penna libera tutti - n. 5 del 24 febbraio 2013

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Redazione della Casa Circondariale di Villa Fastiggi - Str. di Fontesecco, 88 - 61122 Pesaro (PU) - Anno II - Numero 5 del 24 febbraio 2013 CONTATTI [email protected] - tel 0721/64052 fax 0721/69453 P amico il nuovo enna libera tutti V ivere in carcere costa. E non solo allo Stato. Certo, allo Stato costa. In media, negli ultimi dieci anni, poco più di 138 euro al giorno (oltre 4mila Euro al mese), considerando tutte le voci di spesa, incluse quelle per il personale, che incidono per circa l’80%. Lo Stato infatti è tenuto a provvedere alle spese per l’esecuzione delle pene, in via generale ed in riferimento ai singoli detenuti. Per tali spese è previsto un regime che potremmo definire di compartecipazione, in quanto ogni soggetto condannato definitivamente – ossia ritenuto, nell’ambito della verità processuale, responsabile in relazione alla commissione del reato – è tenuto a contribuire, seppur in minima parte, alle spese che lo Stato sostiene per la sua detenzione, in particolare per l’alimentazione ed il corredo. Questo contributo si chiama quota di mantenimento, ed ammonta a 1 euro e 80 cent. per ogni giorno di detenzione. LA DIVISA DEI “CAMOSCI” Tutti i condannati sono tenuti a versare tale contributo, che viene calcolato al termine della detenzione. L’ordinamento però prevede che coloro che versano in disagiate condizioni economiche, comprovate documentalmente, possono - qualora abbiano tenuto in carcere una buona condotta, attestata dagli operatori penitenziari - chiedere al Magistrato di Sorveglianza di essere esentati da tale pagamento, mediante condono. Al di là di tale forma, peraltro irrisoria, di contributo, è dunque l’Amministrazione che deve provvedere ad una serie di esigenze di vita del detenuto, fornendogli ad esempio biancheria, vestiario, articoli per provvedere alla propria igiene personale, materiale per la corrispondenza epistolare. Così stabilisce la legge. Ma, come noto, esiste un ordinamento penitenziario formale, scritto nelle leggi e nei regolamenti, ed un ordinamento penitenziario reale, vissuto nella quotidianità dei luoghi di detenzione, e i due ordinamenti non sempre sono completamente sovrapponibili. Se è vero che viene assicurata la biancheria, con cambio periodico (sempre che le vecchie lavatrici funzionino!), al vestiario ed agli articoli per l’igiene si provvede in genere solo grazie al buon cuore dei volontari o di provvidenziali donatori o sponsor, non essendo previsti stanziamenti di spesa per provvedere a tali esigenze. Da un certo punto di vista, ciò non è del tutto negativo. Difatti, per quanto riguarda il vestiario, dovrebbe essere fornito un abito a tinta unita di foggia decorosa. Fortunatamente, di tali abiti ne è rimasto oramai solo qualche esemplare di valore storico: erano le famose tute felpate marròn – motivo per cui i detenuti venivano chiamati “camosci” – che rendevano tutti impietosamente simili visivamente, ma di certo non uguali nei diritti. (segue a pagina 2) Ma gli fate anche vedere la televisione? di Claudia Clementi * Ma quanto costa vivere in prigione? EDITORIALE S embra diffuso il pensiero che noi detenuti siamo un costo per la collettività e che gli Istituti di detenzione siano quasi come alberghi a 5 stelle dove mangiamo ed alloggiamo gratis. Signori, le cose non stanno assolutamente come certa opinione pubblica è indotta a pensare… Qui, oltre ad essere privati della libertà, ad essere ristretti in celle piccole ed anguste per 20 ore al giorno (non in tutti gli istituti, così come nel nostro, il famoso e pluri discusso problema del sovraffollamento carcerario, in quanto abbiamo una camera con servizi di tre metri per cinque e siamo in 3 persone), per espiare la nostra pena verso la comunità, noi italiani, paghiamo un costo giornaliero allo Stato. Addirittura chi di noi è impiegato in cucina, lavanderia ed altre mansioni interne, riceve un emolumento irrisorio, dal quale sono già detratte le spese per il suo mantenimento personale. Quanti invece non hanno la fortuna di interagire col lavoro, pagheranno tutte le spese che l’amministrazione penitenziaria ha sostenuto ed anticipato per suo conto a fine detenzione. Se sentite dal telegiornale oppure leggete dal giornale che un detenuto si è laureato o diplomato in carcere, lo ha fatto pagando di tasca propria le relative tasse scolastiche. Consequenziale che anche qui in prigione noi detenuti paghiamo quotidianamente il nostro “soggiorno”, compreso di vitto ed alloggio, spese mediche, eventuali trasferte, prodotti per la manutenzione dei locali che occupiamo. Oltre a quanto illustrato, abbiamo ulteriori spese di “sopravvitto”: prodotti per l’igiene personale, generi alimentari particolari e quanto altro non sia considerato strettamente indispensabile dal Regolamento penitenziario. Chi volesse venire a farsi una vacanza in qualsiasi prigione, si ricordi di portare la carta di credito!!! Tony Questa cella non è un albergo

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PENNA LIBERA TUTTI - n. 5 del 24 febbraio 2013

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Page 1: PENNA LIBERA TUTTI - n. 5 del 24 febbraio 2013

Redazione della Casa Circondariale di Villa Fastiggi - Str. di Fontesecco, 88 - 61122 Pesaro (PU) - Anno II - Numero 5 del 24 febbraio 2013CONTATTI [email protected] - tel 0721/64052 fax 0721/69453

P amicoil nuovo• •

enna libera tutti

Vivere in carcere costa. E non solo allo Stato. Certo, allo Stato costa. In media, negli ultimi dieci anni, poco più di 138 euro al giorno (oltre 4mila Euro

al mese), considerando tutte le voci di spesa, incluse quelle per il personale, che incidono per circa l’80%. Lo Stato infatti è tenuto a provvedere alle spese per l’esecuzione delle pene, in via generale ed in riferimento ai singoli detenuti.Per tali spese è previsto un regime che potremmo definire di compartecipazione, in quanto ogni soggetto condannato definitivamente – ossia ritenuto, nell’ambito della verità processuale, responsabile in relazione alla commissione del reato – è tenuto a contribuire, seppur in minima parte, alle spese che lo Stato sostiene per la sua detenzione, in particolare per l’alimentazione ed il corredo.Questo contributo si chiama quota di mantenimento, ed ammonta a 1 euro e 80 cent. per ogni giorno di detenzione.

LA DIVISA DEI “CAMOSCI” Tutti i condannati sono tenuti a versare tale contributo, che viene calcolato al termine della detenzione. L’ordinamento però prevede che coloro che versano in disagiate condizioni economiche, comprovate documentalmente, possono - qualora abbiano tenuto in carcere una buona condotta, attestata dagli operatori penitenziari - chiedere al Magistrato di Sorveglianza di essere esentati da tale pagamento, mediante condono. Al di là di tale forma, peraltro irrisoria, di contributo, è dunque l’Amministrazione che deve provvedere ad una serie di esigenze di vita del detenuto, fornendogli ad esempio biancheria, vestiario, articoli per provvedere alla propria igiene personale, materiale per la corrispondenza epistolare.Così stabilisce la legge. Ma, come noto, esiste un ordinamento penitenziario formale, scritto nelle leggi e nei regolamenti, ed un ordinamento penitenziario reale, vissuto nella quotidianità dei luoghi di detenzione, e

i due ordinamenti non sempre sono completamente sovrapponibili.Se è vero che viene assicurata la biancheria, con cambio periodico (sempre che le vecchie lavatrici funzionino!), al vestiario ed agli articoli per l’igiene si provvede in genere solo grazie al buon cuore dei volontari o di provvidenziali donatori o sponsor, non essendo previsti stanziamenti di spesa per provvedere a tali esigenze. Da un certo punto di vista, ciò non è del tutto negativo. Difatti, per quanto riguarda il vestiario, dovrebbe essere fornito un abito a tinta unita di foggia decorosa.Fortunatamente, di tali abiti ne è rimasto oramai solo qualche esemplare di valore storico: erano le famose tute felpate marròn – motivo per cui i detenuti venivano chiamati “camosci” – che rendevano tutti impietosamente simili visivamente, ma di certo non uguali nei diritti.

(segue a pagina 2)

Ma gli fate anche vedere la televisione? di Claudia Clementi *

Ma quanto costa vivere

in prigione?

EDItOrIALE

Sembra diffuso il pensiero che noi detenuti siamo un costo per la collettività

e che gli Istituti di detenzione siano quasi come alberghi a 5 stelle dove mangiamo ed alloggiamo gratis. Signori, le cose non stanno assolutamente come certa opinione pubblica è indotta a pensare… Qui, oltre ad essere privati della libertà, ad essere ristretti in celle piccole ed anguste per 20 ore al giorno (non in tutti gli istituti, così come nel nostro, il famoso e pluri discusso problema del sovraffollamento carcerario, in quanto abbiamo una camera con servizi di tre metri per cinque e siamo in 3 persone), per espiare la nostra pena verso la comunità, noi italiani, paghiamo un costo giornaliero allo Stato. Addirittura chi di noi è impiegato in cucina, lavanderia ed altre mansioni interne, riceve un emolumento irrisorio, dal quale sono già detratte le spese per il suo mantenimento personale. Quanti invece non hanno la fortuna di interagire col lavoro, pagheranno tutte le spese che l’amministrazione penitenziaria ha sostenuto ed anticipato per suo conto a fine detenzione. Se sentite dal telegiornale oppure leggete dal giornale che un detenuto si è laureato o diplomato in carcere, lo ha fatto pagando di tasca propria le relative tasse scolastiche. Consequenziale che anche qui in prigione noi detenuti paghiamo quotidianamente il nostro “soggiorno”, compreso di vitto ed alloggio, spese mediche, eventuali trasferte, prodotti per la manutenzione dei locali che occupiamo. Oltre a quanto illustrato, abbiamo ulteriori spese di “sopravvitto”: prodotti per l’igiene personale, generi alimentari particolari e quanto altro non sia considerato strettamente indispensabile dal Regolamento penitenziario. Chi volesse venire a farsi una vacanza in qualsiasi prigione, si ricordi di portare la carta di credito!!!

Tony

Questa cella non è un albergo

Page 2: PENNA LIBERA TUTTI - n. 5 del 24 febbraio 2013

24 febbraio 201312 P enna libera tutti

Cucina galeotta

Lasagnebianche

Di solito la domenica, nelle famiglie tradizionali italiane, ci si riunisce a pranzo e la mamma o la nonna preparano qual-cosa di particolare. Io oggi vi consiglio di preparare una bel-la “Lasagna”, ma non sarà quella tradizionale bolognese: la faremo al pesto, con pinoli e uvetta sultanina. Cominceremo col preparare la sfoglia; se “la cuoca” è di quelle moderne, che difficilmente riesce ad impastarla, prenderemo quella già pronta che possiamo trovare in un qualsiasi supermercato. Di solito la vendono già in tranci rettangolari. Prenderemo una teglia abbastanza grande, di quelle rettangolari, e la ungeremo con un po’ d’olio d’oliva. Prepareremo i tranci di pasta sfo-glia, semplicemente bagnandoli in acqua tiepida; vi consiglio di bagnarne pochi alla volta. Prenderemo poi una confezione di pesto alla genovese da 1 kg e la verseremo in un conte-nitore capiente, dove aggiungeremo due cucchiai d’olio d’oliva extra vergine e mescoleremo con cura. Fatta questa opera-zione, sempre nello stesso contenitore metteremo dei pinoli e l’uvetta sultanina: aggiungetene a piacere, ricordando sempre che questi piatti non sono per chi è a dieta, quindi abbastan-za. Mescoleremo il tutto e ci prepareremo a portata di mano del parmigiano reggiano grattugiato. Inizieremo a stendere il primo strato di pasta sfoglia nella tiella (tegame), quando avremo coperto per intero la superficie del tegame, con un cucchiaio ci spalmeremo sopra il nostro preparato di pesto-pinoli e uvetta. Completata questa operazione, aggiungeremo

una bella nevicata di parmigiano per coprire tutta la superficie. Ripeteremo la stessa operazione a seconda di quanti strati vorremo fare, dipende sempre da quanti saremo a tavola, co-munque un minimo di quattro strati. Accenderemo poi il for-no ad una temperatura di 180 gradi e lasceremo cuocere per circa mezz’ora, naturalmente controllando ogni tanto il livello di cottura, anche perché ricorderemo la prima regola e cioè che in cucina ci vuole sempre tanta pazienza e tanto amore. Quando la superficie inizierà ad essere bella colorata e appa-rentemente croccante, potremo togliere dal forno e aspettere-mo un attimo prima di dividerla in porzioni. Quindi serviremo nei piatti e di sicuro festeggeremo una buona domenica gu-stando questa delicatezza. Buon appetito (se rimane, fredda è ancora più buona!).

Ingredienti:un kg di pasta sfogliaun kg di pesto alla genovese350g di pinoli300g di uvetta sultanina400g di parmigiano reggiano grattugiato(dipende da quanto ve ne piace)due cucchiai d’olio extravergine d’oliva

Spartaco

LE CARENZE DEL SISTEMA A Pesaro, per ovviare alle carenze del sistema e nell’ottica del cercare soluzioni applicative della norma, si è anche intervenuti in maniera “creativa”. L’Ordinamento penitenziario prevede infatti che coloro che scontano la loro pena in regime di affidamento in prova si adoperino in favore della vittima e riflettano sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato. In virtù di ciò, è stato stipulato un protocollo d’intesa, con l’avallo della Magistratura di Sorveglianza, tra la Casa Circondariale, l’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna di Ancona e l’associazione di volontariato Osservatorio permanente sulle carceri in base al quale – qualora non sia possibile provvedere al risarcimento diretto della vittima o effettuare attività a favore della collettività – l’affidato può versare delle somme che potranno essere utilizzate per acquistare beni di prima necessità e per l’igiene personale da destinare ai detenuti che versano in disagiate condizioni economiche. L’Amministrazione penitenziaria provvede anche all’alimentazione, assicurando pasti adeguati, preparati in base a tabelle vittuarie stilate da esperti nutrizionisti, valide per tutto il territorio nazionale. Garantisce altresì un vitto particolare a coloro che necessitano di ciò in relazione ad eventuali problematiche di tipo sanitario, dietro indicazione del medico.

UN LIBRETTO DI CONTO CORRENTE PER I DETENUTI Ma…. vivere in carcere costa anche al detenuto, perché l’amministrazione si limita a fornire, per così dire, vitto e alloggio, seppur a pensione completa. Le esigenze di vita quotidiana non sono sospese in relazione al periodo di detenzione, e sappiamo bene che non si vive di solo pane, anche in una condizione in cui i bisogni possono essere ridotti al minimo.Se si vogliono mangiare cose diverse da quelle che “passa il convento”, se si vuole fare uno spuntino o prendersi un caffè a metà mattina, se si è fumatori, se si vuole leggere il giornale, se si vuole ascoltare la propria musica, tingersi i capelli o limarsi le unghie, se, nonostante tutto, non si vuol rinunciare ad essere persone, evitando di abbrutirsi, occorre provvedere in proprio.Rispetto a coloro che, detenuti, possiedono del denaro, o lo percepiscono come retribuzione a seguito di attività lavorativa svolta in carcere, o lo ricevono dai propri familiari, la Direzione penitenziaria si pone alla stregua di un Istituto bancario, aprendo per ciascuno un libretto di conto corrente, sul quale vengono depositate le somme di denaro di proprietà, che non possono superare un certo limite (l’eccedenza, se non sussistono obblighi di corresponsione delle spese legali o di pagamento di multe o ammende, deve essere

inviata ai familiari, o depositata su un conto corrente esterno, bancario o postale, intestato al detenuto), e che vengono restituite al termine della detenzione.Di tale denaro, previa richiesta, il detenuto può disporre per effettuare acquisti all’interno del carcere, o per inviare soldi ai familiari, o per provvedere a pagamenti (parcelle di avvocati, fitti di immobili, pagamento di utenze, etc.). Se tale denaro deriva da retribuzione lavorativa (mercede), un quinto di esso deve essere destinato al cosiddetto fondo vincolato, di cui il detenuto non può disporre se non previa autorizzazione in deroga, una sorta di fondo di garanzia in vista delle future dimissioni e del ritorno alla libertà.Gli acquisti all’interno sono resi possibili in virtù della presenza di una ditta esterna, individuata a seguito di procedura pubblica, che si occupa di acquistare e rivendere ai detenuti i prodotti a prezzi che vengono concordati con la Direzione, e che non possono essere superiori a quelli rilevati nei supermercati della zona in cui è situato l’istituto penitenziario. L’ammontare medio di questi conti correnti in un istituto come quello di Pesaro? In genere, pochi euro. Per molti, non vengono nemmeno aperti. Ma, dunque, gli fate vedere anche la televisione? Sì, signora mia. Ma solo quella. E nemmeno on demand.

* Direttrice della Casa Circondariale di Villa Fastiggi – Pesaro

segue da pagina 1EDITORIALE

Al lavoro al posto dei cinesi

Al di là delle attuali pro-blematiche presenti in carcere come il sovraf-

follamento e la tossicodipen-denza c’è un fattore che può fare risollevare tutti: il lavoro. Sarebbe la migliore soluzione per educare le persone inol-tre si darebbe la possibilità di mantenersi con più dignità vi-sto che il vitto e alloggio di noi detenuti è a carico del-

lo Stato. Come detenuto pur-troppo mi sento inutile perchè non faccio nulla dalla mattina alla sera. Eppure penso e di-co: ma io non ho due ma-ni e due piedi? E il minimo di studio per lavorare e di po-ter pagare i miei sbagli e in-tegrarmi nella società? Quan-do ero fuori sentivo mio pa-dre spesso dire quando vede-va in tv qualcuno in carcere

per un crimine: devono mar-cire in galera, devono crepa-re lì.Ora ha cambiato idea sa-pendo che persone che so-no fuori e lavorano pagano le tasse anche per noi dete-nuti. Lo Stato tira fuori i sol-di da gente onesta che fatica ad arrivare a fine mese. Ma davvero le scarpe, maglie e elettrodomestici etc. etc. de-

vono arrivare solo dalla Ci-na fatte con pochi soldi? O la frutta e verdura dall’este-ro? Se ad un detenuto gli si dà un lavoro in modo da pa-garsi almeno la metà del suo debito con lo Stato, prima di uscire dal carcere, potremmo diventare noi i cinesi dan-do forza lavoro a basso co-sto. Abbiamo forza lavoro ma non un comando che ci gui-

da. Spero che con il tempo il governo faccia qualcosa per quanto riguarda il carcere vi-sto che fino ad oggi se ne è parlato tanto ma non si è fatto niente di concreto. Ses-santasette mila detenuti a ca-rico dello Stato è una real-tà insopportabile per qualsia-si nazione.

George Vanea

Page 3: PENNA LIBERA TUTTI - n. 5 del 24 febbraio 2013

IL CAMPUS UNIVERSITARIO DELLA CALIFORNIA INSEGNA A COLTIVARE DROGHE

Prima si studiava usando la carta, adesso le cartine

24 febbraio 2013 13 P enna libera tutti

è da tanto tempo che sento parlare i nostri poli-tici d’amnistia e di progetti alternativi al carcere che potrebbero permettere, appunto, di aiutare a

risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri Italiane, ma, come tante cose importanti in Italia, pur-troppo, poi tutto finisce nel dimenticatoio. Consideran-do il brutto periodo e la grande crisi economica che sta attraversando il nostro Paese, si potrebbero anche fare due conti a proposito dei costi di mantenimento di tutte le carceri. Considerando che un solo detenuto costa allo stato ben 250 euro al giorno (dati riportati da un quotidiano regionale) per rimanere nelle nostre carceri, si potrebbe fare qualcosa per tagliare questi costi esagerati. Ci sarebbero da prendere in considera-zione determinati fattori importanti e cioè si potrebbe iniziare col verificare chi può realmente aderire ai “fa-mosi” benefici alternativi alla detenzione in carcere, ov-vero tutta quella massa di persone che sta arrivando a fine pena senza avere mai ottenuto un benché minimo beneficio e che presto si ritroverà fuori dal muro sen-za sapere cosa fare perché le autorità che avrebbero dovuto aiutarlo non esistono e quindi “forse” tornerà a delinquere. Ecco, per tutti questi problemi si potrebbe fare qualcosa di utile. Continuare a parlare di “proble-

ma carceri” senza sapere di che cosa si stia parlan-do è semplicemente inutile. Se, invece di parlare e non agire, facessero una piccola verifica solo nella nostra regione, forse si renderebbero conto che si potrebbero limitare i costi semplicemente dando delle possibilità alternative al carcere ai molti che ne possono usufruire. Ci sono situazioni di alcuni detenuti che fanno davve-ro la vergogna del sistema giuridico, abbandonati a se stessi nelle celle, quando in realtà rientrano nei tempi per aderire a quei programmi alternativi che il nostro codice prevede. Sono i soliti problemi che fanno parte di una burocrazia ormai antica rispetto al resto d’Eu-ropa e che, purtroppo, restano insoluti. Credo ci vo-glia davvero una bella verifica da parte delle istituzioni competenti per cercare di risolvere, anche solo se in parte, questo problema, in quanto non ci si può con-tinuare a lamentare per i costi di mantenimento delle carceri, se poi non si fa nulla per contenerli. Attuando questa verifica di adesione alle pene alternative, sono sicuro che un buon 30% dei detenuti solo nella no-

stra regione possa comunque contribuire a non essere di peso (come costi) alle casse statali, proprio perché potrebbe fare qualcosa di alternativo al carcere, come ad esempio lavorare per mantenersi, piuttosto che re-stare a vegetare in una cella. Basterebbe volerlo e cre-do che si possa fare. Certo, l’attenta valutazione spet-ta sempre al Tribunale di Sorveglianza, che con l’aiuto delle direzioni degli istituti e degli staff di trattamento decideranno per i più meritevoli e meno pericolosi da inserire in questi programmi alternativi. Insomma, se veramente si volesse risolvere in via definitiva la situa-zione carceri e diminuire i suoi costi, di cose da fare ce ne sarebbero, basta volerlo e magari potremmo an-che fare a meno di essere multati dall’Europa per tutti quegli aspetti che ci fanno apparire come un paese da terzo mondo per tutte le mancanze al rispetto dei dirit-ti umani. Quindi non parliamone più di amnistia, anche perché così facendo alimentiamo solamente la paura dell’opinione pubblica e il pericolo di farci giudicare tutti allo stesso modo. Questo non dovrebbe far parte di un paese civile come il nostro. Piuttosto lavoriamo insieme per risolvere questo grande problema che or-mai ci rende ridicoli agli occhi del mondo.

Spartaco

Web a doppio taglio Realtà virtuale, tecnologia,

informazione, oggi pos-sono essere considera-

te armi a doppio taglio, poi-ché non teniamo conto del-la vulnerabilità di chi ne frui-sce. Diminuisce sempre più l’età di quanti possono utiliz-zare social network e quan-to altro. Dalla cronaca ci per-vengono sempre più spesso notizie di suicidi riconducibi-li al cattivo utilizzo di que-sti social: postare sui propri profili foto osée, oppure pro-prie idee difficilmente condivi-sibili dal branco, che rendo-no la persona facilmente de-nigrabile dal bullismo. In par-ticolare per noi genitori dete-nuti è impossibile controllare l’uso che i nostri figli fanno del web, in quanto non pos-siamo interagire con gli spe-cifici programmi che inibisco-no la navigazione ai ragazzini. Oggi come oggi, anche in un semplice telefonino (che nel-

la realtà è un vero e proprio computer), è possibile instal-lare applicazioni di ogni ge-nere e sorta. Una volta inse-rita una foto dentro un so-cial network è impossibile ri-muoverla a causa dell’enor-me condivisione. Ci riferiamo a quegli adolescenti che per gioco si fotografano nudi allo specchio e che poi inserisco-no gli scatti in questo grande sistema che, purtroppo, nean-che la polizia postale può controllare. Per non parlare di tutti quei siti porno facilmente accessibili anche e soprattut-to ai minorenni, la cui forma-zione psicologica è ancora in fase di sviluppo. Non si riesce ad avere un grado di control-lo sufficiente neanche sui siti di gioco d’azzardo, che crea-no una elevata dipendenza. Esistono vari programmi per le navigazioni cosiddette ‘pro-tette’, ma sono facilmente di-sinstallabili o craccabili dagli

utilizzatori soprattutto ado-lescenti, che con il passapa-rola riescono a neutralizzarli. L’ideale potrebbe essere sin dall’inizio navigare insieme ai nostri figli, cercando di edu-carli ad un corretto utilizzo, a partire dal trovare materiale istruttivo per le ricerche sco-lastiche o dalla consultazio-ne delle varie enciclopedie di-sponibili in rete, sottolineando anche la grande pericolosi-tà di questi mezzi se utilizza-ti in modo scorretto e la loro enorme possibilità d’assuefa-zione. La nostra generazione veniva educata al “non accet-tare la caramella dallo scono-sciuto”; ma noi come possia-mo educare i nostri figli og-gi alla realtà virtuale, evitan-do che chattino con dei pos-sibili pedofili o con soggetti poco raccomandabili? Questo è solo l’aspetto negativo della tecnologia, che invece potreb-be essere usata con mode-

razione e con utilissimi scopi. In realtà le varie offerte del web ci danno la possibilità di accedere a comunicazioni e informazioni che provengo-no da ogni parte del mon-do e che, utilizzate nel mo-do giusto, possono migliorar-ci in diversi aspetti, facilitan-do, volendo, la vita di tutti i

giorni. Resta inteso che l’edu-cazione che abbiamo dato ai nostri figli li aiuterà (speria-mo) nell’orientarsi e nel capi-re soprattutto la grande diffe-renza che contraddistingue il bene ed il male, non solo per quel che riguarda il web, ma la vita di tutti i giorni.

La redazione

Ma chi vuole l’amnistia?

In California e in Colorado, dopo la vittoria nel referendum anti-proibizionista che ha legalizzato

l’uso della canapa indiana, è cambi-ato il concetto di campus universi-tario.Da oggi in poi centinaia di ragaz-zi si occuperanno di spinelli; una volta poteva essere paragonata a Woodstock, oggi è un gruppo di stu-dio. Potremmo dire che anche da noi in Italia le università sono anni che stanno andando in fumo, ma sen-za lo stesso divertimento dei pari americani. L’università di Denver, addirittura, offre un kit per avviare

una piantagione, con tanto di semi e normativa vigente: sei piantine al massimo. Chi l’avrebbe mai detto

che fare il contadino sarebbe sta-to... stupefacente? Così, dopo aver seguito regolari lezioni sugli effet-ti curativi dell’erba, sulle tecniche di coltivazione, sui fertilizzanti più adatti e sulle prospettive economi-che di mercato, si otterrà una lau-rea breve in... spaccio di marijua-na. In Italia l’uso di droghe leggere è proibito, ma vista la crisi che tira e la mancanza di lavoro, potrebbe affascinare l’idea di studiare le at-tività illegali, ponendo finalmente le basi, con l’entusiasmo di chi l’ha sempre sostenuto, della new econ-omy. A leggere i giornali, materiale didattico non dovrebbe mancare. E

quindi potrebbero nascere nuove facoltà, come “Consigliere Regionale con specializzazione in sparizione di soldi pubblici tramutati in rim-borsi politici, ma effettivamente spesi in feste, viaggi, macchine, case eccetera”, oppure un master con prove pratiche in festini con maschere da porco e/o burlesque (o Bunga Bunga). L’Università di Milano sta seriamente pensando di aprire un seminario su Attività pelviche serali durante cene ele-ganti, in pratica una Laurea in Escort, una delle figure più rilevan-ti della nostra attuale Repubblica. Riscontrerebbero successo, se-

condo me, anche delle facoltà per Dirigente lottizzato per aziende e banche, e facoltà di Architettura Abusiva, e qui la creatività non mancherebbe. Comunque, tornan-do alla questione iniziale, è una no-tizia che dovrebbe tranquillizzare voi genitori perché, se doveste tro-vare qualche piccolo quantitativo di fumo nei jeans dei vostri figli, sia-tene orgogliosi: significa che il raga-zzo è molto studioso! Ormai è cam-biato tutto, anche il significato di studente “provetto”. Prima si studia-va sulla carta, adesso con le cartine.

Alessandro

Mi accingo a scrivere i miei primi pensieri per il giornale del carcere di Pesaro. Sono detenuto da tre mesi e, tra alti e bassi morali, psicologici e fisici, cerco di far passare nel miglior modo possibile la giornata vista da

dietro le sbarre. Giorno dopo giorno realizzo sempre più che con troppa facilità si commettono reati e questo non porta da nessuna parte, se non dentro un carcere, mentre invece affrontare le regole della società nel quotidiano aiuta a ripartire e ad essere uomini migliori. Solo ora mi rendo conto di quanto il carcere ti metta sotto pressione, sopratutto se sei abituato a vivere in modo indipendente ormai da venti anni. La mia vita ora si prospetta nuovamente in salita; il mio reinserimento passerà attraverso tre, quattro anni in cui dovrò riacquistare prima di tutto il coraggio, l’autostima, ma soprattutto la libertà che solo per mio volere mi è venuta a mancare. Ma veramente in cuor mio mi chiedo perché un ragazzo come me, a cui non è mancato mai niente, affetto famigliare, una decente disponibilità economica, soddisfazioni in campo lavorativo, si debba ancora una volta trovare in questa situazione scomoda. Sarò banale, forse riduttivo, ma la verità va ricercata nel non volersi mai accontentare e ancor più mi vengono in mente le sagge parole che mia madre mi ripeteva spesso fino a qualche anno fa, quando pensava fossi cambiato: “Ricordati di chi sta peggio di te e accontentati di quello che hai”.

Luca

I primi pensieri LA VIGNETTA : “Ora d’aria”

... in carcere vige la cattiva abitudine di gettare dalle finestre gli avanzi del pranzo

Page 4: PENNA LIBERA TUTTI - n. 5 del 24 febbraio 2013

24 febbraio 2013 P enna libera tutti14

Grazie a “L’Azione” di Fabriano E’ con grande piacere che mi accingo ad annunciare, tramite questo articolo, l’ imminente avvio di una collaborazione mensile tra L’Azione, settimanale della diocesi di Fabriano-Matelica che ha festeggiato, nel 2012, i suoi 100 anni di pubblicazione, e Penna Libera Tutti, il nuovo organo di stampa della Casa Circondariale di Villa Fastiggi. Il progetto, ideato e concordato con Roberto Mazzoli – redattore capo de Il Nuovo Amico – si sviluppa attorno a una rubrica, ‘Vita dietro le sbarre’, che L’ Azione sta portando avanti dal giugno 2012 e che, con cadenza settimanale o quindicinale, focalizza i suoi argomenti sulla realtà carceraria, da oggi con particolare riferimento alla Casa Circondariale di Pesaro. ‘Vita dietro le sbarre’ ha seguito, sin dall’ inizio, una specifica linea tematica e

concettuale legata alla propositività: intende cioè focalizzare tutti quegli elementi finalizzati a tramutare un’esperienza dura e difficile, come quella della detenzione, in un’ importante occasione per riflettere, per apprendere nuove prospettive di vita, per riappropriarsi dei valori e per dare un nuovo senso alla propria esistenza. Il nostro filo conduttore persegue un obiettivo di ‘positività’, quella che aiuta a ricomporre un cammino interrotto attraverso tutti quegli strumenti che possono fornire nuove basi per l’ integrazione affrontando la vita quotidiana nell’ottica di una differente prospettiva. Ci siamo finora occupati, dunque - dopo un inizio incentrato sulle interviste a detenuti e a operatori - di tutte le opportunità che il carcere (tramite i laboratori, le attività, gli eventi, le varie iniziative destinate al reinserimento sociale e professionale), prendendo le distanze da una valenza meramente ‘punitiva’, può offrire con l’obiettivo di valorizzare un nuovo operare ma, soprattutto, un nuovo ‘guardare’ alla realtà. L’Azione intende, attraverso il ‘connubio’ con Penna Libera Tutti, donare spazio e valorizzazione alle tematiche che verranno trattate mensilmente dalla redazione della Casa Circondariale di Pesaro. L’obiettivo è quello di creare una sorta di ‘cassa di risonanza’ fabrianese e di far conoscere più approfonditamente un mondo, come quello del carcere, ancora prevalentemente sconosciuto ai più, esaminandone determinati aspetti. Non mi

resta, quindi, che esprimere il grande entusiasmo e l’immensa gratitudine a voi dovuta per la preziosa opportunità di questa collaborazione, augurando un “buon lavoro a tutti!”

Silvia Ragni*****

Quando abbiamo iniziato le pubblicazioni (5 mesi fa) ci eravamo dati l’obiettivo di costruire un ponte per mettere in comunicazione l’interno del carcere con l’esterno. Ma sulla detenzione esistono talmente tanti e tali pregiudizi che non avremmo mai immaginato di riuscire nell’impresa in tempi brevi. Mai poi avremmo immaginato di superare i confini di Pesaro ed arrivare in altre città come Fabriano. Per questo la proposta giunta dal settimanale “L’Azione” è per noi uno stimolo davvero importante. Ora sappiamo che anche all’esterno c’è chi costruisce ponti verso di noi. Una piccola anticipazione. A breve una scuola di Fano, che ha deciso di realizzare un progetto sulla detenzione, verrà a far visita alla nostra redazione. Un altro ponte di cui avremo modo di parlare più avanti..

La Redazione

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Come detenuti del carcere di Pesaro e ci ha fatto sorridere seguire in TV la fuga e il successivo arresto

di Corona, il “RE” del gossip… La storia di Fabrizio Corona è giunta così all’epilogo. Per molti anni è stato immeritatamente sotto i riflettori, emula-to per il suo tenore di vita che lo vede-va sempre accompagnato da bellissime donne, a bordo di fuoriserie e pieno di soldi che probabilmente arrivavano da varie truffe. Infrangendo il codice pena-le Corona è diventato un idolo negati-vo per tanti adolescenti che, vedendo il suo “modus operandi”, lo credevano un grande uomo, uno da prendere come esempio… oggi lo si vede chiaramen-te come un ragazzo viziato, immaturo

e debole. Ci sorprende ulte-riormente sapere che, nono-stante sia stato appena ar-restato, nel carcere di Busto Arsizio venga trattato da pri-vilegiato e qualificato come detenuto modello. Mentre un detenuto comune accede al lavoro non prima di ot-to mesi realmente sofferti, ci risulta che il signor Corona sia già stato inserito nella pasticceria dell’istituto. Coro-na dice poi di temere gli al-tri detenuti per la sua inco-lumità. Eppure – caro Corona – non è di noi che devi aver paura… ma di te stesso. Co-me forse avrà modo di veri-

ficare, sempre se non gli facciano altri sconti per la sua popolarità, la vita non è fatta solo di trasgressione e d’imma-gine, ma anche di sofferenza e sacrifi-cio. Non basta avere un’azienda che dà lavoro a trenta famiglie per essere un bravo ragazzo, bisogna rispettare le re-gole, anche quando non ci piacciono e ci sembrano inutili.Responsabilità, una grande parola con un significato immenso nei confronti della famiglia, dei figli dei nostri ami-ci e colleghi di lavoro, della società in generale. Parola che molto spesso vie-ne sottovalutata. Dovremmo invece im-parare a capire bene il suo significato. Le cronache odierne spesso, dimostra-no questa carenza di responsabilità da

parte di persone che dovrebbero da-re l’esempio per la loro evidenza nella società: politici, dirigenti, governanti, ma anche persone appartenenti al mondo dello spettacolo, molte volte icone per i più giovani.Parliamoci chiaro! Nella vita tutti sba-gliamo, alle volte si commettono erro-ri che ti possono costare la galera e per chi l’ha gia provata, come Corona e come noi, beh… non è certamente un’esperienza costruttiva.Ma la cosa più mostruosa è che la va-langa Corona possa diventare un esem-pio da seguire per milioni di giovani vul-nerabili, poiché l’opinione pubblica ten-de a idolatrare questa persona piutto-sto che stigmatizzare il suo stile di vita. Personalmente possiamo capire che un uomo davanti alla prigionia non si vo-glia assumere le proprie responsabilità, in relazione del fatto che un “reo” si sente spesso troppo punito dalla legge. Quanti di noi, con le possibilità eco-nomiche di questo ragazzo, avrebbe-ro accettato di essere rinchiusi in una cella di pochi metri quadrati? Chi non avrebbe pensato: “ma chi me lo fa fa-re?” Scappo, mollo tutto, lascio l’Italia che mi ha giudicato male. Ma ciascu-no risponde delle proprie azione, ecco perché la responsabilità è una colon-na portante della vita, per sperare in un mondo migliore. Quindi, cari ragazzi, non seguite l’esempio di Corona, perché è molto meglio essere che apparire.

Giovanni -Spartaco-Luca-Toni

Lo diceva Oscar Wilde: “non far niente è il lavoro più duro di tutti”. Chi me-glio di noi può rendersi conto del va-

lore oggettivo di queste parole. L’uomo è fatto di tempo, un prodotto con la da-ta di scadenza, uno strumento finanziario, un “derivato” della nostra epoca creato dal mondo moderno e dominato dall’etica del movimento. Chi non si muove è perduto, chi sta fermo è un sovversivo, un nemico del Pil, concedetemi la metafora- un rifiu-to della società.Le nostre istituzioni hanno ben compreso questo paradigma, incapaci di gestire qual-siasi progetto di natura economica e/o so-ciale hanno creato con precisione millime-trica una discarica autorizzata di criminali, stipati l’uno sull’altro intenti a girarsi i polli-ci in attesa che passi il carrello della cena. Tra i tanti destinati all’ozio forzato, di tanto in tanto qualcuno viene chiamato a svolge-re per trenta giorni la mansione ordinaria di scopino in sezione o addetto alla puli-tura del cortile interno. Senza fare alcuna mansione in merito ai cosiddetti “lavori-mi-raggio” che sono alla stregua di un posto

a tempo indeterminato nella scuola pubbli-ca o nell’editoria. Mi riferisco a lavori come cuoco, falegname, lavandaio, bibliotecario, addetto mof (organico interno per le ripa-razioni). A dispetto di quello che si potreb-be pensare o che facilmente viene voglia di dire, il lavoro in carcere non è un pri-vilegio, quando lo si paragona alle preoc-cupanti conseguenze dell’attuale congiuntu-ra economica e al crescente spopolamento dell’occupazione nazionale. Il primo com-mento che si sente è: “qua si muore di fa-me e a quelli lì (i detenuti) li si fa lavorare con tante premure”.Forse è bene sapere che la retribuzione del lavoro in carcere è da terzo mondo, le ore contabilizzate il più delle volte so-no una al giorno, a volte due-tre o anche quattro nella migliore delle ipotesi, questo significa che, busta paga alla mano, la re-tribuzione per la mansione di scopino è di euro 161,12.Ma quello che forse le persone non san-no è che sia dato il caso che tu svolga un lavoro a tempo indeterminato o mensile o sei in attesa che venga il tuo turno, lo

stato apre un credito nei tuoi confronti. Al detenuto qualunque sia la sua condizione lavorativa o non svolga alcuna mansione, gli viene addebitata una tassa che si aggi-ra attorno ai 50 euro mensili, denominata “trattenute per quote mantenimento”.Il problema è che penalizzando la cosa dal punto di vista neutrale, non si capisce be-ne a che titolo e con quale criterio ven-gono richiesti questi 50 euro al mese. Tut-ti sanno che ogni detenuto costa allo sta-to giornalmente circa 200 euro, potreb-be sembrare l’ennesimo paradosso ma è la realtà. Cosa si fa con questi 50 euro a quale titolo vengono addebitati ai dete-nuti? Perchè viene chiamato mantenimen-to quando poi mantenimento non è? Il mi-to da sfatare è quello che vuole il crimi-nale come individuo mantenuto dallo sta-to. Oltre alle numerose pene accessorie al-le quali siamo sottoposti giornalmente l’ex cittadino che ha la sventura di fare i conti con una realtà come questa deve mettere sul groppone le migliaia di euro di spese per avvocati, risarcimenti, spese processua-li che solamente prolungando la vita sola-

mente di qualche centinaia di anni riuscirà a pagare onestamente. La verità è che la maggioranza dei detenuti non ha la possi-bilità nemmeno di comprarsi un pacco di tabacco tanto meno di saldare i propri de-biti con lo Stato e men che meno il pro-prio mantenimento. Ragione per la quale, come al solito, i costi dovuti al malfunzio-namento di strutture e servizi erogati dallo Stato alla fine gravano sempre sulle spal-le della comunità. Il mio no vuol essere l’ennesimo tentativo di denunciare le mise-re condizioni in cui versano le carceri ita-liane. La mia intenzione è far comprende-re ai lettori l’importanza di sfatare i luoghi comuni, le frasi fatte e gli argomenti tri-ti e ritriti, non motivati e tanto inutili quan-to dannosi. Ecco perché ad un collega di mio fratello che si lagna per i presunti pri-vilegi di noi detenuti, vorrei rispondere uti-lizzando una massima di Epicuro: «Se gli dei esaudissero le preghiere degli uomini, l’umanità verrebbe dissolta a causa di tut-ti i mali che gli uomini si invocano gli uni agli altri». Passate parola!

Claudio Meletti

Fabrizio Corona: “il re”… ma dde che??

Ma non dite che siamo mantenuti dallo Stato

Lo scrivanoOggi mi sono svegliato con la frenesia

e tanta voglia di descrivere; avrei molti argomenti da elencare, ma è

difficile scegliere quale evidenziare. Ci provo con uno dei tanti: si dà il caso che, avendo la fortuna di essere un volontario interno, mi è stata data la possibilità di movimento, cioè di potere entrare in tutte le sezioni per promuovere la lettura presso tutti coloro che ne fanno richiesta. Propongo diverse enciclopedie, romanzi, eccetera. Alcuni approfittano dell’occasione per chiedermi svariate informazioni; il tutto lecito, in quanto non mi permetterei di darne se non corrette. Insomma, si sono passati la parola sulla mia esperienza e conoscenza degli articoli del codice penale. Chi mi chiede di scrivere un’istanza, chi una lettera, chi una domandina, chi opta per consigli inerenti i procedimenti in corso, se conosco un buon avvocato e chi più ne ha più ne metta. Non ci crederebbe nessuno, ma tutto ciò mi gratifica: è per me uno “stimolo” il sentirmi ancora utile per aiutare chi ne ha bisogno e, visto che lo sto facendo qua, lo farò anche quando riacquisterò la mia libertà, buttandomi a capofitto nel sociale, cercando di migliorarmi ancora, con la speranza che me lo lascino fare senza “pregiudizi”. Purtroppo con un certo tipo di mentalità è difficile passare inosservato, se non additato (“Chi? Quello...!? E’ stato in galera, è un delinquente!”). Perciò dico che grazie a Dio non tutti la pensano allo stesso modo. E questa è una bella consolazione, che mi trasmette l’energia per andare avanti, riscattando il male fatto in passato e dedicandomi ai più bisognosi d’aiuto.

Leonardo