pii ii commentarii rerum memorabilium que temporibus suis contigerunt, «studi e testi», 312-313by...
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Pii II Commentarii rerum memorabilium que temporibus suis contigerunt, «Studi e Testi»,312-313 by A. Van HeckReview by: Edoardo FumagalliAevum, Anno 60, Fasc. 2 (maggio-agosto 1986), pp. 350-354Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro CuoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/20858087 .
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350 RECENSIONI
Si noti la maggior adesione al testo inglese nella
traduzione di Pezzini. Interessante e il verbo trave
lye su cui lo stesso autore si sofferma in nota sotto
lineando l'ambivalenza semantica del termine come
?lavorare? e come ?viaggiare?; su tale ambivalen
za Giuliana giocherebbe apposta per evidenziare la
passione di Gesu e quindi il Suo ?viaggio travagliato, cioe la Sua missione su questa terra? (cfr. Pezzini, n. 187, p. 224). L'inglese a newyd, forma abba
stanza peculiare, perche se si rifa al verbo anew
avrebbe il significato di ?rinnovato?; in realta de
ve essere inteso come newly appointed nel senso di
?appena assunto?, ?assunto di recente? (cfr. Col
ledge and Walsh, n. 138, p. 529). Risulta, pertan
to, perfettamente calzante la traduzione di Pezzini.
A questo punto non resta che ringraziare 1'auto
re per aver dato anche al lettore italiano che non
e in grado di accedere direttamente al testo inglese la possibilita di accostarsi in maniera aderente a que ste pagine. Per gli esperti di letteratura inglese e
di storia della lingua inglese questo volume e senza
dubbio un invito a scoprire e studiare sui piano let
terario e linguistico anche le opere di autori meno
noti, lasciati spesso immeritatamente nell'ombra, come testimoni di una particolare corrente cultu
ral e di un particolare momento nelPevoluzione
della lingua.
Paola Tornaghi
Pn II Commentarii rerum memorabilium que tem
poribus suis contigerunt, ad codicum fidem nunc
primum editi ab A. Van Heck, ?Studi e Testi?,
312-313, Biblioteca Apostolica Vaticana, Citta del
Vaticano 1984. Due volumi di complessive pp. 858.
?Nunc primum editi?: per uno strano gioco del
destino questo pregio della novita, che fin dal fron
tespizio viene esibito come uno dei titoli di merito
dell'operazione editoriale e che Fegregio curatore
ribadisce all'inizio della sua introduzione (?Quam in manibus tenes, lector beneuole, editionem Com
mentariorum... uere et proprie principem uocare
non uereor?: p. 5), e stato appannato dalla pubbli cazione quasi contemporanea della stessa opera, ac
compagnata dalla traduzione italiana, a cura di Luigi Totaro (Enea Silvio Piccolomini -
Papa Pio II, I
Commentari, Adelphi, Milano 1984), il quale, la
vorando indipendentemente dal Van Heck e presu mibilmente anche alPoscuro del lavoro parallelo, ha presentato la propria fatica con parole analo
ghe a quelle usate dal collega (?La presente edizio ne viene cosi a restituire per la prima volta il testo
integrate dei Commentarii di Pio II?: p. XI). Caso
raro e forse unico di un testo che sempre piu appa re centrale per la comprensione di larga parte della storia e della cultura del medio Quattrocento, ma
trascurato, e al solito piu citato che letto, per cin
que secoli abbondanti, e dopo mezzo millennio fi
nalmente riemerso in due edizioni contemporanee. Vero e che il lavoro e stato condotto dagli studiosi in modo notevolmente diverso, cosicche spesso i ri
sultati sono complementari: e tuttavia inevitabile
Pimpressione di uno spreco di energie che un mi
gliore coordinamento avrebbe potuto evitare, e che
appare ancor piu sorprendente in quanto riferito a un autore e a un'opera che certo possono offrire
materia di scavo e di interpretazione, nonche a due
persone, a una squadra di specialisti. Non e qui mio intendimento riferire sulPedizio
ne del Totaro, se non per cio che la caratterizza
rispetto a quella del Van Heck, che resta Poggetto di queste pagine; e le differenze sono subito evi
denti, proprio a cominciare dal primo problema che
qualunque editore si trova ad affrontare: la scelta del testimone da usare come base per il proprio lavoro.
E noto che le edizioni a stampa, a cominciare
da quella romana del 1584, avevano profondamente falsato il testo, sopprimendo mutando aggiungen do, perche il promotore dell'impresa, il vescovo di
Siena Francesco Bandini Piccolomini, al culto per 11 grande congiunto aveva unito circospezioni det tate dalla situazione della Chiesa e dai sempre pos sibili risentimenti di rampolli di illustri casati di
fronte alle parole spesso assai crude usate in diver se circostanze da Pii II; anche si sa che delPopera
soprawivono due codici principali: il Reginense La
tino 1995 della Biblioteca Vaticana, parzialmente autografo e comunque rivisto, nelle parti non au
tografe, dallo stesso pontefice e dal suo segretario
Agostino Patrizi, e il Corsiniano 147 della Biblio teca delPAccademia dei Lincei, finito di copiare il
12 giugno 1464, per ordine di Pio II che sarebbe
morto il 15 agosto di quell'anno, da Giovanni Go
bellino. II Corsiniano (C) e dunque posteriore al
Reginense (R), da cui si stacca in piu di un punto; sembra percio a prima vista del tutto giustificata la scelta del Totaro di porre C a base della propria
edizione, in quanto questa soluzione ?rispetta il ca
rattere di volonta ultima delP Autore che esso rive
ste, pur rimanendo certa Pimportanza del Reginense 1995 come testimonianza delle diverse fasi di com
posizione delP opera e, naturalmente, per una con
clusiva edizione critica? (pp. XXIV-XXV della sua
ed.). Ma il problema e complicato dal fatto che nel
Pallestimento di C e intervenuto, per incarico dello
stesso pontefice, Giovanni Antonio Campano co
me revisore dello stile, essendo Pio II nell'impossi bilita di provvedere da se, impegnato com'era nei
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RECENSIONI 351
preparativi della crociata: dal momento che C non
e stato esemplato su R e dal momento che tra i due
manoscritti ne esistette certamente un altro, presu mibilmente perduto, e impossibile stabilire se tutte le varianti del Corsiniano rispetto al Reginense sia no da attribuire agli interventi del Campano o se
si possa ipotizzare un'ulteriore fase di elaborazio ne del testo da parte del papa, che, successiva a R e dunque a questo estranea, sarebbe pero confluita
in C. In ogni caso siamo certi che il testo, cosi co
me appare in C, non e tutto opera dell'autore, ma
risente del lavoro di lima operato dal Campano: Pio II pote conoscere gli interventi dell'umanista?
la redazione presente in C, pur non essendo inte
gralmente opera del papa, fu perd da questi appro vata ed e dunque da considerare autenticata, se non
proprio autentica?
Nel rispondere a domande di questo genere il To taro e il Van Heck divergono sostanzialmente: per il primo, come si e visto, C rappresenta dawero il punto di arrivo del travaglio di Pio II intorno
alia propria opera, mentre per il secondo solo R
conserva un testo sicuramente dettato o scritto, e
comunque criticamente accolto, dall'autore. Dichia
ra infatti il Van Heck a proposito delle differenze di C rispetto a R: ?quae emendationes an Campa no assignandae sint in medio relinquens, Pium dic
tantem respiciens lectiones quas Reginensis, id est
primum propriumque exemplar, praebet praeferen das iudicaui? (p. 10). Egli preferisce, insomma, al
possibile il certo, anche sul fondamento di un'altra
considerazione. Noi sappiamo, perche lo racconta
lo stesso Campano, che il pontefice non voleva che
l'opera fosse divulgata senza che fosse sottoposta a revisione: ?Rerum sui temporis in Italia gestarum libros duodecim, quod opus nondum assolutum cum
vita finivit vetuitque publicari, nisi emendaretur? l; se il Campano, come generalmente e fondatamen
te si ritiene, intervenne sul testo dei Commentarii,
quanto tempo ebbe a disposizione il pontefice per
esprimere un giudizio sull'operato dell'amico uma
nista2? Pio II avra certamente desiderato esamina re l'opera ripulita dal Campano: ma ne ebbe, in
concreto, la possibility? ?Dies enim ? annota il
Van Heck a p. 9 riferendosi a C ? quo sit perfec tus, indicatus plane demonstrat eum duobus men
sibus ante diem 15 Augusti eiusdem anni, quo die
pontifex Anconae morte obiit, ad finem esse per ductum. ut putemus igitur auctori eique librorum
amantissimo copiam et facultatem inspiciendi huius
libri non fuisse, nullo modo adduci possum, spa tium autem temporis, quo ipsi huic codici uacare
licuit, perexiguum habendum est; parabat enim pro ficisci in illud bellum, quod pro fidei defensione cum Turcis erat gesturus?.
Vero e che non e detto che Pio II potesse conosce
re il lavoro del Campano solo dal manoscritto Cor
siniano: questo e una copia in pulito, e si puo crede re che Pumanista gia in precedenza avesse presen tato al papa i frutti della propria fatica, in forma
piu dimessa; ma allora le ipotesi si accavallano alle
ipotesi e la costruzione che ne risulta e certo sugge
stiva, ma non ha il pregio della solidita, basandosi in ogni passaggio sui criterio della verosimiglianza.
Si capisce benissimo come il Van Heck abbia pre ferito mettere a testo le lezioni di R, confinando
quelle di C in apparato, ma anche si spiega la solu
zione opposta adottata dal Totaro, che considera
?ultima volonta? dell'autore la redazione corsinia na. Detto questo, e reso salomonico omaggio a due criteri inconciliabili, e da esaminare come il Van
Heck ha allestito la propria edizione.
Si osserva subito che la sua impostazione, che a prima vista puo sorprendere e che certo non e
la piu seguita dagli editori, presenta un notevole
vantaggio. II Van Heck, una volta scelto R come
testo base, ha dovuto decidere quale destino inflig gere non solo a C ma anche all'edizione romana
del 1548 (v), che dei Commentarii costituisce la vul
gata; qui si coglie una notevole differenza rispetto alia norma tradizionalmente invalsa, che condan
nerebbe v al silenzio in quanto testimone inutile per la costituzione del testo, quale in effetti e. Ma Pe
ditore ha imboccato un'altra strada e, consideran do di ?altra mano? le varianti di C e di v rispetto a R, ha stabilito il criterio seguente: ?In opere Pii
Pio restituendo omnes eas partes, quibus alia ma
nus interuenerit, litteris inclinatis imprimendas cu
raui ita, ut inspicientibus statim unoque obtutu
planum fiat, ubi et quotiens textus pronepotis re
cedat ab exemplari Reginensi; quae uero adulteri
na, seu mutata, seu alio quo modo corrupta exhibet
editio in apparatum reieci, quo magis Commenta
riorum fortuna legentibus innotesceret? (p. 11).
Dunque, come scelta programmatica, Pedizione Van
Heck si propone di favorire lo studio della fortuna
dell'opera, esibendo non solo come essa e stata scrit
ta, ma anche come e stata letta. Tutti coloro che si occupano della tradizione di un testo, e in defi
nitiva si interessano, piu che all'opera in se, a quel
l'opera come fonte di altre opere, sanno che edizioni
del tipo di questa preparata dal Van Heck riusci
rebbero di grande vantaggio, perche registrerebbe ro in apparato non solo le varianti utili per la
costituzione del testo ma anche quelle, assolutamen te da scartare da un punto di vista ecdotico, che
pero possono avere avuto, una volta introdottesi
nella tradizione, particolari echi in opere successi ve. Naturalmente un'impostazione di questo tipo e facilmente realizzabile quando si affrontano i
Commentarii di Pio II, che hanno avuto una for
tuna ridottissima; evidentemente la situazione mu
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terebbe con un autore classico, per esempio, di cui
sopravvivano centinaia di manoscritti e la cui for
tuna, nonche attenuarsi, si sia fatta ancor piu flu
viale nelPeta della stampa: in questo caso, che e
di gran lunga il piu comune, il metodo scelto dal
Van Heck risulterebbe di difficile applicazione, per che genererebbe apparati mostruosi e forse illeg
gibili. Ma le edizioni vanno giudicate caso per caso, e
per questo aspetto Pimpostazione del Van Heck, che in sostanza ha allestito Pedizione critica della
stampa del 1584, deve essere approvata. A mio parere, tuttavia, alPinteresse per la fortu
na delPopera doveva essere unita una pari atten
zione per cid che caratterizza un'edizione critica
moderna: intendo dire la storia del libro, il suo farsi, le diverse redazioni, i ripensamenti e le varianti d'au
tore. Questa parte del lavoro ecdotico e stata dal
Van Heck volutamente trascurata, pur in presenza di un testimone come R, che offre notevoli mate
riali stratificati in successive stesure. Giuseppe Ber
netti, che dei Commentarii e stato uno dei piu
agguerriti studiosi, aveva scritto quasi mezzo seco
lo fa: ?E facile ... immaginare quale largo campo di osservazioni offra il Reginense con le sue can
cellature, le sue aggiunte, le sue note interlineari
o nei margini, spesso di mano dello stesso Piccolo
mini?3; Peditore invece taglia corto e dichiara: ?Si uerum est, quod scribit Horatius, 'quandoque dor
mitare Homerum', quis est qui Pio pontifici, et ip si poetae, dormitanti non ignoscat? eos igitur errores, quod dormitanti menti aut ipsius aut libra
riorum attribuas, in apparatu critico non inuenis.
quae autem auctor inter dictandum uel in scriben
do correxit, ea commemorare non grauatus sum, si ipsam correctionem maioris momenti ad ipsius animum uel stilum cognoscendum iudicaui? (p. 8).
C'e da osservare che un conto e Pindulgenza del
Puomo di gusto verso i difetti formali, veri o pre sunti (e in ogni caso il piu delle volte opinabili) di un'opera, e un conto tutto diverso e il rigore docu
mentario che dalPeditore di un testo ci si attende.
II Van Heck, rinunciando a segnalare tutte le cor
rezioni e i ripensamenti presenti in R, priva il letto re della possibility di studiare il travaglio attraverso
il quale passo Pio II nel comporre la sua opera;
scegliendo poi di annotare in apparato le varianti
di maggior momento, introduce una valutazione
soggettiva in una materia che per sua natura do
vrebbe tendere alPoggettivita. Le belle tavole che
corredano Pedizione consentono di fare senza fati ca qualche esempio degli inconvenienti che il me
todo presenta. Si prenda la tav. 7, che riproduce il f. 38v, ?pars autographa cum emendationibus et
marginalibus autographis?, come si legge nella di
dascalia. I marginalia sono segnalati come tali nel
l'edizione, alle pp. 84-85, ma sorte diversa tocca
alle emendationes, si cui normalmente non si fa pa rola e che non riguardano banali trascorsi di pen na, ma la sostanza stessa del dettato. Cosi la frase ?ecce mors Nicolai V nuntiatur pontificis maximi, que telam longo iam tempore ordiri ceptam uno mo
menta interrupit (p. 8411. 27-29) riproduce il testo
definitivo, ma dopo 'telam' l'autografo presenta,
cancellate, le parole ?magnifice duc?, e ?ordiri cep tam? sostituisce nell'interlinea l'originario 'orsam'.
Ma il caso piu singolare si presenta poco piu in la, in un passo corrispondente alle 11. 9-12 di p. 85.
II testo, cosi come si legge nelP edizione, e il seguente: ?cardinales creauit septem, inter quos fratrem suum
assumpsit, Philippum bononiensem episcopum, ameno ingenio uirum et amici amicum; et facta
unione ecclesie ex his qui fuerant in scismate creati
recepit aliquos?. L'editore in apparato segnala:
?post septem del creaturum se plures promisit?, ?in
ter... unione sscr R? e ?ecclesie... aliquos add in
mg R?; la seconda annotazione non si presta ad osservazioni di nessun genere, ma la prima e la ter
za sono o parziali o reticenti: per quanto riguarda la prima, e da notare che Pio II non elimino solo
le parole indicate dall'editore, che occupano la se
conda meta di una riga, ma anche buona parte del
la riga seguente, cosicche le parole scartate risultano ?creaturum se plures promisit. multis et magnis ope ribus clarus felixque?; per quanto riguarda la ter
za, osservo che dopo 'creati' Pautore aveva scritto ?tres assump?, cancellato e sostituito con ?recepit
aliquos?. II papa voleva certo scrivere in un primo tempo ?tres assumpsit?, e ricordandosi di avere usa
to lo stesso verbo poco prima avra pensato di rim
piazzarlo con 'recepit': si tratta dunque di una
modifica di forma; ma non e puramente stilistica
la variante 'aliquos' rispetto a 'tres', perche senza
dubbio riflette l'imbarazzo del pontefice nel dar con
to in modo preciso delle vicende degli alti prelati durante e dopo il concilio. Quanti erano stati, in
fatti, i cardinali eletti nel periodo dello scisma e ac
cord da Nicolo V? Possiamo ricorrere alia nota 218 di pp. 1224-1225 dell'edizione del Totaro, dove fra
l'altro leggiamo: ?Dei cardinali basileesi accolse Lui
gi de la Palud..., Guglielmo d'Estaing e Giovanni
de Arsy... Reintegro Luigi Aleman, deposto da Eu
genio IV nel 1440; conferi la porpora ad Amedeo
VIII di Savoia, gia Felice V?. Tocchiamo qui un
altro punto che puo far discutere: il Van Heck non
ha annotato P opera corredandola di un commento
storico-culturale, ed e stato coerente fino al punto di non identificare neppure i personaggi che a cen
tinaia vengono citati da Pio II. E vero che la scel
ta, per quanto fastidiosa per il lettore, ha una sua
spiegazione nel fatto che l'editore puo aver deman
dato ad altri il compito di un commento adeguato,
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RECENSIONI 353
riservandosi di allestire la base testuale indispensa bile per il future- chiosatore; resta perd da spiegare come sia stato compilato V Index nominum, nel qua le sono censiti i nomi quali compaiono nel testo, senza alcun tentativo di facilitare la consultazione con rinvii interni e riunendo sotto una sola voce
i vari titoli con i quali un unico personaggio viene
citato. Mi limito a un solo esempio. Tutti sanno
quale importanza ebbe sotto Pio II il cardinale Ni
colo Forteguerri, pistoiese e legato al pontefice an
che da vincoli di parentela, ma la ricerca del suo
nome sotto la forma ?Forteguerri Nicolaus? o sot
to quella ?Nicolaus Forteguerri? e destinata al fal
limento: occorre cercare o ?Nicolaus S. Cec card?
(1 rinvio), o ?Cecilia, S.? (2 rinvii, di cui uno cor
risponde a quello della voce precedente), o ?Nico
laus Pistoriensis? (1 rinvio) o ?Theanensis? (26
rinvii). In tutto dunque 29 citazioni, raggiungibili soltanto da chi si ricordi il luogo d'origine del For
teguerri, il suo titolo cardinalizio e il nome vulgato derivante dalla precedente sede episcopale; ne e piu favorito chi, leggendo l'opera e imbattendosi nel
cardinale di S. Cecilia, abbia il desiderio di cono
scerne il nome e il cognome, perche l'indice non
l'aiuta. Da questo punto di vista l'edizione Tota
ro, con un sobrio commento e con un indice dei
nomi fornito dell'indispensabile apparato di rinvii, e certamente piu utilizzabile.
Si e aperta questa parentesi, che qui subito si chiu
de, solo per dire che a volte le varianti d'autore, come quel 'tres' mutato in 'aliquos' da cui siamo
partiti, si possono interpretare nella giusta luce so
lo con una conoscenza de fatti storici cui alludono; e in ogni caso le varianti, proprio perche sempre
possono essere significative, vanno senza eccezio ne registrate in apparato anche da un editore che
non voglia impegnarsi in un commento: anzi, so
prattutto da lui, perche comportandosi diversamente
sottrae al futuro commentatore gli elementi per una
spiegazione adeguata del testo.
Naturalmente, data l'imposizione del lavoro, il
Van Heck non si e impegnato nella ricerca e nella
segnalazione di abbozzi eventualmente rintraccia
bili in altri codici, come quello scoperto dal Ber
netti nel Chigiano J. VII.2514.
Si impone anche un ultimo rilievo. II Van Heck
ha adottato il criterio di mettere a testo la redazio ne conclusiva fra quelle testimoniate da R, ma an
che questo non sempre si verifica, certo per puro errore materiale del curatore. Esaminiamo la tav.
3, che riproduce il f. 47r del Reginense e leggiamo la trascrizione di pag. 94: ?multis arcibus et oppi dis ac latissimo dominio potens?; ma 'dominio', in una parte che la didascalia stessa definisce ?au
tographa manu Pii scripta et correcta?, e stato can
cellato e sostituito con 'imperio': una variante che
rimarra definitiva e comparira anche nel Corsinia no e nelle edizioni5.
In conclusione, ci troviamo di fronte a due volu mi che, accanto ad alcuni vantaggi, presentano ca
ratteristiche tali da mettere a disagio: non possiamo infatti parlare di edizione critica a pieno titolo, dal
momento che mancano quelle informazioni essen
ziali che la situazione dei manoscritti e degli studi consentiva di fornire; inoltre le imprecisione della
trascrizione e il criterio un po' avventuroso con cui e stato compilato l'indice dei nomi comprometto no la possibilita concreta da parte del lettore di en
trare nel vivo di un'opera che, come si accennava
all'inizio, e uno dei monumenti di quell'eta. Rimane la speranza che, nel rinato fervore degli
studi sull'umanesimo latino in genere e sulPopera di Pio II in specie, anche i Commentarii beneficino
di un'edizione adeguata, dopo quella, programma ticamente limitata nelle ambizioni, ma tanto piu uti
le, del Totaro, e questa, sostanzialmente sfortunata, del Van Heck: i tempi sembrano ormai maturi, e
in tale prospettiva anche Pimpresa qui sommaria mente esaminata puo costituire un'utile base di par tenza e di confronto.
Edoardo Fumagalli
1 Le Vite di Pio II, di G. A. Campano - B. Pla
tina, a cura di G. C. Zimolo, ?Rerum Italicarum
Scriptores?, III, II, Zanichelli, Bologna 1964, pp. 71-73. Si veda anche la nota 1 dello Zimolo alle
pp. 73-74.
2II Campano stesso, in una lettera che compa re alia fine dei Commentarii nel codice Corsinia
no, indirizzata al card. Iacopo Ammannati
Piccolomini nipote del papa e che il Totaro ripub blica alle pp. 2550-2568, dichiara: ?Facta est mini
ab eo [Pio II] potestas eiciendi quae supervacua,
corrigendi quae intorta viderentur, etiam illustran
di quae obscuriuscule dicta; sed ea visa est omnium
elegantia, is splendor, ut non solum aliena non
egeant manu ad augendam dignitatem, sed mani
festam afferant desperationem imitari cupientibus?
(p. 2568). Sono le righe finali delPepistola, e pon
gono da sole un problema. Esse seguono una ser
rata rassegna di opere del pontefice, e dunque a
rigore potrebbero riferirsi non ai Commentarii, o
non solo ad essi, ma alia produzione letteraria in
genere approvata da Pio II negli ultimi anni; d'al
tra parte sconsigliano e anzi escludono una simile
interpretazione estensiva Pessere Pepistola una sorta
di postfazione ai Commentarii e il suo riferirsi a
quest'opera in modo del tutto particolare. Per que sto si ha motivo di ritenere che la frase qui riporta ta alluda proprio alia fatica estrema del pontefice,
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354 RECENSIONI
e di interpretarla come una forma di elegante omag
gio a Pio II, del resto ancor vivo, ma non del tutto
veritiera: il Campano, secondo la ricostruzione piu
probabile, avrebbe infatti obbedito alPordine di cui
parla nelPepistola e piu velatamente nella Vita Pii, e sarebbe intervenuto limando il testo dei Com
mentarii. 3 G. Bernetti, Ricerche e problemi nei Com
mentarii di Enea Silvio Piccolomini, ?La Rinasci
ta?, II (1939), p. 452. 4 Ibid., pp. 452-453.
5 Si veda anche, a questo proposito, quanto ha
rilevato R. Ceserani nel suo fondamentale contri
bute pubblicato nella rubrica ?Rassegna bibliogra fica? del ?Giornale storico della Letteratura
italiana?, CXLI (1964), p. 277 e n. 1.
L. Olivteri, Certezza e gerarchia del sapere. Crisi
delVidea di scientificita nelVaristotelismo del se
colo XVI. Con un'appendice di testi inediti di
PomponazzU Pendasio, Cremonini, ?Saggi e te
sti?, 20, Antenore, Padova 1983. Un volume di
pp. 210.
Come POlivieri dichiara nell'Awertenza, costi
tuiscono il libro alcuni contributi riuniti per con
correre a cogliere i caratteri della crisi delPidea di
scientificita nelParistotelismo del XVI secolo, e ar
rivare cosi a prospettare le linee del nuovo atteg
giamento, incarnato da Galileo. I contributi sono
sistemati in due parti. Neirintento delPAutore, la
prima dovrebbe mirare air analisi dei momenti in
cui si manifesta la contrapposizione tra le due con
cezioni, quella aristotelica e quella critica delPari
stotelismo, e a rilevare gli estremi tentativi di difesa
delFaristotelismo operati mediante il riassetto dei
nuclei fondamentali della teoria della scienza, co
me e appunto il criterio di classificazione delle scien ze. La seconda parte, invece, avrebbe il compito di far vedere le spinte disgregatrici originatesi pro
prio alTinterno della concezione tradizionale, iden
tificabile non del tutto propriamente come
aristotelica (ma gia Galileo aveva ridotto la que stione a questi termini). Al confronto fra le posi zioni e dedicato il primo capitolo (?Esperienza e discorso nel rapporto fra Galileo e Paristotelismo?,
pp. 29-65). Accolto Pinvito di Garin a vedere come
dialettico il rapporto fra Galileo e Paristotelismo
contemporaneo, POlivieri ne chiarisce i termini e
il senso, per passare ad analizzare il nodo del con
fronto: ?anteporre Pesperienza a qualsivoglia di scorso? ? come enuncia Galileo, anche con
Pintenzione di recuperare il genuino pensiero di Ari
stotele ?, oppure rimanere alPinterno della meto
dologia scientifica, ormai sterile, del sistema degli aristotelici, scientificita garantita dalla certitudo de monstrations e dalla natura del subiectum. Come
interlocutore ideale non pud valere il Simplicio ga
lileiano, e POlivieri lo individua in Zabarella, nella sua matura riflessione e nella sua accuratezza filo
logica. II capitolo secondo (?Tradizione aristoteli ca e gerarchia del sapere?, pp. 66-114) estende
Pindagine alia problematica della classificazione del
le scienze e alia gerarchia del sapere, sempre con
riferimento prevalente allo Zabarella, ma anche al
Pendasio, al Barozzi, al Catena, al Tomitano. II
primo dei due capitoli della seconda parte riporta P attenzione sulle lezioni inedite del Pomponazzi commentatore del De anima a Padova nel 1503-1504
(?La scientificita della teoria delP anima nelPinse
gnamento padovano di Pietro Pomponazzi?, pp.
117-133). II prologo al De anima, assieme ad Anal.
Post., 1,19, era stato fin dal Medioevo il luogo pri
vilegiato della discussione sulla certitudo delle scien ze. Pur rilevando che Pomponazzi si muove nel solco
della tradizione medievale e averroistica dell'ese
gesi del prologo al De anima, Olivieri ritiene che
?per il naturalis mantovano, la ripresa dei termini
della problematica e delle sue stesse linee di solu
zione, mira in definitiva alPaffermazione di orien
tamenti radicalmente divergenti da quelli genuinamente propri delPaverroismo? (pp. 128-129); valutazione che ? quand'anche rispon dente al vero ? non risulta al lettore suffragata e corroborata, perche Pindagine non si spinge ol tre questo testo del Pomponazzi. L'ultimo capito lo (?Crisi del sapere tradizionale e idea della filosofia in Galileo?, pp. 134-160) considera il problema della
gerarchia delle scienze dall'interno del dibattito sul Puso delle matematiche nelP ambito della filosofia naturale (principalmente Pastronomia), seguendo Galileo e il Clavio. Dopo la conclusione, le appen dici A e B offrono rispettivamente excerpta delle
lezioni del Pomponazzi (ms. Napoli, Bibl. Naz.,
VIII.D.81, ff. 90v-93r; circa questo ms. non si men
ziona Particolo di M.R. Pagnoni Sturlese, I corsi
universitari di Pietro Pomponazzi e il ms. Neap. VIIID 81, ?Annali della Scuola Normale Superio re di Pisa?, Classe di lettere e filosofia, ser. Ill, VII, 1977, pp. 801-842), e del Pendasio (ms. Pado
va, Bibl. Univ., 1264, pp. 58-67) sui prologo al De
anima, e ancora del Pendasio e del Cremonini (ms. Padova, Bibl. Univ., 200 (1), ff. 61r-68v, da cor
reggere in 64r come risulterebbe a p. 202) sull'in
telletto agente. Nonostante i riferimenti siano puntuali e la do
cumentazione eccellente ed erudita, al termine del
la lettura non riesce di superare una perplessita di
fondo, forse un senso di incompiutezza, che a mio
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