nuovo “rito camerale” del giudizio di cassazione. · il rito camerale diviene la regola, anche...

13
1 Filippo Maria Giorgi Il nuovo “rito camerale” del giudizio di Cassazione. Con la presente nota, si segnalano le rilevanti novità processuali recentemente introdotte dal D.L. 31.8.2016 n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25.10.2016 n. 197, che hanno ridisegnato il procedimento avanti la Corte di Cassazione. Le modifiche riguardano gli artt. 375, 376, 377, 379, 380bis, 380ter, 391, 391bis del codice di procedura civile. Dopo l’art. 380bis è stato inserito l’art. 380-bis 1. Come si dirà, con la novella, il rito camerale, oltre ad essere stato confermato, con la fondamentale modifica della eliminazione della facoltà dei difensori di “essere sentiti” all’adunanza, relativamente ai casi di “opinata” inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatez za del ricorso, è divenuto la regola anche “in ogni altro caso”, salva l’eccezione che riguardi una “questione di diritto di particolare rilevanza”. Le modifiche al rito camerale relativo ai casi di inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso. In via di estrema sintesi, avendo riguardo alle modifiche di maggiore rilevanza, può dirsi che il rito camerale, con pronuncia in Camera di Consiglio, anziché in pubblica udienza, continua ad essere previsto (con le modifiche che si diranno) dall’art. 375 cpc, oltre che nel caso di cui al 1° comma n. 4 (regolamento di competenza e di giurisdizione), nelle fattispecie di cui al primo comma, numeri 1 e 5 (inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso). Il procedimento camerale è, tuttavia, stato radicalmente modificato dal nuovo art. 380 bis, il cui il 1° comma, nel confermare la facoltà del relatore della sesta sezione (la c.d. apposita sezione” di cui all’art. 376, 1° comma

Upload: phungnhan

Post on 16-Feb-2019

217 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

1

Filippo Maria Giorgi

Il nuovo “rito camerale” del giudizio di Cassazione.

Con la presente nota, si segnalano le rilevanti novità processuali

recentemente introdotte dal D.L. 31.8.2016 n. 168, convertito, con

modificazioni, dalla legge 25.10.2016 n. 197, che hanno ridisegnato il

procedimento avanti la Corte di Cassazione.

Le modifiche riguardano gli artt. 375, 376, 377, 379, 380bis, 380ter, 391,

391bis del codice di procedura civile. Dopo l’art. 380bis è stato inserito

l’art. 380-bis 1.

Come si dirà, con la novella, il rito camerale, oltre ad essere stato

confermato, con la fondamentale modifica della eliminazione della facoltà

dei difensori di “essere sentiti” all’adunanza, relativamente ai casi di

“opinata” inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso,

è divenuto la regola anche “in ogni altro caso”, salva l’eccezione che

riguardi una “questione di diritto di particolare rilevanza”.

Le modifiche al rito camerale relativo ai casi di inammissibilità,

manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso.

In via di estrema sintesi, avendo riguardo alle modifiche di maggiore

rilevanza, può dirsi che il rito camerale, con pronuncia in Camera di

Consiglio, anziché in pubblica udienza, continua ad essere previsto (con le

modifiche che si diranno) dall’art. 375 cpc, oltre che nel caso di cui al 1°

comma n. 4 (regolamento di competenza e di giurisdizione), nelle fattispecie

di cui al primo comma, numeri 1 e 5 (inammissibilità, manifesta fondatezza

o infondatezza del ricorso).

Il procedimento camerale è, tuttavia, stato radicalmente modificato dal

nuovo art. 380 bis, il cui il 1° comma, nel confermare la facoltà del relatore

della sesta sezione (la c.d. “apposita sezione” di cui all’art. 376, 1° comma

2

cpc), di segnalare il ricorrere delle ipotesi di cui all’art. 375, 1° comma,

numeri 1 e 5 (inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza del

ricorso), non lo onera più del deposito della “relazione con la concisa

esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia”,

bensì solo di proporre al Presidente la trattazione in Camera di Consiglio a

questi fini.

Il nuovo 1° comma dell’art. 380 bis prevede ora, soltanto, che il Presidente

fissi con decreto l’adunanza “indicando se è stata ravvisata” una delle

ipotesi di cui sopra.

Ai sensi del 2° comma dell’art. 380 bis, in assenza della relazione, il solo

decreto deve ora essere notificato almeno 20 giorni prima dell’adunanza agli

avvocati delle parti, i quali potranno depositare le memorie illustrative non

oltre cinque giorni prima.

E’ rimasta ferma la possibilità che, all’esito dell’adunanza, il Collegio, non

ritenendo ricorrere le ipotesi di inammissibilità, manifesta fondatezza o

infondatezza del ricorso, rimetta la causa alla pubblica udienza.

Non è, tuttavia, più prevista la facoltà dei difensori di “chiedere di essere

sentiti” e, quindi, di discutere oralmente, argomentando, ai fini della

decisione, in replica alle difese avversarie.

Ancor più rilevante appare la circostanza che, mentre la “relazione” forniva

al difensore la possibilità di conoscere anticipatamente le ragioni che

avevano indotto il relatore a disporre la trattazione camerale, il nuovo rito

potrebbe lasciarlo nell’angoscioso interrogativo di quali siano i profili di

inammissibilità o di manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso,

costringendolo alla redazione di una memoria non mirata.

Il protocollo d’intesa CNF–Cassazione–Avvocatura d. Stato 15.12.2016.

3

A questo riguardo, tuttavia, va segnalato, che il recente “protocollo d’intesa

tra la Corte di Cassazione, il Consiglio Nazionale Forense e l’Avvocatura

Generale dello Stato sull’applicazione del nuovo rito civile”, intervenuto in

data 15.12.2016, ha tentato di mitigare gli effetti della riforma sulle esigenze

difensive delle parti, stabilendo testualmente quanto segue:

“5. Proposta di trattazione camerale presso la sesta sezione ex art. 380 bis

cpc.

Quanto alla proposta del relatore di trattazione camerale dinanzi alla

sezione sesta ex art. 389 bis cpc – tenuto conto dell’esigenza manifestata

dall’Avvocatura di una adeguata informazione circa le ragioni dell’avvio

del ricorso alla trattazione in adunanza camerale, e contemperata tale

esigenza con la necessità di evitare che l’indicazione prevista dall’art. 380

bis cpc si trasformi in una pur sintetica relazione, vanificando la portata

innovativa della riforma – si conviene che:

- la proposta sarà formulata secondo il modello predisposto (in attesa della

sua sostituzione con analogo modello informatizzato in coso di

predisposizione), che verrà notificato ai difensori unitamente al decreto di

fissazione dell’udienza ed al relativo avviso;

- tale proposta dovrà indicare:

- quanto alla prognosi di inammissibilità o di improcedibilità, a quale

ipotesi si faccia riferimento (tramite menzione del dato normativo, o in

alternativa, del precedente, o ancora con breve formula libera);

- quanto alla prognosi di manifesta fondatezza, quale sia il motivo

manifestamente fondato e l’eventuale precedente giurisprudenziale di

riferimento;

- quanto alla prognosi di manifesta infondatezza, quali siano i pertinenti

precedenti giurisprudenziali di riferimento e le ragioni del giudizio

prognostico di infondatezza dei motivi di ricorso, anche mediante una

valutazione sintetica e complessiva degli stessi, ove ne ricorrano i

presupposti”.

Va, infine, segnalato che il citato protocollo ha previsto che “le memorie

predisposte in vista della trattazione camerale non superino, di regola, il

numero di quindici pagine”.

Il nuovo rito camerale “in ogni altro caso” (art. 375, 2° comma cpc).

4

Queste le modifiche più rilevanti in tema di rito camerale nei casi di cui al

1° comma dell’art. 375 cpc.

Invece, in conseguenza dell’introduzione in questa disposizione di un

secondo comma, che prevede che “la Corte, a sezione semplice, pronuncia

con ordinanza in camera di consiglio in ogni altro caso, salvo che la

trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare

rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare, ovvero

che il ricorso sia stato rimesso dall’apposita sezione di cui all’art. 376 in

esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio”, si ribalta il

rapporto tra la pronuncia con sentenza in pubblica udienza e quella con

ordinanza in Camera di Consiglio.

Il rito camerale diviene la regola, anche laddove non ricorrano profili di

inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso, mentre la

pubblica udienza diviene l’eccezione, essendo riservata alle “questioni di

diritto” ritenute di “particolare rilevanza”.

Nella generalità dei giudizi in Cassazione, quindi, come il nuovo art. 380

bis 1 si preoccupa di precisare, “la Corte giudica senza l’intervento del p.m.

e delle parti”. A queste deve essere inviata comunicazione della “fissazione

del ricorso in Camera di Consiglio … almeno 40 giorni prima”; il rito

prevede ora che il p.m. possa depositare in cancelleria le sue conclusioni

scritte non oltre 20 giorni prima dell’adunanza, mentre le parti possono

depositare memorie illustrative non oltre 10 giorni prima.

Anche tale disposizione non prevede, quindi, la facoltà dei difensori delle

parti di essere sentiti.

Il giudizio di cassazione, salva l’eccezione dei casi nei quali venga fissata la

pubblica udienza, in quanto venga ritenuto relativo a “questione di diritto …

di particolare importanza”, sarà, quindi, nella generalità dei casi, un

procedimento a trattazione esclusivamente in forma scritta.

5

Come detto, da tale quadro normativo emerge che, in futuro, nel giudizio di

Cassazione, la decisione non in pubblica udienza debba ritenersi la regola.

Parte della dottrina ha prontamente segnalato che ciò porrebbe un dubbio di

legittimità costituzionale della riforma.

Va, infatti, ricordato come il principio di pubblicità dell’udienza sia sempre

stato ritenuto implicitamente previsto dall’art. 101 Cost. e sia peraltro

sancito dall’art. 6 della CEDU.

Al di là della fondatezza o meno della questione - sulla quale si

aggiungeranno infra alcuni rilievi - non appare di scarso rilievo che la

soppressione della possibilità delle parti, nel procedimento camerale, di

discutere la causa mediante i loro difensori, azzeri la facoltà in tal senso

anche del controricorrente non tempestivamente costituito, facoltà

pacificamente riconosciuta anche nel procedimento camerale, dalla stessa

giurisprudenza della Suprema Corte, sul presupposto che “una

interpretazione conforme ai principi costituzionali e di tutela del diritto di

difesa” non consentirebbe di “differenziare, in relazione alla natura del

rito, l’ipotesi in esame da quella prevista dall’art. 370 cpc” (tra le altre,

Cass. 18906/2007).

A questo proposito, va segnalato che il citato protocollo 15.12.2016, nella

evidente consapevolezza del grave vulnus al diritto di difesa che la

soppressione di tale facoltà comporta, con una disposizione di sapore

“pretorio” (art. 1), peraltro applicabile solo ai giudizi relativi a ricorsi già

pendenti alla data di entrata in vigore della novella, ha previsto quanto

segue:

“Regime transitorio (di cui al comma 2 dell’art. 1 bis del d.l. n. 168/2016,

conv. in L. n. 197/2016).

Si conviene che, per i ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016

per i quali venga successivamente fissata l’adunanza camerale, l’intimato

che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei

termini di cui all’art. 370 cpc, ma che, in base alla pregressa normativa,

avrebbe ancora avuto la possibilità di partecipare alla discussione orale,

6

possa, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà, presentare memoria,

munita di procura speciale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il

controricorrente.

Della possibilità di avvalersi di tale facoltà si darà notizia alle parti

destinatarie dell’avviso di fissazione dell’adunanza.

Se con la memoria anzidetta vengono sollevate questioni nuove rilevabili

d’ufficio, o comunque ne ravvisi l’opportunità, il collegio, anche su

sollecitazione del ricorrente, assegna un termine per osservazioni ai sensi

dell’art. 384 terzo comma cod. proc. civ.”.

Tale disposizione suscita perplessità, atteso che, allo scopo di rimediare alla

riduzione, disposta dalla norma, delle facoltà difensive del controricorrente,

essa finisce per arrecare una, non meno grave (vieppiù perché in alcun modo

autorizzata), lesione delle prerogative difensive dell’altra parte, atteso che,

sia pure limitatamente ai ricorsi “già depositati alla data del 30.10.2016”,

attribuisce al controricorrente facoltà di difesa scritta dalle quali era

decaduto.

Né la disposizione sembra potersi giustificare in virtù del rinvio al “regime

transitorio” di cui al comma 2 dell’art. 1 bis del D.L. 168/2016, il quale si

limita a prevedere che la nuova disciplina processuale si applica “ai ricorsi

depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di

conversione del presente decreto, nonché a quelli già depositati alla

medesima data per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in camera

di consiglio”.

Altro profilo di criticità della novella va ricondotto al fatto che gli artt. 375

e 380 bis cpc non precisano se la scelta della modalità di trattazione (in

pubblica udienza o in Camera di Consiglio) costituisca oggetto di decisione

collegiale o del relatore o del presidente del Collegio o del presidente della

sezione.

Per completezza, si segnala anche che, al punto 7 del protocollo 15.12.2016,

è stato previsto quanto segue:

7

“7. Istanza di trattazione della causa in pubblica udienza. Si conviene che,

quando un ricorso sia avviato alla trattazione camerale di sezione

ordinaria, le parti possano richiedere motivatamente, nella memoria

depositata a norma dell’arty. 380 bis. 1 cpc o con apposita istanza, che la

trattazione avvenga invece in pubblica udienza indicando la questione di

diritto di particolare rilevanza che, a loro avviso, giustifica la discussione

pubblica”.

Le modifiche alla pubblica udienza.

Sempre per completezza, si segnala, infine, che alcune modifiche riguardano

anche la pubblica udienza. Opportunamente, in virtù del novellato 2°

comma dell’art. 379, le “conclusioni motivate del P.M. precedono la

discussione delle parti, consentendo loro di replicare alle stesse”.

Per converso, è stata soppressa la facoltà (di cui all’ultima parte del 3°

comma dell’art. 379 cpc) dei difensori “nella stessa udienza [di] presentare

alla Corte brevi osservazione per iscritto sulla conclusioni del p.m.”.

Il decreto non giurisdizionale n. 136/2016.

Si segnala, poi, il Decreto emesso dal Primo Presidente della Corte di

Cassazione in data 14.9.2016 che impone ai magistrati della Corte obblighi

di “sinteticità” nella redazione dei provvedimenti civili della Corte, obblighi

il cui rispetto viene indicato rientrare tra gli “indici di valutazione del

Magistrato” e deve essere “specificamente scrutinato nel rapporto

informativo del Presidente di Sezione” al C.S.M..

Il decreto impone ai Giudici, “per tutti” i “provvedimenti per i quali non sia

stata individuata ed esplicitata la valenza nomofilattica”, l’adozione di

“tecniche più snelle di redazione della motivazione”, anche omettendo

l’esposizione dei fatti di causa (“quando … emergono dalle ragioni della

decisione”) e dai motivi di ricorso (quando risultino dal “tenore della

8

risposta della Corte”), nonché mediante l’utilizzo di “appositi moduli per

specifiche questioni, processuali o di diritto sostanziale, sulle quali la

giurisprudenza della Corte è consolidata (salvo che il Collegio non ritenga

di discostarsi, motivatamente)”.

Si è fatto cenno a questo decreto del primo Presidente, perché appare

persino anticipatorio rispetto alla soluzione che il legislatore ha inteso

attuare con la novella, laddove ha previsto che il provvedimento decisorio

normalmente utilizzabile per la decisione in cassazione dei giudizi civili è

divenuta l’ordinanza, ovvero un provvedimento che, a sensi dell’art. 134

cpc, deve essere “succintamente motivato”, mentre, come è noto, la

sentenza, a sensi dell’art. 132, 2° comma n. 4 cpc, deve contenere “la

concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.

Sembra evidente che la riforma produrrà come effetto anche l’adozione di

una tecnica di redazione dei provvedimenti decisori del tutto nuova,

imponendo l’utilizzo di una motivazione sostanzialmente limitata alla

sintetica risposta alle questioni proposte con i motivi di ricorso.

Il combinato disposto della novella e del citato decreto non giurisdizionale

sembra evocare futuri scenari di provvedimenti decisori, ad oggi ancora

generalmente inediti, attuati utilizzando “appositi moduli”.

L’ordinanza della Corte di Cassazione – sez. VI del 10.1.2017 n. 395.

Si segnala, infine, la recentissima ordinanza della Sesta Sezione Civile (n.

395 del 10.1.2017) che affronta per la prima volta alcune delle questioni di

legittimità costituzionale della riforma, peraltro esclusivamente con

riferimento ad un procedimento camerale ex art. 380 bis cpc, ovvero in una

fattispecie nella quale il relatore della “apposita” sezione aveva proposto

una declaratoria di inammissibilità o manifesta infondatezza del ricorso ex

art. 375, 1° comma, cpc.

9

La Corte si è pronunciata sulle questioni di costituzionalità proposte dal

ricorrente ritenendole manifestamente infondate. Prima di esaminare

brevemente le quali, è d’uopo precisare che la sentenza dà atto che la

novella “ha inteso modulare il giudizio di legittimità … in ragione di una

più generale suddivisione del contenzioso in base alla valenza

nomofilattica, o meno, delle cause, riservando a quelle prive di siffatto

connotato (ovvio il contenzioso più nutrito) un procedimento camerale,

tendenzialmente assunto come procedimento ordinatorio, “non

partecipato” e da definirsi tramite ordinanza (in luogo della celebrazione

dell’udienza pubblica e della decisione con sentenza, previste

essenzialmente per le cause “dalla particolare rilevanza di questioni di

diritto”)”.

Pur partendo da tale premessa, la Corte, dopo aver ricordato la rilevanza

costituzionale del “principio di pubblicità dell’udienza” e la sua previsione

vincolante, ad opera dell’art. 6 CEDU, ne ha rimarcato la derogabilità,

anche alla stregua dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale e dalla

Corte EDU.

In particolare, l’ordinanza ha osservato che la deroga operata dalla riforma

sarebbe “consentita in ragione della conformazione complessiva del

procedimento là dove, a fronte della pubblicità del giudizio assicurata in

prima o seconda istanza, una tale esigenza non si manifesti comunque più

necessaria per la struttura e funzione dell’ulteriore istanza, il cui rito sia

volto, eminentemente, a risolvere questioni di diritto o comunque non “di

fatto”, tramite una trattazione rapida dell’affare, non rivestente peculiare

complessità”.

La Corte ha, quindi, affermato che questa sarebbe la funzione del rito

camerale di legittimità nella fattispecie di cui all’art. 380 bis cpc, a seguito

della modifica dell’art. 360 n. 5 cpc disposto dalla novella del 2012 ed

10

all’estremo ridimensionamento che ne è conseguito in ordine alla

censurabilità in Cassazione dell’elemento motivazionale.

La Corte ha, infine, escluso che la mancata audizione delle parti possa

ritenersi lesiva del diritto al contraddittorio, essendo questo garantito dalla

facoltà di esercitare le difese in forma scritta.

Tali rilievi vengono enunciati nell’ordinanza a giustificazione della deroga

al principio di pubblicità dell’udienza, con riferimento al disposto del solo

art. 380 bis cpc, (ovvero limitatamente all’ipotesi, peraltro preesistente alla

novella, di rito camerale finalizzato alla declaratoria di inammissibilità,

manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso); tuttavia, l’intenzione della

Corte di ritenere tali argomenti estensibili anche alla nuova fattispecie di

rito camerale generalizzato, applicabile a tutte le controversie non connotate

dalla “particolare rilevanza della questione di diritto”, è palpabile e si

desume “freudianamente” dal precedente riferimento a questa fattispecie

che, ove così non fosse, sarebbe del tutto inessenziale.

A questo proposito, è opportuno rilevare che anche la Corte Costituzionale,

con la sentenza n. 80 dell’11.3.2011 ha escluso che la previsione di cui

all’art. 6 CEDU possa vincolare inderogabilmente al rispetto del principio di

pubblicità dell’udienza con riferimento al giudizio di legittimità ed ha

richiamato, in tal senso, quelle pronunce della Corte di Strasburgo dalle

quali si desumerebbe che, alla stregua del citato art. 6, il principio

troverebbe applicazione soltanto ai gradi di merito.

Nella pronuncia citata, la Consulta ha rilevato che “al fine della verifica del

principio di pubblicità, occorre guardare alla procedura giudiziaria

nazionale nel suo complesso: sicché, a condizione che una pubblica udienza

sia stata tenuta in prima istanza, l’assenza di analoga udienza in secondo o

in terzo grado può ben trovare giustificazione nelle particolari

caratteristiche del giudizio di cui si tratta”; ha, inoltre, osservato che “la

valenza del controllo immediato del quisque de populo sullo svolgimento

11

delle attività processuali, reso possibile dal libero accesso all’aula

d’udienza – uno degli strumenti di garanzia della correttezza

dell’amministrazione della giustizia – si apprezza … secondo un classico,

risalente ed acquisito principio, in modo specifico quando il giudice sia

chiamato ad assumere prove, specialmente orali-rappresentative, e

comunque ad accertare o ricostruire fatti; mentre si attenua grandemente

allorché al giudice competa soltanto risolvere questioni interpretative di

disposizioni normative”.

Con l’approssimazione imposta dalle dimensioni della presente nota, si può

osservare come non sembri altrettanto agevole giustificare la deroga al

principio di pubblicità dell’udienza con riferimento agli artt. 101 e 111 Cost.

A questo proposito, va rammentato il consolidato orientamento della

Consulta, secondo il quale, “trovando fondamento l’amministrazione della

giustizia nella sovranità popolare, in base al precetto costituzionale

dell’art. 101, primo comma, della Costituzione, doveva ritenersi implicita

nei principi costituzionali che disciplinano l’esercizio della giurisdizione, la

regola generale della pubblicità dei dibattimenti giudiziari, la quale,

peraltro, può subire eccezioni in riferimento a determinati procedimenti,

quando abbiano obiettiva e razionale giustificazione” (così Corte Cost.

16.2.1989 n. 50; cfr. 24.7.1986 n. 212).

Ciò che sembra più difficile compatibilizzare con tali principi è il fatto che,

per effetto della novella, nel giudizio di cassazione, la mancanza di

pubblicità dell’udienza è divenuta la regola e non costituisce, quindi,

un’ipotesi del tutto eccezionale riguardante soltanto “determinati

procedimenti”.

Un’ultima notazione va riservata ad una statuizione sicuramente relativa al

solo procedimento camerale di cui all’art. 380 bis cpc.

La Corte assume che la soppressione della relazione esplicativa delle ragioni

in base alle quali il relatore della “apposita” sezione di cui all’art. 376, 1°

12

comma cpc, propone la trattazione camerale ai fini della declaratoria di

inammissibilità o dell’accoglimento o rigetto per “manifesta” fondatezza o

infondatezza del ricorso, rientra tra le scelte oggetto della “discrezionalità

del legislatore in ambito processuale” e non sarebbe “tale da vulnerare il

diritto di difesa, giacché trattasi di esplicitazione interlocutoria di mera

ipotesi di esito decisorio, non affatto vincolante per il Collegio”.

Nulla quaestio su tali affermazioni, ma non si può negare che tale opzione

sia dimostrativa di una ingiustificata volontà legislativa di ridimensionare il

ruolo della difesa; è, infatti, indiscutibile che, con la eliminazione

dell’“opinamento”, venga soppressa una disposizione che garantiva assai

opportunamente alle parti una concreta facoltà di interlocuzione con il

Giudice, al fine dell’esplicazione di una difesa “mirata” alla questione in

relazione alla quale il processo appariva indirizzato dal relatore ad un suo

specifico destino.

A questo riguardo, deve darsi atto dell’opportunità con il quale il protocollo

del 15.12.2016 sembra aver mitigato (con le già citate prescrizioni di cui al

punto 5) gli effetti, lesivi della difesa, introdotti dalla novella.

13