menthalia magazine - settembre 2013
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Periodico d'informazione sulla comunicazione e dintorni.TRANSCRIPT
num. 5 - Anno II settembre 2013Reg. Trib. di Napoli N. 27 del 6/4/2012
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IN QUESTO NUMERO
Un Batman per Marsiglia
Arriva Carl, il robot “barista”
Comunicare il benessere
Il favoloso mondo di Anna Piaggi
Difendersi dall’estinzione in 5 mosse
Una tela per aff ermare l’Io
Candy Crush Saga: i dolcetti fanno gola
Eccomi, sono qui!
Il Carnevale colora Londra
pagina 2
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Editoriale
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Registrazione al Tribunale di Napoli
N. 27 del 6/4/2012
Direttore Responsabile: Fabrizio Ponsiglione
Direttore Editoriale: Stefania Buonavolontà
Art Director: Marco Iazzetta
Grafi ca & Impaginazione: Menthalia Design
Hanno collaborato in questo numero:
Valeria Aiello, Carla Basile, Stefania Buonavolontà,
Flaviana Cimmino, Andrea Ponsiglione,
Marco Quadretti, Elena Serra,
Alice Setafi na, Diego Vecchione
Menthalia srl direzione/amministrazione 80125 Napoli – 49, Piazzale V. Tecchio
Ph. +39 081 621911 • Fax +39 081 622445
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La pubblicazione delle immagini all’interno dei
“Servizi Speciali” è consentita ai fi ni dell’ esercizio
del diritto di cronaca.
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numero 5 - settembre 2013
Marco Iazzetta
General Manager
Menthalia
Un accompagnamento musicale davvero sentito quel-
lo che off re Andvinyly, un’impresa inglese, che ha
pensato di farci restare vicino ai posteri in maniera
piuttosto insolita: racchiusi, intrappolati, ovvero stampati in
una melodia che ci porta attraverso l’eternità a parenti e amici
che hanno deciso di conservare il nostro ricordo in un mo-
tivetto da canticchiare per il resto della vita. La ditta, infatti,
permette di stampare su vinile le ceneri dei defunti cremati
e di personalizzare i dischi con della musica a proprio piaci-
mento. Il tutto in dieci indispensabili step che garantiscono
l’immortalità. Si parte dalla verifi ca del servizio, fi no all’indi-
viduazione del delegato che sarà l’artefi ce del completamento
della missione. Consultabile sul sito dell’azienda, il decalogo
è chiaro in ogni suo punto:
1. Indicare il luogo dove desidera ricevere il servizio
per la verifi ca della fattibilità;
2. Indicare il membro della famiglia o il delegato che
(ti) accompagnerà, ovviamente sotto forma di cene-
ri, alla stampa del disco;
3. Decidere l’audio e la copertina;
4. Supervisionare la preparazione dell’originale dell’au-
dio;
5. Ricevere una copia “campione” del disco con audio
e copertina;
6. Morire;
7. Farsi cremare;
8. Inviare il membro della famiglia o il delegato alla
stampa dei dischi;
9. Ritirare i dischi
10. Vivere per sempre… tra le note del disco.
Il servizio ha un prezzo davvero accessibile a tutti: per un
“pacchetto standard”, che comprende 30 vinili, siamo nell’or-
dine delle 3.000 sterline. Un prezzo modico, a conferma che
ormai c’è un prezzo per tutto, anche per l’immortalità.
Ma attenzione, specifi cano dall’Inghilterra, si accettano an-
che singole parti del corpo, ovviamente, cremate… provare
per credere!
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di Marco Quadretti, Web developer
“Marsiglia è una città perico-
losa” aff erma un cittadino
francese, “No!” replica Bat-
man, mollandogli un ceff one. Questa è una
delle tante vignette raffi guranti il supere-
roe, simbolo di una campagna alquanto in-
solita, che sta facendo il giro del web.
La fi nta petizione online e la pagina Fa-
cebook Un Batman pour Marseille? è nata
dopo che un pensionato è stato ucciso,
tentando di sventare una rapina. Secondo
alcuni testimoni i ladri, dopo una rapina
in una tabaccheria, sono fuggiti
su uno scooter ma dopo un
centinaio di metri sono stati
fermati da Jaques Blondel,
un sessantunenne pen-
sionato di AirFrance che,
essendosi accorto dell’ac-
caduto, ha cercato di in-
tervenire investendo con la
propria auto i due malavitosi
in fuga. Blondel ha poi cercato
di fermare i due ladri con lo spray al
peperoncino ma, prima che potesse farlo,
uno dei sospettati ha tirato fuori una pisto-
la e ha aperto il fuoco, colpendolo ad una
gamba e all’addome, davanti a sua moglie
e sua nipote.
Un campanello d’allarme contro la violen-
za che da qualche anno regna sulla città di
Marsiglia e che nel mese di agosto ha ucciso
un eroe. È proprio sulla base di questo che
un gruppo di residenti della violenta città
ha creato la petizione che in una sola setti-
mana ha ricevuto migliaia di fi rme sul sito
uffi ciale. “La città ha bisogno di azione!” di-
cono le migliaia di persone che aderiscono
giorno per giorno, non contenti delle misu-
re di sicurezza che sta attuando il governo
francese. Nel documento si chiede ai citta-
dini di diventare “un Batman” per aiutare
Marsiglia nella lotta per il buon senso e di
non aspettare il supereroe della DC Comics
per difendere la nuova Gotham City.
Nel frattempo, la pagina creata su Facebo-
ok ha già ricevuto più di cinquemila “mi
piace”, quattromila solo nelle prime due
settimane. Sul sito uffi ciale inoltre è presen-
te una donazione, chissà che l’incasso non
venga usato proprio per cercare di
ingaggiare il Cavaliere Oscuro.
In realtà non è la prima vol-
ta che è richiesto un suo
aiuto. Nel 2004 infatti un
uomo vestito da Batman
si arrampicò sulla parete
davanti a Buckingham Pa-
lace, su una sporgenza vici-
no al balcone dove compare
la famiglia reale in occasioni ce-
rimoniali. In quel caso però, dopo es-
sere stato smascherato, la delusione è stata
grande: sotto la maschera non c’era Bruce
Wayne, bensì Jason Hatch, un attivista di
Fathers 4 Justice che si batte per i diritti di
custodia per i padri divorziati o separati.
Anche nel marzo scorso un uomo vestito
da Batman si è presentato in un commissa-
riato di Bradford in Inghilterra e ha conse-
gnato alla polizia un malvivente di 27 anni,
suscitando stupore e curiosità. Anche qui,
però, il supereroe è stato smascherato.
Ad indossare i panni del Cavaliere Oscuro
stavolta è stato Stan Worby, un fattorino di
39 anni che si era travestito per andare allo
stadio ed assistere alla partita Bradford-
Swansea e che, poco prima, era riuscito a
convincere un suo amico, con una serie di
precedenti per furto e frode, a costituirsi.
Tanti quindi gli avvistamenti del Cavaliere
Oscuro: dal Molise, dove è stato avvistato a
vegliare di notte la città di Isernia, al Mary-
land nella contea di Montgomery a bordo
della sua Batmobile (una Lamborghini Gal-
lardo cabrio nera). Chissà s e un giorno non
utilizzeremo il Bat-segnale per chiamare il
supereroe mascherato, magari quello vero
però!
Un Batman per Marsiglia
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di Carla Basile, Blogger & Copywriter
Arriva Carl, il robot “barista”
Vi ricordate i fi lm degli anni ‘80-
‘90 incentrati sul tema dei robot?
Terminator, Matrix, Io, Robot, ma
anche meno recenti come il famoso Blade
Runner e molti altri, che hanno incuriosi-
to ed emozionato milioni di telespettatori,
anche i più reticenti ad appassionarsi al ge-
nere. Quello della robotica è diventato uno
dei fi loni letterari portanti a partire dagli
anni ‘50, quando Isaac Asimov cominciò
a descrivere minuziosamente quest’uni-
verso nei suoi libri, il cui fi lo conduttore
è quello della creazione e dell’evoluzione
delle macchine che si conclude, nella mag-
gior parte dei casi, con la loro ribellione al
genere umano.
Negli ultimi decenni i ricercatori che si
occupano della creazione di macchine
senzienti hanno svilup-
pato diversi modelli con
capacità cognitive sem-
pre più raffi nate, coin-
volgendo nei loro studi
ingegneristici anche psi-
cologi e biologi.
È dalla Germania che
arriva l’ultima novità.
Nell’estate scorsa, in-
fatti, la città di Ilmenau
ha visto l’inaugurazio-
ne di un bar molto particolare: un robot
umanoide aiuta i suoi colleghi umani nella
preparazione dei cocktail e serve i clienti,
intrattenendo con loro anche una breve
conversazione, “qualitativamente limita-
ta”, come l’ha defi nita il Dailymail, visto
che la sua capacità di riconoscimento vo-
cale e quella di interazione sono, per il mo-
mento, “minime”.
L’idea è dell’ingegnere Ben Schaefer, nel
campo della robotica da ventitré anni,
che a quanto pare ha creato il “barista” a
partire da alcuni pezzi di robot industriali
in disuso. Tante sono le novità in questa
branca dell’ingegneria meccatronica: dal
robot astronauta Kirobo inviato sull’Inter-
national Space Station, ad Atlas realizzato
per sostituire l’uomo in missioni di soc-
corso pericolose, a quelli più in generale
usati a scopi clinici; l’ultima novità anche
in campo sportivo è la notizia che sarà il
“gemello” di Kirobo, chiamato Mirata, il
nuovo testimonial delle olimpiadi del 2020
che si terranno a Tokyo.
In questo panorama, quella del “barista”
di Ilmenau si può ritenere senz’altro una
trovata simpatica (a chi infatti non pia-
cerebbe essere servito al bar da un robot,
magari anche capace di espressioni emo-
tive?), ma anche utile all’approfondimen-
to degli studi nel campo della robotica;
Schaefer, infatti, pensa che il contatto tra i
clienti del bar e il robot, ribattezzato Carl,
possa affi nare le sue ricerche sull’intera-
zione uomo-macchina e apportare mi-
glioramenti altrimenti non possibili nelle
indagini compiute in laboratorio.
È tanto fantascientifi co dunque pensare
che da una macchina di supporto si possa
arrivare ad un ro-
bot che ci sostituisce
completamente? Del
resto non sarebbe un
fenomeno nuovo se
si pensa soltanto ai
tanti macchinari in-
dustriali che svolgono
operazioni un tempo
affi date all’uomo.
La letteratura fanta-
scientifi ca sopra cita-
ta ci insegna che l’avanzamento in queste
tecnologie può risultare controproducente
sul lungo periodo: l’interazione inizial-
mente positiva uomo-macchina si evolve
quasi sempre in un confl itto a discapito
del genere umano. Sarà dunque questo il
nostro destino? Gran parte di questi fi lm
sembra magnifi camente riassunta nella re-
cente serie televisiva Battlestar Galactica,
in cui la battuta ripetuta più spesso è “tutto
questo è già successo e succederà di nuovo”,
molto in stile “eterno ritorno” nietzschia-
no! E che lascia intendere un inevitabile
progresso robotico per l’umanità. Ma al
di là di qualunque fi losofi a fantascientifi -
ca, resta il fatto che la creazione di nuovi
robot pone degli interrogativi circa le loro
potenzialità future e circa la necessità di
imporre dei limiti al loro utilizzo. Per il
momento siamo curiosi di scoprire com’è
un cocktail preparato da Carl.
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di Flavia Cimmino, Account Offi ce
Comunicare il benessere
Digitando la parola “benessere” onli-
ne i primi risultati della ricerca
sono per lo più pagine che riman-
dano ad articoli sulla salute, sulla forma fi si-
ca e a eventuali off erte di centri e hotel dove
ristorarsi con massaggi, saune, alimentazio-
ne sana, ecc. Ma esattamente cosa si intende
per benessere? Per conoscere il suo signifi ca-
to originario come sempre si deve fare qual-
che passo indietro, fi no al tempo dei greci.
Infatti, già Platone approfondì il tema del
benessere. La parola in greco si associa a
quella di felicità, il fi losofo parla di eudai-
monia, collegata ai termini eufrosìne, cioè
gioia, e sìnferon, cioè conveniente. Quindi
il benessere, da noi ridotto a semplice “sta-
re bene”, era indicato come un movimento
ordinato dell’anima che procura gioia e che
realizza azioni convenienti; il benessere non
è inteso dunque come qualcosa di statico,
ma di dinamico, come un moto che mette
in accordo il soggetto con il mondo ester-
no. Benessere per tutti noi oggi è uno stato
di grazia, un momento di felicità per l’ani-
ma e il corpo, spesso direttamente collega-
bile a esperienze fuori dall’ordinario, a gite
in luoghi ameni, che mettono in contatto
con la natura. Si intende dunque un ritor-
no a uno stile di vita semplice, fatto di buon
cibo, scorci naturali incantevoli, condivisio-
ne dell’esperienza con la giusta compagnia
di amici. Quanti di noi infatti, appena si
prospetta la possibilità di un ponte festivo,
scelgono di sfuggire al solito tran tran citta-
dino in cui si è immersi quotidianamente?
Questo accade un po’ a tutti, anche a noti
personaggi del panorama musicale per
esempio. Spesso infatti l’atmosfera rilassan-
te dei piccoli alberghi lontano dalla città, ar-
roccati su colline, in prossimità di laghi o del
mare, garantisce quel benessere dell’anima
che favorisce l’ispirazione.
Tra questi magnifi ci luoghi dove rifugiarsi
in totale relax, c’è un borgo medievale scelto
per una convention di lancio per una mul-
tinazionale farmaceutica ed organizzato da
Menthalia che si chiama Castel Monastero.
Il luogo immerso tra le colline senesi con-
ferma il concetto di immersione totale nel
“benessere” in senso completo che si perce-
pisce in ogni momento della giornata giro-
vagando nel piccolo borgo. Castel Monaste-
ro lascia stupiti di trovare tra le colline della
provincia di Siena uno di quei posti in linea
con il tema della salute, della forma fi sica e,
perché no, della sana alimentazione. Il bor-
go è solo uno dei tanti esempi di luoghi da
sogno, dove per qualche giorno è possibile
distrarsi da quella quotidianità snervante.
Uno di quei luoghi di benessere, ma anche
di gioia, felicità e armonia dell’anima, capa-
ce di regalare pace e tranquillità, non solo ai
VIP, ma anche agli amanti del soggiornare
bene. Grandi spazi all’aperto che si fondono
ad architetture tipiche che promettono un
percorso di benessere interiore.
Luoghi da sogno, capaci di rinvigorire la
mente con esperienze fuori dall’ordinario e
di regalare serenità mentale, prima ancora
che fi sica. Nulla a che vedere con le solite
foto di litoterapia che ci bombardano sul
web. Non saranno i sassolini sulla schiena
a farci rilassare, ma un mix di componenti
tra cui, appunto, la cucina. Ebbene sì, quello
che può sembrare un dettaglio quasi irrile-
vante se volessimo considerare la possibili-
tà di andare a cena “fuori”, molto spesso è
l’aspetto che ci potrebbe più entusiasmare.
Anche perché, spesso, queste località sorgo-
no lontano dai centri abitati, in vere e pro-
prie oasi di pace, dove il ristorante più vicino
potrebbe anche trovarsi a diversi chilometri.
È proprio attraverso la cucina, stimolata dal
boom di quest’inverno dei tanti format tele-
visivi trasmessi dai più noti canali, che molti
di questi resort cercano riscatto in questo
diffi cile periodo di crisi, perché si sa che
all’italiano piace mangiare, e mangiare bene.
Così al via la ricerca dei nomi più noti del
panorama culinario italiano e internazio-
nale, nessuno escluso, a garanzia di gusto
e qualità. Basteranno i consigli del Gordon
Ramsay di turno per far esplodere in bocca
il sapore di un weekend meritato? È pur vero
che ognuno vive la propria vita perseguendo
gli obiettivi che vuole, nella maniera che
preferisce e, perché no, magari concedendo-
si piccoli sfi zi.
Ma chissà se Platone oggi avrebbe preferito
ritirarsi in un luogo ameno abbandonando
ogni forma di eccesso e ritrovando il contat-
to con la natura.
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di Alice Setafi na, Writer
Il favoloso mondo di Anna Piaggi
Anna Piaggi non è un nome qual-
siasi. È il nome di una donna che
è stata tante cose: giornalista di
moda, scrittrice, traduttrice di romanzi.
Ma più di tutto di una donna che aveva fat-
to di se stessa un’opera d’arte. Agghindata
in modo eccentrico ma unico per ogni oc-
casione, è stata sempre presente alle sfi late
di moda, dove era attentamente osservata
da tutti, incantati dalla sua pittoresca fi gu-
ra. A un anno dalla morte, avvenuta nell’a-
gosto 2012, si ricorda la sua persona e il
suo brioso mondo di cappelli, per i quali
più di tutto è diventata famosa, attraverso
una mostra a Milano.
Durante la settimana della moda sarà
possibile contemplare i suoi meravigliosi
e variopinti copricapi (almeno seicento)
in questa mostra dal titolo “Hat-ology”,
nata dalla collaborazione dell’Associazione
Culturale Anna Piaggi con il Comune di
Milano, la Camera Nazionale della Moda
Italiana e il curatore, Stephen Jones, autore
di numerosi dei suoi strepitosi cappelli.
Lo stesso Jones, su Vogue arts news ha det-
to di Anna “Come noi punk, lei intendeva
gli abiti come un’espressione di noi stessi e
non della moda. Ecco perché la rispettia-
mo così tanto”.
È dunque soprattutto per i suoi strabilian-
ti cappelli che ancor oggi viene ricordata
ed evocata; lei stessa sosteneva di non es-
sere mai uscita di casa senza un cappello
dal 1980! Ma questo non era il suo unico
tratto distintivo. L’intero aspetto di Anna
Piaggi era unico e inconfondibile: il volto
ricoperto da una cipria bianchissima, evi-
denziato dal rosso brillante sulle guance,
gli occhi marcati col blu o col nero, le lab-
bra dipinte a formare un cuore e l’imman-
cabile cappellino di traverso che copriva
un’onda di capelli spesso colorati di blu.
Un personaggio quasi fi abesco, potremmo
dire di un’altra epoca, ma in realtà capace
di essere moderna, al passo coi tempi, pur
nel suo stile vintage, concetto da lei intro-
dotto prima ancora che ne coniassero il
termine.
La carriera della Piaggi comincia come
traduttrice per la casa editrice Mondadori,
per poi iniziare collaborazioni con le rivi-
ste l’Espresso e Panorama, e approdare al
mensile Vogue dove avverrà la sua defi niti-
va consacrazione nal mondo della moda e
dove sarebbe rimasta fi no alla fi ne, con la
sua rubrica D.P. Doppie Pagine, vera scuola
di glamour.
Già nel 1986 entrò nel panorama mon-
diale della moda, quando Karl Lagerfeld
la trasformò in fumetto, in una serie di
avventure dal sapore onirico, nel volume
Anna-Chronique. Il grande stilista diceva
di lei: “Anna inventa la moda. Nel vestirsi
fa automaticamente quello che noi faremo
domani”.
La Piaggi non parlava solo di moda, ma la
raccontava con senso critico e lucidità, in
maniera brillante e spudorata, insegnando
a vedere oltre le tendenze e il glamour fi ne
a se stesso.
Più che dettare la moda e le tendenze, le
inventava anticipando persino gli stilisti.
Era presente alle sfi late, talvolta dietro le
quinte, rassicurando in qualche modo tutti
gli animi con la sua eccentrica presenza.
E, in quelle occasioni, dava il massimo di
sé: prima sul red carpet, poi sul front row,
sfoggiando un trucco iperbolico, accom-
pagnato da abiti sgargianti. Il fotorepor-
ter del New York Times Bill Cunningham
la defi niva “l’unica italiana che valesse la
pena fotografare”.
Quella organizzata a Palazzo Morando
non è la prima mostra mostra di accesso-
ri di Anna Piaggi. Già nel 2006 al Victoria
& Albert Museum di Londra era stata or-
ganizzata la mostra intitolata Anna Piaggi
Fashion-ology. In quell’occasione erano
stati esposti quasi 3000 abiti e 265 paia di
scarpe della nota giornalista (come ripor-
tato sulla rivista di arte e spettacolo onli-
ne daringtodo.com). Fashion-ology era il
nome con cui si tradusse la “moda-logia”,
termine coniato dalla stessa Piaggi, che
aveva quasi l’accezione di “mitologia del-
la moda”. Prima di Karl Lagerfeld, Anna
Piaggi aveva incontrato l’estro del disegna-
tore Antonio Lopez, col quale diede vita
alla rivista Vanity, e quello di Vern Lam-
bert, storico di moda. Ma il primo gran-
de sodalizio creativo e culturale si costituì
proprio con il marito Alfa Castaldi, foto-
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grafo che collaborò con Vogue in Italia e
sposò la Piaggi nel 1962.
Quando un personaggio del genere incide
così fortemente in un settore in continuo
divenire come quello della moda non si
può non pensare che sia caratterizzato da
un carisma senza precedenti, da una sorta
di “magnetismo elegante” che ha caratteriz-
zato poche personalità dell’epoca moderna.
Eccentrici, con costumi innovativi, a volte
al limite del reale star come Madonna, Da-
vid Bowie, la recentissima Lady Gaga sono
alcuni esempi di moda fuori dagli schemi,
originale, capace di appassionare al primo
sguardo. La stessa Lady Gaga durante lo
spettacolo MTV Video Music Award del
2005, aff ermò “I’m not real, I’m theatre”
rendendo pubblica la sua idea di aver co-
struito il proprio personaggio sull’utopia di
una vita su un immenso palcoscenico. Cer-
tamente, un modo di essere che le ha fatto
guadagnare molto seguito. Grandi artisti,
tutti accomunati da uno stile originale, da
abiti su misura dai colori sgargianti e dalle
forme futuristiche.
Ma per Anna Piaggi la storia è diversa; lei
che ha cominciato la sua carriera forse in
punta di piedi nella nota casa editrice man-
tovana, approdando soltanto poi nell’uni-
verso della moda, ha mostrato le tendenze
in maniera non “rumorosa” ma comunque
manifesta. Ha parlato di moda, scrivendo
su riviste di spicco e infi ne l’ha indossa-
ta, plasmandola a suo piacere, facendone
“espressione” e non “mostra” di sé.
Con gusto eclettico e concentrando su di
sé stili diversi riuniti in un solo modo di
vestire e apparire, ha armonizzato forme e
colori, ora in un tulle arancione combinato
con cappellino fucsia a pelo corto, ora in un
abito a pieghe bianche con scritte nere che
sembra riprodurre i fogli di un giornale in-
torno alla sua persona. E ancora mascheri-
ne carnevalesche sugli occhi, lenti vintage,
piccoli cilindri sul capo dai colori accesi.
A coronare il tutto un inconfondibile truc-
co brioso e vistoso, con quei colpetti rossi
sulle guance di contorno a una smorfi a di
serietà quasi regale.
C’è da apprezzare inoltre anche la natura-
lezza con la quale Anna Piaggi si è mossa
all’interno di un mondo davvero diabolico,
come quello della moda. Come non ricor-
darsi della verosimile trasposizione di que-
sto settore nel fi lm Il diavolo veste Prada,
ispirato all’esperienza di una stagista presso
la rivista Vogue, che ci off re un’immagine
diabolica di un mondo che lascia scottati,
sia che ci si trovi ad aff rontarlo da semplici
stagisti che da famose stiliste o redattrici di
moda.
Anna Piaggi è riuscita a non farsi trascinare
nel meccanismo del pettegolezzo tipico di
questo ambiente, lasciando di sé un ricordo
fresco e brioso, forse davvero senza prece-
denti a livello internazionale.
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Profezie su profezie, ma la fi ne del
mondo, al momento tarda ad arri-
vare. La attendiamo tutti, e non con
poca ansia, da millenni. Aggiungerei for-
tunatamente. E nonostante il processo di
avvicinamento al fatidico giorno sia più
che mai “attivato” e ancora invisibile a chi
ha gli occhi coperti da spessissimi strati
di prosciutto, si continua a vivere come
se nulla fosse. Verrà dal cielo? Verrà dalla
Terra? Verrà dall’uomo? La fi ne del nostro
tempo si costella dei più disparati interro-
gativi, lasciandoci inermi all’inesorabile
Giudizio Universale. E con il collasso alle
porte, c’è chi risponde al panico con qual-
che idea per assicurare la sopravvivenza
della nostra civiltà. Progetti che sanno di
fantascientifi co di cui, forse è il caso, se-
gnarsi le coordinate. Non si sa mai.
Le capsule del tempo WestinghouseNonostante il nome faccia tornare in men-
te la saga di Ritorno al Futuro, le capsule
del tempo non hanno nulla a che vede-
re con la DeLorean volante di Emmett
Brown. Si tratta di due capsule vere e pro-
prie, dalla lunghezza di 2,2 metri per circa
30 centimetri di diametro, realizzate con
leghe speciali: la prima, chiamata Cupa-
loy, costituita principalmente di rame con
tracce di cromo e argento, comparsa per
la prima volta nell’esposizione universale
di New York del 1939, e la seconda, bat-
tezzata Kromarc, costruita in una lega di
acciaio, nickel, cromo, manganese e mo-
libdeno e presentata all’esposizione uni-
versale del 1964. Entrambe realizzate dalla
Westinghouse, l’azienda produttrice di re-
attori nucleari, sono in grado di resistere
all’erosione del tempo per 5000 anni. Ma a
cosa servono? Purtroppo non a viaggiare
nel tempo, nel senso comune del termine,
bensì a trasportare nel futuro microfi lm
con testi di letteratura, immagini d’arte
contemporanea, istruzioni sulla produ-
zione di energia atomica e di razzi per
raggiungere lo spazio, articoli sugli ultimi
sviluppi scientifi ci e tecnologici, dizionari
e anche quegli almanacchi che avrebbe-
ro potuto fare la fortuna di Marty McFly.
Nessuno quindi tornerà dal 1985 dopo
essersi assicurato che gli eventi futuri va-
dano secondo natura. Piuttosto, chi avrà la
fortuna di aprirle, nel 6939 e nel 6934, ov-
vero tra 5000 anni, si ritroverà una serie di
informazioni che, a dire il vero, non credo
tornino davvero utilissime a un’umanità
sopravvissuta all’apocalisse.
Coordinate 40°44’42’’N 73°51’2’’O. Flush-
ing Meadows Park, Queens, New York
City, USA.
La cripta della civiltàSotterranea, nata dalla mente dell’america-
no Th ornwell Jacobson, infl uenzato dalla
scoperta della tomba di Tutankamon. Per
un attimo è come essere catapultati in una
sceneggiatura degna di Steven Spielberg,
con tanto di archeologi intenti a recupe-
rare tesori perduti. Si tratta della Crypt of
Civilization, una camera sigillata in gra-
do di conservare, per millenni, le vestigia
dell’epoca contemporanea. Annunciata via
radio dalla NBC nel 1937 e ultimata nel
1940, la cripta lunga 6 metri, alta e larga 3
metri, è semplice da raggiungere. Nessun
tempio nella giungla, ma basterà recarsi al
Phoebe Hearst Memorial Hall, uno degli
edifi ci in stile gotico del complesso uni-
versitario Oglethorpe di Brookhaven, alle
porte di Atlanta, in Georgia, per scoprire
la camera dal tetto in pietra di 3 metri e
mezzo incorporata nelle fondamenta del
palazzo. Sigillata da un portello di acciaio
saldato, la cripta riprende lo stile dell’anti-
ca tomba egiziana, se non fosse per il fatto
che ad abitarla non ci sono mummie, ma
solo artefatti umani. Niente preziosi per gli
esploratori del futuro, ma oltre 800 opere
di letteratura su microfi lm, accompagnate
da un lettore elettronico e da uno a mano-
vella, nel caso in cui, quando verrà aperta,
non esista l’elettricità. E poi registrazioni di
personaggi storici dell’epoca, tra cui Hitler,
Mussolini, Stalin e Roosvelt, oggetti donati
da tutto il mondo, scientifi ci e non, e noti-
zie sulla Seconda guerra mondiale. Ebbene
sì, un’altra amara delusione per i fortunati
di Valeria Aiello, Project Manager
Difendersi dall’estinzione in 5 mosse
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archeologi che nel lontano 8113, anno in
cui la cripta dovrebbe essere aperta, si ri-
troveranno senza nemmeno un anellino.
Coordinate: 33°52’20’’N, 84°19’53’’O. Ogle-
thorpe University, Brookhaven, Atlanta,
USA.
Georgia Guidestones Inquietanti, misteriosi, enormi, proprio
come i megaliti di Stonehenge. Pietre gi-
gantesche collocate e ordinate secondo
precisi calcoli astronomici. Proprio come a
Salisbury, ma nessuna traccia di popolazio-
ni primitive. Il Georgia Guidestones risale
infatti al 1980, quando un anonimo com-
missionò l’opera a una ditta di costruzioni
in granito. Ricoperte da iscrizioni in otto
lingue tra le più parlate al mondo: inglese,
cinese, hindi, spagnolo, arabo, russo, swa-
hili ed ebraico, le pietre sono orientate in
modo che da una piccola fessura sulla pie-
tra centrale, perpendicolare alla posizione
del Sole a mezzogiorno, un raggio di luce
vada a colpire una delle quattro lastre late-
rali disposte intorno, indicando il giorno
dell’anno.
A completare la struttura, una lastra di co-
pertura, e una scritta a indicare l’obiettivo
del monumento: “Lasciate che queste pie-
tre-guida conducano all’età della ragione”.
E poi serie di misteriosi precetti per garan-
tire l’armonia della civiltà umana. Sconvol-
gente.
Coordinate: 34°13’55’’N, 82°53’40’’O. El-
bert County, Georgia, USA.
La volta dei semiBill Gates, la Fondazione Rockfeller e la
Monsanto come Keanu Reeves in Ultima-
tum alla Terra. Ma al posto della sfera lumi-
nosa della confederazione delle civiltà, un
bunker tra le nevi perenni della Norvegia.
Per il resto, l’intento è lo stesso: preservare
e difendere le specie, in questo caso semi,
dall’estinzione. Aggiungendo la collocazio-
ne, a dir poco apocalittica, ecco salire il bri-
vido dello sterminio dell’umanità, accusata
di uccidere il pianeta. Un progetto per la
conservazione della biodiversità che, tanto
per scrollarsi un po’ di colpe dalle spalle, è
minacciata non dall’uomo ma dall’incom-
bente cambiamento climatico. Lo Svalbard
Global Seed Vault contiene decine di mi-
gliaia di campioni, che restano di proprietà
di coloro che li hanno depositati, mentre il
governo della Norvegia ne garantisce solo
la conservazione alla stregua di una banca.
L’ enorme bunker, che si trova all’interno
di una montagna sull’isola di Spitsbergen,
nell’arcipelago norvegese delle Svalbard,
garantisce una temperatura mai superiore
ai -3° C, assicurando così la naturale con-
servazione dei semi per migliaia di anni.
Coordinate: 78°14’10’’N 15°29’32’’ N. Spits-
bergen, isole Svalbard, Norvegia.
L’Orologio dei 10.000 anniÈ diffi cile prevedere come sarà l’umanità
tra diecimila anni. È ancora più diffi cile
immaginare come si sarà evoluta la tecno-
logia, sempre che non sia scomparsa già da
tempo. E da uno sguardo indietro nel tem-
po ci si accorge che diecimila anni fa erava-
mo appena agli esordi della civiltà.
Un lasso di tempo enorme, fatto di gene-
razioni su generazioni, alla base di un pro-
getto avveniristico che si propone di essere
uno strumento capace di sensibilizzare l’u-
manità rispetto al pensiero a lungo termi-
ne. L’Orologio della Long Now Foundation,
promosso molti anni fa da Stewart Brand,
guru dell’ecologia e della sostenibilità am-
bientale, e da Kevin Kelly, ex direttore
dell’edizione americana di Wired, si trova
nel ventre di una montagna nei dintorni di
Van Horn, una tipica cittadina texana nel
mezzo del deserto, in un area donata alla
Long Now da Jeff Bezos, numero uno di
Amazon. Ancora in costruzione, continue-
rà a segnare il tempo per 10.000 anni con
un apporto minimo di energia affi nché i
popoli del futuro continuino a rifl ettere sul
tempo e… diciamoci la verità, a ricordare il
nome del suo ideatore.
Coordinate: 31°2’33’N 104°49’59’’O. Van
Horn, Texas, USA.
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di Stefania Buonavolontà, Marketing & Communication
Una tela per aff ermare l’Io
Quando si legge dell’esistenza di
una “tela più grande del mondo”
il pensiero vola a opere famose di
grandi dimensioni che possiamo aver vi-
sto nel nostro Paese o durante un viaggio
all’estero. Ne sono esempi famosi il quadro
Guernica di Picasso, che raggiunge i 3,5 m
x 7,8 m di grandezza, o l’aff resco Giudizio
Universale di Michelangelo che raggiunge i
13,7 m x 12,2 m!
In realtà chi dice che le tele sono esclusi-
vamente reali? Esiste infatti un progetto
di disegno virtuale, nato nel 2008 sul sito
WebCanvas.com, che è diventato di fatto la
tela più grande del mondo.
Ciascun utente che si registri gratuita-
mente sulla piattaforma può contribuire
ad accrescere l’enorme disegno. E quello
che oggi appare come un misto di graffi ti,
simboli, disegni e parole copre l’originaria
scritta che recitava la proposta di matri-
monio di un anonimo graffi taro alla sua
fi danzata.
L’idea della tela è del londinese Antonio
Roldao Lopez e, a quanto pare, è stata ac-
colta con entusiasmo dalle tante persone
che subito hanno contribuito a riempirla,
lasciando lì la propria impronta. E il punto
forse è proprio questo.
Se in città la presenza di un graffi to colpi-
sce ed incuriosisce, lasciandoci però nel
ruolo di semplici ammiratori di questi di-
segni dagli sgargianti colori, un graffi to sul
web su cui poter intervenire in prima per-
sona è un invito irrinunciabile a mostrare
se stessi.
Sì, perché in fondo si tratta proprio di una
mostra di sé. Che cos’è che spinge a parte-
cipare a tanta grandiosità se non un pizzi-
co di esibizionismo?
Esplorando il quadro collettivo si nota
come al progetto abbiano preso parte mol-
ti tipi di personalità: il disegnatore esper-
to, il tifoso che inneggia alla vittoria della
sua squadra, il meno bravo che decide di
arrangiarsi con un piccolo scarabocchio,
quello che invece si cimenta in una titanica
impresa, ecc. Li accomuna tutti la volontà
di essere notati… o di partecipare?
La vista di uno spazio, in parte già scara-
bocchiato, in parte ancora da riempire, fa
scattare in noi il desiderio di non rimaner-
ne fuori, di “lasciare il segno” e, perché no,
di andare addirittura a sovrapporci all’im-
pronta di qualcun altro in tempo reale.
Nessuno osserva il nostro gesto nell’atto di
compierlo, come accadrebbe invece su di
un muro in città dove il senso di vergogna
potrebbe impedirci di esternare il nostro
Io, e desideriamo che tutti lo vedano una
volta fi nito, che lo apprezzino, che lo com-
mentino.
x 7,
Unive
13,
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®
Quale occasione più ghiotta per dar mostra
di sé, della propria bravura e del proprio
pensiero sia per chi già vive pienamente
la propria superbia sia per chi, invece, vive
normalmente nell’anonimato?
Non c’è dunque bisogno di scomodare lo
psicanalista Heinz Kohut, caposcuola del-
la “Psicologia del sé”, per defi nire la tela e
in generale qualsiasi opera grandiosa come
un’estensione del proprio Io.
In fondo, che c’è di male ad essere un po’
esibizionisti/narcisisti? A guardare la tela
virtuale viene in mente il “Siate aff amati,
siate folli” di Steve Jobs e, sulla sua scia, il
titolo del libro di Donald J. Trump “Pensa
in grande e manda tutti al diavolo”, uscito
nello stesso anno di nascita di questa tela.
Chissà che l’ideatore del quadro virtuale
non abbia tratto spunto proprio da quest’af-
fermazione e abbia deciso di stare a vedere
quanti fossero disposti a pensare in grande
come lui.
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di Elena Serra, Events Management
Candy Crush Saga: i dolcetti fanno gola
Candy Crush Saga è il gioco per
smartphone e Facebook che da
qualche mese si è imposto come
mania del momento.
Il nome non vi è nuovo? Avrete sicura-
mente ricevuto richieste di partecipazio-
ne da un vostro contatto per sbloccare un
nuovo livello! E magari per mancanza di
tempo o interesse non avete mai approfon-
dito la questione.
Di cosa si tratta esattamente? È un gioco
che rientra nella categoria dei puzzle a li-
velli, il cui scopo è spostare, all’interno di
una griglia, dei dolcetti di colori diff erenti
in modo da poter eliminare quelli
dello stesso colore in gruppo,
a partire da un minimo di
tre; una volta eliminati
prenderanno posto nel-
lo spazio vuoto i dol-
cetti presenti sopra. Le
mosse possono essere
orizzontali e/o verticali
e lo scopo di ogni livel-
lo è non rimanere senza
mosse da poter eseguire o
senza tempo a disposizione
(nei livelli a tempo).
L’ obiettivo è l’eliminazione di tutte le gela-
tine presenti, far scendere un determinato
numero di ingredienti o eseguire alcuni
ordini. Nell’idea, Candy Crush Saga, sem-
bra riprendere il gioco Bejeweled, altro
rompicapo in cui al posto dei dolcetti sono
presenti delle gemme colorate.
A rendere dinamico il gioco sono poi al-
cune varianti, come la possibilità di rice-
vere degli omaggi che aiutano a eliminare
più dolcetti in una stessa riga orizzontale o
verticale e a innescare una sorta di reazio-
ne a catena.
Un gioco dunque immediato e semplice
anche per i meno abituati a questo genere
di passatempo.
Ed è su questa logica che Riccardo Zacco-
ni, cofondatore della King.com, ha impo-
stato la sua fortunata Candy Crush Saga;
infatti, secondo quanto riporta la sezio-
ne “Media” della rivista britannica Th e
Guardian, Zacconi si posizionerebbe al
56esimo posto della top 100 delle persone
più potenti dei media. L’italiano, con alle
spalle precedenti esperienze estere, arriva
a Londra nel 2001 per lavorare nel settore
tecnologico e partecipa poi alla fondazione
di King.com, piattaforma di giochi web. Il
fenomeno Candy Crush sembra addirittu-
ra aver distolto l’attenzione da Ruzzle, gio-
co altrettanto utilizzato che impone però
la presenza di almeno un utente dall’altro
lato per poter cominciare la sfi da, e da
FarmVille, il gioco da sempre più giocato
su Facebook, secondo quanto riportato da
diversi quotidiani italiani fi no al gennaio
2013.
Sempre secondo la rivista
Th e Guardian, le persone
ormai in grado di colle-
garsi anche fuori casa
alla piattaforma Face-
book, mediante mobi-
le, trascorrerebbero il
tempo a disposizione
più giocando che leg-
gendo le notizie d’attua-
lità.
Nulla di nuovo nel panorama
dei cosiddetti social games, ma co-
munque una tendenza che ha preso piede
da pochi anni a questa parte, sulla scia
della diff usione dei vari social network.
Quale sarà il segreto della popolarità di
questo gioco? Come racconta Zacconi a
Wired.it, “È importante creare una grafi ca
essenziale, ma accattivante, con una dura-
ta di massimo tre minuti per ogni livello,
in modo da poter essere giocato anche du-
rante l’attesa di un pullman”.
Strategia senza dubbio vincente, che fi nirà
col contagiare anche giochi realizzati su al-
tre piattaforme.
L’interrogativo sempre aperto è: nei pochi
minuti di pausa a disposizione è più rilas-
sante incastrare dolcetti dagli sgargian-
ti colori, aff ondando la testa nel proprio
cellulare, oppure distrarsi chiacchierando
con amici e colleghi?
Per adesso è la prima scelta che va per la
maggiore, ma chissà che in futuro non ci
possa essere un’inversione di tendenza.
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Eccomi, sono qui! di Andrea Ponsiglione, Events Management
“Come faccio a cambiare o rimuo-
vere la mia posizione dall’ap-
plicazione Facebook quando
aggiorno il mio stato?” è una vera e propria
FAQ inserita nell’elenco delle domande
a cui risponde il noto social network da
quando fu introdotta l’applicazione Facebo-
ok Places.
Per gli utenti di iPhone, iPad e iPod Touch
esiste inoltre un’applicazione gratuita svi-
luppata da Apple che consente di condivi-
dere la propria posizione geografi ca trami-
te Internet e trovarsi l’un l’altro con facilità,
solo dietro espresso consenso degli utenti.
Sono esempi di geolocalizzazione. Il termi-
ne signifi ca “identifi cazione della reale po-
sizione geografi ca di un individuo o di un
oggetto tramite internet e la rete”.
Capita a volte di essere geolocalizzati a pro-
pria insaputa, per esempio uscendo con un
gruppo di amici e trovandosi poi “taggati”
da uno di loro nel luogo in cui ci troviamo.
Che ci piaccia o no eccoci individuati da
tutto il nostro e il loro entourage di contatti.
C’è chi reagisce sentendosi violato nella
propria privacy ancora una volta, correndo
a detaggarsi appena possibile, e chi è ben
lieto di far sapere a tutti che è lì a divertir-
si. E provandoci gusto, la volta successiva
potremmo essere noi stessi gli utilizzatori
dell’applicazione.
Ci sono naturalmente molti risvolti com-
merciali del fenomeno. Le aziende e gli
esercizi commerciali, infatti, possono crea-
re campagne di comunicazione e di vendita
mirate grazie alla conoscenza del territorio
e del modo in cui gli utenti interagiscono
con esso. Non mancano neanche i risvol-
ti sociali per orientamenti sessuali diversi.
È una nuova modalità di approccio anche
per il mondo dell’omosessualità, in quanto
gli incontri tra persone con stesso orien-
tamento sessuale sono resi maggiormente
possibili grazie ai “geosocial network”.
Sembra che a spopolare in questo speci-
fi co settore sia Grindr, applicazione per
smartphone defi nibile come un vero “cer-
cagay”, si scarica e si correda di foto e breve
descrizione fi sica e in poco tempo si indivi-
duano tutti i gay che hanno eff ettuato la re-
gistrazione in prossimità del luogo. Il suc-
cesso è stato enorme, al punto da tentare di
applicare l’idea anche agli eterosessuali, che
però non hanno accolto con lo stesso entu-
siasmo la novità.
Un altro aspetto da non sottovalutare è an-
che la morbosa attenzione che le persone
danno poi a questo tipo di informazione.
Da quando esiste la possibilità di condi-
videre ogni nostro passo sul web è facile
immaginare come lo stalking abbia avuto
maggiore impatto nella vita di molti. Pen-
siamo infatti a quelli che inizialmente ri-
ottosi all’iscrizione su Facebook o Twitter
e simili, per mantenere la propria privacy,
decidono infi ne di cedere al fascino della
condivisione sociale. Quanti di essi a cau-
sa di ripetuti “agguati stalkeristici” hanno
deciso di abbandonare i social? Chi tra
loro resiste setta la privacy a livelli altissi-
mi, ma rischia comunque di essere trovato.
Per non parlare di possibili atti criminali,
per esempio i furti in casa che quest’estate
hanno arricchito la cronaca di molti gior-
nali. Sembra che siano stati soprattutto i
VIP a subire furti in appartamento e non
si esclude la possibilità che la smania di
geolocalizzarsi possa aver fornito informa-
zioni utili ai ladri. Il poter rintracciare il
proprio mobile attraverso la sua posizione è
un aspetto molto positivo ed è carina anche
l’idea di raggiungere e rintracciare gli amici
attraverso una mappatura dei luoghi, ma
forse cominciano a essere troppi i tentati-
vi di annullamento della privacy. L’aspetto
interessante è che sembra siamo noi stessi a
decidere di abbassarne il livello presi dalla
smania di condividere.
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Il Carnevale colora Londra
Da pochi giorni si è concluso il se-
condo Carnevale più grande al
mondo: il Carnevale di Notting
Hill. Questa festa nasce come evento infor-
male quando nel 1966 una maestra orga-
nizza all’aperto una sfi lata dei bambini del
London Free School Festival, che fi nisce col
diventare un corteo per promuovere l’iden-
tità culturale della comunità del quartiere.
Siamo negli anni ‘60 e la comunità carai-
bica, principalmente proveniente da Trini-
dad, si riunisce abitualmente presso il Man-
grove Restaurant gestito da Frank Crichlow
(attivista per i diritti civili di origini
caraibiche scomparso da pochi
anni) e lo elegge luogo di ri-
ferimento per i residenti in
zona. Il tutto va incorni-
ciato nel clima di emargi-
nazione e di oppressione
in cui la popolazione di
colore di Londra veniva
mantenuta da parte dei po-
liziotti inglesi.
Col tempo l’evento, che inizial-
mente nasceva come atto di risposta
contro gli attacchi razziali di quel perio-
do, ha assunto una connotazione uffi ciale,
più precisamente dal 1987, diventando un
imperdibile appuntamento sia per la co-
munità londinese che per i turisti di tutto
il mondo.
Ci sono cinque categorie in cui si suddivi-
dono le attrazioni:
• Mas, da masquerade, cioè i gruppi in
maschera;
• Soca, cioè Soul e Calipso, gruppi che
suonano la musica tipica del Carneva-
le di Notting Hill;
• Steelbands, bande di percussionisti;
• Gruppi danzanti;
• Musicisti di strada, che contribuiscono
a creare l’ambiente tipico (reggae, jazz,
soul, house, hip-hop e funk music).
L’organizzazione è massima: dagli stand
dove mangiare, alle sfi late di maschere e
di ballerine succinte, ai vari sound system
dislocati lungo tutta l’area con diversi tipi
di musica, in particolare la tecno-house
apprezzata dai più giovani. Anche l’uso di
alcune droghe leggere sembra essere tolle-
rato dai “bobbies” londinesi, pronti a inter-
venire solo in caso di eccessivi disordini,
come riportato nella guida italiana vivilon-
dra.it. Sembra proprio non manchi niente!
Un’atmosfera davvero briosa a giudicare
dalle foto che impazzano sul web a conclu-
sione della festa. E che tra l’altro richiama
ogni anno nuovi curiosi che magari impos-
sibilitati a raggiungere Rio de Jainero deci-
dono di ripiegare sull’altrettanto famoso e
più vicino Carnival di Notting Hill.
A diff erenza del Carnevale di Rio, dove
l’evento si tiene prima della Quaresima,
nel quartiere londinese il Carneva-
le si tiene nell’ultima settimana
di agosto. Piumaggi colorati,
musica e divertimento sono
alla base della festa, che si
rivolge sia a grandi che a
piccoli.
Ma in un’occasione di fe-
sta di tale proporzione non
mancano anche atti di vio-
lenza che talvolta mietono an-
che qualche vittima. Nonostante
ciò la sorveglianza è molto elevata e, se-
condo il Post, soltanto quest’anno avrebbe
contato circa 5.000 poliziotti schierati nel
quartiere. Resta da chiedersi com’è vista
questa manifestazione così pittoresca, dal
sapore tutto caraibico, dalla controparte
cittadina dei Lord.
Ci si aspetterebbe che un Carnevale così,
che rompe il quotidiano ordine per cui è
tanto rinomata la città, susciti qualche fa-
stidio negli inglesi più disciplinati ed edu-
cati. Ma a giudicare dal numero elevato di
visitatori cittadini che affl uisce ogni anno,
sembra che sia molto apprezzata la vivacità
calda dei balli caraibici.
Siete incuriositi dall’evento? Se avete in
programma una visita a Londra potrebbe
essere un’idea proprio farla coincidere con
il prossimo Carnevale.
Il consiglio che tutte le varie guide off ro-
no è di informarsi con buon anticipo su-
gli orari e i tipi di mezzi di trasporto da
prendere per evitare spiacevoli situazioni
di confusione, indicando anche altri piccoli
accorgimenti per vivere al meglio quest’e-
sperienza.
di Diego Vecchione, Graphic Designer
Castel MonasteroLocalità Monastero d’Ombrone, 19, 53019 – Castelnuovo Berardenga Siena
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