lezione 1, 16/09/131° fase: il quadro ambientale predomina sul quadro sociale, determinando il modo...

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LEZIONE 1, 16/09/13 La pianificazione territoriale, come tutte le discipline legate al territorio, appartiene al settore disciplinare delle SCIENZE SOCIALI: non ci sono infatti leggi che codificano il comportamento umano, il quale non è riconducibile a modelli fisico-matematici. Analogamente, anche l’economia ricade nello stesso settore: benché, infatti, sia ricca di leggi, non c’è un’unica soluzione ai problemi posti. Economia e Urbanistica hanno in comune la POLITICA, che decide in entrambi i capi avvalendosi più o meno del supporto dei tecnici: di fatto, le due discipline sono riconducibili a scelte politiche. POLITICA = dimensione delle decisioni collettive che riguardano il bene pubblico. Le decisioni che riguardano l’assetto del territorio sono, pubbliche: la dimensione politica raccoglie molteplici interessi privati che devono trovare comprensione. REGIONE Nell’urbanistica, prima ancora di parlare di Territorio, si è parlato di Regione, secondo 3 differenti approcci: Regione NATURALE: coincide con una parte di superficie terrestre con caratteristiche morfologiche specifiche (ad esempio bacino idrografico, piana alluvionale, ecc…). La regione in questa accezione è contraddistinta univocamente da tali caratteristiche, e condizione le pratiche sociali e i modelli insediativi: si tratta quindi di un APPROCCIO DETERMINISTICO tipico dell’800, secondo il quale la natura si comporta da DEUS EX MACHINA, da VARIABILE INDIPENDENTE che pone freni o stimoli alle trasformazioni messe in atto dall’uomo, che non può modificare i fattori ambientali e si lascia condizionare da essi. Esempi: 1. Città tibetane e montane arroccate su monti e colli per evitare i fenomeni di esondazione nelle piane alluvionali; 2. Contesti collinari caratterizzati da colture per terrazzamenti e in generale il privilegio riservato alle pratiche agricole a scapito dell’insediamento, spesso posizionato in luoghi impervi e inaccessibili; 3. Nomadismo nelle terre desertiche, che tipicamente impediscono la vita sedentaria. Regione UMANA: coincide con una parte di superficie terrestre che interagisce con la società, la quale ha la capacità di piegare alle proprie esigenze e trasformare a proprio piacimento i fattori naturali. La regione in questa accezione è contraddistinta rispetto alle altre per le tecnologie che le società hanno adottato per operare trasformazioni: si tratta quindi di un APPROCCIO POSSIBILISTICO tipico della prima metà del ‘900, periodo in cui cambiano le condizioni e si creano i presupposti di sviluppo tecnologico che trasforma la società e di conseguenza i fattori ambientali. Si assiste al costruirsi di un MOSAICO REGIONALE, all’interno del quale le regioni si differenziano tra loro per le trasformazioni adottate e non più per le caratteristiche fisico- morfologiche. NB: tale sviluppo tecnologico è la condizione necessaria affinché le società cessino di essere condizionate dalla natura. Esempi: 1. Impianti sciistici e di risalita a La Plagne in Francia e in altri località turistiche anche italiane, in cui si vince l’ambiente impervio della montagna attraverso opportuni mezzi tecnologico-finanziari; 2. Impianti di irrigazione e coltivazione nel deserto del Sahara; 3. Città nel deserto come Las Vegas e le città degli Emirati Arabi, in cui la capacità di manomettere il contesto naturale si traduce nella realizzazione di parchi, aiuole e laghi artificiali; 4. Bonifica della valle dell’Adige al fine di guadagnare terre fertili all’agricoltura.

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Page 1: LEZIONE 1, 16/09/131° FASE: il quadro ambientale predomina sul quadro sociale, determinando il modo di vivere delle popolazioni ed incidendo sul modello insediativo. ... -insediamenti

LEZIONE 1, 16/09/13

La pianificazione territoriale, come tutte le discipline legate al territorio, appartiene al settore disciplinare delle

SCIENZE SOCIALI: non ci sono infatti leggi che codificano il comportamento umano, il quale non è riconducibile a

modelli fisico-matematici.

Analogamente, anche l’economia ricade nello stesso settore: benché, infatti, sia ricca di leggi, non c’è un’unica

soluzione ai problemi posti. Economia e Urbanistica hanno in comune la POLITICA, che decide in entrambi i capi

avvalendosi più o meno del supporto dei tecnici: di fatto, le due discipline sono riconducibili a scelte politiche.

POLITICA = dimensione delle decisioni collettive che riguardano il bene pubblico.

Le decisioni che riguardano l’assetto del territorio sono, pubbliche: la dimensione politica raccoglie molteplici interessi

privati che devono trovare comprensione.

REGIONE

Nell’urbanistica, prima ancora di parlare di Territorio, si è parlato di Regione, secondo 3 differenti approcci:

Regione NATURALE: coincide con una parte di superficie terrestre con caratteristiche morfologiche specifiche

(ad esempio bacino idrografico, piana alluvionale, ecc…).

La regione in questa accezione è contraddistinta univocamente da tali caratteristiche, e condizione le pratiche

sociali e i modelli insediativi: si tratta quindi di un APPROCCIO DETERMINISTICO tipico dell’800, secondo il

quale la natura si comporta da DEUS EX MACHINA, da VARIABILE INDIPENDENTE che pone freni o stimoli alle

trasformazioni messe in atto dall’uomo, che non può modificare i fattori ambientali e si lascia condizionare da

essi.

Esempi:

1. Città tibetane e montane arroccate su monti e colli per evitare i fenomeni di esondazione nelle piane

alluvionali;

2. Contesti collinari caratterizzati da colture per terrazzamenti e in generale il privilegio riservato alle

pratiche agricole a scapito dell’insediamento, spesso posizionato in luoghi impervi e inaccessibili;

3. Nomadismo nelle terre desertiche, che tipicamente impediscono la vita sedentaria.

Regione UMANA: coincide con una parte di superficie terrestre che interagisce con la società, la quale ha la

capacità di piegare alle proprie esigenze e trasformare a proprio piacimento i fattori naturali.

La regione in questa accezione è contraddistinta rispetto alle altre per le tecnologie che le società hanno

adottato per operare trasformazioni: si tratta quindi di un APPROCCIO POSSIBILISTICO tipico della prima metà

del ‘900, periodo in cui cambiano le condizioni e si creano i presupposti di sviluppo tecnologico che trasforma

la società e di conseguenza i fattori ambientali. Si assiste al costruirsi di un MOSAICO REGIONALE, all’interno

del quale le regioni si differenziano tra loro per le trasformazioni adottate e non più per le caratteristiche fisico-

morfologiche.

NB: tale sviluppo tecnologico è la condizione necessaria affinché le società cessino di essere condizionate dalla

natura.

Esempi:

1. Impianti sciistici e di risalita a La Plagne in Francia e in altri località turistiche anche italiane, in cui si

vince l’ambiente impervio della montagna attraverso opportuni mezzi tecnologico-finanziari;

2. Impianti di irrigazione e coltivazione nel deserto del Sahara;

3. Città nel deserto come Las Vegas e le città degli Emirati Arabi, in cui la capacità di manomettere il

contesto naturale si traduce nella realizzazione di parchi, aiuole e laghi artificiali;

4. Bonifica della valle dell’Adige al fine di guadagnare terre fertili all’agricoltura.

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Regione FUNZIONALE: coincide con una parte della superficie terrestre in cui compaiono relazioni di

interdipendenza tra le società insediate.

Julliard: “la regione è lo spazio per soddisfare i bisogni dei suoi abitanti”

La regione in quest’accezione cessa di avere caratteristiche fisiche e diventa un insieme di funzioni, tra loro

correlate e interagenti in modo anche discontinuo sul territorio: si tratta quindi di un APPROCCIO FUNZIONALE,

che prende piede dalla seconda metà del ‘900, secondo il quale la regione è un modo di organizzazione dello

spazio, che può variare a seconda di chi la osserva (Grigg, 1967), ma anche a seconda di cosa è osservato

(mobilità e trasporti, movimenti commerciali, ecc…).

Per questi motivi le regioni funzionali nascono e si dissolvono, perché non fanno riferimento a elementi fisici,

bensì a condizioni in continuo mutamento.

Esempi:

1. Regione funzionale del pendolarismo FIAT;

2. Regioni funzionali di Cleveland e della Silicon Valley, dal cui confronto emerge il successo della

molteplicità di interazioni in ogni parte della regione della SIlicon Valley.

CITTÀ

Esistono diverse dimensioni della città:

FISICA: la città come URBS, entità fisica costituita da un centro cittadino e da un perimetro;

SOCIALE: la città come CIVITAS, il luogo in cui i cittadini si esprimono come una comunità;

POLITICA: la città come POLIS, luogo di scelte di interesse collettivo e di governo;

ECONOMICA: la città come il luogo in cui si svolgono attività extra agricole;

RELAZIONE CON IL CONTESTO;

EVOLUTIVA: la città come forma dominante all’interno della popolazione umana. Per migliaia di anni gli uomini

hanno abitato prevalentemente nelle campagne:

- 1800: viveva nelle città 1/40 della popolazione;

- 1980: 1/4

- 2008: ½

É considerata “città” un insediamento che abbia una popolazione che superi i 20’000 abitanti. Questa definizione non

ha molto senso nella dimensione economica di città, perché sono ormai affermati modelli insediativi del tipo RURAL

TOWN, nei quali la popolazione raggiunge e supera i 20'000 abitanti, eppure si tratta di contesti agricoli e non urbani.

Si preferisce quindi definire “città”:

CITTÀ = insediamento che esprime l’evolversi nel tempo dei caratteri sociali, economici, culturali e politici della società

insediata.

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TERRITORIO

Il concetto di Territorio viene messo a punto negli anni ’70-’80 del ‘900: quello che in precedenza era definito Territorio,

era legato nel mondo anglosassone al concetto di proprietà, di possedimento. Quello che oggi intendiamo come

Territorio si configura invece come un’evoluzione del concetto di Regione.

1. TERRITORIO = prodotto storico di coevoluzione o interazione tra insediamento umano e ambiente, tra natura

e cultura;

2. TERRITORIO = risultato del processo di interazione tra uomo e ambiente.

Per sua stessa natura, il territorio ha carattere MUTEVOLE, perché continuamente muta con le società locali, la cultura,

il progresso, che trasformano senza interruzione l’ambiente in cui la società insiste: per questo il territorio è un ESITO

PARZIALE del processo di trasformazione, in quanto i fattori di cambiamento danno continuamente vita a nuovi esiti.

All’interno del territorio si distinguono:

GEOGRAFIA UMANA: è la società, il motore della trasformazione territoriale finalizzata a soddisfare le sue

esigenze di funzionalità;

GEOGRAFIA FISICA: è l’ambiente naturale, non più vincolo o opportunità della società.

FUNZIONI: attraverso le quali la società locale opera le trasformazioni.

In questi tre aspetti, quindi, si riconosce che nel concetto di Territorio sono confluiti i 3 concetti di regione.

Infine, il territorio ha carattere PLURALE, perché diverse società, interagendo con diversi ambienti naturali, danno

luogo a diverse combinazioni e a diversi territori.

Esempi:

1. Italia: territorio composito che si riflette in un’eterogeneità di sistemi sociali e di sistemi produttivi.

2. Differenti gradi di urbanizzazione nel mondo, e focus su USA; Europa, Italia: la pluralità esiste ad ogni livello,

approfondendo la scala si osservano disomogeneità che non si notano a livello globale (urbanizzazione sulle

coste EST e OVEST degli USA, in Italia, ecc…)

3. Eterogeneità degli insediamenti in USA; a Roma, in ambienti montani e in Africa (oasi nel deserto)

LEZIONE 2, 17/09/13

AMBIENTE INSEDIATIVO = sistema di relazioni tra QUADRO MORFOLOGICO AMBIENTALE, QUADRO SOCIALE e

MATRICE TERRITORIALE.

L’ambiente insediativo è un tassello del mosaico territoriale, un’unità territoriale che si caratterizza per l’interazione

tra elementi socio-economici, morfologici e di evoluzione antropica.

QUADRO MORFOLOGICO AMBIENTALE = insieme dei tratti fisionomici che individuano e differenziano un’area

vasta.

Sono elementi utili a definire il quadro morfologico ambientale di un ambiente insediativo:

Carta delle isoipse;

Rete idrografica → individuazione di aree a rischio idrogeologico;

Solchi vallivi;

Copertura del suolo (classi naturali);

DEM;

Carte pedologiche (=carte dei suoli) → individuazione di suoli fertili per lo sviluppo e la crescita anche in aree

lontane dall’acqua;

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Ecosistemi naturali/seminaturali → salvaguardia della biodiversità;

Paleoalvei → proiezioni sulle future trasformazioni del corso dei fiumi in base alla conoscenza di quelle

passate.

MATRICE TERRITORIALE = insieme dei segni fisici tracciati dalla presenza antropica sul quadro ambientale.

Costituiscono la matrice territoriale tutte le opere sedimentate dalle diverse pratiche sociali, che possono essere

riutilizzate oppure annullate dall’evolversi della società:

Trame insediative (ad esempio quelle di antichi presidi romani in molte città italiane ed europee);

Reti infrastrutturali (reticoli stradali, linee ferroviarie ecc…)

Segni delle proprietà fondiarie;

Confini politico-amministrativi.

CARATTERISTICHE SOCIO-TERRITORIALI

Rientrano in questa definizione tutte le caratteristiche economiche e demografiche della società che insiste sul

territorio

Esempi di quadri sociali:

Tavola di Londra di Abercrombie: tiene conto delle funzioni di ogni parte della città e delle caratteristiche

sociali dei differenti sobborghi;

Tavola di NY: tiene conto delle aree occupate dalle diverse etnie che la abitano, evidenziando la dimensione

interculturale (melting pot) della città.

Analisi delle attività economiche prevalenti (agricola, terziario pubblico/privato, turisimo…), che danno

un’idea della capacità di cambiamento della società in base al contesto;

Indicatori demografici della popolazione;

Analisi della crescita potenziale del valore aggiunto territoriale (= dove può crescere la ricchezza), che

consentono di comprendere la competitività dei sistemi locali;

Carte tematiche dell’ andamento demografico (ad esempio quella dei comuni in Veneto);

NB: i coltivi si collocano a metà strada tra matrice ambientale e quadro morfologico, perché sono un segno

dell’azione dell’uomo sul territorio, ma sono anche frutto delle caratteristiche fisico-morfologiche dell’ambiente

insediativo.

LEZIONE 3, 19/09/13

AMBIENTI INSEDIATIVI IN TRENTINO

QUADRO MORFOLOGICO DEL TRENTINO:

1. Altimetria: nella regione prevale un territorio di montagna, caratterizzato da rilievi e solchi vallivi, lungo i

quali scorrono i corsi d’acqua;

2. Modello digitale di elevazione: si individuano rilievi di fondo valle e conoidi di deiezione

(corpo sedimentario dalla tipica forma a ventaglio generato da un corso d’acqua allo sbocco di

una valle montana in una pianura o in una valle più grande, ed è prodotto dalla sedimentazione del

materiale trasportato dal corso d'acqua quando la corrente rallenta e si espande improvvisamente);

3. Mappa delle ombre in occasione dei solstizi: si osserva una grande differenza tra le aree sottoposte

all’irradiazione solare nei due momenti dell’anno (la destra orografica risulta completamente al buio durante

l’inverno);

4. Clima rigido → indurimento del terreno;

5. Territorio fragile al rischio idrogeologico (Piano di valenza ambientale di Villazzano).

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Il territorio del trentino mostra il passaggio da geografia fisica a geografia umana:

1° FASE: il quadro ambientale predomina sul quadro sociale, determinando il modo di vivere delle

popolazioni ed incidendo sul modello insediativo.

MODELLO INSEDIATIVO = archetipo cui ricondurre diverse modalità di insediative.

MODALITÀ/PRINCIPI INSEDIATIVE/I = regole con cui si sviluppa il processo insediativo che dà origine alla

matrice ambientale

PRINCIPI INSEDIATIVI DEL MODELLO TRADIZIONALE:

1. SICUREZZA nei confronti delle dinamiche fluviali Tra gli insediamenti che rispettano questo primo principio troviamo:

-insediamenti di conoide

-insediamenti di terrazzo (ad esempio quelli della Val di Fiemme)

-insediamento di pendio ( dove il pendio lo consente)

-insediamento a maso:è tipico dell'Alto Adige ed è effetto di un popolamento tedesco. I latini infatti

in genere amano di più la compagnia e tendono ad assemblarsi. Nel maso si ha un unica famiglia (

che però può usare più edifici). Ciò è dovuto anche al fatto che il maso generalmente, per il suo

carattere isolato, è costruito in condizioni impervie in cui impervia è quindi anche la possibilità di

un'attività agricola. Più di una famiglia non potrebbe trovare quindi mezzi di sussistenza.

2. FATTORI CLIMATICI L'ombra costituisce una forte penalizzazione, è quindi opportuno sfruttare zone in cui

l'irradiamento solare è massimo. ( esempio di mappa in cui vengono mostrate le ombre prodotte

dalla luce solare).

Nelle zone in cui si ha una prevalenza di ombra, le temperature sono rigide, il terreno si indurisce

costituendo così un problema per l'agricoltura. Tutto ciò rappresenta un fattore non invitante per

gli insediamenti. (nell'esempio precedente del maso allo svantaggio dato dalla scomodità e

dall'isolamento, si unisce, da questo punto di vista, il vantaggio del grande irradiamento solare che

consente di coltivare anche ad alte altitudini.)

3. FRAGILITA' del territorio di montagna (attenzione verso i processi ambientali) Es: tavola Villazzano che mostra il rischio idrogeologico. La parte storica è in sicurezza, mentre le

recenti abitazioni (anni 70) no! Servono quindi opere di messa in sicurezza che consentano

interventi insediativi.

Nella prima fase insediativa del trentino, perciò, i fattori ambientali fanno sì che sia privilegiata la sinistra orografica

al fine di evitare la penalizzazione dell’ombra e massimizzare l’irradiamento solare (a Roncegno ad esempio

l’irradiamento solare ha consentito lo sviluppo economico-agricolo e il proliferare di masi)

Questo modello insediativo ha continuato ad esistere fino agli anni ’60-’70 del ‘900, ma le condizioni del

cambiamento vengono già poste nella seconda metà dell’ ‘800, quando si ha la messa in sicurezza del fondovalle

dell’Adige con un intervento di regimazione del fiume ad opera degli austriaci.

Tale intervento è dettato dalla necessità di costruire il tracciato della ferrovia a fondo valle, che si proponesse come

alternativa alla Via Claudia Augusta, che invece si sviluppa sui rilievi. Il risultato di tale intervento è il raddrizzamento

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del corso del fiume e l’allungamento dei tempi di ritorno delle esondazioni, che non coincidono con una messa in

sicurezza totale ma ne pongono le basi.

(Si sta attualmente lavorando sulla regolazione delle portate di piena dell’Avisio, maggior affluente dell’Adige)

CARTOGRAFIA DELLA REGIONE:

Atlas Tyrolensis (1774): non è una carta georeferenziata, ma mostra il corso dell’Adige e il suo andamento

meandriforme (si ritiene che eliminando l’andamento meandriforme e raddrizzando il corso dei fiumi si eviti

il ristagno dell’acqua e si limitino le piene);

Catasto Austroungarico (metà ‘800) : è a prima carta catastale in grado di rappresentare bene il territorio

trentino. E’ una carta georeferenziata, che presenta il duplice coso dell’Adige, quello vecchio, e quello nuovo,

già mappato;

Carta IGM (1950): si osservano gli stessi insediamenti visti nell’Atlas Tyrolensis. Nel periodo intercorso tra la

fine del XVIII secolo e la prima metà del XX, infatti, non ci sono state forze economiche capaci di attirare

investimenti nel settore edilizio.

La situazione insediativa muta radicalmente a partire dagli anni ’60 del 1900, quando parte il processo economico

che sfrutta le condizioni di sviluppo create nella metà dell’800. Con la crescita di Trento Nord e lo sviluppo di zone

industriali sul conoide dell’Avisio, viene meno il modello insediativo di rilievo.

Esempi:

1. La manomissione del corso di alcuni fiumi (nei pressi del Lago di Garda, ad esempio il Sacra) per alimentare

centrali idroelettriche, consente insediamenti di fondovalle, non più così esposto a rischio idrogeologico.

2. La realizzazione di impianti sciistici determina una concentrazione di ricchezza in quelle aree prima

considerate marginali, ed ora sfruttate per il turismo.

3. La vasta rete di aree protette (sotto la tutela europea SIC), ed in generale i parchi naturali che vengono a

crearsi mostra come ormai non sia più la natura a condizionare l’uomo, bensì il contrario.

Mutamenti insediativi tra il 1950 e il 2000

1950 : Modello insediativo DISPERSIVO 2000: Modello insediativo CONCENTRATO

A parte i centri urbani principali (Trento, Rovereto,

ecc…), prevalgono insediamenti sparsi

La popolazione tende a spostarsi dove si

concentrano le attività economiche

Economia prevalentemente agricola, gli

insediamenti sono in territori vicini ai coltivi.

Nella Valle di Non ancora persiste questa tipologia

insediativa per via della preservazione di ampi spazi

per l’agricoltura.

Le attività economiche spaziano da quella

industriale a quelle di tipo turistico.

I processi di saturazione degli insediamenti portano

all’annullamento di piccoli centri a vocazione

agricola.

La matrice del 1950 viene utilizzata per la

trasformazione, soprattutto a fini turistici (baite di

montagna ecc…)

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FORME SOCIO-TERRITORIALI IN TRENTINO

Si è svolto uno studio il cui scopo è indagare l’assetto socio economico del trentino attraverso dati di censimento, tra

i quali si individuano:

Aspetti demografici (maschi/femmine; classi di età della popolazione)

Aspetti sociologici (titolo di studio)

Aspetti economici (popolazione ATTIVA e NON ATTIVA)

ATTIVA= occupati e disoccupati, ovvero le persone che sono dentro al mercato del lavoro.

In questo campo si fa distinzione tra:

1. Tipo di attività svolta (primario, secondario, terziario);

2. Posizione occupata nell’attività svolta (dirigente, impiegato, lavoratore in proprio);

3. Tipologia di nucleo familiare (attualmente la tipologia prevalente varia tra 1 e 2 persone);

4. Tipo ed età di costruzione:

5. Abitazione (utilizzata o meno);

NON ATTIVA= pensionati, bambini, che sono fuori dal mercato del lavoro.

Tutte le informazioni del censimento sono state utilizzate per un’analisi multivariata, tramite la realizzazione di

cluster (gruppi di unità simili o vicine tra loro) attorno a variabili significative, individuabili proprio grazie

all’aggregazione di questi cluster.

Lo studio si presenta su un piano sul quale sono proiettate le variabili aggregate nello spazio. Il tipo di aggregazioni

rilevate, per ciascun comune, sono:

Laureati, dirigenti, impiegati, con case in affitto (a Trento);

Attività in proprio e proprietà terriera, con case costruite prima del ’19 (comuni agricoli);

Una via di mezzo tra le prime due in piccoli centri di vallata (Mezzolombardo, Ala…);

Anziani, basso livello di istruzione (piccoli centri periferici).

In generale si è osservato che aggregatori funzionali dal punto di vista socio-economico, si trovano riconoscibili

anche dal punto di vista territoriale, soprattutto in regioni molto ampie e distinte che però presentano le stesso

funzioni:

Distretti:

Centri agricoli: presentano significativi cluster territoriali (Val di Non, Val di Rabbi, Valle del Fersina);

Centri piccoli ad attività industriale (manifatture, energia, edilizia): ritornano cluster territoriali (Val di

Cembra, Valsugana, Valle dei Laghi), ovvero caratteristiche territoriali;

Centri con ristagno dello sviluppo: si tratta di piccoli centri periferici, caratterizzati da popolazione anziana,

lavoro dipendente e bassa scolarizzazione alta % di case costruite tra le 2 guerre. Sono le aree che hanno

maggiormente risentito delle distruzioni della I guerra mondiale, e si presentano come aggregazioni di base

territoriale;

Il quadro socio territoriale è caratterizzato da aree a forte specializzazione, seguendo la trama di uno sviluppo

articolato, non uniforme, dal punto di vista delle attività ma anche da quello territoriale.

Crescita edilizia: si tratta di un processo disomogeneo nelle sue modalità. In alcune città (Trento) e aree

turistiche è significativo nel corso degli anni ’80, ma in altri contesti con la stessa vocazione

(urbana/turistica), come Rovereto, non si ha lo stesso ritmo di crescita. Tutto questo rientra nell’ottica di uno

sviluppo che non unisca attività che comportino usi del suolo differenti e competitivi tra loto (Industria e

Agricoltura, Turismo e Manifatture, ecc…);

Flussi intercomunali di maggiore intensità nel 1997: dai dati del censimento sulle ragioni di spostamento

quotidiano, il tempo richiesto e il mezzo usato dai cittadini, si possono ricavare informazioni relative ad ogni

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comune che consentono di costruire un quadro della mobilità, che rappresenta soltanto il flusso di maggiore

intensità (ad es. da Pergine è rappresentato solo quello verso Trento, perché è quello più rilevante)

Ambiti di influenza del pendolarismo: confermano un sistema che non gravita intorno a Trento ma che si

articola di diversi centri che richiamano pendolari, esercitando il proprio ambito di influenza nel mercato del

lavoro;

Tavola delle relazioni intercomunali: mostra quanta manodopera il comune riesce a mantenere al suo

interno e quanta invece ne viene richiamata da fuori;

Piccole aree funzionali: piccole aree che si sostengono da sole, creando uno schema che si articola in ulteriori

sottosistemi del mercato del lavoro;

AMBIENTI INSEDIATIVI OGGI

1. Urbano: comprende le città e tutti i centri abitati che gravitano intorno alla città e che non hanno altre forme

di sostentamento.

2. Centri di vallata: si discostano dall’aspetto tipicamente urbano e comprendono anche in questo caso i

comuni limitrofi che formano con il centro un’unica unità territoriale dal punto di vista socio-economico.

3. Piccoli centri: tutti i comuni che non rientrano nelle aree di i influenza dei centri urbani e di vallata.

4. Centri turistici.

5. Centri agricoli (Valle di Non)

6. Ambienti misti turistici e produttivi-agricoli.

LEZIONE 4, 24/09/13

AMBIENTE = sistema di relazioni tra fattori abiotici e fattori biotici.

Fattori abiotici: Fattori biotici:

1. Risorse idriche 2. Suolo e sottosuolo 3. Atmosfera

1. Formazioni vegetali 2. Associazioni animali

I fattori abiotici sono profondamente legati a quelli socio economici, per via di pratiche sociali e modelli di consumo

che intervengono, con diverse intensità d’uso, sulla qualità della risorsa.

1. Risorsa ACQUA: è fondamentale definirne l’intensità d’uso, poiché spessoil consumo di acqua è molto

inferiore rispetto all’effettivo prelievo. Inoltre, bisogna limitare i prelievi, che minano la biodiversità, e

garantire una certa quantità di acqua nella risorsa.

2. Risorsa IDROCARBURI: sono evidenti le connessioni con il tema delle emissioni di CO2, di riscaldamento

globale e di inquinamento in generale.

3. Risorsa ATMOSFERA: tema della qualità dell’aria e di inquinamento atmosferico.

NB: attualmente, tra le risorse si tende a inserire anche quella dei RIFIUTI.

BIODIVERSITÀ = diversità delle forme di vita

Riguarda in senso lato ecosistemi, specie viventi, e patrimonio generico. Si parla anche di una biodiversità in termini

di diversità delle interazioni tra le funzionalità.

ECOSISTEMA = Sistema di relazioni, caratterizzato da originalità e unicità, in cui intervengono l’insieme delle

componenti biotiche (biocenosi) e abiotiche (biotopo) nel momento in cui si trovano a relazionarsi e ad interagire

profondamente.

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Biocenosi = comunità vivente formata da specie vegetali, animali e microrganismi. Associazione biologica

favorita da condizioni climatiche, pedologiche, idrologiche ecc…

Biotopo = area di limitate dimensioni in cui convivono organismi della stessa specie che nel loro insieme

formano una biocenosi.

Alcuni esempi di ecosistemi sono:

1. Formazioni glaciali 2. Deserto 3. Savana 4. Steppa 5. Foresta temperata 6. Foresta tropicale 7. Foresta boreale 8. Taiga 9. Macchia mediterranea

Tra gli ecosistemi acquatici invece troviamo:

1. Ecosistemi di acqua dolce

Laghi

Stagni

Fiumi 2. Ecosistemi di acqua salata

Mari

Oceani

Estuari

Barriera corallina

Oltre agli ecosistemi naturali, si considerano anche quelli artificiali:

1. Urbano, industriale

2. Rurale 3. Agrosistema

ECOTONO = Ambiente di transizione tra due sistemi e tra due ambienti omogenei. Presenta una grande biodiversità

perché ospita sia specie degli ambienti (ecosistemi) confinanti, sia specie uniche ecotonali.

AGROSISTEMA = ecosistema artificiale, differisce da quello naturale per l’elevata pressione antropica, finalizzata a

creare un surplus di ricchezza dalla zona agricola, che agisce sui sistemi naturali (boschi, foreste), completamente

sostituiti da coltivi.

RETE ECOLOGICA

Gli ecosistemi sono presenti ovunque con situazioni di ricca o a volte estremamente povera biodiversità. Gli areali

caratterizzati da alta biodiversità necessitano di una rete di CORRIDOI ECOLOGICI, collegamenti che costituiscono un

fattore cruciale nel mantenimento della biodiversità. Si tratta per lo più di percorsi per gli animali e per lo scambio

genetico.

I corridoi biologici oggi sono realizzati artificialmente tramite alcuni progetti, e il corridoio più semplice da utilizzare è

un corso d’acqua, che costituisce di per sé un ecosistema fluviale.

Esempio: National Ecological Network Scheme of the Republic of Belarus

SERVIZI ECOSISTEMICI = ?

GREEN INFRASTRUCTURE = Insieme di spazi aperti mssi in connessione tra di loro. Si tratta per lo più di spazi ricreativi

pedonali, riservati alla mobilità lenta, come la High Line di New York, che non hanno però funzioni ecologiche.

PAESAGGIO

Per gli ecologi, il paesaggio è un mosaico di ecosistemi, cioè una parte di territorio caratterizzato da una certa

copertura di suolo.

Per noi, il paesaggio è la forma del territorio, sedimentata dalle interazioni tra sistema ambientale e processi

antropici. In quanto tale, il paesaggio è osservabile come dato OGGETTIVO (come luogo), e SOGGETTIVO ( secondo la

sua componente culturale ed emozionale). In generale, quindi, giudichiamo un paesaggio in base alle sue

caratteristiche fisiche, ma anche in base a quello che viene percepito da chi osserva.

Il paesaggio non è quindi solo naturale, ma può essere anche urbano, o industriale, e più in generale è il quotidiano,

quello che viene osservato, il contesto in cui si vive, e per questo ad esempio il paesaggio urbano è tra i più consueti

per le popolazioni del mondo.

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LEZIONE 5, 26/09/13

FATTORI DELLE TRASFORMAZIONI SOCIO-TERRITORIALI

Movimento e flusso di popolazione.

L’incremento e il decremento demografici influenzano notevolmente la stesura di un piano della gestione del

territorio. I movimenti di popolazione si distinguono in:

Movimento NATURALE: n° nati – n° di morti;

Movimento MIGRATORIO: n° di immigrati – n° di emigrati.

Le variazioni nel n° di abitanti sono dovute quindi in generale a fattori di CRESCITA (nascite, immigrazione) e a fattori

di DECRESCITA (morti e emigrazione). In base ai dati demografici è possibile ricostruire una serie di tassi (di solito

espressi in ‰):

Tasso di Incremento naturale (tasso di natalità – tasso di mortalità);

Tassi di Incremento migratorio (tasso di immigrazione – tasso di emigrazione) ;

Tasso di Natalità (n° nati/ popolazione media dell’anno considerato);

Tasso di Immigrazione (n° immigrati/popolazione media dell’anno considerato);

Esempio: curve della popolazione nelle isole Mauritius dal 1900 al 1980)

Teoria della transizione demografica (teoria interpretativa dei movimenti demografici)

1. I STADIO: Fase Alto-stazionaria

Si tratta della fase che precede la rivoluzione industriale, nella quale si registrano elevati tassi di natalità e di

mortalità, con conseguente stagnazione della popolazione, che si mantiene a livelli molto bassi.

Prevale la produzione agricola, che è direttamente proporzionale alla quantità di lavoro immessa. È

conveniente, per una famiglia, aumentare il numero di figli da immettere nel lavoro agricolo, al fine di

aumentare la produzione.

Per quanto riguarda invece l’elevata mortalità, essa è dovuta alle condizioni igieniche, e tende a pareggiare

le nascite.

2. II STADIO: Industrializzazione e inurbamento

Ha inizio nella seconda metà dell’’800 con un abbattimento del tasso di mortalità (consentito dal

miglioramento delle condizioni igieniche grazie ai provvedimenti sulle infrastrutture sanitarie).

Il tasso di natalità, invece, si mantiene alto per un’inerzia culturale. Perciò in questa fase si registra

un’impennata della popolazione, ovviamente nei paesi industrializzati.

3. III STADIO: Tarda espansione

Si ha nella prima metà del ‘900, in cui si ha un abbattimento del tasso di natalità, che interviene in

concomitanza con l’aumento del tasso di urbanizzazione: in questa nuova situazione, la prole diviene

simbolo di ricchezza e sinonimo di costo. Si mantiene basso il tasso di mortalità per cui la crescita

demografica subisce un rallentamento.

4. IV STADIO: Fase Basso-Stazionaria

Dalla seconda metà del ‘900, e in Italia in particolare tra gli anni ’70 e ’80, si ha un appiattimento della curva

demografica.

Al di là del periodo storico in cui si sono avuti questi movimenti demografici, è possibile associare a ciascuno stadio

anche determinate aree in cui si presentano le stesse caratteristiche anche al giorno d’oggi: ad esempio, molti paesi

africani si trovano con incrementi di popolazione annui del 20% per via degli elevati tassi di natalità (II stadio),

mentre alcuni paesi del mediterraneo (ad esempio l’Egitto) e i cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina) stanno

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ora attraversando il III stadio. Il IV stadio invece è quello in cui si trova l’Europa. Ciò è dimostrato dalle statistiche

sugli incrementi % annui della popolazione mondiale:

Paesi industriali: >1%;

BRICS: 1÷1.9% (ad eccezione della Russia);

Medioriente e Africa: 2÷2.9%;

Medioriente: > 3%.

TASSO DI RICAMBIO: Tr, garantito al 100% da 2,3 figli per coppia (equilibrio)

1 famiglia con 1 figlio fornisce un Tr=43%;

1 famiglia con 3 figli fornisce un Tr= 130%;

Nel 2001 si è avuto un Tr=47% con una media di 1,1 figli per famiglia, mentre nel 2007 Tr = 58%, con una media di

1.35 figli per famiglia.

PIRAMIDE DELL’ETÀ = Rappresenta la struttura della popolazione (maschi/femmine, età, stato civile)

Negli anni 50’ in Italia ha una forma piramidale, con incrementi che rispettano il tasso di ricambio. Oggi, la piramide

dell’età ha forma tutt’altro che piramidale, ed evidenzia squilibri negli incrementi di popolazione e lo spostamento

del matrimonio verso età più mature: ciò implica un restringimento degli anni di fertilità nella coppia e di

conseguenza un abbassamento del numero di figli per coppia.

Attualmente, i nuclei familiari sono costituiti:

27% da 2 persone (per lo più madre-figlio/a, ovvero famiglie monoparentali)

23% da 1 persona;

21 % da 3 persone.

Si osserva perciò che il 50% delle famiglie è composto da single o da 2 persone. Il dilagare di questo tipo di situazione

comporta il ristagno demografico. Tale situazione è aggravata, soprattutto in Italia, dalla permanenza di figli anche

grandi nelle case dei genitori.

Proprio in Italia, la popolazione riceve un notevole incremento grazie al SALDO MIGRATORIO:

SALDO MIGRATORIO = (Residenti stranieri/Totale residenti)

Nei comuni della Lombardia il saldo migratorio si aggira tra il 20 e il 26%, mentre nei comuni Veneti ha raggiunto il

21%. Queste elevate concentrazioni di popolazione straniera nel Nord Italia insistono nei distretti industriali e

laddove la richiesta di manodopera di industria manifatturiera è ancora alta (si tratta spesso di mansioni sgradevoli,

come molte di quelle nel settore delle pelli –Concerie di Arzignano). È evidente che la presenza di stranieri dà anche

un contributo al numero delle nascite.

MOVIMENTI MIGRATORI

Esistono fondamentalmente 4 tipi di movimento migratorio:

1. Da una ZONA RURALE ad un’altra ZONA RURALE: è un movimento comune nell’antichità, quando i popoli

migravano da un territorio ad un altro. Secondo Malthus, quando una popolazione cresce troppo, esercita

sul luogo in cui vive una pressione troppo elevata, al punto che manca la corrispondenza diretta tra n° di

abitanti e di risorse economiche. Esempi in Italia si ritrovano ancora in epoca fascista, quando si è assistito

alla colonizzazione da parte dei contadini veneti delle aree bonificate dell’Agro Pontino, o al flusso di

manodopera contadina sempre dal Veneto verso le campagne piemontesi abbandonate dai proprietari,

impiegati ormai nelle industrie FIAT.

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2. Da una ZONA RURALE ad un CENTRO URBANO: l’abbandono delle campagne in favore delle città è un

fenomeno che risale alla rivoluzione industriale. Tuttavia, al di là delle ragioni più evidenti di maggior

richiesta di manodopera nelle città rispetto a quella nelle campagne, può esser anche motivata dall’elevata

pressione esercitata sulla terra ad opera di leggi e normative. L’esempio più eclatante è quello

dell’Inghilterra di fine ‘800, dove i piccoli proprietari inglesi abbandonarono le campagne e si spostarono

nelle fabbriche per via del decreto che imponeva il pagamento delle tasse in denaro e non più in natura: la

vendita delle derrate alimentari non fruttava denaro a sufficienza per tasse e sopravvivenza, per via della

competitività dei grandi proprietari terrieri, che già potevano usufruire delle tecnologie e degli

ammodernamenti portati dalla rivoluzione industriale.

3. Da un CENTRO URBANO ad un altro CENTRO URBANO: si tratta per lo più dell’abbandono di centri urbani

grandi per centri più piccoli, è un fenomeno che ha avuto inizio negli anni ’80 del 1900 e che ha inciso

profondamente il territorio; in Italia è il movimento migratorio più rilevante.

4. Da un CENTRO URBANO ad una ZONA RURALE: è sicuramente un movimento meno frequente, che si

verifica qualora lo spostamento da una grande città non sia diretto verso un centro più piccolo, ma proprio

verso aree di campagna. Questo tipo di movimento è consentito dallo sviluppo della mobilità, tramite la

quale è assicurata la possibilità di lavorare in città anche se si abita fuori.

I movimenti migratori hanno interessato fin da sempre la storia dei popoli. Esempi:

In Britannia si ebbe nel 450 la duplice migrazione degli Angli (di origine Danese) e dei Sassoni (provenienti

dalla Germania), che causò la fuga dei Celti in Irlanda;

I Vichinghi occuparono il Nord della Francia dando vita alla popolazione dei Normanni, che a loro volta

raggiunsero la Britannia, dove si fusero con Angli e Sassoni, e il Sud Italia;

Molte famiglie contadine Boere si trasferirono in Sudafrica per approfittare delle conquiste coloniali;

L’ovest americano fu completamente invaso da pattuglie di giacche blu;

Anche la tratta degli schiavi dall’Africa all’America rientra nei movimenti migratori;

Durante la costruzione della Panamericana, in particolare per il tratto ovest, fino alle montagne rocciose,

moltissimi operai cinesi arrivarono in massa a San Francisco, dove fondarono la loro comunità (migrazione

cinese in America della metà dell’’800);

La grande migrazione dall’Europa all’America (affondamento della Patricia, nave carica di emigranti,

nell’oceano Atlantico);

La migrazione dal Sud Italia al Nord;

Gli sbarchi di immigrati sulle coste Italiane e in particolare a Lampedusa;

La forte comunità turca in Germania (e in particolare a Berlino);

Il quartiere jamaicano a Londra, Brixton Market;

Chateau Rouge, il cuore africano di Parigi;

Il quartiere cinese a Milano, in Via Sarpi;

Le rivolte degli immigrati nelle Banlieues parigine (2005).

La perdita di popolazione nelle città ha inizio in America nella prima metà del XX secolo, mentre esplode in Europa

solo negli ultimi decenni del ‘900. Quando parliamo di questo fenomeno, facciamo riferimento ai paesi

industrializzati, in cui si fanno marcati il crollo delle nascite e lo spopolamento di città che durante la loro evoluzione

si erano articolate sul territorio al punto che si fa riferimento più ad aree metropolitane che a singole città.

Differente è la situazione nei paesi in via di sviluppo, dove al crollo delle nascite corrisponde ancora la crescita

demografica, e allo spopolamento la crescita delle città intorno a se stesse, nella forma di un unico aggregato urbano

all’interno di una vasta area rurale.

Dai dati del censimento di Milano dal 1951 al 1986 la situazione demografica risulta piuttosto evidente; si

distinguono prevalentemente due fasi :

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I FASE Incremento di

popolazione

II FASE Decremento di

popolazione

’51-‘61

’61-‘71

+2.2%

+0.9%

’71-‘81

’81-‘86

-0.8%

-1.4%

Hanno comportamento analogo a Milano anche le altre grandi città industriali, come ad esempio Torino. Si

distaccano da questa tendenza, invece, città come Roma e Napoli, che, benché grandi, non hanno avuto lo stesso

tipo di sviluppo, e nelle quali il fenomeno di spopolamento si avrà più tardi.

Le città di medie dimensioni, invece, hanno un comportamento diverso: prima del ’61 si ha un incremento della

popolazione, successivamente, tra il ’61 e l’81 una fase di stasi, per poi arrivare, a partire dagli anni ’80, allo

spopolamento.

Dal 1971 al 2001 Milano perde il 27.1% della sua popolazione, ovvero circa mezzo milione di abitanti, un numero

simile a quanti ne aveva guadagnati durante la fase di crescita. Nella stessa fascia annuale, Torino ne perde il 26%.

L’abbandono delle città va di pari passo con la delocalizzazione industriale. I due fenomeni non sono legati da una

relazione di causa-effetto: la scelta di formare nuclei familiari lontani dalla città è per prima cosa una scelta

economica, dovuta ad un mercato delle abitazioni e dei terreni che rende inaccessibile l’acquisto o l’affitto di una

casa in città e che quindi impone il trasferimento fuori. A questo fattore economico si aggiunge anche l’inagibilità

delle città, i problemi dettati dal traffico,dalla mobilità, e dai parcheggi.

I motivi che portano gli abitanti fuori dalla città sono gli stessi che spingono le imprese, cosicché si assiste

all’evoluzione della città da INDUSTRIALE a TERZIARIA, al seguito di un’economia che da MATERIALE diventa

VIRTUALE.

Si assiste così ad una CRISI URBANA, che si fonda sulla perdita delle attrattive che la città esercitava e sulla crisi della

base economica su cui la città stessa era cresciuta. Esempio di questa crisi è la città di Detroit, città mineraria

dell’800 ormai abbandonata. In Europa la risposta alla crisi delle vecchie città industriali è stata la riqualificazione

urbana, che ha comportato un ulteriore aumento nei prezzi degli immobili e un conseguente intensificarsi del

fenomeno di abbandono.

Negli anni ’80, con la crescente attenzione alle tematiche ambientali, il trasferimento fuori città assume anche il

significato di un ritorno all’ambiente naturale, ora percepito come prezioso. Non si tratta comunque del motivo

principale della fuga dalle città, che resta sempre economico.

In Alto Adige gli anni ’80 sono teatro di due fenomeni contrapposti: agli inizi del decennio si assiste ad uno

spostamento di residenza dalle valli alle principali realtà cittadine (Bolzano, Merano, Brunico; Vipiteno; Bressanone);

a partire dall’86 fino al ’90 a Bolzano si registra un movimento centrifugo verso comuni limitrofi e anche più distanti,

causato dagli elevatissimi prezzi degli immobili, mentre viene confermata la situazione di crescita nelle altre città. A

partire dagli anni ’90, anche gli altri centri sono interessati dall’abbandono, al punto che i flussi in uscita superano di

gran lunga quelli in ingresso. Non ci sono più le condizioni per continuare a vivere in città, e aumentano gli

spostamenti casa-lavoro, in quanto il posto di lavoro resta comunque all’interno del centro urbano.

Lo spostamento è rivolto prevalentemente verso centri urbani minori e aree residenziali.

SUBURBANIZZAZIONE = trasferimento dalla città verso centri limitrofi suburbani di imprese economiche e di

famiglie. Questo fenomeno si radica nel prezzo di terreni e immobili, ma anche nelle migliori attrattive dei luoghi che

vengono preferiti alla città.

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LEZIONE 6, 1/10/13

LOCALIZZAZIONE e DELOCALIZZAZIONE DI IMPRESA

Nel mercato del lavoro, la DOMANDA è posta dalle IMPRESE, mentre l’OFFERTA è rappresentata da chi cerca lavoro. I

movimenti di popolazione, che sono determinato dalla domanda di lavoro e dunque da ragioni economiche (alcune

volte anche politiche), sono rilevanti ai fini della riorganizzazione dell’assetto del territorio.

Come per il movimento di popoli si sono individuate due fasi contraddittorie, la prima, di concentrazione degli abitanti

nelle aree urbane, e la seconda di decentramento e sub urbanizzazione, così anche per la localizzazione di impresa

distinguiamo tra AGGLOMERAZIONE, ovvero concentrazione delle imprese in ambiti territoriali ristretti, e

DEGLOMERAZIONE, cioè delocalizzazione dell’impresa.

Esempi di agglomerazione/localizzazione di impresa:

1. Ruhergebiet 1840: area prevalentemente agricola, rurale, caratterizzata da aree boschive, campi coltivati e

piccoli insediamenti. Nella regione, la piccola città di Dortmund, racchiusa entro mura medievali, contava,

agli inizi del XIX secolo, un numero di abitanti compreso tra i 5000 e i 10000.

2. Ruhergebiet 1970: nella fase finale dell’industrializzazione, si osserva una trasformazione radicale del

territorio. Prevalgono l’urbanizzato e le infrastrutture, al punto che non si distinguono più le città dagli

ambiti urbani esterni, e si individua, di fatto, un’unica regione urbana.

3. Città di Essen: piccolo centro storico, circondato da grandi aree industriali (prevalentemente acciaierie,

grazie alla ricchezza di ferro e carbone del territorio).

L’urbanizzazione che si osserva in questa regione è SPONTANEA, non è frutto di un processo pianificato, bensì

interviene a partire dalla presenza di miniere, a bocca delle quali nascono stabilimenti, intorno ai quali si

moltiplicano le abitazioni.

Nella regione del Ruhergebiet sorge la FRIED KRUPP, la più grossa impresa industriale, che conquista tutta la città di

Essen al punto da assumere dimensioni superiori a quelle della città originaria stessa. Nel giro di un secolo la

Ruhergebiet raggiunge diversi trilioni di abitanti.

Prima del processo di urbanizzazione, fino ai primi anni del 1800, 1/40 della popolazione viveva in città, il resto in

campagna. L’agricoltura, infatti, era prevalente rispetto alle altre attività economiche, inoltre nelle campagne era

anche localizzata una certa produzione manifatturiera (generi alimentari, tessuti, oggetti) che possiamo definire

“proto industria”. Di fatto, la domanda era maggiore nelle campagne che nelle città, inoltre le materie prime erano

già nelle campagne, e i macchinari rudimentali utilizzati venivano costruiti direttamente in loco da artigiani e

produttori. Anche la manodopera abbondava e anche l’energia (eolica, idrica), mentre il capitale era rinvenibile in

loco.

Nella città invece viveva una piccola percentuale di popolazione, che richiedeva prodotti diversi da quelli nelle

campagne; inoltre, la produzione manifatturiera era rivolta ad una ristretta cerchia di persone. In generale, nelle

città si svolgeva un’economia diversificata e di piccole dimension.

Esempi:

1. Venezia: commercio e produzione di seta per la borghesia veneziana,

2. Bruges quotazione e speculazione sulle navi commerciali.

Questi equilibri vengono sconvolti dalla rivoluzione industriale. Fattore trainante della rivoluzione sono la

TECNOLOGIA, L’ENERGIA e il CAPITALE.

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1. TECNOLOGIA: il progresso scientifico si traduce in progresso tecnologico e innovazione. Questo consente la

specializzazione di alcune imprese e la vittoria sulle altre, innescando un circolo virtuoso d’ingresso di

manodopera e produzione di ricchezza.

2. ENERGIA: Prima disponibile per chi ne avesse bisogno, adesso, grazie alle centrali termo-elettriche, che

sorgono nei pressi dei centri abitati, viene fornita energia ai grandi impianti industriali.

3. CAPITALE: hanno inizio processi di accumulazione del capitale, riconducibili a concentrazioni di ricchezza

(banche).

Con la concentrazione della produzione, si ha la concentrazione di manodopera, per la quale intervengono processi

di sovrappopolazione. Per di più, nei primi decenni del secolo, la crisi alimentare nei paesi dell’est induce ulteriori

migrazioni verso le aree che possano garantire maggior benessere.

Rispetto al passato, non cambiano le materie prime: quello che è nuovo è che, con le nuove tecnologie, le materie

prime diventano trasportabili tramite ferrovie, strade, canali.

ALFRED WEBER: TEORIA DELLALOCALIZZAZIONE DELL’IMPRESA

Dove sorgono i luoghi di produzione?

Alfred Weber, fratello del più noto Max Weber (“La città”; “Etica protestante e spirito del capitalismo” →tutta la

rivoluzione industriale è trainata da protestanti, la cui etica stimola l’impegno, il coinvolgimento attivo e

l’intraprendenza), si chiede se il paesaggio industriale sia casuale oppure risponda ad una legge, ad un principio.

La risposta che trova è che le fabbriche si posizionano prevalentemente in due punti:

1. Dove si trovano le materie prime;

2. Sul luogo del mercato, ovvero la città.

Le imprese scelgono quindi di localizzarsi in uno dei due punti in ragione di un calcolo economico teso a minimizzare

i costi. Di fatto, qualunque processo produttivo consta di due fasi:

1. Lavorazione della materia prima;

2. Commercio del prodotto.

Se A è il luogo delle materie prime, e B il luogo del mercato, Weber considera il fattore spaziale della distanza tra A e

B. Qualunque merce prodotta in A deve arrivare in B: se il trasporto della materia prima costa meno del trasporto del

prodotto finito, la produzione avviene in città; se viceversa è più economico trasportare il prodotto finito, le imprese

restano nell’area in cui si trovano le materie prime.

Esempio: Nella produzione dell’acciaio da ferro e carbone, conviene trasportare l’acciaio, prodotto finito, che non il

carbone e il ferro estratti in miniera; nel caso della birra invece, l’acqua corrente arriva in città, e il trasporto del

luppolo e dell’orzo è sufficientemente economico da consentire la produzione in città.

Weber inoltre osserva che un ipotetico punto C intermedio tra A e B non è quasi mai conveniente, a meno che le

materie prime non vengano importate: in quel caso, il luogo delle materie prime diventa la città porto.

La distinzione tra A e B viene a cadere nel momento in cui, nel luogo in cui si sviluppa l’industria, si concentra anche

la città (come è avvenuto nel Ruhergebiet, grande regione industriale e anche estesa area urbanizzata). Con il tempo,

perciò, la zona delle materie prime viene a coincidere con la sede della produzione, della vendita, e dunque con la

città.

Esempio: In Inghilterra, tra il 1715 e il 1815, città come Nottingham, Glasgow, New Castle, prima aree agricole,

diventano importanti centri di produzione grazie a materie prime come ferro, carbone, e cotone per l’industria

tessile.

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È interessante osservare la selettività del processo d’industrializzazione: se le regioni con materie prime, le città

porto e alcune aree urbane vengono premiate, molti altri centri urbani vengono completamente ignorati dalle

trasformazioni, o investiti parzialmente.

Esempio: In Spagna solo Barcellona e i Paesi Baschi sono protagonisti del processo di industrializzazione, mentre il

resto del paese rimane prevalentemente agricolo.

Sempre nell’ambito della teoria di Weber, le imprese possono realizzare un notevole risparmio attraverso la

contiguità spaziale con altre imprese: è questo il principio delle ECONOMIE DI AGGLOMERAZIONE. Si può

distinguere tra due tipi di agglomerazione:

1. Agglomerazione INTERNA: la distanza tra A e B viene ulteriormente ridotta ponendo in contiguità spaziale le

diverse fasi della produzione. Se pensiamo ad esempio all’acciaieria KRUPP, la vicinanza tra miniera,

stabilimento di lavorazione del ferro, e quello dell’acciaio, consente un notevole risparmio nei costi di

trasporto, ma anche in quelli per il coordinamento dei centri produttivi, in quanto non è necessario triplicare

la direzione dell’impresa.

2. Agglomerazione ESTERNA: la contiguità spaziale è utile anche ad imprese diverse, in quanto diventa fattore

di competitività su più livelli:

fama del prodotto, proveniente da un’area riconosciuta come specializzata;

specializzazione della manodopera e dei servizi;

innovazione.

L’economia di agglomerazione tocca anche l’ambito dei servizi, che si sviluppano intorno alle imprese (ospedali,

scuole, università) e che contribuiscono all’efficienza del sistema. Il processo agglomerativo è vantaggioso in quanto

si autoalimenta: è il vantaggio stesso dell’agglomerazione a spingere verso un’ulteriore intensificarsi del fenomeno.

In quest’ottica, la città è frutto di un processo agglomerativo dovuto a vantaggi economici resi possibili dalla

contiguità spaziale e dal connubio tra il mondo produttivo e quello dei servizi.

Un esempio della teoria di Weber può essere dato dalla schematizzazione di distretto industriale.

MATERIA PRIMA

A B C D

(Impianti di imprese diverse che hanno scelto di posizionarsi affianco

a stabilimenti preesistenti per usufruire dei vantaggi della contiguità)

Impianto produzione macchinari

Impresa di Design

Banca Scuola

professionale Ospedale Fiera

Centro di ricerca

Compratore

Imprese e servizi che sorgono nel distretto e che partecipano dei vantaggi economici dell’agglomerazione

Riassumendo la teoria della Base Economica:

Risparmio dei costi di trasporto

Concentrazione di affinità

Economia di agglomerazione

“La crescita urbana è trainata dalle attività produttive”

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MECCANISMO DI CRESCITA URBANA (MODELLO DI COWRY 1960)

Questo modello, all’interno della teoria della Base Economica, si basa su studi condotti in contesti industriali

americani, spiega la crescita urbana partendo dall’ipotesi di un mercato del lavoro STAURO, ovvero in cui la

manodopera viene sempre da fuori.

Un’impresa assume 100 nuovi dipendenti;

100X4 = 400 nuovi abitanti (la famiglia americana modello dell’epoca contava 4 persone);

Ogni 10 abitanti si crea 1 posto di lavoro nei servizi;

400/10 = 40 nuovi posti di lavoro nel settore dei servizi;

40X4 = 160 nuovi abitanti;

160/10 = 16 nuovi posti di lavoro nel settore dei servizi;

16X4 = 64 nuovi abitanti; ecc…

Da cui si ha, a fronte di soli 100 nuovi assunti, un incremento di popolazione di 624 persone.

Questo modello può dunque spiegare i numeri che si sono registrati nel Ruhergebiet tra il 1819 e il 1910, e in

particolare nella città di Essen (in riferimento alla municipalità urbana):

1819 1852 1871 1910

4’751 10’000 50’000 300’000

Se tuttavia il processo agglomerativo è così vantaggioso, esso presenta dei limiti, che hanno portato alla seconda

fase, quella delle diseconomie di agglomerazione/delocalizzazione di impresa.

I fattori deglomerativi che causano l’inversione di tendenza sono principalmente 3:

1. Costi crescenti dell’agglomerazione, in particolare del prezzo del terreno, che aumenta in ragione della

concentrazione della domanda, al punto da superare i vantaggi agglomerativi. La scelta naturale è la

rilocalizzazione dell’impresa, che esce dall’agglomerazione.

2. Costi di congestione, dovuti alla difficoltà dell’offerta dei servizi a far fronte alla domanda. Le città diventano

un problema in termini di circolazione, sia di merci che di persone.

3. Limiti normativi, che intervengono in materia di tutela dell’acqua e dell’aria (ad es. la Legge Merli del 1976),

costringendo le imprese a scegliere tra l’abbattimento degli inquinanti e la delocalizzazione in luoghi in cui le

leggi non sono così restrittive.

I costi e l’inefficienza causate da questi fattori costringono le imprese a lasciare la città: questo fenomeno avviene

contemporaneamente alla fuga degli abitanti dalla città, causata dalle stesse ragioni.

LEZIONE 7, 03/10/13

LIMITI DEL PROCESSO CUMULATIVO

Osservando l’evoluzione industriale di Torino a partire dal 1950 fino ad arrivare al 1971 si può avere un’idea del

processo di localizzazione e successiva delocalizzazione delle imprese:

1950: il centro storico, caratterizzato dall’impianto reticolare di derivazione romana, è costellato di ferriere,

piccole fabbriche che costituiscono le unità produttive;

1971: la situazione appare mutata nella parte centrale della città, dove scompaiono le piccole fabbriche e si

fa rilevante la presenza industriale della FIAT, con gli stabilimento Lingotto e Mirafiori. Le ferriere rimangono

comunque addossate al centro storico.

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Successivamente: trasferimento delle fabbriche a 20-30 km da Torino, nel segno di un decentramento

industriale che rientra comunque in un contesto legato alla grande città; si crea la città metropolitana, le

funzioni urbane vengono riassegnate in un territorio più ampio.

Se tuttavia alcune imprese trovano il modo di delocalizzarsi, altre sono costrette a chiudere definitivamente, mentre

la stessa FIAT si ridimensiona. Dal 1961 su 400 fabbriche che si allontanano da Torino:

146 restano nella I cintura torinese;

168 nella II cintura;

16 si spostano in contesti regionali.

Nel 1971 si assiste alla TERZIARIZZAZIONE URBANA della città di Torino, grazie alla quale, in seguito alla perdita delle

funzioni più rilevanti della città moderna (quelle industriali sancite dalla rivoluzione), la città può ancora svolgere

attività economiche, non più legate all’industria, bensì ai servizi.

A Torino, infatti, chiudono 1’823 impianti industriali, con la conseguente perdita di 44'500 posti di lavoro, che

vengono quasi interamente assorbiti dal settore dei servizi (42'000). A Milano, alla perdita di 2'700 impianti (92'000

posti di lavoro) corrisponde l’assunzione nel terziario di 105'000 dipendenti.

Si tratta, tuttavia, di servizi PRIVATI, guidati cioè ancora da una logica di impresa. Diversa è invece la questione dei

servizi PUBBLICI, utilizzati in molte occasioni (e in alcune città del Sud Italia, come a Palermo) come serbatoi di

contenimento della disoccupazione, al fine di sostenere il mercato del lavoro.

Con la delocalizzazione di impresa si annulla la teoria Weberiana della localizzazione industriale verso la metà del XX

secolo:

1. La localizzazione dell’impresa non avviene più in ragione dei criteri enunciati da Weber, in quanto perde di

importanza il costo del trasporto, da un lato grazie alle tecnologie sviluppate, dall’altro per via della capacità

delle imprese di internalizzare questo costo in modo che non influisca sul prezzo del prodotto;

2. Ciò che deve essere trasportato è sempre meno rilevante, perché si fa strada l’industria leggera, di

trasformazione, per la quale i costi di trasporto sono meno onerosi rispetto a quelli dell’industria pesante, di

produzione;

3. Si ha la rivoluzione dell’economia, da un’economia materiale ad un’economia VIRTUALE, nella quale è la

tecnologia stessa a diventare il prodotto di maggior consumo.

In quest’ottica, le imprese sono completamente a piede libero (foot lose), non hanno vincoli spaziali e sono libere di

localizzarsi ovunque sia possibile minimizzare i costi e massimizzare i profitti: la scelta è quindi dettata dai costi della

manodopera, dalla presenza o meno di organizzazioni sindacaliste, e da vantaggi diretti. Cambiano anche le

strategie, che si fondano su:

1. Comunicazione;

2. Massimizzazione del risparmio e dei vantaggi competitivi dell’eccellenza;

3. Spacchettamento e frazionamento del ciclo produttivo, della commercializzazione e dell’apparato dirigente.

Esempio: Spostamento dello stabilimento di ricerca della Bosch tedesca in una valle Bavarese a seguito di un

sondaggio tra i giovani ingegneri sul luogo in cui preferirebbero vivere.

I fattori presi in considerazione per la scelta dell’area in cui localizzare l’impresa sono adesso:

1. Costo del terreno;

2. Costo dei servizi.

Tali costi possono variare a seconda che ci si trovi:

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Regione industrializzata Regione non industrializzata

GRANDE CITTÀ PICCOLA CITTÀ GRANDE CITTÀ PICCOLA CITTÀ

CENTRO ( C )

PERIFERIA ( P )

Centro ( c )

Periferia ( p )

CENTRO ( C’ )

PERIFERIA ( P’ )

Centro ( c’ )

Periferia ( p’ )

A seguito di un’analisi sui costi in ciascuna realtà, si è osservato che il costo minore, corrispondente alla posizione più

conveniente, è riferito a:

1. Ubicazione centrale in città di piccole dimensioni, in una regione industrializzata ( c ):

↑terreno ↓servizi

2. Ubicazione nella periferia di un’area metropolitana grande, in una regione non industrializzata ( P’):

↓terreno ↑servizi

NASCITA DELLE AREE METROPOLITANE

Il fenomeno della metropolitanizzazione è il frutto del processo di sub urbanizzazione: la grande città perde posti di

lavoro industriale, e di conseguenza perde cittadini e famiglie. Si ha una trasmigrazione di funzioni produttive (e

anche commerciali) a piccoli comuni e ad aree precedentemente non urbanizzate, mentre nascono ambiti urbani

nuovi che entrando a contatto con quelli vicini, costituiscono con essi macro-agglomerazioni.

NASCITA DEI DISTRETTI INDUSTRIALI

I distretti industriali sono sistemi produttivi locali caratterizzati da un’elevata specializzazione produttiva, in quanto

ambiti territoriali in cui insistono diverse imprese appartenenti allo stesso settore.

Si tratta di produzioni che sorgono senza alcun apparente ragione che risponda ai criteri classici di vicinanza alla

materia prima o al luogo del commercio, né tantomeno sono frutto di investimento di capitale nella zona. La nascita

di queste piccole e medie imprese è da attribuire ad un knowhow di base di operai e lavoratori che trovano nelle

proprie conoscenze e capacità le fondamenta del loro successo.

Esempio: La Benetton nasce da un commesso in un negozio di abbigliamento a Treviso; il primo stabilimento è lo

scantinato di casa, dove con la sorella vengono prodotti i maglioni che raggiungeranno fama mondiale. L’assenza di

capitale da investire non ha impedito il successo dell’impresa, che si è basata sull’originalità del colore.

I distretti industriali sono dunque frutto di un’imprenditorialità dal basso, che affonda le sue radici nel territorio. SI

tratta di un modello di sviluppo territoriale completamente avulso da quello teorizzato dai classici: cade la vecchia

industria alla Weber e si instaura un tessuto di piccole e medie imprese, delle quali il TERRITORIO è il grande

incubatore.

Ancora oggi i distretti industriali italiani costituiscono la base produttiva portante nell’economia del paese. A

seconda del luogo in cui l’impresa nasce, è diverso anche il modello di sviluppo e le interazioni con il territorio: ad

esempio è notevole la differenza tra le imprese agricole/turistiche sudtirolesi, che si fondano sul rispetto del

territorio, e quelle industriali tipicamente venete, che invece ne hanno causato spesso il deterioramento.

CONFRONTO AMERICA-EUROPA: REAZIONE ALLA DELOCALIZZAZIONE

La Rust Belt Americana (cintura di ruggine) : creata dalla crisi dell’industria manifatturiera americana, si tratta delle

aree di vecchia industrializzazione divenute obsolete in città per via del proliferare di nuovi ambiti territoriali

suburbani. Esempio di questo abbandono è la città di Detroit, prima città dell’automobile, sede delle industrie

Crysler, Ford e General Motors,oggi totalmente spopolata a seguito della crisi dell’industria dell’automobile. Con la

fuga degli abitanti dalla città (soprattutto di quelli più ricchi, fonte di reddito fiscale dello stato), la città è implosa per

la mancanza di finanziamenti alla spesa pubblica, e di conseguenza uffici, abitazioni e interi quartieri sono stati

abbandonati.

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In situazioni di crisi, l’America abbandona il campo, reagisce con la chiusura degli uffici pubblici, in quanto si ritiene

che l’intervento dello stato debba essere contenuto e che non siano consigliabili azioni di salvataggio.

ITALIA: il fenomeno di delocalizzazione investe anche l’Italia con l’abbandono di stabilimenti in pieno centro città,

come le ferriere della FIAT, le officine SAVIGLIANO e le officine MICHELIN a Torino, o quelli della PIRELLI e dell’ALFA

ROMEO a Milano. La reazione dello Stato è quella di porre mano immediatamente alla riqualificazione e al riuso di

questi edifici, che risultano convenienti economicamente. Ciò è reso possibile grazie a progetti di cofinanziamento

pubblico e privato: c’è, cioè, una volontà pubblica che sollecita l’interesse dei privati nell’investimento.

Esempi di riqualificazione di successo in Italia si hanno nell’area Bicocca a Milano, reparti che producevano pneumatici

per la Pirelli e che ora sono edifici dell’Università della Bicocca di Milano; lo stabilimento del Lingotto di Torino, oggi

recuperato; la vecchia fabbrica di Milano Sesto Marelli (?) che oggi è sede della Wind; Porto Marghera, ex industria

petrolchimica, ancora oggetto di progetto di riqualificazione prima di tutto ambientale (bonifica del sito inquinato),

che vuole essere riconvertita in area produttiva (terziario, Università, ambiti commerciali).

EUROPA: Esempi di riqualificazione e ridestinazione d’uso si hanno nel Ruhergebiet, dove un canale di scolo di rifiuti

industriali è stato ripulito e rinaturalizzato, ed oggi un parco fluviale (progetto finanziato dalla cittadinanza al

completo). In Danimarca, a Carlsberg Town, nel 2006 la fabbrica di birra si è trasferita da 200km dalla capitale, ma la

direzione ha promosso un intervento di riqualificazione di quasi 300'000 km2, nel segno della sostenibilità, della varietà

e dell’innovazione. Il progetto prevede la creazione di una città verde, costellata di giardini privati aperti al pubblico,

e si è basato sull’obiettivo di fare di Carlberg Town la prima area in Danimarca dotata di edifici a basso contenuto

energetico.

La parola chiave è stata SOSTENIBILITÀ, attraverso l’attenzione agli spazi verdi, al risparmio energetico, e all’impiego

di risorse rinnovabili.

Carlsberg Town è un esempio di come la crisi sia diventata un’occasione di miglioramento e innovazione.

LEZIONE 8, 7/10/13

RENDITA DI POSIZIONE

Secondo la Teoria della Rendita, il prezzo di una merce esprime un equilibrio tra domanda ed offerta. Applicata al

terreno, alcune terre hanno più valore delle altre, e per questo il SUOLO si presenta come merce segmentata, non

indifferenziata.

Il primo teorico della Rendita è Adam Smith, padre dell’economia classica, il quale fonda la sua scienza economica

partendo dal principio dell’eticità del profitto. Secondo Adam Smith, in riferimento all’economia agricola, la rendita è

il guadagno dell’imprenditore agricolo quando dalla vendita dei suoi prodotti sottrae i costi che sono serviti a

produrli. In quest’ottica, il suolo risulta indifferenziato, in quanto non influisce in nessun modo sul prezzo del

prodotto.

Una seconda definizione viene data da David Ricardo, il quale introduce il concetto di fertilità del terreno,

considerandolo come fattore che aumenta la reddita. Ricardo è il primo a considerare quindi una differenza tra

terreni di diversa fertilità.

La questione della fertilità viene messa in discussione da Von Thunen agli inizi dell’’800, che articola in modo più

risolutivo, nella sua Teoria della Rendita, la differenziazione dei suoli.

Von Thunen era un proprietario terriero della Germania settentrionale, in particolare nella regione del Mecklenburg:

si pone il problema di massimizzare le ree monetarie della sua attività agricola e parte dall’osservazione

dell’organizzazione agricola nella sue regione. Nel Mecklenburg le colture si disponevano in cerchi concentrici

attorno al centro di mercato, in successione dal centro verso l’esterno si incontravano l’orticoltura, la silvicoltura, i

terreni arabili e gli allevamenti. In base a questo tipo di osservazione, riconosce l’importanza del fattore DISTANZA

dal mercato come il fattore che rende un terreno più o meno appetibile. Se quindi Adam Smith aveva posto la

Rendita come frutto del prodotto:

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R = Q(P-C) dove Q è la quantità di prodotto, P il prezzo per unità di prodotto, e C il costo di produzione;

Von Thunen introduce un nuovo termine nel calcolo della Rendita:

R= Q(P-C –FK) dove F è il costo unitario di trasporto/distanza, e K è la distanza percorsa dal terreno al mercato.

La segmentazione dei terreni è dunque funzione della distanza tra il suolo e il centro di mercato: naturalmente, la

relazione (e la curva corrispondente nel piano R,K) cambia a seconda del tipo di merce considerata, in quanto

variano i prezzi unitari, i costi di produzione e di trasporto.

Per questo motivo, per ogni distanza dal mercato conviene produrre determinate merci, al fine di massimizzare il

guadagno: partendo dalle rette di rendita è possibile riprodurre i centri concentrici di Von Thunen e ricondurre così

alla distanza l’uso del suolo.

Il concetto di Von Thunen di rendita può essere trasferito in un contesto urbano. In questo nuovo ambito, il centro

risulta essere l’area più accessibile, in quanto sia gli spostamenti pedonali, che le linee autobus, che in generale le

strade, sono tutte rivolte verso il centro città.

La rendita in un contesto urbano è quindi conseguenza della concorrenza tra le diverse attività per assicurarsi la

posizione più centrale, che garantisce maggiori vantaggi. In questa ottica, si stabilisce un’omogeneità nell’uso del

suolo a seconda della posizione rispetto al centro: si creano aree con attività dello stesso tipo (come la via dei negozi

di abbigliamento ad Udine negli anni ’50), che traggono vantaggio dalla loro vicinanza e allo stesso tempo entrano in

competizione, aumentando il valore complessivo del suolo. Si instaura una specie di gerarchia dell’uso del suolo,

decisa in base al tipo di attività che è in grado di accaparrarsi il suolo a maggior valore: alcuni usi del suolo diventano

perciò vincolati al suo valore e alla capacità di spesa dei vari attori:

1. Vincono la competizione per l’uso del suolo le imprese più remunerative, del settore terziario, che si

posizionano nel centro città:

attività direzionali (grandi imprese, gruppi di servizi, come il Rockfeller Center a NY);

attività finanziarie;

servizi alle imprese;

liberi professionisti.

2. Al secondo posto si collocano, in termini di distanza dal centro, le attività commerciali di segmento elevato:

Negozi di moda;

Gioiellerie;

Travelling;

Antiquariato;

Alberghi e ristoranti.

3. Il terzo gruppo è costituito da altre attività commerciali;

4. Soccombono alla guerra dei prezzi le imprese e le famiglie.

Gli usi così schematizzati sono preponderanti, ma non esclusivi: si creano aree omogenee nelle quali non si esclude

la presenza di aree adibite ad usi diversi da quello principale (ad esempio aree residenziali nelle zone centrali →

Montecarlo, specializzata in aree residenziali di lusso)

Questo paradigma viene smentito dalle città americane, nelle quali si contraddice la regola stabilita dalla teoria della

rendita, e si fa nuovo uso dei cerchi concentrici (Modello di Burgess) secondo uno schema completamente diverso

da quello suggerito da Von Thunen.

L’esempio migliore è quello di Chicago negli anni ’20, ma anche Manhattan e San Francisco rientrano nello stesso

tipo di gerarchia di usi del suolo.

1. CBD, Central Businnes District, zona degli affari dove sono concentrate le attività finanziarie e direzionali;

2. Zona di transizione, di degrado edilizio e di zone industriali abbandonate. Vi abitano famiglie di immigrati a

bassissimo reddito (cinesi, italiani →San Francisco, Chicago; portoricani→Manhattan, nel quartiere di West

Side; i quartieri di Harlem, del Bronx e di Brooklin a Manhattan);

3. Zona residenziale delle classi lavorative a basso reddito;

4. Zona dedicata al ceto medio;

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5. Famiglie ricche.

Questo schema è seguito dalla maggioranza delle città americane, ed è dovuto alle modalità di evoluzione

dell’industrializzazione e della crescita urbana a partire dall’’800: quando l’industria comincia a svilupparsi intorno al

centro storico, nuovi residenti si stabiliscono lungo il perimetro esterno della città. Le famiglie ricche tendono a

spostarsi dal centro verso la periferia, lasciando le case vecchie per costruirne di nuove e di più belle, e quelle

abbandonate vengono occupate da famiglie a più basso reddito: inizia a delinearsi in questi anni la tendenza

americana a ricostruire piuttosto che riqualificare edifici preesistenti. La concentrazione di famiglie a bassissimo

reddito e di diverse etnie determina il formarsi di quartieri monoculturali, di “ghetti”.

Wirp, nel suo libro “Il ghetto”, scrive proprio di queste realtà, rappresentandole come forzature, meccanismi

coercitivi: chi va a vivere nel “ghetto” non ha la possibilità di scegliere diversamente, in quanto la selezione per

reddito impedisce l’innesto di famiglie a basso reddito in aree più esterne. Accanto a questa componente coercitiva,

tuttavia, si pone anche una componente volontaria, in quanto il ghetto assicura omogeneità di lingua e cultura, e

mette in atto una serie di meccanismi di accoglienza che rendono, di fatto, la scelta di vivere con i propri simili un

atto volontario.

Quello che non cambia tuttavia è che la discriminante resta sempre e comunque il valore del suolo: il modello

americano non rispetta il valore teorico della teoria della Rendita (secondo la quale il valore del suolo è dato dalla

distanza dal centro), ma conferma il fatto che l’uso del suolo sia determinato dal suo valore.

RINNOVAMENTO DELLA ZONA DI TRANSIZIONE

Il tema della riqualificazione della zona di transizione è stato affrontato in alcune città americane, dove quest’area

disagiata è stata lentamente erosa al fine di riguadagnare spazi di valore al centro cittadino. Ad esempio a

Manhattan si è cercato di recuperare il quartiere di Five Points, che nella seconda metà del ‘900 era ancora un

quartiere ghetto abitato da Irlandesi: oggi il quartiere è parte integrante del centro finanziario.

La scelta di ricostruire un quartiere è dettata da ragioni economiche, ovvero quando il rendimento che si può trarre

dall’affitto di zone degradate diventa troppo basso. In tali casi, può essere più conveniente riutilizzare in modo

nuovo l’immobile. Tuttavia, per quanto ci si possa attendere nuovi e migliori rendimenti, il costo della

riqualificazione (comprensivo di demolizione, sgombero e ricostruzione), è spesso molto alto, e il rendimento finale

dell’operazione di recupero non dà sempre i risultati attesi. Questo è dovuto da un lato alla difficoltà di trovare

affittuari di alto reddito che accettino di risiedere in un’area degradata della città, benché attratti da una bella

abitazione; dall’altro si possono riscontrare problematiche sociali nell’allontanamento dal luogo dei precedenti

abitanti, ai quali l’immobile recuperato non sarà restituito.

Si rende necessario, in questi contesti, un intervento pubblico di grande intensità, per rinnovare intere parti di città e

per trovare nuove collocazioni a chi ha occupato le aree interessate.

D’altra parte, ignorare la necessità di intervento potrebbe causare la creazione di una zona off limits, pericolosa a

livello sociale,

Teoria del FILTERING DOWN Si basa sull’OFFERTA delle abitazioni: la localizzazione delle famiglie dipende dalla qualità delle abitazioni. Per questo è sufficiente intervenire nelle parti degradate della città e migliorare la qualità degli alloggi. Esempio: Berlino, finanziamenti ai privati per migliorare l’offerta abitativa, collocando studenti in abitazioni con prezzi agevolati.

Teoria del TRADE OFF Si basa sulla DOMANDA delle abitazioni: la localizzazione delle famiglie dipende dalla loro capacità di spesa. Perciò la qualità delle abitazioni non è la causa, ma l’effetto della scelta, che invece è orientata dal COSTO DI TRASPORTO e dal modello di vita. Le famiglie ad alto reddito preferiscono investire nella qualità della vita in quanto possono permettersi i costi di trasporti (30% del reddito); le famiglie a basso reddito invece si appoggiano ad abitazioni più centrali per minimizzare i costi del trasporto.

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In questo contesto,se i ¾ della popolazione americana vivono all’interno dell’area metropolitana, i 2/3 di questi sono

collocati in zone suburbane.

Caso clamoroso di questa tendenza è la città di Darien, a 64 km da Wall Street, stimata la città più cara del

continente americano: il valore medio di una casa è di 1'000'000 $, presenta lo 0.5% di popolazione nera e la qualità

della vita è davvero molto alta. Il 27% dei residenti di Darien lavora a Wall street, e lo spostamento è favorito dall’

imponente rete infrastrutturale americana.

Città americana = città privata; viene premiato chi paga più tasse, e la povertà è considerata una colpa per via della

quale si crea una specie di selezione di merito.

Città europea= città pubblica

LEZIONE 9,8/10/13

GENTRIFICATION

Il fenomeno della gentrification consiste nella tendenza ad aggregarsi in spazi comuni di persone e famigli che

presentano analoghe caratteristiche; si è cominciato a sviluppare quando è cominciato il processo di erosione degli

spazi urbani in degrado. La sua forma estrema è quella della GATED COMMUNITY (comunità chiusa, asserragliata)

ovvero l’isolamento di famiglie a reddito elevato all’interno di uno spazio chiuso all’esterno da mura, cancelli di

ingresso e polizia privata: all’interno di queste comunità (sorte nelle grandi città USA, ma anche in Russia, Sud

America e Sudafrica) la popolazione residente trova tutto ciò di cui ha bisogno. Dal punto di vista formale e

tecnologico ambientale, si tratta di città che offrono grandi opportunità in termini di fonti energetiche e di spazi

verdi: tuttavia, di fatto escludono (e rinchiudono) una parte di popolazione urbana.

Esempi

King Abdullah (penisola arabica);

Spring Town (Texas);

Joburg (cui si contrappone la città dei neri Soweto, satellite di Johannesburg).

NB: la città americana come melting pot; NY abbraccia una grande quantità di etnie, le quali però sono separate le

une dalle altre. La popolazione di NY che non parla inglese in alcune aree raggiunge il 40%, e a Chicago si contano

diverse aree molto vaste in cui il 90% della popolazione è di diverse etnie.

CITTÀ AMERICANA vs CITTÀ EUROPEA

AMERICA EUROPA

Costruzione della città:

la città americana è esito del mercato, somma di

azioni individuali.

Il PIANO consiste in un layout (un disegno) che

contiene e direzione in una griglia ortogonale la

crescita urbana.

Costruzione della città:

la città europea è esito di politiche, di un’azione

pubblica che persegue il bene comune.

Il PIANO è comprensivo di contenuti relativi alle

destinazioni d’iso del suolo, dotazione di servizi, e

normative

Caratteri identitari:

La storia americana è piuttosto recente. L’identità

nazionale si appoggia alla Natura (grandi parchi

nazionali) e a Simboli (statua della libertà)

Caratteri identitari:

La storia europea è millenaria. L’identità culturale i

fonda sui segni lasciati dalla storia e si avvale della

MEMORIA mediante i monumenti

Persistenze:

I luoghi hanno valore economico. Se il COSTO è

accettabile e l’operazione allettante quanto a

possibili profitti, si agisce per rinnovare mediante

SOSTITUZIONI

Persistenze:

I luoghi hanno valore identitario. Si predilige

preservare i luoghi che hanno una storia, nel segno

della CONSERVAZIONE e dell’OPPORTUNITÀ.

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Uso del suolo:

L’uso del suolo è terreno di competizione e conflitti,

a seguito dei quali si ha la formazione di ghetti.

La Chicago School trasla nel contesto urbano la

dottina di Darwin sull’evoluzione, osservando come

nella conquista dei terreni migliori vinca la legge del

più forte, ovvero la legge del mercato.

Uso del suolo:

L’uso del suolo è stabilito in base a leggi di piano.

L’edilizia pubblica è lo strumento mediante il quale

l’azione pubblica contiene quella parte di

popolazione che non può permettersi un alloggio.

Sono previsti meccanismi di ridistribuzione del

reddito (eredità del socialismo).

Processi:

La città americana è in continuo movimento, le

trasformazioni avvengono con grande rapidità e le

zone industriali sono notevolmente degradate

Processi:

La città europea si evolve con lentezza e inerzialità:

la città ottocentesca cresciuta in età industriale non

viene rimossa, ma conserva una elevata qualità.

Problemi:

Zona di transizione;

Divisione razziale

Problemi:

Fenomeni di degrado per via di politiche che

tendono a relegare le famiglie a basso reddito in

quartieri periferici

MODALITÀ DI ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO (CHRISTALLER)

Mentre Weber si era posto il problema della distribuzione delle imprese manifatturiere sul territorio (localizzazione

di impresa), nel 1933 Christaller si pone il problema della organizzazione dei centri urbani sul territorio e riconduce

l’ambito territoriale ad un insieme di cerchi.

Ciascun cerchio corrisponde ad un piccolo ambito territoriale, il cui centro rappresenta l’area di mercato e di

erogazione dei servizi, e il raggio è di circa 3.5 km (distanza percorribile a piedi in 1h). La popolazione vive all’interno

del cerchio, dal centro alle zone più periferiche.

Il tipo di beni e servizi erogati da un piccolo centro all’interno della superficie del cerchio sono quelli di prima

necessità (servizi elementari), che sono quelli più utilizzati. I cerchi sono collegati tra loro da segmenti che vanno a

costituire esagoni: raggruppando 7 esagoni si ha un’ulteriore aggregazione, che costituisce il centri di erogazione di

beni e servizi superiori. L’organizzazione prosegue per aggregazioni fino a determinare 7 livelli. Il livello base è il VII

ed è relativo ai beni alimentari, associati ai servizi di manutenzione. Decrescendo con i livelli si hanno beni e servizi

meno richiesti e di più ampia portata, tali da poter dare profitto. In questa organizzazione del territorio Christaller

propone anche il numero di abitanti ideale per ogni località e di conseguenza il numero giusto per una città.

La specializzazione di ogni cerchio non è scelta, bensì assegnata (soprattutto nell’apparato dei servizi pubblici), per

cui anche le imprese private devono sottostare a questo tipo di gerarchia, nella quale un ruolo dominante viene

assegnato alla città, mentre gli altri centri urbani sono relegati ad attività di minore importanza.

Obbiettivamente nei processi di metropolitanizzazione questo tipo di gerarchia è stata rispettata, e le funzioni

assegnate si centri urbani periferici sono quelle espulse dall’amministrazione centrale. Si tratta per lo più di un

ordine suggerito dalla legge di mercato, che però non riesce ad imporsi ovunque.

Le ragioni della crisi del modello Christalleriano si rintracciano nella capacità dei piccoli centri di specializzarsi

nell’offerta di un particolare bene o servizio privato: nella teoria dei cerchi si immagina, per esempio, che ci sia un

solo grande medico specializzato in tutta la città, che quindi ha una grande domanda. Tuttavia, non è detto che

questo medico si trovi nel centro di più alto livello (e di più basso ordine il I), bensì potrebbe trovarsi in un centro più

piccolo. Perciò, non è solo la domanda a determinare l’offerta dei servizi (in questo caso rappresentati dal medico

specialista), ma anche la qualità dell’offerta stessa. Viene meno perciò il modello gerarchico nell’ottica che le

specializzazioni si possano trovare dappertutto, e non necessariamente nella città al centro del territorio.

La disarticolazione del modello Christalleriano conduce ad un modello basato sulle RETI DI CITTÀ: la base dei

rapporti che si instaurano nella rete è la differenza di specializzazioni, che consente uno scambio tra centri, non più

mediati dalla grande città.

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LEZIONE 10, 10/10/13

Città moderna (seconda metà ‘800-‘900)

La città moderna è la città industriale, che risponde ad un ordine a priori, funzionale e spaziale, fondato sulle sinergie

che si instaurano tra fabbrica e mercato. La città moderna attrae ogni funzione rispetto alla vita collettiva, accoglie

una pluralità di espressioni, dalla narrativa, alla pittura, alla musica e fa propri i simboli identitari dell’industria

(ufficio della borsa, sedi delle compagnie).

Esempio: Milano, 1940. Le industrie si trovano lungo il perimetro urbano. Le funzioni esterne si riducono alla

residenza, al mercato alimentare e ai beni di prima necessità, in quanto le funzioni principali sono svolte in città.

Città metropolitana (anni ’60-‘80 del ‘900)

La città comincia a ripartire le sue funzioni su un territorio più vasto, cosicché lo spazio periurbano assume un nuovo

ordine funzionale. Si innescano meccanismi di SPRAWL URBANO (diffusione) e di COMMUTING (pendolarismo casa-

lavoro, dovuto alla divisione tra i servizi, erogati in città, e le funzioni residenziali relegate alle aree periurbane), in

un’area urbana che tuttavia resta ancora ben identificabile.

Città contemporanea (anni ‘90 del ‘900)

La città contemporanea è l’esito di 2 processi:

1. Continua distribuzione di funzioni da parte dell’area metropolitana;

2. Crescita locale in termini di investimenti, reti di servizi, attività industriali, che porta alla specializzazione

funzionale anche dei centri lontani dalla città: nascono i distretti specializzati.

L’esito è un’urbanizzazione indifferenziata sul territorio, in cui la città non è più identificabile. Questo fenomeno,

detto DETERRITORIALIZZAZIONE, segna la fine del processo che aveva consolidato la città nel corso della storia

(TERRITORIALIZZAZIONE), con una conseguente asocialità della società contemporanea, che non ritrova più la

propria identità in simboli e luoghi fulcro della città.

Esempi:

Delocalizzazione industriale dell’area torinese, nella quale la produzione manifatturiera continua a far capo

all’area metropolitana;

Urbanizzazione diffusa nella provincia di Verona.

MOBILITÀ TRA RIPARTIZIONI GEOGRAFICHE DAL 1955 AL 1984

1955-1958 (I FASE) : Da tutta l’Italia fluisce manodopera dal Sud Italia, dalle Isole e dal Nord Est verso il triangolo

industriale GENOVA, TORINO, MILANO. Il flusso continua fino alla metà degli anni ’70.

1971-1974/1975-1978 (II FASE): Si interrompe il flusso verso l’occidente e le nuove mete diventano il Veneto e

Roma. L’anno 1975 è cruciale in quanto si ha il grande shock petrolifero: l’OPECK rialza i prezzi del petrolio,

riconosciuto ufficialmente come risorsa finita. Entra in crisi il modello di sviluppo occidentale, che reagisce

contenendo i costi di produzione, automatizzando il processo produttivo e riducendo la domanda di lavoro.

Le città cessano di crescere per il crollo della domanda ma anche per il processo di sub urbanizzazione: tra il 1971 e il

1981 Torino perde 80'000 abitanti, assorbiti dai comuni limitrofi. Lo stesso vale per Milano e Roma. Sono questi gli

anni in cui si formano le città metropolitane, in cui, cioè, la città si trasforma da industriale a terziaria,

Esempi:

Carta del Piemonte: mostra l’area metropolitana Torinese, di molto più estesa rispetto ai 42 comuni

originari;

Suburbanizzazione della città di Venezia, Padova, Treviso e Verona: la suburbanizzazione è un processo

selettivo, si rivolge cioè ai comuni (anche piccoli) che mettono in atto una buona offerta abitativa,

convertendo aree agricole in aree edificabili;

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Crescita della fascia pedemontana in Veneto e formazione di un unico ambito territoriale dal Veronese

all’alto Veneziano (in parte sconfinante nel Friuli);

Suburbanizzazione di Milano: Si distribuisce lungo due direttrici:

1. verso l’Adda/Bologna, aree in cui ci sono sia la ferrovia che l’autostrada, che consentono l’accesso

alle grandi città;

2. verso Bergamo.

Cintura torinese e Padovano: alternanza tra spazi industriali e spazi residenziali (situazione simile a quella

della Ruhergebiet);

Roma: saturazione con funzioni residenziali del territorio nei pressi di Ostia, e totale assenza dell’elemento

industriale.

FOCUS SU: Cintura torinese

Nel periodo compreso tra gli anni ’50 e ’60 il piano regolatore sembra lo strumento più adatto a governare il

territorio. Successivamente ci si rende conto che non è affatto risolutivo per molti aspetti, ma resta efficace per la

destinazione d’uso del suolo nel territorio comunale. Ciò che accade è che il comune non è più in grado di gestire i

cambiamenti che avvengono sul suo territorio, e il livello di governo diventa sovra comunale: questo cambiamento

genera ambiguità nelle competenze di governo dei processi ambientali.

CITTÀ DIFFUSA VENETA

La città diffusa è un modo di essere della città contemporanea, particolarmente sviluppato nel Nord Est Italiano e

nello specifico nella fascia pedemontana veneta. È caratterizzata da aree industriali disperse sul territorio,

nell’ordine di un tessuto di piccole e medie imprese che sono alla base della formazione della città diffusa. Le

funzioni industriali e commerciali, prima riservate alla città, sono ora sparse sul territorio, e mescolate all’attività

agricola, in un’ottica di ZONING, cioè di specializzazione funzionale degli ambiti territoriali.

In questo contesto, la localizzazione di impresa segue in larga parte la localizzazione di residenza: secondo ai

sondaggi, per più del 60% della popolazione di queste aree la residenza coincide con la sede aziendale (distanza

abitazione-posto di lavoro 0÷2 km), e questo vale sia per gli imprenditori, sia per i dipendenti, che abitano entro un

raggio di 10-15km dalla sede. Perciò, è proprio la presenza dell’abitazione il criterio principale della localizzazione

dell’impresa, in quanto questa è profondamente legata alla conoscenza del territorio e alla socialità. Alla base del

modello di integrazione tra la funzione abitativa e la funzione produttiva, c’è la convenienza economica e la

sicurezza.

I caratteri principali del modello sono:

1. Fissità della manodopera: benché il Veneto sia stato per anni terra di emigrazione, la fascia pedemontana ha

sempre mantenuto la sua popolazione, impegnata in coltivazioni e imprese agricole di piccola proprietà.

Questo fa sì che il modello veneto dipenda da fattori socio-economici che non sono ripetibili altrove.

2. Radicata consuetudine della proprietà, e al lavoro in proprio, non solo nel settore agricolo ma anche

nell’artigianato;

3. Propensione al rischio: il capitale derivante dai risparmi familiari viene investito in forme di piccola

imprenditoria;

4. Forme di aggregazione sociale, coesione di piccoli gruppi, eredità storica di lavoro agricolo autonomo e

mezzadrile: con il BOOM economico, si creano le condizioni di far nascere dal basso iniziative di carattere

industriale, cosicché le piccole aziende si trasformano in imprese industriali che hanno nella Germania il

principale acquirente.

5. Rete infrastrutturale: la centuriazione consente di collegare ogni punto della regione, in modo da poter

collocare agevolmente un’impresa (ciò cause però difficoltà nella realizzazione di autostrade).

Gli studi IRSEV del 1978 sulle modalità insediative venete mostrano:

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Tendenza all’annucleamento, ovvero a incremento edilizio che rafforza i nodi precedenti piuttosto che

distribuirsi nell’intorno;

Ispessimento lungo le trame che congiungono gli insediamenti. L’assetto del territorio è profondamente

legato alle reti viarie che condizionano lo sviluppo di unità abitative e industriali;

Polverizzazione e totale diffusione degli insediamenti, che rende impossibile riconoscere la matrice originaria

della forma insediativa.

Le modalità che hanno portato a questa trasformazione sono di assoluta spontaneità: benché infatti l’urbanizzazione

avvenga nell’ambito di piani regolatori (non ci sono forme di abusivismo), l’autorità regolatrice (regione veneto)

asseconda le tendenze insediative. Ciò è dovuto al fatto che prima che l’autorità fosse data alla regione, il processo

di trasformazione era avvenuto dal basso, per cui l’inserimento del pubblico nel governo del territorio è avvenuto

con atteggiamento accomodante.

La parte più orientale di questa regione (Nord Veneziano, San Donà di Piave) è stata meno investita dai fenomeni di

industrializzazione: precedentemente, infatti, era caratterizzato da grandi proprietà agricole, che hanno preservato il

territorio.

CONSUMO DI SUOLO

Il fenomeno del consumo di suolo coinvolge sia il tema della perdita di superficie coltivabile, sia la perdita delle funzioni

ecosistemiche e del paesaggio. In Italia, dal 1950 al 2005 la superficie agricola è diminuita del 40%, con un tasso di

consumo medio annuo di 221'745 ha. Questo processo ha subito un’accelerazione negli ultimi anni, a fronte tuttavia

di uno scarso aumento della popolazione: il divario tra numero di alloggi e numero di famiglie è molto grande, se si

considera che molti dei manufatti commerciali e industriali non sono ancora utilizzati, e molte abitazioni sono vuote.

Secondo il Report FAI-WWF alcuni comuni italiani hanno incrementato la superficie consumata del 50%, seguendo un

modello americano di non recupero di edifici e aree inutilizzate. Ciò, tuttavia, non è causato dal livello alto della qualità

di vita, se è vero, dal confronto con territori analoghi ai nostri per quanto riguarda il reddito pro-capite (Bassa Baviera,

Amburgo, Augeres, Bordeaux, Warwick), che è possibile uno sviluppo anche industriale che ponga l’attenzione

sull’assetto del territorio e sui processi ambientali.

La differenza sostanziale tra i paesi nordici e quelli che si affacciano su Mediterraneo è che i primi si pongono, fin dalla

fine dell’’800, il problema di preservare il paesaggio, assunto come valore sociale. Nelle legislazioni vengono introdotte

norme in base alle quali le scelte territoriali devono bilanciare lo sviluppo economico con la salvaguardia del territorio.

In Italia, la legge urbanistica (che regola l’edilizia, le tasse e le licenze costruttive), superata dalla successiva legge di

tutela del paesaggio, è in ritardo di 90 anni, e comunque non viene rispettata, nel segno dell’abusivismo edilizio e

dell’accondiscendenza negli anni dello sviluppo del Nord Est.

LEZIONE 11, 14/10/13

IL PIANO

Il piano è uno strumento che regolamenta e indirizza la crescita urbana e le trasformazioni territoriali.

La svolta nel piano è segnata dalla rivoluzione industriale: è infatti dalla seconda metà dell’’800 che si può parlare di

piano in senso più vicino a quello odierno, cioè da quando si mettono in atto tentativi di porre mano ai problemi

della città industriale.

Prima, il termine “piano” ha più la valenza di DISEGNO, funzionale ad un certo scopo, in quanto il disegno è uno

strumento che consente un approccio semplice ma efficace per il problema specifico che deve essere risolto.

Gianmarco De Carlo (L’urbanizzazione moderna): l’urbanistica classica-rinascimentale- barocca è un disegno di parti

della città in termini simili a quelli con cui si disegna un edificio in architettura; non tiene conto, cioè, dei fattori

sociali, economici e politici che contano oggi nella stesura di un piano urbanistico.

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John Friedman (L’urbanistica pre-moderna): il disegno urbano, strumento dell’urbanistica premoderna, si avvale

dell’impianto ortogonale, che impone un ordine euclideo allo spazio fisico disponendo geometricamente figure

volumetriche nello spazio. Questo tipo di pratica si giustifica nell’ottica di un mondo statico e gerarchico, parte di un

ordine cosmico, politico e sociale.

IMPIANTO ORTOGONALE: L’impianto ortogonale è famoso in quanto tipica disposizione degli spazi nel mondo degli

accampamenti romani (centuriazione), di cui si trovano numerosi esempi in Italia (Verona, Torino), ma anche in

Europa. La centuriazione romana, estesa anche su scala territoriale, risponde all’obbiettivo di amministrare un

territorio vasto sulla base della proprietà fondiaria, ovvero di razionalizzare una funzione amministrativa di governo

del territorio. Tuttavia l’impianto ortogonale è stato adottato non solo dai Romani, ma anche da popoli da essi molto

distanti, come gli Aztechi a Città del Messico.

IMPIANTO CIRCOLARE: La forma insediativa circolare è tipica delle popolazioni nordiche, ed è spesso ricondotta a

significati religiosi e spirituali; Stonenge, in Inghilterra, era luogo di culto, mentre alcune popolazioni scandinave

costruivano in forma circolare i propri luoghi funerari. Molti insediamenti presentano ancora la forma originaria

circolare, come Chickester, Oxford, Milano e Mosca.

Altre tipologie insediative sono invece dettate dall’adattamento dell’insediamento alle caratteristiche

geomorfologiche del luogo in cui sorge.

Machu Picchu: l’uso del territorio viene massimizzato mediante terrazzamenti;

Venezia: le abitazioni si dispongono lungo i canali in totale assenza di geometria e di ordine, ma con perfetta

funzionalità, sfruttando al meglio lo spazio a disposizione;

Algeri: dietro un apparente disordine, la città è perfettamente funzionale; abbandonato l’ordine impresso

dai romani, la città nel tempo ha assunto un ordine casuale che tende a massimizzate l’uso del suolo.

Roma: benché cuore dell’impero romano, non presenta alcun tipo di ordine riconducibile ad una geometria

razionale. La proprietà del suolo è estremamente frammentata e non ci sono criteri di costruzione delle

proprietà.

URBANISTICA NELL’UMANESIMO E NEL RINASCIMENTO

A partire dal 1400 rinasce l’idea di una città ordinata attraverso l’uso di forme geometriche. Assieme alla forma della

città viene considerato il senso stesso della città e della società: la città ideale, teorizzata da Platone e da Aristotele,

diventa espressione del desiderio di una società ideale (Leon Battista Aliberti scrive, nel De Re Aedificatoria, che la

città è luogo di incontro sociale, di organizzazione politica e pianificazione economica, spazio in cui vivere in armonia;

questo concetto è condiviso anche dal pittore Ambrogio Lorenzetti).

Tommaso Moro (Utopia, 1517): Utopia è una città nella quale è racchiuso un ideale politico e sociale di società

democratica e funzionale. La città teorizzata da Tommaso Moro prevede un sistema politico basato su funzionari

eletti democraticamente e su assemblee popolari per i casi eccezionali, su un’organizzazione sociale che prevede

lavoro obbligatorio per tutti, comunione dei beni, e libertà di espressione per tutti i cittadini.

Filarete (Sforzinda, 1456): Perfettamente disegnata nel suo impianto, la città di Filarete doveva assolvere a tutti i

bisogni della società cittadina, e per questo era dotata di piazze, mercati, case e negozi, e ospitava al suo interno il

potere civile ed ecclesiastico. Il nuovo disegno urbano teneva conto, nella sua forma, dell’aspetto difensivo:

Sforzinda infatti era circondata da colline, e le uniche vie di collegamento erano costituite dai fiumi, sedi di traffico

commerciale. Il modello di Smorzinda viene copiato da Palmanova, che perde però l’intento filantropico e sociale e

mantiene l’intento difensivo.

Questo tipo di impianto ordinato e geometrico viene utilizzato nelle città di nuova fondazione, come Hannover, San

Pietroburgo e Belgrado, ed ha attecchito molto in America (Philadelphia) e in Asia. Anche città esistenti sono state

oggetto di riammodernamento in questo senso (Palermo, inizialmente dotata di un impianto arabo, nel ‘600 è stata

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ripensata con un impianto a croce; anche a Milano, all’antico insediamento celtico è stato aggiunta l’area del castello

seguendo questi criteri).

L’URBANISTICA NELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

La rivoluzione industriale sconvolge la città preindustriale investendola di nuove funzioni (produttive e

manifatturiere) utilizzando il vecchio impianto urbanistico e dilatandolo con un’alternanza di case e fabbriche.

Esempi:

Manchester:le nuove funzioni si sovrappongono all’impianto storico. Dalla mappa catastale si osserva che gli

usi prevalenti sono quelli produttivi, ma in generale tutti gli edicici si ammassano all’interno di un unico

nucleo urbano. L’elemento predominante è il paesaggio industriale.

Notthingham, Sheffild (Cocketown di Hard Times): le case si addossano l’una all’altra condividendo il retro

(back to back), e le famiglie alloggiano per lo più in una sola stanza.

I problemi della città moderna non tardano a presentarsi con le scarse condizioni igieniche, lo scoppio di epidemie e

le basse aspettative di vita. Dall’analisi di Chadwick si rileva che la vita media si abbassa passando da professionisti a

commercianti a operai, e addirittura a Liverpool si rileva che l’aspettativa di vita di un operaio è di 15 anni. Sempre

Chadwick, ponendo una croce su ogni casa nella quale si è avuto un decesso, ricostruisce una mappa dei quartieri in

cui si concentrano le morti e nota che questi coincidono con i quartieri operai. Le morti sono per lo più causate da

malattie polmonari, da colera e da altre epidemie.

Nel 1854 John Snow si rende conto della correlazione tra le morti per colera e la presenza di pozzi: mentre la

credenza comunque era che le epidemie fossero diffuse per mezzo delle persone, degli odori, o attraverso l’aria,

nessuno aveva colto il nesso con l’acqua. John Snow stabilisce dunque la connessione tra la diffusione del colera con

lo stato di inquinamento dell’acqua, e viene incaricato di provvedere ad una nuova rete infrastrutturale. Nel 1855 la

Public Health Act diventa la legge in campo sanitario più importante del secolo.

Il problema dell’inquinamento delle acque è fortemente legato a quello delle reti fognarie: ancora nel medioevo

Boccaccio descrive la situazione delle strade in “Andreuccio da Perugia”, luogo di scarico dei liquami, dilavati in

superficie oppure ricondotti tramite canali nei corsi d’acqua, da cui gli abitanti prelevavano l’acqua potabile.

Eppure, i primi provvedimenti per la costruzione di una rete fognaria si hanno per ragioni di decenza, più che per

ragioni igienico sanitarie: a Parigi, la rete fognaria viene realizzata nel 1833 per far fronte al problema dei cattivi

odori.

Tra questi disagi, anche il rischio di incendi era particolarmente sentito nelle città industriali, in quanto le case erano

costruite in legno e l’uso della stufa all’interno delle abitazioni piuttosto frequente. Al di là delle ragioni costruttive,

anche dal punto di vista urbanistico la città era poco cautelata di fronte al rischio di incendi, per via della poca

distanza tra gli edifici.

LE GRAND TRAVAUX DI PARIGI (1853)

Nel 1853 Napoleone III incarica Haussman (prefetto della Senna) di dare il via a grandi opere di ricostruzione di

Parigi, tese a far fronte a problemi igienico sanitari, di ordine pubblico, e in generale di adeguamento della città alle

nuove esigenze della città moderna.

Abbandonato il pensare in piccolo, che portava a risolvere piccole contingenze, Haussman realizza un progetto di

globale ripensamento della città di Parigi, modificandone l’aspetto in maniera totale e definitiva.

Un progetto di queste dimensioni ovviamente è reso possibile da una serie di fattori:

1. Un potere forte, che sia in grado di imporre le decisioni e di agire con normative e con azioni di controllo

sulle eventuali resistenze della popolazione: il progetto infatti viene affiancato da un imponente corpo di

leggi che consenta di interagire con la proprietà privata e di regolamentare i rapporti tra pubblico e privato

sull’uso e proprietà del suolo;

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2. Crescita del mercato finanziario e del potere delle banche: per realizzare queste grandi opere, infatti, erano

necessari ingenti investimenti.

3. Precarietà delle condizioni igieniche, che rendeva l’intervento indispensabile;

4. Pericolosità sociale di alcune zone della città: a partire dalla Rivoluzione Francese, alcuni quartieri ospitavano

ancora componenti rivoltose che dovevano essere eliminate.

Nel suo progetto, Haussman impone una pianta a croce sulla città (la Grand Croiseè), partendo dal prolungamento

dell’asse Versailles-Parigi realizzato nel ‘700 e facendovi corrispondere perpendicolarmente un asse. La Parigi storica

viene resa accessibile da ogni parte, viene operato uno sventramento della città (Ile de la Citè) e l’abbattimento di

edifici, che vengono completamente ricostruiti lungo i boulevard e lungo gli assi. Contemporaneamente vengono

realizzati interventi fognari e di approvvigionamento idrico, e grandi parchi urbani. Il boulevard di Monmatre viene

progettato da Pissarro, senza però tenere conto delle esigenze di traffico: prima ancora dell’avvento dell’automobile,

infatti, Parigi dispone di mezzi pubblici, larghi marciapiedi per i pedoni e file di alberi disposti sui due lati dei viali.

L’adeguamento alla mobilità moderna dei boulevard sarà un intervento successivo.

REGIME DEI SUOLI →lezione successiva

LEZIONE 12, 15/10/13

URBANISTICA = azione che si ha quando il pubblico si relaziona con la proprietà dei suoli. Si tratta di un campo del

diritto che tocca lo stato naturale delle cose con un’azione pubblica, legittimata dal fatto che la città è assimilabile ad

un bene pubblico. L’organizzazione dello spazio urbano è condizione primaria del funzionamento del meccanismo

urbano.

L’obiettivo dell’urbanistica è l’efficienza nell’espletamento delle funzioni urbane e degli spazi messi a disposizione

della cittadinanza.

PIANO = strumento che persegue il bene pubblico attraverso una organizzazione ottimale dello spazio. Nel suo

esplicarsi, l’azione di piano interagisce con l’uso del suolo.

REGIME DEI SUOLI = campo normato relativo all’interazione tra intervento pubblico (motivato da interessi pubblici)

e interessi privati (fondanti sul diritto di proprietà).

L’esproprio è lo strumento utilizzato dallo stato quando le scelte di piano impongono l’uso di suolo vincolato alla

proprietà privata. Si può parlare di esproprio definitivo oppure parziale, nel caso in cui il terreno sia restituito ai

proprietari dopo l’opera.

Esempio:

Nel 2° dopoguerra la Germania dovette provvedere alla ricostruzione e porre mano con urgenza ai piani

urbanistici e alla loro realizzazione. La guerra aveva eliminato i proprietari terrieri, e in assenza di

interlocutori lo stato promulga una legge in base alla quale se i proprietari non avessero aderito al piano di

ricostruzione entro 6 mesi, sarebbero stati espropriati.

Nel 1303 Filippo il Bello deve realizzare interventi pubblici e trova l’opposizione dei proprietari terrieri.

Introduce l’esproprio legale della proprietà privata, ponendo però due punti che saranno adottati anche in

futuro nelle questioni di regime dei suoli:

1. NECESSITÀ PUBBLICA: la giustificazione dell’esproprio risiede nell’utilità pubblica dimostrata;

2. GIUSTO PREZZO: indennizzo, ovvero il rimborso del valore del terreno.

Nel 1810 Napoleone rafforza i meccanismi di esproprio, ma anche i diritti dei privati, stabilento che la

necessità pubblica deve essere dichiarata no da uno solo, ma dal CONSIGLIO DI STATO, e manifestata al

proprietario tramite un progetto. Inoltre, l’indennizzo deve essere stabilito da un gruppo di giureconsulti.

In Inghilterra vige la Common Law (esportata anche negli USA), che sancisce il diritto del proprietario di

disporre liberamente del suo territorio, fino alla metà del 1800, quando lo Stato interviene con una legge che

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impone la costruzione di strade e il ri-allineamento degli edifici, dietro indennizzo (lo stesso accadeva in

Francia negli stessi anni);

Nel regno di Prussia nel 1875 viene introdotto il piano di allineamento stradale (Legge delle Linee di flusso),

valido a tempo indeterminato; il comune è libero di procedere agli espropri quando lo ritiene opportuno. Il

suolo acquisisce maggior valore per effetto delle scelte di piano e nel corso della loro attuazione (da 4

marchi/m2 a 40marchi/m2 nel passare da suolo agricolo a terreno edificabile). Tuttavia, verso la fine del

secolo, le finanze dello Stato versano in cattive condizioni, per cui i piani previsti non possono essere

realizzati: si incontrano difficoltà sia nell’acquisizione dei terreni, sia nei costi (senza ritorno) della

costruzione di opere pubbliche, spazi aperti, parchi ecc….

Nel 1902 Franz Adikens, a capo della giunta moderata, introduce una legge che garantisce alla pubblica

amministrazione l’accesso libero a terreni edificabili (PIANO DI LOTTIZZAZIONE):

1. mappatura delle proprietà interessate dal piano e misura del loro valore in base all’estensione;

2. accorpamento di tutte le proprietà (si ignorano le destinazioni d’uso dei terreni);

3. il 40% del valore delle proprietà viene trattenuto come pubblica amministrazione;

4. il restante 60% viene restituito ai proprietari.

In questo modo i proprietari non sono toccati dalla destinazione d’uso della proprietà, e mentre alcuni sono

penalizzati dal procedimento, altri sono premiati. Il terreno restituito ai proprietari assume 10 volte il valore

precedente, per via della realizzazione di servizi e strutture.

Nel 1926 la municipalità di Euclide (cittadina americana) redige un piano assegnando l’uso del suolo. La

cittadinanza non le riconosce l’autorizzazione ed il caso finisce alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che

sancisce il diritto dell’amministrazione a redigere piani in cui sia fatta la zonizzazione, in quanto va incontro

alle nuove esigenze della città moderna.

IL PIANO DI AMPLIAMENTO DI BARCELLONA

Tra il 1500 e il 1600 Barcellona raddoppia le sue dimensioni mediante interventi piccoli e semplici aggiustamenti.

Nata come bastione militare a difesa della città dal mare, è sotto la giurisdizione militare, che ne impedisce la

crescita (considerata come un incremento di punti deboli da proteggere). Le richieste della borghesia vengono

soddisfatte dalla costruzione di un borgo lontano dalle mura, tuttavia questo ampliamento non soddisfa pienamente

le necessità di crescita della città.

A metà del 1800 il governo centrale acconsente all’espansione della città e indice un concorso a cui partecipano due

famosi progettisti: l’ingegner Ildefonso Cerdà (che vince) e l’architetto Rovira y Tria.

1. Rovira y Tria: progetta un piano di ampliamento fortemente dipendente dalla teoria della rendita, in quanto

mantiene centrale il centro storico della città, verso il quale converge la restante parte tramite 3 assi. La città

costituisce un perimetro poligonale in cui allontanandosi dal centro diminuisce il valore del terreno e il

prestigio delle abitazioni.

2. Ildefonso Cerdà: ingegnere con simpatie socialiste-anarchiche, trasmette al suo piano un’idea egualitaria che

mira a scardinare il meccanismo della rendita e a valorizzare ogni parte della città senza che siano

penalizzate le aree lontane dal centro.

La predisposizione dei servizi assume un ruolo centrale, mentre la parte storica della è considerata solo

come una delle tante parti della città. Il disegno urbano di Cerdà propone più popolarità: si creano nuove

centralità, collegate tra loro tramite diagonali che consentano l’equidistribuzione delle famiglie ad alto

reddito e quelle a basso reddito in modo omogeneo.

Grande elemento innovativo per l’epoca è l’attenzione agli spazi aperti e al verde pubblico (viene progettato

un grande parco ai margini della città).

Le abitazioni progettate da Cerdà sono ad alta densità abitativa (250 ab/ha), ma senza rinunciare al verde: in

ogni unità è previsto un giardino interno non edificabile.

Organizza la città su diversi livelli, a ciascuno dei quali fa corrispondere determinati servizi:

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Isolato (quartiere) 1 scuola

Distretto (=4 quartieri) 1 mercato

Settore (=8 quartieri, 4 distretti) 1 parco urbano

8 distretti (16 quartieri) 1 ospedale

La soluzione di Cerdà vince il concorso ma non sarà rispettata: le unità abitative, che dovevano esser costruite solo

per due lati dell’isolato, vengono presto costruite lungo tutti i lati. I giardini interni vengono resi edificabili (non viene

rispettato il 65% di verde imposto dal progettista) e anche l’altezza dei palazzi rispetto al piano terra arriva a 7 piani.

La densità abitativa suggerita viene ampiamente superata (3087 ab/isolato), e i lotti vengono concessi a cittadini

privati, liberi di edificare a proprio piacimento.

Ancora oggi l’impianto di Cerdà è visibile, nonostante le modifiche e le edificazioni successive.

LEZIONE 13, 17/10/13

URBANISTICA NELLE COLONIE AMERICANE E NEGLI USA

La città ad impianto geometrico, riscoperta del ‘400, è ritenuta quella più adatta nella fondazione di nuove città in

America. Sia le prime colonie spagnole (Caracas, e quelle nel Nord America, nel Messico e in California), sia quelle

francesi (Fort de Detroit, New Orleans) vengono realizzate con impianto ortogonale.

Nel 1785 i Nuovi Stati Uniti d’America promulgano un insieme di leggi che riguardano l’uso del suolo: il territorio da

governare è più esteso di quello della sola East Coast, pertanto si preferisce gestirlo attraverso la sovrapposizione di

un reticolo (centuriazione) che ripartisca l’intero territorio in unità amministrative (Stati), a loro volta suddivise in

unità sub statali che sono messe in vendita. La ripartizione diventa sempre più minuziosa, fino ad arrivare ad unità d

2.5 km2. Il criterio di suddivisione del territorio parte dall’individuazione di 2 assi, coincidenti con un meridiano e un

parallelo: township (y) e range (x, che si legge EST-OVEST rispetto all’origine). Le unità sub statali, destinate alla

vendita agli Stakeholders (portatori di interesse), sono chiamate anch’esse township e sono quadratini di 6miglia per

lato; a loro volta, possono essere suddivisi ulteriormente in quadratini di 2.5km2. Questa ripartizione è ancora visibile

il Florida (Lincoln) ,in California (Monterey), in Nebraska e in Nevada, sia nelle aree edificate, sia nei terreni agricoli,

in quanto lo spezzettamento in lotti può arrivare fino al terreno su cui viene edificata l’abitazione.

Nel 1792 a Washington si realizza un impianto policentrico simile a quello che più tardi sarà proposto da Cerdà a

Barcellona: ciò è reso possibile dall’assenza, in quegli anni, di ostacoli rappresentati dalla proprietà privata delle

terre.

PARCHI URBANI

Il parco, nella seconda metà dell’’800, viene considerato in Inghilterra, negli USA, in Germania e in Olanda una

soluzione urbanistica capace di creare soluzioni migliori per la vita della città moderna, insieme ai servizi igienico

sanitari e all’infrastrutturazione. Non si tratta più di parchi destinati alle famiglie reali (Versailles), né di luoghi

destinati alla nobiltà (tipicamente a Parigi e in Inghilterra, come Hide Park, aperto solo ai nobili).

Nel 1820 a Liverpool la municipalità decide di realizzare un parco, Birkenhead, per far fronte all’aumento di

popolazione del 2400%. La novità è che il parco nasce come spazio aperto all’intera popolazione urbana, al fine di

migliorarne le condizioni di vita. La scelta ricade su un terreno di valore molto basso, e il progetto è affidato al

giardiniere Joseph Paxton, il quale realizza il parco dotandolo di piante commemorative, di sentieri e di laghi.

Birkenhead viene inaugurato nel 1847.

Nel 1853 a New York viene indetto un concorso per la realizzazione di un parco urbano, al fine di creare uno spazio

verde per la popolazione urbana, e di dare un segno importante di democrazia e progresso alla città. Le difficoltà

nella realizzazione risiedono nel difficile accesso all’acqua: lungo la costa infatti si sono insediate industrie,

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magazzini, e banchine portuali. Anche nel caso di New York l’area per il parco viene ritagliata nella parte più

penalizzata della penisola di Manhattan, paludosa e rocciosa, nella quale si erano collocate attività di conceria. Il

concorso viene vinto da Olmsted, architetto scandinavo che aveva già raccolto vasta esperienza in Europa, il quale

tiene conto dei vincoli imposti dalla municipalità e avvia un progetto di rinaturalizzazione del sito, mediante lo studio

delle caratteristiche del suolo e la piantumazione di specie endemiche. Obiettivo di Olmsted è quello di creare una

fitta vegetazione che sia in grado di nascondere alla vista i palazzi della città e di realizzare un ambiente del tutto

estraneo a quello urbano. A tal fine modifica anche l’andamento altimetrico del terreno, che viene completamente

rimodellato, e bonifica la parte bassa del sito con un sistema di drenaggio sotterraneo che fa defluire l’acqua piovana

ristagnante. Il parco è una creazione completamente artificiale, realizzato ex-novo come una macchina, un’opera

ingegneristica perfettamente funzionante, in perfetto accordo con le idee liberiste americane. La parte del progetto

inerente alla costruzione di edifici nel parco viene affidata all’architetto Carl Vaux.

A seguito del successo di New York, Olmsted viene chiamato a Boston per la realizzazione di un’area naturalistica nel

parco di Back Bay. Sempre a Boston Olmsted crea l’Emerald Necklace (la collana di smeraldi), un unico percorso

verde (green infrastructure) mettendo in relazione più parchi tramite viali alberati: non si tratta di un progetto di

continuità ecosistemica, tuttavia l’idea risulta senz’altro innovativa.

Un intento più naturalistico viene perseguito nella progettazione di Seneca Park a nord dello stato di New York, dove

l’obiettivo era ricondurre a parco un corso d’acqua che scorre all’interno della città. Olmsted ne esalta gli elementi di

naturalità, massimizzando la vegetazione sulle sponde e dando al visitatore l’impressione di mettersi a contatto con

un ambito naturale intatto.

Infine, nella realizzazione del campus universitario di Stanford, Olmsted fa attenzione a mettere in relazione la

presenza antropica con gli elementi naturali.

IL MOVIMENTO DEI PARCHI

Olmsted fu molto attivo nell’ambito del Movimento per i Parchi, movimento con intenti dichiaratamente politici, il

cui scopo era creare ampi ambiti naturalistici e sollecitare la popolazione a visitarli e a trovare in essi un simbolo e

un’identità nazionale. La costruzione identitaria ad opera del movimento dei parchi è un processo che affonda le sue

radici molto lontano: alla dine del ‘700, Jefferson (presidente degli USA), ed altre personalità politiche, riscoprono la

necessità di dare un senso di comune appartenenza ad una molteplicità di popoli profondamente diversi tra loro

(inglesi, spagnoli, tedeschi…), che addirittura non avevano neanche una lingua ufficiale cui riferirsi.

Appellarsi alla bellezza della natura ha una presa molto forte sulla popolazione americana, grazie alla larghissima

componente nordica (inglesi e tedeschi), che tradizionalmente ha un atteggiamento molto più appassionato nei

confronti della natura, rispetto alle popolazioni latine. Viene proposta, quindi, la natura selvaggia dell’Ovest come

simbolo unificatore di un’unica cultura, e si ha una trasposizione del mito naturale attraverso diversi strumenti, la

pittura (che fa presa su borghesia e ceto medio-alto) e il giornalismo, in cui persino il nemico (le popolazioni native)

diventa parte del mito, creando un contrasto tra il rapporto capitalismo-natura e pre-capitalismo-natura,

rappresentato dagli indigeni.

Nel 1864 lo stato della California crea il primo parco nazionale, lo Yosemite Park, seguito nel 1872 da Yellowstone,

primo parco federale.

L’Europa tra organicismo e razionalismo

Alla fine dell’’800, in Europa la situazione della vita nelle città industriali non poteva essere risolta solo con la

realizzazione di parchi urbani. A fronte delle condizioni disperate in cui versava la città, si ha l’insorgere di movimenti

culturali che propongono la propria risposta.

1. Ritorno ad impossibili origini e rifiuto della città industriale (utopismo), oppure, vista l’impossibilità di

riqualifica della città, ripercorrere un’urbanizzazione integrata con la campagna (organicismo);

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2. Riorganizzazione e rigenerazione della città secondo una forma nuova e moderna (razionalismo);

In linea di massima, la proposta organicista è abbracciata da pensatori inglesi, e quella razionalista dai francesi.

MOVIMENTO CULTURALISTA-ORGANICISTA

Propone un diverso modo d’essere della città, destrutturata e integrata con la campagna attraverso una

distribuzione sul territorio. Questo pensiero affonda le sue radici nell’Utopismo della primi dell’’800, con la

differenza che non rifiuta lo sviluppo industriale ma lo accoglie determinandone diverse modalità.

Fourier: propone una soluzione di tipo urbanistico, il FALANSTERIO (falange), unità di base di una nuova struttura

sociale, autosufficiente nelle attività produttive e nei servizi. I problemi di interazione tra città e campagna vengono

risolti mediante l’interazione tra falansteri,specializzati ciascuno in un determinato ambito. Non c’è un rifiuto

dell’industrializzazione: tutti i falansteri sono dotati di fabbriche, aree abitative e aree agricole, e ciascuno al suo

interno svolge il proprio lavoro ed è al contempo produttore e consumatore, sulla base dei tre fattori fondanti la

produzione, che sono per Fourier il capitale, il lavoro, e il talento. Non è prevista una forma di governo, solo organi

consultivi come l’Accademia (saggi e anziani), l’Aeropago (rappresentanti eletti dai cittadini), e il Consiglio (eletto

dall’Aeropago).

Owen: propone un’articolazione territoriale basata su insediamenti moderni non compatti e concentrati ma

sparpagliati nel contesto agricolo. La sua idea è quella di un insieme di aggregati sul territorio, all’interno dei quali vi

sia armonia e autosufficienza. Nello stabilimento industriale di New Lanark, in Scozia, realizza una comunità coesa di

operai e imprenditori, una realtà a sé stante, lontana dalla città, molto simile a quelli che saranno successivamente i

villaggi operai. Un tentativo di società comunitaria simile a New Lanark parte negli Stati Uniti, a New Harmony, in

Indiana.

LEZIONE 14, 21/10/13

UTOPISMO E ORGANICISMO

Il villaggio operaio sullo stampo di New Lanark viene riproposto in altre situazioni al fine di realizzare una comunità di

operai legati alla fabbrica, e al contempo di inserire queste realtà in un contesto rurale favorevole agli ideali

utopistici. Esempi di questo tipo si trovano:

in Inghilterra: Saltaire Village, un villaggio in cui l’industria tessile (Saltaire Mills) e i quartieri operai formano

un centro urbano a tutti gli effetti.

In Germania: Margarethen Hohe, villaggio operaio costruito dalle industrie KRUPP nei pressi di Essen, mostra

esempi di edilizia molto raffinata per le abitazioni degli operai.

Ebenezer Howard: fa proprie alcune delle riflessioni anarchiche di Kropotkin:

1. Il progresso tecnico ha messo la città nelle condizioni di organizzarsi secondo la produzione in modo non

accentrato ma decentrato;

2. L’organizzazione comunitaria deve avvenire dal basso, per consentire l’evoluzione della comunità in modo

rapido e profondo.

Fondendo queste considerazioni con le moderne teorie utopiste elabora il modello di Città Giardino, ovvero una città

senza degrado, in cui gli uomini possano lavorare piacevolmente ed essere orgogliosi del luogo in cui abitano. I

cittadini devono avere il potere economico e quello di prendere decisioni che vadano a vantaggio dell’intera

comuntà.

Howard espone le sue teorie nel 1902 nel documento “Garden cities of Tomorrow”, in cui teorizza centri di circa

30'000 abitanti, distribuiti su circa 1'000 acri, che collaborano con una popolazione di ulteriori 2'000 abitanti

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residenti nei 5'000 acri della cintura agricola intorno alla città. Superato il numero di abitanti ideali, Howard vede la

necessità di costruire un nuovo centro dello stesso tipo, che sia collegata alla precedente ma a sua volta

completamente indipendente. Il meccanismo che deve regolare le città giardino è quello dell’autogoverno, mentre è

assolutamente escluso qualsiasi meccanismo di rendita.

Prima di approdare alla teoria delle città giardino, Howard parte dall’approccio dei “3 magneti”:

1. Città

2. Campagna

3. Città-campagna

Esegue una S.W.O.T. ANALISYS (Strenght, Witness, Oportunity, Treats = Forza, debolezza, opportunità, rischi) in

modo da determinare i pro e i contro di città e campagna, considerate come due calamite che tendono ad attrarre

popolazione in una contesa che può essere risolta soltanto da una terza calamita, la città-campagna (città giardino),

che riassume i vantaggi delle prime due escludendone gli svantaggi.

La città giardino quindi si prefigura come un tentativo di superare la città accentrata con un modello decentrato di

unità urbane connesse tra di loro. L’organizzazione della città è per cerchi concentrici, dal centro amministrativo

partono 6 grandi viali che suddividono la città in quartieri, mentre ciascun cerchio è destinato a una particolare

funzione (giardini, attività produttive, quartieri residenziali…). L’idea alla base della città giardino è l’alternanza tra

costruito e verde, interpretata come l’antidoto al caos e al sovraffollamento della città moderna.

Seguendo le teorie di Howard, in alcune città si penserà a realizzare quartieri decentrati che gravitino intorno alla

città senza partecipare alla sua crescita indiscriminata: sarà questa la filosofia della Green Belt londinese di

Abercrombie.

Frank Loyd Wright: Negli anni ’30 del 1900 Wright sviluppa uno schema urbano utopico chiamato BROADACRE CITY,

una città estesa nell’ambito di un piano di urbanizzazione decentrata per l’America. Si propone come modello

urbano capace di coniugare insediamenti e natura in un continuo alternarsi di insediamenti singoli e di verde

agricolo. Wright vede nella città moderna un insieme di problemi (traffico, sovraffollamento, malessere) che non

possono essere risolti se non nella fuga verso un paesaggio naturale in cui si possano ritrovare bellezza, serenità, e

pulizia, senza rinunciare ai risultati della tecnica.

Esperimenti in questo campo si possono ritrovare anche nei villaggi socialisti israeliani (Kibbutz), con i quali Israele,

nella sua fase di crescita, tenta una nuova organizzazione sociale, oltre che una spinta nazionalistica, nell’ottica di

conciliare l’insediamento antropico con la natura in un contesto difficile come quello del deserto.

RAZIONALISMO

L’altra risposta alla crisi della città moderna è quella razionalista, che affonda le sue radici nel movimento futurista di

cui Sant’Elia è il promotore e teorico più famoso: la città futurista deve essere compatta, tumultuante, imponente,

una città che corre. Il confronto con la città americana, in cui si progettano e si realizzano grattacieli, porta a ritenere

gli “orpelli della storia”, le cattedrali e i monumenti della città europea, degli ostacoli all’innovazione e alla tecnica.

La città industriale va ricostruita con qualcosa di nuovo, che continui a negare la natura ma che dia spazio

all’ingegno.

Garnier (1904-1917): teorizza una città articolata per zone funzionali (zoning), collegata tramite linee di tram,

efficiente e frutto di un disegno urbano, di una progettazione, che non lascia spazio alla spontaneità (che aveva

caratterizzato la crescita della città industriale); ogni edificio viene progettato, è previsto un verde pubblico che non

ha nulla di naturale (alberi, aiuole, sono tutte frutto di un’attenta pianificazione), si evita l’inutile varietà nei materiali

imponendo il cemento armato a qualsiasi costruzione, con l’esclusione esplicita della natura.

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Hiberseimer (1923): sovrappone le funzioni abitativa e produttiva in un modello di città verticale, in unità costituite

da grandi isolati ai cui piani inferiori sono previste le attività produttive, e a quelli superiori le residenze. Ogni

dettaglio della città viene progettato e misurato, dalla larghezza delle strade all’altezza dei palazzi, che deve

coincidere. Prevede anche linee di ferrovia sotterranea, ponti, e marciapiedi pedonali.

LEZIONE 15, 22/10/13

RAZIONALISMO

Le Corbousier: tra il 1920 e il 1922 l’architetto francese elabora il progetto “la città contemporanea per 3milioni di

abitanti”, il cui intento è dimostrare l’inefficienza della città attuale di fronte alle necessità dell’uomo

contemporaneo. La proposta è quella di un impianto geometrico, che prevede un dimensionamento della città che

tenga conto del numero di abitanti che vi dovranno essere collocati: a tal fine ricorre ad un modello di costruzioni in

verticale, distanziate tra di loro in base ad un calcolo che tenga conto dei materiali per la costruzione della città (sole,

cielo, alberi, acciaio, cemento). In quest’ottica il verde diventa al servizio della città, senza essere in alcun modo

sinonimo di naturalità e spontaneità.

Le Corbousier si dedica alla stesura di una serie di piani per diverse città, che non saranno mai messi in pratica:

1. Plain Voisin: il modello di città verticale viene applicato a Parigi, con l’obbiettivo di ricostruirne il centro. La

città storica non viene salvaguardata se non nel suo aspetto monumentale: la proposta è quella di spostare i

monumenti in aree destinate a parchi urbani, e di smantellare edifici e quartieri popolari, con atteggiamento

di totale disprezzo nei confronti della popolazione.

2. Villa Radieuse: viene ripreso il modello di città lineare, poiché riconosce la mobilità come uno dei problemi

centrali nella progettazione di una città:

CITTÀ LINEARE= Ciudad Linear, progetto di Soria y Mata (1882) per il piano di ampliamento di

Madrid. La città si dispone lungo un asse costituito dalla rete infrastrutturale: per la città di Madrid

viene proposta una strada, una ferrovia e una pista ciclabile . Le attività produttive e le residenze

(destinate a lavoratori, uni-bi familiari, di piccole dimensioni, dotate di orti sul retro per le famiglie

a basso reddito) si dispongono lungo le infrastrutture al fine di minimizzare le distanze e di

consentire un accesso diretto ai mezzi di trasporto.

Il modello viene ripreso da Miljutin, urbanista post-rivoluzionario sovietico, viene incaricato del

piano di Stalingrado: propone una città che corra lungo i lfiume Volga, riproponendo esattamente

lo schema di Soria y Mata.

Condizione fondamentale della città moderna diventa la ripartizione funzionale dello spazio: Le Corbousier

prevede quindi 4 funzioni:

Pubblica: attività produttive;

Privata: residenza (cellule abitative di 14 m2);

Tempo libero: parchi e strutture ricreative;

Mobilità: infrastrutture.

Lo spazio viene completamente razionalizzato, e ogni singolo cm2 deve essere sfruttato nel modo previsto

dal piano.

3. Algeri: Le Corbousier prende spunto dall’intento del governo coloniale di Algeri di un piano urbanistico per

proporre la sua idea per la città. Riconoscendo il ruolo di Algeri negli scambi internazionali con il

mediterraneo (Roma, Barcellona, Marsiglia) e immaginandone un futuro da capitale d’Africa, progetta un

lungo serpentone che svolga sia le funzioni abitative/produttive, sia di comunicazione.

4. Addis Ababa: attratto dalla quasi totale assenza di edifici in muratura (ad eccezione delle vecchie residenze

dei Ras e il palazzo imperiale del Negus), Le Corbousier invia un suo progetto di città radiale al governo

fascista per la costruzione della città coloniale di Addis Ababa, ma viene rifutato.

5. Montevideo (Uruguay) e San Paolo (Brasile): per queste città dell’America latina, l’architetto francese

progetta un impianto a croce che sostituisca completamente la città del passato.

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CONFRONTO TRA ORGANICISMO E PRAGMATISMO:

ORGANICISMO

PRAGMATISMO

PRO

CONTRO

PRO CONTRO

Verde

Avvicina l’uomo alla natura

Decentramento

Vivibilità

Assenza di meccanismi di rendita e di quartieri ghetto

Anticipa il tema dello sviluppo sostenibile

Richiede infrastrutture

Utopia: presuppone un diverso tipo di società

Inefficienza economica

Città pratica

Monumentalità

Vicinanza ai luoghi di lavoro

Zoning

Eccessiva concentrazione

Imposizione di nuove opere sul preesistente (autoreferenzialità)

Negazione della storia

De contestualizzazione e anonimato

La grande carica innovativa di entrambe le correnti di pensiero è data dal fatto che si ha l’imposizione di un

piano con visione UNITARIA: rispetto ai precedenti piani di risanamento/ampliamento, quelli proposti dai

pensatori contemporanei sono caratterizzati da una attenzione alla città nella sua globalità.

LEZIONE 16, 24/10/13

PRAGMATISMO

Una via di mezzo tra Organicismo e Razionalismo è rappresentata dal Pragmatismo, di cui si trovano esempi in

Olanda e in Germania, che si misura con la città attraverso riferimenti di tipo ideologico.

Poelzing;

Haeghe (Berlino);

Dudac (Olanda);

Sono tutti esempi in cui gli edifici (destinati alla produzione di energia) sono massicci e solidi, pur

conservando la loro carica estetica.

Dietro il pragmatismo si pone un’intenzionalità che non è principio disciplinare, piuttosto uno spirito di riformismo

che fa riferimento al movimento socialista e alla II internazionale.

CITTÀ PUBBLICA ed EDILIZIA POPOLARE

Il concetto di città pubblica viene elaborato tra il 1800 e il 1900 e va di pari passo con il tema della FISCALITÀ: la città,

e il suolo che ne fa parte, rappresenta un piccolo tesoro nelle mani della municipalità, soprattutto il relazione al

valore dei terreni e alle fiscalità che vi possono essere imposte, tanto più se il terreno acquisisce valore in seguito a

scelte di piano.

In quest’ottica di socialismo municipale, la casa diventa una questione politica, sociale, per cui si ha la nascita

dell’edilizia popolare e la gestione delle abitazioni (per famiglie a basso reddito) a libello amministrativo. Spesso,

tuttavia, l’edilizia pubblica è associata a situazioni di degrado sociale: sicuramente, in questo si può osservare una

specie di effetto cumulativo, ovvero l’aggravarsi del disagio sociale per via dell’inserimento di nuovi abitanti in

condizioni già disagiate.

Esempi di edilizia popolare:

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1923, Van Loghem, quartiere poppolare industriale olandese: si perde la grande città alla Corbousier e si

pensa alla totalità dei cittadini;

1926, Karl Marx Hof, Vienna, complesso residenziale di qualità;

AMBURGO

La città di Amburgo, costruita lungo il fiume Elba, è una città stato borghese membro della Lega Anseatica (città

olandesi e tedesche sul mare del Nord, le quali avevano in comune alcune attività commerciali al fine di

salvaguardare la libertà delle città da ogni sorta di potere), costruita sul corso d’acqua ed attraversata da moltissimi

canali, che mettono in comunicazione ogni parte della città. La sua forza risiede nel porto e nelle fabbriche, infatti,

esclusa la Ruhergebiet, a metà ‘800 la città è una dei più grandi poli industriali della Germania; a 100 km dalla costa,

la parte storica e commerciale è in parte separata da quella produttiva, che inizialmente era collocata nel centro

città, e che successivamente viene spostata ai confini grazie al movimento cittadino che a partire dalla metà dell’’800

comincia a porre attenzione all’ambiente.

La città al tempo è divisa in 3 municipalità, oggi riunite sotto l’unico nome di Amburgo: Hamburg, Albus, Altona; nel

corso di 40 anni la città ha registrato una crescita demografica rilevante, passando da 300'000 abitanti (1890) a

1'150'000 (1930), per effetto di flussi migratori di popolazione a basso reddito, che giunge in città per trovare lavoro.

Di fronte a questa problematica, la città reagisce cercando di dare a queste persone servizi, infrastrutture, e alloggi,

secondo la migliore delle tradizioni di città sociale tedesca.

Il piano viene affidato a Fritz Schumacher, figura rilevante di urbanista che diventa assessore all’urbanistica, e che

assume l’incarico con un impegno politico. L’impianto di costruzione dei nuovi quartieri per Amburgo differisce da

quello organicista, perché non si espande sul territorio, ma anche da quello razionalista, in quanto non si ha

un’invasione totale dello spazio cittadino: Schumacher prevede uno spazio urbano all’interno del quale si sviluppino

corridoi verdi. Le aree per l’edilizia pubblica sono poste centralmente, e la destinazione d’uso è stabilita

dall’amministrazione, che esercita direttamente la proprietà sulla superficie.

Oltre all’edilizia pubblica, dunque, si osserva una grande attenzione al verde urbano. Amburgo infatti aveva perso

parte delle sue aree verdi in seguito all’invasione napoleonica di inizio ‘800, ma anche dopo l’incendio del 1850, per

cui il piano di Schumacher prevede la piantumazione e il rinverdimento della città, la costruzione di un giardino

botanico, e la realizzazione di un parco che offra molte attività ricreative, tra le quali un Planetario. Affianco a

questo, non manca l’attenzione ai servizi, con la creazione di scuole di quartiere, piscine e crematori.

BERLINO

Negli anni ’20 l’assessorato all’urbanistica di Berlino è affidato a M. Wagner, il quale propone nel 1929 un piano per

la città, già predisposto in precedenza agli inizi del ‘900. Da Schumacher Wagner riprende l’idea di una città che si

sviluppa nel verde, ideando parti boschive che si incuneano in quelle urbanizzate, il tutto circondato da campi

agricoli, in modo tale che non ci sia separazione netta dell’abitato dal verde. Anche in questo caso si può quindi

rintracciare quell’approccio pragmatico che, pur conservando la forma urbana, riesce a mantenere il contatto con la

natura: strutture diverse tra loro si sovrappongono mantenendo la propria continuità, nell’ottica di una

infrastruttura verde di grande modernità.

Come Schumacher, anche Wagner si pone il problema di un quartiere popolare, dalla tipologia edilizia detta

“Hufeisensiedlung”, ovvero a ferro di cavallo: questo quartiere, ricco di aree verdi adibite e parchi, viene considerato

il simbolo sociale della repubblica di Weimar, sorta dopo la caduta del Reich e in pieni “anni d’oro”.

Un altro quartiere di qualità è quello ottenuto dalla ricostruzione degli alloggi operai sorti intorno alla fabbrica della

Siemens nel 1900 (Siemenstadt), dietro il progetto di architetti diversi, ma sempre con un’attenzione particolare

all’integrazione con il verde.

Con l’avvento del nazismo, nel 1932 Wagner lascia la Germania e si rifugia negli USA, dove crea una nuova città nel

Massachussets (Concorde), seguendo più un orientamento organicista.

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AMSTERDAM

Amsterdam è una città stato borghese retta da una forma di democrazia gestita dalle Guilts, ovvero associazioni di

mestiere. Soggetta a numerosi piani tra il 1700 e il 1800, raggiunge nella metà del 1800 una forma simile a quella di

Amburgo, ovvero quella di città sull’acqua, collegata da numerosi canali.

Nel 1867 viene redatto un piano di ampliamento da Nifdrik, un disegno urbano che mira ad allargare la città

semplicemente aumentandone il raggio, e preservandone l’impianto; si tratta di un piano davvero singolare, in

quanto prevede grandi parchi al punto che le zone destinate all’edilizia sono meno della metà di quelle destinate alle

aree verdi. Per quanto bello, il piano risulta irrealizzabile in termini di costi, e viene bocciato dall’amministrazione

pubblica, che deve fare i conti con una cultura, quella dei POLDER, nella quale si rende necessario impiegare al

meglio il terreno sottratto al mare, e che quindi non può “sprecare” tanto spazio per parchi e giardini.

Un altro piano di ampliamento per Amsterdam viene realizzato da Berlage, per la parte sud della città, il Plan Zuid

del 1917. Si tratta di uno splendido piano, che sarà anche l’ultimo, in quanto si è negli anni che precedono l’avvento

di un nuovo tipo di urbanistica, che supera il “disegno urbano”.

Il Plan Zuid viene distinto su tre livelli: generale, particolareggiato, architettonico; come Cerdà, anche Berlage

imprime al suo piano una visione egualitaria e socialdemocratica. La nuova area residenziale non deve perciò essere

un quartiere dormitorio, bensì una città all’interno della città, e a tal scopo, recependo le esigenze di funzionalità

dello spazio urbano moderno, realizza isolati nel quali alle abitazioni si alternano servizi pubblici (tra i quali inserisce

anche uno Stadio ed un’Università). Rispetto al piano di Nifdrik è sicuramente un disegno meno bello, in quanto lo

spazio associato all’edilizia prevale rispetto alle aree verdi, che comunque non vengono trascurate, ma inserite in

modo tale da non dare al quartiere un aspetto suburbano, ma mantenendo l’identità cittadina.

1924 CONGRESSO INTERNAZIONALE DI URBANISTICA: dal disegno urbano al piano moderno

Nell’ambito del congresso viene svolta una riflessione su cosa debba essere l’urbanistica dopo il processo industriale.

L’esito è che l’urbanistica viene sottratta agli architetti e agli ingegneri come pratica rivolta a dare forma allo spazio

costruito sulla base di criteri di estetica, e diventa una pratica di organizzazione dello spazio finalizzata al

funzionamento della città. In quanto tale, diviene materia di economisti, sociologi, ingegneri, e di tutti gli specialisti

che si occupano dei diversi aspetti della città. Si smette quindi di pensare ad ampliare le città o risanarne alcune

parti, e si guarda ad una visione di insieme.

1929 PIANO DI AMSTERDAM: IL PRIMO PIANO MODERNO

In seguito alle novità emerse nel concresso del ’24, la municipalità di Amsterdam decide di dotarsi di un nuovo piano,

affidato a Van Eesteren, che si circonda di professionisti specializzati in differenti settori.

Nel 1931 Van Lohuizen redige il primo rilevamento del traffico urbano, determinando la domanda e le tendenze al

fine di programmare interventi sulla circolazione. Oltre a Van Lohuizen, partecipano al progetto economisti,

sociologi, ecologi ecc…

Le NOVITÀ introdotte dal piano di Amsterdam sono:

1. Concezione unitaria della città, come prodotto di processi plurimi;

2. Approccio interdisciplinare;

3. Utilizzo dello ZONING in modo quasi scientifico, ovvero facendo corrispondere alla destinazione d’uso anche

un dimensionamento, che quindi la rende non più astratta , o “bella”, ma quantificata.

4. Prospettiva temporale: il piano viene dimensionato su 60 anni e per una popolazione stimata di 1'000'000 di

abitanti.

5. Sviluppo programmato della città: l’attuazione del piano è programmata attraverso la realizzazione di una

parte per volta;

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6. Stima del fabbisogno edilizio: viene stimata in base alla crescita della popolazione tenendo in

considerazione:

Crescita naturale;

Proiezione dei flussi migratori sulla base della previsione della domanda di lavoro;

Spazi inutilizzati del centro (per i quali vengono previsti interventi di riqualificazione e risanamento).

La città viene distinta per tematismi, basati sulla densità abitativa in zone residenziali e sui diversi usi del suolo

(parchi, giardini, orti, aree sportive, zone industriali).

Il Plan Zuid di Berlage si era occupato dell’ampliamento di una sola parte della città, per via dell’insorgere della

necessità di una nuova superficie urbana per un certo numero di abitanti, ed aveva quindi creato un pezzo di città

con funzioni rilevanti, quasi autonomo e pulsante, che fosse bello nella distribuzione delle aree verdi ma anche

nell’edilizia (Berlage stesso aveva disegnato gli edifici).

Il nuovo piano è per la città nel suo insieme, non per una sola parte. Se necessario, anche il centro storico può essere

investito dai provvedimenti (come l’esproprio): vengono definite nuove funzioni, perimetrale nuove aree, con

un’attenzione tutta nuova al dimensionamento del numero di abitanti e della superficie occupata. Dal disegno

urbano e dalla ricerca del bello si passa perciò alla previsione di meccanismi urbanistici e alla destinazione d’uso del

suolo: da Amsterdam in poi, tutti i piani verranno redatti in questo modo.

LEZIONE 17, 29/10/13

URBANISTICA IN ITALIA

1865: Legge urbanistica sull’esproprio, ne definisce le ragioni di pubblica utilità e i criteri di indennizzo.

I piani che traggono il loro valore da questa legge sono:

Bari 1867: piano di ampliamento che usa un impianto ortogonale

Firenze 1877: piano di ampliamento con un accorgimento di tipo barocco perché si ha un intento di disegno più elaborato. L'espansione della città riguarda le zone esterne; il centro invece rimane così come è.

Massawa 1914: il piano utilizza due aree con una logica di creazione di due ambiti urbani separati da quello originario a causa di ragioni morfologiche ( acqua).

1884: Piano di risanamento di Napoli, progetto che prevede la costruzione di una rete fognaria, il diradamento dei

quartieri sovraffollati del centro storico (colpiti dal colera) e la costruzione di nuove abitazioni. Dal momento che

ancora non esiste un quadro normativo per la realizzazione di un piano, viene approvata a livello statale la Legge di

Risanamento della Città di Napoli (15 agosto 1885), con la quale si abbrevia il processo di esproprio e si stabilisce

l’indennità in base alla media dei profitti ottenuti dai fitti negli ultimi 10 anni: la scelta di questo tipo di valutazione

deriva dalla volontà di evitare che i prezzi dei terreni salissero troppo dopo l’approvazione della legge. Sull’esempio

di Haussman a Parigi, alcune aree del centro di Napoli vengono sventrate per far posto alla costruzione di strade. Il

progetto non ottiene, in ogni caso, i risultati sperati, per via delle speculazioni sul prezzo dei terreni interessati dalle

scelte di piano: lo Stato, costretto ad acquistare a prezzi altissimi, impone prezzi proibitivi alle nuove abitazioni

edificate, cosicché i precedenti inquilini, sradicati dalle loro case, non possono che trovar rifugio in vicoli, tuguri,

grotte e periferie degradate.

VILLAGGI OPERAI

Anche in Italia si trovano alcune esperienze di villaggi operai:

Schio sorge intorno al lanificio Rossi in quartieri operai costituiti da villette a schiera;

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Leumann, quartiere operaio di Collegno, nella provinca di Torino, fondato dall’omonimo imprenditore nel

settore del cotone;

Crespi d’Adda, in provincia di Bergamo, villaggio operaio fondato dalla famiglia Crespi, sempre nel settore

del cotone.

PORTO MARGHERA

Porto Marghera è un’esperienza di piano complessa, ideata nel pieno della I guerra mondiale: nel 1917 alcuni

imprenditori coltivano il progetto di realizzare una grande area industriale nella zona di Mestre, approfittando della

sicurezza garantita dalla presenza del vicino porto di Venezia. Tra il 1918 e il 1920 cresce il progetto, esito di

un’azione congiunta tra Comune di Venezia, Stato Italiano e imprenditori privati (SIVE-Società Italiana Vetri e

Cristalli), e nel 1932 è già pronta una parte: l’area, che darà lavoro a 41'000 operai, è destinata alla produzione di

acciaio e alla lavorazione del petrolio, per cui insorgono fin da subito problemi di approvvigionamento delle materie

prime (difficile accesso delle petroliere nella laguna di Venezia), ma anche di tipo ambientale (inquinamento da

diossina delle acque nelle quali sono allevate cozze e vongole). Il problema dell’inquinamento è dovuto

principalmente all’assenza di leggi e alla mancata applicazione delle normative in campo ambientale in seguito

approvate.

La città di Marghera sorge intorno all’area industriale come intervento di edilizia pubblica finalizzato a dare case agli

operai, e riceve non poche contestazioni da parte del comune di Venezia, che da anni chiedeva un piano di

ampliamento e fondi per attuarlo, per far fronte al sovraffollamento. La soluzione è quella di concedere le case di

Marghera ai Veneziani che si spostano per lavorare nel nuovo polo industriale. Rispetto agli esempi di villaggi operai

in Europa, la realizzazione dei quartieri operai di Marghera si rivela un insuccesso, non tanto per la mancanza in Italia

di architetti e ingegneri di valore, quanto piuttosto per la cattiva amministrazione pubblica.

URBANISTICA NEL FASCISMO

Il fascismo si pone in generale come un’ideologia antiurbana: nel periodo storico in cui si ha l’avvento di Mussolini, si

registra un arresto nella crescita delle città industriali, dovuto all’appiattimento della curva delle nascite, cui non

corrisponde un flusso migratorio tale da garantire la crescita demografica. Poiché il numero di abitanti è percepito

come segno della potenza del paese, Mussolini non può che disprezzare la città industriale, considerata un luogo

sterile, nel quale non si fanno più figli.

La città fascista è una città ordinata e potente, dal punto di vista urbanistico ed edilizio: occorre risanare e

riqualificare le città italiane, sotto tutti i punti di vista. Per questo si ricorre all’eliminazione dal centro cittadino delle

aree sovraffollate e povere (come i quartieri romani dei fori imperiali e di piazza Cavour), e il trasferimento della

popolazione a bassissimo reddito che vi risiedeva in nuovi quartieri periferici, scollegati ed isolati dal resto della città

(come il quartiere Tiburtino III).

Nelle colonie viene adottato un atteggiamento differente da colonia a colonia:

Mogadiscio (Somalia): nel 1927 si decide di preservare le parti storiche della città araba e di porre in

continuità con queste le aree di nuova edilizia fascista;

Bengasi (Libia): nel 1930 l’impianto urbanistico della città storica viene mantenuto, mentre l’architetto

Alberto Alpago Novello realizza una serie di edifici pubblici come quello dell’INCIS (Istituto Nazionale per le

Case degli Impiegati dello Stato);

Addis Ababa (1938): il piano regolatore viene affidato ai due architetti Guidi e Valle, e lo scopo è quello di

realizzare una città completamente nuova. Ciò è reso possibile dalla quasi totale assenza di un impianto

precedente, poiché la città era costituita da capanne e le uniche costruzioni erano il palazzo del Negus

(governatore), e i palazzi imperiali dei Ras (feudatari). La città precedente viene perciò completamente

annientata, senza che ci fosse bisogno di demolire qualcosa; si crea un’area residenziale, una industriale ed

una commerciale, e tutta la popolazione indigena viene spostata in un quartiere periferico a Nord Ovest, allo

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scopo di impedire qualsiasi contatto tra la popolazione originaria e quella coloniale (conseguenza delle leggi

razziali). Tra le aree destinate ai bianchi e quelle per i neri viene posto un mercato.

Oltre alla riqualificazione delle città esistenti e delle colonie, in epoca fascista si assiste alla fondazione di nuove città,

come Sabaudia, Carbonia, Littoria: per dimensioni, si tratta poco più che di borghi, che nascono come centri di servizi

e presidi per la produzione agricola. L’antiurbanesimo fascista si esplica nella realizzazione di città il cui unico scopo è

supportare la campagna, e non vivere sulle spalle di essa. Queste città vengono affidate a progettisti (Pagano,

Piccinato) che prendono le distanze dal monumentalismo fascista e optano per un’architettura razionalista: si tratta

di centri ben organizzati, a misura d’uomo, insediamenti piccoli ma funzionali.

Nel 1935, discorso di Agostino Chiodi: Le grandiose opere di bonifica del nostro Agro Pontino hanno dato occasione

al sorgere di nuove città come Littoria e Sabaudia, centri comunali agricoli indissolubilmente legati al loro territorio e

alla terra che produce, creati non per vivere alle spalle della bonifica ma per esserne il centro organizzativo.

Meraviglioso per la sua rapidità fu soprattutto il sorgere di Sabaudia, concepita in ogni suo particolare secondo un

organico programma di insieme che ha per sue direttrici le due grandi arterie di traffico esterno che si incontrano

sfalsandosi nel cuore della città. Qui, opportunamente distribuite ma coordinate sono le piazze principali cogli edifici

pubblici. Intorno si svolgono i quartieri residenziali.

1942 LEGGE URBANISTICA FASCISTA (1150/42): Si tratta della prima legge in materia urbanistica promulgata in

Italia, sulla quale ancora si fondano le leggi successive che l’hanno in parte modificata. Durante la guerra, un gruppo

di architetti, ingegneri e urbanisti scrive la legge e riesce a farla approvare. La legge prevede una serie di regole

edilizie che i comuni devono attuare per poter edificare, il che genera non pochi problemi per via del fatto che

nessun comune era attrezzato in modo da attuarla. La legge fascista attribuiva le competenze urbanistiche allo stato.

A partire dagli anni ’80 si ha il trasferimento di tali competenze dallo Stato alle Regioni, cui è ancora affidato il piano

territoriale di coordinamento.

LEZIONE 18, 31/10/13

Parlando di piano faccio riferimento a diversi temi:

1. Norme: forniscono ai piani un fondamento giuridico e quindi una legalità. Ogni piano è definito da una norma di legge che ne fissa i contenuti, definisce i soggetti che devono redimere i piani e gli strumenti di intervento. Questo perchè i piani sono un'azione pubblica che interviene attraverso scelte politiche e interagisce con la sfera privata (proprietà privata in particolare).

2. Soggetti: la norma del 1942 ne prevede solo 2, Stato e comuni. Le leggi successive ne individueranno altre, come le autorità di bacino nella legge per la difesa del suolo del 1889.

3. Strumenti: nella legge del 1942 sono esigui e sono dati dal piano territoriale di coordinamento e dal piano regolatore generale. Generalmente uno strumento di piano ha anche un soggetto

4. Forma.

La 1150 è una legge organica sulla pianificazione del territorio che tuttavia è più “legge degli urbanisti” che “ legge

urbanistica”in quanto appare molto come il frutto di discorsi teorici.

Introduce due livelli di pianificazione:

1. territoriale 2. comunale

Dice che i piani regolatori territoriali sono detti “piani territoriali di coordinamento” e devono essere redatti dal

ministero dei lavori pubblici che in questo caso rappresenta il soggetto. I piani di ampliamento e di risanamento non

hanno più valore se non sono attuati in un piano regolatore territoriale. Impone lo “zoning”come tecnica base per la

formazione di piani che devono prevedere spazi di uso pubblico. Introduce inoltre il concetto di tutela di ambiti di

rilevanza storica e di norme di attuazione.

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Tale legge offre la possibilità di formare un piano regolatore intercomunale in cui i vari comuni possono unirsi, in

ogni caso il piano assume valore solo se approvato dal ministero dei lavori pubblici ed è attuato per mezzo di piani

particolareggiati di esecuzione nei quali devono essere indicate le reti stradali e i principali dati altimetrici di ciascuna

zona. I comuni devono inoltre dotarsi di un regolamento edilizio.

Riguardo al regime dei suoli, la legge stabilisce che i comuni hanno la facoltà di espropriare le aree inedificate e

quelle su cui vi sono costruzioni che sono in contrasto con la destinazione di zona. Per la determinazione

dell'indennizzo non si terrà conto degli incrementi di valore attribuibili all'approvazione del piano regolatore.

La legge era un'ottima legge al suo tempo. Era infatti una legge fatta da intellettuali e tecnici ma ha delle modalità di

applicazione che richiedono delle capacità che nei comuni mancavano.

Nel 1954 in una nota del ministero viene scritto che i piani regolatori redatti nel nostro paese erano pochissimi e che

l'attuazione della legge era quindi vicina allo zero anche per quel che riguardava le grandi città. La nota suggeriva

inoltre di chiedere a persone competenti il supporto per fare i piani.

Tutto ciò suggeriva che la ricostruzione e lo sviluppo della città era stata fatta senza piani . Quali erano stati quindi i

criteri usati?

La risposta è INA CASA.

IL PIANO INA CASA

E' un colossale intervento di edilizia pubblica. Si tratta di un piano economico e non urbanistico esito di una scelta di

politica economica attuata dall'onorevole Fanfani all'ora ministro del lavoro. Tale piano viene fatto, oltre che per

rilanciare l'edilizia, anche per incrementare l'occupazione operaia agevolando la costruzione di case per gli operai.

Inizialmente il piano prevedeva una durata settennale, ma poi viene prorogato fino al 1963. Questo piano riprende i

temi del razionalismo e mostra un'attenzione sociologica e psicologica nei confronti dei diversi aspetti dell'ambiente

costruito. Si tratta di una pianificazione a livello comunale. Tutti gli alloggi vengono infatti costruiti in aree scelte dai

comuni.

Da qui intervengono due modi di concepire la realizzazione dei quartieri:

1. c'è chi privilegia la massimizzazione degli alloggi da assegnare 2. c'è chi si pone invece il problema della società che doveva essere la caratteristica principale dei nuovi

quartieri visti come luoghi capaci di mettere in comunicazione gli abitanti.

Esempi di 1:

Corso Sebastopoli (Torino)

Milano

Tuscolano (Roma) Qui uno dei problemi che si presenta è quello della densificazione dello spazio. La legge del 1942 comporta ai comuni

l'onere di acquisizione delle aree edificabili che in tale modo si riducono e comportano un a maggiore densità.

Esempi di 2:

Olivetti. Imprenditore, ma anche il fondatore della più grande rivista di urbanistica, nel 1948 fonda un movimento che ha come proposito quello di realizzare delle parti di città a misura d'uomo con un alto livello di socialità. Il punto di partenza era interessante, poi le realizzazioni non lo rispecchiano però così tanto.

Cesate (Milano) dalle grandi unità residenziali si passa a delle piccole unità con una qualità edilizia più ricercata.

Progettazione S. Giuliano ( Mestre)

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quartiere Ina Casa che sorge sulla laguna che presenta una discrepanza tra il progetto iniziale e la realizzazione. Si

preferisce un cortile interno e piccole dimensioni.

Tuscolano ( progetto di Libera) era rimasto impressionato dai nuclei storici della città e nel progettare questo quartiere cerca di riproporre quella

tipologia.

In tutto ciò manca però il verde pubblico. Inoltre questi interventi si collocano all'estrema periferia a causa del costo

dei terreni e spesso mancano collegamenti adeguati.

Tutti questi luoghi appartenenti sia all'esempio 1 che all'esempio 2, si sono ridotti ad una inespressiva periferia.

LEGGE 18 APRILE 1962 n. 167

Ci troviamo negli anni di pieno miracolo economico e si tratta di una legge che ridefinisce l'approccio all'edilizia

popolare. In particolare essa collega il piano di edilizia abitativa pubblica alla pianificazione urbanistica consentendo

ai comuni di acquisire le aree necessarie sia per i servizi che per le abitazioni, sulla base di previsioni di fabbisogno

decennali. Con il piano ina casa era infatti sorto il problema di una difficoltà da parte dei comuni di accedere alle

aree sulle quali edificare. La legge del 1962 aveva rappresentato un modo per impedire che le aree potessero

acquisire un grande valore in seguito alla decisione dei piani. Sempre secondo la legge del 196, nella formulazione

dei programmi deve essere rispettata la proporzione tra aree destinate all'edilizia economica e popolare e aree

riservate all'edilizia privata. L'indennizzo delle aree espropriate viene correlato al valore che le stesse aree avevano

due anni prima dell'approvazione del piano.

Si apre in tale modo una fase che che riguarda la realizzazione di quartieri all'interno dei piani. Tali quartieri sono

detti “quartieri 167” e sono realizzati dentro una periferia urbana o comunque dentro un raggio accettabile.

Esempio di Roma: i lavori per la redenzione di un piano cominciano nel 1958 e finiscono nel 1962. Nel 1958 si ha una

prima proposta redatta da un comitato istituito dal comune e raggruppante più professionisti.

Secondo la proposta G.E.T, Roma si doveva sviluppare secondo una sequenza di centri concentrici. Inoltre doveva

avere uno sviluppo lungo l'asse sud ovest. Tale proposta del G.E.T, viene tuttavia bocciata in quanto aveva

considerato solo gli interessi dei proprietari terrieri. Viene però comunque approvata una proposta che massimizza

l'edificazione lungo l'asse sud ovest. L'amministrazione pubblica cede infatti alle richieste degli imprenditori privati

che in cambio di un direzionamento lungo tale asse, cedono terreni per l'edilizia popolare.

Esempi di applicazioni della legge 167:

CORVIALE A ROMA: monumentalità data da grandi blocchi edilizi che all'epoca però sono un male di tutte le città industruializzate (li troviamo anche ad Amsterdam).

LE VELE (SCAMPIA)

ZEN (PALERMO): qui siamo di fronte al problema del meccanismo dell'assegnazione degli alloggi pubblici. Lo zen era rivolto agli

impiegati statali. Questo meccanismo di assegnazione entra in stallo e tutte le abitazioni vuote vengono occupate da

persone che riescono ad imporsi nel quartiere.

LEZIONE 19, 11/11/13

PIANI REGOLATORI A VERONA

Il primo tentativo di PRG a Verona risale agli anni ’30, e si pone il problema di controllare la crescita urbana di fronte

all’espansione incontrollata degli anni ’20. Verona si presentava in una situazione analoga a quella di Barcellona:

cessato il suo ruolo di città fortezza, ancora nel 1866 era ancora chiusa e compatta all’interno delle mura austriache,

mentre al di fuori della città non erano presenti che sporadici insediamenti. Nei primi del ‘900 subisce trasformazioni

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rilevanti, con la crescita di nuovi borghi ad est delle mura (Borgo Venezia e San Pancrazio), a sud est (Borgo Trento),

e a sud (Borgo Roma). Inoltre sotto la stazione si formano nuove aree industriali e commerciali (Polo Fieristico,

Magazzini generali, stazione frigorifera).

Il primo PRG è quindi riferito al 1931, e redatto nel 1939, e si propone:

1. Conservazione del centro storico e trasferimento di alcune funzioni della città alla periferia;

2. Interventi sulla viabilità;

3. Verde pubblico;

4. Gestione dell’espansione urbana;

5. Ampliamento e zonizzazione;

6. Realizzazione di una rete fognaria;

Questo piano è pensato nella prospettiva di un’espansione urbana di notevoli dimensioni.

Il secondo PRG è invece quello a cura di Plinio Marconi (1945), il quale si deve occupare di una città in parte distrutta

dai bombardamenti, che avevano colpito aree fondamentali per la rete infrastrutturale e per l’economia (stazione

ferroviaria e officine).

Il piano tuttavia non è meramente di ricostruzione: entrata già in vigore la legge urbanistica del 1942, le questioni

che il nuovo PRG deve affrontare sono principalmente 3:

1. La forma della città futura: pur ammettendo i processi di crescita urbana, Marconi vuole mantenerli

all’interno del disegno di città compatta, e quindi si avvale della zonizzazione;

2. Traffico e mobilità: Marconi inserisce nel PRG un Piano del Traffico che trasferisce gli spostamenti e la

mobilità al di fuori del centro storico, per preservare le strutture del centro storico;

3. Riassetto del centro storico, al fine di preservarne il valore storico, artistico e architettonico, e mantenerne

inalterato il tessuto urbano.

Lo sviluppo della parte sud di Verona ha caratteristiche simili a quelle di Porto Marghera, in quanto si ha per effetto

dell’azione combinata di associazioni di impresa (Confindustria), municipalità di Verona e Cassa di Risparmio: la

produzione agricola viene convogliata nei magazzini generali, conservata nei frigoriferi e commercializzata tramite la

ferrovia.

GIANCARLO DE CARLO

Giancarlo De Carlo è uno dei maggiori urbanisti italiani, ed opera nella seconda metà del ‘900. Si pone fin da subito

su posizioni opposte rispetto a quelle di Le Corbusier, di cui critica la presunzione con la quale riteneva il progetto

salvifico e in grado di risolvere tutti i problemi della società, e l’idea che fosse possibile un rinnovamento su tutti i

campi solo attraverso il potere dell’architettura. Rispetto a Wright, Berlage, Loos, riconosce la validità

dell’organicismo richiamando un approccio che veda il centro dell’urbanistica nella società locale: gli abitanti sono il

riferimento ultimo della prassi urbanistica.

Il coinvolgimento dei cittadini nel piano è un’invenzione di stampo anglosassone-americano: negli anni ’50 De Carlo

compie un viaggio negli USA ed entra a contatto con il movimento “Advocacy Planning”: questo movimento, che fa

capo a Davidoff, propone un’urbanistica che si contrapponga dal basso agli interventi di risanamento di parti

degradate della città che in quegli anni si stavano affermando nelle città americane (gentrification). Gli Advocacy

Planners supportano le popolazioni espropriate e suggeriscono piani alternativi che siano concordati con gli abitanti

e redatti per loro.

Questa esperienza americana viene trasposta da De Carlo nel progetto INA casa del Villaggio Matteotti, destinato

agli operai delle officine di Terni, finanziato dal comune della città e vincolato a richieste di bando. La progettazione

del Villaggio Matteotti è un’occasione per mettere in pratica il progetto partecipato e tentativo, che si avvale di

tentativi di progetto, discussi e messi a punto in corso d’opera.

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Il confronto con l’utenza è il passaggio obbligato e fa parte del suo modo di progettare: benché avesse appreso

qualcosa in America, l’approccio partecipativo viene completamente inventato da De Carlo in relazione al contesto in

cui si trova ad operare: strumenti per la partecipazione sono:

Mostre e convegni, nei quali vengono radunati i futuri utenti e si mostrano loro le caratteristiche dei progetti

(ed eventualmente discussi);

Riunioni per rilevare le singole esigenze di ogni utente;

Proposta e discussione comunitaria degli interventi;

Per gli 800 alloggi previsti, De Carlo elabora 45 proposte, soluzioni tipologiche diverse tra di loro. Gli obiettivi cardine

del progetto sono:

1. Separazione delle parti di città destinate ai pedoni da quelle per le automobili;

2. Verde privato (terrazze giardino mantenute singolarmente dalle famiglie);

3. Verde pubblico;

4. Servizi pubblici per i cittadini e per chi viene da fuori, per attrarre interessi anche fuori della città;

5. Tipologia edilizia né frammentaria né a blocco: si vuole garantire l’intimità dei nuclei familiari senza

rinunciare ad una chiara organizzazione degli spazi;

Nel 1960 De Carlo partecipa al Convegno Nazionale sulla Salvaguardia dei beni nazionali, in cui viene stilata la Carta

di Gubbio, una dichiarazione di intenti con riferimento al tema della conservazione dei beni storici. Si osserva che un

quartiere antico o un centro storico non possono essere oggetto di interventi di risanamento spicciolo o finto e fatto

male: essendo l’obbiettivo quello di conservare il più possibile i caratteri autentici della città, l’intervento moderno

deve essere evidente rispetto al preesistente antico, e non deve “scimmiottarlo”. Con questi criteri De Carlo realizza

il quartiere 167 a Venezia, e la facoltà di Magistero di Urbino.

Contro la legge del 1939 che censiva palazzi e castelli, ignorando il valore dei piccoli centri, De Carlo riconosce il

valore del paesaggio, che deve essere trattato come le persistenze, ovvero come un bene storico da preservare:

“paesaggio eccellente è anche il paesaggio indotto dalle attività umane”, perciò la conservazione di singole

eccellenze non può prescindere dalla conservazione di ambiti territoriali più estesi.

Il piano di Urbino:la città di Urbino si presenta come un centro di piccole dimensioni, che si compone di una parte

storica, rimasta intatta, e di episodi di crescita fuori delle mura.

De Carlo parte dalla considerazione che ciò che avviene al di fuori delle mura della città ha la sua rilevanza sulla

natura e sull’identità della città: il paesaggio attorno ad Urbino ha lo stesso valore della città storica, in quanto i due

elementi si rispecchiano l’uno nell’altro. La relazione tra la città storica e il paesaggio è simile a quella tra il singolo

monumento e la città nella quale esso si trova; con questa mentalità, De Carlo non si occupa solo di un piano di

ristrutturazione e riorganizzazione di Urbino, ma anche delle aree nei suoi pressi, come Borgo Villa Croce, soggetto a

processi di marginalizzazione e di abbandono sociale, in quanto il pericolo corso dal piccolo borgo può indurre un

circolo di periferizzazione anche nella città stessa. Le premesse al piano sono:

1. Il processo di urbanizzazione al di fuori della città rischia di comprometterne la forma senza alcun criterio;

2. Le caratteristiche storiche sono un valore non riconosciuto universalmente, dal momento che, ad esempio,

molti immigrati residenti nella città potrebbero non trovare in esse valori in cui identificarsi;

3. Il divario tra processi di conservazione e di degrado deve essere risolto;

4. Il destino di Urbino risiede nell’economia, ovvero nell’occasione di profitto per i suoi abitanti: la città non è

destinata all’industria né al commercio (dislocate fuori della città), ma al turismo e alla cultura. Non è vero

che l’unica occasione di profitto risiede nella produzione industriale, una città storica destinata alla

conservazione può contare su una base economica di sviluppo che ad esempio comprenda l’università e il

recupero integrale del centro storico che non sia fine a se stesso, ma che utilizzi i beni storici, culturali e

paesaggistici al fine di riportare la città alla modernità.

5. Reintegrare la città nelle reti di comunicazione e nei flussi commerciali;

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6. Scegliere per la città produzioni rispettose dell’ambiente ed adeguate al contesto in cui dovranno essere

inserite.

Il piano si configura non come una mera destinazione d’uso, bensì come un insieme di idee per lo sviluppo prescritte

e in alcuni casi suggerite. Anche in questo caso si tratta di un’azione collettiva, nell’ambito della quale De Carlo

organizza molti incontri con la cittadinanza. Lo strumento di preservazione del paesaggio è quello di porre vincoli di

destinazione agricola del suolo (è quello che si ritrova anche nell’ultimo PRG della PAT, in cui i retini di salvaguardia

paesaggistica coincidono di fatto con quelle ad uso agricolo) , di copertura boschiva e di verde prativo. De Carlo cerca

di imbrigliare gli insediamenti ed indirizzare l’espansione urbanistica laddove è previsto che si sviluppino le attività

industriali e commerciali, frapponendo una cintura verde tra la città storica e il paesaggio circostante.

Per il centro storico si dedica invece ad un inventario di ogni edificio e alloggio, ciascuno dei quali è rappresentato in

pianta e in rilievo su tavole corredate di schede illustrative in cui si rimanda ad una specifica modalità di intervento.

LEZIONE 20, 12/11/13

De Carlo si misura con il piano di Urbino, una città di piccole dimensioni e dalla notevole staticità: il pericolo corso da

Urbino è quello di essere abbandonata dai suoi abitanti. Si tratta di un caso particolarissimo degli anni ’60, in cui il

BOOM economico e il processo di metropolizzazione determinano piuttosto la dilatazione della città in un contesto

suburbano. Nel caso di Urbino, il piano non può gestire la città se i suoi abitanti tendono ad abbandonarla.

Nel contesto degli anni ’60 il problema che si pone è se sia possibile governare i processi territoriali con il piano

regolatore: i principi di urbanistica, già annunciati su riviste, vengono trascritti in libri:

1. Principle and Practice of Town and Country Planning (Keebie);

2. Urban and Regional Planning. A system approach (Mc Laughlin).

Webber: fa una riflessione sull’evoluzione della città nell’epoca delle telecomunicazioni di massa. Pera la sua

originaria compattezza, si configura come insieme coordinato di area urbanizzata: le città sono cluster di

insediamenti in un dominio senza luogo in cui si correlano funzioni che non hanno più continuità spaziale. In un

articolo del 1974 osserva che in queste relazioni sociali ed economiche prive di luogo, la pianificazione territoriale

deve passare ad una progettazione di tipo ingegneristico.

Mc Laughlin: si fa promotore della pianificazione “sistemica”, che prende in esame la definizione di sistema come di

un insieme di cose connesse, associate, interdipendenti, che costituiscono un’entità complessa. Il governo del

territorio è dunque il governo delle relazioni che si stabiliscono tra le funzioni produttiva, commerciale, residenziale

e ricreativa, e dal momento che le funzioni non sono esercitate nello stesso luogo, le relazioni si stabiliscono

attraverso FLUSSI, di merci e di persone.

In questo nuovo contesto il governo del territorio diventa ancora più complesso, al punto che il PRG non riesce a

gestirlo in maniera semplice ed efficiente: la risposta è quella di un approccio sistemico, che guarda al territorio con

ottica funzionalista e ripone la soluzione non in un piano “disegnato”, bensì in decisioni.

PIANO= insieme di decisioni razionali che derivano dalla scientificità della conoscenza del territorio, con il presupposto di un modello di conoscenza valido.

Tali scelte sono adottate da un decisore consapevole della loro validità, che le impone sul territorio.

GIOVANNI ASTENGO

In Italia l’approccio sistemico viene fatto proprio da Giovanni Astengo, responsabile del progetto INAcasa della

Falchera a Torino e membro dello IUAV (Istituto Universitario Architettura Venezia). All’interno dell’istituto (di cui

faceva parte anche De Carlo), è in atto un forte scontro tra progressisti e conservatori; Astengo si pone in aperto

contrasto con quelli che hanno ancora l’idea romantica di salvare il mondo con il piano e l’architettura, in quanto

ritiene che l’urbanistica sia una somma tra politica a tecnica e la città un organismo collaborativo. Attraverso il piano

non è possibile modificare i rapporti strutturali tra capitale e lavoro, ma si possono massimizzare i benefici sociali e

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l’utilità economica globale, operando così una modifica nei rapporti sociali. L’approccio al piano è di tipo scientifico,

non si deve restare ancorati ad un piano inteso come opera unica, che possa essere automatizzata, ma si deve

piuttosto andare per gradi, individuare inizialmente diverse alternative di sviluppo e procedere con un’analisi

strutturale che porti all’individuazione della soluzione ottimale. Sulla base di questa soluzione ottimale, si procede

con l’organizzazione spaziale dello sviluppo desiderato e si operano delle scelte, a questo punto supportate da una

solida oggettività.

Pianificazione nell’area Bergamasca: l’area era stata già precedentemente sottoposta nel 1963 ad un piano

intercomunale (previsto dalla legge urbanistica del ’42), nel quale erano pianificate altre espansioni industriali lungo

i due corsi d’acqua ad Est e ad Ovest. Non erano state fatte previsioni in merito alle residenze, ma solo evidenziate le

aree agricole, commerciali, e quelle relative ai servizi. La residenza è un campo che era riservato ai comuni, poiché i

cambi di destinazione d’uso di terreni da qualsiasi ad edificabile erano prerogativa dei sindaci. Prima che ad Astengo

venga commissionato il PRG di Bergamo, i comuni si erano già dotati di questo piano, al quale l’architetto decide di

porre mano mentre realizza, parallelamente, il PRG.

Astengo elabora 4 ipotesi di distribuzione spaziale:

1. Espansione incentrata sul capoluogo. Le nuove aree industriali e residenziali sono disegnate con figure sulla

mappa che rappresentano un certo numero di posti di lavoro e di alloggi, senza alcun tipo di spazializzazione

(inserimento fisico delle strutture nel luogo preposto). Insieme all’espansione industriale e residenziale,

Astengo prevede anche una cintura verde e un parco urbano (spazializzato).

2. Sviluppo radiale su assi trasversali. Gli edifici residenziali e le aree industriali quantificano lo stesso numero

di alloggi e di posti di lavoro della prima proposta, ma si dispongono lungo assi trasversali che vanno da nord

est a sud ovest, e da nord ovest a sud est.

3. Sviluppo a poli distanziati. Sono ancora presenti la cintura verde, i servizi e il parco urbano. Lo sviluppo

residenziale è distribuito su 3 poli: nord; nord est; sud ovest. Lo sviluppo industriale invece a est e a ovest.

4. Sviluppo lungo l’asse est-ovest. Scompare la fascia verde, lo sviluppo si prolunga lungo la direttrice est-ovest

parallela all’autostrada che corre a sud di Bergamo, raccogliendo sia le funzioni residenziali, sia quelle

industriali.

Le 4 ipotesi sono analizzate dai diversi comuni sulla base di considerazioni economiche e politiche:

1. L’ipotesi di espansione incentrata sul capoluogo è senza dubbio la più economica, tuttavia viene scartata in

quanto accentra le funzioni nel capoluogo, che risulterebbe troppo rafforzato rispetto ai comuni limitrofi.

2. L’ipotesi di sviluppo radiale su assi trasversali viene accorpata con quella lungo l’asse est-ovest (4) in quanto

simili dal punto di vista economico. I due schemi, messi insieme, sono in grado di connettere con semplicità

ogni parte dell’area metropolitana, ma sono più complicati da realizzare. Nella versione integrale degli

schemi (2) e (4) scompare la cintura verde e il parco attrezzato.

3. L’ipotesi di sviluppo a poli distanziati comporta la crescita di insediamenti e altri poli intorno a Bergamo,

rafforzando le parti con una crescita molto distribuita e di semplice realizzazione. È evidente che è proprio

questa la soluzione scelta dai comuni, in quanto non richiede un accordo tra le diverse giunte (indispensabile

nelle ipotesi (2) e (4)) e consente la singola attuazione del piano in ogni centro.

L’approccio scelto da Astengo per il piano intercomunale si rivela tuttavia estremamente limitato dalla debolezza

della politica: trattandosi di comuni con giunte di diversa bandiera politica, benché le scelte di piano possano essere

oggettivamente valide, esse si devono scontrare con la soggettività del punto di vista politico. Un piano

intercomunale è retto da un soggetto che è, di fatto, un’alleanza tra comuni, e in quanto tale, può venir meno nel

momento in cui cambiano le condizioni sulle quali si è fondata.

L’assenza di un soggetto sovraordinato, che possa dare stabilità alle scelte di piano, ha portato negli anni ’70 alla

costituzione delle Regioni.

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Il PRG di Bergamo realizzato da Astengo prevede la preservazione del centro storico, aree riservate ai servizi, aree

verdi, elementi che ne fanno un buon piano. Tuttavia sarà uno dei pochi realizzati dall’architetto, più interessato a

piani regionali e comprensoriali.

LEZIONE 21, 14/11/13

PIANIFICAZIONE DI AREA VASTA

Un esempio di pianificazione di area vasta prima della seconda guerra mondiale è il PRG della Valle d’Aosta (1936-

1937), progetto fortemente legato all’architettura, nel quale si programmano volumi senza l’approccio funzionale

(partecipa al piano anche il gruppo Olivetti).

Nel secondo dopoguerra (anni ’50-’60) lo Stato Italiano dà il via ad una serie di progetti locali e gestiti a livello

comunale, nell’ambito del piano INAcasa. Opera invece in prima persona in due ambiti:

1. Infrastrutturazione del territorio: partecipano il ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le grandi

industrie automobilistiche, in parte responsabili della scelta di privilegiare il trasporto su gomma

(autostrade) piuttosto che quello su rotaia (ferrovie). Si lavora quindi al fine di realizzare un’imponente rete

autostradale, in quanto si ritiene che non possa esserci sviluppo senza infrastrutture, che ne creano le

condizioni.

2. Incentivare lo sviluppo delle imprese private:si creano monopoli statali come l’IRI (Istituto Ricostruzione

Industriale), e l’ENEL (energia elettrica), che raccolgono grandi impianti produttivi. Lo Stato cerca di

agevolare la produzione di semilavorati e lo sviluppo di industrie di base (Siderurgia = Italsider; produzione

petrolchimica; cantieristica = Breda, Fincantieri) e contemporaneamente incentiva i servizi come la telefonia

(SIP).

Ammodernamento del mezzogiorno: negli anni ’60 quando si parla di sviluppo ci si riferisce allo sviluppo industriale.

Stato e industria privata sono attori con diverse competenze, in particolare, l’industria statale si pone in supporto a

quella privata.

Tutta l’industria era concentrata al Nord, fatta eccezione per qualche impresa cantieristica a Napoli. Si punta quindi

sull’industrializzazione del mezzogiorno, una scommessa tanto rischiosa che lo Stato vi partecipa da solo,

trasformandosi in imprenditore industriale (oltre che creatore di infrastrutture e servizi) con piani di coordinamento

realizzati con il ministero delle infrastrutture. L’ammodernamento del mezzogiorno avviene passando per tre fasi:

1. La LEGGE AGRARIA, che ha lo scopo di eliminare i regolamenti agrari di stampo feudale/latifondista;

2. Collocazione di imprese siderurgiche, petrolchimiche, imprese di lavorazioni chimiche e anche alcune sedi

dell’Alfa Romeo;

3. ????

Piani intercomunali al Nord:i piani realizzati nel Nord Italia non sono finalizzati allo sviluppo economico, in gran

parte già avviato, bensì nascono con lo scopo di gestire le realtà urbane ad un livello più alto di quello comunale.

Piano intercomunale di Milano (1983) : a cura di Edoardo Secchi (economista regionale ed urbanista), di

Ludovico Bertolaso (architetto), e di Giancarlo De Carlo, mostra un evidente legame con le forme di De Carlo,

mancando dell’approccio sistemico di Astengo. Si tratta di un piano che suggerisce scelte territoriali

profondamente vincolate alle finalità economiche, ed ha un impianto tradizionale, ovvero mantiene il tema

della preservazione della forma urbana (nel caso di Milano, forma a turbina). Gli esiti di questo piano

risultano deludenti per via del disaccordo tra i più di 100 comuni coinvolti: si è trattata perciò di un solo

studio sul territorio, mai realizzato.

Piano Campoveneto??:si tratta di un piano realizzato per le regioni dell’area padana, per le quali la

pianificazione territoriale si configura come uno strumento per politiche di incentivo sulle strutture e di

risparmio. Si tratta di piani rudimentali, nei quali vengono semplicemente individuate aree industriali, di

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sviluppo agricolo, turistico e del tempo libero; centro del piano è lo sviluppo industriale, del quale non

vengono considerate in alcun modo le esternalità, ovvero le conseguenze anche negative della produzione

industriale, rientranti nei costi dello Stato.

Progetto 80: il Progetto 80 è il primo e unico tentativo di piano territoriale unico per l’intero paese. Negli anni ’60 il

passaggio da centro democristiano a centrosinistra determina il porsi della questione dello Stato come guida dello

sviluppo economico. Perciò, mentre si lavora ad un piano quinquennale di sviluppo, si pensa anche ad un piano

territoriale.

I tavola: l’impianto sistemico-funzionalista, unico possibile alla grande scala, riporta le città italiane a poli

collegati alla rete infrastrutturale esistente (sono evidenziate anche le aree di interesse turistico);

II tavola: rafforzamento delle aree metropolitane tramite l’individuazione di assi di sviluppo territoriale-

insediativo, per controbilanciare il peso eccessivo delle aree metropolitane (ad esempio, l’asse

adriatico).

Il progetto si presenta senz’altro di difficile attuazione, se non settorialmente: a tal fine vengono realizzate tavole del

P80 anche a livello locale, sotto forma di schemi ai quali fanno riferimento politiche settoriali del paese.:

Mezzogiorno: si individuano le aree metropolitane di maggiore sviluppo (Napoli, Taranto, Bari) e quelle da

riqualificare (Palermo);

Basilicata: sono indicate le aree a sviluppo metropolitano, quelle a vocazione agricola e turistica, i punti più

adatti ad uno sviluppo industriale (sotto forma di aree o di punti).

Calabria: come per la Basilicata, si ricercano le vocazioni delle aree che compongono il territorio regionale. Si

individua come area di interesse naturalistico quella che andrà a costituire il Parco Nazionale della Calabria

(’68), ma vengono anche commessi degli errori, come quello di far coincidere un’area a vocazione agricola

con un possibile polo di sviluppo industriale.

PIANO DI SAMONÀ

Nei primi anni ’60 ha inizio l’elaborazione del Piano di Samonà, piano urbanistico provinciale (PUP) commissionato

dalla Provincia Autonoma di Trento all’urbanista Giuseppe Samonà, che verrà concluso ed approvato nel 1967.

Nel corso degli anni ’50, l’analisi dei movimenti di popolazione nei comuni del Trentino aveva mostrato un

incremento demografico lungo l’asse del Brennero, cui corrispondeva un generale spopolamento delle valli e in

generale delle aree agricole di montagna, dovuto principalmente all’assenza di politiche forti di tutela delle comunità

montane (che invece erano presenti ed efficienti in Alto Adige).

L’impresa trentina TEKNE individua alcuni poli di sviluppo sul territorio, per far fronte al collasso delle economie

locali: dal momento che risulta impossibile pensare a politiche di sviluppo spalmate sul territorio, si concentrano gli

sforzi e gli investimenti in servizi e infrastrutture per alcuni poli lungo l’asse del Brennero ( Trento, Rovereto,

Mezzolombardo), e in alcune zone ad est e a ovest (Cavalese, Clés…). In seguito, si determinano anche gli ambiti di

sviluppo del turismo.

L’occasione di successo di questo piano risiede nel suo soggetto: la PAT, in quanto provincia autonoma a statuto

speciale (già dalla Costituzione del 1948), si dà un piano territoriale di sua iniziativa, senza il bisogno di richiedere

l’intervento del ministero. Le competenze in maniera di sviluppo economico e di gestione territoriale ed ambientale

sono trasferite dallo Stato alla Provincia, e sulla base di questa delega, la Provincia si dota di proprie leggi

urbanistiche e paesaggistiche. Oltre quindi ad essere l’unico soggetto territoriale, la PAT è anche capace di spesa,

grazie alla trattenuta del 90% delle tasse. Il successo del piano di Samonà è quindi da riscontrarsi nel fatto che si

tratta di uno strumento supportato da fondi, normative, e da un decisore in grado di attuarlo.

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Samonà, di idee comuniste, al tempo è direttore dello IUAV, perciò ha rapporti con Astengo e De Carlo: nel 1959

esprime una preferenza per il modello di città giardino di Howard, adattandosi così alle idee dei politici locali, benché

vi sia una differenza di orientamento con il governatore della giunta, Kessler, democristiano.

Il programma di pianificazione urbanistica risulta di stampo tradizionale, e tratta il territorio della Provincia come se

fosse un territorio comunale. Il proposito principale è quello di contribuire al pieno assorbimento dell'occupazione in

Trentino, diminuire la popolazione ed incrementare la produzione agricola, trasformando le strutture del territorio in

modo tale da ottenere un equilibrio sociale ed economico stabile, attraverso la distribuzione e lo sviluppo delle

diverse attività.

Nello schema di Kessler vengono consolidate le valli, nelle quali è più intenso il fenomeno del pendolarismo, e

vengono prodotti posti di lavoro attraverso la dotazione di servizi ed aree a produzione artigianale.

Le infrastrutture assumono un ruolo rilevante nel piano: si comincia a pensare al collegamento della Valsugana.

Il livello di dettaglio del piano è alto, considerando che le tavole di Samonà arrivano al 10'000 mentre la tendenza di

questi anni è di fermarsi al 100'000: per tutto il fondovalle si attribuisce una precisa destinazione d’uso del suolo

Infrastrutture: impianti a fune, aeroporti, ferrovie, strade, autostrade…;

Aree agricole (intensive-estensive);

Aree a parco (urbano, extraurbano, naturale);

Aree industriali;

Aree turistiche.

I poli di aggregazione e di sviluppo diventano poi centri amministrativi a cui fanno capo i comprensori, incaricati a

loro volta di redigere Piani Comprensoriali più dettagliati ancora. Il piano urbanistico provinciale divide tutto il

territorio in 10 comprensori con caratteristiche sociologiche, economiche e geografiche diverse tra loro, che

corrisponderanno poi alla base per la realizzazione della nuova urbanizzazione.

Vengono istituiti 2 parchi provinciali, Adamello Brenta e Parreveggio-Pale di San Martino, mentre è prevista la

crescita industriale a Nord a Borgo Valsugana, nella Val di Non, e nella Val di Fiemme. Di fatto, le aree agricole e

quelle destinate a parco vanno a definire un ambito territoriale non trasferibile, in modo da limitare l’urbanizzazione.

LEZIONE 22, 18/11/13

CONSIDERAZIONI SUL PIANO DI SAMONÀ:

Le considerazioni che si possono fare sul piano di Samonà riguardano due temi:

1. L’attenzione al paesaggio: è il tema più rilevante e innovativo del piano di Samonà, in quanto si integra il

criterio di bellezza naturale e di eccellenza paesaggistica (legge 1939) con l’attenzione a tutto ciò che è

testimonianza di civiltà. Mentre, infatti, la legge del 1939 identifica come da tutelare solo le singolarità

territoriali, per Samonà è paesaggio tutto quello che l’uomo ha prodotto, una concezione sicuramente

moderna, nella quale l’ambiente naturale deve essere integrato con il paesaggio costruito dall’uomo. Questa

idea sarà poi confermata nel 2000 dalla Convenzione Europea, che definirà paesaggio tutto ciò che si vede.

La tutela del paesaggio viene messa in atto mediante due operazioni:

Introduzione di vincoli di destinazione d’uso del suolo: si tratta tuttavia di vincoli deboli, se non si

cambia il punto di vista dei progettisti e degli amministratori;

Introduzione del concetto di unità insediativa: parte del territorio che presenta caratteristiche

omogenee. Si tratta di estensioni territoriali nelle quali gli interventi devono essere fatti con criterio,

in modo tale da valorizzarne le caratteristiche senza modificarne l’ambito naturale né alterarne

l’omogeneità: ad esempio, un ambito collinare si può presentare come un’unità insediativa, nella

quale non è possibile inserire elementi come torri, che sarebbero assolutamente fuori luogo ed

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incoerenti con il paesaggio circostante. In questi termini, l’unità insediativa si può considerare come

un’unità progettuale, e nel caso specifico del Trentino, sono unità tipiche quelle di fondovalle.

2. La contraddittorietà alcune scelte del piano urbanistico del Trentino:si tratta dei progetti per la parte Nord

di Trento, in particolare per la regione che va dalle foci dell’Avisio a Salorno, passando per la Pana Rotaliana.

Samonà infatti prevede per questi territori la localizzazione di aree industriali: a differenza delle altre unità di

fondovalle, questa infatti non viene considerata una unità insediativa di paesaggio, bensì una tabula rasa

sulla quale edificare, senza tener conto della presenza di terreni agricoli di pregio e della vulnerabilità

naturale di alcuni ambiti, come quello delle foci dell’Avisio.

PUP di Samonà vs PRG di Marconi:

Samonà prevede una città lineare, che si sviluppi da Trento fino alla Piana Rotaliana, e colloca una vasta area

industriale nel Nord.

Marconi concepisce una città compatta, non individua aree produttive, sovradimensionando le aree

residenziali (prevede più di 100'000 alloggi).

La scelta della Provincia ricade sul PUP di Samonà, nonostante le contraddizioni e il sovradimensionamento delle

aree produttive.

LEGISLAZIONE IN MATERIA URBANISTICA e COMPETENZE

1970 Elezioni dei Consigli Regionali

1972 Vengono definite le competenze relative alle Regioni:

1. Gestione musei, assistenza scolastica;

2. Assistenza sanitaria;

3. Trasporti;

4. Turismo;

5. Viabilità;

6. Urbanistica:

1942: La legge urbanistica indica come oggetto dell’attività urbanistica il governo dell’attività edilizia;

1972: La carta regionale conferma quanto stabilito dalla 1150;

1977: il DPR definisce l’urbanistica “materia concernente l’uso e l’assetto del territorio”;

Nella giurisprudenza rientrano tra le competenze urbanistiche:

Tutela patrimonio artistico/storico;

Tutela risorse naturali;

Tutela ecosistemi;

Controllo sulle trasformazioni territoriali e d’uso del suolo;

1982: la Corte Costituzionale stabilisce che l’urbanistica si occupa di tutto ciò che riguarda il

territorio.

Sempre in ambito urbanistico, lo Stato mantiene una serie di competenze strategiche:

1. Grandi infrastrutture;

2. Difesa del suolo;

3. Tutela dell’ambiente;

4. Tutela del paesaggio;

5. Disposizioni antisismiche.

La divisione dei ruoli tra Stato e Regione porterà ad un’evoluzione legislativa per definire ulteriormente le

competenze.

1990 Sono istituite le Province, e se ne definiscono le competenze:

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1. Coordinamento delle proposte dei Comuni;

2. Redazione del Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia (PTCP), a cui competono:

Uso e assetto del territorio;

Indicazione delle aree destinate a parchi e riserve naturali;

Localizzazione delle aree destinate a grandi infrastrutture;

Linee di intervento contro il rischio idrogeologico.

Si assiste così alla definizione di tre livelli di piano:

1. Piano Territoriale di Coordinamento delle Regioni (PTCR)

2. Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia (PTCP)

3. Piano Regolatore Generale (PRG)

In generale, quindi la pianificazione territoriale agisce su due macro livelli:

1. Pianificazione di area vasta, che si occupa dell’insieme delle problematiche territoriali;

2. Pianificazione di settore, che si occupa di precise tematiche, come la difesa del suolo, il paesaggio, le

infrastrutture, ecc… , trattate in specifici piani stilati dalle Regioni (ad es. il Piano delle Aree Sciabili)

2001 Legge di Riforma Costituzionale, istituzione delle Aree Metropolitane e definizione dei ruoli delle entità Stato,

Regione, Provincia e Area metropolitana, che operano separatamente e in modo autonomo.

1. Stato: difesa e politica estera, moneta e risparmio, ordine pubblico e sicurezza, tutela dell’ambiente, degli

ecosistemi, dei beni culturali.

2. Regione: ricerca scientifica, governo del territorio, tutela della salute, istruzione, protezione civile.

3. Province ed Aree Metropolitane: amministrazione.

LEGISLAZIONE SULLA TUTELA DEL PAESAGGIO

L’ingresso del paradigma ambientale in campo legislativo determina un grande cambiamento e mette in discussione

le comuni pratiche dell’urbanistica.

1922 Legge che introduce una disciplina per le bellezze naturali e per gli immobili d’interesse storico. Viene

introdotto il reato di “ingiusta devastazione”.

1923 Introduzione del vincolo forestale per ragioni di difesa idrogeologica. Si riconosce il ruolo fondamentale svolto

dal bosco e si introduce la pratica del rimboschimento.

Istituzione dei parchi nazionali:

1922 Parco Nazionale del Gran Paradiso

1923 Parco Nazionale d’Abruzzo

1934 Parco Nazionale del Circeo

1935 Parco Nazionale dello Stelvio

1939 Viene varata la prima legge di tutela delle bellezze naturali e dei beni artistici/storici.

1. Protezione delle bellezze naturali: il paesaggio viene considerato la rappresentazione visibile della patria, per

questo la tutela è rivolta a tutti i luoghi di eccellenza, distinguendo tra

Bellezze individuali

Bellezze d’insieme

2. Protezione dei beni di interesse artistico e storico: si tratta delle opere d’arte in genere, la cui tutela è

affidata allo Stato, sebbene sia prevista la proprietà privata. La legge istituisce la Sovrintendenza con il ruolo

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di tenere l’inventario dei beni posti sotto tutela, mentre obbliga il proprietario del singolo bene a controlli

periodici, in qualità di suo custode e responsabile di eventuali danni, per i quali è previsto risarcimento allo

Stato.

In particolare, le bellezze paesaggistiche possono essere classificate in base al tipo di uso che se ne può fare: si

distingue tra beni intoccabili, beni che possono essere soggetti a trasformazioni compatibili, e beni che presentano

pochi vincoli.

L’efficacia di questa legge è decisamente ridotta, per via di due ragioni:

L’attenzione al paesaggio è ancora elitaria, ovvero è interesse di pochi: gli unici beni che vengono preservati

sono quelli sotto la proprietà privata, ad esempio i Demani Militari e i grandi possedimenti terrieri (come

quelli toscani);

Si è ancora nell’ambito di una società tesa allo sviluppo industriale;

La legge del 1939 opera in maniera del tutto distaccata da quella del 1942, che identifica ambiti edificabili

senza tenere in alcun conto l’attenzione al paesaggio: ciò sancisce una separazione tra attività di tutela ed

urbanistica, quest’ultima intesa in questi anni come strumento di sviluppo economico.

L’unica eccezione al fallimento generale della legge del 1939 si ha nella Provincia Autonoma di Bolzano, dove il

paesaggio, inteso in termini culturali, è soggetto a vincoli di uso agricolo che ne determinano la tutela assoluta. La

crescita economica di Bolzano costituiva un pericolo per i beni naturali sudtirolesi, per cui sia la città di Bolzano, che

tutti i comuni della provincia, hanno collaborato al fine di preservare il territorio con piani paesaggistici territoriali.

LEGISLAZIONE SULLA TUTELA DELL’AMBIENTE

1966: Legge anti-smog

1976: Legge Merli, disciplina gli scarichi nei corpi idrici.

1983: Legge Galasso, nasce come legge di tutela del paesaggio, ma affronta il tema della protezione dei beni

ambientali. Di fatto, questa legge sostituisce quella fallimentare del 1939, cercando di superarne i limiti. Mentre nel

1939 era stato affidato alla Sovrintendenza il compito di stabilire quali aree fossero di importanza paesaggistica e

quali no, la legge Galasso pone sotto vincolo paesaggistico moltissime risorse ambientali:

1. Aree nella fascia di profondità <300 m dalla linea di battigia;

2. Laghi e territori confinanti con laghi;

3. Fiumi e territori a meno di 150 m dalla sponda;

4. Parchi e riserve naturali;

5. Montagne sopra i 1600m sulle Alpi e sopra i 1200m sugli Appennini;

6. Ghiacciai;

7. Zone gravate da usi civili, ovvero beni collettivi;

8. Zone umide;

9. Vulcani;

10. Zone di interesse archeologico.

La legge presenta alcune ambiguità su fino a dove si debba spingere la tutela: in questi casi, ci si appella alla carta

costituzionale, che invita le Regioni a distinguere ciò che deve essere considerato “paesaggio” attraverso i Piani

Paesaggistici Regionali. Il Piano Paesaggistico Regionale è uno strumento importantissimo nelle mani delle

Regioni,con il quale esse stabiliscono le modalità e l’intensità d’uso dei suoli degli ambiti compresi nella legge

Galasso.

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Con la legge Galasso finalmente i vincoli paesaggistici entrano nell’urbanistica, ponendo un limite effettivo

all’espansione urbana.

1986 Istituzione del Ministero dell’Ambiente

Si stabilisce che tutti i grandi progetti debbano essere sottoposti alla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA),

attraverso la quale ci si accerta che tali progetti non abbiano impatti negativi su:

1. Comunità antropiche;

2. Flora;

3. Fauna;

4. Componenti abiotiche dell’ambiente;

5. Aria, acqua, clima.

LEZIONE 23, 19/11/13

RITARDO DELLA LEGISLAZIONE ITALIANA

La prima legge sulla difesa del suolo in Italia arriva nel 1989. Le ragioni di tale ritardo sono riscontrabili

principalmente in due punti:

1. Motivo di carattere culturale: si tendeva ad affrontare i disastri naturali con una sorta di fatalismo, ovvero

nessuno si era mai posto il problema che le catastrofi naturali potessero accadere per effetto delle azioni

dell’uomo, o che le conseguenze di esse potessero in qualche modo essere limitate.

1882 L’Adige esonda allagando l’intero fondovalle, in seguito alle piogge intense fuori stagione;

1952 La grande alluvione del Po’ allaga gran parte della Padania in destra orografica.

1966 Firenze e Venezia finiscono sott’acqua scuotendo l’opinione pubblica.

A partire dal 1952, con il boom economico e la forte urbanizzazione, si fa strada l’idea che gli eventi naturali

comportino danni più gravi nel momenti in cui una situazione di pericolo viene mutata in una di rischio

(responsabilità antropica indiretta); inoltre, si cominciano a verificare disastri nei quali risulta più evidente la

responsabilità antropica:

1963 Disastro del Vajont;

1969 Frana di Agrigento, ovvero della parte di città costruita in seguito agli ampliamenti;

1985 Disastro della Val di Stava.

2. Motivo a carattere politico: negli anni ’70, con l’istituzione delle Regioni, si crea una forte ambiguità sui

soggetti decisionali, in quanto non si sa bene chi si debba occupare di cosa. Lo Stato non delega la

competenza nella difesa del suolo.

Legge 183 sulla difesa del suolo (1989)

La legge si occupa della difesa del suolo, del risanamento delle acque, della fruizione e gestione del patrimonio

idrico. Viene introdotto un nuovo ambito territoriale, il BACINO IDROGRAFICO, distinto su tre livelli:

1. Bacini idrografici di rilievo regionale: sono gestiti dalla Regione;

2. Bacini idrografici di rilievo interregionale: sono gestiti da più Regioni in accordo tra di loro;

3. Bacini idrografici di rilievo nazionale: sono gestiti dalle AUTORITÀ DI BACINO, nuovo ente territoriale.

Le autorità di bacino e le autorità interregionali sono incaricate di redigere il Piano di Bacino, che ha il valore di un

piano territoriale di settore. A livello nazionale vengono istituiti i bacini del Po’, dell’Adige, dell’Arno, del Tevere, del

Garigliano/Volturno.

Legge 394 quadro sulle aree protette (1991)

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Sancisce i criteri unitari di gestione dei parchi nazionali e regionali. Gli obiettivi sono quelli di salvaguardare la natura

attraverso:

Conservazione delle specie animali e vegetali, e degli equilibri idrogeologici ed ecologici;

Integrazione uomo-ambiente;

Promozione di attività educative, di ricerca, ricreative.

Si fa la distinzione tra:

1. Parchi nazionali;

2. Parchi Regionali;

3. Riserve.

La gestione dei parchi viene affidata ad un ENTE PARCO che è incaricato di redigere il Piano del Parco. La legge

prevede anche la creazione di aree marine protette.

LEGGI EUROPEE

1985 European Charter of Local-Self Government: principio introdotto dall’UE come una sorta di diritto dei cittadini

a partecipare alle decisioni che li riguardando direttamente. L’idea di base è che sia necessario passare da una tutela

basata sul vincolo e sull’interdizione ad una tutela condivisa e auspicata dalla stessa popolazione, in modo tale da

coinvolgere i cittadini nelle decisioni che li riguardano direttamente.

Questo principio è alla base di quanto verrà affermato dalla Convenzione Europea sul Paesaggio (2000), e cioè che è

paesaggio una parte del territorio così com’è percepita dalle popolazioni locali, e non più un concetto elitario.

1992 Trattato di Maastricht, si introduce il concetto di sviluppo sostenibile nel tema dell’interazione tra economia ed

ambiente;

Direttiva 1992/43/CEE

Conservazione degli habitat e salvaguardia della biodiversità (viene creata la rete Natura 2000) →verrà recepita in

Italia nel 1997.

Vengono creati i SIC, Siti di importanza comunitaria, che vanno ad arricchire il quadro delle aree protette. Secondo le

disposizioni UE, ogni trasformazione del SIC comporta una procedura analoga al VIA, chiamata Valutazione di

Incidenza, con la quale è richiesta una giustificazione dell’intervento previsto attraverso una attenta indagine, che

sarà poi presa in esame a Bruxelles.

Direttiva 2001/42/CEE

Vien imposto un nuovo strumento, la Valutazione Ambientale Strategica (VAS), con la quale si richiede di integrare,

con considerazioni di tipo ambientale, piani e programmi che in qualche modo intervengano sull’ambiente. A

differenza della VIA, che si applicava al singolo progetto, la VAS considera l’insieme degli impatti che un piano ha

sull’ambiente, nel complesso delle sue scelte.

Tale valutazione è richiesta a monte della redazione di un piano, in un’ottica di prevenzione dei disastri ambientali di

origine antropica. →la VAS viene recepita in Italia dal DLs 2006

Direttiva 2004/308/CEE

Accorpa quanto definito in precedenze con alcune modifiche: l’autorità di Bacino viene sostituita dall’autorità di

bacino distrettuale.

Il governo di bacino e la difesa del suolo torna di fatto nelle mani delle regioni.

LEZIONE 24, 25/11/13

PUP DELLA PAT 1987

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Il Piano Urbanistico Provinciale redatto da Franco Mancuso a partire dagli anni ’80 (ufficialmente del 1987) si

presenta come un aggiornamento del piano di Samonà (1967) ed è il primo piano a valenza ambientale mai redatto

in Italia.

Il piano è accompagnato dal documento di Walter Micheli, nel quale si delineano i nuovi obiettivi. Quelli del piano di

Samonà e dell’amministrazione Kessler sono stati pienamente raggiunti, lo sviluppo a tutti i costi, di tipo quantitativo

(consumo del suolo, espansione degli abitati e degli insediamenti produttivi), è uno stadio superato, e si guarda ora

ad uno sviluppo che tuteli la qualità, salvaguardi il territorio e la produzione agricola di pregio, e valorizzi l’ambiente

in generale.

Con il piano di Samonà, la PAT aveva messo a disposizione finanziamenti per aiutare le famiglie a costruire

un’abitazione: in questo modo, anche chi disponeva di una casa, ne approfittava per costruirne una nuova,

abbandonando così il centro storico. L’esplosione del turismo, poi, si era tradotto nella costruzione di seconde case,

grazie alla vendita di territori agricoli, mentre le aree produttive erano state stabilite senza valutare l’effettiva

domanda.

Il nuovo PUP si propone perciò di porre fine all’estensione dell’edificato e ripristinare vincoli di uso del suolo, con un

approccio del tutto nuovo, che è per l’appunto, quello ambientale.

Il PUP si articola in 3 sistemi:

1. Sistema ambientale: è il sistema sovraordinato alle decisioni di piano, in quanto il territorio della PAT ha una

grande dotazione ambientale dalla quale, secondo Mancuso, non si può prescindere.

La prima tavola è quella del Sistema Idrografico, la seconda è relativa alla Copertura del Suolo.

Il sistema ambientale si articola in 4 sottosistemi:

Rischio e protezione idrogeologica: la tavola delle aree a rischio idrogeologico è la prima redatta in

Italia, ed è ottenuta mappando i fenomeni pregressi (crolli, frane, esondazioni, inondazioni) in scala

1:10'000. Si tratta di una tecnica che ovviamente non dà la sicurezza che gli eventi considerati non si

verifichino altrove rispetto a dove già sono stati realizzati, tuttavia è un primo modo di affrontare la

tematica. Oggi con l’avvento della modellistica e delle analisi statistiche, la carta di pericolo

idrogeologico si discosta da quella del 1987.

Tutela ambientale: fa riferimento esplicito alla Legge Galasso, in un’ottica vincolistica. La tutela è

esercitata con vincoli, nella maggior parte dei casi legati alle campiture di pericolo di frana e di

rischio in genere, a quelle di terreni agricoli, e di aree naturali protette. Le aree sottoposte a vincoli

autorizzativi coprono la maggior parte del territorio della PAT, mentre in alcuni casi non è prevista la

protezione solo al fine di evitare contestazioni (per non superare il 90% del territorio della

provincia).

Parchi e foreste;

Aree a produzione energetica.

2. Sistema insediativo-produttivo: sono classificate come aree produttive:

Aree agricole, a loro volta distinte tra aree ad interesse primario (intensive, frutteti e vigneti,

assoggettate a vincoli molto rigorosi), e ad interesse secondario (estensive),

Pascoli;

Aree commerciali;

Aree industriali.

3. Sistema infrastrutturale

Per quanto riguarda la richiesta abitativa, Mancuso non commette l’errore di Samonà, ovvero non consente

l’edificazione libera, bensì fa una stima del fabbisogno abitativo (riferita al 1995) per ciascuna delle 52 unità

insediative e propone un’offerta che tenga conto del patrimonio edilizio offerto dal centro storico, del quale viene

sollecitato il recupero.

Non manca infine l’attenzione alle aree ad interesse turistico, per le quali si individuano nuove infrastrutture (ad

esempio il collegamento Pinzolo-Madonna di Campiglio).

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PIANO DI BACINO

La legge del 1989 conferisce alle Autorità di Bacino il compito di redigere Piani di Bacino. Questo procedimento

avviene in 3 fasi:

1. Conoscenza delle condizioni in cui versa il bacino;

2. Individuazione delle problematicità e degli squilibri;

3. Decisioni e scelte di piano (questo punto perde di significato perché le Autorità di Bacino non hanno alcun

potere decisionale);

Il piano tradizionale, tuttavia, non è confacente alle esigenze di un piano di bacino, dal momento che l’impresa di

conoscenza delle condizioni del bacino è troppo lunga e dispendiosa. Alla pianificazione di bacino si applica perciò un

approccio strategico che consiste nell’affrontare un problema alla volta: non è necessario, infatti, conoscere tutto del

bacino, nella fase di edizione del piano. Le criticità sono note dal passato, perciò si va ad affrontare singolarmente il

problema seguendo un ordine di priorità.

La legge del 1993 impone la redazione di piani di bacino anche per i singoli sottobacini: è possibile così costruire il

piano di bacino per gradi, ovvero per stralci funzionali (sottobacino per sottobacino), e suddividere una problematica

così complessa in casi prioritari.

La pianificazione di bacino prende in considerazione tutto, non solo il rischio idrogeologico: per ogni corso d’acqua,

la priorità deve essere quella ci costruire Assetti Idrogeologici, ovvero quadri in cui sono mappate le aree a rischio,

opportunamente corredate da suggerimenti di intervento ed eventuali vincoli di edificazione.

Dal PAI (Piano di Assetto Idrogeologico) del Brenta è possibile osservare come aree a rischio sono già state edificate:

le possibilità in questi casi sono due, o mettere in sicurezza la zona con opere di arginazione, oppure spostare la

popolazione.

RISCHIO ACCETTABILE: concetto definito dall’Autorità di Bacino del Po’. Si definisce rischio accettabile la situazione

in cui i danni conseguenti un evento idrogeologico sono ridotti. Se un rischio sia accettabile oppure no dipende da

cosa c’è nell’area soggetta a rischio idrogeologico, ovvero se non serve metterla in sicurezza (campi coltivati, aree

ricreative non molto frequentate) oppure è necessario (scuole, quartieri abitati).

FASCIA DI PERTINENZA FLUVIALE: sempre definita dall’Autorità di Bacino del Po’. SI distingue tra 3 fasce:

A. Fascia di deflusso della piena: non vi si può costruire nulla;

B. Fascia di esondazione (con Tr= 30-45-50 anni): vi si possono collocare attività di pascoli, maneggi…;

C. Aree di inondazione per piena catastrofica (Tr> 100 anni): vi si possono porre attività agricole.

La fascia di pertinenza quindi definisce gli usi del suolo coerenti con il livello di pericolo degli eventi che possono

manifestarsi.

REGOLAZIONE DEI LIVELLI IDRICI DEI LAGHI ALPINI: la direttiva sui laghi alpini (varata dall’Autorità di Bacino), è stata

pensata per il Lago di Idro e regola l’estrazione in alveo, imponendo che qualunque escavazione in alveo debba

essere autorizzata.

LEZIONE 25, 26/11/13

SVILUPPO SOSTENIBILE

Triangolo della sostenibilità: ai tre vertici sono posti ECONOMIA, SOCIETÀ, AMBIENTE, mentre all’interno sono scritti

gli anni nei quali si è data importanza a ciascuna delle tematiche, che raramente sono entrate in relazione tra di loro

nel senso di un’uguale attenzione riservata dalla politica e in generale dall’opinione pubblica.

Anni ’50-’60: si pone l’attenzione allo sviluppo economico, indipendentemente dalle esternalità che può

avere sull’ambiente e sulla società.

Secondo “Gli Stadi dello Sviluppo” di Rostow, con passo costante tutti ci dirigiamo verso lo sviluppo

completo: la società cresce con l’economia.

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Anni ’70-’80: si ha un’inversione di tendenza, prendono il sopravvento gli aspetti sociali, per via delle

contestazioni studentesche e le riflessioni sui diritti umani in atto.

Anni ’80-’90: l’ambiente si sposta al centro dell’attenzione, anche dal punto di vista legislativo.

2000: si ritorna alle tematiche economiche.

2010: di nuovo si pensa all’ambiente.

La California si dota di leggi ambientali già negli anni ’40. Negli anni ’60, gli USA sono sensibilizzati da figure come

Rachel Carson, impegnate nella lotta a inquinanti (nel caso della Carson, DDT).

1969 US NATIONAL ENVIRONMENTAL POLICY ACT (NEPA)

Gli Stati Uniti si dotano di una legge ambientale che sarà poi imitata da molti stati, e che pone l’attenzione su:

1. Responsabilità intergenerazionale;

1972 LIMITS TO GROWTH

Un gruppo di ricercatori del MIT pubblicano uno studio che evidenzia la limitatezza delle risorse che fino a quel

momento hanno sostenuto lo sviluppo, primi fra tutti i combustibili fossili. Questo documento ha grande impatto

sulla società, anche perché quasi contemporaneamente all’uscita del libro, si ha un rialzo dei prezzi del petrolio da

parte dell’OPEC, che porterà allo shock petrolifero del 1974.

1972 UN CONFERENZE ON THE HUMAN ENVIRONMENT (Conferenza di Stoccolma)

È la prima conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente. Si pone l’accento sugli effetti dello sviluppo in atto

sull’ambiente, sul depauperamento delle risorse, sull’inquinamento ecc… nel tentativo di richiamare una maggiore

attenzione all’ambiente e di generalizzare su più larga scala le posizioni del NEPA. Non è l’uomo a mettere a rischio

l’ambiente, bensì il particolare tipo di sviluppo ormai diffuso (capitalismo).

1987 RAPPORTO BRUTLAND

Le Nazioni Unite istituiscono una Commissione diretta dal ministro norvegese Brutland, dalla quale verrà fuori il

rapporto intitolato “Our Common Future”. SI ha una prima definizione di sviluppo sostenibile:

SVILUPPO SOSTENIBILE = sviluppo che consente alla presente generazione di soddisfare i propri bisogni senza compromettere l’abilità delle future generazioni di soddisfare i propri.

1992 EARTH SUMMIT- Conferenza di Rio sull’ambiente e sullo sviluppo

Si compie un ulteriore passo avanti rispetto al rapporto Brutland, e si procede alla codifica di alcuni principi di

carattere generale sullo sviluppo sostenibile.

SVILUPPO SOSTENIBILE =

Processo capace di bilanciare la domanda economica, sociale, e ambientale.

Processo virtuoso in cui economia, società e ambiente interagiscono senza perdere la propria priorità.

Processo di trasformazione sociale capace di produrre vantaggi economici utilizzando in modo razionale le risorse senza compromettere l’ambiente.

Dalla conferenza di Rio emerge che lo Sviluppo Sostenibile debba essere un processo partecipativo e a lungo

termine, ottenuto a partire dal coinvolgimento delle società locali e dei singoli individui. Scopo dello Sviluppo

Sostenibile è quello di conseguire benessere salvaguardando l’ambiente e garantendo l’equità sociale (si ha una forte

critica nei confronti della globalizzazione e un’attenzione ai paesi in via di sviluppo).

La conferenza di Rio ha prodotto l’AGENDA 21, in cui sono enunciati i principi dello Sviluppo Sostenibile.

Lo Sviluppo Sostenibile interverrà solo se programmato esplicitamente: non è un processo che si può avere solo per

la buona volontà dei singoli, ma è un processo politico che coinvolge amministrazioni pubbliche, portatori di

interesse e cittadini. La conferenza di Rio individua dunque due livelli di iniziativa:

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1. Stati;

2. Amministrazioni locali.

E invita ad avviare le azioni facendo fronte a 3 grandi emergenze ambientali:

1. Perdita di biodiversità: la cementificazione e le monocolture hanno portato alla perdita della diversità

delle forme di vita con riferimento sia alla specie che agli habitat. Con la CONVENZIONE SULLA DIVERSITÀ

BIOLOGICA, si riconosce il bisogno della popolazione di cibo, medicine, aria e acqua pulita, e ambiente

sano in cui vivere. Queste condizioni sono favorite anche dai servizi eco sistemici che sono garantiti dalla

biodiversità (ad esempio la capacità di assorbimento delle emissioni di CO2). La biodiversità quindi può

essere ricondotta anche a tematiche economiche, in quanto può offrire eco sistemici all’uomo.

2. Deforestazione: interessa soprattutto il sud del mondo (America del Sud, Africa, Oceania) ed è oggetto

della CONVENZIONE SULLA DEFORESTAZIONE.

3. Cambiamenti climatici: sono trattati nella CONVENZIONE SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI, e con il

Protocollo di Kyoto (1997) si cerca di arrivare ad un accordo tra gli Stati firmatari (attualmente ancora

non è un accordo vincolante).

Inoltre la Conferenza di Rio cerca di incoraggiare la produzione di un’Agenda 21 per ogni comunità locale, con un

impianto molto simile a quello del Piano Strategico, in quanto si compone di alcune fasi:

1. Costruzione di una visione del futuro (VISIONING);

2. Individuazione delle criticità più rilevanti, relazionate con le emergenze di Rio ma anche con le specificità

locali;

3. Definizione di obiettivi con orizzonti temporali;

4. Definizione di un piano d’azione;

5. Implementazione.

INIZIATIVE:

Cina: si fa strada il concetto di “circular economy”, che si articola in 3 punti:

1. ECOREGIONI

2. ECOPARCHI INDUSTRIALI

3. Singole industrie che perseguono obiettivi di sostenibilità.

A Dongtan Ecocity, si raggiunge lo 0% di emissioni di CO2, perfetta conservazione della biodiversità, per una

popolazione di 250'000 abitanti.

Svizzera: la comunità di Goms si impegna nella produzione energetica da fonti rinnovabili e nell’efficienza

energetica negli edifici e nella mobilità (auto elettriche).

Francia: ha dato il via a piani climatici supportati da enti governativi che svolgono le analisi e danno

indicazioni su risparmio energetico e sfruttamento rinnovabili. Dal 2004 al 2007 si è avuto un calo del 7%

delle emissioni negli ambiti investiti dal piano.

Austria: è stata istituita l’Alleanza per il clima, alla quale partecipano con propositi di sviluppo sostenibile

città, compagnie, scuole ed istituti di educazione.

Olanda: ha dato il via a progetti di rinaturalizzazione finalizzati alla salvaguardia della biodiversità. La

Netherlands National Ecological Network si propone di ristabilire le reti ecologiche superando lo zoning, in

modo da mettere in comunicazione gli ecosistemi.

INDICATORI DI SOSTENIBILITÀ

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INDICATORE = informazione che deriva dalla misura di un fenomeno. Mette in evidenza il funzionamento di un sistema, semplificandolo, ne riassume le caratteristiche e ne permette la valutazione.

In generale gli indicatori di sostenibilità sono utilizzati nelle valutazioni ambientali strategiche in cui si esegue un

monitoraggio, e servono per:

1. Misurare;

2. Definire obiettivi;

3. Azioni di monitoraggio;

4. Valutazione di esiti;

5. Comparazione.

Gli indicatori sono alla base del processo decisionale, perciò hanno rilevanza tecnica e politica. Le caratteristiche che

un buon indicatore deve avere sono:

1. Presupposto scientifico;

2. Osservabilità e misurabilità (numero di salmoni nell’acqua del fiume a Seattle);

3. Deve rappresentare un fenomeno di interesse pubblico, e perciò deve essere:

Comprensibile

Accettabile dai decisori

4. Deve essere adattabile a piani ed elaborazioni, in modo da poter riflettere gli obiettivi.

Di solito si distingue anche tra indicatori TECNICI e indicatori PER IL PUBBLICO.

Gli indicatori di sostenibilità devono evidenziare in modo integrato fattori sociali, economici ed ambientali: per

queste ragioni non possono essere come i tradizionali indicatori di singole tendenze economiche, sociali e

ambientali, bensì devono stabilire un’interazione tra i 3 sistemi.

LEZIONE 26, 28/11/13

INDICATORI DELL’UE

L’Unione Europea propone 360 indicatori, che ovviamente sono troppi per poter avere valenza pratica. Si sono

stabilite alcune priorità, e la tabella proposta dall’UE sugli indicatori di sviluppo sostenibile si è ridotta a:

Prodotto Lordo Procapite

Inclusione sociale (rischio di povertà)

Misura del rischio sociale

Mutamenti demografici

Tasso di occupazione (con riferimento a chi è da più tempo inserito nel mondo del lavoro)

Cambiamenti climatici

Forme di buon governo

AGGREGAZIONE DI INDICATORI

Si tende ad aggregare gli indicatori di sostenibilità attraverso MODELLI DI AGGREGAZIONE:

1. A 3 COMPONENTI 2. DPSIR (Driving forces, Pressure, State of environment, Impacts, Response) 3. ECOLOGICAL FOOT PRINT 4. MODELLO DEI 4 CAPITALI

In particolare, il modello 3 e il modello 4 sono considerati rappresentativi di due concezioni contrapposte di

sostenibilità:

Sostenibilità forte (3) = il conseguimento del benessere deve avvenire senza compromettere la qualità dell’ambiente

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Sostenibilità debole (4) = le generazioni future saranno più ricche di noi, la tecnologia andrà avanti, e le risorse

naturali potranno essere sostituite dal capitale tecnologico.

MODELLO A 3 COMPONENTI

Viene messo a punto dall’Agenda 21 di Seattle e si basa sulla considerazione di un set di indicatori sociali, un set di

indicatori economici e un set di indicatori ambientali.

Indicatori ambientali:

Salmone selvatico

Qualità dell’aria

Strade ciclo-pedonali

Spazi aperti

Erosione del suolo

Indicatori economici:

Disoccupazione

Accesso alle abitazioni

% bambini in povertà

Spese per cure mediche

Impiego energetico

Indicatori sociali:

Partecipazione al voto

Percezione del vicinato

Percezione della qualità della vita

L’integrazione dei 3 set dà luogo alla valutazione.

MODELLO DPSIR (PRESSIONE, STATO, RISPOSTA)

Si tratta di un modello che prende in considerazione indicatori ambientali al fine di farne valutazioni di tipo economico;

prende in considerazione:

stress (pressione) che le attività antropiche esercitano sull'ambiente (ad esempio inquinamento)

impatti che la situazione di degrado può determinare (stato dell’ambiente)

risposta ECOLOGICAL FOOTPRINT

Si contabilizza tutto quello che un individuo fa (e consuma) riconducendolo all’unità di misura “ettari procapite”,

ovvero si utilizza un modello di consumo in termini di superficie. Dividendo la superficie utile globale per la

popolazione, si ottiene la quantità di superficie di cui ciascun individuo dispone. Dal rapporto tra superficie

consumata e superficie a disposizione, si determina il diritto al consumo. A livello globale, si è osservato che il Nord

del mondo ha un’impronta ecologica immensamente più pesante di quella dei paesi del Sud del mondo, al punto che

l’Europa, con i suoi consumi, è arrivata a compensare il deficit di Asia e Africa. Il metodo dell’impronta ecologica

consente quindi anche di rilevare le ingiustizie sociali nei modelli di consumo.

Attualmente, l’impronta ecologica dell’umanità ha superato del 20% quella sostenibile per il mondo: questo vuol dire

che la Terra impiega circa un anno e 2 mesi per rigenerare quello che consumiamo nel corso di un anno.

Al concetto di Ecological footprint, è collegato il “green city index”, un indice messo a punto dalla multinazionale

tedesca Siemens come indice di misura della sostenibilità urbana. Questo indice prende in considerazione 30 città

europee e 30 indicatori per ogni realtà urbana, tenendo in considerazione la dimensione della governante

ambientale, del trattamento dei rifiuti, della gestione delle acque, e delle emissioni di gas serra. Il green city index

tratta i seguenti indicatori:

Emissioni di CO2: quantità, intensità, azioni di contenimento;

Efficienza energetica: quantità, intensità, consumo da fonti rinnovabili, perseguimento efficienza energetica;

Edifici: standard di efficienza, energia consumata;

Qualità dell’acqua

Qualità dell’aria: % di zolfo, ozono, particolato;

Rifiuti solidi: quantità, % riciclo

Uso del suolo: promozione e contenimento del consumo di suolo;

Spazi verdi: promozione di aree verdi.

MODELLO DEI 4 CAPITALI

A tale modello fa riferimento il concetto di sostenibilità debole, promosso dalla Banca Mondiale.

Tutto viene ricondotto a 4 forme di capitale, e misurato in termini monetari.

1. Capitale NATURALE = Quantità di materia usata nei processi e nelle attività antropiche: ecosistemi, natura,

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materie prime; 2. Capitale SOCIALE = conoscenza, intelligenza, capacità di iniziativa; 3. Capitale UMANO = relazioni, aggregazioni sociali, cooperazioni; 4. Capitale PRODOTTO = tutto ciò che è prodotto nei processi manifatturieri, edilizi e produttivi in genere:

edifici, beni, oggetti Questo modello è spesso usato nella progettazione e negli investimenti in paesi in via di sviluppo, e consente di

classificare come “sviluppo sostenibile” qualsiasi tipo di investimento che conduca ad un aumento di uno dei 4 tipi di

capitale. Ciò implica che un investimento, che riduca il capitale naturale a fronte di un incremento degli altri 3 tipi di

capitale, è considerato sostenibile al pari di un investimento che invece mantenga inalterato il capitale naturale.

La Natura nel mondo Latino e in quello Nordico

Temi come quelli sollevati dal paradigma della sostenibilità si ritrovano nei paesi anglosassoni già in precedenza. Il

modo in cui è concepita la natura nel mondo nordico è profondamente diverso da quello latino. Se si prendono ad

esempio alcune grandi residenze italiane o francesi, infatti, si osserva sicuramente una grande cura all’aspetto

naturale (Villa Adriana, Giardino di Boboli a Firenze, villa d'Este, Versailles), eppure non si può non considerare

l’artificialità di un esercizio di addomesticamento della natura. La cura dei giardini e dei parchi rientra nell’ambito

della cura dei luoghi, ovvero la natura è concepita essa stessa come luogo. Inoltre, nel mondo latino ricorre

un’iconografia nella quale la natura è nemica, e associata al male (Pisanello, La principessa, il drago e San Giorgio,

chiesa di S. Anastasio a Verona). Per contrastare la natura, si traspone al mondo naturale una geometria che la rende

addomesticata.

Nel mondo nordico, invece, la cultura è associata ad una deificazione della natura, di cui non si ha paura, ma dalla

quale ci si lascia avvolgere e proteggere. La natura è elemento sinergico con l’uomo e con la società, e questo si

riscontra anche nelle tipologie insediative: invece che conquistare il territorio circostante con ramificazioni,

l’insediamento nordico è circolare, ovvero si lascia inglobare dalla natura che lo circonda.

LANCELOT “CAPABILITY” BROWN

Nel 1700 la campagna inglese cominciava a risentire del depauperamento messo in atto dalla popolazione per lo

sfruttamento di materie prime: si presentava spoglia, privata del legname e rovinata dal continuo pascolare di

greggi, da cui si traeva la lana per la nascente industria tessile.

“Capability” Brown, paesaggista giardiniere e territorialista, viene ingaggiato per riqualificare la campagna inglese,

creare un paesaggio produttivo e funzionale, e rendere efficiente il territorio conferendogli forme nuove e ben

diverse da quelle proposte nelle ville latine. Il metodo che Brown sceglie è quello di ispirarsi alla natura, in una

specie di EMPIRISMO ECOLOGICO nel quale la natura fa da modello per le scelte dell’uomo, e non il contrario. Alla

ricerca del bello, “Capability” Brown fa corrispondere l’imitazione della natura, creando aree boschive sulle colline e

prati costellati da macchia per le aree pianeggianti. La ricostruzione di un paesaggio naturale non trascura l’acqua

come elemento fondamentale di naturalità, per cui Brown riproduce invasi che abbiano un andamento naturale, la

SERPENTINA, che riproduce con naturalezza il percorso dei fiumi (tecnica che verrà ripresa anche da Olmsted a

Central Park).

PATRICK GEDDES:

Patrick Geddes è un biologo ed è ritenuto uno dei fondatori della pianificazione ecologicamente orientata. Tra le sue

idee più innovative c’è quella che la pianificazione non possa prescindere dai processi naturali.

Sostiene che nel corso del tempo si è sempre avuto un adeguamento dell'uomo alla natura: attività mineraria,

selvicoltura, caccia e allevamento si sono sempre collocate in prossimità di boschi e foreste, mentre gli insediamenti

hanno sempre trovato posto su superfici pian, in prossimità di laghi e corsi d’acqua. Geddes ritiene quindi

fondamentale parlare in termini di BIOREGIONE, ovvero di un organismo nel quale uomo e natura convivono. Nella

sua attività di pianificatore, riconosce che la socialità non si realizza con forme regolari, e che la conoscenza non è di

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tipo scientifico e numerico, ma consiste invece nel guardare a quegli elementi apparentemente meno importanti,

come le persone, i valori, i particolari, con uno sguardo rivolto alle caratteristiche fisiche della città, e un altro a

quelle sociali. L’arte di guardare viene chiamata “Survey” ed è un momento fondamentale della pianificazione di

Geddes.

Geddes tocca anche la tematica degli Slum, promuovendo una corrente che verrà chiamata CONVERVATIVE

SURGERY, ovvero chirurgia conservativa: l’intervento nelle fasce degradate della città può avvenire attraverso la

demolizione dello stretto indispensabile e la rigenerazione del quartiere predisponendo condizioni igienico sanitarie

accettabili. Inoltre, anticipa le soluzioni moderne di urbanistica facendosi promotore dell’agricoltura urbana, che

ritiene una base economica e una buona forma di interazione sociale.

Tra le esperienze di piano di Geddes troviamo il piano per Tel Aviv (1925) e alcuni in India, dove viene chiamato a

risolvere i problemi di città in via di sviluppo in un paese non ancora investito dall’industrializzazione.

LEZIONE 24, 2/12/13

DESIGN WITH NATURE: Ian Mc Harg

Un salto di qualità nella pianificazione ecologicamente orientata si ha con Ian Mc Harg, architetto del paesaggio

scozzese, che non si presenta come planner tradizionale, traendo invece grande spunto dalla sua attività di

professore universitario e dalla collaborazione con suoi studenti.

Mumford, storico dell’architettura e della pianificazione appartenente al filone organicista, scrive di lui osservando

come Mc Harg ponga l’accento sulla relazione tra progetto e natura: “design WITH nature” presuppone

un’interazione tra processi antropici e processi naturali, per la quale il progetto non deve essere imposto, ma deve

discendere direttamente dalle condizioni naturali.

In Mc Harg si riscontra una profonda intenzionalità etica: la natura non è un campo d’azione indiscriminato

dell’uomo, ma un insieme di valori, fonte base della vita, e in quanto tale va preservata e protetta, ad imitazione

delle popolazioni primitive (ovvero quelle che precedono l’avvento del capitalismo), che ne avevano fatto addirittura

oggetto di culto.

La grande carica innovativa dell’attività di Mc Harg è il fatto che egli non propone un modello ripetibile, bensì un

approccio, basato sull’analisi dell’ambiente naturale e sull’inserimento consapevole dell’opera all’interno del

contesto.

Tracciamento dell’autoraccordo stradale: si tratta della prima esperienza progettuale di Mc Harg, nella quale il

professore cerca di proporre un progetto oggettivo, che si compone di due fasi:

1. Analisi costi-benefici. La grande novità di quest’analisi consiste nell’introduzione di costi-benefici monetari,

ovvero ai quali si può dare valore economico, affianco a costi-benefici senza prezzo.

2. Overlay Mapping. Si tratta di un elemento di assoluta novità, in quanto introduce la cartografia nella

valutazione di un piano. Con riferimento a diversi tematismi, si analizzano le piante del territorio interessate

dal piano, prima ancora del tracciamento dell’opera. A differenza di quanto fatto nella maggior parte dei

piani, l’opera non viene localizzata a prescindere dalle caratteristiche del territorio sul quale si vuole

realizzare, bensì vengono valutate le caratteristiche della regione al fine di individuare il miglior tracciato,

sulla base di parametri che esulano dall’analisi costi-benefici:

Pendenza;

Superficie drenante;

Suoli drenanti;

Oltre ai fattori fisici, vengono considerati anche aspetti sociali (e monetari):

Valore del suolo;

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Aree inondate;

Pregi scenici, storici, ricreativi;

Valori associati ad acquiferi, foreste, natura incontaminata;

A ciascuna area viene attribuito un valore e associato un colore, e in seguito alla sovrapposizione di più

mappe (relative ai parametri considerati), si individuano le aree non penalizzate, e quelle più o meno

penalizzate.

Bacino del Potomack: Mc Harg viene incaricato di trovare una soluzione per quest’area depressa e scarsamente

urbanizzata nello stato di Washington.

La proposta di Mc Harg è quella di creare un contesto suburbano, caratterizzato in parte dall’urbanizzato tipico della

città, e in parte da contesti agricoli turistici alla foce del fiume.

L’individuazione degli usi ottimali del territorio viene fatta attraverso la redazione della SUITABILITY MAP, costruita a

partire da carte di:

Superfici forestali, composizione del bosco e tipi forestali;

Aree più disponibili per l’urbanizzazione;

Aree agricole.

Per quanto riguarda l’uso del suolo, Mc Harg promuove gli usi multipli del suolo, a partire dalla considerazione delle

compatibilità tra usi diversi, affiancata dalla ricerca di ottimizzazione. A tal fine costruisce una MATRICE DI

RELAZIONE tra gli usi del suolo, con la quale è possibile stabilire la compatibilità, la criticità, e l’eventuale

incompatibilità tra usi differenti.

In questo modo è possibile ricavare le vocazioni territoriali, discendenti da invarianti naturali:

1. Per le aree nella valle del fiume vengono suggeriti usi agricoli, che sfruttino al meglio la fertilità dei terreni.

2. Per le aree forestali e quelle dei corsi d’acqua risultano ottimali le attività ricreative;

3. Da entrambi i lati del fiume è prevista una fascia di protezione boschiva;

4. L’urbanizzazione, incentivata dalla piacevolezza dei luoghi, è pensata come un insieme di insediamenti

dispersi, ritenuti più conformi all’ambiente del bacino rispetto ad una città compatta.

Mc Harg ritiene che la città compatta non sia più sostenibile della città dispera, in quanto piccoli centri possono

essere autonomi dal punto di vista energetico, mentre dal punto di vista eco sistemico sono addirittura preferibili, in

quanto vanno a costituire una rete di aree urbane connesse tra loro e con le aree naturali.

Piano per le Valleys (Baltimora): le Valli sono un ambito territoriale ai margini dell’agglomerazione di Baltimora

(costituita da città, sobborghi, e aree suburbane), dotato di grande valore paesaggistico.

Quando il processo di sub urbanizzazione satura l’area più vicina alla città di Baltimora, l’acquisto di terreni edificabili

si sposta verso le Valli.

Negli USA la legislazione urbanistica non fornisce grandi restrizioni sugli usi del suolo, per cui di fronte

all’acquisizione di aree da parte di investitori esterni, l’unico strumento nelle mani dei cittadini è quello della

creazione di un comitato no profit (1962), che viene incaricato di predisporre un piano al fine di preservare la qualità

dei luoghi a fronte dell’elevata pressione rappresentata dall’urbanizzazione incontrollata.

Si tratta di una problematica che investe in quegli anni tutti gli USA, in quanto ci si trova in una fase di

suburbanizzazione che modifica l’assetto naturale del territorio e che non viene in nessun modo fermata dallo Stato.

L’unica opportunità di fermare l’espansione urbanistica risiede nella proprietà responsabile, ed è esattamente ciò su

cui fa leva Mc Harg nel suo piano per le Valley.

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Mc Harg non vuole bloccare lo sviluppo economico, di cui gli abitanti stessi della regione possono usufruire, tuttavia

considera gli effetti negativi della vendita di immobili da parte dei cittadini. I punti fermi del suo piano sono:

1. L’area considerata è di un’indiscussa bellezza paesaggistica;

2. Lo sviluppo economico è inevitabile;

3. Una crescita incontrollata sarebbe sicuramente distruttiva;

4. Lo sviluppo deve andare di pari passo con gli obiettivi principali delle regioni;

5. Le Valli sono in grado di assorbire i flussi di trasferimenti di residenza;

6. Una crescita pianificata è preferibile e più proficua;

7. Gli interessi pubblici e quelli privati possono lavorare insieme per la riuscita del piano.

La straordinarietà del piano proposto da Mc Harg risiede nel rendere i proprietari indifferenti all’uso del suolo del

proprio terreno: pur prevedendo diverse densità edilizie e diversi usi del suolo, impone che la vendita di un terreno

comporti la spartizione del ricavato eccedente il valore medio dei terreni tra tutti i proprietari. Gli incrementi di

valore del terreno perciò non dipendono dal libero mercato, bensì dalle scelte di piano, per cui si ha l’accordo e

l’equità tra tutti i proprietari, bloccando l’offerta di più territori e imponendo un limite ai terreni edificabili.

LEZIONE 28, 3/12/13

GOVERNANCE TERRITORIALE

GOVERNANCE = modalità di assunzione delle decisioni, fa riferimento a meccanismi decisionali (≠governo)

Nell’ambito della governante territoriale si ha una pluralità di soggetti:

UE: opera attraverso quadri di riferimento nei quali si accordano le diverse scelte territoriali. Decide in materia di

fondi strutturali, in materia di infrastrutture e trasporti.

STATO:

Difesa del suolo

Tutela del paesaggio

Aree protette

Infrastrutture e trasporti

AUTORITÀ DI BACINO –pianificazione di settore

Difesa del suolo

ENTE PARCO –pianificazione di settore

Aree protette

REGIONE –pianificazione di area vasta e di settore

PTC – piano territoriale di coordinamento

Piani di settore

Difesa del suolo

Tutela del paesaggio

Aree protette

Infrastrutture e trasporti

PROVINCIA –pianificazione di area vasta e di settore

Sistema ambientale e paesaggistico

Sistema produttivo e insediativo

Sistema infrastrutturale

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COMUNE: è il ricettore delle decisioni, che traduce in destinazioni d’uso del suolo.

Il problema della pluralità degli enti di governo del territorio è che in alcuni casi può portare a conflittualità e

ambiguità (o sovrapposizioni) nelle competenze: ad esempio, se l’Autorità di Bacino dichiara una certa area

sondabile, non può sottoporla a vincolo, in quanto le aree edificabili sono stabilite a livello di regione.

PIANI COGENTI: PTCR e PRG, stabiliscono le destinazioni d’uso del suolo a livello regionale e comunale;

PIANI DI SETTORE: devono essere recepite nel PRG altrimenti non risultano cogenti.

UE: opera attraverso schemi che sono cambiati nel corso del tempo:

1. BANANA BLU : gli investimenti vengono concentrati nell’area compresa all’interno della Banana Blu, che

racchiude i paesi più avanzati, nei quali si hanno più probabilità di successo.

2. COESIONE TERRITORIALE: evitare gli squilibri nella gestione del territorio (principio espresso nella Territorial

Agenda 2020)

I propositi dell’UE si attuano nel contesto di una rete di comunicazione ormai costituita da grandi assi di

collegamento. Quelli che interessano l’Italia sono:

1. Asse Palermo-Berlino (corridoio 1), che ormai ha raggiunto Helsinki passando per Copenhagen;

2. Asse Torino-Lione (corridoio 4);

3. Corridoio dei due mari (passa attraverso il Tunnel del Gottardo);

4. Corridoio Baltico.

QUADRO STRATEGICO NAZIONALE

Si tratta di un quadro messo a punto dall’Italia in previsione del VII programma quadro europeo (nel quale si

discutono i fondi europei), nel quale il territorio italiano è ricoperto da riquadri: il nuovo obiettivo del Paese è quello

di invertire lo storico asse Verona-Trento-Innsbruck e costruire un nuovo collegamento Torino-Verona-Trento

(TIBRE-Corridoio Tirreno-Brennero) in modo da alleggerire i carichi sull’alto adriatico.

Lo Stato si è attivato per promuovere grandi progetti infrastrutturali (Legge Obiettivo n° 443, 21/12/2001), che

hanno una corsia preferenziale che gli consente di andare oltre la VIA:

1. Ponte sullo stretto di Messina;

2. Mose di Venezia: è l’unica impresa che è andata a buon fine, grazie al consenso dei veneziani.

3. TAV Torino-Lione: è ancora oggetto di accesi dibattiti e contestazioni.

4. Autostrada Valdostico: dovrebbe passare per Trento Nord ed ha incontrato l’opposizione della cittadinanza e

dei sindaci.

5. Autostrada Alemagna: dovrebbe passare per il sud Tirolo.

A parte il Mose di Venezia, nessuno di questi grandi progetti è stato ancora realizzato: le ragioni possono essere

riscontrate nell’inadeguatezza dei meccanismi decisionali.

MECCANISMI DI GOVERNANCE: prevedono azioni di

1. Sussidiarietà: principio il cui obiettivo è prendere le decisioni al livello più vicino ai cittadini, meglio se al

livello di amministrazioni locali.

2. Concertazione: pratica di governo basata sul confronto tra decisori al fine di individuare obiettivi comuni. Di

solito si tratta di portatori di interessi differenti (ad es. diverse città: Verona e Monaco di Baviera hanno

raggiunto un accordo con Innsbruck, Bolzano e il Tirolo sul tracciato del Corridoio I quando si è pensato di

farlo passare sotto terra).

3. Cooperazione: si ha quando le istituzioni e i soggetti economici interessati dal problema cooperano tra loro

per risolverlo (ad es. il Progetto Costa ha visto un’associazione tra Regione e Comuni dell’Emilia Romagna sul

tema dell’impatto del Po’ sulle attività turistiche →problema mucillagini, bisognava ripulire il mare).

4. Partecipazione: processo che mette le parti più deboli della società nelle condizioni di poter avere voce in

capitolo nelle decisioni e nella progettazione di ciò che li riguarda.

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PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI

Nasce negli USA con l’Advocacy Planning, che propone un modello di progettazione diverso da quello tradizionale,

che coinvolga i cittadini, rendendoli consapevoli delle analisi e delle scelte di piano.

Trae spunto dalla DEMOCRAZIA LIBERATIVA, la quale sorge sulla crisi della democrazia rappresentativa (disaffezione

al voto e al meccanismo rappresentativo), integrandone le carenze attraverso la partecipazione attiva della

popolazione alle decisioni locali.

Manifesto sull’utilità della partecipazione pubblica (relativamente alla VIA):

1. È espressione di buon governo: la migliore decisione non è quella prescelta dal tecnico sulla base di

elaborazioni tecniche, bensì quella che riscontra il favore della comunità interessata. Non è un caso, infatti,

che senza il coinvolgimento del pubblico molti progetti non si sono realizzati.

2. Può portare ad una migliore soluzione: spesso il tecnico non conosce la realtà complessa in cui opera, realtà

che potrebbe essere ben nota a chi non è tecnico ma cittadino.

3. Determina l’approvazione delle decisioni di piano: perché sono state prese collettivamente.

Il processo partecipativo è caldeggiato da Patsy Healey in “Making better places”, sia come metodo conoscitivo, sia

come metodo decisionale.

Tecniche partecipative: provengono per lo più dal mondo anglosassone:

1. Selezione degli interlocutori: si sceglie un gruppo di 30-40 cittadini che esprimano le opinioni presenti nella

popolazione sulla questione in esame. Si organizzano riunioni con un gruppo limitato di questi

rappresentanti, con il quale è più semplice lavorare, fissando appuntamenti frequenti e prendendo decisioni.

2. Coinvolgimento dei tecnici: ad esempio la Tecnica Delphi prevede il coinvolgimento di un certo numero di

esperti ai quali viene chiesto di esprimersi in merito ad una questione. I partecipanti devono confrontarsi

finché non si giunge ad un compromesso. Questa tecnica è stata utilizzata nell’ambito della creazione di un

sistema informativo della sensibilità ambientale: si è partiti dall’uso e copertura del suolo e, al fine di

gerarchizzare la tutela, si è chiesto ad un gruppo di 20 ecologi di attribuire un valore da 1 a 5 a diversi tipi di

superficie forestale, apparentemente omogenea.

3. Questionari alla cittadinanza: si interpellano i portatori di interesse.

LEZIONE 29, 5/12/13

TAV: segmento del corridoio 5° ad alta velocità e alta capacità ferroviaria, ha incontrato forti opposizioni

relativamente al tratto che attraversa la Val di Susa, al confine tra Italia e Francia.

Motivazioni No-TAV: la parte ambientale delle argomentazioni è abbastanza ridotta perché le contestazioni sono

soprattutto di carattere economico:

1. Tratta poco utilizzata;

2. Progetto economicamente svantaggioso;

3. La ferrovia che passa per il Frejus funziona e può essere potenziata a minor costo;

4. Sono state rilevate tracce di uranio e di amianto in quelle regioni;

5. La costruzione richiede dai 60 ai 125 milioni di m3 di acqua;

6. Favorirebbe la delocalizzazione;

7. L’opera farebbe risparmiare 2 ore di viaggio, che diventerebbero 48 minuti.

La protesta, partita come un’opposizione di carattere economico/ambientale, si è trasformata in un’opera di totale

opposizione alle istituzioni, che ancora viene trascurata.

TUNNEL DEL GOTTARDO vs TUNNEL DEL FREJUS: Rientra nel corridoio dei 2 mari e collega la Svizzera con l’Italia. La

Svizzera ha sollecitato la creazione di questo tunnel per motivi ambientali, ovvero al fine di limitare il traffico merci

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su gomma nel suo territorio (sul quale ha imposto una forte penalizzazione mediante politiche tariffarie) e

convogliarlo in questo corridoio ad alta velocità. Il progetto è molto simile a quello dell’attraversamento alpino del

Frejus, sia come lunghezza del tratto, sia come costi: il Gottardo è in rapida costruzione e sarà operativo nel 2017,

mentre il Frejus è ancora in fase preliminare.

Le ragioni si riscontrano nella profonda differenza in termini di politiche adottate da Svizzera, Francia ed Italia

nell’approvazione dei progetti: la Svizzera ha avuto il supporto della popolazione, che ha dato il suo consenso per

ben 3 volte in referendum; allo stesso modo in Francia si è seguito un processo partecipativo; in Italia il progetto è

stato imposto dall’alto senza alcun consenso da parte della popolazione, e anche dopo i tentativi di dialogo

successivi, non c’è stata possibilità di comunicazione.

FORME DI PIANO NEL TEMPO

1. Prima del 1800: disegno urbano;

2. 1800: città per parti, si hanno piani di ampliamento e di risanamento;

3. 1900:

la città è considerata nel suo insieme (Amsterdam);

approccio sistemico, Astengo;

a partire dagli anni ’80-’90 iniziano i dubbi sull’efficacia del piano, ovvero sulla sua capacità di incidere

sulle trasformazioni territoriali. Si apre un divario tra PROSPETTO ed ESITO, si comincia a fare ricorso alle

VARIANTI DI PIANO, i comuni extra PRG si impegnano in PATTI TERRITORIALI.

LIMITI DELL’APPROCCIO TRADIZIONALE

Con il passare degli anni si è fatta strada la consapevolezza che l’approccio tradizionale al piano si pone obiettivi non

supportati da risorse disponibili, per via della separazione tra attori pubblici (che fanno il piano) e attori privati (che

lo attuano).

Ci si affida all’efficacia del sistema di pianificazione a cascata, senza tener conto del fatto che il PRG definisce diritti

che non possono essere più tolti: anche se il piano cambia, e con esso una destinazione d’uso, il diritto di edificare

non può essere revocato, una volta concesso.

La grande pretesa dell’approccio tradizionale è quella della conoscenza completa del territorio in cui si opera,

mentre si dà per scontata una razionalità collettiva sinergica. Quello a cui si va incontro, dunque, è senza dubbio una

CRISI DEL PARADIGMA SCIENTIFICO, per la quale non tutto può essere conosciuto e comunque non tutta la

conoscenza è effettivamente utile (finalità della conoscenza), e dall’altro si realizza l’irrazionalità delle figure operanti

nell’ambito decisionale, causata da fraintendimenti, opinioni contrastanti, discussioni.

In tutto questo, non si è tenuto conto dei mutamenti intervenuti nella società e sul territorio, le trasformazioni nelle

comunicazioni e la maggiore complessità territoriale, che richiede il passaggio da un’urbanistica della destinazione

d’uso ad un’urbanistica che tratti tutte le problematiche del territorio.

PIANO STRATEGICO

Negli ultimi anni l’approccio tradizionale al piano è stato sostituito dal piano strategico, di impronta anglosassone.

Per “strategia” comunemente intendiamo un’adeguata organizzazione finalizzata al perseguimento di determinati

obiettivi.

Il primo esempio di Piano Strategico è quello messo in atto da Roosvelt durante la II guerra mondiale: l’obiettivo

perseguito è, evidentemente, vincere la guerra, e a tal fine nel 1939 viene chiamata la General Motors a dirigere

l’industria delle armi. Lo sforzo economico e amministrativo richiesto poggi su un sentimento comune e sulla

mobilitazione delle coscienze di un intero paese.

Dopo la guerra questo approccio viene adottato dalle grandi industrie americane, che si pongono macro obiettivi,

impiegando le loro risorse per realizzarli, sulla base di una convinzione comune.

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Oggi la PIANIFICAZIONE STRATEGICA è fatta da qualsiasi impresa privata, e comporta comunicazione e

partecipazione, al fine di rendere il processo decisionale il più strategico possibile. Le tappe fondamentali

dell’approccio strategico sono:

1. VISIONING: costruzione della visione, ovvero definizione della collocazione di una comunità (o di un’impresa)

in vista del futuro. Per VISIONE si intende quindi un’immagine di come la società evolverà, o si come si vuole

che evolva. La costruzione della visione non spetta al planner, né all’amministratore, bensì è costruita

attraverso tecniche partecipative.

2. Trovare gli OBIETTIVI che materializzano la visione, individuandone criticità e potenzialità (SWAT);

3. Definire gli ORIZZONTI TEMPORALI di conseguimento degli obiettivi;

4. Definire RUOLI (soggetti), RISORSE (mezzi finanziari), PROCEDURE;

5. Passare dall’obiettivo all’AZIONE;

6. ATTUAZIONE;

7. VALUTAZIONE e coinvolgimento del pubblico per la partecipazione dell’esito.

Un piano strategico vede confrontarsi tutti gli attori attraverso la concertazione tra i diversi livelli: nel campo della

tutela ambientale, le azioni devono essere concordate con i soggetti autorizzati, preferibilmente attraverso processi

di convincimento e coinvolgimento dei diretti interessati, piuttosto che con strumenti di comando.

Nell’ambito della legislazione italiana, l’approccio strategico non è stato recepito: si tende perciò ad operare su due

livelli, al fine di affrontare il piano tradizionale con il nuovo approccio, ed ottemperare così alle indicazioni di legge.

Strategico: si definiscono le linee generali e le intenzionalità del piano;

Controllo: sulla destinazione d’uso del suolo.

LEZIONE 30, 9/12/13

STEINER: costruisce uno schema dell’approccio partecipativo che tiene al centro l’informazione e il coinvolgimento

dei cittadini. Il procedimento suggerito va per gradi:

1. Identificazione dei problemi/opportunità;

2. Determinazione degli obiettivi;

3. Raccolta e analisi dati a livello REGIONALE;

4. Raccolta e analisi dati a livello LOCALE;

5. Studi di dettaglio;

6. Ipotesi di piano e di progetto;

7. Piano del paesaggio;

8. Informazione e coinvolgimento dei cittadini;

9. Progettazione di dettaglio;

10. Attuazione del piano e progetti;

11. Amministrazione e gestione.

EMSCHER PARK

Il progetto prevede la rinaturalizzazione del Ruhergebiet, ovvero la regione attraversata dal Reno e dalla Ruhr. Nel

1800 era stata investita da un intensivo processo di urbanizzazione e industrializzazione, che ne aveva determinato

un assetto caratterizzato dall’alternarsi di attività produttive e di attività di altro tipo, tra le quali quelle residenziali.

Questa grande conurbazione industriale entra in crisi negli anni ’60, con la crisi dell’acciaio. Prima, ospitava posti di

lavoro per 400'000 minatori e 260'000 operai impiegati in fabbrica; nel 1974, con il calo della domanda di acciaio, ha

inizio il processo di deindustrializzazione che porta alla perdita di circa 460'000 posti di lavoro (solo 200'000 persone

mantengono il posto nel settore estrattivo e produttivo). Accanto al declino dell’industria mineraria e dell’acciaio,

concorre alla forte disoccupazione anche l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro.

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In queste circostanze, si assiste ad un immane sforzo pubblico per risolvere al situazione di crisi generale, attraverso

il coinvolgimento dei privati; viene fondata l’IBA Emscher Park (Internationale Bauausstellung Emscher Park), società

di diritto privato costituita da 3 organi principali:

1. Consiglio di amministrazione: politici regionali, ambientalisti, economisti, sindacalisti;

2. Commissione guida: architetti, ingegneri, imprenditori, che sovrintendono la progettazione;

3. Commissione di controllo sui finanziamenti.

Lo scopo della società è quello di attirare nuovi investimenti nella regione in settori differenti da quelli dell’industria

di base, creando le condizioni che rendano possibili tali investimenti: dal momento, infatti, che il lascito della crisi è

costituito da impianti abbandonati, depositi e scarti della lavorazione, corsi d’acqua inquinati, il rilancio economico

del Ruhergebiet non può prescindere da un intervento di riqualificazione ambientale.

La commissione guida concepisce l’insieme degli interventi non nell’ottica di elaborare un piano, piuttosto in quella

di definire obiettivi strategici che facciano da “progetto cornice”, da sfondo all’interno del quale collocare ulteriori

azioni.

I MACRO-OBIETTIVI individuati sono:

1. Miglioramento delle acque del fiume;

2. Parchi in cui intervenire con l’inserimento di attività produttive;

3. Attività sociali, sportive, ricreative;

4. Recupero delle aree industriali dismesse, per il quale vengono emessi bandi e coinvolta una pluralità di

soggetti (ecologia, industria, ecc…)

EMSCHER LANDSCHAFTSPARK: si tratta di un progetto ecosistemico, nel quale si individuano le potenzialità del

territorio in termini di connettività tra gli areali verdi. Il telaio di connessioni ecosistemiche tra areali verdi

(l’Emscher Landschaftspark) viene fatto oggetto di investimenti non equidistribuiti, ma mirati, ovvero destinati non a

tutto il territorio, ma solo alle parti selezionate di esso.

RISANAMENTO ECOLOGICO DELLE RISORSE IDRICHE: i corsi d’acqua vengono fatti oggetto di interventi di

depurazione e successivamente di rinaturalizzazione, attraverso lo stoccaggio di acque piovane e la creazione di aree

umide. Il principio seguito nel risanamento (di siti contaminato da 150 anni di industrializzazione) è quello di non

spostare masse contaminate, bensì di effettuare le bonifiche direttamente nel sito.

RECUPERO DELLE AREE DISMESSE: i vecchi edifici industriali vengono lasciati dove sono, a testimonianza del periodi

in cui sono stati utilizzati. Tuttavia si procede ad una ristrutturazione degli impianti, finalizzata al riuso.

Zeche Zollverein Schact XII – miniera, pozzo 12;

Canale Rehin Hern – il sistema di chiuse, che consentiva l’accesso di chiatte a trasporto merci da un corso

d’acqua all’altro, è stato recuperato e ora è un’area ricreativa museale.

Gewerbepark Erin – area estrattiva, viene realizzato un parco in cui si svolgono piccole attività produttive di

ricerca (organizzate in laboratori).

Un altoforno è stato riutilizzato a fini ludici, e vi si accede tramite un ascensore illuminato a giorno.

Duisburg, città alla confluenza della Ruhr con il Reno, è stata oggetto di recupero nelle sue aree portuali e

destinata ad attività prevalentemente produttive.

Un gasometro viene trasformato in piscina.

RESIDENZE: il recupero e la riqualificazione dei vecchi quartieri operai (Sidlung) porta alla luce tipologie edilizie di

qualità di fine ‘800 inizi ‘900 che, ripulite della fuliggine depositata sui muri, diventano abitazioni appetitose anche

per l’alta borghesia. Tra i vari recuperi, un’area viene utilizzata per un progetto di assistenza per ragazze madri: il

nuovo edificio, costruito nel 1998-1999, risponde a criteri di stoccaggio e riuso delle acque piovane, risparmio

energetico, e attenzione alle aree verdi.

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Il paesaggio della Ruhergebiet oggi si presenta come un’alternarsi di industrie attive (vi sono ancora 80'000

impiegati nell’area estrattiva e in quella produttiva), di industrie chiuse adibite a parco archeologico industriale,

residenze ed aree verdi.

L’esperienza dell’Emscher Park è una delle più paradigmatiche in riferimento alla cultura del riuso tipicamente

europea, in aperto contrasto con quella della sostituzione, tipica degli USA.

PIANO STRATEGICO DI BASSANO DEL GRAPPA

Il Piano si propone di aggregare un’area più ampia del comune di Bassano, accomunata dall’obiettivo comune di non

essere esclusa dai processi in atto nel TIBRE (Infrastrutture Tirreno-Brennero) e dai collegamenti tra Venezia e l’Est

Europa.

Le città messe insieme dal piano, (Cittadella, Schio…) condividono quindi la preoccupazione di Bassano di non poter

prender parte ai traffici economici con il resto dell’Europa: si pensa ad una proposta di territorio “multistrato”, nel

quale l’area viene collegata con il corridoio 5° e con il 1°.

I progetti emersi dal piano sono incentrati su:

1. Competitività: viene creato un tessuto di piccola e media impresa, collegata con l’università allo scopo di far

entrare l’innovazione direttamente nelle imprese tramite progetti di strade e ferrovie;

2. Coesione: l’area Bassanese viene cementificata attraverso il rafforzamento della direttrice storica del

pedemonte;

3. Sostenibilità: si riduce alla realizzazione di una strada verde e di una ciclopista.

Il piano, dopo aver individuato i progetti prioritari e le strategie, viene presentato alla regione (o all’ente

funzionario), senza tuttavia ricevere il denaro necessario. Rispetto al progetto del Ruhergebiet, si riscontra una

differenza fondamentale nel metodo, che trascura del tutto il riuso delle aree industriali dismesse, ma soprattutto

che costruisce il progetto prima ancora di aver assicurati i finanziamenti.

LEZIONE 31, 10/12/13

IL VERDE NELLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA

A partire dalla seconda metà dell’’800, l’introduzione di aree verdi all’interno della città ha le caratteristiche del

Parco Urbano. Se ne trovano esempi:

Parigi: nel ‘900 ci sono due grandi parchi urbani, e altre aree verdi perimetrale;

Londra: la tradizione dei parchi urbani è molto antica, ancora prima del piano di Abercrombie (1943). Nel

1944 viene inserita a Londra la Green Belt.

Una grande innovazione è invece portata da Jensen, che ne l1909 redige per Berlino un piano particolare, nel quale

la città si trova inserita all’interno di uno schema di verde in connessione. Sono previste superfici agricole e forestali

tutt’intorno alla città, mentre la superficie urbanizzata si trova di fatto all’interno di questa rete verde, che

costituisce una sorta di variabile indipendente.

NB: lo stesso Jensen redige per Adana (Turchia) un piano più tradizionale.

RETE ECOLOGICA

SI intende per “rete ecologica” un insieme di areali (che coincidono con aree protette) collocate su una superficie

favorevole, che consenta processi di trasmigrazione, supportati da corridoi ecologici, da un areale all’altro.

Di fronte alla frattura di alcune connessioni ecologiche, non ci si accontenta di prendere atto di una situazione

esistente, ma si parte da condizioni di connettività tra una superficie e l’altra per risolvere tale frattura e progettare

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un corridoio ecologico. Ciò è possibile in contesti anche urbani, dove le condizioni per tale progettazione sono

fornite da un corso d’acqua: il ripristino delle condizioni ecologiche di continuità avviene a partire quindi dagli

elementi di diversità ecologica. Esistono diverse soluzioni in termini di inventario:

1. Messa in rete di tutti gli ambiti caratterizzati da biodiversità (Dutch Ecological Network);

2. Individuazione della potenziale rete ecologica nazionale e successivamente realizzazione di progetti, norme,

direttive (National Ecological Netword: The vertebrates connection);

3. Rete delle aree aperte (Firenze);

4. Creazione di una connettività ecologica lungo la costa ();

5. Gestione delle acque di un bacino e creazione di un corridoio ecologico lungo il fiume (Baltimora, lungo il

Potomack).

6. Apertura dei collegamenti tra verde urbano e verde extraurbano (Breda, Olanda);

7. Green Structure di Amburgo;

8. Hoog-Kotrijk, quartiere della città belga di Kotrijk;

9. Don River (Toronto): il percorso del fiume, rimeandrizzato (prima era usato come canale agricolo), è sede di

habitat naturali, posti in continuità con le aree agricole, che costeggiano gli insediamenti.

10. Ningbo (Cina): il corso d’acqua è esaltato nelle sue funzioni ecologiche.

GREEN BELT VS GREEN STRUCTURE STRATEGY

Con il concetto di sostenibilità, la biodiversità assume un’importanza rilevante, e si ha il passaggio da una strategia

basata sulla creazione di Green Belts (cinture verdi), e quella che mira alla costruzione di Green Structures (strutture

verdi). La differenza tra le due è sostanziale:

Green belt strategy: Lo scopo è prettamente difensivo-politico. Si costruiscono città satellite che siano separate dalla metropoli da una fascia verde, in modo da controllare lo sviluppo urbanistico e limitarlo.

Green structure strategy: Lo scopo è di tipo ambientale. Si mira all’integrazione di processi naturali, alla cooperazione di più settori, al supporto dello sviluppo urbano basato su meccanismi di difesa della biodiversità.

INFRASTRUTTURA VERDE

Il concetto di infrastruttura verde nasce come utilizzo di spazi ecologici con finalità ricreative. L’infrastruttura verde si

pone non in sovrapposizione o in alternativa alle reti ecologiche, benché le sue finalità non sono quelle di creare un

corridoio ecologico per le specie animali, ma piuttosto un sistema connettivo per l’uomo che sfrutti gli spazi aperti e

il verde.

Rientrano nella green infrastructure:

1. Parchi, complessi sportivi, scuole;

2. Ambiti forestali, corridoi fluviali, aree umide;

3. Centri urbani, destinazioni turistiche, complessi caratterizzati da notevole presenza di verde;

4. Mercati all’aperto, festival, spazi non circoscritti.

Le funzioni della green infrastructure sono:

1. incoraggiare le attività all’aperto;

2. creare punti per percepire ed apprezzare paesaggi;

3. stimolare la funzione meditativa;

4. attrarre e mantenere residenti;

5. collegare luoghi di lavoro attraverso percorsi pedonali;

6. accrescere ambiti urbani;

7. preservare identità culturali e procurare spazi per attività formative.

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Esempi di questo tipo di infrastrutture:

Anello di Amburgo;

High Line di NY;

Area portuale di Stoccolma: sottoposta ad un progetto di rigenerazione urbana, oggi ospita un nuovo

quartiere della città,che ha sostituito i vecchi capannoni industriali ed è incentrato sul tema della SOCIALITÀ.

La città, intesa per eccellenza come luogo di socialità e di conoscenza, è strutturata in modo da favorire la

mobilità pedonale (<1 parcheggio ogni 2 famiglie, incentivi al noleggio di automobili), la socializzazione tra i

residenti in negozi, uffici e scuole, l’interesse per l’ambiente;

Le Briches a Auxerre in Francia: Lucien Kroll abbatte due torri e costruisce sul luogo liberato un “eco

quartiere”, assemblando diverse tipologie di abitazione in modo da formare un villaggio del tutto

autosufficiente, in cui gli elementi ecologici di rispetto del suolo e della biodiversità sono assolutamente

preminenti: si rispettano le caratteristiche naturali, geologiche, idrogeologiche del terreno, gli spazi liberi

sono collegati con reti ecologiche, le vie tracciate su sentieri preesistenti, promossi giardini familiari e la

gestione collettiva degli spazi pubblici e naturali.