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Università degli Studi di Catana Dipartimento di Ingegneria Civile ed Architettura Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Meccanica G. Mirone R 2016-10 Meccanica dei Materiali Elastoplasticità, danno duttile e strain rate effect

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Università degli Studi di Catana

Dipartimento di Ingegneria Civile ed Architettura

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Meccanica

G. Mirone

R 2016-10

Meccanica dei Materiali

Elastoplasticità, danno duttile e strain rate effect

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G. MIRONE – Elastoplasticità, Danno duttile e High strain rate effect R2016-10

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PREFAZIONE

Alcuni degli argomenti trattati in questa dispensa fanno parte del programma del corso di

Costruzione di Macchine 2 per allievi Ingegneri Meccanici all’Università di Catania.

Il capitolo sulla risposta dinamica dei materiali ad altri strain rates è un collage provvisorio di note

personali e di riferimenti da letteratura (testi e figure), in parte in lingua inglese, con riferimenti

bibliografici citati di volta in volta.

Il documento viene reso disponibile allo stato di bozza, eventuali errori vanno segnalati a

[email protected]

Cover pictures:

http://www.sicurauto.it/sistemi-di-sicurezza/news/qual-e-lauto-piu-sicura-degli-ultimi-ventanni.html

http://stampack.com/

http://forums.radioreference.com/colorado-incidents-breaking-news/60891-ntsb-investigates-jet-engine-failure-over-colorado.html

http://image.so.com/i?q=%E7%A9%BF%E7%94%B2%E5%BC%B9%E5%92%8C%E7%A0%B4%E7%94%B2%E5%BC%B9&src=tab_image

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INDICE

1 Riepilogo meccanica tensoriale ................................................................................................... 5

Tensore di stress .................................................................................................................... 5 1.1

Cambio SDR, direzioni principali e tensioni principali, Invarianti ......................................... 6 1.2

Componenti Idrostatica e Deviatorica dello stress ............................................................... 8 1.3

Tensore di Deformazione e legame elastico ......................................................................... 8 1.4

2 Comportamento elasto-plastico ................................................................................................ 11

Il generico legame costitutivo, logiche numeriche per l’integrazione nonlineare ............. 11 2.1

Funzione di snervamento alla Von Mises ............................................................................ 21 2.2

Modelli di hardening e metodologie sperimentali ............................................................. 25 2.3

Irreversibilita’ & dipendenza delle deformazioni plastiche dal percorso ........................... 32 2.4

Caratterizzazione statica elastoplastica dei materiali ......................................................... 39 2.5

3 Cenni sul danno duttile – meccanismi e modelli ....................................................................... 53

Meccanismi di rottura duttile.............................................................................................. 53 3.1

Studio della evoluzione dei vuoti, modelli di mc clintock e di rice-tracey .......................... 57 3.2

Effetti marcoscopici del danneggiamento ed introduzione ai modelli di evoluzione ........ 64 3.3

Continuous Damage Mechanics, definizioni e modello di Lemaitre ................................... 76 3.4

Evoluzione e recenti modelli nell’ambito della CDM .......................................................... 90 3.5

Modelli fenomenologici - modello di Bao-Wierzbicki ......................................................... 95 3.6

Modelli fenomenologici - modello di Xue-Wierzbicki ......................................................... 98 3.7

Modelli fenomenologici - modello di Coppola-Cortese-Folgarait ..................................... 104 3.8

Osservazioni sperimentali e considerazioni sui modelli di danno duttile ......................... 107 3.9

4 Comportamento elasto-plastico ad alti strain rates ................................................................ 111

Effetto Strain Rate sui materiali ........................................................................................ 111 4.1

Basics of elastic wave propagation ................................................................................... 115 4.2

Wave propagation - traveling vs. Standing waves (http://www.physicsclassroom.com) .. 115

Definizioni Generali Onde Nei Solidi ...................................................................................... 117

theory of the split hopkinson pressure bar (shpb) for high strain rate testing ................ 127 4.3

schemi progettuali & dettagli barra hopkinson a trazione (shtb) ..................................... 132 4.4

problemi di sensoristica e riepilogo misurazione con strain gauges ............................... 134 4.5

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Figura 1.1 - Stato di tensione nel cubetto infinitesimo di materiale

1 RIEPILOGO MECCANICA TENSORIALE

TENSORE DI STRESS 1.1

Sia dato un corpo qualunque sottoposto a carichi e vincoli in modo arbitrario; per determinare le

sollecitazioni agenti sullo stesso occorre definire il tensore degli sforzi.

Si consideri un sistema di riferimento ( ) e un cubetto infinitesimo di materiale orientato in

modo parallelo al sistema di riferimento.

Le tensioni hanno dimensioni di forza su superficie (N/mm2 ovvero MPa nel S.I.), quelle

perpendicolari alle facce del cubo su cui agiscono si chiamano “tensioni normali” mentre quelle

parallele si chiamano “tensioni tangenziali”.

Per l’equilibrio alla rotazione si dimostra che:

Pertanto il tensore degli sforzi risulta simmetrico.

Per l’equilibrio alla traslazione gli stress normali su facce opposte hanno stesso valore.

Quindi lo stato di tensione del generico punto P ha solamente 6 componenti indipendenti tra le 18

raffigurate in Figura, ed è espresso dal tensore degli sforzi.

( ) [

]

P

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E’ chiaro che un tensore esprime lo stato di sforzo di uno specifico cubetto elementare ovvero di

uno specifico punto materiale all’interno del corpo elastico; considerando punti diversi all’interno

dello stesso corpo elastico caricato, si avranno tensori le cui componenti hanno valori diversi.

CAMBIO SDR, DIREZIONI PRINCIPALI E TENSIONI PRINCIPALI, INVARIANTI 1.2

Sia dato un tensore espresso in un SDR di partenza R0 ; sia dato anche un diverso SDR,

identificato tramite la matrice R contenente i coseni direttori dei suoi tre assi; è possibile

effettuare il cambio di coordinate, ovvero esprimere il tensore nel sistema R invece che R0,

tramite il seguente prodotto matriciale:

Tra gli infiniti sistemi di riferimento passanti per un punto materiale, ne esiste uno speciale,

R*,detto “principale”, in cui le componenti tangenziali valgono zero e le componenti normali sono

ordinate in sequenza discendente, dalla maggiore alla minore:

( ) [

]

Lo strumento matematico + semplice x trovare il sistema principale e le relative tensioni principali

di un generico tensore di stress è l’estrazione di Autovettori (versori del SDR principale) ed

Autovalori (relative tensioni principali).

Se una delle direzioni principali è nota, le altre due si possono ricavare con il procedimento

grafico/analitico dei cerchi di Mohr; sia direzione z del SDR (X, Y, Z), parallela alla direzione 3 del

SDR principale (1, 2, 3).

( ) [

]

( ) [

]

L’incognita da determinare per il SDR principale è l’angolo , mentre ulteriori due incognite sono

le tensioni principali lungo le direzioni 1 e 2.

Sul piano sigma-tau si riportano due punti di coordinate (x, xy) e (y, -xy); tali punti

definiscono il diametro di una circonferenza che definisce le possibili combinazioni di tensioni al

variare del SDR.

Pertanto, noto il tensore nel sistema R con un asse principale, le tensioni prncipali ed il sistema

Rprinc sono determinabili come segue:

X

Y

Z=3

1

2

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√(

)

√(

)

(

)

Così come succede per i vettori, anche i tensori possono essere espressi in inifiniti sistemi di

riferimento (SDR), al variare dei quali cambiano le singole componenti del tensore ma non la

“natura” dello stato di sforzo espresso.

Nel caso di un vettore nel piano è facile capire che il suo modulo o il suo orientamento non

cambiano qualunque sia il SDR in cui il vettore è espresso; in perfetta analogia, i tensori hanno tre

invarianti:

( )

= (

)

Il valore dei tre invarianti è unico per ogni stato di stress e non cambia quando il tensore che

descrive tale stato di stress viene espresso in qualunque sistema di riferimento.

y 1

xy

xy

x

2

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COMPONENTI IDROSTATICA E DEVIATORICA DELLO STRESS 1.3

La media delle tre tensioni normali di un tensore qualsiasi è invariante rispetto al SDR (è pari ad

I1/3) e viene denominata tensione idrostatica, in quanto permette la seguente scomposizione del

tensore di stress:

[

] = [

] [

] =

Con

Dove il tensore con sole componenti diagonali è detto idrostatico perché esprime una

sollecitazione analoga a quella che un corpo immerso in un fluido in pressione subisce ad opera

del fluido stesso (puramente idrostatica), mentre il tensore con le componenti s sulla diagonale

esprime la sollecitazione deviatorica, complementare alla prima.

Mentre lo stress idrostatico induce sul solido variazioni di volume ma non di forma, al contrario, lo

stress deviatorico induce variazioni di forma ma non di volume.

La stessa decomposizione può essere effettuata nel sistema principale:

[

] = [

] [

]

E’ da notare che il primo invariante dello stato di stress va tutto nella parte idrostatica (il tensore

deviatorico ha traccia nulla).

L’importanza della decomposizione dello stress in tensore deviatorico e tensore idrostatico è

dovuta al fatto che il secondo invariante del tensore deviatorico esprime una quantità fisicamente

importante, l’energia di distorsione, che, a sua volta, è la grandezza che “accende” o “spegne” la

risposta elastoplastica della stragrande maggioranza dei metalli e dei materiali da costruzione.

TENSORE DI DEFORMAZIONE E LEGAME ELASTICO 1.4

In modo analogo quato fatto per il tensore di stress, si può definire il tensore delle deformazioni

che nel generico SDR assume la forma:

[ ] [

]

Sotto l’ipotesi di piccoli spostamenti e deformazioni infinitesime, ragionando sul piano x-y è

possibile definire le deformazioni a partire da ux ed uy , componenti del vettore spostamento del

generico punto, in modo da quantificar le dilatazioni e le distorsioni secondo lo schema di figura

seguente:

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Estendendo il ragionamento allo spazio con spostamento generico di componenti ux, uy, uz, le

componenti del tensore di deformazione sono definite sulla base delle relative derivate:

(

)

(

)

(

)

La condizione di deformazione infinitesima equivale a poter assumere che la configurazione

deformata del corpo è assimilabile a quella iniziale indeformata.

Quando tale ipotesi non è verificata, la quantificazione dello strain va effettuata scomponendo il

processo deformativo in un numero adeguato di intervalli, piccoli abbastanza da permettere

l’ipotesi di cui sopra, ottenendo pertanto una espressione incrementale cumulata dello strain.

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In campo elastico per piccoli spostamenti e deform. Infinitesima il tensore di tensione e quello di

deformazione possono essere legati dalla matrice elastica.

{

}

[

⁄ ⁄

]

{

}

Con E modulo di elasticità normale o modulo di Young, coefficiente di Poisson o di contrazione

laterale, G modulo di elasticità tangenziale pari a:

( )

La relazione elastica può essere invertita quindi in campo elastico il legame tensioni-deformazioni

è biunivoco, ed è determinato se sono noti il modulo di Young E ed il modulo di Poisson .

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2 COMPORTAMENTO ELASTO-PLASTICO

IL GENERICO LEGAME COSTITUTIVO, LOGICHE NUMERICHE PER L’INTEGRAZIONE NONLINEARE 2.1

Quando un materiale viene sollecitato oltre lo snervamento, risponde con un tensore di

deformazione totale le cui componenti sono somma di deformazioni elastiche (che si annullano alla

rimozione del carico) e di deformazioni plastiche (che permangono dopo che il carico viene

rimosso), indicate di seguito senza apice:

(1)

Contrariamente a quanto accade per il legame elastico, nel caso di legame plastico o elasto-plastico

non esiste la possibiltà di associare in maniera diretta ed univoca il tensore di tensione e quello di

deformazione ad un generico stadio della vita del materiale.

(2)

Per questi materiali, la correlazione tra tensori sforzo e deformazione esiste solamente in forma

incrementale, e il calcolo di tali tensori è possibile solo in via numerica (analisi non lineari con il

metodo degli elementi finiti) ricostruendo passo per passo la storia di tensioni e deformazioni in

tutti i punti del materiale ed in tutti gli istanti, dall’inizio della storia di carico sino al generico

istante di interesse.

Questo accade perché il legame differenziale che regola il comportamento elastoplastico,

fortemente dissipativi e quindi dipendente dalla storia deformativa, non è integrabile in forma

chiusa se non in particolari condizioni ideali.

Quando un materiale vergine sottoposto a tensioni crescenti gradualmente da zero, reagisce

inizialmente con deformazioni perfettamente elastiche, fino alla soglia del primo snervamento

(yielding iniziale), mentre risponde con deformazioni elastoplastiche a partire dal raggiungimento

della soglia suddetta.

Appena il primo snervamento viene superato e si verificano deformazioni plastiche, la tensione di

snervamento può rimanere costante (materiale elastoplastico ideale, si pensi allo stucco, alla

kjiiEL

E

1 iEL

kEL

jEL

iEL

i 2

ij

EL

ij

TOT

ij

...............i ...................i

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plastilina) oppure aumentare rispetto al valore iniziale (metalli da costruzione duttili ed

incrudenti).

La condizione di soglia dello yelding è individuata dal valore che una determinata funzione scalare

delle tensioni, detta funzione di snervamento (quella di Von Mises è solo una delle possibili),

assume per i diversi materiali. Lo stesso valore di tensione equivalente è raggiungibile ovviamente

con infinite combinazioni delle sei componenti del tensore degli sforzi ovvero, ragionando nel

sistema di riferimento principale del generico punto materiale, delle tre tensioni principali. In

quest’ultimo caso, il luogo dei possibili valori delle tensioni principali che comportano lo stesso

valore generico della funzione di snervamento, è costituito da una superficie, sempre convessa,

nello spazio delle tensioni principali stesse.

Il comportamento elastoplastico può essere visualizzato come segue: quando il materiale viene

caricato progressivamente da zero con un qualsivoglia sistema di carichi, il punto che descrive lo

stato tensionale tramite la terna principale (1, 2, 3) è inizialmente coincidente con l’origine

(stress nullo), quindi si allontana dall’origine man mano che aumenta il carico, muovendosi

inizialmente all’interno della superficie di snervamento (comportamento elastico) fino a che si

raggiunge la condizione di snervamento ed il punto “aderisce” a tale superficie.

Figura 1: moving material point within stress space and yield surface

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Dopo che è stata raggiunta la condizione di snervamento, man mano che le componenti del

tensore di stress ovvero le 1, 2, 3 continuano a variare possono verificarsi tre possibilità:,

A) il valore della tensione equivalente diminuisce, il punto nello spazio delle tensioni si sposta

verso l’interno della superficie e non è più addossato ad essa, in altre parole si ha uno scarico

elastico ed 0)~

,~( Xf σ .

B) la tensione equivalente rimane constante, quindi anche se cambiano gli stress e gli strain elastici

0)~

,~( Xf σ e non si verificano deformazioni plastiche. Una trasformazione di questo tipo è

rappresentata da un punto che si muove nello spazio delle tensioni principali rimanendo aderente

alla superficie di snervamento.

C) la tensione di snervamento continua a crescere, il materiale risponde con l’incrudimento ovvero

l’aumento della tensione di snervamento che viene aggiornata al valore corrente della funzione f:

0)~

,~( Xf σ . Questa trasformazione è rappresentabile da un punto che tende ad attraversare la

superficie di snervamento portandosi al suo esterno, e dalla stessa superficie che si espande

(incrudimento-hardening isotropico EqR ) e/o trasla (incrudimento – hardening cinematico

~~X ) in modo che il punto in movimento rimane sempre aderente alla sua superficie.

Le grandezze ~,~X hanno le dimensioni di una tensione e di una deformazione tensoriale (X è un

vettore spostamento se siamo nel SDR principale), mentre EqR , hanno le dimensioni di una

tensione (aumento di dimensioni della yield surface) e di una deformazione scalari;

riepilogando le tensioni e le deformazioni duali che entrano in gioco sono:

σ~ , Stress ~ , Plastic Strain STATO DEL PUNTO MATERIALE

X~

, Hardening cinematico ~ , Back strain TRASLAZIONI YIELD SURFACE

R , Hardening isotropico Eq , Equiv. pl. strain ESPANSIONE YIELD SURFACE

L’”effetto collaterale” dell’incrudimento (modifica yield surface ed aumento equivalent stress) è la

deformazione plastica, come dire che l’aumento della tensione di snervamento dal valore

originario a quello incrudito ha per contropartita la comparsa o la crescita di deformazioni

permanenti.

La forma generica di una funzione di snervamento si esprime solitamente come segue:

0~~~~ yEqEq RXf (3)

dove y è la tensione di snervamento del materiale vergine, invece, sia l’operatore “equivalenza”

applicato alle tensioni, sia quello applicato alle deformazioni plastiche, sia la coppia di funzioni di

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hardening, possono avere espressioni molto diverse per diverse categorie di materiali. Un

operatore equivalenza molto noto per lo stress in caso di materiali metallici è quello di von Mises,

ma ne possono esistere molti altri. Più avanti verranno analizzati in dettaglio questi aspetti.

In definitiva dato il modo di trasformarsi della superficie di snervamento può solo essere

0),~

,~( RXf σ , quando vale il < si ha carico-scarico elastico e quando vale il segno = si ha carico

elastoplastico; in nessun caso il punto che individua lo stato tensionale potrà mai trovarsi

all’esterno della superficie di yelding.

Se il materiale è elastoplastico ideale l’incrudimento è nullo, ovvero la tensione equivalente non

può mai superare il valore dello snervamento iniziale, raggiunto il quale le deformazioni plastiche

fluiscono anche a tensione costante. In questo caso il luogo delle tensioni che generano lo

snervamento-deformazioni plastiche resta immutato in forma e posizione e si dice che il materiale

non è caratterizzato da alcun hardening.

Le funzioni di hardening o incrudimento descrivono come si modifica il valore di soglia della

funzione di snervamento, ovvero come si ingrandisce e se muove la superficie )~

,~( Xf σ nello

spazio delle tensioni principali, man mano che il materiale si deforma plasticamente.

Definito il campo di esistenza dei possibili stati di stress del materiale ed suo evolvere tramite la

funzione di hardening, resta da definire il legame incrementale tra lo stato tensionale e quello

deformativi, ovvero la “Flow Rule”.

Un variazione di tensione è biunivocamente legata tramite la legge di Hooke generalizzata alla

corrispondente variazione di deformazione elastica; quest’ultima è a sua volta esprimibile come

differenza tra deformazione totale e deformazione plasitca, ovvero:

εεCεCσ ~~~~ dddd TOTEL

(4)

Essendo il tensore degli sforzi, C la matrice di elasticità del materiale, ed i tensori di

deformazione rispettivamente totale e plastica.

La parte plastica dell’incremento di deformazione è legata all’incremento di tensione dalla flow

rule o normalty rule la cui forma è genericamente:

Eq

i

i

Eq

dRXg

d

ovvero

dRXg

d

),,(

~),,(~

σ

σ

σε

(5)

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In generale la funzione g è un potenziale plastico, ovvero un funzionale (funzione delle funzioni

tensoriali X) che lega gli incrementi tensoriali di tensione e di deformazione plastica,

analogamente a quanto fa il potenziale elastico con i tensori finiti di tensione e deformazione, ed il

termine dEq è invece l’incremento della deformazione plastica equivalente detta anche

moltiplicatore di plasticità.

Quando come potenziale g viene utilizzata la funzione di snervamento, i modelli di

comportamento cosiddetti vengono detti di “plasticità associata”; in questi casi la flow rule

definita precedentemente comporta che il vettore di deformazione plastica incrementale ha

direzione normale alla superficie di snervamento nel punto della superficie individuato dal vettore

delle tensioni principali, (da cui il nome di “normality rule” ) e modulo pari all’incremento del

moltiplicatore di plasticità.

La normalità rule implica che

l’incremento def. Plastica è un vettore con direzione normale alla superficie di snervamento nel

punto “d’arrivo” della trasformazione, e modulo pari all’incremento di strain equivalente dEq:

Analogamente a quanto accade tra stress e strain nel punto, la normalità rule lega anche le coppi

di grandezze duali relative a hardening isotropico ed hardening cinematico:

EqEq

Eq

dR

RXgd

dX

RXgd

),~

,~(

~),

~,~(~

σ

σ

(6)

~d

~d

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La plasticità associata, definita dalla scelta della funzione di snervamento come potenziale

plastico, si è rivelata calzante per la descrizione del comportamento plastico dei materiali metallici,

mentre per la ricostruzione analitica del comportamento di materiali come suoli e materiali

granulari in genere per il potenziale plastico si devono utilizzare funzioni diverse.

Pertanto nel campo di interesse di questa trattazione, il generico potenziale ),~

,~( RXg σ diventa la

funzione di snervamento ),~

,~( RXf σ .

Una ulteriore condizione al problema è posta dalla cosiddetta condizione di consistenza,

(consistency condition) che esprime il fatto che le trasformazioni della superficie di snervamento

non dipendono direttamente dal tensore degli sforzi ma da quello di deformazione plastica e/o dal

lavoro plastico accumulato, infatti se varia lo stress ma non la deformazione plastica (scarico

elastico) NON si avranno modificazioni dalla superficie di yelding sino a quando non verrà di nuovo

raggiunto lo snervamento e saranno avvenute ulteriori deformazioni plastiche.

Analiticamente tale condizione è:

0)()(

dR

R

fd

fdf

σ (7)

Le tensioni di hardening non sono variabili indipendenti ma dipendono dalla deformazione

plastica, tenendo conto di questo nel secondo termine della (7) si ha:

0

Eq

Eq

Eq

Eq

df

df

dR

R

fd

fdf

σσ (8)

Da cui si può ricavare d:

σ

f

df

d

Eq

Eq

(9)

Se nella legge di Hooke sostituiamo la def. Plastica ottenuta dalla Normality Rule ed il d ottenuto

dalla Consist. Cond. si ha:

Eq

TOT

Eq

Eq

dg

df

df

σ

εC (10)

Ovvero, ricavando il deEq:

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17

g

Cff

dCf

d

Eq

TOT

Eqσε

(11)

Dove il termine Eq

EqEq

HR

fR

R

ff

contiene la funzione di hardening

isotropico H.

Sostituendo il Eqd appena ricavato nella legge di Hooke si ottiene la forma finale del legame

elastoplastico che usualmente viene integrata per via numerica, ad es. tramite elementi finiti:

εε

σC

σ

σC

σC

Cσ dCdgf

hR

f

fg

d EP

Eq

)( (12)

La forma del legame costitutivo è diventata del tipo εασCσ dd EP ),( , in cui CEP è la matrice

costitutiva elastoplastica ovvero la matrice di rigidezza tangente, variabile durante la storia

evolutiva del materiale. Si tratta quindi di un legame incrementale, la cui espressione è integrabile

quasi esclusivamente per via numerica (metodo agli elementi finiti) anche in considerazione del

fatto che, di solito, l’insorgere del comportamento non lineare di una struttura dovuto a

plasticizzazione, si verifica in concomitanza o successivamente all’insorgere delle nonlinearità

dovute a grandi deformazioni.

Premessa quindi la necessità di ricorrere a strumenti di calcolo automatico, per la soluzione di

problemi di elastoplasticità occorre individuare i modelli di snervamento più idonei e determinare

i dati caratteristici del materiale: si vedrà che per materiali metallici da costruzione la funzione di

snervamento accettabilmente adatta è quella di von Mises ed i dati caratteristici che identificano il

singolo materiale sono le costanti elastiche, la tensione di primo snervamento e le funzioni di

hardening.

Per capire come viene integrato il legame elastoplastico con il metodo agli elementi finiti (FEM)

occorre prima dare un accenno al modo in cui il FEM lavora in campo lineare elastico (materiale

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elastico lineare e piccoli spostamenti-deformazione infinitesima), ed in campo nonlineare elastico

(materiale elastico e nonlinearità geometriche = grandi spostamenti-deformazione finita).

Facciamo riferimento al caso semplice di trave incastrata soggetta a forza su estremo libero:

COMPORTAMENTO ELASTICO LINEARE:

Essendo gli spostamenti piccoli, la rigidezza della struttura a fine deformazione è circa uguale a

quella della struttura indeformata, quindi:

FKu 1

(13)

Con u vettore spostamenti nodali, K matrice di rigidezza della struttura dipendente da forma,

dimensioni vincoli e materiale della trave, ed F vettore forze nodali.

Dallo spostamento si ricavano le deformazioni (elastiche!!)

uB (14)

Con B matrice dipendente da forma dimensioni della struttura.

E dalle deformazioni si ricavano le tensioni:

C (15)

Dove C è la matrice dei coefficienti elastici del materiale.

klòk

COMPORTAMENTO ELASTICO CON NONLINEARITA’ GEOMETRICHE:

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Gli spostamenti sono troppo grandi per approssimare la rigidezza a fine deformazione con quella

iniziale (per es. il braccio della forza è diminuito microscopicamente !!), quindi la forzante esterna

và divisa in varie frazioni e l’analisi spezzata in altrettanti passi:

Se ognuno dei passi è abbastanza piccolo da poter ritenere lineare il campo spostamenti-

deformazioni, allora si applicano le (13)-(15) ricalcolando all’inizio di ogni passo la matrice di

rigidezza e quella delle deformazioni in funzione della forma assunta dalla struttura a fine passo

precedente, mentre la matrice elastica del materiale C rimane immutata nei vari passi.

COMPORTAMENTO CON NONLINEARITA’ DEL MATERIALE (ELASTOPLASTICITA’) E NONLINEARITA’

GEOMETRICHE:

Ad ogni passo dell’analisi, la matrice del materiale diventa la CEP definita in (12) ed anche le matrici

K e B dipendono da essa; ovvero la matrice di rigidezza, necessaria all’inizio di ogni passo

dell’analisi, dipende dallo stato del materiale alla fine dello stesso passo: pertanto in questo caso

ogni passo viene risolto tramite iterazioni, stimando gli aggiornamenti di tensione ad inizio passo

in base ai risultati del passo precedente, utilizzando tali matrici aggiornate in maniera predittiva

secondo le (13)-(15), e verificando che lo stato tensionale di fine iterazione stia sulla superficie di

snervamento aggiornata: ovviamente tale verifica non và mai in porto all prima iterazione, quindi

si aggiusta la stima di CEP, K e B con diverse possibili tecniche numeriche (e.g. radial return etc.). Se

dopo un numero di iterazioni fissato la distanza tra stress corrente e yield surface è ancora

superiore alla tolleranza impostata, si riduce l’ampiezza del passo, ripetendo l’iterazione. Quando

la verifica và in porto il passo si considera compiuto e si passa al successivo. Se invece non si riesce

a soddisfare l’adesione dello stress corrente alla yield surface corrente neanche dopo tutti gli

incrementi ammessi su tutte le riduzioni di passo ammesse, allora l’analisi si interrompe al punto

in cui si trova, per mancata convergenza.

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La logica usuale di massima per l’integrazione implicita è la seguente:

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FUNZIONE DI SNERVAMENTO ALLA VON MISES 2.2

Una funzione di snervamento o “yelding function” serve a delimitare il campo dei possibili stati

tensionali elastici di un materiale nelle varie fasi della sua evoluzione sotto qualsiasi tipo di carico.

Se il materiale considerato è isotropo, la condizione di snervamento dipende dalla intensità delle tre

tensioni principali ma non dal loro orientamento, quindi si può dire che le variabili della yelding

function possono essere solo i tre invarianti di tensione, scalari legati biunivocamente alle tensioni

principali e che, analogamente ad esse, caratterizzano completamente lo stato tensionale a meno

dell’orientamento.

Le espressioni dei tre invarianti I1, I2 ed I3 del tensore di stress, ovvero quelle dei tre invarianti del

tensore deviatorico J1, J2 e J3, nel sistema di riferimento principale sono:

(1)

Nello spazio delle tensioni principali, il generico stress state può essere individuato, oltre che

tramite coordinate Cartesiane 1, 2 e 3, anche tramite coordinate cilindriche con asse sull’ottante

positivo definite come segue, dette di Haigh-Westergaard e corrispondenti rispettivamente alla

coordinata assiale sulla trisettrice suddetta, alla coordinata radiale ed alla anomalia:

√ √

(

)

Per la maggior parte dei metalli, l’effetto di stati idrostatici di tensione è circa ininfluente sia sullo

snervamento sia sulla deformazione plastica (che avviene a volume circa costante), quindi il primo

invariante di tensione ovvero la coordinata cilindrica assiale possono essere eliminato dal gruppo

delle variabili che governano lo yelding.

Ciò significa anche che che lo stato tensionale individuato da un generico vettore nello spazio delle

tensioni principali, agli effetti dello snervamento ha lo stesso effetto di un altro stato tensionale

individuato dal vettore che è la proiezione del precedente sul piano 1+2+3=0, ovvero che sullo

snervamento influisce solo la parte deviatorica del tensore degli sforzi;

03211

3211

sssJ

I

2

23

2

31

2

213231212

3231212

6

1)(

)(

ssssssJ

I

3213

3213

sssJ

I

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22

Allora il tensore deviatorico, privo per definizione di primo invariante, è idoeno a descrivere

completamente lo snervamento.

Allora volendo rappresentare nello spazio delle tensioni principali il luogo degli stress {1, 2, 3}

che siano il limite elastico del materiale secondo un generico criterio di snervamento “insensibile” a

stati tensionali idrostatici, si ottiene sempre e comunque la superficie laterale di un cilindro, di

sezione al momento indeterminata ma certamente costante lungo il proprio asse, che è la retta di

versore {1,1,1} trisettrice dell’ottante positivo (Figura 2.4.1),

Quindi ogni superficie di snervamento di questo tipo è individuata univocamente anche dalla sola

curva d’intersezione che la superficie stessa ha con il piano di normale {1,1,1} (Figura 2.4.2).

All’interno della famiglia di funzioni di snervamento indipendenti dalla componente idrostatica

dello stress, le differenziazioni consisteranno nella forma della suddetta curva d’intersezione

ovvero, se si vuole, nella forma che assume la sezione retta del cilindro di snervamento.

Il più noto criterio di snervamento per materiali elastoplastici è quello di Von Mises, secondo cui la

soglia tra il comportamento elastico e quello elasto-plastico viene raggiunta quando il secondo

invariante di tensione deviatorico assume un certo valore critico J2=J2cr indipendentemente dal

valore di J3: l’indipendenza da J3 significa anche indipendenza dello snervamento dall’anomalia del

1

2

3

1,1,1

3

2 1

EqCrJ 3

22 2

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23

sistema cilindrico, quindi l’unica variabile che determina lo snervamento secondo von Mises è la

coordinata radiale, ovvero il secondo invariante deviatorico. Pertanto il cirterio di von Mises

stabilisce che la sezione retta della superficie di snervamento è perfettamente circolare, e lo

snervamento avviene quando il punto che rappresenta lo stress principale si adagia su tale

superficie cilindrica di asse {1,1,1} e raggio pari a CrJ22 .

Tutti gli stati tensionali che giacciono su una stessa superficie cilindrica di asse {1,1,1} sono

ugualmente “in pericolo” di snervamento, sia che tale superficie ha raggio < CrJ22 e lo

snervamento è una condizione ancora non raggiunta, sia che la superficie abbia raggio < CrJ22 e

lo snervamento sia in corso.

Tra tutti i possibili stati di stress che definiscono la superficie di snervamento ci sono anche quelli

monoassiali, rappresentabili da punti appartenenti ai tre assi principali: se chiamiamo yiel la

tensione di snervamento monoassiale ed imponiamo che il generico stato di stress (1, 2, 3)

giaccia sulla stessa superficie a cui appartiene lo stato (yiel, 0, 0) otteniamo la condizione che

individua tutti i possibili stati di tensione equivalenti tra loro ai fini dello snervamento:

Quindi, secondo von Mises lo snervamento del generico stress state si ha quando:

E tutte le combinazioni di (1, 2, 3) per cui vale l’equazione suddetta costituiscono i punti di

snervamento, il cui inviluppo descrive la nota superficie cilidrica di von Mises.

(2)

Applicando il modello di Von Mises alla relazione 2.3.1 del paragrafo precedente, per la funzione di

snervamento in un materiale che si deforma plasticamente resta definita la seguente forma espressa

nel sistema di riferimento principale:

(3)

0

2

1)(

2

31

2

32

2

21 YielYieleqf σ

2

31

2

32

2

213212

22

26

1,,

3

1

6

10,0, JJ yielyielyielyiel

yielEq 2

31

2

32

2

212

1

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24

Per verificare che diverse combinazioni significative di tensioni possono avere la stessa Eq si

considerino le seguenti trasformazioni:

Stato tensionale A: 0,0,100A

;100_ Aeq

Stato tensionale B: 50,50,15050,50,500,0,10050HYDRAB

;10001001002

1 222

_ Beq

Stato tensionale C: 0,100,00,100,1000,0,100DEVAC

;100_ CEQ

Nello spazio delle tensioni tali punti ad uguale Eq sono disposti come segue:

Figura 3: Superficie di snervamento alla von Mises.

Ovvero, aggiungere una tensione idrostatica ad una tensione qualsiasi, comporta una traslazione del

punto rappresentativo dello stato tensionale lungo una generatrice del cilindro, mentre l’aggiunta di

una tensione puramente deviatorica comporta lo spostamento dello stesso punto lungo una sezione

retta circolare del cilindro.

1

2

3

A

B C

2 1

3

C

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25

Su un piano principale la funzione di snervamento di von Mises diventa un’ellisse, per esempio sul

piano 3 =0 (quando una delle tensioni principali è nullo lo stato tnsionale si dice di “biassiale” o di

“ tensione piana”), si ha:

Figura 4: dominio di snervamento sul piano 3=0.

MODELLI DI HARDENING E METODOLOGIE SPERIMENTALI 2.3

L’ espressione (3) non consente ancora di ricostruire in maniera realistica il comportamento dei

materiali metallici in quanto implica che la superficie di snervamento, essendo la tensione di

snervamento Yiel una costante del materiale, non si modifica in dimensione, forma o posizione

nello spazio delle tensioni. Ciò equivale ad ipotizzare che, una volta raggiunte le condizioni di

snervamento, la deformazione plastica fluisce senza la necessità di alcun incremento della tensione

equivalente. Tradotto in esempio pratico è come dire che un corpo soggetto a trazione, una volta

superato lo snervamento continua a deformarsi senza la necessità di applicare ulteriori incrementi di

carico. Una tale risposta è immaginabile per materiali “pastosi” come la chweing-gum, il dentifricio

o la plastilina, ma non certamente per i materiali metallici per applicazioni strutturali.

Nella realtà invece, anche raggiunta la condizione di snervamento, i materiali strutturali richiedono

ulteriori incrementi di tensione equivalente affinchè la deformazione plastica continui a fluire

ovvero, considerato che in ogni caso per essere in campo plastico il punto {1,2,3} deve ricadere

sempre sulla superficie di snervamento, occorre che quest’ultima subisca continue modificazioni

nella sua dimensione e posizione, che consentano e/o assecondino l’incremento di tensione

equivalente necessario. Per interpretare in maniera visiva la realtà fisica del comportamento

elastoplastico reale, si può immaginare che in campo plastico lo stato tensionale è rappresentato da

un punto, nello spazio delle tensioni, che si può muovere avvicinandosi o allontanandosi

1

2 3=0

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dall’origine; quando il punto si allontana monotonicamente (sotria di carico elastoplastica), la

superficie di snervamento si ingrandisce e si sposta in modo tale che il punto rappresentativo dello

stress istantaneo le stia sempre aderente, in un susseguirsi di infinite condizioni di snervamento

ognuna diversa ma infinitamente vicina alla precedente. Quando invece il punto torna indietro verso

l’origine esso rientra all’interno della superficie di snervamento (scarico elastico) e quast’ultima

non subilsce alcuna modifica, almeno fino al prossima condizione di carico elastoplastico.

Le modifiche alle quali va incontro la superficie di snervamento costituiscono il fenomeno

dell’hardening, dipendente dal percorso deformativo seguito (traiettoria del punto nel suo

allontanarsi dall’origine a partire dal contatto con il primo snervamento) e quindi dalla storia

pregressa del materiale in termini di lavoro plastico accumulato.

Per quanto riguarda i due tipi di hardening più comune, si parla di hardening isotropico riferendosi

all’aumento di raggio del cilindro di snervamento, di hardening cinematico per indicare la sua

traslazione che comunque mantiene l’asse parallelo alla trisettrice positiva (almeno fintanto che

resta verificata l’insensibilità dello yelding a stati tensionali idrostatici).

Facendo riferimento al piano ed allo snervamento alla Von Mises, l’hardening equivale a

modificazioni del cerchio di snervamento come quelle in Figura 2.4.3, in cui l’hardening isotropico

è una funzione scalare R, quello cinematico una funzione vettoriale X:

FIGURA 5 (Lemaitre pag 40)

La funzione di snervamento, per un materiale che presenta hardening isotropico e cinematico

(spesso, in base al materiale o al tipo di carico, si può considerare trascurabile l’una o l’altra delle

due componenti dell’hardening), diventa quindi:

(4)

Yeq RRf )(),,( XσXσ

dX

Primo

t t+dt

y +R(t)

X(t)

dR

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27

In tale espressione, l’operatore che associa uno scalare “equivalente” ad un tensore (nel senso visto

in precedenza), agisce su una differenza tra i tensori di stress e di hardening cinematico.

Resta da definire quali sono le variabili delle due funzioni di hardening, e la loro evoluzione con la

storia deformativa. Individuata la necessità di tenere conto dei due tipi di hardening menzionati, le

funzioni X ed R, introdotte nella formulazione della plasticità generica, adesso possono essere

definite considerando che il termine è in realtà una coppia di funzioni (la funzione scalare R di

hardening isotropico, e la funzione vettoriale X di hardening cinematico) che dimensionalmente

sono degli stress

mentre la funzione h(Eq) ne descrive il loro legame differenziale con dEq e d e quindi la loro

evoluzione. Analogamente a quanto accade tra lo stress e la deformazione plastica, le funzioni R ed

X (quest’ultima detta anche back-stress), le cui dimensioni sono quelle di uno stress rispettivamente

scalare e tensoriale, sono associate alle variabili, adimensionali come una deformazione, dette

cumulated o natural plastic strain “Eq” e backstrain “”. La deformazione plastica equivalente Eq è

definita come la deformazione duale alla tensione equivalente nel senso del lavoro di deformazione

(la deformazione che, moltiplicata per la tensione di Von Mises, restituisce la stessa quantità di

lavoro plastico data dal prodotto dei tensori di deformazione plastica e di tensione). Analiticamente

si ha:

222

0

)()()(9

2)(

3

2

...

kikjjiijijEq

ijijij

o

EqEqeq

ddddddddd

dd

ijEq

(5)

Il tipo di legame associativo è lo stesso per tutte e tre le coppie di funzioni e variabili, quindi,

secondo quanto visto per il legame incrementale tra stress e deformazione plastica, valgono le

seguenti relazioni:

Eq

ij

ij

EqEq

Eq

ij

ij

dX

fd

dR

fd

fd

ovvero

1

R

f

X

f

σ

f

ijij

(6)

Stante la forma scelta per il potenziale plastico ovvero per la funzione di snervamento, dalla prima

delle 2.4.5 si ricava che l’incremento di deformazione plastica è:

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28

Eq

eqijij

ii

Eqii

Eq

i

kkjjii

Eq

i

i

dX

XdX

d

XXX

df

d

)(2

3

2

32

2

1

2/3

21

2222

1

(7)

In definitiva i due stress che costituiscono l’hardening, R(scalare) ed X (tensoriale), dipendono

rispettivamente dalla variabile scalare “Eq” e dalla variabile tensoriale ij,.

La caratterizzazione del comportamento elastoplastico di un materiale è costituita proprio dalla

individuazione sperimentale delle leggi di hardening, oltre che della prima tensione di snervamento.

Visto che durante il flusso delle deformazioni plastiche vale 0)( Yeq Rf Xσ , per

determinare le leggi di hardening basta misurare la tensione equivalente Eq al variare di Eq da

prove sperimentali.

Le prove sperimentali che permettono di ricavare tali grandezze in maniera + semplice possibile

sono quelle di trazione su provini lisci, per i quali lo stato tensionale è monoassiale ed uniforme su

tutto il volume del provino, e l’unica tensione non nulla è facilmente ricavabile come rapporto tra

forza ed area resistente del provino.

Infatti quando la tensione è uniassiale (1,0,0), dimostreremo avanti che la deformazione è del tipo

(1,- 1/2,- 1/2), e quindi, date le definizioni (2) e (5) di questa sezione, si vede facilmente che Eq

=1 ed Eq =1

Per caratterizzare un materiale con solo hardening isotropico si esegue un test monotonico

ottenendo una curva come in Figura 6:

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29

Figura 6: Hardening Isotropico

data la simmetria della tensione di snervamento istantanea a trazione-compressione, non serve

effettuare cicli di scarico, quindi una volta determinata la tensione equivalente “facile” dalla prova

di trazione si ricava

YYEqeqEqR 11

Se invece si deve determinare l’hardening cinematico, si usano provini di trazione sui quali occorre

eseguire cicli di carico-scarico ottenendo una curva come in Figura 7:

Figura 6: Hardening Cinematico

y

R(Eq

Eq

y

Eq

XEq()

y

Eq

y

Eq

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30

In questo caso, l’hardening cinematica si ottiene sottraendo la semidifferenza tra snervamento a

trazione ed a compressione di ogni ciclo, dallo snervamento a trazione di inizio scarico. Tale valore

di hardening si associa al plastic strain iniziale di quel ciclo di scarico. Così x ogni ciclo si ottiene

un punto della curva di hardening X.

Quando il materiale esibisce entrambi i tipi di hardening la situazione è quella di Figura 7:

Figura 7: Hardening Isotropico e Cinematico

Unendo i concetti precedenti si caratterizzano entrambi gli hardening: X si ottiene dalla differenza

tra snervamento inizio scarico e semiampiezza carico-scarico, invece R si ottiene come incremento

delle semiampiezze tra un ciclo ed i successivi.

Lemaitre ha proposto delle leggi-tipo per esprimere i due tipi di hardening sulla base di

considerazioni pratiche, per cui essi crescono all’inizio della plasticizzazione ma la crescita

diminuisce gradualmente fino ad assestarsi sui valori X∞ ed R∞ per strain virtualmente infiniti. La

rapidità di crescita iniziale ed assestamento è data dalle costanti e b.

Eq

ij

b

ij

eRR

eXX

1

1

I parametri X∞, R∞ e b vanno determinati tramite “best fit”, ovvero vanno scelti in modo da

approssimare meglio possibile le curve sperimentali “per punti” ottenute da prove monotoniche o

prove con cicli di carico-scarico.

X(p)

y

R(p

p

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Due funzioni molto più conosciute sono largamente utilizzate in letteratura per approssimare i dati

sperimentali relativamente al caso di solo hardening isotropico, che è realistico per la maggior parte

dei metalli duttili quando subiscono storie di carico monotoniche o comunque non cicliche:

Hollomon Law (Power Law): N

EqEq K

Ludwig Law: N

EqEq K 0

E’ importante tener presente che queste sono approssimazioni comunemente usate per approssimare

dati sperimentali tramite best fitting, ma, per approssimare con una curva continua l’hardening

sperimentale ottenuto solitamente come sequenza di punti, si può usare qualunque funzione

approssimate polinomiale, trigonometrica etc. etc.!!

Tra le possibili modellizzazioni che esistono al variare della scelta del potenziale, quella che è stata

esposta, detta “Plasticità Associata”, prevede che la funzione potenziale sia la stessa che individua

le condizioni di snervamento, ovvero la yelding function.

Tale costruzione analitica è al momento quella universalmente accettata e diffusa per quanto

riguarda il comportamento dei materiali metallici, dato che il suo utilizzo in numerosi codici di

calcolo FEM si è rivelato di semplice gestione ed in grado di fornire risultati in buon accordo con la

sperimentazione. All’interno della categoria di modelli che fanno capo alla plasticità associata,

esiste comunque una ulteriore differenziazione legata alla scelta della funzione di snervamento,

infatti si potrebbero utilizare funzioni più semplici o più evolute di quella vista in questa sede. Ad

esempio, la più elementare funzione di snervamento alla Von Mises potrebbe prevedere l’assenza

totale di hardening (materiali plastici ideali) oppure potrebbe tenerne in considerazione solo uno dei

due tipi visti, oppure, come accade per alcune rappresentazioni analitiche molto sofisticate, rivolte

perlopiù ad applicazioni nel campo della ricerca scientifica avanzata, si fa ricorso a forme della

funzione di snervamento più complesse di quella vista, per tenere conto di forme di hardening

sempre più precise (ad esempio l’hardening cinematico non lineare) o di fenomeni fisici come il

danneggiamento dovuto alla evoluzione di vuoti all’interno del materiale.

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32

IRREVERSIBILITA’ & DIPENDENZA DELLE DEFORMAZIONI PLASTICHE DAL PERCORSO 2.4

Il legame incrementale tra tensioni e deformazioni ed il modello costitutivo dissipativi-non

conservativo comportano che la deformazione plastica NON dipende dallo stato attuale delle

tensioni ma dal percorso seguito nello spazio delle tensioni per arrivare a tale stato.

ESEMPIO :

Consideriamo una lamiera metallica piana (direzioni x,y) il cui materiale soddisfa il criterio di

snervamento di Von Mises, ha snervamento iniziale MPaEq 650 e la curva costitutiva

seguente:

3.020065 EqEqEq

Tale lamiera deve essere sottoposta ad una sequenza di due tensioni uniformi, ognuna da

applicare gradualmente fino al raggiungimento di 150 MPa in direzione X e 250 MPa in direzione Y.

Determinare la deformazione plastica equivalente del materiale alla fine delle due possibili

sequenze di sollecitazioni ottenibili applicando prima la tensione lungo X e dopo quella lungo Y, e

viceversa.

Schematizzare le superfici di snervamento durante le due possibili trasformazioni.

Assumere infinitesime le singole trasformazioni plastiche e trascurare quelle elastiche, ovvero gli

spostamenti nello spazio delle tensioni sono così piccoli da essere considerati per forza rettilinei

(proportional loading!) .

120 MPa

X

Y

150 MPa

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33

SOLUZIONE:

Lo stato tensionale finale è sempre 0,150,120~ , ma può essere ottenuto con le

trasformazioni O-A-C oppure O-B-C schematizzate di seguito:

1) PERCORSO O-A-C:

TRATTO O-A

Applicando prima la X = 120 MPa (trasformazione O-A) la tensione equivalente è:

MPaAEqO 1201201202

1 22

ed essendo maggiore della tensione di primo snervamento (65 MPa) si ha che la nuova tensione di

snervamento è diventata 120 MPa e produce deformazione plastica. Sostituendo 120 MPa nella

legge costitutiva ed ipotizzando che la deformazione prodotta è infinitesima (altrimenti si

dovrebbe integrare su deformazioni infinitesime etc. etc.) si ottiene:

0135.0200

65120)3.0/1(

AEqO

La superficie di snervamento è cambiata (rosso = snerv. Iniziale, blu = snerv. dopo O-A) e la

trasformazione O-A indicata dalla freccia è elastica fino a 65 MPa, elastoplastica (infinitesima) tra

65 e 120 MPa:

-200 -150 -100 -50 50 100 150 200

-200

-150

-100

-50

50

100

150

200

X

Y

O A

B C

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34

Le tre componenti del tensore incremento di deformazione plastica (1, 2, 3) devono avere i

seguenti requisiti:

1) descrivono un vettore perpendicolare alla sup di snervamento 3D nel punto A (ellisse sul

piano XY con semiassi a 45 gradi rispetto SDR ha tangente di +-30 o +- 60 gradi

all’intersezione con gli assi del SDR etc. etc…., quindi generalizzando al 3D si ottiene):

2,

2,,, XX

XZYX

dddddd

2) il modulo del vettore incremento di deformazione, moltiplicato per 3

2 dev’essere pari a

dEq :

0135.0

3

2

443

2~22

2

EqX

Eq

XX

XEq

dd

ddd

ddd

L’incremento di deformazione plastica di O-A avviene a partire dal materiale indeformato, quindi

la deformazione totale in A coincide con l’incremento di deformazione O-A.:

-200 -150 -100 -50 50 100 150 200

-200

-150

-100

-50

50

100

150

200

X

Y

A

Proiez (d1, d2, d3)O-A

sul piano Z=0.

Eqdd ~

3

2

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35

0675.0,0675.0,0135.0,,0,0,0,, AOZYXAZYX d

TRATTO A-C

Applicando adesso la y = 150 MPa (trasformazione A-C) la tensione equivalente diventa:

MPaCAEqO 5.1371501201501202

1 222

La nuova tensione equivalente è ancora > dello yield stress precedente (120 MPa), quindi lo

snervamento diventa 137.5 MPa e si ha ancora deformazione plastica:

034.0200

655.137)3.0/1(

CAEqO

Quindi a fine del percorso O-A-C si ha una tensione di snervamento pari a 137.5 MPa, una

deformazione plastica equivalente del 3.4 %.

La superficie di snervamento si è modificata nuovamente e la trasformazione A-C è inizialmente

elastica (linea tratteggiata) ed elastoplastica nella parte finale:

0251.0)0135.0034.0(2

32

3~ CAEqCA dd

Il vettore “incremento di deformazione” A-C ha modulo e direzione perpendicolare alla superficie

di snervamento cilindrica in C: queste condizioni sono sufficienti a determinare le tre componenti

-200 -150 -100 -50 50 100 150 200

-200

-150

-100

-50

50

100

150

200

O A

C

X

Y

Proiez (d1, d2, d3)A-C

sul piano Z=0.

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36

di

CAZYXCA dddd ,,~

, ma il calcolo via “carta e penna” della direzione normale alla

superficie di snervamento in C è meno immediato che in A, quindi in questa sede evitiamo di

svolgerlo (comunque tale calcolo è facile concettualmente ed elementare per via numerica tramite

codici di calcolo automatici). Il tensore di deformazione plastica totale alla fine di OAC sarebbe la

somma dei due vettori incrementali infinitesimi: CAAOCAO dd ~~~

2) Percorso O-B-C:

TRATTO O-B

Applicando prima la y = 150 MPa (trasformazione O-B) tensione e deformazione equivalenti

sono:

058.0200

65150

1501501502

1

)3.0/1(

22

BEqO

BEqO MPa

Ed essendo la tensione equivalente maggiore di quella di primo snervamento, fino a 65 MPa si ha

trasformazione elastica, tra 65 e 150 MPa elastoplastica, e la nuova tensione di snervamento

diventa ovviamente 150 MPa:

-200 -150 -100 -50 50 100 150 200

-200

-150

-100

-50

50

100

150

200

O

B

X

Y Proiez (d1, d2, d3)O-B

sul piano Z=0.

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37

Visto che la normale alla sup di snervamento cilindrica all’intersezione con gli assi ha versore del

tipo (1, -1/2, -1/2), e visto che il modulo del vettore incremento di plastic strain dev’essere pari a

071.02

3~ CAEqBO

dd , ne deriva che il tensore incremento di strain O-B è:

029.0,058.0,029.02

,,2

~

BOEq

BOEq

BOEq

BO

dd

dd

TRATTO B-C

Applicando adesso la tensione di 120 MPa lungo x (trasform. B-C) si ha:

MPaCBEqO 5.1371501201501202

1 222

Che stavolta è minore dello snervamento di 150 MPa, quindi: aggiungere la X allo stato tensionale

precedente ha significato effettuare uno scarico elastico, la superficie di snervamento non si

modifica, la tensione di snervamento r

imane pari a 150 MPa (non può diminuire!) e non si hanno deformazioni plastiche, quindi la

deformazione plastica totale a fine percorso O-B-C è pari al solo incremento

029.0,058.0,029.0~ BOd :

-200 -150 -100 -50 50 100 150 200

-200

-150

-100

-50

50

100

150

200

O

B C

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38

In definitiva, seguendo i due percorsi si arriva allo stesso stato tensionale C (120,150,0), però il

materiale ha acquisito due diverse tensioni di snervamento (137 MPa contro 150 MPa) ed è stato

deformato in maniera sia qualitativamente diversa (deformazioni sia lungo X sia lungo Y per O-A-C,

deformazioni solo lungo Y per O-B-C) sia quantitativamente diversa (equivalent plastic strain del

3.4% nel primo caso, del 5.8 nel secondo). Se fossero state calcolate le componenti di CAd ~ e

quindi il tensore di deformazione completo del percorso O-A-C si sarebbe visto che anche

CBOCAO ~~

Sulla curva costitutiva i due percorsi sono i seguenti:

Eq

40

60

80

100

120

140

160

0 0.01 0.02 0.03 0.04 0.05 0.06 0.07 0.08

sigma_eq

O-A

O-BO-A-C

O

O-B-C

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39

CARATTERIZZAZIONE STATICA ELASTOPLASTICA DEI MATERIALI 2.5

Utilità della caratterizzazione post snervamento

La caratterizzazione elastoplastica del materiale è indispensabile ai fini della progettazione

avanzata di componenti e strutture. Infatti, contrariamente a quanto accadeva sino a qualche

decennio fa, oggi la tendenza a progettare in campo plastico, previa la dettagliata conoscenza del

comportamento del materiale in tale fase, è determinante sia nelle applicazioni strutturali ad alto

contenuto tecnologico in cui è necessario ridurre continuamente pesi, ingombri e costi

assicurando al contempo elevati standard di sicurezza strutturale, sia nelle applicazioni

teconologiche basate su lavorazioni di formatura per deformazioni plastiche: da entrambi i punti di

vista rientrano in tali categorie interi settori produttivi tra i più avanzati come quelli

dell’automotive, navale, aerospace etc.

In pratica, potendo prevedere con ragionevole affidabilità il massimo carico che agisce

eccezionalmente su una struttura, e conoscendo a sufficienza il comportamento del materiale nel

campo di funzionamento che va dallo snervamento alla rottura è possibile, oltre che decisamente

sensato, fare in modo che sotto tale carico estremo la struttura arrivi in prossimità del limite di

rottura piuttosto che restare lontana da tale condizione, in un eccesso di sicurezza dettato

dall’ignoranza sulla risposta del materiale.

Spesso infatti è più dispendioso sovradimensionare una struttura piuttosto che dimensionarla in

maniera appropriata per i carichi che sopporta e sostituirla tutta o in parte appena il “termometro del

danneggiamento” indica che la rottura è prossima.

In alcune applicazioni in cui il fattore peso è determinante diventa addirittura indispensabile

sfruttare il materiale quanto più possibile, si pensi alle applicazioni aeronautiche in cui i

coefficienti di sicurezza devono per forza di cose essere resi più bassi possibile (occorre utilizzare

“poco” materiale ma “bene”) per permettere il raggiungimento di specifiche e prestazioni

strutturali.

Se poi si pensa alla categoria di strutture che, per esempio, nel settore veicolistico vengono oggi

progettate per assorbire elevati quantitativi di energia negli urti, si capisce come la stessa finalità

della struttura si impernia totalmente sul comportamento in fase plastica avanzata del materiale

che la costituisce.

In sostanza la riduzione dei pesi permessa dallo sfruttamento ottimale dei materiali è in alcuni casi

utile per un fatto economico, in altri casi necessaria per un fatto tecnico.

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40

E’ inoltre accertato che l’apparente sicurezza data dalla tecnica del sovradimensionamento in

campo elastico a volte può rivelarsi, se analizzata ala luce dei nuovi criteri di danneggiamento dei

materiali, meno cautelativa della progettazione in campo plastico in cui ci si avvalga dei suddetti

metodi di previsione del danno.

Il concetto di caratterizzazione elastoplastica

Una premessa indispensabile riguarda la definizione di cosa significa caratterizzare il materiale in

campo plastico: si è visto che in tale fase del comportamento non è più possibile stabilire un

legame univoco tra tensioni e deformazioni plastiche, ma si è visto anche che, in ogni caso, per

ogni stato deformativo è possibile conoscere almeno una informazione che limita il numero dei

possibili stati tensionali. Infatti per un certo materiale esisterà una ed una sola legge di hardening

che, definendo il valore della tensione equivalente di Von Mises corrispondente ad ogni

deformazione plastica equivalente, pone un primo vincolo limitando il numero dei possibili stati

tensionali.

Infatti, senza alcun vincolo costitutivo o di altro tipo, i possibili stati tensionali in un punto sono 3

dati dalle combinazioni possibili delle tre tensioni principali, imponendo che tali tensioni debbano

“produrre” un ben preciso valore di tensione equivalente (dato dall’hardening corrispondente al

generico valore di deformazione plastica considerato) le combinazioni diventano 2. Le ulteriori

condizioni date dalla normality rule e dalla consistency condition rendono definito, sia pure in

maniera incrementale, il problema della determinazione della tensione corrispondente ad una

certa deformazione plastica. Se poi si tiene conto anche della deformazione elastica e del

corrispondente legame costitutivo si introduce una variabile ed una equazione in più che lasciano

il probelma ancora determinato, sempre in termini incrementali.

E’ quindi chiaro che caratterizzare un materiale in campo elastoplastico significa determinare la

relazione che fa corrispondere un valore di tensione equivalente (ovvero un campo di esistenza

per una infinità doppia di stati tensionali) ad ogni valore di deformazione plastica equivalente. Ciò,

nei limiti che saranno evidenziati avanti, è perseguibile in maniera relativamente semplice tramite

prove di trazione o più generalmente monoassiali in cui rilevare l’unica tensione non nulla tra le

tre principali corrisponde a rilevare proprio la tensione equivalente oggetto della

caratterizzazione.

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41

Caratterizzazione elastoplastica tradizionale – curva ingengeristica

A questo punto, evidenziata la necessità di caratterizzare il materiale dal punto di vista statico

anche al di là della condizione di snervamento, e definita la caratterizzazione come la

determinazione della legge tensione equivalente-deformazione plastica equivalente, si deve

valutare se e quanto la tradizionale procedura di valutazione della curva tensione-deformazione è

adatta allo scopo.

Tale curva (detta “Ingegneristica”) è ottenuta riportando rispettivamente in ordinata ed in ascissa,

i valori di tensione e deformazione assiali ottenuti come segue dalla prova di trazione monotonica

su provini di geometria standard, del tipo circolare riportato in Figura:

- la tensione è data dal rapporto tra il carico istantaneo applicato e la sezione resistente

nominale, ovvero quella che ha il provino appena costruito;

- la deformazione è data dal rapporto tra l’allungamento L0 della lunghezza di misura (gage

lenght) e la sua lunghezza originale L0.

Queste grandezze danno luogo alla classica curva del tipo:

dove le tensioni caratteristiche riportate sono quella di snervamento y e quella u detta

“ultimate” che, come si vedrà avanti, non è assolutamente la reale tensione massima sul provino.

Questi valori di tensione e di deformazione corrispondono alla tensione equivalente e

deformazione equivalente solo nella idealizzazione secondo cui istante per istante sono verificate

le seguenti ipotesi:

u

y

2a0 z

r

L0

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42

1) in ogni punto interno al volume “utile” del provino (quello cilindrico definito dalla

lunghezza L0) si hanno distribuzioni di tensione perfettamente uniformi e monoassiali,

ovvero le componenti del tensore di tensione sono del tutto indipendenti dal punto

materiale considerato, e sono tutte nulle tranne quella normale in direzione del carico

applicato.

2) l’allungamento (o l’aumento di carico) imposto dalla macchina di prova in controllo di

spostamento (o in controllo di carico) avvengono a velocità talmente basse da non

innescare fenomeni detti di “strain rate”. E’ noto infatti che condurre prove con velocità di

deformazione elevata fa nascere nei materiali un effetto viscoso di irrigidimento detto

appunto strain rate effect. Pertanto per prove in cui non si voglia valutare la caratteristica

viscoplastica del material, la velocità dev’essere talmente bassa da potersi considerare

quasi statica.

3) la differenza tra le configurazioni iniziale ed istantanea della geometria del provino

(differenza tra valori istantanei e valori iniziali del diametro e della lunghezza del tratto

cilindrico) siano così piccole da poter essere trascurate.Si fa riferimento al tratto utile del

provino perché, ovviamente, all’esterno di tale tratto le distribuzioni di tensione e

deformazione non sono più monoassiali per la presenza di raccordi e gli aumenti di

diametro necessari ad afferrare il provino nella macchina di prova.

Le prime due ipotesi sono pressochè vere se si ha la cura di realizzare rispettivamente provini di

geometria sufficientemente “indisturbata” nel tratto utile (le norme forniscono indicazioni valide

in merito) e di impostare la macchina di prova su velocità sufficientemente basse. La terza ipotesi

invece, è realistica solo per piccolissime deformazioni, dell’ordine di quelle elastiche o poco

maggiori, infatti, come verrà specificato avanti, il tratto utile del provino in realtà subisce

elongazioni e contrazioni di diametro che rendono troppo imprecisa la determinazione di tensioni

e deformazioni secondo le (1).

Pertanto nel campo di validità delle tre ipotesi descritte (poco oltre il campo elastico), la tensione

e la deformazione equivalenti (eq e p) coincidono rispettivamente con tensione e deformazione in

direzione assiale perché queste ultime sono le uniche componenti non nulle nel tensore di

tensione e di deformazione, ed in tutti i punti utili del provino si hanno i valori seguenti di tensione

e deformazione:

(1)

0

0

0

000

20

00

0L

L

L

LLLdz

z

wp

a

F

LL

Lz

zeq

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43

in cui la forza istantanea w è lo spostamento in direzione z, e l’allungamento istantaneo L0

vengono registrati durante il test dalla macchina di prova.

Caratterizzazione elastoplastica di seconda approssimazione – curva true

Il grado di approssimazione successivo a quello della curva ingegneristica, permette di porre

rimedio alle imprecisioni che l’ipotesi 3) fatta precedentemente introduce in campo plastico.

Infatti sia la tensione che la deformazione, possono essere definite rispetto all’area elementare

indeformata solo per piccoli spostamenti e deformazioni. Quando le deformazioni non possono

più essere considerate infinitesime, affinchè tensioni e deformazioni siano ancora significative

occorre riferirle non più alla configurazione indeformata ma a quella istantanea, ovvero

deformata. Per tenere conto di ciò sulla deformazione è necessario ricordare che la seconda delle

relazioni 1) è valida solo nell’ipotesi di piccole deformazioni, pertanto nelle espressioni da

utilizzare formalmente la deformazione occorre utilizzare la seconda delle 1) solo a patto di

“spezzettare” la deformazione finita tra L0 ed L in tante deformazioni infinitesime. Pertanto si ha:

(2)

essendo a ed L le dimensioni istantanee rispettivamente del semidiametro e della lunghezza del

tratto utile.

In sostanza in questo modo si tiene conto della riduzione di area per la tensione, e delle

deformazioni non più approssimabili ad infinitesime, eliminando quindi la causa che rendeva la

caratterizzazione tramite curva “ingengeristica” realistica solo per ridottissimi valori di

deformazione.

La deformazione definita adesso è legata a quella vista “classica”, vista precedentemente, dalla

seguente relazione:

(3)

01

0

2

11

2

0

.......L

LLog

L

dL

L

L

L

L

L

L

L

Lep

a

F

L

Ln

nnz

zeq

zz LogL

LLLog

L

LLogep

1

0

0

0

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44

Le espressioni (2) definiscono rispettivamente i cosiddetti “true stress” e “true strain” o

“logarithmic plastic strain”, dove l’aggettivo true (vero) è legittimo, come vedremo, solo fino ad un

certo punto.

Siccome per deformazioni plastiche piuttosto ridotte, in materiali metallici con hardening non

troppo elevati, si hanno deformazioni elastiche qualche ordine di grandezza più piccole, è lecito

trascurare queste ultime e quindi considerare che la deformazione logaritmica, (che a rigore

esprime la deformazione totale somma di quella elastica e quella plastica), esprima invece

solamente la deformazione plastica. Questo permette di fare una interessante considerazione che

rende “più facile” la vita di chi deve ricavare la curva true di un materiale. Infatti è noto che le

deformazioni plastiche avvengono a volume costante, quindi il volume cilindrico della parte utile di

provino, per un dato valore di deformazione plastica avrà conservato il suo volume (a meno

dell’effetto elastico che abbiamo detto essere trascurabile). Allora la conservazione del volume su

scala macroscopica (appunto il cilindro di dimensioni finite di cui si parla) impone che:

(4)

L’espressione (4) permette quindi di calcolare la deformazione plastica logaritmica tramite

misurazioni di raggio (diametro), sperimentalmente più semplici e meno affette da errore di

quanto avvenga con le misure di allungamento.

La curva true di un materiale è molto più realistica ed esplicativa di quella ingegneristica, e anche

la forma che assume per un materiale duttile è completamente diversa. Nella Figura seguente

sono riportate curve qualitative che danno un’idea di quanto detto.

a

aLog

a

aLog

L

LLogep

a

a

L

L

LaVolumeLaVolume

z

deformatooindeformat

0

2

20

0

2

20

0

20

20

2

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45

Facendo riferimento alla curva ingegneristica si ricavano informazioni falsate sia per le

deformazioni che per le tensioni, a meno di non limitarsi a considerare bassissime deformazioni (la

parte elastica della deformazioni non è ancora trascurabile), per le quali di fatto le due curve

coincidono. Ad esempio infatti, la deformazione ingengeristica alla frattura del provino (detta

anche allungamento percentuale a rottura), per materiali comuni varia tra ipochi percento dei

materiali fragili ed i valori dell’ordine del 20-30% dei materiali duttili, mentre la deformazione

logaritmica degli stessi materiali, decisamente più significativa, a rottura raggiunge valori anche 10

volte superiori. Ad esempio, per provini in acciao AISI304 aventi diametro nominale di 9 mm e

gage lenght di 55 mm, l’allungamento a rottura è del 15-20 % mentre la deformazione plastica a

rottura arriva al 130% circa.

Per quanto riguarda la tensione poi, è chiaro che la riduzione di sollecitazione riportata dalla curva

ingengeristica in corrispondenza dell’ “Ultimate Tensile Stress” non è reale, in quanto il carico

dall’U.T.S. in poi diminuisce davvero, però la sezione resistente in quella fase inizia a ridursi con

una velocità maggiore di quella con cui avviene la riduzione di carico, dando in ogni caso luogo

all’andamento crescente di tensione che la curva true più obiettivamente riproduce.

ez

z

Curva true

Curva ingegneristica

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Caratterizzazione di terza approssimazione – il necking e le problematiche relative

La caratterizzazione mediante curva true, pur rappresentando un gigantesco passo avanti rispetto

alla curva ingegneristica ed essendo significativa fino a notevoli deformazioni plastiche, non è

ancora del tutto esatta perchè non può tenere conto delle perturbazioni che, ad un certo punto

della vita del materiale, vengono innescate dall’insorgere del necking.

I valori di deformazione a cui nasce il necking variano da materiale a materiale, ma gli ordini di

grandezza vanno dall’1-2% (materiali a basso hardening) al 35-40% (materiali molto duttili e con

spiccate doti di hardening). Sino al raggiungimento di questi valori di deformazione la curva true è

perfettamente indicativa del legame tra tensione equivalente e deformazione plastica equivalente,

pertanto è del tutto idonea a caratterizzare il materiale in campo elastoplastico.

Il necking è il fenomeno della strizione (quindi deformazione plastica) concentrata in una

particolare sezione del volume utile del provino, (quella in cui la somma delle imperfezioni interne

è anche infinitesimamente superiore a quella delle altre sezioni), strizione che determina la

classica forma “a clessidra” della zona di provino circostante e che segna l’inizio della fase che

abbastanza rapidamente porta alla rottura proprio nella sezione “neckizzata”.

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47

Un andamento tipico della deformazione in tali condizioni è riportato nella figura seguente:

E’ evidente che la deformazione calcolata tramite allungamenti del tratto utile, in queste

condizioni rappresenta solo il valore medio di una grandezza che localmente si discosta di gran

lunga da tale valore medio.

La sagoma assunta dal provino nella zona in questione provoca una sorta di intaglio “naturale” ed

inevitabile, ed è quindi ovvio che la presenza di questa perturbazione geometrica, come

qualunque intaglio che si rispetti, comporta una modifica dello stato tensionale e deformativo.

L’insorgere del necking coincide con il verificarsi della condizione di carico massimo,

corrispondente all’U.T.S. descritto a proposito della curva ingegneristica.

Matematicamente la condizione da imporre sulla curva true per ricavare il valore di deformazione

plastica a cui inizia il necking è:

(5)

Per valori di deformazione logaritmica compresi tra zero ed il valore ricavato dalla (4), la curva true

si costruisce con misure di campi tensionali e deformativi uniformi e monoassiali, quindi è davvero

indicativa del legame tra tensione equivalente e deformazione plastica equivalente ovvero

caratterizza correttamente il materiale per una parte della sua “vita” plastica.

Per caratterizzare il materiale nel range di deformazioni plastiche successivo al necking, occorre

tenere conto dei cambiamenti che esso provoca nelle distribuzioni di stress e strain.

true

z

true

e

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Un primo aspetto della modifica delle distribuzioni suddette è quello della variabilità lungo l’asse,

infatti la sezione neckizzata, in ogni istante sta subendo tensioni e deformazioni più elevate che in

qualunque altra sezione. E se questo fosse l’unico fatto di cui tener conto, sarebbe semplice

caratterizzare ancora tramite curva true, calcolando le riduzioni di area sulla sezione significativa

che è quella ristretta.

Invece il necking fa cadere due delle ipotesi che stanno alla base della curva true, e precisamente

quella di monoassialità dello campo tensionale, e quella di uniformità dello stesso campo.

Infatti sulla sezione ristretta (che comunque resta la sezione più sollecitata e quindi significativa

per la caratterizzazione) ed in quelle circostanti, nascono tensioni sia radiali che circonferenziali

variabili lungo l’ascissa radiale, e anche l’andamento della tensione assiale (l’unica ad essere non

nulla ed uniforme anche prima del necking) adesso non è più uniforme.

In questa situazione, i problemi da risolvere per ricavare i massimi valori della tensione

equivalente e della deformazione plastica equivalente nel volume del provino diventano due,

infatti è necessario sia capire quale punto della sezione ristretta è quello in cui si verifica il

massimo di tensione e deformazione, sia valutare l’entità delle singole componenti dei tensori di

tensione e deformazione per poi calcolarne gli scalari equivalenti. E chiaro che i due problemi

considerati si traducono in quello nella determinazione delle distribuzioni di stress e strain sulla

sezioni di necking.

Un metodo esatto per rilevare le tali distribuzioni non è stato sino ad oggi trovato, però esistono

alcuni modelli matematici che descrivono il fenomeno in maniera approssimata fornendo pur

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sempre un grado di precisione migliore di quello ottenibile con la curva true. Il più attendibile di

tali modelli è quello di Bridgman, che verrà descritto successivamente.

In merito agli effetti del necking sullo stress nella sezione ristretta è comunque possibile fare

alcune considerazioni qualitative prima di descrivere il modello di Bridgman.

Si è fatto notare che la geometria che caratterizza il necking è assimilabile ad un intaglio, quindi è

ragionevole pensare che anche le modifiche che la strizione localizzata induce sullo stato

tensionale siano qualitativamente uguali a quelle introdotte da un intaglio: la nascita di tensioni

compressive nelle direzioni ortogonali al carico implica un aumento della triassialità dello stato

tensionale, ovvero un aumento “percentuale” della parte idrostatica del tensore.

Un utilissimo fattore di triassialità è rappresentato dal rapporto tra tensione idrostatica e tensione

equivalente:

(6)

Questo termine vale tipicamente 1/3 per stati tensionali perfettamente monoassiali, e cresce sino

a raggiungere il valore di infinito per tensori idrostatici.

Tornando alla modifica dello stato tensionale dovuto al necking si può dire che una parte del

carico assiale viene “sprecata” per creare tensioni idrostatiche che assecondino la geometria

assunta nella zona del necking, pertanto non tutta la tensione assiale calcolabile dal rapporto

carico/area si traduce in tensione equivalente. Allora è possibile prevedere che la curva costitutiva

del materiale, che esprime la tensione equivalente rispetto alla deformazione plastica equivalente,

a partire dalla deformazione di avvio del necking si discosta dalla curva true (sino a prima del

necking curva true e curva del materiale coincidono) restandone al disotto, secondo un

andamento simile a quello della seguente figura:

eq

HFT

..

p

pn

eq(p)

true(p)

ing(p)

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50

Come si vede, in corrispondenza del carico massimo si ha l’inizio del necking e quindi la

biforcazione tra curva costitutiva e curva true che da tale condizione in poi fornisce valori sempre

maggiori di quelli della tensione equivalente del materiale.

Fino a questo momento le considerazioni fatte sono solo di tipo qualitativo, si può aggiungere che

l’ordine di grandezza della differenza tra tensione true e tensione equivalente, a rottura è

dell’ordine del 10-20% della tensione true, ma per determinare la funzione eq(p), magari tramite

una legge che modifichi la curva true, occorre fare riferimento ai modelli matematici, ancora una

volta approssimati, a cui si è accennato in precedenza.

Le metodologie a cui si fa riferimento in letteratura sono:

- Metodo di Bridgman,

E’ basato su varie ipotesi semplificative e consiste nel misurare ad ogni istante della

prova, oltre al raggio della sezione minima ed il carico, anche il raggio di curvatura del

profilo di necking R, e con tale raggio calcolare il seguente fattore correttivo:

E’ estremamente oneroso in termini di lavoro sperimentale (un singolo valore della

curvatura richiede le coordinate di almeno 6-7 punti di profilo per ogni immagine, da fittare

e derivare; Ogni immagine significa un valore di correzione per un solo punto della curva

costitutiva: volendo tracciare tale curva con 10 punti post-necking serve una discreta

quantità di lavoro.

L’accuratezza è ragionevole ma non eccezionale, errore approx. 5-15%.

a

RLn

R

aBF

21

21

1

R

a

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51

- Metodo iterativo o “Reverse Engineering”,

Consiste nel seguente ciclo di iterazioni:

a) dalla prova di trazione calcolare la curva true e la curva carico-spostamento;

b) eseguire un’analisi FEM usando come curva costitutiva la curva true (in teoria si

può partire anche con una iniziale del tutto casuale);

c) confrontare la curva carico-spostamento in uscita dal calcolo FEM con quella

sperimentale, in base all’errore del FEM correggere la curva costitutiva usata nel

FEM

d) Ripetere i passi b) e c) finchè l’errore tra curva carico-spostamento del FEM e

quella sperimentale non è accettabile.

Per analisi statiche partendo da curve true discretamente affidabili la procedura è fattibile,

ma serve comunque interfacciare un solutore FEM con un programma di ottimizzazione in

grado di correggere la curva costitutiva e rilanciare il FEM con la nuova curva ad ogni

iterazione. E’ discretamente oneroso e l’onere di calcolo aumenta con l’accuratezza

richiesta.

- Metodo di MLR,

E’ basato sull’ipotesi che il necking sia una instabilità geometrica che provoca

deformazioni “spontanee” ed indipendenti dal materiale a meno di fattori di scala

(analogamente al carico critico Euleriano), nonché sui risultati di numerose simulazioni

FEM eseguite con rifermento ad altrettanti materiali diversi.

Consiste nell’adozione di un fattore correttivo indipendente dal materiale e noto in tutti i

suoi termini.

Rrichiede solo la conoscenza della deformazione di inizio necking, è utilizzabile per tutti i

materiali metallici finora testati (oltre 30 comporendenti svariate tipologie di acciai, leghe di

alluminio, di rame, di titanio), e produce un errore inferiore al 5%.

La legge polinomiale che esprime tale correzione è riportata di seguito.

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53

3 CENNI SUL DANNO DUTTILE – MECCANISMI E MODELLI

MECCANISMI DI ROTTURA DUTTILE 3.1

La rottura nei materiali duttili non avviene mai contemporaneamente in tutti i punti della sezione

resistente di una struttura, ma avviene secondo il seguente concatenarsi di fasi successive:

- Fracture initiation, usually occurs at a critical material point, sometimes in more critical

points at the same time. It is a discrete event and has a null time duration:

- Fracture propagation = fracture of material points close to the fracture initiation point: the

envelope of failed material points is the fracture surface. It is a continuous process and,

although can be very quick depending on the load, in principle it can be always stopped

before complete propagation ad structure breaking; in this case the structure is partially

damaged but macroscopically still intera, If the damage involves only internal points within

the structure, it may seem apparently undamaged:

- Complete fracture = macroscopic breaking and separation of the structure/component in two

halves or in more than two fragments. It is a discrete event corresponding to the completion

of the propagation phase :

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54

For ductile metals, fracture initiation at the local scale never occurs at constant values of stress or

strain: depending on the component shape, on the load type and the imposed constraint, failure may

initiate at very different values of stress and strain for a given material;

Also in the “classic” viewpoint of mechanical design, it is easy to understand that stress and strain

tensors at failure for a given material may be very different each other depending on the

combination of shape, load and constraints, but the new concept which might not be accepted easily

is that also the equivalent values of stress and strain at failure are NOT material constants:

In other words, the classical and reassuring concept that every material has its own Failure Stress,

which can be used as a material constant for predicting-identifying failure initiation under whatever

stress-strain history, cannot be considered true anymore !!!

And also a single failure strain is of no use for predicting failure or for designing a structure with

assigned failure limits, because neither Failure strain at failure is a material constant!!!!

EDCBA

EDCBA

~~~~~

~~~~~

EEqDEqCEqBEqAEq

EEqDEqCEqBEqAEq

A

B

C

D E

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55

The concept of different failure limits for different stress-strain histories on the same material is

NOT in contrast to the concept that all the above histories are associated to the same hardening

curve (also said “material constitutive curve”).

So the (big) question which arises is: how can we design a structure (shape, size and constraints)

capable of withstanding a certain set of loads, without knowing any critical admissible value of the

equivalent stress and/or of the equivalent strain?

The search of the answer to the above question promoted initially the development of the Fracture

Mechanics (about 1920) and successively of the Damage Mechanics (about 1970), two close-related

areas of modern Material Science, of great relevance in all high tech structural problems related to

aerospace, aeronautics, nuclear, automotive, ballistic- protecting armour structures, forming and

forging technology improvement etc. etc..

Il danneggiamento di un materiale duttile è un fenomeno che porta il materiale alla frattura in

maniera più o meno progressiva a secondo delle caratteristiche del materiale e delle modalità in cui

esso è deformato o stressato. La gradualità con cui ciò avviene implica che anche un componente

apparentemente integro ed in grado di svolgere la propria funzione, può in realtà essere danneggiato

e quindi la rottura essere imminente. La separazione in due o più parti che “avverte”

macroscopicamente della rottura di un materiale duttile, è causata dal propagarsi di una fessurazione

(cricca) la quale, a sua volta, deriva dalla crescita e coalescenza di vuoti o porosità, sia presenti già

nel materiale vergine appena uscito dalla fonderia che nati (nucleati) successivamente, a seguito di

deformazioni, attorno alle inclusioni sempre presenti nella matrice metallica:

I materiali metallici da costruzione sono disomogenei su scala microscopica, ma dal punto di vista

ingegneristico ha senso ragionare su “mesoscala” per cui al punto materiale generico è associabile

un volume elementare di materiale di dimensioni sufficienti ad “omogeneizzare” la risposta del

materiale pensabile come combinazione di matrice policristallina – inclusioni – vuoti. Date le

dimensioni di grani inclusioni e vuoti l’ordine di grandezza della dimensione del volume elementare

per metalli strutturali è dell’ordine del decimo di millimetro di lato.

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56

Un parametro con cui spesso si esprime analiticamente il livello danno è il rapporto percentuale

tra l’area (o il volume) dei vuoti contenuti nella cella elementare, e l’area (volume) nominale della

stessa. Il valore di tale parametro, cresce in ogni punto materiale durante la storia deformativa,

grazie (o “per colpa”) dei due contributi suddetti di crescita di vuoti esistenti e nucleazione di

nuovi vuoti che inizieranno a loro volta a crescere.

Infatti una certa quantità di bolle di gas all’interno del materiale è tipica dei processi di fonderia, e

questa costituisce la porosità iniziale.

Inoltre qualunque materiale metallico contiene sempre, disseminate al suo interno, una certa

quantità di impurità sotto forma di scaglie di materiale di consistenza diversa (inclusioni) immerse

nel materiale circostante (matrice). Quando lo stress o la deformazione superano certi valori, la

coesione tra inclusione e matrice non è più sufficiente a garantire continuità tra i due

micromateriali, e quindi la superficie di separazione tra l’inclusione e la matrice diventa la

superficie di un microvuoto all’interno del quale, magari, vaga l’inclusione ormai libera. Il

fenomeno per cui alcuni vuoti nascono al raggiungimento di certi valori di tensione o

deformazione, è appunto quello della nucleazione.

Quando poi alcuni vuoti contigui sono cresciuti abbastanza, il sottile strato di materiale che li

separa (ligament) viene a subire una specie di necking su scala ridotta, collassa, ed i vuoti vengono

messi in comunicazione formandone uno di dimensioni maggiori. La condizione in cui ciò si verifica

diffusamente in alcune zone del materiale è della condizione di coalescenza dei vuoti. Tale fase è

quella che provoca la nascita della microcricca (frutto della coalescenza di numerosi vuoti) che

degenera rapidamente in frattura del materiale.

La scala alla quale ha senso parlare di volume elementare (all’interno del quale è cioè ragionevole

assegnare un valore costante a tutte le variabili di stato), per metalli e ceramiche è dell’ordine di

0.1 mm3, quindi è chiaro che su qualunque componente di dimensioni finite anche la funzione

danno assumerà valori diversi da punto a punto, e sarà sempre uno solo di tali punti a raggiungere

prima degli altri la condizione di nucleazione, innescare la cricca coinvolgendo punti vicini ad esso,

per poi estendere in maniera quasi istantanea la frattura a tutta la superficie di rottura.

Il problema con cui ci si confronta tuttora è quello di valutare delle leggi idonee alla comprensione

e sopratutto alla previsione di come tale funzione evolve nei materiali e nelle strutture reali.

Una premessa, che sarà approfondita avanti, è che adesso, volendo analizzare il comportamento

di materiali in avanzato campo plastico, non ha più senso parlare di carico di rottura bensì di

deformazione di rottura. Infatti mentre in campo elastico la tensione di snervamento è un limite

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57

progettuale signifcativo per un materiale indipendentemente dalla forma dell’oggetto realizzato o

da come esso viene caricato, in campo plastico ciò non è più vero in quanto il carico macroscopico

non è più significativo del reale stato tensionale e deformativo del materiale.

STUDIO DELLA EVOLUZIONE DEI VUOTI, MODELLI DI MC CLINTOCK E DI RICE-TRACEY 3.2

La ricostruzione analitica del comportamento dei materiali metallici duttili, riproduce la realtà in

maniera più che soddisfacente solo per quegli scopi in cui non è necessario tenere conto del

fenomeno della frattura. Ciò è dovuto al fatto che sino a questo punto, tra le variabili di cui si è

tenuto conto nelle leggi della plasticità associata, non ne compare nessuna che sia indicativa di

una qualsiasi forma di danneggiamento o di “distanza” dalla condizione di rottura. In effetti, per

quanto riguarda quest’ultimo aspetto è da sottolineare che, stanti i valori realistici che il volume di

vuoti assume in un materiale metallico durante la sua storia deformativa, l’errore commesso

considerando il materiale come un continuo non poroso è piuttosto ridotto, soprattutto per valori

di deformazione plastica non eccessivamente alti. Probabilmente tale errore, in termini di risposta

del materiale ad una determinata sollecitazione in campo plastico, è paragonabile a quello dovuto

alla schematizzazione dell’hardening sotto le due semplici forme a cui si è accennato in

precedenza, trascurandone altre possibili forme più sofisticate.

La principale caratteristica dei materiali di cui non si è tenuto conto è la sua discontinuità su scala

relativamente grande, dovuta alla presenza di vuoti che conferiscono una certa porosità a tutti i

metalli ricavati con le normali tecniche di fonderia, tanto che solo alcuni materiali ottenuti per

sinterizzazione di polveri riescono ad arrivare a porosità più basse di un paio di percentili in

volume. In teoria quindi, considerare le variabili spaziali che individuano il solido come variabili

continue all’interno del dominio costituito dal volume dello stesso, porta ad una prima

imperfezione nella schematizzazione di quanto è seguito. Inoltre, come è stato ampiamente

accertato, i vuoti che costituiscono la porosità del materiale, crescono in numero e dimensioni

quando il materiale viene sottoposto a deformazioni plastiche, ed è proprio questa crescita della

porosità che, in funzione di una serie di condizioni al contorno, “aziona l’interruttore” della rottura

istantanea e catastrofica del pezzo danneggiato. Quindi si può dire che l’aver trascurato la

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presenza iniziale e la successiva crescita di una porosità caratteristica del materiale ha comportato

che non si siano potute fare ipotesi su tempi e modi della rottura duttile, e si sia anche

interpretata in maniera non esatta la capacità del materiale di rispondere a sollecitazioni esterne

al campo elastico

Da quanto detto emerge che, per un approfondimento della comprensione del comportamento

plastico e soprattutto del limite che esso trova nel fenomeno della rottura, occorreva indagare

specificamente sui meccanismi di crescita dei vuoti interni al materiale, cosa che ha portato, alla

fine degli anni ’60, ai primi lavori in tal senso ad opera di MC CLINTOCK (1968) e di Rice e Tracey

(1969).

Nel primo di questi lavori si presentava una ipotesi di crescita ed evoluzione di schiere di vuoti

cilindrici a sezione ellittica distribuiti in maniera regolare all’interno di una matrice costituita da

materiale con hardening e sottoposto a trazione in direzione parallela e perpendicolare all’asse di

tali vuoti , comunque in maniera tale da comportare una condizione di plane strain sui piani

perpendicolari al suddetto asse. Detti a e b i semiassi minore e maggiore della sezione trasversale

del vuoto, ed lb la spaziatura dei vuoti in direzione del semiasse maggiore, l’incremento di

danneggiamento associato alla coalescenza dei vuoti in tale direzione, in funzione di un generico

“fattore di crescita Fzb” è:

3.1.1

zb

b

zbF

l

bd

dln

2ln

la

lb

b

a

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59

Considerato che a coalescenza completa l’indice di danno dev’essere pari all’unità e il semiasse b è

diventato pari a metà spaziatura l, il fattore di crescita vale circa l0/2b0 dove l’apice 0 indica i valori

della configurazione iniziale, non danneggiata.

La deformazione plastica equivalente a rottura, quando questa avviene per coalescenza dei vuoti

secondo il loro semiasse a, vale:

3.1.2

Dove a , b e sono rispettivamente le tensioni in direzione a, b ed equivalente, mentre n è

l’esponente del legame tra tensione e deformazione plastica equivalenti:

Eqn

Eq k

ba è proporzionale alla tensione idrostatica in caso di tensione piana :

0 baH , ed inoltre:

TFEq

H

Eq

ba

gradi di triassialità.

Ovviamente tale approccio era molto primordiale in quanto, a parte le ipotesi sul modo di

deformarsi del materiale, si erano considerate geometrie dei vuoti particolarmente adatte alla

semplificazione dei calcoli ma poco realistiche, e si era trascurata la nucleazione di ulteriori vuoti

che si aggiungono a quelli presenti già nel materiale non stressato. Il risultato saliente di tale

modello è stato quello di evidenziare per la prima volta, che la crescita dei vuoti, ovvero

l’evoluzione dei termini a, e b e la deformazione plastica equivalente in condizioni di rottura, è

fortemente legata alla componente idrostatica del tensore di stress, la quale invece non è

significatica agli effetti della deformazione plastica.

Il modello successivo, dovuto a RICE E TRACEY, eliminava alcune delle grosse semplificazioni

introdotte da Mc Clintock, infatti teneva conto di materiale con hardening deformato in maniera

generica e non più in condizioni di plane strain, di geometria dei vuoti non più cilindrica ma sferica,

e di una cella elementare contenente un solo vuoto, cosa che eliminava la necessità di ipotizzare

distribuzioni regolari di vuoti. In effetti dal modello sferico gli autori fecero scaturire il caso

abba

f

nsinh

blLnnp

4

3135.0

)/()1( 00

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60

particolare di vuoto cilindrico, più per fare un raffronto con quello precedente che per il grado di

esattezza che si sarebbe potuto ottenere.

Il dominio di riferimento utilizzato era costituito da un volume sferico di materiale, la cui superficie

esterna era concentrica con quella del vuoto all’interno. Questo volume elementare era

considerato sottoposto ad un campo di velocità di deformazione ( e quindi di stress) composto

dalla somma di un campo remoto generico (corrispondente a quello indotto da punti del materiale

lontani, indisturbati dal vuoto), e del campo dovuto alla perturbazione costituita dal vuoto.

Le uniche caratteristiche note o ipotizzabili sul campo di velocità perturbante erano che questo

dovesse smorzarsi in punti via via più lontani dal vuoto (in prima approssimazione si pensò ad una

legge del tipo R/r2, con r ed R rispettivamente distanza dal centro del vuoto e sua dimensione

radiale) e che per l’incomprimibilità, il primo invariante di deformazione fosse nullo.

Per individuare completamente il campo di velocità ui gli autori fecero ricorso alla minimizzazione

del potenziale Q(ui) cosrrispondente alla differenza degli stati tensionali (remoto e locale

perturbativo) per il campo deformativo perturbante.

EqLL dQ

~~

Nel caso di stato deformatvo-tensionale remoto corrispondente ad una prova di trazione su

materiale plastico rigido, la funzione ui da ricavare venne scomposta in tre aliquote di forma nota

R0

u

r

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61

(una costante, una legata a variazioni di forma e la terza a variazioni di volume) definite a meno di

una funzione arbitraria che caratterizza la seconda delle tre componenti, e dei parametri da

determinare dalla minimizzazione del potenziale, perseguita dagli autori col metodo di Railegh-

Ritz. Per la funzione arbitraria furono scelte sei diverse espressioni che comunque rivelarono non

portare la integrazione numerica a risultati sensibilmente diversi.

Metodo analogo portò alla valutazione della crescita dei vuoti sferici anche nel caso di stato

tensionale-deformativo remoto di tipo qualsiasi, e materiali con e senza hardening.

Il risultato di tale lavoro è riassumibile nelle seguenti considerazioni:

In un generico stato tensionale triassiale, la superficie di un vuoto inizialmente sferico si modifica

aumentando il volume al proprio interno e tendendo ad assumere la forma di un ellissoide con i

semiassi diretti lungo le direzioni principali del punto in cui risiede il vuoto. Pertanto la velocità di

accrescimento dello stesso è individuata completamente solo se si conoscono le velocità di

spostamento dei punti del vuoto giacenti sui semiassi, ovvero la velocità di crescita di questi.

L’espressione generica della velocità con cui cresce un vuoto sferico lungo la direzione principale k,

è:

3.1.2

00 ),( RDcRR Eqkk ε

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62

L’apice indica che lo stato deformativo preso in considerazione è quello remoto ovvero indotto

da zone del materiale distanti dal microvuoto e pertanto indisturbate da esso: praticamente si

tratta dello stato deformativo nominale che si avrebbe nel punto occupato dal vuoto qualora

questo non ci fosse.

Il primo termine in parentesi quadra è quello che modifica la forma del vuoto da sferico ad

ellissoidale in funzione del termine c, che è stato valutato essere pari a 5/3 per materiali dotati di

hardening (nello studio si è considerato uno strain hardening isotropico lineare con la

deformazione equivalente) o senza hardening ma per bassa triassialità, ed a 2 per materiali aventi

superficie di snervamento fissa e sollecitati ad elevata triassialità. Per quest’ultima categoria di

materiali in effetti il valore della costante è realistico per un range di valori di triassialità (definita

come rapporto tra tensione idrostatica e tensione equivalente) esteso ma non infinito.

E’ evidente che l’effetto dell’hardening sulla componente deviatorica della deformazione in

prossimità del vuoto è pressochè trascurabile, dato che il termine deviatorico della crescita del

microvuoto è costituito da un semplice fattore di amplificazione della deformazione il quale,

variando tra 5/3 e 2, è quasi indipendente dal tipo di comportamento plastico della matrice.

)TRIAX LOW e/o HARDENING (NO

TRIAX) HIGH e/o (HARDENING

3

2

2

C

C

Il secondo termine tra parentesi quadra è invece responsabile delle modificazioni subite

(incrementi) dalla componente di dilatazione del tensore di deformazione a causa della

perturbazione del microvuoto, ed il fattore D che quantifica tale incremento assume le espressioni

seguenti a seconda che la matrice del materiale sia o meno caratterizzata da hardening:

) HARDENING (NO

) (HARDENING

y

yy

eq

Exp

D

D

2

3004.0279.0

2cosh008.0

2sinh558.0

4

3

.1.3

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63

In questa espressione i termini , eq

e y indicano rispettivamente la tensione idrostatica

remota, la tensione equivalente remota e la tensione di snervamento del materiale sottoposto a

sollecitazione di taglio.

E’ evidente che la presenza o meno di hardening influenza grandemente la componente

idrostatica della crescita del vuoto dal momento che agisce su un termine che è esponenziale

rispetto alla triassialità nel caso di comportamento plastico rigido, lineare nel caso di

comportamento caratterizzato da hardening.

Volendo quantificare separatamente i due effetti della amplificazione del vuoto sulla

deformazione locale (ovvero i due termini interni alla parentesi quadra della 3.1.2) si è visto che il

secondo dei due, relativo alla componente dilatante della deformazione, è notevolmente

maggiore del primo qualunque sia il comportamento plastico della matrice, ciò equivale a dire che

il grosso dell’aumento delle dimensioni del microvuoto è dovuto alla componente dilatante della

deformazione, infatti la geometria del vuoto tende ad essere un ellissoide ma, a meno di grandi

deformazioni a bassissima triassialità, non si discosta eccessivamente dalla geometria sferica

iniziale. Questa considerazione fa nascere e conferma l’osservazione che a tutt’oggi guida lo studio

della frattura duttile, infatti è ben visibile nelle espressioni 3.1.3 che la componente dilatante

dell’aumento di volume dei vuoti, preponderante rispetto a quella che provoca distorsioni, è

fortemente dipendente dal grado di triassialità dello stato tensionale, definito dal rapporto tra

tensione idrostatica e tensione equivalente o, se si vuole, tra tensione idrostatica e tensione di

snervamento.

Questa dipendenza rende conto del fatto che la presenza di stati tensionali idrostatici,

assolutamente ininfluenti dal punto di vista della deformazione plastica secondo il modello di Von

Mises, è un fattore determinante nella crescita dei vuoti interni al materiale ovvero del

danneggiamento e della frattura di un materiale.

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64

EFFETTI MARCOSCOPICI DEL DANNEGGIAMENTO ED INTRODUZIONE AI MODELLI DI EVOLUZIONE 3.3

Dal punto di vista pratico questo spiega perché lo stesso materiale, soggetto a differenti tipi di

sollecitazione, arriva al collasso dopo aver accumulato quantità di deformazione plastica

equivalente anche sensibilmente diverse, come ad esempio succede sottoponendo a trazione

provini dello stesso metallo con differenti tipi di intaglio: intagli accentuati originano triassialità e

tensioni idrostatiche rilevanti che a loro volta implicano ad una rapida crescita dei vuoti e quindi

una rottura anticipata rispetto al caso di intagli meno bruschi o assenti.

A conferma di ciò di seguito sono riportate le curve “true” sperimentali di diversi materiali,

ottenute tramite prove eseguite presso il DIIM su provini con geometria seguente:

Le misure fisse per tutti i provino sono D=9mm, d= 6 mm ed L=55 mm, invece il raggio di raccordo

dell’intaglio R è indicato nel nome di ogni provino e la lunghezza L’ varia con R.

Aluminium 2011 F.E. - EXP. COMPARISON

0

100

200

300

400

500

600

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.62 Ln(a0/a)

Tru

e s

tre

ss

[M

Pa

]

Unn

R10

R5

F.E.

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65

AISI 1040 F.E. - EXP. COMPARISON

0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

2 Ln(a0/a)

Tru

e s

tre

ss

[M

Pa

]

Unn

R 20

R 10

F.E.

Copper 99.9% F.E. - EXP. COMPARISON

0

100

200

300

400

500

600

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

2 Ln(a0/a)

Tru

e s

tre

ss

[M

Pa

]

Unn

R10

R5

F.E.

Copper 99.97% F.E. - EXP. COMPARISON

0

100

200

300

400

500

600

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.42Ln(a0/a)

Tru

e s

tre

ss

[M

Pa

]

Unn

R 4

R 1

F.E.

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66

Curve true per provini di trazione lisci ed intagliati su Alluminio 2011, Acciaio C40, Rame 99.9

trafilato, Acciaio AISI304, Acciaio Fe360 (Tesi D. DiMari, S. Di Stefano, S. Di Stefano), e Rame 99.97

ricotto (Articolo Alves-Jones 1999)

Si vede bene che il true strain a rottura diminuisce per tutti i materiali man mano che l’intaglio

diventa più acuto. E’ vero che il true strain in ascissa nei grafici di sopra rappresenta una

deformazione media sulla sezione ristretta, così come anche il true stress è solo il valor medio

istantaneo della tensione assiale su tutto il neck, però si sa che gli scostamenti tra deformazione

equivalente locale al centro del neck e deformazione true (media sul tutto il neck) non sono

elevatissimi, quindi le curve sperimentali, indicando che il true strain a rottura diminuisce con

l’acutezza dell’intaglio, confermano che anche l’equivalent plastic strain locale al centro del neck

ha lo stessa dipendenza dall’intaglio.

ASTM A284 F.E. - EXP. COMPARISON

0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

1000

0 0.2 0.4 0.6 0.8 12Ln(a0/a)

Tru

e s

tress [

MP

a]

UnnR20R 10Serie3Serie4Serie5

AISI T304 F.E. - EXP. COMPARISON

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

0 0.3 0.6 0.9 1.2 1.52 Ln(a0/a)

Tru

e s

tress [

MP

a]

Unn R 30

R 15 R 5

R 2 F.E.

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67

Se le ipotesi di McClintock a di Rice-tracey sono anche qualitativamente corrette, si dovrebbe

adesso verificare che gli intagli provocano un aumento di triassialità crescente con l’auctezza

(ovvero col diminuire del raggio di curvatura R).

Per verificare ciò, a seguire sono riportati gli andamenti del TF nei punti significativi dei vari provini

testati (solitamente, ma non sempre, al centro del neck), calcolati tramite analisi FE

preventivamente validate tramite il confronto numerico-sperimentale.

Visto che anche la deformazione plastica equivalente influisce sulla rottura, la scelta del pnto

significativo deve tenere conto di tale parametro oltre che del TF, e tali grandezze hanno i seguenti

andamenti qualitativi per provini lisci ed intagliati:

E’ chiaro che per i provini lisci o poco intagliati, al centro del neck è massima sia la Eq sia il TF,

pertanto la rottura avverrà sicuramente in tale posizione ed è lì che il danno va valutato. Invece

per provini intagliati, Eq è massima al raggio esterno del neck ed il Tf sull’asse del provino: in

questo caso non è possibile dire a priori se prevale l’effetto del TF e la rottura inizia all’interno

della sezione come per i provini lisci, oppure prevale la Eq e la rottura parte all’esterno.

Eq

r/a

0 1

TF

r/a

0 1

0.33

Eq

r/a

0 1

TF

r/a

0 1

0.33

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68

Comunque solitamente, per intagli non troppo bruschi e materiali non molto fragili, il TF prevale e

la rottura si innesca al centro della sezione ristretta. In tale posizione, gli andamenti del TF sono i

seguenti:

Figura…. Mirone, 2007

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69

Grado di triassialità calcolato al centro del neck tramite FEM,

Figura…. Mirone, 2007

E’ evidente che la triassialità al centro del neck è sempre maggiore per intagli più acuti, e si vede

anche che, indipendentemente dalla presenza e acutezza dell’intaglio, le deformazioni plastiche

che modificano la forma del provino in prossimità della sezione ristretta provocano anche la

crescita del TF rispetto al valore relativo alla geometria iniziale, valida solamente poco oltre il

campo elastico.

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70

Sintetizzando si può dire che i lavori di Mc-Clintok e Rice-Tracey fornirono quindi:

1) una prima conferma del’evidenza sperimentale per cui lo stesso materiale può esibire rottura

sotto stati di stress e di strain molto diversi tra loro (visibile dalle curve true sperimentali x i nostri

6 metalli);

2) una prima spiegazione di quanto sopra, ovvero: il parametro che causa le variabilità della

rottura sia “locale” che globale, (cioè sui singoli volumi elementari del materiale e su tutta la

sezione resistente) è la triassialità dello stato di sollecitazione (parametro TF), che comporta un

aumento della velocità di crescita dei vuoti col procedere della deformazione, e quindi un locale

infragilimento del materiale, che si rompe a deformazioni piùttosto basse quando la triassialità è

alta e viceversa.

Da questi concetti hanno preso avvio e continuano ad essere avviate numerose ricerche per

definire la giusta relazione tra evoluzione del TF e deformazione di rottura dei materiali duttili.

Nel paragrafo precedente si è visto come la crescita dei vuoti interni al materiale fosse stata messa

per la prima volta in relazione allo stato tensionale-deformativo, ma non si era ancora arrivati ad

avere una visione approfondita delle interazioni tra la crescita della porosità, l’evoluzione del

danneggiamento ed il comportamento del materiale.

Anche se in ritardo rispetto alla enorme crescita che ebbe la meccanica della frattura lineare

elastica (LEF), circa a metà degli anni settanta si riprese “il filo” del discorso avviato da Mc Clintock,

Rice e Tracey o ancora prima da Kachanov , per tentare di inquadrare in una trattazione organica i

processi della rottura duttile che non perfettamente si prestavano alla rappresentazione

tradizionale della LEF.

Si era arrivati alla conclusione che la rottura dei materiali duttili avviene a causa della perdita di

sezione resistente costituita inizialmente dalla crescita di vuoti presenti nel materiale vergine e di

vuoti nucleati successivamente durante la deformazione plastica, che coalescono sino a creare

vuoti su scala maggiore (microcricche) la cui evoluzione è rapidissima e difficilmente controllabile

sino a totale separazione delle superfici di frattura. Quindi, da un punto di vista pratico, la rottura

del materiale è la cosiddetta “fracture initiation”, ovvero il raggiungimento della situazione in cui i

vuoti hanno originato una microcricca di dimensioni paragonabili a quelle dell’intera sezione

resistente.

In un lavoro del 1976 Mackenzie, Hancock e Brown espongono i risultati di una estensiva

campagna di prove sperimentali tese ad evidenziare le differenze di comportamento di provini

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71

cilindrici di trazione dello stesso materiale aventi differenti tipi di intaglio e quindi differenti gradi

di triassialità della sollecitazione. Tra le loro conclusioni si legge che “….la misura tradizionale di

duttilità riflette scarsamente la performance a rottura dei materiali….” , e dai loro risultati

sperimentali si può vedere in Figura 3.2.1 che lo stesso materiale, a rottura può passare da una

deformazione plastica equivalente superiore al 70% in condizioni di assenza di intaglio

(monoassialità assoluta sino alla condizione di necking, più o meno lieve triassialità localizzata nel

neck durante le fasi successive della prova) sino a deformazioni plastiche equivalenti dell’ordine

del 20% quando il provino è intagliato (triassialità notevole già dall’inizio della prova, di valore

legato al rapporto tra raggio d’intaglio e raggio della sezione resistente).

Figura 3.2.1

Curve true vari intagli - HANCOCK & MACKENZIE, 1976

In tali curve è evidente il raggiungimento della condizione di fracture initiation, a cui

corrispondono i rapidi decrementi della tensione assiale media.

Su tutti i provini cilindrici sottoposti a trazione, il fattore di triassialità ha un andamento simile a

quello calcolabile anche con il metodo di Bridgman o con il metodo MLR: determinato, il grado di

triassialità di ogni configurazione d’intaglio provata, e misurata la corrispondente deformazione

plastica a rottura, gli autori menzionati ottennero gli inviluppi di Figura 3.2.2 che, data la

relativamente ridotta dispersione potevano costituire il prodromo di un criterio di rottura

empirico per i vari materiali testati,.

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72

Figura 3.2.2 HANCOCK & MACKENZIE, 1976

Per ottenere una espressione analitica che giustificasse e riproducesse tali andamenti, Hanckock e

Mackenzie partirono dal risultato di Rice e Tracey che forniva la velocità di accrescimento di vuoti

sferici in funzione della triassialità dello stato di sollecitazione, ipotizzando che la deformazione di

rottura variasse con tale triassialità in maniera inversa rispetto a quanto facesse la velocità di

accrescimento dei vuoti:

3.2.1

Dove è un fattore di proporzionalità generico, H è la tensione idrostatica, mentre pn è la

deformazione a partire dalla quale inizia la nucleazione di nuovi vuoti che affianca il meccanismo

di danneggiamento costituito dalla crescita della porosità già esistente.

Ricavato il coefficiente e lo strain di nucleazione pn da prove su provini di un materiale con

diversi intagli, fu ricostruita la curva che secondo H&MC permetteva di determinare la

deformazione di rottura di quel materiale per qualsiasi altro valore di triassialità. Gli andamenti

sperimentali e le curve che riproducono la funzione vista sono riportati in Figura 3.2.3.

eq

Hn

f pp

2

3exp

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73

Figura 3.2.3 HANCOCK & MACKENZIE, 1976

Come evidenziato dagli stessi autori, alcuni limiti di tale visione stanno nel fatto che è basata su

misurazioni di grandezze che non sono del tutto indicative dello stato del materiale in prossimità

della rottura, infatti ad es. il grado di triassialità è calcolato tramite un modello matematico

realistico ma non del tutto verificato, (quello di Bridgman), ed a partire da valori di raggio

d’intaglio e della sezione resistente che caratterizzano la geometria iniziale del provino ma non

quella deformata al generico istante della prova.

In lavori successivi, prevalentemente di tipo sperimentale, gli autori della scuola inglese hanno

continuato a fornire evidenze della correlazione che lega la triassialità della sollecitazione e

l’apparente infragilimento del materiale, cercando di ricavare anche correlazioni semi empiriche

tra i parametri che quantificano tali caratteristiche, ovvero grado di triassialità e deformazione

plastica equivalente raggiungibile a rottura nelle diverse condizioni.

The triaxiality factor TF in a cylindrical tensile specimen without any notch (smooth bar) is always

maximum at the neck center, in fact failure often initiates at that material point.

Propagation of fracture to the entire cross section is quite fast but further strain occurs in the

points surrounding the center area. So, when the specimen is completely broken in two halves,

the fracture in the center area occurs earlier than it does in the neighbours, so, in other words,

fracture in center zone of the neck section is somehow more fragile than it is in the outer points

of the neck section.

Then fracture surface of smooth bars has the typical “cup and cone” shape below:

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74

Figura ….. Mirone, 2007

In Figure above is shown the half of the specimen exhibiting the cup-like surface, the other half

obviously has a cone-like fracture………….

Below is also reported a couple of micrographs taken at DIIM of the University of Catania from a

smooth specimen of 99.9 Copper and from an R2-notched specimen of AISIT304 steel.

Large and more circular voids are always located close to the neck center (high triaxiality ensures

that void volume increase is greater than the void shape variation), while, at outer radii of the

neck section, no voids (notched bar fails too soon) or just smaller elongated voids (smooth bar fails

late enough to nucleate and distort voids close to the outer surface) are present. This also is in

agreement with the overall explanation provided by Rice and Tracey.

Figura ….. Mirone, 2007

Late fracture, shear-like,

surface at 45 degrees to

load. Early fracture, cleavage-

like, flat surface normal to

load.

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75

La vera e propria trattazione organica del fenomeno del danneggiamento così come viene inteso

oggi, è stata intrapresa a partire da circa a metà degli anni settanta secondo due percorsi logici

riconducibili rispettivamente a Gurson ed a Lemaitre.

Altri approcci sono stati sviluppati di recente e promettono risultati analoghi o maggiormente

efficaci.

Tutte le teorie si poggiano sulla certezza acquisita secondo cui la rottura duttile è la conseguenza

della nascita e della crescita di vuoti interni al materiale la cui evoluzione è fortemente influenzata

da condizioni esterne riconducibili al tipo di sollecitazione ovvero al peso che la componente

idrostatica dello stress riveste sul totale della sollecitazione.

Studi recenti ipotizzano che l’angolo di Lode (terzo invariante del tensore di stress deviatorico) ha

un ruolo sulla crescita del danno del tutto analogo a quello rivestito dalla triassialità. Tale ipotesi,

supportata da evidenze sperimentali, verrà discussa nei paragrafi successivi quando si esporranno

brevemente i principali risultati di alcuni modelli di danno e frattura duttile.

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76

CONTINUOUS DAMAGE MECHANICS, DEFINIZIONI E MODELLO DI LEMAITRE 3.4

In tutti i modelli derivati dalla trattazione di Lemaitre la variabile che quantifica il danneggiamento,

pur essendo intimamente legata alla frazione di volume dei vuoti nel materiale non è definita

esattamente come la porosità istantanea ma piuttosto come la frazione di superficie resistente

elementare occupata da vuoti, quindi è legata alla intersezione (bidimensionale) che la sezione

resistente ha con i vuoti tridimensionali all’interno del materiale, come indicato in Figura 4.1.1.

Definite come in figura le superfici attive e quelle “vuote”, l’espressione analitica della variabile di

danneggiamento D è:

4.1.1

Il valore che può assumere tale variabile ovviamente è compreso nell’intervallo (0,1), anche se i

valori estremi, corrispondenti rispettivamente a materiale assolutamente compatto ed a materiale

totalmente fratturato, non sono raggiungibili nella pratica considerato che, come accennato in

precedenza, le condizioni di rottura si considerano raggiunte nell’istante in cui nel materiale

ancora parzialmente integro e quindi caratterizzato da D<1, si innesca il processo incontrollabile e

rapidissimo che comporta la caduta della tensione “true” sopportabile e la separazione fisica delle

parti di materiale. Nel caso di comportamento isotropico del materiale anche in termini di

S

SD D

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77

evoluzione dei vuoti, il danno è quantificabile con lo scalare D ma, la stessa definizione è

estensibile a variabili tensoriali quando le caratteristiche del materiale lo richiedano.

Da questa identificazione della variabile di danno segue che la tensione che sollecita i vari punti

della sezione resistente elementare non è più pari a quella “macroscopica” F/S ma, in prima

approssimazione, si può supporre che i vuoti interni costituiscano una riduzione di sezione non

accompagnata dalle concentrazioni tensionali (FIGURA) caratteristiche di ogni discontinuità,

per cui la tensione effettiva diventa

4.1.2

D

σ

DS

F

S

SS

F

SS

DD

11

1

H

F

h i

b

ihb

F

Hb

F

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78

Una utile conseguenza di come sono state definite queste variabili, è che da misurazioni del

modulo elastico “apparente” in prove di trazione si può risalire al valore di danno secondo il

criterio seguente:

4.1.3

Il modulo elastico soprasegnato è il modulo apparente nel senso che è quello misurato localmente

in direzione longitudinale (tramite strain gages ) durante il generico ciclo di scarico del provino in

avanzata fase plastica, per cui è indicativo di una rigidezza che corrisponde al materiale

contenente una certa quantità di vuoti ovvero danneggiato, mentre E è il modulo elastico del

materiale vergine, in cui la porosità è solamente quella intrinseca del materiale.

Ovviamente, la curva sperimentale ottenuta con gli estensimetri assomiglia alla curva true solo se

l’estensimetro è applicato sulla sezione ristretta, e la coindicenza perfetta tra curva estensimetrica

e curva true si avrebbe solamente per estensimetro di dimensioni infinitesime.

E

ED

quindi

EDEE

el

1

1

Z

Z

1E

E 2E

3E

4E

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79

Inoltre un solo estensimetro non può seguire le deformazioni tipiche di materiali duttili (a qualche

% perde efficacia e/o si scolla) quindi vengono incollati vari estensimetri in successione sulla stessa

zone di provino.

La determinazione del legame che intercorre tra la variabile D e le altre che caratterizzano il

comportamento del materiale, passa attraverso la identificazione di un potenziale che,

analogamente a quanto visto nei capitoli precedenti relativi al modello di comportamento elasto-

plastico, metta in relazione tutte le variabili termodinamiche del fenomeno.

A questo proposito, per cominciare si riporta la distinzione fatta da Lemaitre tra variabili

osservabili, variabili interne e variabili associate, secondo lo schema seguente:

3.4.1.1 VARIABILI DI

STATO

VARIABILI ASSOCIATE Osservabili Interne

ε σ

T S

eε σ

pε σ

r R

a X

D Y

Le singole variabili, a parte quelle già definite come il tensore degli sforzi o il danno D, sono:

- e tensore di deformazione elastica, è la componente elastica del tensore di deformazione

totale;

- p tensore di deformazione plastica, componente plastica del tensore di deformazione

totale;

- =e+

p tensore di deformazione totale;

- r deformazione plastica cumulativa, scalare, ha le dimensioni di una deformazione

(adimensionale) ed è la variabile che “pilota” l’evoluzione dell’hardening isotropico;

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80

- a tensore di backstrain, è il tensore che rappresenta la deformazione che “pilota”

l’evoluzione dell’hardening cinematico;

- R tensione di hardening isotropico, scalare, dimensionalmente è uno stress;

- X tensore di hardening cinematico, detto backstress, dimensioni di una tensione;

- Y densità di potenza di deformazione rilasciata, dimensionalmente è un lavoro, e

corrisponde alla quanttà di energia liberata dal volume elementare a causa della perdita di

rigidezza conseguente al crescere del danno.

- T temperatura del punto materiale;

- S entropia del punto materiale;

Il potenziale che, nell’ambito della “State Kinetic Coupling Theory”, è utilizzato per ricavare il

legame costitutivo elastoplastico di un materiale dotato di hardening isotropico e cinematico

lineare, e soggetto a danneggiamento, ha la forma seguente:

4.1.4

Chiaramente la forma è la stessa del potenziale visto nel Cap. 2, a meno del fatto che adesso la

variabile D influisce sulla tensione e che compare un nuovo termine FD che è responsabile della

evoluzione del danneggiamento.

Considerato che una ipotesi preliminare sul termine FD è che in esso non compaiono

esplicitamente i termini , X ed R, il legame di dualità tra variabili interne e variabili associate che

resta determinato dal potenziale considerato è, per quanto riguarda le correlazioni tra

deformazioni (plastica ed elastica), tensioni ed hardening, pressoché identico a quello già visto

nel Cap. 2, solo che adesso è entrata in gioco la variabile D per cui:

4.1.5

Il moltiplicatore di plasticità resta sempre individuato dalla:

DyeqD FRF Xσ

DdF

d Eq

ij

ij

1

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81

Con f funzione di snervamento ed F potenziale dissipativo che adesso contiene qualcos’altro

(legato alla presenza del danno), oltre alla suddetta funzione.

Il potenziale FD deve poter esprimere la generica forma della legge di evoluzione del danno

secondo una normality rule:

4.1.9

Dove la grandezza Y non ancora identificata dev’essere “duale” del danno nel senso dello stesso

potenziale Fd.

The Lemaitre damage is related to something similar to the release of elastic strain energy (it’s not

a case if strain gage misurements can be used for measuring damage), then, a reasonable

candidate for the function Y is expressed as follows:

kle

ije

ijklCY 2

1 4.1.6

Considerando che l’espressione dell’energia di deformazione elastica nel materiale danneggiato è:

)1(2

1)1( DCdDCd ij

ekl

e

ijklije

kle

ijklije

ije 4.1.7

diventa facile verificare che

t

e

DY

cos2

1

4.1.8

ε

σσσα

α

σd

gC

fh

f

fC

d

),(

)1( DdY

Fd

Y

FdD Eq

DD

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82

ovvero la variabile Y è proprio pari alla riduzione di energia elastica che si ha nel materiale quando

questo subisce un incremento infinitesimo di danno mentre è sottoposto ad una tensione

costante. SIMILAR TO THE G PARAMETER OF FRACTURE MECHANICS !!!!!

In pratica, per ricavare l’evoluzione del parametro di danno si è scelta una variabile duale che è

funzione dell’energia di deformazione elastica perché l’effetto macroscopico del danno è, come

visto, una riduzione del modulo di elasticità della sezione lorda e quindi proprio una perdita di

energia di deformazione elastica.

Quindi, sulla base delle seguenti considerazioni pratiche Lemaitre ha costruito la prima forma di

funzionale in grado di far scaturire la variabile danno.

- L’ammontare del danno è sempre correlato ad una forma di deformazione accumulata

irreversibilmente, e di questo si tiene già conto con il termine Eq che compare nella

4.1.9.

- Quando la deformazione plastica equivalente inizia a crescere, è ragionevole pensare che la

porosità del materiale ed il danno correlato non crescano sino al raggiungimento di una

soglia di deformazione p0. Precedentemente a tale situazione, le irreversibilità legate alla

deformazione plastica servono a far accumulare micro-stress o dislocazioni che

successivamente genereranno microcricche. Questo aspetto può essere riprodotto

inserendo in FD una funzione gradino o “Heavyside Function” del tipo H|p0.

- La velocità di crescita del danno è fortemente dipendente dal fattore di triassialità della

sollecitazione agente, definito come il rapporto tra tensione idrostatica H e tensione

equivalente eq . Questa dipendenza è già presente nel termine Y, infatti scomponendo il

generico tensore degli sforzi nelle sue componenti idrostatica H e deviatorica d

σ si ha:

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83

RDEDE

DEDED

ddD

dD

Y

eq

eq

Heq

Hijd

ijd

He

Hijij

dij

eij

dij

e

ij

2

22

2

2

2

122131

3

2

12

1

213

1

1

12

1

1

1

1

1

σσ

εσ

4.1.10

Il termine R è detto funzione di triassialità dato che contiene al suo interno il fattore di triassialità

TF (H/eq) definito precedentemente.

- Una relazione generica e qualitativa tra la velocità di danneggiamento e l’energia rilasciata

è ottenibile considerando lineare il loro legame, per cui il potenziale sarà quadratico

rispetto ad Y;

Tenendo conto di quanto esposto sopra il potenziale proposto da Lemaitre è:

012

2

Eq

HDS

YFD

4.1.11

dove il termine al numeratore 2S è scelto come costante di scala del materiale.

Pertanto, applicando la 4.1.9 alla 4.1.11 si ottiene la legge evolutiva del danno secondo Lemaitre, a

partire dalla quale si sono sviluppate e continuano a nascere a tutt’oggi numerose varianti nelle

quali si ritrovano piccoli o grandi “improvements” con i quali si tende a svincolare la trattazione

dalle ipotesi semplificative che idealizzano il modello:

00

0

2

2

0

0

12

)(1

Eq

Eq

Eq

Eq

HdRDES

HdS

YD

HdS

YDd

Y

FdD

Eq

eq

EqEq

EqEqEqEqD

4.1.12

Come caso particolare, se il materiale è plastico ideale oppure il danno comincia a crescere “tardi”,

quando l’hardening è piuttosto saturato (eq quasi indipendente da eq) e se la sollecitazione

rientra nella categoria del “proportional loading” (direzioni principali e quindi fattore di triassialità

costanti), allora il danno risulta crescere linearmente con la deformazione plastica equivalente:

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84

0

2

0

2

2

2

~

12 0EqEq

eq

Eq

eq

EqES

HdDES

DEq

Eq

del danneggiamento e

sono da ricavare sperimentalmente, ad esempio, per quanto riguarda il termine S, tramite

misurazioni del modulo di elasticità durante fasi di scarico all’interno di una prova di trazione.

Per quanto riguarda invece la determinazione del valore eq0 , deformazione di soglia a partrire

dalla quale cui inizia a crescere il danno, come quasi tutte le grandezze relative alla crescita dei

vuoti, anche questa secondo Lemaitre è variabile con la triassialità della sollecitazione. Pertanto,

una volta determinato il valore Uni_0 relativo alla prova di trazione semplice sul materiale, per

ricavare il valore Tri_0 corrispondente al generico carico triassiale occorre individuare

analiticamente il fenomeno che comporta l’inizio della crescita di D.

In tal senso Lemaitre ipotizza che l’avvio del danneggiamento è legato al raggiungimento di un

valore dell’energia di deformazione plastica immagazzinata irreversibilmente dal materiale (pari a

quella complessivamente introdotta con la deformazione plastica meno la parte che viene

dissipata in calore) che è caratteristico del materiale ovvero indipendente dalla triassialità.

Eqij Eq

EqyeqEqyijijth ddd

00 0

In alcuni casi, lo yield stress su scala locale è approssimabile con il limite di fatica.

Se il materiale è plastico ideale (eq costante) sollecitato in campo rispettivamente monoassiale e

pluriassiale, nell’ipotesi che lo stress di soglia monoassiale sia l’ultimate strength, la 4.14 all’istante

in cui si raggiunge la deformazione di soglia sarà:

TriThfuUniThfuth __1_

La costanza del valore di soglia di tale energia permette, misuratone sperimentalmente il valore

per il caso monodimensionale, di ottenere la deformazione di innesco del danno per qualsiasi altro

valore di triassialità imponendo che l’energia plastica non dissipata in calore abbia un unico valore

comune.

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85

In caso di hardening non nullo non si fa più ricorso all’ultimate load ma si ricava ancora il threshold

strain solo x il caso uniassiale, derivando gli altri con la costanza delle aree sottese dalla curva true:

A questo punto, se la rottura della cella elementare di materiale avvenisse solo quando la

superficie elementare è totalmente separata e D=1, allora il modello di danno così com’è

basterebbe a prevedere la rottura ed a progettare di conseguenza

Invece la rottura su scala microscopica avviene quando il danno raggiunge un valore critico Dcr<1,

che pertanto và ricavato per un dato materiale ed, eventualmente, anche per le diverse condizioni

di rottura dello stesso materiale.

Secondo Lemaitre la rottura è determinato dal raggiungimento di un plafond nel rilascio di energia

elastica, che è caratteristico del materiale. Secondo questa interpretazione, l’energia necessaria a

formare o ad aumentare le superfici libere dei vuoti è esattamente quella fornita dalla perdita di

Smooth bar,

TF=1/3

Notched bar,

TF>>1/3

Th_Uni Th_ Tri

U_Tri

U_Uni

Fat

Smooth bar,

TF=1/3

Notched bar,

TF>>1/3

Uni_th Tri_th

Th_Tri

Th_Uni

Fat

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86

rigidezza, ovvero l’energia elastica diventa un serbatoio di energia che viene quindi trasformata ad

opera del fenomeno di danneggiamento. Non appena l’energia liberata dalla riduzione di rigidezza

è cresciuta a tal punto da non poter essere tutta trasformata in nuove superfici di microvuoti o di

decoesione delle impurità dalla matrice, il surplus di tale energia innesca l’instabilità che porta alla

frattura della cella elementare. Nel modello di Lemaitre, l’andamento della densità energetica Y al

variare della deformazione plastica, tende a stabilizzarsi in prossimità della rottura sul valore

caratteristico di cui sopra, indipendentemente dalla storia di carico del materiale. Analiticamente,

la relazione ricavabile dalla ipotesi fatta è:

4.1.15

Dopo aver determinato sperimentalmente un valore critico del danno, per esempio quello D1c

relativo al caso monoassiale, la 4.1.15 permette di ottenere il valore del danno critico per

qualunque altro andamento della triassialità del carico applicato: infatti uguagliando l’integrale

precedente calcolato nel caso monoassiale a quello del caso multiassiale generico, si ricava la

relazione che intercorre tra D1c ed il generico Dc al variare del parametro R ovvero della

triassialità.

Nel caso particolare di proportional loading uniassiale (trazione semplice con R=1) si ha:

Unic

UniueqD

DE

YdDc

_

__2

02

~1 4.1.16

Per lo stesso materiale plastico ideale ma sottoposto adesso ad una generica triassialità costante

(quindi sempre proprotional loading anche se non uniassiale):

Tric

TriueqD

DRE

YdDc

_

__2

02

~

4.1.17

Uguagliando il valore ottenuto nel caso uniassiale ed in quello generico si ottiene:

Trius

Unius

UnicTricR

DD__

2

__2

__

4.1.18

.

120

2

2

0

constdDRDE

YdD

cc D

eq

D

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87

Dove le tensioni equivalenti 1_2~

ueq e ueq _2~ si riferiscono al valore che la curva costitutiva

(unica per il dato materiale) assume a rottura del nelle due condizioni a differente triassialità:

In questo caso, l’andamento del danno critico al variare della triassialità e dell’hardening

(quest’ultimo influisce sulla differenza tra le tensioni), è il seguente:

Se il materiale è plastico ideale ovvero ha hardening nullo, restando nella ipotesi di proportional

loading si ha che la tensione equivalente a rottura ha un unico valore per qualunque triassialità,

quindi :

CD

1

UniCD _

1

Trius

Unius

R __2

__2

Eq

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88

R

DD c

c1

E la relazione diventa un ramo d’iperbole.

Noti sperimentalmente deformazione di soglia, deformazione critica e danno critico in caso

monoassiale, 1_,1_1_ , CCrTh D , se il materiale è plastico ideale allora il modello di danno di

Lemaitre può essere espresso direttamente sotto forma di Criterio di Rottura per tutte le storie

deformative a triassialità costante (proportional loading), ovvero legge che esprime direttamente

la deformazione di Rottura locale al variare delle grandezze da cui essa dipende (strain plastico e

triassialità):

L’espressione grezza della legge di danno in caso monoassiale e triassiale generico è:

ThEqS

Eq

UniThEq

UniS

EqUni

RES

D

ESD

2

22

_

2

_

Esprimendo il valore a rottura della funzione di danno si ha:

ThC

CSThC

SCC

UniThUniC

UniCUniS

UniThUniC

UniS

UniCUniUniC

R

D

ESR

ESDD

D

ESESDD

22

22

22

__

_

2

_

__

2

_

__

Quindi sostituendo si ha la legge di danno “raffinata” per il caso particolare in esame (materiale

perfettamente plastico e TF costante):

ThC

ThEq

CEq

ThC

UniThEq

UniCEqUni

RDD

DD

1_1_

_

_

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89

Se 1_ UniCC DD allora le deformazione a rottura soddisfa la seguente relazione:

RUniThUniC

ThC 1

__

e descrive i seguenti andamenti al variare di :

:

Si noti come le curve soprastanti assomigliano qualitativamente a quelle proposte in precedenza

da Rice e Tracey ovvero da Hanckock e Mackenzie.

Se mai fosse stato necessario, ecco una ulteriore evidenza del fatto che elevate triassialità limitano

la vita del materiale abbassandone la percentuale di vuoti compatibile con la capacità di

sopportare carichi.\

R

1_1_ ThC

ThC

D

Eq

aTh _ UniTh_aC _

UniC _bTh _ bC _

1R

aR bR

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90

EVOLUZIONE E RECENTI MODELLI NELL’AMBITO DELLA CDM 3.5

A partire dalla data di creazione dei primi modelli di evoluzione del danno ad opera di Lemaitre,

nella prima metà degli anni 80, se ne sono succeduti numerosi altri da parte di autori inquadrabili

nella stessa scuola di pensiero, ognuno dei quali ha proposto variazioni alla forma di quella parte

del potenziale dissipativo da cui deriva l’andamento della funzione D, ed al criterio di variazione

del danno critico a causa delle diverse triassialità possibili.

Di seguito vengono discussi quattro tra i vari modelli che costituiscono lo sviluppo della trattazione

di Lemaitre, e precisamente, in ordine cronologico, quelli dovuti agli autori W. H. Tai & B. X. Yang

del 1986, W.T. Jun del 1992, S. Chandrakanth & P. Pandey del 1995, ed N. Bonora del 1997. Si

premette che in tutti i modelli descritti di seguito vengono date per scontate le premesse che

portano alla definizione del legame espresso dalla 4.1.9 in cui vengono associate le variabili di

danno e di densità di energia elastica rilasciata, tramite il potenziale FD.

Modello di Bonora

Il più recente dei modelli riportati risale al 1997 ed è dovuto ad un ricercatore Italiano, N. Bonora.

Il potenziale dissipativo funzione del danno è:

12

1

12

2

NIV

IV

Eq

cD

DD

DES

YF

4.2.22

Il significato dei simboli è quello già descritto precedentemente ma, ovviamente, il fatto che le

costanti S ed vengano differenziati da un modello all’altro tramite apici serve a sottolineare che

sono costanti che hanno espressioni analitiche e significati fisici diversi in ognuna delle teorie

esposte. Applicando la normality rule tra funzione di danno e densità energetica Y , e

successivamente sostituendo a tale fattore la sua espressione in termini di tensione equivalente,

modulo elastico e danno D, si ottiene:

Eq

Eq

ceqd

DDR

DESdD

NIV

12

1

2

2

12

4.2.23

Se la curva costitutiva è di tipo esponenziale N

EqEq K , nella 4.2.23, si ottiene:

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91

Eq

Eq

c dDD

RES

KdD

IV

1

2

2

4.2.24

Nel solito caso ideale in cui la prova di trazione su un provino liscio consenta di mantenere

uniassialità perfetta ovvero il fattore di triassialità TF costante e pari ad 1/3 (R=1), la

determinazione della costante di scala del modello si ottiene integrando la 4.2.24 tra l’innesco del

danno e la rottura:

Th

IV

UniC

Th

IV

UniC

UniC

Unic

Eq

Eq

D

D

Unic

Ln

DD

ES

K

dRES

KdDDD

_

0_2

2

_

1

__ 1

2

1

2

4.2.25

in cui compare la deformazione di innesco del danno senza pedice perché, secondo Bonora, tale

deformazione è una costante del materiale e non dipende dallo stato di sollecitazione.

Sostituendo questa espressione nella precedente si ottiene la legge di evoluzione del danno nel

caso di materiale con curva costitutiva esponenziale e carico a triassialità generica:

C

Th

C

Eq

Eq

Th

Unic

Unic

D

D

c dR

Ln

DDdDDD

)(_

0_

1

0

1

4.2.26

Integrando questa espressione tra inizio danneggiamento e rottura, una volta per carico uniassiale

puro e l’altra per carico triassiale costante generico, si ottiene che:

RLn

Ln

DDDD

Ln

Ln

DDDD

ThCC

cc

UniCUniC

cc

Th

Th

Th

1

1

1

00

__

00

1 (IDENTITY)

4.2.27

e dividendo membro a membro le due espressioni precedenti resta definita una relazione che

costituisce il criterio di rottura:

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92

Th

UniC

Th

C LnR

Ln

_1 4.2.28

ovvero

R

Th

UniC

ThC

1

_

4.2.29

I parametri del modello di Bonora da determinare sperimentalmente con delle prove di trazione

sono, analogamente a quanto vale per gli atri modelli, la costante di scala S’’’, le deformazioni di

innesco e fine del danneggiamento, e l’esponente ’’’ tramite misurazioni del valore di danno in

punti interni al range di deformazioni suddetto e successivo best fitting.

All models derived from the Lemaitre idea have the main weakness: it is the way the model

constants are derived. In fact, they assume that tension tests induce proportional loading so that,

for example, R = 1 all over the strain history of a smooth tensile specimens. This is not true

because necking greatly changes the traxiality and, if these changes are not included in the

calculation of damage constants, large approximations are expected.

Di seguito si riportano i risultati sperimentali di prove di trazione a differenti triassialità effettuate

in passato presso il DIIM (La Rosa, G., Mirone, G., Risitano, A., 2001. Effect of stress triaxiality

corrected plastic flow on ductile damage evolution in the framework of continuum damage

mechanics. Eng. Fract. Mech. 68 (4), 417–434), ed i relativi andamenti simulati di triaxialità, danno

e deformazione di rottura.

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93

Figura…. Mirone La Rosa Risitano 2001

Si vede ad esempio che il TF, calcolato tramite misure sperimentali ottiche del raggio di curvatura

del necking ed applicazione della formula di Bridgman, per provini lisci in C40 ed FE370, arriva

quasi a triplicare il suo valore nominale di 0.33 prima di rompersi.

Il modello di Bonora è stato quindi applicato sia con l’ipotesi di TF costante pari a quello nominale,

sia con una stima alla Bridgman della suaeffettiva variazione, ottenendo l’effetto seguente:

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94

Figura…. Mirone La Rosa Risitano 2001

in alcuni casi (acciaio D98 che è un AISI 304 inox), l’aumento di triassialità messo in conto con il

necking, produce un rallentamento della crescita del danno e quindi un aumento della

deformazione di rottura: questo è chiaramente impossibile ed evidenzia che i modelli derivati dalla

formulazione di Lemaitre sembrano richiedere alcuni miglioramenti.

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95

MODELLI FENOMENOLOGICI - MODELLO DI BAO-WIERZBICKI 3.6

Il gruppo di ricerca del Prof. Wierzbicki all’Impact and Crashworthiness Lab. del MIT, dal 2005 circa

è uno dei più attivi nel campo dei modelli avanzati di danno nei materiali metallici e superleghe, ed

è l’attuale riferimento principale di numerosi studi congiunti e consorzi di ricerca con l’industria

aeronautica-aerospace, navale ed automobilistica.

In Y. Bao, T. Wierzbicki / On fracture locus in the equivalent strain and stress triaxiality space,

International Journal of Mechanical Sciences 46 (2004) 81– 98, è stato presentato un modello di

danno “fenomenologico”, nel senso che, invece di partire da principi fisici esatti per derivare le

formule di previsione del danno e della rottura, mette in relazione grandezze misurabili che le

osservazioni sperimentali hanno dimostrato influenzarsi a vicenda, cercando espressioni

qualitativamente ragionevoli e verificando se-quanto esse permettono di simulare fedelmente la

realtà.

Calcolando tramite simulazioni FE il grado di triassialità nei punti critici di provini tensione e

compressione (upsetting tests) di alluminio 2024-T351 hanno determinato il valore medio della

funzione TF(Eq) durante l’intera storia deformativi locale:

Figura…. Bao Wierzbicki, 2004

Correlando il TF medio e la deformazione a rottura per le diverse storie di carico hanno trovato la

seguente relazione:

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96

Figura…. Bao Wierzbicki, 2004

Che è approssimata con una certa precisione da tre differenti leggi in altrettanti ranges di

triassialità media:

ovvero, per un materiale generico,

4.0

4.0,0

0,33.03

1

2

210

1

2

TFTF

C

TFTFBTFBB

TFTFA

AVG

AVG

f

AVGAVGAVGf

AVG

A

AVGf

for

for

for

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97

con A, B0, B1, B2, C costanti del materiale che definiscono la rottura in diversi intervalli di

triassialità.

Queste leggi di Bao–Wierzbicki (B-W) sembrano molto “comode” in quanto, una volta determinate

le costanti del materiale, permettono di calcolarne la deformazione di rottura al variare del grado

di triassialità.

In realtà l’utilizzo del modello di B-W sotto questa forma (criterio di rottura suddiviso in tre

intervalli di TFAvg) è praticamente impossibile, perché per conoscere il TFAvg di una storia di

carico occorre eseguire l’integrale TFdeEq fino a rottura, e per fare ciò serve conoscere la

deformazione di rottura che invece è l’incognita da determinare. Questa considerazione limitativa

smette di essere valida solamente in caso di proportional loading, perché quando il TF è costante

coincide con il suo valor medio TFAvg che quindi è noto indipendentemente da ef, e la

deformazione di rottura ef può essere determinata tramite i criteri descritti.

Purtroppo quasi nessuna storia di carico reale appartiene alla categoria del proportional loading,

perché le deformazioni plastiche modificano la forma geometrica dei componenti (necking,

barreling grandi deformazioni in genere) e questa a sua volta modifica lo stato di stress, quindi il

modello W-B, invece di essere utilizzato sotto forma di criterio di rottura, nei casi reali và utilizzato

sotto forma di legge di danno, secondo il seguente approccio che non ne cambia in nessun modo

la logica di base ma lo rende di validità generale.

Per esempio, nel caso di TF superiore a 0.3 (uniassialità), si ha che:

CTFd

TFd

C

TF

Cf

fEq

Eq

f

AVG

f

0

0

1

come dire che la rottura di un punto materiale avviene quando l’integrale del TF in deEq raggiunge

il valore critico C, tipico del materiale.

Allora l’ integrale Eq

EqTFd

0

, esteso ad un generico valore di eEq precedente la rottura,

rappresenta una funzione variabile tra zero e C, il cui valore esprime vicinanza alla rottura locale

tanto maggiore quanto il valore della funzione è più vicino al valore C: allora l’integrale diventa un

indice di danno o funzione di danno, ed il valore C ha il ruolo di valore critico della funzione di

danno:

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98

DcrCTFdD

TFdD

f

Eq

Eqf

EqEq

0

0

In altre parole, per sapere quando e dove avviene la rottura di un componente, occorre simulare la

sua storia deformativa (tipicamente al FEM), calcolando la funzione D in ogni punto (nodo) del

modello e ad ogni livello di carico intermedio tra inizio e fine storia di carico; così sarà possibile

spegnere gli elementi o sganciare i nodi appena il loro danno raggiungerà il valore critico, D=DCr. ,

ed i corrispondenti valori di deformazione plastica saranno le deformazioni di rottura per quel

materiale e per le varie storie deformative (triassialità) dei suoi diversi punti materiali.

Quando questo si verifica per la prima volta sul modello si ha l’innesco della frattura del

componente, man mano che i successivi elementi o nodi vengono via via rimossi, si sta simulando

la propagazione della frattura.

Occorre dire che, mentre l’innesco della frattura è determinabile accuratamente quando il

modello di danno è accurato, la simulazione della propagazione di frattura tende spesso ad essere

in accurata anche se il modello di danno è preciso: ciò avviene perché la propagazione è

fortemente dipendente dalla dimensione della mesh utilizzata per il modello ad elementi finiti.

MODELLI FENOMENOLOGICI - MODELLO DI XUE-WIERZBICKI 3.7

Nel 2008 un altro modello proposto dalla scuola di Wierzbicki ha ipotizzato che, oltre al TF,

un’altra variabile influenzasse il danno e la rottura locale dei materiali metallici duttili.

Intanto serve esprimere lo stato corrente di stress in funzione di grandezze che hanno significato

particolare e che siano facilmente visualizzabili nello spazio delle tensioni principali: un punto,

oltre che con le coordinate cartesiane (componenti principali tensore di stress, s1, s3, s3), può

essere indicato con le coordinate cilindriche rispetto al sistema di riferimento (cilindrico!) centrato

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G. MIRONE – Elastoplasticità, Danno duttile e High strain rate effect R2016-10

99

nell’origine ed avente asse coincidente con l’asse del cilindro di Von Mises (trisettrice ottante

positivo):

.

Le coordinate cilindriche assiali e radiali possono essere definite univocamente come distanze del

punto dall’origine, misurate rispettivamente parallelamente e perpendicolarmente all’asse

idrostatico:

strain)Plastic & stress Mises (

y)Triaxialit & stressc Hydrostati(

3212

3211

2

333

J

I

Con I1 primo invariante del tensore di stress, tensione deviatorica 1Iii

e J2 secondo

invariante di tensione deviatorica

1

2

3

2 1

3

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G. MIRONE – Elastoplasticità, Danno duttile e High strain rate effect R2016-10

100

La terza coordinata cilindrica, per via dell’intercambiabilità delle tre tensioni principali, (l’effetto di

(0,50,100) dev’essere uguale a quello di (0,100,50), di (50,100,10) di (50,10,100), di (100,10,50) e

di (100,50,10)), dev’essere definita su un dominio pari ad 1/6 dell’angolo giro:

ity)Deviatoric & Angle Lode(

2/3

2

3

2

33

3

1

J

JArcCos

Con 3213 J terzo invariante del tensore deviatorico di stress.

Infatti l’angolo teta varia tra +/- 30 gradi attorno alla proiezione di ogni asse principale sul piano

idrostatico !!

Le tre coordinate cilindriche descritte si chiamano coordinate di Haigh-Wetsergaard, e, a meno di

termini o combinazioni mutue, sono indicative di altrettanti parametri noti come il grado di

triassialità, la tensione equivalente e l’angolo di Lode.

In particolare il TF parametro di triassialità esprime il rapporto I1/J2, il L’angolo di Lode esprime il

rapporto J3/J2.

Quest’ultimo termine è stato proposto da Xue e Wierzbicki come il terzo parametro che determina

il danno e quindi la frattura locale, secondo meccanismi discussi in dettaglio avanti.

Spesso, invece dell’Angolo di Lode, è + comodo utilizzare una sua versione non trigonometrica e

normalizzata, ovvero il parametro di deviatoricità X:

ity)Deviatoric & Angle Lode( J

Eq

3 32

273

CosX

Il parametro X così definito varia tra 0 ed 1, vale 0 per i casi di “generalized plastic plane strain”,

ovvero quando uno stress principale è la somma degli altri 2 cambiata di segno (caso particolare è

la torsione pura con tensioni principali (0, ,-)); vale invece 1 quando due tensioni principali sono

uguali tra loro come in condizioni di assialsimmetria, (caso particolare lo stress uniassiale (,0,0)).

Definiti in questo modo i parametri che individuano lo stato di stress ed influenzano danno e la

rottura, Wierzbicki et al. (L Xue and T. Wierzbicki, Ductile fracture characterization of aluminum

alloy 2024-t351 using damage plasticity theory, International Journal of Applied Mechanics, Vol. 1,

No. 2 (2009) 267–304, OPPURE T. Wierzbicki_, Y. Bao, Y. Lee, Y. Bai, Calibration and evaluation of

seven fracture models, International Journal of Mechanical Sciences 47 (2005) 719–743) hanno

ipotizzato che la deformazione di rottura locale abbia andamenti, rispetto a TFAvg, analoghi a

quello di Bao e Wierzbicki, solo che adesso và messo in conto anche il parametro deviatorico XAvg ;

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101

in altre parole. secondo Wierzbicki et al. esistono diverse curve funzione di TFAvg, parametrizzate in

funzione di XAvg:

In generale per una data triassialità si possono avere diverse deformazioni a rottura variabili in un

certo intervallo: la massima si ha per assialsimmetria ed X=1, invece la minima si ha per plane

strain generalizzato ovvero X=0. Valori di XAvg intermedi per una data triassialità, comportano

deformazioni a rottura intermedie.

Pertanto Wierzbicki et al. hanno indicato le curve relative ai valori estremi X = 1 ed X=0

rispettivamente come “upper bound” (limite superiore) e “lower bound” (limite inferiore) curves.

Che il grado di deviatoricità influisca sulla rottura è noto a qualunque sperimentatore, e la più

semplice evidenza pratica di questo risiede nella notevole differenza tra deformazione a rottura di

provini lisci a trazione ed a torsione:

TRAZIONE = TF=1/3, X=1, TORSIONE = TF=0, X=0, quindi se il danno dipendesse solamente dal

TF, a trazione si avrebbe crescita del danno più rapida e deformazione di rottura inferiore che a

torsione. Invece le cose stanno al contrario, e anche tra il 1800 ed il 1900 si tentò di spiegare tale

differenza con la necessità di utilizzare i due differenti criteri di rottura di von Mises e Tresca.

In realtà la ragione dell’apparente “infragilimento” del materiale soggetto a taglio o torsione sta

nella riduzione del parametro deviatorico X che causa un abbassamento della deformazione di

rottura di un materiale, anche a parità di triassialità della storia di carico.

In Wierzbicki et al. si suppone che le due curve limite abbiano le epsressioni seguenti:

AvgX

AvgTF

f

boundUpperX Avg ,1

boundLowerX Avg ,0

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102

0

1

43

21

AvgAvg

PS

f

AvgAvg

Axi

f

XTFCExpC

XTFCExpC

for

for

Con C2 e C4 costanti negative x avere fracture strain funzione decrescente di TFAvg.

Nello stesso articolo, per passare ai livelli intermedi tra l’una e l’altra curva quando la deviatoricità

media della storia di carico è 10 AvgX viene proposta la funzione seguente:

1

tan

/1

/1

teCosTF

N

N

PS

f

Axi

f

f

Axi

f

Avg

X

dove N è l’esponente di hardening ovvero lo strain di inizio necking, ed f è il fracture strain che si

ha a quel TFAvg fissato quando XAvg vale X.

Ricavando f si ottiene:

NNPS

f

Axi

f

Axi

ff X /11

e sostituendo al posto di Axi

f ed PS

f le relative funzioni esponenziali si ottiene infine

l’espressione generale del criterio di frattura, che fornisce il valore del fracture strain per la coppia

di valori triassialità - deviatoricità di una generica storia di carico:

NN

Avg

TFCTFCTFC

AvgAvgf XeCeCeCXTF AvgAvgAvg /1

311 1, 422

Questa funzione di due variabili ha l’andamento seguente:

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103

Figura…. Xue Wierzbicki, 2007

in cui è possibile notare le curve nello spazio che rappresentano le famiglie di storie di carico

particolari come assialsimmetria, plane stress e plane strain.

In Xue e Wierzbicki il criterio di frattura è uguale a Wierzbicki et al., ma l’esponente N viene

indicato come costante del materiale da determinare piuttosto che come esponente di hardening.

La superficie di cui sopra ed il criterio di frattura che essa esprime graficamente sono utilizzabili

solamente in caso di proportional loading (storie deformative a triassialità costante), e, in questo

caso, lo stesso criterio di frattura può essere rappresentato nello spazio delle deformazioni

plastiche principali come la figura seguente, orientata con il proprio asse lungo la trisettrice

dell’ottante positivo :

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104

Figura…. Xue Wierzbicki, 2007

Visto che le direzioni principali sono comuni a tensioni e deformazioni plastiche, si può

immaginare che lo spazio cartesiano sia unico e che la superficie del criterio di frattura abbia l’asse

coincidente con quello della superficie di snervamento, solo che la superficie del criterio di frattura

non cambia durante la storia deformativa, quella di snervamento sì; inoltre, i punti della superficie

del criterio di frattura indicano componenti del tensore di deformazione plastica a rottura invece

che indicare componenti del tensore di stress.

MODELLI FENOMENOLOGICI - MODELLO DI COPPOLA-CORTESE-FOLGARAIT 3.8

In T. Coppola, L. Cortese, P. Folgarait, The effect of stress invariants on ductile fracture limit in

steels, Engineering Fracture Mechanics 76 (2009) 1288–1302, si propone una variazione sul tema

del danno con Upper e Lower bound: queste due curve limite esistono e sono le stesse proposte

da Xue-Wierzbicki, cambia leggermente il modo di definire le curve intermedie per valori di

deviatoricità 0<X<1.

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105

Coppola et al. ipotizzano che per ogni data triassialità TF fissata (quindi su una sezione fissata del

cilindro di von Mises), i valori di tensione equivalente estremi a rottura (per X=0 ed X=1) stanno tra

loro nello stesso rapporto in cui stanno le tensioni equivalenti di von Mises e di Tresca:

2

3

PS

Axi

Se la curva costitutiva del materiale ha la forma N

EqEq k , il rapporto di sopra tra tensioni

equivalenti a rottura definisce anche un rapporto tra deformazioni equivalenti a rottura:

N

PS

f

Axi

f

/1

2

3

E in questo modo resta definito il legame tra upper e lower bounds, ovvero tra la curva f-TFAvg

relativa ad X=1 e quella relativa ad X=0.

La legge proposta da Coppola et al. Per assegnare una curva ef-TFAvg anche a valori intermedi di X,

è la seguente:

XArcCosCos

Xg

3

1

6

RIVEDERE QUESTA FUNZIONE PER VALORI ESTREMI DI BETA GAMMA ED X !!!!!

Con , e costanti del materiale. Quando = 1 e =1 si ricade nel criterio di Tresca e sparisce la

dipendenza da X.

In sostanza la g(X) è una funzione riduttiva dell’upper bound che vale 1 per X=0 e cresce con X.

In generale,

XArcCosCos

eCXg

AvgTFC

N

Avg

Axi

ff

3

1

6

2

1/1

E gli andamenti della funzione riduttiva g per due acciai testati da Coppola et al. sono:

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106

Figura…. Coppola. Cortese FOlgarait, 2009

Per ricavare le costanti , e occorrono i valori sperimentali per almeno tre condizioni di rottura

tipicamente: tensione su provini lisci (stress uniax. con TF circa =0.33 ed X=1), torsione su provini

lisci (plane strain con TF=0 ed X=0), ed una terza condizione apiacere intermedia con XAvg e TFAVg

più diversi possibile dai precedenti.

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107

OSSERVAZIONI SPERIMENTALI E CONSIDERAZIONI SUI MODELLI DI DANNO DUTTILE 3.9

CRITERI DI FRATTURA E FUNZIONI DI DANNO

L’esatta descrizione matematica della frattura duttile a tutt’oggi non è nota e forse neanche esiste

un unico tipo di funzione che possa descrivere il fenomeno per tutti i metalli; peraltro i modelli di

Wierzbicki et al. e le relative derivazioni proposte da altri autori, rappresentano la migliore

descrizione disponibile del fenomeno, sostanzialmente completa dal punto di vista qualitativo ed

abbastanza vicina alla realtà dal punto di vista quantitativo.

Per tutti i modelli che includono la dipendenza del danno da X vale il ragionamento già fatto per il

primo modello Bao-Wierzbicki (con sola dipendenza da TF), ovvero, nella pratica non è possibile

usare tali modelli sotto forma di criterio di frattura se non nei casi particolari e poco realistici di

proportional loading, perché in tutti gli altri casi la variabilità del TF e della X durante la storia

deformativi non permette di ricavare i valori medi TFAvg ed XAvg se non si conosce la

deformazione a rottura di quello specifica storia di carico, e tale deformazione è ovviamente

l’incognita da ricavare con il modello stesso di danno.

Pertanto, l’uso più realistico di tali modelli è sotto forma di funzione di danno CrEq DXTFD ,, ,

da implementare nel calcolo FEM e determinare ad ogni passo dell’analisi su ogni elemento e/o

nodo.

La logica per passare da criterio di rottura a funzione di danno è semplice:

1

,00

*

EqEq

EqEqf

Eq

f

Eq

XdTFd

D

in sostanza, ad ogni passo dell’analisi si calcola la deformazione di rottura virtuale f* che

corrisponde a TF ed X mediati sulla storia di carico che và da zero alla deformazione corrente Eq:

se Eq < f* allora NON si ha rottura e l’elemento finito rimane attivo per il passo successivo

dell’analisi.

Prima o poi si raggiungerà la condizione Eq = f*, quindi f*= f, ovvero la deformazione di rottura

da virtuale diventa reale per quell’elemento che quindi viene rimosso.

Sulla base dei valori della funzione D precedenti la rottura si può indebolire gradualmente ed in

maniera diversificata il materiale dei vari elementi fino ad eliminarli quando D=Dcr (soluzione

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108

graduale e + raffinata) oppure lasciare indisturbato il materiale degli elementi fino al passo in cui

D=Dcr ed avviene la loro rimozione (soluzione + brusca e grezza).

Le variabili che determinano la rottura duttile sono TF, X ed Eq ; i valori limite di Eq sono le

deformazioni a rottura f ed esprimono proprio il fenomeno della rottura e quantificano la

duttilità dei materiali.

Il criterio di frattura dev’essere quindi una funzione del tipo f(TFAvg, XAvg) rappresentabile tramite

una superficie nello spazio TF, X, f.

Su tale spazio possono essere individuate:

- Curve f vs. TF (per es. Upper e Lower bounds) = intersezioni superficie criteri frattura con piani

XAvg =cost.

- Curve f / f_Uni vs. X (funzione (X) di Wierzbicki, g(X) di coppola) = intersezioni superficie criterio

frattura con piani TFAvg = cost.

- Curve XAvg - TFAvg = proiezione superficie criterio frattura su piano ef=0, NON indicano deformaz.

di rottura, utili x pianificare esperimenti.

Il comportamento a rottura di un materiale potrebbe essere caratterizzato completamente per via

sperimentale realizzando prove che portino a rottura il materiale sotto combinazioni XAvg-TFAvg

disposte su una griglia di punti sul piano XAvg - TFAvg :

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109

Ovviamente per ricavare la superficie senza conoscere l’aspetto analitico delle funzioni servirebbe

un enorme numero di prove, e inoltre, la difficoltà non indifferente sta nel prevedere la geometria

di provino ed il tipo di carico che permette di ottenere la rottura in corrispondenza del punto

desiderato sul piano XAvg - TFAvg .

In G. Mirone, D. Corallo, A local viewpoint for evaluating the influence of stress triaxiality and Lode

angle on ductile failure and hardening, International Journal of Plasticity 26 (2010) 348–371,

dimostra che le considerazioni tipiche riguardo a TF ed X prevedibili per le prove più comuni a

volte portino a valutare in maniera errata i risultati sperimentali ottenibili, e come anche prove

molto semplici se opportunamente progettate possono fornire risultati più utili di prove

complicate e costose.

Secondo le considerazioni che in letteratura derivano dal ragionare in termini di triassialità e Lode

angle medi, il legame standard tra di prova-triassialità-Lode angle ottenibili, è quello seguente

(Wierzbicki et al.):

AvgX

AvgTF

f

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110

Figura…. WIerzbicki, 2008

AGGIUNGERE:

1) RAGIONAMENTO SU CRITICAL STRESS SURFACE

2) BIBLIOGRAFIA ARTICOLI

AGGIUNTE OPZIONALI:

1) SINTESI ARTICOLI EFM 2007, IJP 2010-2013

2) EFFETTO LODE ANGLE SU YIELD SURFACE (BAI-WIERZ. , BIGONI)

3) ANISOTROPIA PLASTICA E CRITERIO DI HILL

4) METODO DOPPIA CAMERA X CURVA TRUE EXP. ANISOTROPA

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111

4 COMPORTAMENTO ELASTO-PLASTICO AD ALTI STRAIN RATES

Collage provvisorio di note personali con il materiale bibliografico seguente:

- A.T.OWENS, M.D. Thesis, University of Auburn, USA, 2007 - A. RUGGIERO Tesi Dottorato, Università di Cassino, 2006

- M. PERONI Tesi Dottorato, Politecnico di Torino, 2008

- Wave propagation - traveling vs. Standing waves (http://www.physicsclassroom.com)

- Riflessione agli estremi di una barra isolata- K. F. GRAFF. , WAVE MOTION IN ELASTIC

SOLIDS, DOVER, 1975

- Manuale utente centralina estensimetrica dinamica DEWETRON DAQPB …….

EFFETTO STRAIN RATE SUI MATERIALI 4.1

A.T.OWENS, M.D. Thesis, University of Auburn, USA, 2007 The loading rate, commonly identified in terms of strain rate, can have a wide range of effects on

critical material properties such as elastic modulus, yield stress, failure stress, and failure strain.

Gray [1] outlined several specific examples where materials are employed under high strain rate

conditions. Automotive crashworthiness is one such example. Several areas of the vehicle are

designed to function as energy absorbing mechanisms in the event of a crash, such that the

decelerations seen by the driver are not so harsh that they cause severe bodily injury. Even though

the body is constrained by a harness, the head and neck of the driver is still susceptible to injury.

In order to design structures that will absorb energy properly, the material behavior must be

understood and characterized for conditions similar to the actual loading conditions.

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G. MIRONE – Elastoplasticità, Danno duttile e High strain rate effect R2016-10

112

Figure 1.1:

The second group of examples is in the aerospace industry. Often, spacecraft or other orbital

bodies come into contact with foreign debris that may be traveling at high relative velocities. Also,

jet engines, which have extremely high operating speeds, may ingest foreign objects, causing

severe shock loads. Containment of debris in the event of catastrophic engine failure is another

issue in jet engine design that involves highly transient loading. In some cases, fragments have

pierced the engine casing and severely damaged hydraulic components that are vital for aircraft

control.

Other examples include turbine blade design where cavitation is a concern, protective armor in

defense applications, as well as ballistic devices where propellants and explosives interact with

casings. There are many more real life applications where materials are deployed and expected to

perform under high strain rate conditions.

A. RUGGIERO Tesi Dottorato, Università di Cassino, 2006

I metalli, generalmente, mostrano una notevole sensibilità alla velocità di deformazione e alla

temperatura. Nella maggior parte dei casi, la velocità di deformazione ha l’effetto più rilevante

sull’incremento della resistenza del materiale. In Figura 3.1 sono riportati gli andamenti sforzo-

deformazione di taglio, per un alluminio commerciale, in un intervallo di velocità di deformazione

che va da 600 a 2800 s-1, a confronto con la curva di riferimento quasistatica ottenuta a 2,0 103 s-1.

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113

La temperature, al contrario, addolcisce il materiale, come mostrato per il titanio-α in Figura 3.2,

in cui sono riportate le curve sforzo deformazione ottenute, a parità di velocità di deformazione, in

un intervallo di temperature che va dai 77 ai 288K. È noto che la sensibilità del materiale alla

velocità di deformazione e alla temperature è legata alla struttura atomica. In particolare, i metalli

con una struttura cubica a corpo centrale (CCC), quali il ferro α, gli acciai ferritici, il niobio, il

tantalio, etc., mostrano una forte variazione del valore della tensione di snervamento con la

temperatura, T, e la velocità di deformazione, ε� . Al contrario, i metalli con struttura cubica a

facce centrate (CFC), quali gli acciai austenitici, il nichel, l’alluminio, il rame e l’argento, non

mostrano la stessa sensibilità in modo particolare rispetto alla temperatura. I metalli a struttura

esagonale compatta (EC), infine, quali il titanio e lo zinco, esibiscono un comportamento

intermedio tra quello dei CCC e quello dei CFC.

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114

M. PERONI Tesi Dottorato, Politecnico di Torino, 2008

COWPER-SYMONDS MODEL

One of the most used and simpler model of strain-rate sensitivity is the model proposed by Cowper

and Symonds [2] with the equation:

where D and p are the two model parameters while σys and σyd are respectively the static and the

dynamic yield stress at strain-rate. In FEM codes it has been implemented an extension of Cowper-

Symonds strain-rate sensitivity law to all stress-strain curve and not only restricted to the yield

stress (for example using a exponential power-law to describe strain hardening material properties).

JOHNSON-COOK MODEL

The relation proposed by Johnson e Cook [6] is an other simple model that, for this reasons, has

been implemented in all commercial FEM codes. This model, unlike the Cowper-Symonds one,

keep into account strain-rate and temperature material sensitivity and it’s normally written in the

following analytical relation:

where A, B, n, c and m are the five parameters of Johnson-Cook model and ** and T*

are defined with the relation:

where & is the strain-rate threshold (for strain-rate under 0 ε& the material has a mechanical

behaviour not influenced by strain-rate) and Tm and Tr are respectively the melting temperature and

the reference temperature (that is defined as the lowest experimentally considered temperature).

ZERILLI-ARMSTRONG MODEL

The model proposed by Zerilli and Armstrong [13] is substantially different from phenomenological

models mentioned before, since it is based on relations directly derived from mechanical dislocation

theory. Even if this model keep into account thermal activation (this concept will be analysed in

detail with Klepaczko-Rusinek model: flow stress is assumed as sum of internal stress and an

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G. MIRONE – Elastoplasticità, Danno duttile e High strain rate effect R2016-10

115

thermal activated stress, function of strain-rate and temperature) the Zerilli-Armstrong relation is

very simplified respect dislocation theory equations. This characteristic make this model suitable to

FEM implementation in standard commercial codes. For Zerilli- Armstrong model every atomic

structure (for example FCC, BCC, HCP, etc.) have a particularly constitutive law due to the

intrinsic characteristics of the material structure. Analysing a material with BCC atomic structure

(as most of structural steel), normally treated with previous models, the Zerilli-Armstrong models

has the formulation:

where c0, b0, β0, β1 and K are the five model parameters that incorporate the strainrate and

temperature sensibility. For a metal with FCC structure the Z-A model assume the following

relation

BASICS OF ELASTIC WAVE PROPAGATION 4.2

Wave propagation - traveling vs. Standing waves (http://www.physicsclassroom.com)

A mechanical wave is a disturbance that is created by a vibrating object and subsequently travels

through a medium from one location to another, transporting energy as it moves. The mechanism by

which a mechanical wave propagates itself through a medium involves particle interaction; one

particle applies a push or pull on its adjacent neighbor, causing a displacement of that neighbor

from the equilibrium or rest position. As a wave is observed traveling through a medium, a crest is

seen moving along from particle to particle. This crest is followed by a trough that is in turn

followed by the next crest. In fact, one would observe a distinct wave pattern (in the form of a sine

wave) traveling through the medium. This sine wave pattern continues to move in uninterrupted

fashion until it encounters another wave along the medium or until it encounters a boundary with

another medium. This type of wave pattern that is seen traveling through a medium is sometimes

referred to as a travelling wave.

Traveling waves are observed when a wave is not confined to a given space along the medium. The

most commonly observed traveling wave is an ocean wave. If a wave is introduced into an elastic

cord with its ends held 3 meters apart, it becomes confined in a small region. Such a wave has only

3 meters along which to travel. The wave will quickly reach the end of the cord, reflect and travel

back in the opposite direction. Any reflected portion of the wave will then interfere with the portion

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G. MIRONE – Elastoplasticità, Danno duttile e High strain rate effect R2016-10

116

of the wave incident towards the fixed end. This interference produces a new shape in the medium

that seldom resembles the shape of a sine wave. Subsequently, a traveling wave (a repeating pattern

that is observed to move through a medium in uninterrupted fashion) is not observed in the cord.

Indeed there are traveling waves in the cord; it is just that they are not easily detectable because of

their interference with each other. In such instances, rather than observing the pure shape of a sine

wave pattern, a rather irregular and non-repeating pattern is produced in the cord that tends to

change appearance over time. This irregular looking shape is the result of the interference of an

incident sine wave pattern with a reflected sine wave pattern in a rather non-sequenced and

untimely manner. Both the incident and reflected wave patterns continue their motion through the

medium, meeting up with one another at different locations in different ways. For example, the

middle of the cord might experience a crest meeting a half crest; then moments later, a crest

meeting a quarter trough; then moments later, a three-quarters crest meeting a one-fifth trough, etc.

This interference leads to a very irregular and non-repeating motion of the medium. The appearance

of an actual wave pattern is difficult to detect amidst the irregular motions of the individual

particles.

It is however possible to have a wave confined to a given space in a medium and still produce a

regular wave pattern that is readily discernible amidst the motion of the medium. For instance, if an

elastic rope is held end-to-end and vibrated at just the right frequency, a wave pattern would be

produced that assumes the shape of a sine wave and is seen to change over time. The wave pattern

is only produced when one end of the rope is vibrated at just the right frequency. When the proper

frequency is used, the interference of the incident wave and the reflected wave occur in such a

manner that there are specific points along the medium that appear to be standing still. Because the

observed wave pattern is characterized by points that appear to be standing still, the pattern is often

called a standing wave pattern. There are other points along the medium whose displacement

changes over time, but in a regular manner. These points vibrate back and forth from a positive

displacement to a negative displacement; the vibrations occur at regular time intervals such that the

motion of the medium is regular and repeating. A pattern is readily observable.

The diagram at the right depicts a standing wave pattern in a medium. A snapshot of the medium

over time is depicted using various colors. Note that point A on the medium moves from a

maximum positive to a maximum negative displacement over time. The diagram only shows one-

half cycle of the motion of the standing wave pattern. The motion would continue and persist, with

point A returning to the same maximum positive displacement and then continuing its back-and-

forth vibration between the up to the down position. Note that point B on the medium is a point that

never moves. Point B is a point of no displacement. Such points are known as nodes and will be

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G. MIRONE – Elastoplasticità, Danno duttile e High strain rate effect R2016-10

117

discussed in more detail later in this lesson. The standing wave pattern that is shown at the right is

just one of many different patterns that could be produced within the rope. Other patterns will be

discussed later in the lesson.

Definizioni Generali Onde Nei Solidi

Lunghezza d’onda = velocità x frequenza C x f

Lambda

Distanza

Wave (stress, strain)

Speed C Fotografia tratto di barra

ad istante “t”

T = 2/ = 1/ f

Time

Wave (stress, strain)

Andamento al variare del

tempo sulla sezione “x”

della barra

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118

Ogni onda è esprimibile come somma di infinite sinusoidi, o “armoniche”, aventi frequenza (o

lunghezza d’onda) multipla della frequenza dell’onda base da scomporre; modulo e fase di ogni

armonica si sono espresse dalla serie di Fourier.

Se l’onda base è una sinusoide perfetta, la serie ha un’unica armonica con ampiezza non nulla e

coincidente con l’onda stessa, ovvero lo spettro in frequenza ha un solo termine:

………… +

………… +

Man mano che la forma d’onda tende a diventare triangolare, trapezia o quadra, cresce il numero

di armoniche non trascurabili ovvero con ampiezza non nulla, e lo spettro in frequenza contiene

sempre più termini ovvero diventa più “piatto”:

In teoria tutte le onde nei solidi si propagano a velocita’

EC 0 (vel suono).

ni = fi/f0

T = 2/f 0= 1/ 0

t

Ai

ni

1 2 3 4 5 6 i j

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119

in realta’ la velocita’ di propagazione delle onde elastiche diminuisce all’aumentare della loro

frequenza:

Quindi un’onda composta da varie sinusoidi (e.g. onda quadra, impulso etc.) perde la sua forma

man mano che avanza, visto che le sue componenti sinusoidali si muovono a velocità differenti

!!!!!

Propagazione onde longitudinali una barra

Data una barra di sezione costante, mater. omogeneo etc. etc., in cui si propaga un’onda:

Risultanti sigma assiali su concio barra

Equilibrio traslazione con inerzia

Chiamata velocità teorica di propagazione di un’onda di lunghezza d’onda infinita (ovvero freq.

nulla) la C:

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Equilibrio assiale diventa:

Se spostamenti barra sono continui,

Ovvero

Unendo con si ottiene EQUAZIONE DEL MOTO DI UN’ONDA LONGITUDINALE LUNGO LA

BARRA!!!,:

Visto che yy

Ey

u

yE

1

11

L’equazione può essere scritta anche così:

L’Equazione ha soluzione generica costituita da sovrapposizione di onda avanzante (incidente) e

retrocedente (riflessa):

ri uuctygctyfu

Differenziando lo spostamento risp. ad y si ha la deformazione della barra (anche la deform è

somma di incidente e riflessa):

ri

inputinput

input gfy

cty

cty

u

y

u

Mentre differenziandolo risp. a t si trova la velocità della barra (somma incidente e riflessa):

ricgfc

t

cty

cty

g

t

cty

cty

fu

tv

t

v

y

11

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121

RIFLESSIONE, TRASMISSIONE, IMPEDENZA MECCANICA 4.3

Riflessione agli estremi di una barra isolata- K. F. GRAFF. , WAVE MOTION IN ELASTIC SOLIDS,

DOVER, 1975

u

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Barre a contatto, impedenza, riflessione e trasmissione all’interfaccia

Quando una delle estremità della barra A in cui si propaga l’onda (onda incidente) è a contatto con

un altro solido (e.g. un’altra barra, B), l’effetto del contatto all’interfaccia è una via di mezzo tra

quello dell’incastro perfetto e quello dell’estremo totalmente libero: una parte dell’energia che

raggiunge l’estremo di A viene riflessa mentre un’altra parte viene trasmessa alla barra adiacente,

sotto forma di altrettante onde elastiche.

Il segno dell’onda riflessa può essere uguale o opposto a quello dell’onda incidente a secondo

della differenza di rigidezza & inerzia tra le due barre, mentre l’onda trasmessa ha sempre lo

stesso segno dell’incidente.

Anche l’intensità delle onde trasmessa e riflessa dipende dalle stesse due caratteristiche; se la

barra B è molto più rigida e pesante della A, allora l’onda riflessa ha lo stesso segno dell’onda

incidente e intensità elevata, mentre l’onda trasmessa ha intensità molto piccola.

Se invece la barra B è più cedevole e leggera della A, l’onda trasmessa alla barra B ha una grande

intensità quella riflessa all’interno della barra A è quasi uguale all’onda incidente ma cambiata di

segno.

Il parametro che tiene conto di inerzia e rigidezza della i-ma barra si chiama impedenza meccanica

e vale:

Con Si, Ei e i rispettivamente sezione, modulo elastico e densità della i-ma barra.

Imponendo che alle interfacce sia verificato equilibrio e congruenza si ricavano I coeff. di

riflessione e di trasmissione, che rendono le onde trasmessa e riflessa pari a:

A B

A B

incidente

riflessa

trasmessa

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(

⁄ ) (

⁄ )

(

⁄ )

(

⁄ )

(

⁄ )

THEORY OF THE SPLIT HOPKINSON PRESSURE BAR (SHPB) FOR HIGH STRAIN RATE TESTING 4.4

The split Hopkinson bar test is the most commonly used method for determining material

properties at high rates of strain. Significant advancements implemented from the areas of testing

techniques, numerical methods, and signal processing have improved the accuracy and

repeatability of high strain rate testing. Constant strain rate tests can be performed at strain rates

approaching 104 s-1 relatively easily.

In the split Hopkinson bar test, a short cylindrical specimen is sandwiched between two long

elastic bars, as shown in figure 1.1. The bars are generally made of a high strength maraging steel

with diameters less than 0.75” and a length near five feet.

L’onda incidente, generata dall’impatto tra striker ed input bar aventi solitamente uguale

diametro, in teoria è un’onda perfettamente rettangolare di lunghezza pari al doppio della

lunghezza dello striker, e di intensità dipendente dalla velocità dello striker all’istante dell’impatto:

In pratica l’impatto non è mai perfettamente coassiale, uniforme, le superfici non sono

perfettamente piane né parallele etc. etc., quindi l’onda è circa un trapezio invece di essere un

rettangolo!

Ballpark specimen dimensions are ¼” diameter and ¼” length. The ends of the pressure bars and

specimen are machined flat to enforce prescribed boundary conditions. Typically a projectile

(striker bar) is fired into the end of the input bar generating a compressive stress pulse.

Immediately following impact, this pulse travels along the bar towards the input bar-specimen

interface at which the pulse is partially reflected into the input bar and partially transmitted

through the specimen and

into the output bar. The reflected pulse is reflected as a wave in tension, whereas the transmitted

pulse remains in compression. The strain histories in the two pressure bars are recorded by strain

gages A and B.

So long as the pressures in the bars remain under their elastic limits, specimen stress, strain, and

strain rate may be calculated from the recorded strain histories. Under certain deformation

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conditions, qualified later, only two important strain pulses need be identified. These are the

reflected pulse and the pulse transmitted through the specimen.

Kolsky [2] developed the following relation for calculating the specimen stress.

L’onda incidente creata all’estremo libero della barra d’input viaggia verso l’altro estremo, a

contatto col provino.

Arrivata all’interfaccia, l’onda incidente inizia a riflettersi indietro sulla input bar ed a trasmettersi

in avanti nel provino.

L’onda trasmessa sul provino attraversa il provino fino a raggiungere la barra output, dove in parte

si trasmette in avanti sulla output bar ed in parte rimbalza indietro dentro il provino tornando

verso la barra A. Qui in parte continua ad entrare nella barra A in parte inverte ancora marcia

dentro il provino tornando avanti verso la barra output.

Il provino è molto corto rispetto alla lunghezza dell’onda incidente e rispetto alle barre, quindi

dentro il provino i rimbalzi dell’onda sono estremamente ravvicinati nel tempo e molto numerosi;

visto che le barre hanno impedenza maggiore del provino, le riflessioni sono lontanamente

assimilabili ad incastri quindi provocano incrementi della tensione: l’effetto complessivo delle

riflessioni è quello di un incremento di tensione a gradini molto ravvicinati, quindi quasi continuo.

Visto che l’impedenza del provino è molto + bassa di quella delle barre, ad ogni rimbalzo dentro il

provino l’onda riflessa produce un incremento di stress e strain, (analogam. al raddoppio di stress

nella riflessione d’onda ad un incastro). In questo modo, finchè l’onda incidente continua ad

entrare nel provino, dentro quest’ultimo si ha un continuo incremento di stress e strain ovvero

una serie gradini di carico crescenti sotto forma di riflessioni una sull’altra.

Sul provino non è possibile misurare né lo stress né lo strain in quanto gli estensimetri si

distaccano dalla loro sede poco dopo il campo elastico, invece sulle barre è possibile misurare lo

strain elastico:

Le onde di spostamento elastico sulle due barre sono del tipo:

( ) ( )

(onda avanzante e retrocedente sovrapposte su barra input).

( )

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t

s

bt

s

bs

D

DE

A

AE

2

2

22

(su output c’è solo onda avanzante xchè il provino si rompe prima che l’onda raggiunga la fine

della barra e torni indietro).

Differenziando gli spostamenti risp. ad y (coordinata assiale lungo la barra) si hanno le

deformazioni sulle barre:

( ) ( )

( ) ( )

( ) ( )

Mentre differenziandoli risp. a t si trovano le velocità della barra:

( )

( ) ( )

( ) ( )

( ) ( )

( )

( ) ( )

( ) ( )

Lo Stress ingegneristico istantaneo medio sul volume del provino (Approx.) è dato dalla media

delle due forze presneti agli estremi delle barre tra cui è racchiuso il provino:

( )

* ( )

+

(3-waves eqution of stress)

Tenuto conto delle impedenze, in teoria vale i+r=t , quindi lo stress nominale ingegneristico sul

provino diventa anche:

(1-wave eqution of stress)

Oppure

(2-waves eqution of stress) ri

s

bri

s

bz

A

AE

A

AE

2

2

tri

s

bb

A

AE

2

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In teoria le tre espressioni coincidono, in realtà non è così, almeno finchè il provino non smette di

accelerare e và in equilibrio: il tempo necessario si chiama “ringing-up time”, per alcuni materiali-

provini può essere molto lungo, e finchè non passa tale tempo i tre stress si differenziano di molto

e nessuno dei tre è davvero attendibile.

Lo strain rate ingegneristico istantaneo mediato sul volume provino è dato dalla velocità di

spostamento degli estremi del provino (trascurando effetto afferraggi, necking etc. etc.):

(

)

Imporre la continuità degli spostamenti alle interfacce significa imporre che la velocità delle facce

provino è = vel facce barre:

( )

( )

Quindi

( )

Ovvero, considerato che vale t - i = r la forma finale dello Strain Rate su Specimen è:

Infine x semplice integrazione ottieni lo strain sul provino:

In sostanza, registrando le deformazioni incidente e riflessa sulla barra d’input insieme a quella

trasmessa sulla output bar si possono calcolare rispettivamente la deformazione e la tensione

ingegneristica sul provino.

La durata del ring-up dipende da forma-dimensioni e materiale del provino, comunque tale durata

è sempre maggiore del tempo di permanenza del provino in campo elastico ed in alcuni casi si

t

r

t

ss dtL

cdt

00

2

r

S

sL

c

2

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prolunga per tutta la prova; come dire che la Hopkinson bar non permette quasi mai una stima

accurata di modulo elastico e snervamento ad alti strain rates, ed in certi casi non permette

neanche la ricostruzione della curva equivalent stress— equivalent plastic strain del materiale ad

altri strain rates.

Effetto qualitativo di intensità e durata dell’onda incidente:

f

e d

d e f

c

b a

a b

c

- Cresce l’intensità dell’onda incidente

aumenta lo strain rate;

- Come effetto collaterale, a parità di

lunghezza d’onda aumenta anche lo

strain somministrabile al provino, A

MENO DI ROTTURA.

- Cresce la lunghezza dell’onda incidente

aumenta lo strain somministrabile al

provino, A MENO DI ROTTURA;

- Lo strain rate rimane costante;

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132

SCHEMI PROGETTUALI & DETTAGLI BARRA HOPKINSON A TRAZIONE (SHTB) 4.5

Another technique was developed by Nicholas [17] who used a threaded specimen placed in

between the two bars (Fig. 1.9). A compression collar was placed around the specimen, and the

threads were tightened until the collar was slightly preloaded. The wave was generated by a

compressive impact and first passed through the collar as a compressive wave, leaving the

specimen unloaded initially. At the end of the transmitter bar, the wave reflected as a tensile

wave. The compression collar, being unable to resist the tensile wave, allowed the specimen to be

loaded in tension.

Another setup, used by Staab and Gilat [19], used a clamping mechanism to store energy in the

incident bar. A clamp was placed on the bar at some distance from the end opposite the

specimen. A static tensile load was applied to the end, and as the clamp was released, the tensile

stress wave propagated towards the specimen. By using a fracture pin, the clamp could be

released almost instantaneously. In the setups prior to this one, the length of time of the loading

pulse was dependant on the length of the striker bar (Fig. 1.7). This setup had an added advantage

that the length of the loading pulse is related to the length of the bar where the energy is initially

stored. Thus, by placing the clamp farther away from the load application point, the time duration

of the pulse could be varied. For the setup used by Staab and Gilat, loading pulses could be

produced in excess of 500 microseconds. Previous setups had only produced loading pulses in the

range of 100-200 microseconds.

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Researchers have also used hollow bullets to produce a tensile stress wave.

Ogawa [20] used one such setup to study the impact-tension-compression behavior of pure irons.

In these setups, the incident bar had some type of an anvil on the impacting end. A cylinder

traveled along the incident bar and contacted the anvil as shown in the Fig. 1.12. The impact

resulted in a tensile pressure pulse in the incident bar loading the specimen to failure.

The previously mentioned setups are just a sampling of the basic types of setups typically used in

SHTB testing. Many variations of these configurations have been derived and used in the last few

decades. The advent of high speed data acquisition techniques as well as the introduction of

resistance strain gages, quartz and piezoelectric transducers, as well as other high frequency

response measurement systems has opened up many doors for testing of dynamic stress-strain

response.

Molto più usuale ed affidabile foro filettato assiale su barre e filettatura maschio su provini

cilindrici.

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PROBLEMI DI SENSORISTICA E RIEPILOGO MISURAZIONE CON STRAIN GAUGES 4.6

(Manuale utente centralina estensimentrica Dewetron DAQPB)

DIMENSIONI STRAIN GAGE

Considering a harmonic wave that is the form of a cosine function, the peak value

of the wave is located at the center, and the average can be found by integrating across

the period.

Thus, for a cosine function with amplitude of unity, the measured strain will be,

( )

where L is the gage length, f is the frequency, and C0 is the wave speed. Figure 3.4 shows the

frequency response for a number of different potential gage lengths available for this setup. It was

determined that a gage length of 1.5 mm would be a suitable choice for this application.

PONTE WHEATSTONE

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136

kBV

V

fIn

Out

4