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STAGIONE 2016/ 2017 HUMAN di Marco Baliani e Lella Costa Libretto di sala a cura di Claudia Braida Sabato 15 ottobre 2016 Ore 21.00 «Solo se c’è lo sguardo io vedo l’altro. Nel nostro tempo invece siamo tutti così prossimi, ma non ci vediamo più» Marco Baliani LO SPETTACOLO Di Marco Baliani e Lella Costa collaborazione alla drammaturgia di Ilenia Carrone e con David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis,Luigi Pusceddu musiche originali di Paolo Fresu con Gianluca Petrella scene e costumi di Antonio Marras scenografo associato Marco Velli costumista associato Gianluca Sbicca disegno luci di Loïc Francois Hamelin e Tommaso Contu assistenti alla produzione: Agnese Fois e Leonardo Tomasi regia di Marco Baliani. Abbiamo un titolo: la parola HUMAN sbarrata da una linea nera che l’attraversa, come a significare la presenza dell’umano e al tempo stesso la sua possibile negazione. Umano è il corpo nella sua integrità fisica e psichica, nella sua individualità. Quando questa integrità viene soppressa o annullata con la violenza si precipita nel disumano. Umani sono i sentimenti, le emozioni, le idee, le relazioni, i diritti. Li abbiamo sognati eterni e universali: dobbiamo prendere atto - con dolore, con smarrimento - che non sempre lo sono. La storia del nostro Novecento e ancora le vicende di questo primi anni Duemila ci dicono che le intolleranze e le persecuzioni, individuali o di massa, nei confronti degli inermi e degli innocenti, continuano a perpetrarsi senza sosta. Con la nostra ricerca teatrale vorremmo insinuarci in quella soglia in cui l’essere umano perde la sua connotazione universale, utilizzare le forme teatrali per indagare quanto sta accadendo in questi ultimi anni, sotto i nostri occhi, nella nostra Europa, intesa non solo come entità geografica, ma come sistema “occidentale” di valori e di idee: i muri che si alzano, i fondamentalismi che avanzano, gli attentati che sconvolgono le città, i profughi che cercano rifugio. Ma se ci fermassimo qui sarebbe un altro esempio di cosiddetto teatro civile, e questo non ci basta: non vogliamo che lo spettatore se ne vada solo più consapevole e virtuosamente indignato o commosso. Vogliamo spiazzarlo, inquietarlo, turbarlo, assediarlo di domande. E insieme incantarlo e divertirlo. E per riuscirci andremo a

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STAGIONE 2016/ 2017

HUMAN di Marco Baliani e Lella Costa

Libretto di sala a cura di Claudia Braida Sabato 15 ottobre 2016

Ore 21.00 «Solo se c’è lo sguardo io vedo l’altro.

Nel nostro tempo invece siamo tutti così prossimi, ma non ci vediamo più»

Marco Baliani

LO SPETTACOLO Di Marco Baliani e Lella Costa collaborazione alla drammaturgia di Ilenia Carrone e con David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis,Luigi Pusceddu musiche originali di Paolo Fresu con Gianluca Petrella scene e costumi di Antonio Marras scenografo associato Marco Velli costumista associato Gianluca Sbicca disegno luci di Loïc Francois Hamelin e Tommaso Contu assistenti alla produzione: Agnese Fois e Leonardo Tomasi regia di Marco Baliani.

Abbiamo un titolo: la parola HUMAN sbarrata da una linea nera che l’attraversa, come a significare la presenza dell’umano e al tempo stesso la sua possibile negazione. Umano è il corpo nella

sua integrità fisica e psichica, nella sua individualità. Quando questa integrità viene soppressa o annullata con la violenza si precipita nel disumano. Umani sono i sentimenti, le emozioni, le idee, le relazioni, i diritti. Li abbiamo sognati eterni e universali: dobbiamo prendere atto - con dolore, con smarrimento - che non sempre lo sono. La storia del nostro Novecento e ancora le vicende di questo primi anni Duemila ci dicono che le intolleranze e le persecuzioni, individuali o di massa, nei confronti degli inermi e degli innocenti, continuano a perpetrarsi senza sosta. Con la nostra ricerca teatrale vorremmo insinuarci in quella soglia in cui l’essere umano perde la sua connotazione universale, utilizzare le forme teatrali per indagare quanto sta accadendo in questi ultimi anni, sotto i nostri occhi, nella nostra Europa, intesa non solo come entità geografica, ma come sistema “occidentale” di valori e di idee: i muri che si alzano, i fondamentalismi che avanzano, gli attentati che sconvolgono le città, i profughi che cercano rifugio. Ma se ci fermassimo qui sarebbe un altro esempio di cosiddetto teatro civile, e questo non ci basta: non vogliamo che lo spettatore se ne vada solo più consapevole e virtuosamente indignato o commosso. Vogliamo spiazzarlo, inquietarlo, turbarlo, assediarlo di domande. E insieme incantarlo e divertirlo. E per riuscirci andremo a

indagare teatralmente proprio quel segno di annullamento, quella linea che sancisce e recide: esplorare ed espugnare la soglia fatidica che separa l’umano dal disumano, confrontarci con le parole, svelare contraddizioni, luoghi comuni, impasse, scoperchiare conflitti, ipocrisie, paure indicibili. Vorremo costruire un teatro spietatamente capace di andare a mettere il dito nella piaga, dove non si dovrebbe, dove sarebbe meglio lasciar correre, e andare a toccare i nervi scoperti della nostra cultura riguardo alla dicotomia umano/disumano. Senza rinunciare all’ironia, e perfino all’umorismo: perché forse solo il teatro sa toccare nodi conflittuali terribili con la leggerezza del sorriso, la visionarietà delle immagini, l’irriducibilità della poesia.

Marco Baliani e Lella Costa

Marco Baliani. Attore, autore e regista. Con lo

spettacolo Kohlhaas del 1989, attraverso un originale percorso di ricerca, dà vita al teatro di narrazione, che segna la scena teatrale italiana. Figura eclettica e complessa del teatro italiano contemporaneo, assieme a Maria Maglietta ha sperimentato drammaturgie epico-corali realizzando spettacoli con molti attori, tra cui Come gocce di una fiumana (premio IDI per la regia), e Antigone delle città, spettacolo di impegno civile sulla strage

di Bologna del 2 agosto; o ancora, dirigendo progetti come I Porti del Mediterraneo, con attori provenienti da diversi paesi dell’area mediterranea. Nel 1999 scrive e interpreta la rilettura della vita di San Francesco, Francesco a testa in giù, trasmesso in diretta televisiva dal sagrato della Basilica di Assisi. Negli anni Duemila, è autore e regista degli spettacoli teatrali Pinocchio Nero e L’amore buono. Una ballata ai tempi dell’Aids, frutto entrambi di un progetto formativo intrapreso con Amref e realizzato a Nairobi con venti ragazzi di strada. Per il cinema è stato diretto da registi quali Francesca Archibugi, Roberto Andò, Saverio Costanzo, Cristina Comencini e Mario Martone. Come scrittore ha pubblicato romanzi, racconti e saggi tra cui: Ho cavalcato in groppa ad una sedia (Titivillus edizioni) e per la Rizzoli Corpo di stato, Pinocchio Nero, L’Amore Buono, Nel Regno di Acilia, La metà di Sophia, e L’occasione. Tra i lavori più recenti, la regia e la scrittura del testo per lo spettacolo Decamerone. Vizi virtù passioni e Giocando con Orlando (in cui è anche interprete) con Stefano Accorsi. Come attore e autore, insieme a Maria Maglietta, ha realizzato pure lo spettacolo Identità. Negli ultimi due anni ha firmato come autore librettista e regista le opere liriche contemporanee Il sogno di una cosa e Corpi eretici, su musiche di Mauro

Montalbetti. Nel 2015, nella ricorrenza del centenario del primo conflitto mondiale, è protagonista dello spettacolo Trincea.

Lella Costa. Dopo gli studi in lettere e il diploma

all'Accademia dei Filodrammatici, esordisce a teatro nel 1980 con il monologo Repertorio, cioè l'orfana e il reggicalze. È l'inizio di un percorso che la porta a frequentare autori contemporanei, a lavorare in radio, ad avvicinarsi al teatro-cabaret e a divenire una delle più rinomate attrici italiane. Nel 1987 debutta con Adlib, monologo che segna anche l'inizio della sua attività di autrice. Seguiranno Coincidenze, Malsottile, Magoni (con le musiche originali di Ivano Fossati), La daga nel Loden, Stanca di guerra, (scritto in collaborazione con Alessandro Baricco), Un'altra storia (con la regia di Gabriele Vacis), Precise parole e Traviata, sempre con la regia di Vacis. Negli anni Duemila, Lella Costa torna a calcare il palcoscenico dei grandi teatri italiani con Alice. Una meraviglia di paese, Amleto e Ragazze. Nelle lande scoperchiate del fuori, spettacoli che si avvalgono della regia di Giorgio Gallione e delle musiche di Stefano Bollani. Nella pièce Arie (2011) conferma la sua predilezione per il monologo, mentre nel 2014 recita insieme a Paolo Calabresi nella commedia per quattro personaggi Nuda proprietà, scritta da Lidia Ravera e diretta da Emanuela Giordano. Insieme a Massimo Cirri e Giorgio Gallione è co-autrice di molti degli spettacoli da lei interpretati. Negli ultimi anni, è stata tra le protagoniste di Ferite a morte, spettacolo pluripremiato sulla questione attualissima della violenza di genere e del femminicidio. All'attività teatrale affianca da anni anche diverse e significative partecipazioni a trasmissioni radiofoniche e televisive; nello stesso tempo porta avanti un costante impegno civile, soprattutto a favore di Emergency.

David Marzi. Si diploma all'Accademia Nazionale d'Arte

Drammatica Silvio d'Amico di Roma e muove i suoi primi passi tra prosa e musical. Partecipa alle opere La famosa invasione degli orsi in Sicilia (2013) e Corpi Eretici (2015), per la regia di Marco Baliani. Con il premio Oscar Gianni Quaranta è attore in Darwin! L'evoluzione? con la direzione musicale del Banco del Mutuo Soccorso e, successivamente, prende parte a Spring Awakening, Non Abbiate Paura! Il musical, Crimini tra Amici e Incendi (con la regia di Massimiliano Vado). Nel 2015 debutta al cinema con un

piccolo ruolo ne Gli ultimi saranno gli ultimi di Massimiliano Bruno. Nella stagione 2015/16 è nel cast di Sister Act diretto da Saverio Marconi e ne Le voci del Coraggio, diretto da Lorenzo Cognatti.

Noemi Medas. Per la sua eclettica formazione è stato

fondamentale l’apporto della sua Famiglia d'arte (la famiglia Medas) e l’incontro con personalità del teatro come Giancarlo Giannini, Franco Graziosi, Veronica Cruciani, Lucia Calamaro, Karin Koller, Davide Iodice, Roberto Rustioni, Arturo Cirillo, Spiro Scimone, Francesco Sframeli, Silvia Calderoni e Nelson Jara. Ha collaborato con l’Ente Lirico di Cagliari e Sardegna Teatro, con

professionisti del teatro e del cinema quali Giuseppe Sollazzo, Michele Salimbeni, Salvatore Mereu, Gianfranco Cabiddu, Bonifacio Angius e Mauro Aragoni.

Elisa Pistis. Si è laureata in Beni culturali con una tesi sugli allestimenti originali del Teatro Lirico di Cagliari. In Sardegna ha debuttato al Teatro Massimo con uno spettacolo per la regia di G. De Monticelli e dal 2010 ha frequentato per tre anni l'Accademia d'Arte Drammatica Nico Pepe di Udine. Dopo il diploma fonda la Compagnia Teatrale Fronda Anomala nella quale, oltre ad essere attrice, si occupa anche di drammaturgia e regia degli spettacoli (in Italia, Spagna e Belgio). Ha partecipato al Festival di Avignone con Mistero Buffo di Dario Fo ed è arrivata in finale al premio “L. Candoni” per drammaturgie originali con il monologo

da lei scritto ed interpretato Il mio paese è donna.

Luigi Pusceddu. Dopo un’esperienza a Londra, si trasferisce a Roma e inizia a frequentare il circuito dei piccoli teatri di Testaccio dove prende parte agli spettacoli Perché vivere è tremare e Naufraghi di una terra sospesa, per la regia di Annamaria Michetti, e Domani dimenticheranno, regia di Angelo Sateriale. Nel 2011 è attore in Troilo e Cressida di Andrea Baracco. Nel 2012 inizia il percorso accademico nella scuola del Teatro stabile di Torino diretta da Valter Malosti. Al Festival delle Colline Torinesi partecipa allo spettacolo

L’incertezza della situazione dal testo di Philipp Löhle, con la regia di Malosti, nell’ambito del progetto Fabulamundi Playwriting Europe, dedicato alla drammaturgia contemporanea.

Antonio Marras. Nasce ad Alghero, in Sardegna, terra che segna profondamente la sua cifra stilistica. L’esordio avviene nel 1987 a Roma, quando viene chiamato a disegnare una collezione di prêt-à-porter, forte delle sue competenze sviluppate su un doppio binario: quello culturale e di interesse rispetto a ogni forma artistico-creativa, e quello tecnico, di conoscenza di materie e forme della moda. È invece del 1996 la prima collezione che porta il nome Marras. All’interno sono presenti tutti gli elementi chiave del suo stile: l’attenzione all’artigianalità, la Sardegna come spunto d’ispirazione che non arriva mai alla banalità del folklore, il filo conduttore del “ligazzio rubio” (in sardo, il legaccio rosso) che diventa trademark del suo stile, un vero e proprio “fil rouge”. Nel 1999 Marras conquista Milano con la prima volta del suo prêt-à-porter. In parallelo alle collezioni persiste la sperimentazione della Linea Laboratorio e Serie Limitata non proprio prêt à porter, non proprio couture. Abiti realizzati a mano, lavori che conservano il carisma dell’autenticità perché confezionati a tiratura limitata. Nel 2003 viene invitato dal gruppo francese LVMH a diventare direttore artistico della Maison Kenzo che rimarrà compagno di viaggio di Antonio per otto anni, sino al 2011. Nel maggio 2007 nasce la seconda linea I’M ISOLA MARRAS che esordisce con la stagione Autunno-Inverno 2008/2009. Contemporaneamente a Milano nasce l’Headquarter dello stilista.

Paolo Fresu. Si avvicina alla tromba all’età di 11

anni nella Banda Musicale di Berchidda, il paese natale. Nel 1984 il diploma in tromba presso il Conservatorio di Cagliari e, da lì, l’inizio di una lunghissima serie di riconoscimenti che premieranno il suo talento (tra questi il prestigioso “Django d’Or” come miglior musicista di jazz europeo). Ha suonato in ogni continente e con i

nomi più importanti della musica afroamericana degli ultimi 30 anni. Ha registrato oltre 350 dischi, di cui oltre ottanta a proprio nome o in leadership ed altri con collaborazioni internazionali. Fresu ha portato la sua tromba ad affacciarsi alle più poliedriche realtà contemporanee: il duo con Uri Caine, la collaborazione con Carla Bley e Steve Swallow e il fortunato incontro con Ralph Towner, che ha fatto da ponte all'ingresso di Fresu nell'entourage della nobile etichetta ECM, che ha poi pubblicato il bellissimo

lavoro Mistico Mediterraneo, con Daniele Di Bonaventura e il coro polifonico corso A. Filetta. Nel 2010 ha fondato l’etichetta discografica Tǔk Music, dedicata ai giovani talenti del jazz contemporaneo. È inoltre direttore artistico di “Time in Jazz”, l’ultraventennale festival jazz di Berchidda. Il suo presente più attuale lo vede attivo, in ottica più esterofila, in trio con Richard Galliano e il pianista svedese Jan Lundgren (“Mare Nostrum”) e in nuove avventure con importanti nomi dell’entourage jazzistico contemporaneo quali Omar Sosa, Gianluca Petrella e – ancora – con Manu Katché, Eivind Aarset, Dave Douglas. Interessanti sono poi i progetti con alcuni grandi nomi del mondo letterario e teatrale italiano (Ascanio Celestini, Lella Costa, Stefano Benni, Milena Vukotic).

Gianluca Petrella. Attivo sulla scena nazionale già

a metà degli anni ’90, è, attualmente, uno dei più famosi jazzisti italiani a livello internazionale. Leader di svariate formazioni – quali, ad esempio, Cosmic Renaissance, Tubolibre Quartet, Il bidone (Omaggio a Nino Rota), SoupStar, duo con Giovanni Guidi - e spalla, ormai da anni, di Enrico Rava, il trombonista barese

vanta numerose collaborazioni con importanti musicisti, italiani e internazionali come Paolo Fresu, Antonello Salis, Roberto Gatto, Steve Swallow, Steve Coleman, Steven Bernstein, Carla Bley, Sean Bergin, solo per citarne alcuni. Ha partecipato e suonato nei maggiori festival e club nel mondo e ha vinto prestigiosi premi internazionali (quali il “Critics Poll” della rivista Down Beat nella categoria “artisti emergenti” e il “Bird Award”). Attualmente è molto attivo anche in territori extra-jazzistici con un’intensa produzione legata alla musica elettronica.

PER APPROFONDIRE L’Italia sta cambiando pelle. Per la prima volta in novant’anni, nel 2015 la popolazione residente è diminuita (- 130.061 unità), malgrado il leggero aumento degli stranieri (+ 11.7016). Al 31 dicembre scorso eravamo 60.665.551 residenti, di cui oltre 5 milioni non italiani (8,3% su scala nazionale, 10.3% nel Centro-Nord), anzitutto romeni (22.5%) e albanesi (9,3%). Il saldo migratorio positivo è stato di 133 mila persone.

Continuiamo peraltro a invecchiare, con un’età mediana di 44,7 anni. Seguendo le tendenze attuali, compresa un’immigrazione netta intorno alle 100mila unità annue, nel 2050 ci ridurremo a circa 57 milioni. Senza immigrazione – ipotesi di pura scuola – perderemmo 8 milioni di abitanti, calando a 52 milioni. Come gran parte dei paesi europei, Germania in testa, gli italiani del futuro prossimo saranno di meno, più vecchi e culturalmente più diversi. Ad allargare la forbice con la sponda sud del Mediterraneo, dove gli abitanti crescono e sono soprattutto giovani, dunque mobili e più disponibili a lasciare le loro case (o ciò che ne resta) per puntare alla riva Nord. […] Non è consigliabile esimerci dal consigliare una strategia di sviluppo fondata sulla gestione sistemica dei flussi migratori, sull’integrazione di una quota determinante degli immigrati – soprattutto delle seconde, presto terze generazioni – e sulla correlativa necessità di stabilire relazioni speciali con le terre d’origine dei nuovi italiani. Altrimenti la disputa sull’identità italiana sarà risolta nello scontro di piazza tra estremisti xenofobi militarizzati e bande di immigrati organizzate su fondo etnico-religioso, tra loro fieramente rivali. […]

La posta in gioco è l’adeguamento del patto informale di convivenza fra italiani al rimescolamento identitario ormai inevitabile. Non solo se vogliamo restare un paese abbastanza civile, ma anche per salvare la nostra economia e quel che resta del Welfare: stime conservative indicano in 200 mila ingressi annui lo standard minimo necessario alla manutenzione della nostra macchina produttiva e del sistema pensionistico. L’obiettivo ottimale per riconnettere immigrazione e inclusione consiste nella circolarità della prima e nella profondità della seconda. E in un grado accettabile di selettività di entrambe. Nel mondo reale, e nell’Italia attuale, tali utopie possono forse essere avvicinate a patto di considerare insieme i vincoli e le opportunità seguenti: A) Investire nello sviluppo a medio termine dei paesi africani, a partire dall’energia, dalle infrastrutture, dalla sanità e dall’educazione, attraverso una collaborazione che incorpori i loro interessi. Finché il Sud si regge sulle rimesse dal Nord, inutile sognare di limitare le migrazioni. B) Aprire selettivamente il nostro sistema formativo ai paesi della sponda Sud, anche delocalizzandone alcune antenne nel continente nero, a condizione che la

maggioranza dei giovani laureati in Italia rientri nel suo paese per elevarne il capitale umano.

C) Non si può dare circolarità che non sia anche europea. Il gioco dello scaricamigrante destabilizza i paesi europei, compresi i presunti furbi, convinti di accollare agli altri guai propri. La solidarietà europea non sarà quindi spontanea, ma frutto di un negoziato al quale approcciarsi con la ferocia pretesa dalla posta in gioco. D) Quanto all’integrazione, deve puntare alla formazione di nuovi italiani. Cittadini, non solo braccia. D’altronde, integrazione non significa schiacciare gli altri su un peraltro inesistente modello nostrano: esige un grado di reciprocità e di scambio.

L. Caracciolo, Chi siamo?, editoriale di Limes, 7/2016 «Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. «Dove sei Adamo?». E Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio.

E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli

che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello! Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito. «Dov’è il tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio! E una volta ancora ringrazio voi abitanti di Lampedusa per la solidarietà. Ho sentito, recentemente, uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui sono passati per le mani dei trafficanti, coloro che sfruttano la povertà degli altri, queste persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto! E alcuni non sono riusciti ad arrivare. «Dov’è il tuo fratello?» Chi è il responsabile di questo sangue? Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E quando il giudice del re chiede: «Chi ha ucciso il Governatore?», tutti rispondono: «Fuente Ovejuna, Signore». Tutti e nessuno! Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono

l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto. «Adamo dove sei?», «Dov’è il tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo?

Papa Francesco, Omelia, Lampedusa 8 luglio 2013

Byung-Chul Han, in La società della stanchezza, sostiene che la “società della prestazione” sta progressivamente rimpiazzando la preesistente “società disciplinare”. Ritrovarsi a svolgere il ruolo di “soggetti di prestazione” è l’esito finale di un processo d’individualizzazione: vale a dire della progressiva erosione dei legami di comunità, che porta alla vulnerabilità, alla volatilità e infine allo smantellamento di collettività un tempo coese, i cui

membri sono abbandonati ai gravosi compiti dell’autodefinizione, dell’autoaffermazione e della cura di sé, potendo contare soltanto sulle risorse, le capacità e la solerzia di cui dispongono. Essere soggetto di prestazione significa dedicarsi a un’attività di acquisto/vendita di merci il cui unico contesto è il mercato; e ciò che si è tenuti a vendere è la propria

prestazione individuale, dopo averla trasformata in merce vendibile, cioè attraente per i potenziali acquirenti. Occorre saper offrire e vendere più e meglio degli offerenti, che diventano inevitabilmente anche concorrenti. È questo il motivo per cui la prima reazione alla presenza dell’Altro oggi di solito è improntata a vigilanza e sospetto: è un momento di ansia indefinita, di impulso a cercare un’àncora, tanto più nervosamente quanto più indefinita è la minaccia. Eccoci così a vivere gran parte del tempo in un risorto mondo hobbesiano, all’insegna della guerra di tutti contro tutti. Forse non è vero che ci viviamo, ma spesso la sensazione è quella.

Ci sentiamo minacciati. E ci sentiamo vittime. Di cosa? Di circostanze su cui abbiamo pochissima influenza, e che tendiamo a chiamare “destino”. Il destino non ha volto, ma per salvare ciò che resta della propria dignità e autostima, le vittime devono riuscire a capire dove sono, chi sono e come si chiamano i loro carnefici; e i carnefici devono avere volti riconoscibili: reperibili, identificabili, meglio se con tanto di nome. I migranti, e in particolare quelli appena arrivati, soddisfano molto bene tutte queste condizioni.

Un nome (almeno generico) ce l’hanno. In giro è pieno di politici e giornalisti che fanno a gara per conquistare gli spiriti e i pensieri, che non si fanno certo pregare per dar loro un nome e dirci premurosamente dove andarli a cercare. Il risultato è facile e garantito: il nostro lavoro non era mai stato tanto precario, il nostro benessere tanto fugace, finché per le strade non sono comparsi loro – e ora che ci sono, e stanno arrivando, quella precarietà e fugacità le conosciamo fin troppo bene. Il meccanismo per scegliere i soggetti cui imputare la nostra vittimizzazione appare perfetto e infallibile. […] La sola via d’uscita dai disagi di oggi e dalle disgrazie di domani passa per il rifiuto delle insidiose tentazioni di separazione; anziché voltarsi dall’altra parte davanti alla realtà delle sfide di oggi – che si condensano nel concetto “un solo pianeta, una sola umanità” – anziché lavarsi le mani e alzare barriere contro le irritanti differenze e dissomiglianze e le estraniazioni autoimposte, dobbiamo andare in cerca di occasioni di incontro ravvicinato e di contatto sempre più approfondito, sperando di arrivare in tal modo a una fusione di orizzonti anziché a una loro fissione indotta e artefatta ma sempre più esasperata. Sì, sono pienamente consapevole che questa non è una ricetta per vivere una vita senza nubi e senza problemi, né per sbrigare facilmente il compito cui oggi dobbiamo dedicarci. Al contrario, annuncia tempi terribilmente lunghi, irrequieti e laceranti.

Difficilmente potrà alleviare da subito le nostre ansi: all’inizio potrebbe scatenare persino ulteriori paure, aggravare ancor più le attuali diffidenze e animosità. Ma credo che un’alternativa più sbrigativa, più comoda e meno rischiosa non esista. L’umanità è in crisi: e da questa crisi non c’è altra via d’uscita che la solidarietà tra gli uomini.

Z. Bauman, Stranieri alle porte, Laterza 2016

Ogni volta che l’uomo si è incontrato con l’altro, ha sempre avuto davanti a sé tre possibilità di scelta: farsi guerra, isolarsi dietro a un muro o stabilire un dialogo. Nel corso della storia vediamo l’uomo esitare in continuazione tra queste opzioni, scegliendo l’una o l’altra a seconda della situazione o della cultura. È mutevole nelle sue decisioni, non sempre si sente sicuro, non sempre sente la terra salda sotto i piedi. Quella della guerra è un’opzione difficilmente giustificabile:

penso che ne escano tutti perdenti, poiché è una sconfitta dell’essere umano che rivela la sua incapacità di intendersi, di immedesimarsi nell’altro, di mostrarsi buono e intelligente. In questo caso l’incontro con l’altro si conclude sempre tragicamente nel sangue e nella morte. Nel mondo moderno l’idea che induce l’uomo a erigere grandi muraglie e a scavare profondi fossati per mantenersi isolato dagli altri è stata definita come dottrina dell’apartheid. Un concetto erroneamente limitato alla sola politica del regime, oggi scomparso, dei bianchi del Sudafrica. In realtà l’apartheid veniva già praticato nei tempi remoti. Semplificando, si tratta di un’ideologia secondo la quale chiunque non appartenga alla mia stessa razza, religione e cultura è libero di vivere come vuole, purché alla larga da me. La cosa, tuttavia, è meno semplice di quanto sembri. In realtà abbiamo a che fare con una dottrina proclamante la fondamentale e insanabile disuguaglianza che divide il genere umano. I miti di molte tribù e popolazioni si basano sulla convinzione che i veri esseri umani siano soltanto loro, ossia i membri di un clan o di una società: gli altri, tutti gli altri, sono subumani o addirittura non umani. Quanto diversa appare invece l’immagine dell’altro all’epoca delle fedi antropomorfiche, quelle cioè in cui gli dèi potevano assumere forma umana e

comportarsi come uomini. A quel tempo non si sapeva mai se il viandante fosse un uomo o un dio celato sotto sembianze umane. Questa incertezza, questa intrigante ambivalenza è una delle fonti della cultura dell’ospitalità, che impone di accogliere con benevolenza il nuovo arrivato. Ne parla il poeta polacco Cyprian Norwid nella sua introduzione all’Odissea, interrogandosi sulle ragioni dell’ospitalità ricevuta da Ulisse nel suo viaggio di ritorno verso Itaca. “ Alla vista di un mendicante o di un vagabondo, ci si chiede subito se per caso non si tratti di un Dio. Non si accoglie l’ospite chiedendogli chi sia: prima se ne onora la divinità e solo dopo si passa alle domande umane. In ciò consiste appunto l’ospitalità, non per niente annoverata tra le pratiche e le virtù religiose. Tra i greci non esisteva ‘l’ultimo degli uomini’: egli è sempre primo, vale a dire divino”. Nella visione culturale greca riportata da Norwid le cose si manifestano sotto un aspetto nuovo e favorevole all’uomo. Porte e cancelli non sono fatti solo per chiudersi davanti all’altro: possono anche spalancarglisi davanti, invitandolo a entrare. La strada non deve solo servire agli eserciti nemici: può essere anche la via lungo la quale, travestito da viandante, viene a trovarci un dio.

R. Kapuściński, L’altro, Feltrinelli 2007

DALLA RASSEGNA STAMPA

"Human", Marco Baliani e Lella Costa raccontano il dramma della migrazione. "Perché si mettono in viaggio sapendo in partenza che forse moriranno? Per quel forse". Ravenna Festival 2016 è pronto ad accogliere, in anteprima nazionale, "Human", il nuovo spettacolo di Marco Baliani e Lella Costa dedicato al tema della migrazione, a tutti quegli uomini e donne in fuga da guerre e carestie, in

cerca di salvezza. In scena venerdì 8 luglio al teatro Alighieri (replica il 9, sempre alle 21), lo spettacolo, con musiche di Paolo Fresu e scene e costumi dello stilista Antonio Marras, sarà in tournée sui palcoscenici italiani a partire dal teatro Strehler di Milano. "Un tema quello di "Human" che ben si inserisce nel filo conduttore di questa edizione della kermesse, dedicata a Nelson Mandela e al concetto di libertà, ma non

nuovo al festival, come nel caso dello spettacolo "Rumore di acque" prodotto con Ravenna Teatro e incentrato proprio sul tema dei migranti"- ha commentato il sovrintendente di Ravenna Festival Antonio De Rosa. E il Festival ha infatti accolto con entusiasmo questa anteprima nazionale, come sottolineato dal co-direttore Artistico Franco Masotti: "l'idea di libertà è qualcosa per cui si deve combattere sia per noi che per gli altri, niente come questo spettacolo poteva aiutarci a declinare così bene questo tema". Testimonianze dirette, brandelli di vita vissuta, narrazioni tramandate da chi si è spostato da una riva all'altra di quel mare che dovrebbe unire ma che si è trasformato in un baratro di sofferenza. Marco Baliani è partito dal mito per interrogarsi e interrogarci sul senso del migrare: "quando si indagano grandi temi è facile cadere in luoghi comuni e facili indignazioni - ha commentato il regista-. Questo spettacolo si rivolge all'Occidente, raccontando le nostre tragedie, non quelle dei migranti, scintilla che sta mettendo in discussione l'Europa". La prima ispirazione è stata l'Eneide, il poema di Virgilio che celebra la nascita dell'impero romano da un popolo di profughi. Poi l'incontro con Lella Costa e la reminiscenza del mito di Ero e Leandro, due amanti che vivono sulle rive opposte dell'Ellesponto da cui prende il via "Human". Uno spettacolo dove non esiste un dramma dall'inizio alla fine, ma un caleidoscopio con frammenti di dialoghi, monologhi, racconti, danza e musica senza parole. Baliani insieme a Lella Costa indaga la linea di confine che separa l'umano dal disumano: "non siamo così limpidi, non siamo sempre degli eroi, è uno spettacolo un po' inquietante, vorrei che gli spettatori andassero via con tante domande che non hanno avuto risposta" chiarisce il regista. All'interno del progetto teatrale Human si inserisce anche Eni, Main partner, con un progetto che ha visto coinvolti gli studenti del liceo scientifico "Oriani" di Ravenna e di altre cinque città toccate dal tour. L'obiettivo era quello di innescare una riflessione tra le giovani generazioni sul tema dei diritti umani, della migrazione e della trasformazione del tessuto sociale, a partire da alcune parole chiave dello spettacolo. Dalle parole degli studenti è nata poi una videoinstallazione che accompagnerà lo spettacolo a Ravenna, Torino, Milano, Mestre e Livorno. Al termine del progetto inoltre, il racconto migliore diventerà la sceneggiatura per un cortometraggio.

www.ravenna24ore.it, 7 luglio 2016

Marco Baliani e Lella Costa presentano al Teatro Massimo di Cagliari lo spettacolo Human, dedicato al tema delle migrazioni, che debutterà al Ravenna Festival a luglio e sarà in tournée sui palcoscenici italiani nella stagione 2016/17. Un progetto pensato non solo per raccontare la disperazione

di chi arriva, ma soprattutto per entrare nelle nostre contraddizioni, mostrare il nostro smarrimento verso i perseguitati e i fondamentalismi che abbiamo davanti. Organizza Lìberos in collaborazione con Sardegna Teatro, all'interno di NOIS - la Sardegna che accoglie, un'intera giornata di dibattiti e incontri, in programma lunedì 20 giugno in occasione della Giornata mondiale del rifugiato. L'incontro con Baliani e Costa, alle 18, è l'anteprima del convegno La cultura degli altri. La cultura come ponte fra i popoli e antidoto al razzismo, in programma a Cagliari a novembre, in conclusione della quarta edizione del festival Éntula. L'appuntamento è organizzato in partnership con Amnesty International Gruppo 128 Cagliari, Gruppo Emergency Cagliari, Art'In Produzioni, Genti de Mesu, KaraLettura Associazione Culturale, La Malince, Mediateca del Mediterraneo, Sardex.net e Sardegna Teatro. HUMAN di Marco Baliani e Lella Costa. Con: Marco Baliani, Lella Costa, David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis, Luigi Pusceddu, collaborazione alla drammaturgia di Ilenia Carrone, scene e costumi di Antonio Marras musiche originali di Paolo Fresu con Gianluca Petrella, regia di Marco Baliani.

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…OLTRE LO SPETTACOLO… Il sito www.progettohuman.it è di due aziende sarde formate da giovani professionisti. Un progetto di accoglienza già nel suo farsi. Le testimonianze dirette, i brandelli di vita vissuta, le narrazioni tramandate, ma anche le riflessioni di pensatori, filosofi, artisti antichi, moderni e contemporanei confluiscono nel diario di viaggio di HUMAN, che è possibile seguire on line dal 10 dicembre 2015. Il sito è la traccia quotidiana degli incontri, delle letture, degli approfondimenti, dei ripensamenti e di tutte le visioni che hanno portato prima al debutto dello spettacolo, alla tournée sui palcoscenici italiani nella stagione 2016/17, e poi a molte altre occasioni di intervento, in Italia e non solo. Insieme al sito, anche le pagine Facebook.

Fu così che il grande scienziato rispose all'impiegato dell'ufficio immigrazione che lo accolse negli Stati Uniti, nel 1933 in fuga dalle crescenti discriminazioni razziali del regime nazista.