pii ii commentarii rerum memorabilium que temporibus suis contigerunt, «studi e testi», 312-313by...

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Pii II Commentarii rerum memorabilium que temporibus suis contigerunt, «Studi e Testi», 312-313 by A. Van Heck Review by: Edoardo Fumagalli Aevum, Anno 60, Fasc. 2 (maggio-agosto 1986), pp. 350-354 Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/20858087 . Accessed: 11/06/2014 07:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Aevum. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.182 on Wed, 11 Jun 2014 07:51:47 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions

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Pii II Commentarii rerum memorabilium que temporibus suis contigerunt, «Studi e Testi»,312-313 by A. Van HeckReview by: Edoardo FumagalliAevum, Anno 60, Fasc. 2 (maggio-agosto 1986), pp. 350-354Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro CuoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/20858087 .

Accessed: 11/06/2014 07:51

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350 RECENSIONI

Si noti la maggior adesione al testo inglese nella

traduzione di Pezzini. Interessante e il verbo trave

lye su cui lo stesso autore si sofferma in nota sotto

lineando l'ambivalenza semantica del termine come

?lavorare? e come ?viaggiare?; su tale ambivalen

za Giuliana giocherebbe apposta per evidenziare la

passione di Gesu e quindi il Suo ?viaggio travagliato, cioe la Sua missione su questa terra? (cfr. Pezzini, n. 187, p. 224). L'inglese a newyd, forma abba

stanza peculiare, perche se si rifa al verbo anew

avrebbe il significato di ?rinnovato?; in realta de

ve essere inteso come newly appointed nel senso di

?appena assunto?, ?assunto di recente? (cfr. Col

ledge and Walsh, n. 138, p. 529). Risulta, pertan

to, perfettamente calzante la traduzione di Pezzini.

A questo punto non resta che ringraziare 1'auto

re per aver dato anche al lettore italiano che non

e in grado di accedere direttamente al testo inglese la possibilita di accostarsi in maniera aderente a que ste pagine. Per gli esperti di letteratura inglese e

di storia della lingua inglese questo volume e senza

dubbio un invito a scoprire e studiare sui piano let

terario e linguistico anche le opere di autori meno

noti, lasciati spesso immeritatamente nell'ombra, come testimoni di una particolare corrente cultu

ral e di un particolare momento nelPevoluzione

della lingua.

Paola Tornaghi

Pn II Commentarii rerum memorabilium que tem

poribus suis contigerunt, ad codicum fidem nunc

primum editi ab A. Van Heck, ?Studi e Testi?,

312-313, Biblioteca Apostolica Vaticana, Citta del

Vaticano 1984. Due volumi di complessive pp. 858.

?Nunc primum editi?: per uno strano gioco del

destino questo pregio della novita, che fin dal fron

tespizio viene esibito come uno dei titoli di merito

dell'operazione editoriale e che Fegregio curatore

ribadisce all'inizio della sua introduzione (?Quam in manibus tenes, lector beneuole, editionem Com

mentariorum... uere et proprie principem uocare

non uereor?: p. 5), e stato appannato dalla pubbli cazione quasi contemporanea della stessa opera, ac

compagnata dalla traduzione italiana, a cura di Luigi Totaro (Enea Silvio Piccolomini -

Papa Pio II, I

Commentari, Adelphi, Milano 1984), il quale, la

vorando indipendentemente dal Van Heck e presu mibilmente anche alPoscuro del lavoro parallelo, ha presentato la propria fatica con parole analo

ghe a quelle usate dal collega (?La presente edizio ne viene cosi a restituire per la prima volta il testo

integrate dei Commentarii di Pio II?: p. XI). Caso

raro e forse unico di un testo che sempre piu appa re centrale per la comprensione di larga parte della storia e della cultura del medio Quattrocento, ma

trascurato, e al solito piu citato che letto, per cin

que secoli abbondanti, e dopo mezzo millennio fi

nalmente riemerso in due edizioni contemporanee. Vero e che il lavoro e stato condotto dagli studiosi in modo notevolmente diverso, cosicche spesso i ri

sultati sono complementari: e tuttavia inevitabile

Pimpressione di uno spreco di energie che un mi

gliore coordinamento avrebbe potuto evitare, e che

appare ancor piu sorprendente in quanto riferito a un autore e a un'opera che certo possono offrire

materia di scavo e di interpretazione, nonche a due

persone, a una squadra di specialisti. Non e qui mio intendimento riferire sulPedizio

ne del Totaro, se non per cio che la caratterizza

rispetto a quella del Van Heck, che resta Poggetto di queste pagine; e le differenze sono subito evi

denti, proprio a cominciare dal primo problema che

qualunque editore si trova ad affrontare: la scelta del testimone da usare come base per il proprio lavoro.

E noto che le edizioni a stampa, a cominciare

da quella romana del 1584, avevano profondamente falsato il testo, sopprimendo mutando aggiungen do, perche il promotore dell'impresa, il vescovo di

Siena Francesco Bandini Piccolomini, al culto per 11 grande congiunto aveva unito circospezioni det tate dalla situazione della Chiesa e dai sempre pos sibili risentimenti di rampolli di illustri casati di

fronte alle parole spesso assai crude usate in diver se circostanze da Pii II; anche si sa che delPopera

soprawivono due codici principali: il Reginense La

tino 1995 della Biblioteca Vaticana, parzialmente autografo e comunque rivisto, nelle parti non au

tografe, dallo stesso pontefice e dal suo segretario

Agostino Patrizi, e il Corsiniano 147 della Biblio teca delPAccademia dei Lincei, finito di copiare il

12 giugno 1464, per ordine di Pio II che sarebbe

morto il 15 agosto di quell'anno, da Giovanni Go

bellino. II Corsiniano (C) e dunque posteriore al

Reginense (R), da cui si stacca in piu di un punto; sembra percio a prima vista del tutto giustificata la scelta del Totaro di porre C a base della propria

edizione, in quanto questa soluzione ?rispetta il ca

rattere di volonta ultima delP Autore che esso rive

ste, pur rimanendo certa Pimportanza del Reginense 1995 come testimonianza delle diverse fasi di com

posizione delP opera e, naturalmente, per una con

clusiva edizione critica? (pp. XXIV-XXV della sua

ed.). Ma il problema e complicato dal fatto che nel

Pallestimento di C e intervenuto, per incarico dello

stesso pontefice, Giovanni Antonio Campano co

me revisore dello stile, essendo Pio II nell'impossi bilita di provvedere da se, impegnato com'era nei

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RECENSIONI 351

preparativi della crociata: dal momento che C non

e stato esemplato su R e dal momento che tra i due

manoscritti ne esistette certamente un altro, presu mibilmente perduto, e impossibile stabilire se tutte le varianti del Corsiniano rispetto al Reginense sia no da attribuire agli interventi del Campano o se

si possa ipotizzare un'ulteriore fase di elaborazio ne del testo da parte del papa, che, successiva a R e dunque a questo estranea, sarebbe pero confluita

in C. In ogni caso siamo certi che il testo, cosi co

me appare in C, non e tutto opera dell'autore, ma

risente del lavoro di lima operato dal Campano: Pio II pote conoscere gli interventi dell'umanista?

la redazione presente in C, pur non essendo inte

gralmente opera del papa, fu perd da questi appro vata ed e dunque da considerare autenticata, se non

proprio autentica?

Nel rispondere a domande di questo genere il To taro e il Van Heck divergono sostanzialmente: per il primo, come si e visto, C rappresenta dawero il punto di arrivo del travaglio di Pio II intorno

alia propria opera, mentre per il secondo solo R

conserva un testo sicuramente dettato o scritto, e

comunque criticamente accolto, dall'autore. Dichia

ra infatti il Van Heck a proposito delle differenze di C rispetto a R: ?quae emendationes an Campa no assignandae sint in medio relinquens, Pium dic

tantem respiciens lectiones quas Reginensis, id est

primum propriumque exemplar, praebet praeferen das iudicaui? (p. 10). Egli preferisce, insomma, al

possibile il certo, anche sul fondamento di un'altra

considerazione. Noi sappiamo, perche lo racconta

lo stesso Campano, che il pontefice non voleva che

l'opera fosse divulgata senza che fosse sottoposta a revisione: ?Rerum sui temporis in Italia gestarum libros duodecim, quod opus nondum assolutum cum

vita finivit vetuitque publicari, nisi emendaretur? l; se il Campano, come generalmente e fondatamen

te si ritiene, intervenne sul testo dei Commentarii,

quanto tempo ebbe a disposizione il pontefice per

esprimere un giudizio sull'operato dell'amico uma

nista2? Pio II avra certamente desiderato esamina re l'opera ripulita dal Campano: ma ne ebbe, in

concreto, la possibility? ?Dies enim ? annota il

Van Heck a p. 9 riferendosi a C ? quo sit perfec tus, indicatus plane demonstrat eum duobus men

sibus ante diem 15 Augusti eiusdem anni, quo die

pontifex Anconae morte obiit, ad finem esse per ductum. ut putemus igitur auctori eique librorum

amantissimo copiam et facultatem inspiciendi huius

libri non fuisse, nullo modo adduci possum, spa tium autem temporis, quo ipsi huic codici uacare

licuit, perexiguum habendum est; parabat enim pro ficisci in illud bellum, quod pro fidei defensione cum Turcis erat gesturus?.

Vero e che non e detto che Pio II potesse conosce

re il lavoro del Campano solo dal manoscritto Cor

siniano: questo e una copia in pulito, e si puo crede re che Pumanista gia in precedenza avesse presen tato al papa i frutti della propria fatica, in forma

piu dimessa; ma allora le ipotesi si accavallano alle

ipotesi e la costruzione che ne risulta e certo sugge

stiva, ma non ha il pregio della solidita, basandosi in ogni passaggio sui criterio della verosimiglianza.

Si capisce benissimo come il Van Heck abbia pre ferito mettere a testo le lezioni di R, confinando

quelle di C in apparato, ma anche si spiega la solu

zione opposta adottata dal Totaro, che considera

?ultima volonta? dell'autore la redazione corsinia na. Detto questo, e reso salomonico omaggio a due criteri inconciliabili, e da esaminare come il Van

Heck ha allestito la propria edizione.

Si osserva subito che la sua impostazione, che a prima vista puo sorprendere e che certo non e

la piu seguita dagli editori, presenta un notevole

vantaggio. II Van Heck, una volta scelto R come

testo base, ha dovuto decidere quale destino inflig gere non solo a C ma anche all'edizione romana

del 1548 (v), che dei Commentarii costituisce la vul

gata; qui si coglie una notevole differenza rispetto alia norma tradizionalmente invalsa, che condan

nerebbe v al silenzio in quanto testimone inutile per la costituzione del testo, quale in effetti e. Ma Pe

ditore ha imboccato un'altra strada e, consideran do di ?altra mano? le varianti di C e di v rispetto a R, ha stabilito il criterio seguente: ?In opere Pii

Pio restituendo omnes eas partes, quibus alia ma

nus interuenerit, litteris inclinatis imprimendas cu

raui ita, ut inspicientibus statim unoque obtutu

planum fiat, ubi et quotiens textus pronepotis re

cedat ab exemplari Reginensi; quae uero adulteri

na, seu mutata, seu alio quo modo corrupta exhibet

editio in apparatum reieci, quo magis Commenta

riorum fortuna legentibus innotesceret? (p. 11).

Dunque, come scelta programmatica, Pedizione Van

Heck si propone di favorire lo studio della fortuna

dell'opera, esibendo non solo come essa e stata scrit

ta, ma anche come e stata letta. Tutti coloro che si occupano della tradizione di un testo, e in defi

nitiva si interessano, piu che all'opera in se, a quel

l'opera come fonte di altre opere, sanno che edizioni

del tipo di questa preparata dal Van Heck riusci

rebbero di grande vantaggio, perche registrerebbe ro in apparato non solo le varianti utili per la

costituzione del testo ma anche quelle, assolutamen te da scartare da un punto di vista ecdotico, che

pero possono avere avuto, una volta introdottesi

nella tradizione, particolari echi in opere successi ve. Naturalmente un'impostazione di questo tipo e facilmente realizzabile quando si affrontano i

Commentarii di Pio II, che hanno avuto una for

tuna ridottissima; evidentemente la situazione mu

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352 RECENSIONI

terebbe con un autore classico, per esempio, di cui

sopravvivano centinaia di manoscritti e la cui for

tuna, nonche attenuarsi, si sia fatta ancor piu flu

viale nelPeta della stampa: in questo caso, che e

di gran lunga il piu comune, il metodo scelto dal

Van Heck risulterebbe di difficile applicazione, per che genererebbe apparati mostruosi e forse illeg

gibili. Ma le edizioni vanno giudicate caso per caso, e

per questo aspetto Pimpostazione del Van Heck, che in sostanza ha allestito Pedizione critica della

stampa del 1584, deve essere approvata. A mio parere, tuttavia, alPinteresse per la fortu

na delPopera doveva essere unita una pari atten

zione per cid che caratterizza un'edizione critica

moderna: intendo dire la storia del libro, il suo farsi, le diverse redazioni, i ripensamenti e le varianti d'au

tore. Questa parte del lavoro ecdotico e stata dal

Van Heck volutamente trascurata, pur in presenza di un testimone come R, che offre notevoli mate

riali stratificati in successive stesure. Giuseppe Ber

netti, che dei Commentarii e stato uno dei piu

agguerriti studiosi, aveva scritto quasi mezzo seco

lo fa: ?E facile ... immaginare quale largo campo di osservazioni offra il Reginense con le sue can

cellature, le sue aggiunte, le sue note interlineari

o nei margini, spesso di mano dello stesso Piccolo

mini?3; Peditore invece taglia corto e dichiara: ?Si uerum est, quod scribit Horatius, 'quandoque dor

mitare Homerum', quis est qui Pio pontifici, et ip si poetae, dormitanti non ignoscat? eos igitur errores, quod dormitanti menti aut ipsius aut libra

riorum attribuas, in apparatu critico non inuenis.

quae autem auctor inter dictandum uel in scriben

do correxit, ea commemorare non grauatus sum, si ipsam correctionem maioris momenti ad ipsius animum uel stilum cognoscendum iudicaui? (p. 8).

C'e da osservare che un conto e Pindulgenza del

Puomo di gusto verso i difetti formali, veri o pre sunti (e in ogni caso il piu delle volte opinabili) di un'opera, e un conto tutto diverso e il rigore docu

mentario che dalPeditore di un testo ci si attende.

II Van Heck, rinunciando a segnalare tutte le cor

rezioni e i ripensamenti presenti in R, priva il letto re della possibility di studiare il travaglio attraverso

il quale passo Pio II nel comporre la sua opera;

scegliendo poi di annotare in apparato le varianti

di maggior momento, introduce una valutazione

soggettiva in una materia che per sua natura do

vrebbe tendere alPoggettivita. Le belle tavole che

corredano Pedizione consentono di fare senza fati ca qualche esempio degli inconvenienti che il me

todo presenta. Si prenda la tav. 7, che riproduce il f. 38v, ?pars autographa cum emendationibus et

marginalibus autographis?, come si legge nella di

dascalia. I marginalia sono segnalati come tali nel

l'edizione, alle pp. 84-85, ma sorte diversa tocca

alle emendationes, si cui normalmente non si fa pa rola e che non riguardano banali trascorsi di pen na, ma la sostanza stessa del dettato. Cosi la frase ?ecce mors Nicolai V nuntiatur pontificis maximi, que telam longo iam tempore ordiri ceptam uno mo

menta interrupit (p. 8411. 27-29) riproduce il testo

definitivo, ma dopo 'telam' l'autografo presenta,

cancellate, le parole ?magnifice duc?, e ?ordiri cep tam? sostituisce nell'interlinea l'originario 'orsam'.

Ma il caso piu singolare si presenta poco piu in la, in un passo corrispondente alle 11. 9-12 di p. 85.

II testo, cosi come si legge nelP edizione, e il seguente: ?cardinales creauit septem, inter quos fratrem suum

assumpsit, Philippum bononiensem episcopum, ameno ingenio uirum et amici amicum; et facta

unione ecclesie ex his qui fuerant in scismate creati

recepit aliquos?. L'editore in apparato segnala:

?post septem del creaturum se plures promisit?, ?in

ter... unione sscr R? e ?ecclesie... aliquos add in

mg R?; la seconda annotazione non si presta ad osservazioni di nessun genere, ma la prima e la ter

za sono o parziali o reticenti: per quanto riguarda la prima, e da notare che Pio II non elimino solo

le parole indicate dall'editore, che occupano la se

conda meta di una riga, ma anche buona parte del

la riga seguente, cosicche le parole scartate risultano ?creaturum se plures promisit. multis et magnis ope ribus clarus felixque?; per quanto riguarda la ter

za, osservo che dopo 'creati' Pautore aveva scritto ?tres assump?, cancellato e sostituito con ?recepit

aliquos?. II papa voleva certo scrivere in un primo tempo ?tres assumpsit?, e ricordandosi di avere usa

to lo stesso verbo poco prima avra pensato di rim

piazzarlo con 'recepit': si tratta dunque di una

modifica di forma; ma non e puramente stilistica

la variante 'aliquos' rispetto a 'tres', perche senza

dubbio riflette l'imbarazzo del pontefice nel dar con

to in modo preciso delle vicende degli alti prelati durante e dopo il concilio. Quanti erano stati, in

fatti, i cardinali eletti nel periodo dello scisma e ac

cord da Nicolo V? Possiamo ricorrere alia nota 218 di pp. 1224-1225 dell'edizione del Totaro, dove fra

l'altro leggiamo: ?Dei cardinali basileesi accolse Lui

gi de la Palud..., Guglielmo d'Estaing e Giovanni

de Arsy... Reintegro Luigi Aleman, deposto da Eu

genio IV nel 1440; conferi la porpora ad Amedeo

VIII di Savoia, gia Felice V?. Tocchiamo qui un

altro punto che puo far discutere: il Van Heck non

ha annotato P opera corredandola di un commento

storico-culturale, ed e stato coerente fino al punto di non identificare neppure i personaggi che a cen

tinaia vengono citati da Pio II. E vero che la scel

ta, per quanto fastidiosa per il lettore, ha una sua

spiegazione nel fatto che l'editore puo aver deman

dato ad altri il compito di un commento adeguato,

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RECENSIONI 353

riservandosi di allestire la base testuale indispensa bile per il future- chiosatore; resta perd da spiegare come sia stato compilato V Index nominum, nel qua le sono censiti i nomi quali compaiono nel testo, senza alcun tentativo di facilitare la consultazione con rinvii interni e riunendo sotto una sola voce

i vari titoli con i quali un unico personaggio viene

citato. Mi limito a un solo esempio. Tutti sanno

quale importanza ebbe sotto Pio II il cardinale Ni

colo Forteguerri, pistoiese e legato al pontefice an

che da vincoli di parentela, ma la ricerca del suo

nome sotto la forma ?Forteguerri Nicolaus? o sot

to quella ?Nicolaus Forteguerri? e destinata al fal

limento: occorre cercare o ?Nicolaus S. Cec card?

(1 rinvio), o ?Cecilia, S.? (2 rinvii, di cui uno cor

risponde a quello della voce precedente), o ?Nico

laus Pistoriensis? (1 rinvio) o ?Theanensis? (26

rinvii). In tutto dunque 29 citazioni, raggiungibili soltanto da chi si ricordi il luogo d'origine del For

teguerri, il suo titolo cardinalizio e il nome vulgato derivante dalla precedente sede episcopale; ne e piu favorito chi, leggendo l'opera e imbattendosi nel

cardinale di S. Cecilia, abbia il desiderio di cono

scerne il nome e il cognome, perche l'indice non

l'aiuta. Da questo punto di vista l'edizione Tota

ro, con un sobrio commento e con un indice dei

nomi fornito dell'indispensabile apparato di rinvii, e certamente piu utilizzabile.

Si e aperta questa parentesi, che qui subito si chiu

de, solo per dire che a volte le varianti d'autore, come quel 'tres' mutato in 'aliquos' da cui siamo

partiti, si possono interpretare nella giusta luce so

lo con una conoscenza de fatti storici cui alludono; e in ogni caso le varianti, proprio perche sempre

possono essere significative, vanno senza eccezio ne registrate in apparato anche da un editore che

non voglia impegnarsi in un commento: anzi, so

prattutto da lui, perche comportandosi diversamente

sottrae al futuro commentatore gli elementi per una

spiegazione adeguata del testo.

Naturalmente, data l'imposizione del lavoro, il

Van Heck non si e impegnato nella ricerca e nella

segnalazione di abbozzi eventualmente rintraccia

bili in altri codici, come quello scoperto dal Ber

netti nel Chigiano J. VII.2514.

Si impone anche un ultimo rilievo. II Van Heck

ha adottato il criterio di mettere a testo la redazio ne conclusiva fra quelle testimoniate da R, ma an

che questo non sempre si verifica, certo per puro errore materiale del curatore. Esaminiamo la tav.

3, che riproduce il f. 47r del Reginense e leggiamo la trascrizione di pag. 94: ?multis arcibus et oppi dis ac latissimo dominio potens?; ma 'dominio', in una parte che la didascalia stessa definisce ?au

tographa manu Pii scripta et correcta?, e stato can

cellato e sostituito con 'imperio': una variante che

rimarra definitiva e comparira anche nel Corsinia no e nelle edizioni5.

In conclusione, ci troviamo di fronte a due volu mi che, accanto ad alcuni vantaggi, presentano ca

ratteristiche tali da mettere a disagio: non possiamo infatti parlare di edizione critica a pieno titolo, dal

momento che mancano quelle informazioni essen

ziali che la situazione dei manoscritti e degli studi consentiva di fornire; inoltre le imprecisione della

trascrizione e il criterio un po' avventuroso con cui e stato compilato l'indice dei nomi comprometto no la possibilita concreta da parte del lettore di en

trare nel vivo di un'opera che, come si accennava

all'inizio, e uno dei monumenti di quell'eta. Rimane la speranza che, nel rinato fervore degli

studi sull'umanesimo latino in genere e sulPopera di Pio II in specie, anche i Commentarii beneficino

di un'edizione adeguata, dopo quella, programma ticamente limitata nelle ambizioni, ma tanto piu uti

le, del Totaro, e questa, sostanzialmente sfortunata, del Van Heck: i tempi sembrano ormai maturi, e

in tale prospettiva anche Pimpresa qui sommaria mente esaminata puo costituire un'utile base di par tenza e di confronto.

Edoardo Fumagalli

1 Le Vite di Pio II, di G. A. Campano - B. Pla

tina, a cura di G. C. Zimolo, ?Rerum Italicarum

Scriptores?, III, II, Zanichelli, Bologna 1964, pp. 71-73. Si veda anche la nota 1 dello Zimolo alle

pp. 73-74.

2II Campano stesso, in una lettera che compa re alia fine dei Commentarii nel codice Corsinia

no, indirizzata al card. Iacopo Ammannati

Piccolomini nipote del papa e che il Totaro ripub blica alle pp. 2550-2568, dichiara: ?Facta est mini

ab eo [Pio II] potestas eiciendi quae supervacua,

corrigendi quae intorta viderentur, etiam illustran

di quae obscuriuscule dicta; sed ea visa est omnium

elegantia, is splendor, ut non solum aliena non

egeant manu ad augendam dignitatem, sed mani

festam afferant desperationem imitari cupientibus?

(p. 2568). Sono le righe finali delPepistola, e pon

gono da sole un problema. Esse seguono una ser

rata rassegna di opere del pontefice, e dunque a

rigore potrebbero riferirsi non ai Commentarii, o

non solo ad essi, ma alia produzione letteraria in

genere approvata da Pio II negli ultimi anni; d'al

tra parte sconsigliano e anzi escludono una simile

interpretazione estensiva Pessere Pepistola una sorta

di postfazione ai Commentarii e il suo riferirsi a

quest'opera in modo del tutto particolare. Per que sto si ha motivo di ritenere che la frase qui riporta ta alluda proprio alia fatica estrema del pontefice,

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354 RECENSIONI

e di interpretarla come una forma di elegante omag

gio a Pio II, del resto ancor vivo, ma non del tutto

veritiera: il Campano, secondo la ricostruzione piu

probabile, avrebbe infatti obbedito alPordine di cui

parla nelPepistola e piu velatamente nella Vita Pii, e sarebbe intervenuto limando il testo dei Com

mentarii. 3 G. Bernetti, Ricerche e problemi nei Com

mentarii di Enea Silvio Piccolomini, ?La Rinasci

ta?, II (1939), p. 452. 4 Ibid., pp. 452-453.

5 Si veda anche, a questo proposito, quanto ha

rilevato R. Ceserani nel suo fondamentale contri

bute pubblicato nella rubrica ?Rassegna bibliogra fica? del ?Giornale storico della Letteratura

italiana?, CXLI (1964), p. 277 e n. 1.

L. Olivteri, Certezza e gerarchia del sapere. Crisi

delVidea di scientificita nelVaristotelismo del se

colo XVI. Con un'appendice di testi inediti di

PomponazzU Pendasio, Cremonini, ?Saggi e te

sti?, 20, Antenore, Padova 1983. Un volume di

pp. 210.

Come POlivieri dichiara nell'Awertenza, costi

tuiscono il libro alcuni contributi riuniti per con

correre a cogliere i caratteri della crisi delPidea di

scientificita nelParistotelismo del XVI secolo, e ar

rivare cosi a prospettare le linee del nuovo atteg

giamento, incarnato da Galileo. I contributi sono

sistemati in due parti. Neirintento delPAutore, la

prima dovrebbe mirare air analisi dei momenti in

cui si manifesta la contrapposizione tra le due con

cezioni, quella aristotelica e quella critica delPari

stotelismo, e a rilevare gli estremi tentativi di difesa

delFaristotelismo operati mediante il riassetto dei

nuclei fondamentali della teoria della scienza, co

me e appunto il criterio di classificazione delle scien ze. La seconda parte, invece, avrebbe il compito di far vedere le spinte disgregatrici originatesi pro

prio alTinterno della concezione tradizionale, iden

tificabile non del tutto propriamente come

aristotelica (ma gia Galileo aveva ridotto la que stione a questi termini). Al confronto fra le posi zioni e dedicato il primo capitolo (?Esperienza e discorso nel rapporto fra Galileo e Paristotelismo?,

pp. 29-65). Accolto Pinvito di Garin a vedere come

dialettico il rapporto fra Galileo e Paristotelismo

contemporaneo, POlivieri ne chiarisce i termini e

il senso, per passare ad analizzare il nodo del con

fronto: ?anteporre Pesperienza a qualsivoglia di scorso? ? come enuncia Galileo, anche con

Pintenzione di recuperare il genuino pensiero di Ari

stotele ?, oppure rimanere alPinterno della meto

dologia scientifica, ormai sterile, del sistema degli aristotelici, scientificita garantita dalla certitudo de monstrations e dalla natura del subiectum. Come

interlocutore ideale non pud valere il Simplicio ga

lileiano, e POlivieri lo individua in Zabarella, nella sua matura riflessione e nella sua accuratezza filo

logica. II capitolo secondo (?Tradizione aristoteli ca e gerarchia del sapere?, pp. 66-114) estende

Pindagine alia problematica della classificazione del

le scienze e alia gerarchia del sapere, sempre con

riferimento prevalente allo Zabarella, ma anche al

Pendasio, al Barozzi, al Catena, al Tomitano. II

primo dei due capitoli della seconda parte riporta P attenzione sulle lezioni inedite del Pomponazzi commentatore del De anima a Padova nel 1503-1504

(?La scientificita della teoria delP anima nelPinse

gnamento padovano di Pietro Pomponazzi?, pp.

117-133). II prologo al De anima, assieme ad Anal.

Post., 1,19, era stato fin dal Medioevo il luogo pri

vilegiato della discussione sulla certitudo delle scien ze. Pur rilevando che Pomponazzi si muove nel solco

della tradizione medievale e averroistica dell'ese

gesi del prologo al De anima, Olivieri ritiene che

?per il naturalis mantovano, la ripresa dei termini

della problematica e delle sue stesse linee di solu

zione, mira in definitiva alPaffermazione di orien

tamenti radicalmente divergenti da quelli genuinamente propri delPaverroismo? (pp. 128-129); valutazione che ? quand'anche rispon dente al vero ? non risulta al lettore suffragata e corroborata, perche Pindagine non si spinge ol tre questo testo del Pomponazzi. L'ultimo capito lo (?Crisi del sapere tradizionale e idea della filosofia in Galileo?, pp. 134-160) considera il problema della

gerarchia delle scienze dall'interno del dibattito sul Puso delle matematiche nelP ambito della filosofia naturale (principalmente Pastronomia), seguendo Galileo e il Clavio. Dopo la conclusione, le appen dici A e B offrono rispettivamente excerpta delle

lezioni del Pomponazzi (ms. Napoli, Bibl. Naz.,

VIII.D.81, ff. 90v-93r; circa questo ms. non si men

ziona Particolo di M.R. Pagnoni Sturlese, I corsi

universitari di Pietro Pomponazzi e il ms. Neap. VIIID 81, ?Annali della Scuola Normale Superio re di Pisa?, Classe di lettere e filosofia, ser. Ill, VII, 1977, pp. 801-842), e del Pendasio (ms. Pado

va, Bibl. Univ., 1264, pp. 58-67) sui prologo al De

anima, e ancora del Pendasio e del Cremonini (ms. Padova, Bibl. Univ., 200 (1), ff. 61r-68v, da cor

reggere in 64r come risulterebbe a p. 202) sull'in

telletto agente. Nonostante i riferimenti siano puntuali e la do

cumentazione eccellente ed erudita, al termine del

la lettura non riesce di superare una perplessita di

fondo, forse un senso di incompiutezza, che a mio

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