dl rispetto a valori medi pari a 54 mg/dl nei pa-zienti dello studio CARDS. Inoltre, nello studioFIELD i fumatori erano solo il 9% rispetto al 22%dello studio CARDS. Le percentuali di emoglobinaglicata erano pari al 6,9% nello studio FIELD e al7,9% nello studio CARDS; pertanto nel FIELD ipazienti erano anche meglio controllati dal punto divista glicemico. È noto che un solo punto di diffe-renza in termini di emoglobina glicata può spiegareuna differenza di oltre il 20% in termini di riduzio-ne o aumento del rischio cardiovascolare. A tale ri-guardo, se nello studio CARDS il rischio a 10 anniera del 24%, nello studio FIELD il rischio era solodell’11%, nonostante si tratti di pazienti diabetici.Tuttavia, sebbene lo studio FIELD considerasse pa-zienti con un minore rischio cardiovascolare,l’endpoint primario era molto ristretto e riguardavasolo gli eventi coronarici. L’endpoint secondario era invece più ampio, ed inpratica era identico all’endpoint primario consideratonello studio CARDS: nello studio FIELD si rag-giunge ampiamente la significatività statistica perl’endpoint secondario, ma non per quello primario. Iltrattamento con fenofibrato dimostra dunque unariduzione non significativa dell’endpoint primario(nonostante vi sia riduzione dell’11% degli eventicoronarici), che diventa significativa quando si valu-tano gli eventi cardiovascolari totali. Si può quindiaffermare che lo studio FIELD, raggiungendo i suoiendpoint secondari, riesce ad ottenere gli stessi risul-tati dello studio CARDS pur in una popolazione arischio nettamente inferiore. Nel paziente diabetico, oltre al rischio macrovascola-re, assume particolare importanza anche il rischiomicrovascolare. Nello studio FIELD, gli endpoint ter-ziari sono infatti rappresentati dalle complicanze mi-crovascolari del Diabete Mellito, tra cui progressione

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Messaggi Chiave

• Lo studio FIELD è il più grande studio clinico con-trollato sinora condotto in pazienti con diabete ditipo 2 e considera il maggior numero di pazientidiabetici in prevenzione primaria.

• In tale studio la terapia con fenofibrato permette diraggiungere ampiamente la significatività statisticaper l’endpoint secondario (tutti gli eventi cardiova-scolari) e in gran parte per quello terziario, mentrela sfiora per l’endpoint primario (eventi coronarici).

• L’endpoint terziario riguarda le complicanze micro-vascolari del Diabete Mellito che si sviluppano nel-la maggioranza dei pazienti affetti da Diabete, no-nostante l’impiego di interventi multifattoriali.

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della neuropatia, necessità di trattamento laser per laretinopatia diabetica, amputazioni (Fig. 13)(31-33).Le complicanze microvascolari si sviluppano nellamaggioranza dei pazienti affetti da Diabete Mellitodi tipo 2, nonostante l’impiego di interventi multi-fattoriali ed aggressivi (incluso l’impiego delle stati-ne). La retinopatia, più comune causa di cecità tragli adulti affetti da Diabete Mellito, è presente nel20% dei pazienti alla diagnosi e nel 60% dopo 20anni di malattia. La prevalenza di microalbuminuriaè stimata intorno al 20%. Il 25-40% dei pazientisviluppa invece nefropatia clinicamente accertata,che rappresenta la principale causa di insufficienzarenale di grado terminale. Infine, il 60-70% dei pa-zienti diabetici presenta un danno al sistema nervo-so (neuropatia). Il trattamento con fenofibrato riduce le complican-ze microvascolari nei pazienti affetti da DiabeteMellito. Infatti, esso è associato ad una riduzione si-gnificativa della necessità di amputazione (dato nonsignificativo), a minore progressione o regressionedell’albuminuria e a minore necessità di trattamentolaser della retinopatia proliferativa (dati altamentesignificativi). L’effetto positivo del trattamento con fenofibrato si

manifesta già dopo 8 mesi di terapia ed è aggiuntivorispetto a quello ottenuto con il controllo della gli-cemia e della pressione arteriosa (parametri fonda-mentali nella progressione della retinopatia).

RISCHIO NON CARDIOVASCOLARE EMORTALITÀ TOTALE

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Figura 13. Patologia CV significativa e benefici microvascolari del fenofibrato.

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-24%p=0.01

-11%p=0.035

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-18%p=0.04

-38%p=0.01

-30%p=0.0003

-15%p=0.002

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Macrovascolari

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Microvascolari

Messaggi Chiave

• La mancata riduzione nello studio FIELD dellamortalità totale e il riscontro di una riduzione nonsignificativa degli eventi in prevenzione secondariasono giustificati dalla possibilità data ai medici difamiglia di aggiungere liberamente altre terapieipolipemizzanti, sia nel gruppo trattato con fenofi-brato, ma anche e soprattutto in quello trattatocon placebo.

• È stato stimato un mascheramento dell’effetto do-vuto all’impiego delle statine di circa il 20%; per-tanto, se si aggiusta l’intervento rispetto all’impie-go delle statine, si deduce che la significatività sta-tistica è stata raggiunta anche per l’endpoint pri-mario.

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Secondo alcuni punti di vista sembra quasi che i ri-sultati dello studio FIELD abbiano portato indietronel tempo, sino al periodo che precedeva i grandistudi clinici con le statine, quando si parlava di ne-cessità di moratoria nell’uso dei farmaci ipolipemiz-zanti. Tale moratoria trovava giustificazione negli ef-fetti negativi del clofibrato, molecola che ha in-fluenzato negativamente l’opinione sulla classe deifibrati e che purtroppo negli anni ne ha limitatol’impiego nella pratica clinica quotidiana. A tale ri-guardo, in una meta-analisi su 17 studi clinici, incui sono stati impiegati i fibrati, 9 studi utilizzavanoil clofibrato, e in tali studi la molecola ha dimostra-to di aumentare la mortalità non cardiovascolare econ essa la mortalità totale. Tuttavia, se si escludono dalla meta-analisi i 9 studiclinici condotti con clofibrato, restano 8 studi con-dotti con fenofibrato, bezafibrato e gemfibrozil, neiquali non vi è stato aumento della mortalità noncardiovascolare e della mortalità totale, a dimostra-zione della sicurezza di tale classe di farmaci. Nello studio FIELD, il fenofibrato non determinauna riduzione della mortalità totale. Tuttavia, se siconsiderano tutti gli studi clinici condotti con stati-ne, la significatività statistica per mortalità per tuttele cause è raggiunta solo in 3 studi: due condotticon la simvastatina (4S, HPS) e uno con la pravasta-tina (LIPID). Per tali motivi, se la simvastatina puòessere considerata il farmaco di scelta per la riduzio-ne della mortalità cardiovascolare e della mortalitàper qualunque causa, occorre ricordare come in tut-ti gli altri studi, seppure importanti, non sia stataraggiunta la significatività statistica per la riduzionedella mortalità totale. Un dato molto importante può, tuttavia, spiegareperché nello studio FIELD non ci sia stata riduzio-ne della mortalità totale né una riduzione significa-tiva degli eventi in prevenzione secondaria: sia nelgruppo trattato con fenofibrato, ma anche e soprat-tutto in quello trattato con placebo, era data ai me-dici di famiglia la possibilità di aggiungere libera-mente altre terapie ipolipemizzanti. L’analisi dei ri-sultati dimostra chiaramente che i pazienti eranousualmente trattati con statine, soprattutto quellidel gruppo di controllo con placebo, in cui l’usoconcomitante delle statine era pressoché doppio (esignificativamente maggiore) rispetto al gruppo

trattato con fenofibrato. Tenendo conto del diversoimpiego di statine tra i due gruppi, si ritiene che lareale differenza nella percentuale di insorgenza dieventi cardiovascolari abbia mascherato un maggio-re beneficio da parte della terapia con fenofibrato. Ilmascheramento dell’effetto dovuto all’impiego dellestatine è stimato intorno al 20%. Pertanto, se si ag-giusta l’intervento rispetto all’impiego di statine, èpossibile ritenere di aver raggiunto la significativitàstatistica per quello che riguarda il controllo dei pa-rametri lipidici e la riduzione degli eventi cardiova-scolari, e quindi anche per l’endpoint primario dellostudio, sia in prevenzione primaria che secondaria.

FENOFIBRATO: MONOTERAPIA E TERAPIADI ASSOCIAZIONE

Anche lo studio FIELD dimostra come sia fonda-mentale selezionare i pazienti da trattare con i fibra-ti al fine di ottenere un maggior beneficio clinico.Infatti, i pazienti con bassi valori di colesteroloHDL ottengono risultati migliori rispetto a pazienticon elevati valori di colesterolo HDL e, allo stessomodo, i risultati migliori si osservano in pazienticon elevati valori di trigliceridi.Lo studio FIELD ha inoltre permesso di dimostrarela sicurezza e la tollerabilità dell’associazione fenofi-

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Messaggi Chiave

• Lo studio FIELD ha dimostrato l’importanza fon-damentale di selezionare i pazienti per ottenere imaggiori benefici clinici: con i fibrati, i migliori ri-sultati si ottengono in pazienti con bassi valori dicolesterolo HDL e/o elevati valori di trigliceridi.

• Anche nella terapia di associazione fibrati-statine laselezione di questi farmaci ricopre un ruolo chiave:è preferibile usare il fenofibrato e tra le statine èfondamentale selezionare quelle ad emivita più bre-ve e preferire sempre dosaggi bassi.

• L’associazione fenofibrato-statine, oltre a dimostrar-si sicura, risulta essere anche molto efficace sui livel-li di trigliceridi e di colesterolo HDL, parametri im-plicati nella dislipidemia aterogena e nella Sindro-me Metabolica e, come precedentemente discusso,non ben controllati dalle statine in monoterapia.

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brato-statine, terapia che è risultata essere sommini-strata a numerosi pazienti durante lo studio. Il trat-tamento con fenofibrato è stato generalmente bentollerato, indipendentemente dal concomitante usodi statine. Nessun caso di rabdomiolisi è stato osser-vato nei pazienti trattati con associazione statine-fe-nofibrato. Pertanto, un attento utilizzo della terapiadi combinazione fibrati-statine può offrire un van-taggio aggiuntivo rispetto alla monoterapia con fi-brati o con statine nei pazienti diabetici ad elevatoprofilo di rischio cardiovascolare e nei pazienti conSindrome Metabolica(34). Uno studio clinico condotto negli anni ‘90(35) ha di-mostrato la comparsa di eventi avversi in termini dimiopatia e di rabdomiolisi associati alla terapiacombinata lovastatina-gemfibrozil, sottolineandocome dei 12 casi di rabdomiolisi osservati nei pa-zienti che usavano tale terapia, 9 si siano verificati insoggetti anziani e 3 in pazienti con insufficienza re-nale. Questo dato è indicativo del fatto che perl’utilizzo dell’associazione statina-fibrato è necessa-rio fare attenzione alla selezione dei pazienti. In ef-fetti, negli stessi anni, un altro studio clinico rando-mizzato e in doppio cieco, condotto con la terapiadi combinazione pravastatina+gemfibrozil, ha di-mostrato l’importanza di selezionare accuratamentei pazienti candidati a tale terapia al fine di preveniregli effetti avversi di questa associazione(36). Tali pazienti non devono avere età avanzata (in talcaso infatti potrebbero verificarsi con maggiore pro-babilità problemi di insufficienza renale), non devo-no svolgere un lavoro muscolare molto intenso, enon devono avere un valore di creatinfosfochinasi

(CPK) di base elevato, non devono soffrire di insuf-ficienza cardiaca, insufficienza epatica, ipotiroidi-smo, disturbi elettrolitici (in particolare del potassio)e non devono assumere ciclosporina o eritromicina. A tale riguardo, occorre precisare come gli unici duedecessi verificatisi in Italia successivamente allasomministrazione di cerivastatina e gemfibrozil fos-sero imputabili proprio ad una non corretta selezio-ne del paziente. Nel primo caso, infatti, si è verifica-ta la morte di una paziente che assumeva ciclospori-na contemporaneamente al trattamento ipolipemiz-zante (ovviamente senza controllo del medico). Èben noto infatti sin dagli anni ‘90 che l’associazionedi ciclosporina con statine o fibrati provoca un au-mento del 30% di miopatia. Nell’altro caso, la tera-pia era stata prescritta ad una paziente che involon-tariamente aveva assunto gemfibrozil+cerivastatina.Un aspetto fondamentale è quello dell’educazionedel paziente, che deve essere in grado di riconoscerei primi sintomi di disturbi muscolari.Oltre alla selezione del paziente, è fondamentale se-lezionare le statine ad emivita più breve. La pravasta-tina e la simvastatina (2 ore di emivita) sono chiara-mente da preferire rispetto alla rosuvastatina (19 oredi emivita) o all’atorvastatina (14 ore di emivita).Ma, oltre all’emivita, è anche molto importante sce-gliere un dosaggio appropriato di farmaco, preferen-do sempre dosaggi bassi. Anche la selezione dei fibrati ricopre un ruolo chia-ve. L’analisi basata su un Report dell’FDA sugli ef-fetti avversi verificatisi durante le terapie di associa-zione, ed in particolare sui casi di rabdomiolisi, ciindica di preferire il fenofibrato(37-40) (Fig. 14).

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Figura 14. Report FDA 2005. Sulla base dell’esperienza clinica nell’uso dell’associazione fibrato+statine, la FDA ha rilevatoun’incidenza di casi di rabdomiolisi per milione di prescrizioni significativamente inferiore per l’associazione fenofibra-to+statina rispetto a gemfibrozil+statina (p<0,0000001).

Numero di casi di rabdomiolisi per milione di prescrizioni

Fenofibrato + statina* (3.419.000 prescrizioni) Gemfibrozil + statina* (6.641.000 prescrizioni)

*esclusa la combinazione con cerivastatina

0.58

8.6

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A tal riguardo, lo studio SAFARI ha proposto un in-teressante confronto tra la combinazione simvastati-na 20 mg+fenofibrato 160 mg vs simvastatina 20 mgin monoterapia in pazienti con iperlipidemia mi-sta(41) (Fig. 15). L’associazione con il fenofibrato, oltre a dimostrarsisicura, è risultata anche molto efficace sui livelli ditrigliceridi e di colesterolo HDL, come anche nellariduzione del colesterolo LDL (e della quota di LDLpiccole e dense) che sono i parametri implicati nelladislipidemia aterogena e nella Sindrome Metabolicae, come precedentemente discusso, non ben control-lati dalle statine in monoterapia(42,43).In termini di terapia di associazione con fenofibrato,è importante citare anche quella con ezetimibe(44).L’ezetimibe è una molecola dotata di una certa effi-cacia clinica che potrebbe rivelarsi molto utile in as-sociazione con il fenofibrato, non nel caso di iperco-lesterolemia pura ma nel caso di pazienti con iperli-pidemia combinata. Il vantaggio di questa associa-zione terapeutica non è tanto sui trigliceridi o sulleHDL, ma proprio sull’LDL.

In conclusione, come indicato dalle numerose evi-denze, i fibrati possono giocare un ruolo molto im-

portante nel ridurre il rischio cardiovascolare resi-duo. Se nei pazienti con ipercolesterolemia pura ifarmaci di riferimento sono sicuramente le statine, ifibrati vanno presi in considerazione non solo nelleipertrigliceridemie pure, ma anche nelle iperlipemiecombinate in cui è presente la cosiddetta triade ate-rogena (trigliceridi e LDL elevati e HDL basso), di-slipidemia caratteristica della Sindrome Metabolica edel Diabete Mellito di tipo 2(34). L’impiego di questa classe di farmaci trova ampiosupporto nei risultati di alcuni studi angiografici eclinici condotti in pazienti portatori di queste pato-logie, in cui il miglioramento dell’assetto lipidico èrisultato associato a una ritardata progressione del-l’aterosclerosi coronarica, ad una stabilizzazione dellaplacca aterosclerotica e ad una riduzione degli eventicardiovascolari.Inoltre, al fine di ottenere risultati ancora migliori, ifibrati possono essere associati alle statine con risul-tati ottimi dal punto di vista dell’efficacia terapeuti-ca(42,43). Tuttavia, va sempre raccomandata una neces-saria cautela nella selezione dei pazienti, nel loro fol-low-up e nella scelta dei farmaci da associare: gli studiclinici ci suggeriscono di preferire tra i fibrati il feno-fibrato e, tra le statine, quelle ad emivita breve.

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Figura 15. Studio SAFARI: terapia di associazione vs monoterapia in pazienti con iperlipidemia combinata.

30%

20%

10%

0%

(10%)

(20%)

(30%)

(40%)

(50%)

Varia

zion

e pe

rcen

tual

e ris

petto

a T

0

*p<0.001 vs simvastatina

(20%)

(43%)

(26%)(31%)

(26%)

(35%)

TG LDL-C Non-HDL-C apoB HDL-C

(23%)

(33%)

10%

19%Simvastatina 20

Simvastatina 20 + Fenofibrato 160

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