nuovo “rito camerale” del giudizio di cassazione. · il rito camerale diviene la regola, anche...
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Filippo Maria Giorgi
Il nuovo “rito camerale” del giudizio di Cassazione.
Con la presente nota, si segnalano le rilevanti novità processuali
recentemente introdotte dal D.L. 31.8.2016 n. 168, convertito, con
modificazioni, dalla legge 25.10.2016 n. 197, che hanno ridisegnato il
procedimento avanti la Corte di Cassazione.
Le modifiche riguardano gli artt. 375, 376, 377, 379, 380bis, 380ter, 391,
391bis del codice di procedura civile. Dopo l’art. 380bis è stato inserito
l’art. 380-bis 1.
Come si dirà, con la novella, il rito camerale, oltre ad essere stato
confermato, con la fondamentale modifica della eliminazione della facoltà
dei difensori di “essere sentiti” all’adunanza, relativamente ai casi di
“opinata” inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso,
è divenuto la regola anche “in ogni altro caso”, salva l’eccezione che
riguardi una “questione di diritto di particolare rilevanza”.
Le modifiche al rito camerale relativo ai casi di inammissibilità,
manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso.
In via di estrema sintesi, avendo riguardo alle modifiche di maggiore
rilevanza, può dirsi che il rito camerale, con pronuncia in Camera di
Consiglio, anziché in pubblica udienza, continua ad essere previsto (con le
modifiche che si diranno) dall’art. 375 cpc, oltre che nel caso di cui al 1°
comma n. 4 (regolamento di competenza e di giurisdizione), nelle fattispecie
di cui al primo comma, numeri 1 e 5 (inammissibilità, manifesta fondatezza
o infondatezza del ricorso).
Il procedimento camerale è, tuttavia, stato radicalmente modificato dal
nuovo art. 380 bis, il cui il 1° comma, nel confermare la facoltà del relatore
della sesta sezione (la c.d. “apposita sezione” di cui all’art. 376, 1° comma
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cpc), di segnalare il ricorrere delle ipotesi di cui all’art. 375, 1° comma,
numeri 1 e 5 (inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza del
ricorso), non lo onera più del deposito della “relazione con la concisa
esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia”,
bensì solo di proporre al Presidente la trattazione in Camera di Consiglio a
questi fini.
Il nuovo 1° comma dell’art. 380 bis prevede ora, soltanto, che il Presidente
fissi con decreto l’adunanza “indicando se è stata ravvisata” una delle
ipotesi di cui sopra.
Ai sensi del 2° comma dell’art. 380 bis, in assenza della relazione, il solo
decreto deve ora essere notificato almeno 20 giorni prima dell’adunanza agli
avvocati delle parti, i quali potranno depositare le memorie illustrative non
oltre cinque giorni prima.
E’ rimasta ferma la possibilità che, all’esito dell’adunanza, il Collegio, non
ritenendo ricorrere le ipotesi di inammissibilità, manifesta fondatezza o
infondatezza del ricorso, rimetta la causa alla pubblica udienza.
Non è, tuttavia, più prevista la facoltà dei difensori di “chiedere di essere
sentiti” e, quindi, di discutere oralmente, argomentando, ai fini della
decisione, in replica alle difese avversarie.
Ancor più rilevante appare la circostanza che, mentre la “relazione” forniva
al difensore la possibilità di conoscere anticipatamente le ragioni che
avevano indotto il relatore a disporre la trattazione camerale, il nuovo rito
potrebbe lasciarlo nell’angoscioso interrogativo di quali siano i profili di
inammissibilità o di manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso,
costringendolo alla redazione di una memoria non mirata.
Il protocollo d’intesa CNF–Cassazione–Avvocatura d. Stato 15.12.2016.
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A questo riguardo, tuttavia, va segnalato, che il recente “protocollo d’intesa
tra la Corte di Cassazione, il Consiglio Nazionale Forense e l’Avvocatura
Generale dello Stato sull’applicazione del nuovo rito civile”, intervenuto in
data 15.12.2016, ha tentato di mitigare gli effetti della riforma sulle esigenze
difensive delle parti, stabilendo testualmente quanto segue:
“5. Proposta di trattazione camerale presso la sesta sezione ex art. 380 bis
cpc.
Quanto alla proposta del relatore di trattazione camerale dinanzi alla
sezione sesta ex art. 389 bis cpc – tenuto conto dell’esigenza manifestata
dall’Avvocatura di una adeguata informazione circa le ragioni dell’avvio
del ricorso alla trattazione in adunanza camerale, e contemperata tale
esigenza con la necessità di evitare che l’indicazione prevista dall’art. 380
bis cpc si trasformi in una pur sintetica relazione, vanificando la portata
innovativa della riforma – si conviene che:
- la proposta sarà formulata secondo il modello predisposto (in attesa della
sua sostituzione con analogo modello informatizzato in coso di
predisposizione), che verrà notificato ai difensori unitamente al decreto di
fissazione dell’udienza ed al relativo avviso;
- tale proposta dovrà indicare:
- quanto alla prognosi di inammissibilità o di improcedibilità, a quale
ipotesi si faccia riferimento (tramite menzione del dato normativo, o in
alternativa, del precedente, o ancora con breve formula libera);
- quanto alla prognosi di manifesta fondatezza, quale sia il motivo
manifestamente fondato e l’eventuale precedente giurisprudenziale di
riferimento;
- quanto alla prognosi di manifesta infondatezza, quali siano i pertinenti
precedenti giurisprudenziali di riferimento e le ragioni del giudizio
prognostico di infondatezza dei motivi di ricorso, anche mediante una
valutazione sintetica e complessiva degli stessi, ove ne ricorrano i
presupposti”.
Va, infine, segnalato che il citato protocollo ha previsto che “le memorie
predisposte in vista della trattazione camerale non superino, di regola, il
numero di quindici pagine”.
Il nuovo rito camerale “in ogni altro caso” (art. 375, 2° comma cpc).
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Queste le modifiche più rilevanti in tema di rito camerale nei casi di cui al
1° comma dell’art. 375 cpc.
Invece, in conseguenza dell’introduzione in questa disposizione di un
secondo comma, che prevede che “la Corte, a sezione semplice, pronuncia
con ordinanza in camera di consiglio in ogni altro caso, salvo che la
trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare
rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare, ovvero
che il ricorso sia stato rimesso dall’apposita sezione di cui all’art. 376 in
esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio”, si ribalta il
rapporto tra la pronuncia con sentenza in pubblica udienza e quella con
ordinanza in Camera di Consiglio.
Il rito camerale diviene la regola, anche laddove non ricorrano profili di
inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso, mentre la
pubblica udienza diviene l’eccezione, essendo riservata alle “questioni di
diritto” ritenute di “particolare rilevanza”.
Nella generalità dei giudizi in Cassazione, quindi, come il nuovo art. 380
bis 1 si preoccupa di precisare, “la Corte giudica senza l’intervento del p.m.
e delle parti”. A queste deve essere inviata comunicazione della “fissazione
del ricorso in Camera di Consiglio … almeno 40 giorni prima”; il rito
prevede ora che il p.m. possa depositare in cancelleria le sue conclusioni
scritte non oltre 20 giorni prima dell’adunanza, mentre le parti possono
depositare memorie illustrative non oltre 10 giorni prima.
Anche tale disposizione non prevede, quindi, la facoltà dei difensori delle
parti di essere sentiti.
Il giudizio di cassazione, salva l’eccezione dei casi nei quali venga fissata la
pubblica udienza, in quanto venga ritenuto relativo a “questione di diritto …
di particolare importanza”, sarà, quindi, nella generalità dei casi, un
procedimento a trattazione esclusivamente in forma scritta.
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Come detto, da tale quadro normativo emerge che, in futuro, nel giudizio di
Cassazione, la decisione non in pubblica udienza debba ritenersi la regola.
Parte della dottrina ha prontamente segnalato che ciò porrebbe un dubbio di
legittimità costituzionale della riforma.
Va, infatti, ricordato come il principio di pubblicità dell’udienza sia sempre
stato ritenuto implicitamente previsto dall’art. 101 Cost. e sia peraltro
sancito dall’art. 6 della CEDU.
Al di là della fondatezza o meno della questione - sulla quale si
aggiungeranno infra alcuni rilievi - non appare di scarso rilievo che la
soppressione della possibilità delle parti, nel procedimento camerale, di
discutere la causa mediante i loro difensori, azzeri la facoltà in tal senso
anche del controricorrente non tempestivamente costituito, facoltà
pacificamente riconosciuta anche nel procedimento camerale, dalla stessa
giurisprudenza della Suprema Corte, sul presupposto che “una
interpretazione conforme ai principi costituzionali e di tutela del diritto di
difesa” non consentirebbe di “differenziare, in relazione alla natura del
rito, l’ipotesi in esame da quella prevista dall’art. 370 cpc” (tra le altre,
Cass. 18906/2007).
A questo proposito, va segnalato che il citato protocollo 15.12.2016, nella
evidente consapevolezza del grave vulnus al diritto di difesa che la
soppressione di tale facoltà comporta, con una disposizione di sapore
“pretorio” (art. 1), peraltro applicabile solo ai giudizi relativi a ricorsi già
pendenti alla data di entrata in vigore della novella, ha previsto quanto
segue:
“Regime transitorio (di cui al comma 2 dell’art. 1 bis del d.l. n. 168/2016,
conv. in L. n. 197/2016).
Si conviene che, per i ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016
per i quali venga successivamente fissata l’adunanza camerale, l’intimato
che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei
termini di cui all’art. 370 cpc, ma che, in base alla pregressa normativa,
avrebbe ancora avuto la possibilità di partecipare alla discussione orale,
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possa, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà, presentare memoria,
munita di procura speciale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il
controricorrente.
Della possibilità di avvalersi di tale facoltà si darà notizia alle parti
destinatarie dell’avviso di fissazione dell’adunanza.
Se con la memoria anzidetta vengono sollevate questioni nuove rilevabili
d’ufficio, o comunque ne ravvisi l’opportunità, il collegio, anche su
sollecitazione del ricorrente, assegna un termine per osservazioni ai sensi
dell’art. 384 terzo comma cod. proc. civ.”.
Tale disposizione suscita perplessità, atteso che, allo scopo di rimediare alla
riduzione, disposta dalla norma, delle facoltà difensive del controricorrente,
essa finisce per arrecare una, non meno grave (vieppiù perché in alcun modo
autorizzata), lesione delle prerogative difensive dell’altra parte, atteso che,
sia pure limitatamente ai ricorsi “già depositati alla data del 30.10.2016”,
attribuisce al controricorrente facoltà di difesa scritta dalle quali era
decaduto.
Né la disposizione sembra potersi giustificare in virtù del rinvio al “regime
transitorio” di cui al comma 2 dell’art. 1 bis del D.L. 168/2016, il quale si
limita a prevedere che la nuova disciplina processuale si applica “ai ricorsi
depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, nonché a quelli già depositati alla
medesima data per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in camera
di consiglio”.
Altro profilo di criticità della novella va ricondotto al fatto che gli artt. 375
e 380 bis cpc non precisano se la scelta della modalità di trattazione (in
pubblica udienza o in Camera di Consiglio) costituisca oggetto di decisione
collegiale o del relatore o del presidente del Collegio o del presidente della
sezione.
Per completezza, si segnala anche che, al punto 7 del protocollo 15.12.2016,
è stato previsto quanto segue:
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“7. Istanza di trattazione della causa in pubblica udienza. Si conviene che,
quando un ricorso sia avviato alla trattazione camerale di sezione
ordinaria, le parti possano richiedere motivatamente, nella memoria
depositata a norma dell’arty. 380 bis. 1 cpc o con apposita istanza, che la
trattazione avvenga invece in pubblica udienza indicando la questione di
diritto di particolare rilevanza che, a loro avviso, giustifica la discussione
pubblica”.
Le modifiche alla pubblica udienza.
Sempre per completezza, si segnala, infine, che alcune modifiche riguardano
anche la pubblica udienza. Opportunamente, in virtù del novellato 2°
comma dell’art. 379, le “conclusioni motivate del P.M. precedono la
discussione delle parti, consentendo loro di replicare alle stesse”.
Per converso, è stata soppressa la facoltà (di cui all’ultima parte del 3°
comma dell’art. 379 cpc) dei difensori “nella stessa udienza [di] presentare
alla Corte brevi osservazione per iscritto sulla conclusioni del p.m.”.
Il decreto non giurisdizionale n. 136/2016.
Si segnala, poi, il Decreto emesso dal Primo Presidente della Corte di
Cassazione in data 14.9.2016 che impone ai magistrati della Corte obblighi
di “sinteticità” nella redazione dei provvedimenti civili della Corte, obblighi
il cui rispetto viene indicato rientrare tra gli “indici di valutazione del
Magistrato” e deve essere “specificamente scrutinato nel rapporto
informativo del Presidente di Sezione” al C.S.M..
Il decreto impone ai Giudici, “per tutti” i “provvedimenti per i quali non sia
stata individuata ed esplicitata la valenza nomofilattica”, l’adozione di
“tecniche più snelle di redazione della motivazione”, anche omettendo
l’esposizione dei fatti di causa (“quando … emergono dalle ragioni della
decisione”) e dai motivi di ricorso (quando risultino dal “tenore della
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risposta della Corte”), nonché mediante l’utilizzo di “appositi moduli per
specifiche questioni, processuali o di diritto sostanziale, sulle quali la
giurisprudenza della Corte è consolidata (salvo che il Collegio non ritenga
di discostarsi, motivatamente)”.
Si è fatto cenno a questo decreto del primo Presidente, perché appare
persino anticipatorio rispetto alla soluzione che il legislatore ha inteso
attuare con la novella, laddove ha previsto che il provvedimento decisorio
normalmente utilizzabile per la decisione in cassazione dei giudizi civili è
divenuta l’ordinanza, ovvero un provvedimento che, a sensi dell’art. 134
cpc, deve essere “succintamente motivato”, mentre, come è noto, la
sentenza, a sensi dell’art. 132, 2° comma n. 4 cpc, deve contenere “la
concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.
Sembra evidente che la riforma produrrà come effetto anche l’adozione di
una tecnica di redazione dei provvedimenti decisori del tutto nuova,
imponendo l’utilizzo di una motivazione sostanzialmente limitata alla
sintetica risposta alle questioni proposte con i motivi di ricorso.
Il combinato disposto della novella e del citato decreto non giurisdizionale
sembra evocare futuri scenari di provvedimenti decisori, ad oggi ancora
generalmente inediti, attuati utilizzando “appositi moduli”.
L’ordinanza della Corte di Cassazione – sez. VI del 10.1.2017 n. 395.
Si segnala, infine, la recentissima ordinanza della Sesta Sezione Civile (n.
395 del 10.1.2017) che affronta per la prima volta alcune delle questioni di
legittimità costituzionale della riforma, peraltro esclusivamente con
riferimento ad un procedimento camerale ex art. 380 bis cpc, ovvero in una
fattispecie nella quale il relatore della “apposita” sezione aveva proposto
una declaratoria di inammissibilità o manifesta infondatezza del ricorso ex
art. 375, 1° comma, cpc.
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La Corte si è pronunciata sulle questioni di costituzionalità proposte dal
ricorrente ritenendole manifestamente infondate. Prima di esaminare
brevemente le quali, è d’uopo precisare che la sentenza dà atto che la
novella “ha inteso modulare il giudizio di legittimità … in ragione di una
più generale suddivisione del contenzioso in base alla valenza
nomofilattica, o meno, delle cause, riservando a quelle prive di siffatto
connotato (ovvio il contenzioso più nutrito) un procedimento camerale,
tendenzialmente assunto come procedimento ordinatorio, “non
partecipato” e da definirsi tramite ordinanza (in luogo della celebrazione
dell’udienza pubblica e della decisione con sentenza, previste
essenzialmente per le cause “dalla particolare rilevanza di questioni di
diritto”)”.
Pur partendo da tale premessa, la Corte, dopo aver ricordato la rilevanza
costituzionale del “principio di pubblicità dell’udienza” e la sua previsione
vincolante, ad opera dell’art. 6 CEDU, ne ha rimarcato la derogabilità,
anche alla stregua dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale e dalla
Corte EDU.
In particolare, l’ordinanza ha osservato che la deroga operata dalla riforma
sarebbe “consentita in ragione della conformazione complessiva del
procedimento là dove, a fronte della pubblicità del giudizio assicurata in
prima o seconda istanza, una tale esigenza non si manifesti comunque più
necessaria per la struttura e funzione dell’ulteriore istanza, il cui rito sia
volto, eminentemente, a risolvere questioni di diritto o comunque non “di
fatto”, tramite una trattazione rapida dell’affare, non rivestente peculiare
complessità”.
La Corte ha, quindi, affermato che questa sarebbe la funzione del rito
camerale di legittimità nella fattispecie di cui all’art. 380 bis cpc, a seguito
della modifica dell’art. 360 n. 5 cpc disposto dalla novella del 2012 ed
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all’estremo ridimensionamento che ne è conseguito in ordine alla
censurabilità in Cassazione dell’elemento motivazionale.
La Corte ha, infine, escluso che la mancata audizione delle parti possa
ritenersi lesiva del diritto al contraddittorio, essendo questo garantito dalla
facoltà di esercitare le difese in forma scritta.
Tali rilievi vengono enunciati nell’ordinanza a giustificazione della deroga
al principio di pubblicità dell’udienza, con riferimento al disposto del solo
art. 380 bis cpc, (ovvero limitatamente all’ipotesi, peraltro preesistente alla
novella, di rito camerale finalizzato alla declaratoria di inammissibilità,
manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso); tuttavia, l’intenzione della
Corte di ritenere tali argomenti estensibili anche alla nuova fattispecie di
rito camerale generalizzato, applicabile a tutte le controversie non connotate
dalla “particolare rilevanza della questione di diritto”, è palpabile e si
desume “freudianamente” dal precedente riferimento a questa fattispecie
che, ove così non fosse, sarebbe del tutto inessenziale.
A questo proposito, è opportuno rilevare che anche la Corte Costituzionale,
con la sentenza n. 80 dell’11.3.2011 ha escluso che la previsione di cui
all’art. 6 CEDU possa vincolare inderogabilmente al rispetto del principio di
pubblicità dell’udienza con riferimento al giudizio di legittimità ed ha
richiamato, in tal senso, quelle pronunce della Corte di Strasburgo dalle
quali si desumerebbe che, alla stregua del citato art. 6, il principio
troverebbe applicazione soltanto ai gradi di merito.
Nella pronuncia citata, la Consulta ha rilevato che “al fine della verifica del
principio di pubblicità, occorre guardare alla procedura giudiziaria
nazionale nel suo complesso: sicché, a condizione che una pubblica udienza
sia stata tenuta in prima istanza, l’assenza di analoga udienza in secondo o
in terzo grado può ben trovare giustificazione nelle particolari
caratteristiche del giudizio di cui si tratta”; ha, inoltre, osservato che “la
valenza del controllo immediato del quisque de populo sullo svolgimento
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delle attività processuali, reso possibile dal libero accesso all’aula
d’udienza – uno degli strumenti di garanzia della correttezza
dell’amministrazione della giustizia – si apprezza … secondo un classico,
risalente ed acquisito principio, in modo specifico quando il giudice sia
chiamato ad assumere prove, specialmente orali-rappresentative, e
comunque ad accertare o ricostruire fatti; mentre si attenua grandemente
allorché al giudice competa soltanto risolvere questioni interpretative di
disposizioni normative”.
Con l’approssimazione imposta dalle dimensioni della presente nota, si può
osservare come non sembri altrettanto agevole giustificare la deroga al
principio di pubblicità dell’udienza con riferimento agli artt. 101 e 111 Cost.
A questo proposito, va rammentato il consolidato orientamento della
Consulta, secondo il quale, “trovando fondamento l’amministrazione della
giustizia nella sovranità popolare, in base al precetto costituzionale
dell’art. 101, primo comma, della Costituzione, doveva ritenersi implicita
nei principi costituzionali che disciplinano l’esercizio della giurisdizione, la
regola generale della pubblicità dei dibattimenti giudiziari, la quale,
peraltro, può subire eccezioni in riferimento a determinati procedimenti,
quando abbiano obiettiva e razionale giustificazione” (così Corte Cost.
16.2.1989 n. 50; cfr. 24.7.1986 n. 212).
Ciò che sembra più difficile compatibilizzare con tali principi è il fatto che,
per effetto della novella, nel giudizio di cassazione, la mancanza di
pubblicità dell’udienza è divenuta la regola e non costituisce, quindi,
un’ipotesi del tutto eccezionale riguardante soltanto “determinati
procedimenti”.
Un’ultima notazione va riservata ad una statuizione sicuramente relativa al
solo procedimento camerale di cui all’art. 380 bis cpc.
La Corte assume che la soppressione della relazione esplicativa delle ragioni
in base alle quali il relatore della “apposita” sezione di cui all’art. 376, 1°
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comma cpc, propone la trattazione camerale ai fini della declaratoria di
inammissibilità o dell’accoglimento o rigetto per “manifesta” fondatezza o
infondatezza del ricorso, rientra tra le scelte oggetto della “discrezionalità
del legislatore in ambito processuale” e non sarebbe “tale da vulnerare il
diritto di difesa, giacché trattasi di esplicitazione interlocutoria di mera
ipotesi di esito decisorio, non affatto vincolante per il Collegio”.
Nulla quaestio su tali affermazioni, ma non si può negare che tale opzione
sia dimostrativa di una ingiustificata volontà legislativa di ridimensionare il
ruolo della difesa; è, infatti, indiscutibile che, con la eliminazione
dell’“opinamento”, venga soppressa una disposizione che garantiva assai
opportunamente alle parti una concreta facoltà di interlocuzione con il
Giudice, al fine dell’esplicazione di una difesa “mirata” alla questione in
relazione alla quale il processo appariva indirizzato dal relatore ad un suo
specifico destino.
A questo riguardo, deve darsi atto dell’opportunità con il quale il protocollo
del 15.12.2016 sembra aver mitigato (con le già citate prescrizioni di cui al
punto 5) gli effetti, lesivi della difesa, introdotti dalla novella.