malattia celiaca: presentazione di un caso clinico ... · “tipico” e di un caso clinico...

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63 Sezione ECM Malattia celiaca: presentazione di un caso clinico “tipico” e di un caso clinico “atipico” Antonio Carroccio, Lidia Di Prima, Alberto Notarbartolo prima ora 11 mm, proteina C reattiva negativa). L’emo- cromo conferma il quadro di anemia microcitica (Tab. I) e i valori di ferritina (3 mg/dL; valore normale > 15 mg/dL) sono indicativi di sideropenia. Una ricerca del san- gue occulto nelle feci risulta positiva. Nel sospetto di ma- lattia celiaca, vengono eseguiti i dosaggi per gli anticor- pi antigliadina (AGA) immunoglobulina (Ig)G, per gli an- titransglutaminasi (anti-tTG) IgA e per gli antiendomisio (EmA) IgA. Poiché tutti risultano positivi (Tab. I), si pro- cede ad eseguire un’esofagogastroduodenoscopia con biopsie nella seconda porzione duodenale. L’endoscopia evidenzia un quadro di esofagite lieve (erosioni < 5 mm, non confluenti) ed un duodeno di aspetto tubulare con net- ta riduzione delle sue plicature. L’esame istologico dei frammenti di mucosa duodenale confermava il risultato dei test anticorpali, evidenziando: severa riduzione in altez- za dei villi e marcato approfondimento delle cripte ghian- dolari, associato a diffusa infiltrazione linfocitaria della mu- cosa e della lamina propria. La paziente veniva, quindi, po- sta a dieta priva di glutine e si iniziava un trattamento con inibitori di pompa per la cura dell’esofagite. La rivaluta- zione ambulatoriale dopo 1 mese, consentiva di eviden- ziare la scomparsa dei sintomi gastrointestinali (non do- Cattedra di Medicina Interna (Direttore: Prof. Alberto Notarbartolo), Università degli Studi, Policlinico di Palermo © 2004 CEPI Srl (Ann Ital Med Int 2004; 19: 63-78) PRESENTAZIONE CLINICA I due casi clinici che seguono sono entrambi casi di ma- lattia celiaca. Essi tuttavia differiscono nella presenta- zione clinica poiché nel primo vi sono segni e sintomi più “classicamente” riferibili alla celiachia e si tratta, dunque, di una presentazione che definiamo “tipica”. Il secondo ca- so presenta, invece, sintomi meno frequenti nel quadro del- la malattia celiaca e che, in qualche modo, possono esse- re confondenti; queste forme di celiachia vengono definite a presentazione “atipica”. La successiva discussione chia- rirà come queste forme “atipiche” sono così frequenti da meritare la massima attenzione per potere ridurre le man- cate diagnosi di celiachia. Caso 1 A.G. donna di 34 anni giunge in ambulatorio per storia di dolore addominale ricorrente, associato ad anemia cro- nica. La paziente soffre di dolore addominale sin dall’in- fanzia; il dolore è crampiforme e diffuso a tutto l’addome, senza correlazione con i pasti. Si attenua ma non scom- pare dopo le evacuazioni. L’alvo è alterno con periodi di diarrea (2-4 evacuazioni/die con feci non formate; non diar- rea notturna; non muco né sangue nelle feci) e periodi di stipsi. L’anemizzazione è stata obiettivata per la prima vol- ta durante la prima gravidanza, all’età di 22 anni. Non ven- gono riferiti febbre e dimagrimento. In anamnesi remota solo appendicectomia a 18 anni ed aborto spontaneo a 24 anni. Anamnesi familiare positiva per diabete mellito ti- po 1 (la sorella). All’esame obiettivo si evidenzia magrezza (peso 48 kg; altezza 162 cm) e pallore delle mucose; do- lorabilità diffusa alla palpazione profonda dell’addome, senza evidenza di masse. Organi ipocondriaci nei limiti, così come l’esame del torace e del cardiovascolare. Gli esa- mi di routine ematochimici mostrano una normale fun- zionalità epatica e renale ed un normale metabolismo gli- colipidico; gli indici di flogosi sono negativi (globuli bianchi 7250/mm 3 , velocità di eritrosedimentazione alla TABELLA I. Dati di laboratorio nel soggetto con presentazione “tipi- ca” di celiachia. Prima e dopo la dieta priva di glutine. Alla diagnosi Dopo 12 mesi di dieta Emocromo Globuli rossi (/mm 3 ) 3 150 000 4 400 000 Emoglobina (g/dL) 10 12.6 Globuli bianchi (/mm 3 ) 7250 7400 Piastrine (/mm 3 ) 352 000 255 000 MCV (fL) 78 85 RDW (%) 16 13 Sierologia per celiachia Anti-tTG IgA (U/mL) 13.5 6.2 EmA IgA Positivo 1:80 Negativo AGA IgA/IgG (U/mL) 2.2/4 1.2/1.8 Valori normali di riferimento: antitransglutaminasi (anti-tTG) < 7 U/mL; antiendomisio (EmA) negativo; antigliadina (AGA) immunoglobulina (Ig)A/IgG < 1.5/2 U/mL. MCV = volume corpuscolare medio; RDW = red cell distribution width.

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Sezione ECM

Malattia celiaca: presentazione di un caso clinico “tipico” e di un caso clinico “atipico”

Antonio Carroccio, Lidia Di Prima, Alberto Notarbartolo

prima ora 11 mm, proteina C reattiva negativa). L’emo-cromo conferma il quadro di anemia microcitica (Tab. I)e i valori di ferritina (3 mg/dL; valore normale > 15mg/dL) sono indicativi di sideropenia. Una ricerca del san-gue occulto nelle feci risulta positiva. Nel sospetto di ma-lattia celiaca, vengono eseguiti i dosaggi per gli anticor-pi antigliadina (AGA) immunoglobulina (Ig)G, per gli an-titransglutaminasi (anti-tTG) IgA e per gli antiendomisio(EmA) IgA. Poiché tutti risultano positivi (Tab. I), si pro-cede ad eseguire un’esofagogastroduodenoscopia conbiopsie nella seconda porzione duodenale. L’endoscopiaevidenzia un quadro di esofagite lieve (erosioni < 5 mm,non confluenti) ed un duodeno di aspetto tubulare con net-ta riduzione delle sue plicature. L’esame istologico deiframmenti di mucosa duodenale confermava il risultato deitest anticorpali, evidenziando: severa riduzione in altez-za dei villi e marcato approfondimento delle cripte ghian-dolari, associato a diffusa infiltrazione linfocitaria della mu-cosa e della lamina propria. La paziente veniva, quindi, po-sta a dieta priva di glutine e si iniziava un trattamento coninibitori di pompa per la cura dell’esofagite. La rivaluta-zione ambulatoriale dopo 1 mese, consentiva di eviden-ziare la scomparsa dei sintomi gastrointestinali (non do-

Cattedra di Medicina Interna (Direttore: Prof. Alberto Notarbartolo),Università degli Studi, Policlinico di Palermo© 2004 CEPI Srl

(Ann Ital Med Int 2004; 19: 63-78)

PRESENTAZIONE CLINICA

I due casi clinici che seguono sono entrambi casi di ma-lattia celiaca. Essi tuttavia differiscono nella presenta-zione clinica poiché nel primo vi sono segni e sintomi più“classicamente” riferibili alla celiachia e si tratta, dunque,di una presentazione che definiamo “tipica”. Il secondo ca-so presenta, invece, sintomi meno frequenti nel quadro del-la malattia celiaca e che, in qualche modo, possono esse-re confondenti; queste forme di celiachia vengono definitea presentazione “atipica”. La successiva discussione chia-rirà come queste forme “atipiche” sono così frequenti dameritare la massima attenzione per potere ridurre le man-cate diagnosi di celiachia.

Caso 1

A.G. donna di 34 anni giunge in ambulatorio per storiadi dolore addominale ricorrente, associato ad anemia cro-nica. La paziente soffre di dolore addominale sin dall’in-fanzia; il dolore è crampiforme e diffuso a tutto l’addome,senza correlazione con i pasti. Si attenua ma non scom-pare dopo le evacuazioni. L’alvo è alterno con periodi didiarrea (2-4 evacuazioni/die con feci non formate; non diar-rea notturna; non muco né sangue nelle feci) e periodi distipsi. L’anemizzazione è stata obiettivata per la prima vol-ta durante la prima gravidanza, all’età di 22 anni. Non ven-gono riferiti febbre e dimagrimento. In anamnesi remotasolo appendicectomia a 18 anni ed aborto spontaneo a 24anni. Anamnesi familiare positiva per diabete mellito ti-po 1 (la sorella). All’esame obiettivo si evidenzia magrezza(peso 48 kg; altezza 162 cm) e pallore delle mucose; do-lorabilità diffusa alla palpazione profonda dell’addome,senza evidenza di masse. Organi ipocondriaci nei limiti,così come l’esame del torace e del cardiovascolare. Gli esa-mi di routine ematochimici mostrano una normale fun-zionalità epatica e renale ed un normale metabolismo gli-colipidico; gli indici di flogosi sono negativi (globulibianchi 7250/mm3, velocità di eritrosedimentazione alla

TABELLA I. Dati di laboratorio nel soggetto con presentazione “tipi-ca” di celiachia. Prima e dopo la dieta priva di glutine.

Alla diagnosi Dopo 12 mesi di dieta

EmocromoGlobuli rossi (/mm3) 3 150 000 4 400 000Emoglobina (g/dL) 10 12.6Globuli bianchi (/mm3) 7250 7400Piastrine (/mm3) 352 000 255 000MCV (fL) 78 85RDW (%) 16 13Sierologia per celiachiaAnti-tTG IgA (U/mL) 13.5 6.2EmA IgA Positivo 1:80 NegativoAGA IgA/IgG (U/mL) 2.2/4 1.2/1.8

Valori normali di riferimento: antitransglutaminasi (anti-tTG) < 7 U/mL;antiendomisio (EmA) negativo; antigliadina (AGA) immunoglobulina(Ig)A/IgG < 1.5/2 U/mL. MCV = volume corpuscolare medio; RDW = red cell distribution width.

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lore e regolarizzazione dell’alvo) ed un incremento pon-derale di 2 kg. Nuove ricerche del sangue occulto nelle fe-ci hanno dato esito negativo. A distanza di 6 mesi dall’ini-zio della dieta, l’emocromo era molto migliorato con va-lori di emoglobina di 12.3 g/dL; dopo 1 anno di dieta pri-va di glutine, la paziente era asintomatica, l’emocromo egli indici di riserva marziale erano normalizzati e gli an-ticorpi per la diagnosi di celiachia erano negativi (Tab. I).

Caso 2

B.C. uomo di 32 anni giunge al nostro ambulatorio perla presenza di ipertransaminasemia. Il paziente, donato-re di sangue dall’età di 25 anni, ha ricevuto, 3 anni fa, co-municazione dal Centro Trasfusionale di un’ipertransa-minasemia con marcatori virali sierologici per infezioneda virus dell’epatite B (HBV) e virus dell’epatite C (HCV)negativi. Da allora i controlli effettuati ogni 3-6 mesihanno confermato la presenza di ipertransaminasemiacon valori di 1.5-2 volte la norma. L’anamnesi patologi-ca remota è silente, senza alcuna malattia sin dall’età pe-diatrica. Nulla all’anamnesi familiare. L’esame obiettivomostra che il soggetto è in lieve sovrappeso: 76 kg, altezza170 cm, e non evidenzia nulla di patologico a carico di tut-ti gli organi e gli apparati esaminati; fegato e milza sononei limiti. Gli esami ematochimici confermano la pre-senza di ipertransaminasemia (alanina aminotransferasi easpartato aminotransferasi poco meno di 2 volte la norma);non vi sono altre alterazioni degli indici di funzionalità epa-tica: fosfatasi alcalina, gamma-glutamiltranspeptidasi,pseudocolinesterasi, attività di protrombina e proteine to-tali con elettroforesi sono nella norma. Funzionalità renalee tiroidea nella norma. L’emocromo non mostra anemia(emoglobina 13.0 g/dL), né alterazioni della conta leuco-citaria e piastrinica. Lo studio del metabolismo glicolipi-dico evidenzia una modesta tendenza all’ipercolesterole-mia (colesterolo totale 215 mg/dL, colesterolo HDL 41mg/dL). I dati di laboratorio confermano inoltre la nega-tività dei marker per epatite B e C. Un’ecografia addo-minale evidenzia una steatosi epatica di grado medio,senza alterazioni di milza, vie biliari, vasi portali ed assenzadi linfonodi aumentati di volume. La ricerca di cause me-no frequenti di ipertransaminasemia cronica, induce ad ese-guire un dosaggio della ferritina, sideremia e transferrina(ipotesi: emocromatosi), della ceruloplasmina e della cu-premia (ipotesi: morbo di Wilson) e degli anticorpi per ladiagnosi di celiachia. I dati di laboratorio, mentre esclu-dono le prime due ipotesi, evidenziano una positività de-gli anticorpi anti-tTG (valore osservato 12 UI, valore nor-male < 7 UI) e degli EmA (titolo 1:80). Per la confermadell’ipotesi diagnostica di celiachia, il paziente accetta dieseguire un’esofagogastroduodenoscopia con biopsie duo-

denali. Il quadro istologico della mucosa della seconda por-zione duodenale mostra un’atrofia parziale dei villi con ric-co infiltrato infiammatorio. Il paziente inizia così la die-ta priva di glutine. Il follow-up ambulatoriale mensilemostra una normalizzazione delle transaminasi dopo 2 me-si di dieta e successivamente esse si mantengono semprenei limiti della norma. Il paziente è rimasto, ovviamente,asintomatico, ma si è registrato un incremento ponderaledi 4 kg nel corso dei primi 6 mesi di dieta, per cui è sta-ta consigliata una dieta ipocalorica. Gli anticorpi anti-tTG ed EmA risultavano negativi dopo 1 anno di dieta pri-va di glutine.

COMMENTO AI CASI CLINICI PRESENTATI

Caso 1

Il primo caso presentato possiamo definirlo un caso dimalattia celiaca a presentazione “tipica”. Vi erano infat-ti nella paziente sia sintomi gastroenterologici con alte-razioni dell’alvo, sia l’anemia da carenza marziale che èil segno clinico più frequente al momento della diagnosidi celiachia. Tuttavia, nonostante la sua “tipicità”, il ca-so merita alcuni commenti. Il primo riguarda le caratte-ristiche dell’alvo; la paziente riferiva, infatti, periodi di diar-rea alternati a periodi di stipsi e questa presentazione as-sociata a dolore addominale che si risolve/attenua dopol’evacuazione è spesso suggestiva della sindrome del co-lon irritabile, cioè di una patologia considerata conse-guente ad un disturbo funzionale. Non vi era dunque “laclassica diarrea” con malassorbimento che ci si aspette-rebbe nella celiachia. Questa osservazione vale a ricordareche le chiare manifestazioni da malassorbimento (alvo co-stantemente diarroico, steatorrea, diarrea anche nottur-na, dimagrimento, ipoproteinemia, ecc.) sono presenti inmeno della metà dei soggetti adulti al momento della dia-gnosi di celiachia. In molti altri casi vi può essere un al-vo normale o perfino stipsi (quest’ultima in circa il 5% deicasi alla diagnosi). Inoltre, va osservato che la paziente nonera venuta alla nostra osservazione per le turbe dell’alvoe il dolore addominale, bensì per chiarire la causa dell’ane-mia. Questa osservazione sottolinea che in caso di alte-razioni dell’alvo sin dall’infanzia (come nel caso da noiosservato), il paziente “si abitua” alle proprie caratteristichedell’alvo, fino a considerare normale un alvo che obietti-vamente può essere considerato irregolare. L’anamnesi de-ve quindi essere accurata e mirata, cercando di renderechiare le caratteristiche cliniche che il paziente può nonavere interpretato correttamente.

Il secondo commento da fare riguarda l’anemia. Comedetto, essa rappresenta il segno clinico più comune almomento della diagnosi di celiachia ed è una diretta con-

Antonio Carroccio et al.

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seguenza del malassorbimento degli oligoelementi e del-le vitamine coinvolte nell’eritrogenesi: principalmenteferro, folati e vitamina B12. La carenza marziale è quel-la che pare giocare il ruolo più rilevante, tanto che nellamaggior parte dei casi l’anemia del celiaco è di tipo mi-crocitico e si associa a bassissimi livelli di sideremia e fer-ritina sierica. Tuttavia, osservando l’emocromo della pa-ziente da noi diagnosticata (Tab. I), si può notare che lamultipla carenza vitaminica è evidenziata da un altro pa-rametro che spesso non si guarda con la dovuta attenzio-ne: il “red cell distribution width” (RDW). Questo indi-ce esprime la variazione del volume della popolazione eri-trocitaria rispetto al volume medio della stessa. Com’è no-to il volume medio dei globuli rossi è indicato dal volu-me corpuscolare medio (MCV); se una popolazione eri-trocitaria è uniformemente formata da emazia piccole(quadro tipico dell’anemia sideropenica) avremo un MCVbasso ed un RDW basso perché tutti gli eritrociti tendo-no ad essere piccoli. Se però, oltre alla carenza marzialevi è una carenza di vitamina B12 e folati, almeno una par-te degli eritrociti saranno alterati in senso macrocitico(com’è tipico dell’anemia da deficit di B12). Così, puravendosi un MCV basso (perché questo indice rappresenta“una media” e la carenza di ferro è nella maggior parte deiceliaci il maggior problema dell’ematopoiesi), si avrà unRDW alto perché molti eritrociti avranno un volume net-tamente differente dalla media. L’utilità di prestare at-tenzione ai valori di RDW per avere un sospetto inizialedi celiachia, sembra sottolineata da recenti studi che mo-strano come le alterazioni del RDW nei celiaci siano piùfrequenti di altri classici segni laboratoristici di malas-sorbimento, ivi inclusa la presenza di anemia1. Per altreconsiderazioni sulla presenza e le caratteristiche delle al-terazioni ematologiche nei pazienti con celiachia si rimandaai paragrafi successivi.

Caso 2

Il secondo caso presentato riguarda un’ipertransami-nasemia cronica in un paziente peraltro asintomatico. Sitratta, dunque, di una presentazione “atipica” di celia-chia. L’atipia consiste nella completa assenza di sintomigastroenterologici e nell’assenza di anemia o altri segni dilaboratorio di malassorbimento. Il paziente descritto eraperfino un donatore di sangue e l’esame obiettivo mostravache era in sovrappeso. Il riscontro di un’ipertransamina-semia “orfana” (senza cause virali) deve però indurre a va-lutare altre ipotesi di ipertransaminasemia cronica e fra es-se la celiachia. Infatti, due importanti studi italiani hannoevidenziato che circa il 10% dei pazienti con ipertransa-minasemia cronica di origine non virale sono affetti da ce-

liachia2,3. Inoltre, anche le epatopatie croniche dovute adinfezione da HCV, possono avere una maggiore frequenzadi celiachia rispetto alla popolazione generale, probabil-mente per il ruolo dell’HCV nel favorire l’autoimmu-nità4. Se poi si ribalta il punto di vista, andando a vederela frequenza di ipertransaminasemia nei soggetti celiaci almomento della diagnosi, ci si accorge che essa è presen-te in circa il 40% degli adulti5 e in oltre il 50% dei sog-getti diagnosticati in età pediatrica6. Da tutto ciò l’indi-cazione a sottoporre a screening per celiachia i pazienti conipertransaminasemia, quanto meno quelli senza chiaraeziologia virale. Come nel caso da noi descritto, l’iper-transaminasemia del celiaco si associa spesso ad un qua-dro ecografico di steatosi epatica e non ha alcun caratte-re di evolutività. La dieta priva di glutine, infatti, norma-lizza nel breve-medio termine i valori di transaminasiche, nel nostro caso, erano normali dopo solo 2 mesi di die-ta. In accordo con quanto riportato in letteratura, si può af-fermare che l’ipertransaminasemia si risolve entro i 6mesi dall’inizio della dieta priva di glutine, tranne che nonsia presente una concausa di epatopatia.

Un’ultima considerazione che deriva da questo casoatipico è che la presentazione clinica di questa ipertrans-aminasemia poteva ben logicamente essere accostata aduna steatoepatite non alcolica; il soggetto in questione erainfatti in lieve eccedenza ponderale e mostrava un’iper-colesterolemia, entrambe caratteristiche compatibili conla steatoepatite e non certo immediatamente associabili al-la malattia celiaca. Si tratta, ancora una volta, di consta-tare l’“atipicità” delle presentazioni di celiachia.

EPIDEMIOLOGIA E RUOLO DELLA GENETICA

La malattia celiaca era considerata, fino a poco più diun decennio fa, una malattia non frequente che interessa-va circa 1 persona ogni 2000 della popolazione generalenegli Stati Uniti7. L’avvento della diagnostica sierologi-ca, con l’uso di test sensibili e specifici per la diagnosi diceliachia (anti-tTG, EmA, ecc.) ha aperto la strada ascreening di massa nella popolazione generale. Da quelmomento si è evidenziato che la frequenza di malattia èmolto più alta di quanto si riteneva, ed è oggi stimata fra1:100 e 1:250 nella popolazione generale8-11.

La frequenza della malattia nelle diverse aree geogra-fiche mondiali, dipende essenzialmente dai suoi due mag-giori fattori patogenetici: la frequenza dei geni predispo-nenti allo sviluppo di malattia celiaca ed il consumo di ce-reali. La più alta prevalenza della malattia sinora registrataè quella osservata nelle popolazioni saharawi (di origineberbera-araba) del Sahara, ove si è avuta una frequenza dimalattia celiaca di 1:70. In generale, per il resto, la fre-

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quenza è più alta in Europa e in paesi dove si sono avutegrandi ondate migratorie dall’Europa come Nord Americaed Australia. La tabella II12 riassume alcune delle preva-lenze di malattia celiaca registrate da studi epidemiologiciin diverse regioni del globo.

Come accennato, la malattia ha una forte componentegenetica. L’importanza dei fattori genetici è supportata dauna frequenza della malattia di circa il 10% in parenti diprimo grado di pazienti celiaci, mentre la concordanza ingemelli omozigoti è di circa il 70%. Il maggiore compo-nente della predisposizione genetica in pazienti con ma-lattia celiaca risiede nella regione HLA del cromosoma 6.Infatti, la malattia celiaca è strettamente associata congli antigeni HLA di classe II; più del 95% dei pazienti conmalattia celiaca esprimono l’HLA DQ2 (gli alleliDQα1*0501/DQβ1*02 che insieme formano l’eterodi-mero DQ2). La maggior parte dei pazienti HLA DQ2 ne-gativi, sono invece caratterizzati dalla presenza dell’HLADQ8 (DQα1*03/DQβ1*0302) o di uno soltanto degli al-leli componenti il DQ213. È comunque importante sotto-lineare che l’espressione di alleli HLA determina soloparte della suscettibilità genetica della malattia celiaca estudi recenti indicherebbero nei cromosomi 5 e 11 altri fat-tori di rischio genetici di malattia celiaca. Tuttavia, no-nostante numerosi studi genomici siano stati condotti sufamiglie con elevata prevalenza di malattia celiaca, non so-no stati identificati con certezza loci genetici chiaramen-te coinvolti nella patogenesi della malattia celiaca. Inoltre,è da sottolineare che nella popolazione generale europeala frequenza del DQ2 è piuttosto alta (15-30%) ed ovvia-mente solo una piccola percentuale di soggetti sviluppa lamalattia celiaca.

MANIFESTAZIONI CLINICHE

Come già detto, la presentazione clinica della celiachiaviene classificata in “tipica” (diarrea cronica con sintomida malassorbimento o anemia sideropenica), ed “atipica”(manifestazioni extraintestinali). Tuttavia, esiste un’ulte-riore “categoria clinica” costituita dalla celiachia “silen-te”. Si tratta in quest’ultimo caso di pazienti del tuttoasintomatici nei quali la diagnosi viene posta casualmen-te, nel corso di screening sierologici per la ricerca della ce-liachia. Questa evenienza non è in realtà rara, non solo per-ché le ricerche sul territorio si sono moltiplicate ed i pro-grammi di screening sono ormai molto diffusi, ma ancheperché sono note categorie di soggetti ad alto rischio di ma-lattia celiaca nei quali è doveroso eseguire la ricerca sie-rologica di malattia celiaca per porre la diagnosi. Tali“categorie a rischio” includono fra gli altri: i familiari diprimo grado dei celiaci, i pazienti affetti da diabete mel-lito di tipo 1, i pazienti affetti da tiroiditi autoimmuni, i pa-zienti affetti da sindrome di Down, ecc.

La tabella III mostra un elenco delle possibili manife-stazioni cliniche di celiachia. Come si può vedere è im-possibile, in questa sede, soffermarsi su ciascuna di essesia per la loro numerosità che per la complessità. Su al-cuni punti è però opportuno un cenno di approfondimen-to. Del quadro ematologico si è già detto a propositodell’anemia; aggiungiamo che l’anemia sideropenica delpaziente celiaco ha la caratteristica di non rispondere al-la terapia marziale per os. Due studi italiani hanno evi-

TABELLA II. Prevalenza della malattia celiaca in diverse regioni delMondo.

Area geografica Prevalenza di malattia celiaca

Brasile 1:400Danimarca 1:500Finlandia 1:130Germania 1:500Italia 1:184Olanda 1:198Norvegia 1:250Sahara 1:70Slovenia 1:550Svezia 1:190Gran Bretagna 1:112Stati Uniti 1:111Resto del Mondo 1:266

Da Fasano e Catassi12, modificata.

TABELLA III. Sintomi e quadri clinici di presentazione della malat-tia celiaca.

Segni clinici più comuni Segni clinici meno comuni

Adulti Segni clinici generaliAnemia ferro-carenziale Bassa staturaDiarrea Pubertà ritardataBambini Segni gastrointestinaliDiarrea Aftosi orali ricorrentiDistensione addominale Dolore addominale ricorrenteAnemia ferro-carenziale Steatorrea

DispepsiaSegni extraintestinaliAnemia da carenza di folatiOsteopenia od osteoporosiIpoplasia dello smalto dentarioDeficit di vitamina KIpertransaminasemiaTrombocitosiArtralgiePolineuropatiaEpilessia occipitale, atassia InfertilitàAlopeciaAborti ricorrenti

Antonio Carroccio et al.

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denziato che sottoponendo a screening per celiachia pa-zienti venuti all’osservazione per anemia da causa non de-terminata, la frequenza di celiachia era di circa il 5%; en-trambi gli studi documentavano che se si consideravanoi soggetti già trattati con terapia marziale per os e non re-sponsivi al trattamento, la frequenza di celiachia saliva acirca il 20%14,15. Un’altra caratteristica dell’emocromo delpaziente celiaco può essere la piastrinosi (numero di pia-strine > 400 000/mm3) riportata da alcune casistiche nel40-50% dei celiaci al momento della diagnosi16,17. I va-lori di piastrine possono anche superare 1 000 000/mm3,ponendo problemi di diagnosi differenziale con condizionineoplastiche e linfoproliferative18. La patogenesi dellapiastrinosi del celiaco non è del tutto chiara. Ma proba-bilmente hanno un ruolo importante sia la concomitanteanemia, sia l’iposplenismo che è un’altra frequente ca-ratteristica della malattia celiaca19. In ogni caso, anche que-sta manifestazione clinica tende a scomparire dopo l’ini-zio della dieta priva di glutine.

Un’altra manifestazione di interesse internistico sullaquale riteniamo opportuno soffermarci brevemente èl’osteoporosi. Essa è più comune nei soggetti celiaci nontrattati che nella popolazione generale, ed è probabil-mente dovuta ad un deficit di vitamina D, molto comunenei soggetti celiaci al momento della diagnosi. I valori didensità minerale ossea a livello vertebrale sono in media< 30% rispetto alla popolazione generale. La dieta privadi glutine tende a determinare un recupero mineralome-trico che è massimo nel corso del primo anno di dieta, maè stato riportato che anche osservando una dieta corretta,i pazienti celiaci mantengono un tenore calcico dell’ossoinferiore a quello della popolazione generale20,21. Il rischioosteoporotico è identico nei maschi e nelle femmine, maqueste ultime, come ovvio, hanno nel periodo postmeno-pausa un ulteriore calo delle loro concentrazioni di calcioosseo. È rilevante, inoltre, che la severità dell’osteoporo-si è identica nei soggetti con celiachia silente (senza se-gni clinici manifesti) e nei soggetti con manifestazioni cli-niche “tipiche” gastroenterologiche22. Quest’ultima os-servazione comporta due rilevanti conseguenze: a) loscreening sierologico è importante nelle categorie a rischioper una diagnosi precoce di celiachia che eviti/riduca lafrequenza di osteoporosi severa, b) i soggetti con osteo-porosi che non hanno fattori di rischio per tale condizio-ne (ad esempio maschi, giovani donne) devono esserevalutati per una possibile diagnosi di celiachia “atipica”.Oltre ai dati mineralometrici, che potrebbero anche esse-re considerati un “endpoint secondario” di non diretta ri-levanza clinica, è importante ricordare che i pazienti ce-liaci hanno un rischio di frattura del 40% all’età di 70 an-ni, valore questo che è doppio rispetto alla popolazione ge-nerale23.

Un ultimo commento clinico vogliamo dedicarlo agliaspetti ginecologici della malattia celiaca. Le ragazze conceliachia non trattata, hanno un menarca in età più avan-zata rispetto alla popolazione generale24, ed un’amenor-rea secondaria, o una oligomenorrea, è di riscontro alquantofrequente (20-30% dei casi nella nostra esperienza). Datidiscordanti vengono, invece, riportati circa la possibilitàdi una menopausa precoce nei celiaci24,25. Anche la vitariproduttiva è certamente influenzata dalla celiachia; la fre-quenza di aborti è più alta nei celiaci non trattati che nel-la popolazione generale24,25 e la conseguente, ovvia, con-siderazione è che i test sierologici per la diagnosi di ce-liachia devono essere inclusi fra gli esami da eseguire indonne con poliabortività. Inoltre, la gravidanza può esse-re il “fattore scatenante” che determina il manifestarsi deisintomi di celiachia: sia nella nostra esperienza che in let-teratura viene osservato che circa il 10-15% delle nuovediagnosi di celiachia nel sesso femminile, si hanno durantela gravidanza o il puerperio25. È stato, infine, documentatoche l’aderenza alla dieta priva di glutine elimina le pro-blematiche ginecologiche legate alla malattia celiaca25.

LA DIAGNOSI DI MALATTIA CELIACA

I criteri diagnostici della malattia celiaca, al pari degliaspetti clinici, epidemiologici e patogenetici, hanno subitonel corso dell’ultimo decennio un’evoluzione che ha cam-biato alcuni dei comportamenti considerati fino a poco tem-po il “gold standard” per la diagnosi. Una protagonista fon-damentale del cambiamento nell’approccio diagnostico èstata la “sierologia per la malattia celiaca”, cioè l’insiemedei test di laboratorio su sangue che consentono di porreil sospetto di malattia celiaca. Tali test sono, infatti, divenutisempre più affidabili perché dotati, in genere, di ottima sen-sibilità e specificità diagnostica, ed inoltre la maggiorparte di essi sono di semplice esecuzione ed alla portatadi qualsiasi laboratorio. Per tale motivo, i test sierologicivengono eseguiti come esame di primo livello per con-fermare o smentire il sospetto di malattia celiaca ed unaloro eventuale positività determina l’esecuzione dell’esa-me di secondo livello, che rimane l’esame istologico del-la mucosa duodenale. Gli attuali criteri diagnostici si ba-sano su quel che è stato approvato dal gruppo di lavoro del-la Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica (ESP-GHAN) nel 199026. In quella consensus si affermò che ladiagnosi di malattia celiaca doveva basarsi sui cinquecriteri elencati di seguito:- presenza di segni clinici compatibili con la diagnosi dimalattia celiaca;- presenza di test sierologici positivi per malattia celiaca;- presenza di lesioni istologiche dei villi intestinali (atro-fia) alla biopsia duodenale;

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- scomparsa dei sintomi in corso di dieta priva di glutine;- negativizzazione dei test sierologici per malattia celia-ca durante la dieta priva di glutine.

Come si può notare, si tratta di un iter diagnostico cheprevede un lungo follow-up del paziente, per accertare la“glutine-dipendenza” delle alterazioni sierologiche e deisintomi clinici. Si può, tuttavia, osservare che questo pro-tocollo, pur mantenendo nel suo iter la biopsia intestina-le per dimostrare il danno della mucosa duodenale al mo-mento della prima osservazione, non prevede più l’ese-cuzione di ulteriori biopsie nelle differenti fasi della ma-lattia. Si tratta dunque di una semplificazione che rendemolto meno invasivo l’iter diagnostico; in precedenza, ol-tre alla biopsia intestinale iniziale, si eseguiva una se-conda biopsia dopo circa 1 anno di dieta priva di glutine(per dimostrare la normalizzazione dei villi intestinali), eduna terza biopsia dopo la riesposizione al glutine (challengediagnostico per dimostrare la ricomparsa di lesioni isto-logiche intestinali glutine-dipendenti). Dunque, i criteri dia-gnostici più recenti riducono l’importanza della valutazionedell’istologia intestinale, semplicemente perché assumo-no che i test sierologici (e loro variazioni in risposta alladieta priva di glutine) riproducono fedelmente la condi-zione di intolleranza al glutine.

È dunque opportuno che si approfondisca la conoscen-za dei test sierologici per la diagnosi di malattia celiaca og-gi a nostra disposizione.

Test su siero per la diagnosi di malattia celiaca

Numerosi sono i test utilizzati per la diagnosi di malat-tia celiaca: gli anticorpi AGA, gli anticorpi antireticulina,gli anticorpi EmA, gli anticorpi anti-tTG ed altri ancora, me-no frequentemente utilizzati. Noi ci occuperemo dei test chesono di uso più comune e di maggiore utilità nella praticaclinica, soffermandoci dunque su AGA, EmA ed anti-tTG.

Gli anticorpi antigliadina

Gli AGA sono stati scoperti come marker sierologici dimalattia celiaca all’inizio degli anni ’60; con la loro sco-perta e con la possibilità di dosarli con metodo ELISA siè aperta la strada alla diagnosi sierologica per la malattiaceliaca ed allo screening per la malattia. Si tratta di anti-corpi rivolti verso le frazioni della gliadina, una delleprincipali proteine del glutine; essi possono essere sia diclasse IgG che di classe IgA e vengono normalmenteprodotti sia nei soggetti non affetti che negli affetti da ma-lattia celiaca, ma la loro concentrazione è decisamente piùalta nei pazienti con malattia celiaca. In letteratura vi è ge-nerale accordo che la sensibilità del dosaggio associato diAGA IgG ed IgA è molto alta (considerando cioè comepositivo il test anche quando solo uno dei due tipi di an-

ticorpo AGA è presente): le percentuali riportate, in età pe-diatrica, variano fra il 91 ed il 100%, mentre negli adultivengono riportati dati fra il 70 ed il 92%. Tali dati sotto-lineano come il test dia migliori risultati nei bambini,mentre una percentuale più ampia di soggetti adulti affettida malattia celiaca può risultare negativa al dosaggio de-gli AGA. Gli elevati livelli di sensibilità del dosaggio as-sociato di AGA IgG + IgA, sono purtroppo controbilan-ciati da una specificità non molto elevata: essa varia in-fatti fra il 70 ed il 95% nei bambini e fra il 60 ed il 90%negli adulti. In particolare gli AGA possono essere falsa-mente positivi per la diagnosi di malattia celiaca, in pa-zienti affetti da altre intolleranze alimentari, malattia diCrohn, colite ulcerativa, pemfigo, artrite reumatoide, fi-brosi cistica, malattia di Sjogren ed altre malattie au-toimmuni. Quando si considerano separatamente i risul-tati degli AGA delle due classi, quelli IgA risultano cer-tamente più specifici (mediamente attorno al 90%), ma so-no anche i meno sensibili (in media attorno al 70-80%).Gli AGA IgG sono specularmente dotati di una maggio-re sensibilità ma di una minore specificità.

Benché la produzione di AGA da parte del paziente ce-liaco sia oggi guardata come una sorta di epifenomeno conscarse o nulle implicazioni patogenetiche, il dosaggio diquesti anticorpi per l’antigene alimentare ha ancora un suoruolo nella pratica clinica. Infatti, in età pediatrica, entroil primo-secondo anno di vita, è possibile trovare sogget-ti con malattia celiaca di nuova insorgenza che non abbianoancora prodotto gli EmA e che possono invece essere in-dividuati sierologicamente per gli alti livelli di AGA27.

Gli anticorpi antiendomisio

Gli EmA sono attualmente considerati gli anticorpi piùsensibili e specifici per la diagnosi di malattia celiaca28.Si tratta di anticorpi sia di classe IgA che IgG che reagi-scono con strutture connettivali non esattamente precisa-te. Dati degli ultimissimi anni sembrano indicare chel’antigene “riconosciuto” dagli anticorpi EmA sia la pro-teina transglutaminasi, portando così ad una corrispon-denza/identità fra gli EmA e gli anti-tTG29. Tuttavia, il“comportamento clinico” e le indicazioni pratiche ricavabilidalla determinazione degli EmA e degli anti-tTG sono percerti versi differenti. Torneremo, dunque, sul problemadell’identità tra EmA e anti-tTG, soffermandoci per ilmomento sull’uso degli EmA nella diagnostica per lamalattia celiaca.

Gli EmA vengono dosati con metodo di immunofluo-rescenza indiretta e nell’uso più comune si determinanogli EmA di classe IgA che sembrano quelli più sensibilie specifici. La metodica richiede un microscopio per la let-tura della fluorescenza e, soprattutto, un operatore parti-colarmente abile che sappia individuare le deboli positi-

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vità (per non dare risultati falsi negativi) e che non con-sideri i falsi positivi che possono essere dati dalla presenzanel siero del paziente di altri autoanticorpi, principal-mente gli antimuscolo liscio. Si tratta, dunque, di unametodica di laboratorio che è molto operatore-dipenden-te, e questo è il suo maggior limite. Peraltro, la sua accu-ratezza diagnostica è in genere considerata altissima; siala sua sensibilità che la specificità si avvicinano, secon-do la maggior parte degli autori, al 100%30-32. In partico-lare, la specificità degli EmA è certamente molto eleva-ta: i risultati falsi positivi vengono segnalati quasi aned-doticamente come “case report” o rarissimamente nelcontesto di qualche studio clinico. Qualche caso di falsapositività è stato riportato in pazienti con giardiasi inte-stinale o con tiroidite autoimmune, ma anche in questi ca-si non è stato del tutto escluso che i pazienti studiati aves-sero una condizione di celiachia latente33-35. In ogni ca-so i rarissimi risultati falsi positivi sono sempre a titolo bas-so. La sensibilità degli EmA viene, in genere, considera-ta prossima al 95-100%; tuttavia, qualche recente segna-lazione ha sottolineato come la positività degli EmA siadirettamente proporzionale all’entità del danno della mu-cosa intestinale. I casi istologicamente più severi, carat-terizzati da atrofia totale o subtotale dei villi, hanno gliEmA quasi costantemente positivi; nei casi con danno in-testinale modesto (atrofia lieve o soltanto presenza di in-filtrato infiammatorio) gli EmA possono non essere po-sitivi. Questo aspetto è stato stressato in particolare daRostami et al.36 che hanno documentato nei casi in cui viè un danno intestinale molto lieve una sensibilità degliEmA attorno al 30%. Benché questo dato percentualeappaia eccessivamente basso, occorre dire che la nostraesperienza conferma il rapporto fra entità di danno isto-logico e sensibilità degli EmA; suggeriamo dunque diconsiderare pressoché certa una diagnosi di celiachia in pre-senza di EmA positivi, ma di non escluderla con certez-za in presenza di EmA sierici negativi. A tal proposito, ab-biamo recentemente dimostrato che se gli EmA vengonodosati nel terreno di coltura di una biopsia intestinale laloro sensibilità diagnostica aumenta notevolmente in con-fronto con il dosaggio su siero37. La spiegazione di que-sto dato di laboratorio è peraltro semplice se si conside-ra che la sede primaria (probabilmente unica) di produzionedegli EmA è la mucosa intestinale e da questa sede essivengono poi immessi in circolo38. Un danno intestinale lie-ve, dunque, può determinare una produzione di EmA a bas-so titolo, tale da non essere evidenziabile su siero, ma daessere identificata direttamente nella coltura di tessutointestinale. Dunque, abbiamo a disposizione un’altra mo-dalità di valutazione della produzione di EmA che appa-re più sensibile della determinazione su siero e che può aiu-

tare a dirimere alcuni casi con sierologia dubbia o conaspetto istologico duodenale senza una chiara atrofia.

Un ulteriore aspetto dell’uso diagnostico degli EmA ècostituito dalla determinazione degli EmA di classe IgG.Si tratta di un metodo interessante perché fra i pazienti conmalattia celiaca vi è un’elevatissima frequenza di deficitdi IgA (circa 1 caso su 50 pazienti) e quindi i test che ri-cercano anticorpi di tipo IgA possono risultare falsamen-te negativi. Dunque, il dosaggio degli EmA di classe IgGtrova applicazione nell’escludere una mancata diagnosi perdeficit di IgA (a tal proposito è sempre raccomandabilequalora persistano dubbi, il dosaggio delle IgA totali).Inoltre, Picarelli et al.39 hanno evidenziato che gli EmAdi classe IgG risultano positivi in un sottogruppo di pazienticeliaci che, pur non avendo un deficit di IgA, hanno unanegatività degli EmA di classe IgA. Dunque, la determi-nazione di entrambe le classi di EmA (IgA ed IgG) au-menta ulteriormente l’accuratezza diagnostica dell’usodel test.

Gli anticorpi antitransglutaminasi

La storia degli anticorpi anti-tTG è molto recente e co-stituisce una delle “pietre miliari” degli attuali sviluppi nel-le conoscenze relative alla malattia celiaca. Infatti, solo nel1999 Dieterich et al.29 descrissero in un articolo pubbli-cato su Nature Medicine la presenza di autoanticorpi neisieri dei pazienti celiaci che reagivano con la proteina tis-sutale transglutaminasi; era di estremo interesse l’osser-vazione che i sieri dei pazienti, preadsorbiti con trans-glutaminasi, perdevano la loro positività per gli EmA: di-mostrazione che gli anticorpi anti-tTG erano identici agliEmA. Inoltre, lo stesso articolo dimostrava una perfetta cor-relazione diretta fra titolo (concentrazione) degli EmA evalori di anticorpi anti-tTG, supportando così ulterior-mente l’identità EmA-anti-tTG. Questi autoanticorpi era-no sia di classe IgG che IgA, ma solo questi ultimi appa-rivano di particolare utilità diagnostica. La scoperta del-la transglutaminasi come autoantigene della malattia ce-liaca ha aperto immense vie alla conoscenza dei mecca-nismi patogenetici della malattia celiaca, implicava nuo-vi possibili approcci perfino in campo terapeutico e pro-metteva di rivoluzionare la diagnostica sierologica della ma-lattia. L’implicazione clinica più immediata della scoper-ta degli anti-tTG era, infatti, la realizzazione di un test sie-rologico con metodo ELISA per il dosaggio degli anticorpianti-tTG. Si è potuto cioè realizzare dei kit commercialiche avessero la proteina transglutaminasi come substra-to, dosando con metodo di immunoassorbimento la pre-senza degli anticorpi anti-tTG nei sieri dei pazienti. Ilvantaggio più considerevole di tale metodica consistenella completa automatizzazione del sistema di dosaggio:

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il metodo ELISA consente infatti di esprimere con un“semplice numero” la concentrazione degli autoanticor-pi anti-tTG presenti nel siero e, stabilendo dei cut-off dinormalità nella popolazione non celiaca, si può imme-diatamente identificare i pazienti con valori di tTG supe-riori alla norma. Come si può notare, il vantaggio è par-ticolarmente rilevante nei confronti degli EmA che, comegià detto, sono soggetti ad un’interpretazione soggettivae sono dunque molto “operatore-dipendenti”. Si è così gra-dualmente avanzata l’ipotesi di utilizzare i più “obiettivi”anti-tTG in sostituzione degli EmA, sottolineando ancheil vantaggio che deboli positività per gli anticorpi anti-tTGpotevano essere evidenziate dal nuovo metodo in ELISA,mentre potevano essere non rilevate dalla lettura degliEmA. Tali suggerimenti venivano supportati da altri lavoriclinici che mostravano un’eccellente accuratezza dia-gnostica degli anti-tTG40,41. In generale, la sensibilità de-gli anti-tTG è stimata variabile fra il 93 ed il 98% e la lo-ro specificità fra il 94 ed il 99%, con un’accuratezza dia-gnostica prossima al 95%42. Tuttavia, molte evidenze sisono andate accumulando per meglio comprendere il si-gnificato dei valori di anti-tTG oltre la norma e per sot-tolineare l’importanza che hanno i diversi kit commercialinel determinare l’accuratezza del test. Infatti, dopo un’ini-ziale segnalazione di anti-tTG positività in pazienti con ma-lattie epatiche autoimmuni e senza malattia celiaca43, unnostro studio sistematico su pazienti consecutivamente os-servati per ipertransaminasemia (prevalentemente dovu-ta ad infezione da HCV) mostrava che circa il 10% di es-si risultava positivo per gli anticorpi anti-tTG, ma nega-tivo per gli EmA44. Nessuno di questi soggetti mostravaun danno dei villi intestinali e si trattava, dunque, di fal-si positivi per anti-tTG. Tuttavia, utilizzando un diversokit con transglutaminasi umana ricombinante (come an-tigene nel sistema ELISA) non si aveva più alcuna falsapositività. Questa interpretazione della falsa positività,esclusivamente legata all’antigene utilizzato, non è peròdel tutto esauriente. Un altro studio su una seconda seriedi pazienti con ipertransaminasemia, ha mostrato che an-che utilizzando il sistema ELISA basato su transglutami-nasi umana, si ha l’evenienza di falsi positivi45. Consi-derando che l’ipertransaminasemia è riportata in oltre il40% dei pazienti con malattia celiaca5,6 e che essa può an-che essere l’unico sintomo/dato di laboratorio di presen-tazione della malattia celiaca, il riscontro di questi falsi po-sitivi per anti-tTG proprio in questi soggetti costituisce unlimite di cui tener conto. Analogamente, è interessante lasegnalazione di falsi positivi per anti-tTG in pazienti conmalattia di Crohn; anche in questo caso per le possibili so-miglianze nella presentazione clinica fra malattia celiacae morbo di Crohn, è ben importante tener presente la non

assoluta specificità del kit per anti-tTG. In generale, ap-pare evidente che vi possono essere false positività insoggetti con malattie autoimmuni46,47. La spiegazionebiologica di queste false positività potrebbe risiedere nel-la considerazione che la transglutaminasi è una proteinapressoché ubiquitaria che ha un ruolo importante nei pro-cessi di “riparazione cellulare” e nei fenomeni apoptoti-ci; è dunque possibile che nel corso di patologie caratte-rizzate da “attivazione esasperata” del sistema immunitario,associata ad aumentata apoptosi, si formino degli anticorpianti-tTG. Benché studi molto eleganti sembrino aver con-fermato l’identità fra anti-tTG ed EmA48, è interessante ri-cordare che nessuno dei falsi positivi per anti-tTG ri-scontrati negli studi da noi precedentemente citati, è ri-sultato anche positivo per EmA. Ciò, indipendentementedal “giudizio biologico” sull’identità fra EmA e anti-tTG,induce a considerare gli EmA molto più specifici degli an-ti-tTG. In particolare, poiché i falsi positivi per anti-tTGlo sono a valori non molto superiori al cut-off (in generemai > 1.5 volte il limite della norma, nella nostra espe-rienza), riteniamo opportuno suggerire per i casi con “de-bole” positività per anti-tTG, un “test di conferma” perEmA; solo se anche gli EmA risultassero positivi si pro-cederebbe senza indugio alla biopsia duodenale.

Da notare, infine, che come per gli EmA, alcuni auto-ri hanno esperienza dell’utilità di ricercare gli anticorpi an-ti-tTG di classe IgG, essendoci pazienti con malattia ce-liaca che sono negativi per gli anti-tTG IgA, ma positiviper gli anti-tTG IgG.

La tabella IV riassume sensibilità e specificità dei testsierologici per la diagnosi di malattia celiaca, in accordocon i dati presenti in letteratura.

La biopsia intestinale

La biopsia intestinale per lo studio istologico della mu-cosa della seconda-terza porzione duodenale costituisceancor oggi un elemento indispensabile alla diagnosi di ma-lattia celiaca. È stata discussa l’opportunità che la biopsiarimanga obbligatoria nel formulare la diagnosi di malat-tia celiaca31,49, ma pur con qualche divergenza di opinio-ne, la maggior parte degli autori considera tuttora indi-spensabile questo passo. Fra i fautori della non assolutanecessità della biopsia intestinale, due argomenti vengo-no principalmente avanzati: 1) la sierologia (anti-tTG edEmA) è così accurata nella diagnosi che ci si può affida-re soltanto ad essa, 2) non sempre i soggetti con malattiaceliaca presentano un quadro di atrofia dei villi intestinalie l’istologia non può quindi chiarire ogni dubbio. I fautoridella biopsia in ogni caso (e noi, fino ad oggi, fra questi)rispondono alla prima osservazione citando i dati su espo-sti sulla non assoluta specificità degli anti-tTG e sulla

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sensibilità degli EmA nei casi con non severo danno mu-cosale. Circa la seconda osservazione, cercheremo dichiarire i diversi aspetti istologici intestinali per megliocomprendere l’utilità della biopsia.

La biopsia “endoscopica” ha l’indubbio vantaggio di po-ter essere eseguita nel corso di un esame che fornisceall’operatore numerose altre informazioni su possibili pa-tologie concomitanti; inoltre, l’endoscopista può decide-re di eseguire la biopsia duodenale, anche in assenza di unprecedente sospetto clinico o sierologico, soltanto basan-dosi sull’aspetto endoscopico del duodeno. È stato infat-ti dimostrato che i pazienti affetti da malattia celiaca han-no molto frequentemente una notevolissima riduzionedelle pliche duodenali50 con un aspetto della mucosa cheviene definito a “scallopping”. Dunque può essere lo stes-so operatore che, di fronte ad un quadro endoscopico so-spetto per malattia celiaca, decida di eseguire biopsieduodenali per una conferma istologica. La raccomanda-zione indispensabile è comunque quella di non conside-rare l’aspetto endoscopico come il “gold standard” dia-gnostico: la biopsia va sempre eseguita secondo quelle chesono le richieste del clinico che ha valutato sierologia e ma-nifestazioni cliniche. Altra raccomandazione fondamen-tale per l’endoscopista è che vengano eseguite da tre a cin-que biopsie in siti differenti; è stato infatti dimostrato chela malattia celiaca si presenta con lesioni patch51 (non con-tinue, non identiche in ogni segmento intestinale). Dunqueun singolo campione bioptico può anche essere normalein un paziente affetto da malattia celiaca, mentre più cam-pioni garantiscono una conclusione istologica affidabile.Un altro aspetto tecnico rilevante nella valutazione isto-logica è, poi, legato all’orientamento del frammento di mu-cosa subito dopo averlo staccato dalla pinza bioptica. Labiopsia deve essere distesa in modo da offrire superior-mente la superficie luminale della mucosa intestinale: so-lo in questo modo si può essere certi che la successiva in-clusione e le sezioni per l’esame istologico diano prepa-rati adeguati.

Ma come deve essere valutata una biopsia duodenale perporre o escludere la diagnosi di malattia celiaca? Diciamosubito che non in tutti i pazienti con malattia celiaca vi èun quadro istologico di atrofia dei villi; vi possono esse-re lesioni molto meno severe, caratterizzate esclusiva-mente da un ricco infiltrato infiammatorio, senza altera-zioni di villi e cripte intestinali. La più diffusa classifica-zione del danno intestinale nella malattia celiaca venne pro-posta da Marsh52, tuttavia, quella classificazione aveva iltorto di non differenziare i diversi gradi di atrofia della mu-cosa intestinale. A modificare tale classificazione, suddi-videndo in diverse categorie i diversi gradi di atrofia, è in-tervenuta una successiva proposta che, a nostro avviso, sod-disfa meglio le necessità di clinici e patologi53. La figura1 illustra, infatti, i diversi e progressivi quadri di danno deivilli intestinali, osservabili nella malattia celiaca. Unaspetto istologico che è importante rimarcare è che l’iden-tificazione “atrofia dei villi intestinali = celiachia” non èin realtà corretta. Esistono, infatti, varie e non rare con-dizioni patologiche diverse dalla malattia celiaca, che sipresentano con un danno dei villi intestinali; fra esse,molto frequente in età pediatrica l’intolleranza alle proteinedel latte vaccino ma anche, sia nell’adulto che nel bam-bino, la poliallergia/intolleranza alimentare, la malattia diCrohn, la giardiasi intestinale, ecc. Dunque un quadroistologico di danno dei villi non deve essere automatica-mente interpretato come diagnostico per malattia celiaca.Peraltro è vero anche l’esatto contrario: presenza di villiintestinali normo-conformati non equivale ad esclusionecerta di malattia celiaca; è stato, infatti, già accennatoche esistono condizioni di celiachia con lesioni istologi-che caratterizzate dal solo infiltrato infiammatorio dellamucosa e della lamina propria, senza alterazioni struttu-rali dei villi. In questi casi, la conferma del sospetto di ma-lattia celica (clinico e/o sierologico), non può veniredall’istologia ma solo dal follow-up clinico del pazienteed, in particolari casi, da ulteriori esami complementari (ri-sposta alla dieta priva di glutine ed al challenge con glu-tine, variazioni sierologiche, EmA-biopsy, tipizzazioneHLA per la ricerca degli antigeni predisponenti alla ma-

TABELLA IV. Sensibilità, specificità e valore predittivo positivo e negativo dei test sierologici per malattia celiaca di uso più comune.

Test sierologici Sensibilità Specificità Valore predittivo (%)(%) (%)

Positivo Negativo

EmA sierici (immunofluorescenza indiretta) 85-98* 97-98 98-100 80-95ELISA con tTG di guinea pig 95-98 94-95 91-95 96-98ELISA con tTG umana 93 99 99 93Antigliadina IgA 75-90 82-95 28-100 65-100Antigliadina IgG 69-85 73-90 20-95 41-88

EmA = antiendomisio; Ig = immunoglobulina; tTG = transglutaminasi.* la sensibilità viene considerata inferiore in pazienti con lesioni di mucosa non gravi (atrofie parziali o quadri infiltrativi).

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lattia celiaca). Anche in questi casi di difficile diagnosi,l’istologia può comunque dare dei contributi ulteriori;studi immunoistochimici consentono infatti la conta deilinfociti intraepiteliali CD3 e dei linfociti γ/δ. Nei pa-zienti con malattia celiaca, entrambi questi sottotipi linfo-citari sono aumentati di numero; benché sia ovvio suggerireche queste più accurate valutazioni vengano fatte presso“laboratori di riferimento”, possiamo dire che un nume-ro di CD3 > 20 u 100 cellule epiteliali ed un numero diγ/δ > 3.2 u 100 cellule epiteliali sono indicativi di con-dizione infiammatoria e suggestivi di malattia celiaca54,55.

Da quanto detto, si può concludere che la biopsia inte-stinale rimane un elemento fondamentale per la diagnosiperché costituisce, insieme ai marker sierologici di malattiaceliaca, alla clinica ed alla genetica, uno dei tasselli indi-spensabili; è però possibile affermare che l’aspetto istolo-gico non sia “il giudice unico” al quale fare riferimento perporre od escludere una diagnosi di malattia celiaca.

PATOLOGIE ASSOCIATE E COMPLICANZE

DELLA CELIACHIA

La tabella V elenca alcune delle malattie associate allamalattia celiaca e delle complicanze della malattia.

La dermatite erpetiforme potrebbe essere considerata,più che una patologia associata, una manifestazione ga-stroenterologica della malattia celiaca. Nelle tipiche lesionicutanee di questi pazienti gli studi di immunofluorescen-

FIGURA 1. Spettro degli aspetti istologici delle biopsie duodenali: dalla “norma-lità” all’atrofia totale. A: aspetto normale di villi e cripte ed assenza di infiltratoinfiammatorio; B: aspetto di iniziale atrofia dei villi e presenza di infiltrato in-fiammatorio (numero di linfociti intraepiteliali > 40/100 cellule epiteliali); C: atro-fia parziale dei villi intestinali; D: atrofia subtotale dei villi.Da Fasano e Catassi12, modificata.

A ,B

C D

TABELLA V. Patologie associate e complicanze della malattia celiaca.

Patologie associate Complicanzealla malattia celiaca

Dermatite erpetiforme Sprue refrattariaDeficit di IgA Enteropatia associata

a linfoma a cellule TDiabete tipo I Digiuno-ileite ulcerativaPatologie autoimmuni Sprue collagenosicadella tiroideMalattia di Sjogren Carcinoma dell’orofaringe,

esofago e piccolo intestinoArtrite reumatoide Linfoma intestinale T cellulareSindrome di Down Linfoma non HodgkinSindrome di TurnerMiocardiopatia dilatativaNefropatia da IgAVasculitiEpatiti e colangiti autoimmuni LES ed altre collagenopatie

Ig = immunoglobulina; LES = lupus eritematoso sistemico.

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za dimostrano gli immunocomplessi IgA, tipici della reat-tività alterata alla gliadina. Inoltre, le lesioni cutanee, co-me il danno intestinale del celiaco, sono glutine-dipendenti,tendendo a scomparire in corso di dieta priva di glutine.Un’evidente associazione è riportata fra varie malattieautoimmuni e la malattia celiaca; ciò è probabilmentedovuto all’aumentata frequenza di manifestazioni di au-toimmunità nei soggetti che hanno un HLA DR3 e DQ2.Fra le associazioni più frequenti vi è quella con il diabe-te mellito di tipo 1, la cui prevalenza nei soggetti con ma-lattia celiaca è riportata fra il 6 e l’8%. Molto frequente èanche l’associazione con le tiroiditi autoimmuni (2-4%).Più elevata che nella popolazione generale è la frequen-za delle connettiviti in genere, dell’epatite autoimmune,della cirrosi biliare primitiva, della colangite sclerosante,delle malattie infiammatorie croniche intestinali e delle in-terstiziopatie fibrosanti polmonari56. Frequente è anche lapresenza di malattia celiaca nei pazienti con sindrome diDown o sindrome di Turner, così come un rischio 10 vol-te maggiore rispetto alla popolazione generale è registra-to nei soggetti affetti da deficit selettivo di IgA57. Moltodibattuto è il rapporto fra malattia celiaca ed insorgenzadi patologie autoimmuni associate; alcuni autori hanno in-fatti suggerito che la prolungata esposizione al glutine neipazienti affetti da malattia celiaca determini l’insorgere del-le altre patologie autoimmuni e che, quindi, una diagnosiprecoce potrebbe evitare tali “complicanze”58. Questa os-servazione, non ha trovato successivamente conferma inaltri studi59,60 e non corrisponde alla nostra personale espe-rienza. Tuttavia, è ovvio che altre ricerche debbano ap-profondire questo interessante aspetto della malattia celiaca.

Fra le complicanze della malattia celiaca, non crediamodebbano essere annoverati i deficit di disaccaridasi inte-stinali, primo fra essi il deficit di lattasi, che sono tipici diqualsiasi severo danno della mucosa intestinale e che ten-dono a scomparire con la normalizzazione dell’epitelio in-testinale, in corso di dieta priva di glutine. È peraltro ov-vio che alcune condizioni, come il deficit di lattasi, sonocosì frequenti nella popolazione adulta, che possono co-esistere con la malattia celiaca a prescindere dall’evolu-zione clinica della celiachia. Una vera complicanza del-la malattia celiaca è invece la “sprue refrattaria”; essa è ca-ratterizzata dal persistere dell’atrofia dei villi intestinali edal quadro clinico di malassorbimento ad essa connesso,pur se il paziente rispetta correttamente la dieta priva diglutine61. La diagnosi di sprue refrattaria è una diagnosidi esclusione: definita come un’enterite severa, sintoma-tica che non risponde ad una dieta rigorosamente osser-vata per almeno 6 mesi e che non può essere ricondotta adaltre cause di enteropatia o a linfoma intestinale. I pazienticon sprue refrattaria hanno un elevato rischio di compli-canze come il linfoma a cellule T associato a celiachia, la

digiuno ileite ulcerativa, e la sprue collagenosica62. Circail 75% di questi pazienti hanno cloni abberranti di popo-lazioni di cellule T intraepiteliali. Queste cellule hanno pro-prietà distruttive correlate con il loro fenotipo citotossicoche induce ulcerazioni della mucosa e frequentementeprogressione verso il linfoma63. Pazienti con sprue re-frattaria possono talvolta richiedere trattamento con ste-roide o altri immunosoppressori, come azatioprina o ci-closporina e a volte nutrizione parenterale64.

È sempre raccomandabile una stretta aderenza alla die-ta priva di glutine che in alcuni studi sembra ridurre il ri-schio di sviluppare neoplasie correlate con la malattiaceliaca.

IL TRATTAMENTO DELLA MALATTIA CELIACA: LA DIETA PRIVA DI GLUTINE

Un totale astenersi, per tutta la durata della vita, dal con-sumo degli alimenti contenenti glutine rimane la pietra mi-liare del trattamento della malattia celiaca. La dieta ri-chiede, ovviamente uno sforzo educativo ed informativorivolto al paziente, da parte dei medici che lo assistono.Da questo punto di vista, gli aspetti psicologici del pro-blema hanno una grandissima importanza perché non è in-frequente che il paziente non “accetti” la malattia e vivacon estrema difficoltà le restrizioni dietetiche, tendendoad infrangere le regole suggerite.

Un problema ancora dibattuto è se esista una minimaquantità di glutine che può essere accettata come soglia dideterminismo del danno intestinale e studi su questo ar-gomento sono tuttora in corso. Occorre ricordare che lagliadina, la proteina tossica per i celiaci è una frazione delglutine del frumento ed è contenuta in proteine simili(prolamine) presenti in altre graminacee. Le prolamine sitrovano in un’ampia serie di cereali, per cui la sempliceeliminazione del frumento dalla dieta non esclude che sipossa assumere la proteina tossica; oltre al frumento, se-gale e orzo sono le principali fonti dei peptidi tossici peri celiaci. Recenti studi hanno, invece, dimostrato che,contrariamente a quanto assunto per moltissimi anni,l’avena è un cereale non tossico e può essere consumatotranquillamente dai celiaci65. Il triticale (cereale incrociatoda frumento e segale), il kamut ed il farro sono altri ce-reali tossici. Tossici sono anche tutti i cibi derivati dal fru-mento o contenenti “germi” del frumento: fra essi, il se-molino, il cuscus, ecc. È tossico anche il malto perché es-so deriva da una parziale idrolisi delle prolamine dell’or-zo (100 g di malto contengono 100-200 mg di prolaminedi orzo); questo implica che i superalcolici contenentimalto devono essere esclusi dalla dieta del celiaco. Quelloche, tuttavia, va sottolineato è che oltre alle regole “evi-denti”, la dieta del celiaco deve fare i conti con le presenze

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occulte di glutine in cibi che potrebbero sembrare del tut-to innocui. È il caso di gelati, anche di frutta, nei quali ami-do o farine vengono usati come addensanti, di salumi(prosciutto cotto, mortadella, salami) che nei processi dilavorazione possono essere contaminati con derivati delfrumento, e di molti altri alimenti. L’attenzione del pazienteceliaco (e le sue ovvie difficoltà) devono quindi essere ri-volte anche, e soprattutto a queste presenze “occulte” dicontaminanti. Similmente, l’uso di farmaci i cui ingredienti

inattivi possono contenere glutine può costituire un pro-blema. Un valido ausilio al paziente celiaco che deve di-stricarsi nella “giungla” del consentito e non consentito vie-ne, in Italia, dall’associazione di pazienti e familiari chesvolge un ruolo informativo ed educativo notevole, sup-portando in parte le difficoltà dei pazienti. La tabella VIriassume un elenco degli alimenti che i pazienti affetti daceliachia possono consumare con assoluta tranquillità,quelli che devono evitare e quelli che possono esseredubbi.

Sul piano puramente farmacologico, l’uso di vitamine(vitamina B12, folati, vitamina D, ecc.) o di minerali (fer-ro, calcio, magnesio, ecc.) può essere utile nei primi me-si dopo la diagnosi, se le condizioni del paziente (stato ca-renziale) lo richiedono. La terapia steroidea, pur qualchevolta utilizzata nella pratica clinica nei casi di mancata olenta risposta iniziale alla dieta, non ha motivo reale di uti-lizzazione. In un numero molto limitato di casi, può coe-sistere un transitorio deficit di funzionalità pancreatica checontribuisce al malassorbimento e non consente il rapidorecupero clinico66,67. Tale deficit normalmente si risolvein corso di dieta priva di glutine, ma può richiedere o al-meno giovarsi di un periodo di trattamento con enzimi pan-creatici sostitutivi68. È ovvio che eventuali patologie as-sociate alla malattia celiaca, richiederanno ciascuna ilsuo specifico trattamento.

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TABELLA VI. Elenco degli alimenti vietati, di quelli sospetti e diquelli consentiti nella dieta dei pazienti celiaci.

Alimenti vietatiGrano, orzo, segale, malto, farro, avenaLiquori distillati dai cereali suddetti (whisky, vodka, birra, gin, te-quila, alcool puro) Lievito non garantitoAlimenti sospetti*Formaggi cremosi, morbidi o spalmabiliRicottaCrema di yogurtProsciutto cotto, salami morbidi, mortadella, wurstel, zampone, co-techinoPesce surgelato confezionato a fettinePatatine da friggere surgelatePassata di pomodoroDadi per il brodoSucchi di frutta “densi”Budini, dessertFrutta sciroppataMarmellateGelati, ghiaccioliCaramelle, chewing-gumAlimenti che contengono amido non specificatoAlimenti che contengono gelatineAlimenti permessiRiso MaisPatateCarnePesce fresco e surgelato interoTonno sott’olioUova, latte, panna, yogurt bianco, mozzarella, formaggi a pasta duraProsciutto crudo, speck, pancetta, lonza, bresaolaLegumiVerdura ortaggi (freschi, sott’olio, in salamoia)Frutta, frutta secca con guscioAceto di vino, vino, derivati del vino: brandy, cognac, grappa,champagne, spumanteRhumOlio, margarina, burro, grasso di maiale, spezieCoca-cola, aranciata, pompelmo, ananas 100%Cioccolato fondente MieleProdotti privi di glutine disponibili in farmaciaLievito disponibile in farmacia

* alimenti che non dovrebbero contenere i cereali vietati i quali potrebberoessere usati per le loro qualità addensanti.Per gentile concessione del Prof. A. Picarelli, Università degli Studi “LaSapienza” di Roma.

Antonio Carroccio et al.

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Per la corrispondenza:Dr. Antonio Carroccio, Cattedra di Medicina Interna, Università degli Studi, Policlinico, Via del Vespro 141, 90127 Palermo. E-mail: [email protected]

Antonio Carroccio et al.

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QUESTIONARIO PER ECM

1. Quale fra i seguenti sintomi/segni è il più frequente nella presentazione clinica di malattia celiaca?

l Diarrea

l Scarso accrescimento

l Ipoalbuminemia

l Anemia

2. La celiachia è di più comune riscontro nei pazienti affetti da: (si possono segnare più risposte)

l Sindrome di Down

l Diabete mellito di tipo 2

l Tiroidite autoimmune

l Poliposi del colon

3. Il test più specifico per la diagnosi di celiachia è:

l Anticorpi antigliadina IgA

l Anticorpi antiendomisio IgA

l Anticorpi antigliadina IgG

l Anticorpi antitransglutaminasi IgA

4. La biopsia intestinale deve essere ripetuta dopo 1 anno di dieta, in caso di:

l Presentazione clinica atipica

l Presentazione clinica con stipsi

l Negatività degli anticorpi al momento della diagnosi

l Assenza degli alleli HLA DQ2

5. Quali tra queste sono complicanze della celiachia? (anche più di una)

l Carcinoma tiroideo

l Digiuno-ileite ulcerativa

l Carcinoma duodenale

l Linfoma di Hodgkin

6. Quale fra le seguenti affermazioni è vera?

l L’osteoporosi si può escludere in soggetti celiaci in sovrappeso alla diagnosi

l L’osteoporosi del celiaco può necessitare di trattamento con vitamina D

l Nonostante il deficit di calcio osseo, non è dimostrato un più alto rischio di fratture

l L’osteoporosi non si osserva mai nei celiaci in età pediatrica

Ann Ital Med Int Vol 19, N 1 Gennaio-Marzo 2004

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SEGUE QUESTIONARIO PER ECM

7. Quale fra questi fattori è maggiormente importante nel determinare l’anemia?

l Deficit di folati

l Deficit di vitamina B12

l Deficit di ferro

l Anticorpi anticellule parietali

8. L’ipertransaminasemia del celiaco è solitamente caratterizzata da:

l Coesistenza di indici di colestasi alterati

l Valori di ALT/AST > 2 volte la norma

l Quadro istologico di fibrosi epatica

l Normalizzazione entro 6 mesi dall’inizio della dieta priva di glutine

9. Falsi positivi di antitransglutaminasi si possono osservare più di frequente in pazienti con:

l Tiroidite

l Diarrea da insufficienza pancreatica

l Epatopatia cronica

l Anemia sideropenica

10. La biopsia intestinale del celiaco è:

l Sempre caratterizzata da atrofia dei villi

l Con aspetto istologico specifico al 100%

l Con quadri differenti in diverse sedi intestinali

l Caratterizzata da infiltrato eosinofilo

11. Quale fra questi alimenti è assolutamente sicuro nella dieta del celiaco?

l Formaggio fuso

l Gelato alla fragola

l Orzo

l Riso

12. Quale fra le seguenti affermazioni a proposito della terapia nei 3 mesi successivi alla diagnosi è corretta?

l Gli steroidi sono necessari in circa il 40% dei pazienti

l La terapia con ferro non è mai necessaria

l I preparati con enzimi pancreatici possono essere utili

l Gli immunosoppressori possono essere necessari