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LETTERA DEL PARROCO Cari fratelli e care sorelle nel Signore, quest’anno la nostra Festa patronale coincide con la domenica, il Giorno del Si- gnore, e mi pare doveroso ringraziare Dio per questa felice coincidenza, perché cosa mai ci tiene vivi se non la memoria reale di quanto il Signore ha fatto per noi? Detto questo, che è la realtà più importante, vorrei ringraziare don Roberto, parro- co a S. Stefano di Sesto San Giovanni e Suor Luisa, trasferita recentemente a con- tinuare il suo ministero presso il Santuario di Monte Berico (VI). Li abbiamo cono- sciuti e apprezzati in questi anni per il loro servizio reso a Dio nella nostra Parroc- chia in due luoghi e momenti fondanti la vita di una comunità: la presidenza dell’Eucaristia e la catechesi. A loro il nostro caloroso augurio e affetto nella cer- tezza che gli Angeli Custodi li accompagneranno nel loro nuovo cammino. Ricordo anche che domenica scorsa, in occasione della Festa dell’Oratorio, abbiamo accol- to don Michele Aramini, che oltre a dare una mano in Parrocchia, continuerà il suo servizio di docente di Bioetica presso l’Università Cattolica, collaboratore per la Pastorale familiare della Diocesi e collaboratore presso il Pontificio Consiglio Ope- ratori della Salute. La Festa patronale celebra ciò che unisce una comunità, evoca il mistero della Pentecoste dove l’unico Spirito del Signore rinnova il cuore di ciascuno per il bene di tutti: crea lingue nuove e diverse che narrano del medesimo e unico Signore, perché “Una parola ha detto Dio, due ne ho udite; il potere appartiene a Dio, tua, Giubileo tra tradizione e innovazione pag. 3 Capizzone 2016 pag. 6 Vigilia dell’ordinazione Presbiterale, 10 giugno 1994 pag. 9 Don Renato: un caro amico e un sacerdote bravo e fedele pag. 10 Lo squarcio che rivela pag. 12 Renato: un caro ragazzo della nostra parrocchia pag. 14 Ricordo di don Renato pag. 15 Pensiero a don Renato pag. 16 Non può esserci tristezza nel ricordare Renato pag. 17 Fa di me il tuo canto pag. 7 In questo numero: Parrocchia Angeli Custodi Via Pietro Colletta 21, Milano www.parrocchie.it/milano/angelicustodi [email protected] Anno 2016, numero 10 - mese di ottobre Per inviare suggerimenti, lettere e articoli scrivere a: [email protected]

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Page 1: LETTERA DEL PARROCO - Parrocchie.it file/segno_ott2016.pdf · chia in due luoghi e momenti fondanti la vita di una comunità: la presidenza dell’Eucaristia e la catechesi. A loro

LETTERA DEL PARROCO Cari fratelli e care sorelle nel Signore,

quest’anno la nostra Festa patronale coincide con la domenica, il Giorno del Si-

gnore, e mi pare doveroso ringraziare Dio per questa felice coincidenza, perché cosa mai ci tiene vivi se non la memoria reale di quanto il Signore ha fatto per

noi?

Detto questo, che è la realtà più importante, vorrei ringraziare don Roberto, parro-co a S. Stefano di Sesto San Giovanni e Suor Luisa, trasferita recentemente a con-

tinuare il suo ministero presso il Santuario di Monte Berico (VI). Li abbiamo cono-sciuti e apprezzati in questi anni per il loro servizio reso a Dio nella nostra Parroc-

chia in due luoghi e momenti fondanti la vita di una comunità: la presidenza dell’Eucaristia e la catechesi. A loro il nostro caloroso augurio e affetto nella cer-

tezza che gli Angeli Custodi li accompagneranno nel loro nuovo cammino. Ricordo

anche che domenica scorsa, in occasione della Festa dell’Oratorio, abbiamo accol-to don Michele Aramini, che oltre a dare una mano in Parrocchia, continuerà il suo

servizio di docente di Bioetica presso l’Università Cattolica, collaboratore per la Pastorale familiare della Diocesi e collaboratore presso il Pontificio Consiglio Ope-

ratori della Salute.

La Festa patronale celebra ciò che unisce una comunità, evoca il mistero della Pentecoste dove l’unico Spirito del Signore rinnova il cuore di ciascuno per il bene

di tutti: crea lingue nuove e diverse che narrano del medesimo e unico Signore, perché “Una parola ha detto Dio, due ne ho udite; il potere appartiene a Dio, tua,

Giubileo tra tradizione e innovazione pag. 3

Capizzone 2016 pag. 6

Vigilia dell’ordinazione Presbiterale, 10 giugno 1994 pag. 9

Don Renato: un caro amico e un sacerdote bravo e fedele pag. 10

Lo squarcio che rivela pag. 12

Renato: un caro ragazzo della nostra parrocchia pag. 14

Ricordo di don Renato pag. 15

Pensiero a don Renato pag. 16

Non può esserci tristezza nel ricordare Renato pag. 17

Fa di me il tuo canto pag. 7

In questo numero:

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Per inviare suggerimenti, lettere e articoli scrivere a: [email protected]

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Signore, è la grazie” (Salmo 61, 12). Per noi cristiani è, diciamo così in modo approssimato, facile trovare e ritrovare ciò che ci accomuna, perché è opera della potenza di Dio, che è purissima grazia, da accoglie-

re nella fede e con amore (qui sta la fatica e il problema, ma anche la gioia e la pienezza di vita), ma cosa unisce la comunità umana sociale e civile? Penso che nel nostro mondo europeo sia certamente la laicità

dello Stato, delle istituzioni statali e soprattutto la laicità come tratto che contraddistingue ogni cittadino europeo. Ma che significa e come si concretizza la laicità?

Tutti ricordano le reazioni all’indomani dell’attacco terroristico jihadista (7 gennaio 2015) alla sede della

rivista satirica Charlie Hebdo: unanime condanna, unanime affermazione e difesa della libertà d’espres-

sione e qualche rilievo critico, più o meno proporzionato, circa le vignette comparse su diversi numeri di Charlie Hebdo che irridevano Maometto e l’Islam. Chi osò in qualche modo far rilevare che si era andato

oltre nel ridicolizzare una religione (ma meglio sarebbe dire: gli uomini che credono, qualunque sia la loro fede) fu tacciato di oscurantismo e di giustificare l’attentato.

Di tutt’altro genere la reazione dell’opinione pubblica a seguito della vignetta satirica apparsa, sempre su Charlie Hebdo il 2 settembre scorso che irrideva le vittime del terremoto che ha sconvolto il centro

dell’Italia: ribadita affermazione e difesa della libertà d’espressione e unanime condanna della vignetta giudicata una schifezza, volgarità e roba da farabutti.

È come se fosse avvenuto un sussulto di coscienza nel comune sentire a riguardo di ciò che umanamente ci accomuna e ci rende umani: quella vignetta è andata oltre e va condannata, mentre al contempo si

afferma e si difende (giustamente) la libertà d’espressione. Mi pare che sia preziosa questa presa di po-sizione, questo giudizio espresso senza mezzi termini, perché il sentire e la coscienza comune umana,

laica e civile, stanno in piedi non solo perché si riconosce e si tutelano i diritti di tutti e di ciascuno, non solo (e direi non tanto) perché le istituzioni sono laiche, ma anche (e soprattutto) perché si ha il coraggio,

che è un dovere, di esprimere un giudizio su ciò che è cosa buona oppure no, degna dell’essere umano oppure no. Che ne sarebbe del futuro (e del presente) del nostro mondo, che fa capolino nello sguardo

interrogante e pieno di attese dei nostri figli, se i loro genitori non li educassero alla libertà d’espressione e parimenti non donassero loro una parola chiara e netta, un giudizio (e diciamola pure questa parola

senza nessun timore!) a riguardo del bene e del male? Se non dicessero: “Ascolta figlio mio, impara a

rispettare ogni essere umano, per quello che è, pensa, fa e dice, ma guarda che prendere in giro i morti non è cosa degna per un uomo”. Questo per me è un esempio di cosa sia e debba essere la comune co-

scienza laica. È una coscienza che, proprio perché laica, è capace di indicare (e tutelare) i diritti di tutti e di ciascuno e al contempo è capace di disegnare (e di insegnare ai nostri figli) confini invalicabili oltre i

quali ci sta ciò che è sacro e intangibile perché umano: se lo si tocca ci perdono tutti, ci perde l’uomo.

E mi spiace che la comune coscienza laica sia indifferente, se non indulgente, quando si tratta della reli-gione e della fede: in questo caso sembra che tutto sia lecito o sopportabile (nei giorni seguenti l’attentato

jihadista ho scorso su internet alcune vignette della rivista Charlie Hebdo e mi sono soffermato su quelle che irridevano la nostra fede: quella che rappresentava la Trinità, uscita nel 2012, è semplicemente or-

renda).

Non è mia intenzione fare polemica, ma semplicemente sottolineare, perché è questo che mi sta a cuore, che la laicità è un contenitore vuoto se non è riempito dall’agire comune, responsabile e educativo, capa-

ce di testimoniare ai nostri figli che cosa è degno dell’uomo e cosa non lo è, perché ne va del futuro di tutti.

Affido la conclusione a un ricordo di scuola ovvero a una citazione di Orazio che millenni fa scrisse: “Est

modus in rebus, sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum” - C'è una giusta misura nelle cose, ci sono giusti confini al di qua e al di là dei quali non può sussistere la cosa giusta

(Satire I, 1, vv. 106-107). Don Guido

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Inizialmente avrei voluto presentare questa mia produzione seguendo lo schema delle lezioni svol-te in classe, suddivise in giubileo ebraico, giubileo cristiano e giubileo attuale, dedicando a ogni tema lo stesso spazio. Ma quando ho letto la bolla di indizione di Papa Francesco, ho compreso che, per l’alto livello culturale e per la novità dei contenuti, avrei dovuto spendere qualche parola in più sul giubileo del 2016, pur mantenendo lo schema che mi ero proposto. Infatti ritengo che Papa France-sco, diversamente dai suoi predecessori, i quali si limitavano ad elencare le caratteristiche formali del giubileo che indicevano, si proponga di dare al credente uno spunto di riflessione sulla fede che va oltre il giubileo stesso. Ora dirò qualcosa al lettore sulla storia del giubi-leo, in modo che egli abbia gli strumenti necessari per comprendere ciò che rappresenta il giubileo attuale. Il giubileo ebraico viene trattato nel Levitico (Lv 25,8-28). Deriva dall’ebraico Jobel, che vuol dire corno di montone; infatti ogni quarantanove anni, al decimo giorno del settimo mese, l’anno giubilare veniva acclamato al suon di corno. Per gli ebrei, il giubileo aveva un carattere di re-denzione spirituale che partiva dalla ristabilizzazio-ne politico e sociale. In quest’occasione le terre tornavano al proprieta-rio di cinquant’anni prima (o alla sua discendenza), gli schiavi venivano liberati, si mangiavano i pro-dotti dei campi che, spontaneamente, davano frut-ti. Simbolicamente stava a significare che la terra non poteva essere acquistata né venduta per sem-pre, giacché gli uomini, presso la terra datagli da Dio, sono “forestieri e inquilini” (Lv 25,23-24). Il giubileo cristiano fu indetto per la prima volta da Papa Bonifacio VIII, per celebrare l’anniversario della nascita di Cristo. In questa occasione i fedeli si recavano in pellegrinaggio a Roma e attraverso

preghiere e penitenze ottenevano l’indulgenza plenaria. Dapprima si sarebbe dovuto celebrare ogni cento anni, poi fu ridotto a cinquanta, poi a venticinque e infine diventò quasi una discrezione del papa del periodo, che poteva indire un giubi-leo in caso di qualche evento significativo. Ora veniamo al giubileo del 2016, che ha come tema principale la MISERICORDIA. Ho suddiviso la trattazione in cinque punti, che corrispondono alle tematiche a mio avviso più importanti e che necessitano di spiegazione. 1. TEOLOGIA E FEDE. Il Papa, nel parlare di Dio, definisce la misericordia come manifestazione della sua onnipotenza. Si può dire che è essenza di Dio essere misericordioso, poiché la misericor-dia coincide con l’onnipotenza, e l’onnipotenza con la sua natura divina. Questo attributo di Dio è presente anche nell’Antico Testamento, nel qua-le ricorre spesso il binomio “paziente e miseri-cordioso”. Nel Nuovo Testamento, invece, la mi-sericordia viene descritta da Papa Francesco co-me ciò che muoveva Gesù ad agire. Egli guariva i malati, sfamava le folle, chiamava a sé peccatori e pubblicani. Egli inoltre, come è scritto nella para-bola del “servo ingrato” (Mt 18,33), ci invita a vi-vere di misericordia, poiché a noi per primi è sta-ta data misericordia dal Padre. Il Papa fa anche un riferimento a Tommaso D’A-quino che cita: “È proprio di Dio usare misericor-dia e proprio in questo si manifesta la sua onnipo-tenza”(Summa Theologiae, II-II, q.30,a,4) Vi è anche un riferimento alla liturgia del Sacra-mentario gelasiano, che fa pregare definendo Dio “onnipotente e misericordioso”. Come il Papa ha argomentato, Sacre Scritture, filosofia cristiana e tradizione liturgica si uniscono sotto la stessa vi-sione di Dio misericordioso. 2. PELLEGRINAGGIO. Il tema del pellegrinaggio viene rivisitato in senso spirituale. Non è solo il pellegrinaggio da compiere a Roma, ma un itinera-

Federico Sforna

Giubileo tra tradizione e innovazione

Pubblichiamo volentieri questo componimento di Federico Sforna, parrocchiano e studente al quarto an-no del Liceo classico Giosuè Carducci di Milano. Con questo testo si è aggiudicato il Primo Premio al Cer-tamen di religione - Don Locati, un concorso annuale intrascolastico. La prova si è tenuta mercoledì 15 Aprile 2016 e il tema affidato era il Giubileo nella storia e nella Bolla di indizione di Papa Francesco.

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rio di conversione che ci porta a vivere il giubileo con lo sguardo del vero credente. Le tappe di questo viaggio sono da ricercare nelle parole del vangelo, in cui sta scritto di “non giudi-care” e “non condannare”. Per vivere la fede nel giusto modo, non possiamo elevarci a giudici del nostro fratello, poiché noi uomini giudichiamo parzialmente, mentre Dio guarda nell’intimo. Un altro aspetto è quello di “perdonare e donare”, cioè agire perdonando e con generosità, poiché Dio per primo ha agito così nei nostri confronti. 3. MISERICORDIA E GIUSTIZIA. La vera rivolu-zione è questa: un modo di concepire la giustizia in modo innovativo e diverso. La società civile in-tende la giustizia come l’applicazione di un codice giuridico e il dare a ciascuno ciò che gli è dovuto (l’idea di “giustizia distributiva”). Ma la visione co-mune di giustizia e misericordia come due realtà separate, spesse volte ha portato l’umanità a cade-re nel legalismo. I farisei, infatti, obbedivano alla lettera alle leggi di Mosè, e con la stessa fiscalità le facevano rispettare. Accadde una cosa simile ai tempi della Santa Inqui-sizione, in cui l’eretico era considerato persino un nemico dello stato. Insomma, nel corso della sto-ria gli uomini hanno avuto spesse volte la presun-zione di sapere cosa fare per essere giusti di fron-te a Dio. Ma per capire cos’è in realtà la giustizia per Dio, occorre riferirsi al primo uomo che la storia dell’ebraismo ha ritenuto giusto: Abramo. Dio disse ad Abramo: “Vattene dalla tua terra, ver-so quella che io ti indicherò”, Abramo si fidò e partì. Egli si fidò di Dio sempre e comunque, an-che di fronte alla promessa di una discendenza e di fronte alla richiesta del sacrificio di Isacco; egli si fidò sempre. Questa è la misura per cui Dio ri-tiene un uomo giusto: quando egli si abbandona fiducioso alla sua volontà. Possiamo vedere come misericordia e giustizia coincidano, e che, insieme, costruiscano la FEDE. 4. INDULGENZA. Ho usato la parola “indulgenza” al singolare perché si differenzia da “indulgenze” al plurale. Infatti, nella tradizione precedente, le in-dulgenze erano della penitenze che l’individuo compiva per garantirsi la cancellazione della pena per un peccato commesso. Queste corrisponde-vano al peccato in termini di gravità di quest’ulti-mo, e ne erano commisurate anche in tempo (giorni, mesi…). Ma anche qui vi è un piccolo pro-blema: come facciamo a sapere che un mese di

preghiere cancellino la nostra pena? Dio non ra-giona in termini di do ut des. Dio infatti, di fronte al pentimento sincero, secondo la sua misericor-dia cancella sia la nostra colpa sia la nostra pena e ci offre la possibilità di una nuova vita. L’indulgen-za non si può dunque lucrare (come diceva la tra-dizione), ma è Dio a concederla. La misericordia in materia di perdono possiede un significato ol-tre la chiesa. Le pagine dell’Antico Testamento sono colme di misericordia (i riferimenti sarebbe-ro infiniti, cfr. il Libro dei Salmi), così come le pagi-ne del Corano, che iniziano con l’invocazione “ Sia lode ad Allah clemente e misericordioso”. Come possiamo vedere i tre grandi monoteismi concepiscono Dio alla stessa maniera, cioè mise-ricordioso e dunque capace di perdono sponta-neo, senza la necessità di “lucrarlo”. 5. GIUDIZIO UNIVERSALE. Mentre i punti prece-denti facevano riferimento a una parte della bolla papale, quest’ultimo punto fa parte di un mio per-sonale pensiero. Il capitolo 25 del vangelo di Mat-teo (Mt 25,31-46) è dedicato, nell’ultima parte, al giudizio finale. Dio dividerà in due gruppi le ani-me, come un pastore con le pecore e i capri; dirà ai primi “benedetti voi, perché quando avevo sete mi avete dato da bere, quando avevo fame mi ave-te dato da mangiare; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi ave-te visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. Essi rispondono “ma come è possibile? Quando mai ti abbiamo visto bisognoso?”. Rispondendo Dio dirà loro “ogni volta che lo avete fatto a chiunque dei vostri fratelli, lo avete fatto a me”. Dio farà la stessa cosa con i secondi, condannan-doli alla dannazione poiché non avevano messo in atto in vita queste azioni. Essi dicono “ ma quando mai ti abbiamo visto bisognoso?”. Dio risponde “ogni volta che non lo avete fatto a chiunque dei vostri fratelli, non lo avete fatto a me”. Questo brano è emblematico. Innanzitutto per-ché rappresenta l’ultimo discorso di Gesù prima della passione, quasi come se con il discorso sul giudizio finale avesse detto tutto prima di metter-lo in pratica sulla croce. Secondo poi perché quelli che Dio ha considerato giusti non sono co-loro che hanno sempre rispettato la legge, bensì coloro che hanno aiutato il prossimo, mettendo in pratica nei suoi confronti gli atti di misericordia corporale (cfr Bolla papale 2016, paragrafo 15). Ciò mi ha fatto riflettere moltissimo non solo sul senso di questo giubileo, ma anche sul fine ultimo

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della vita di ogni uomo. Dico di ogni uomo perché l’etica cristiana è affascinante proprio perché da’ a tutti la possibilità di metterla in pratica con azio-ni concrete. È proprio in base a queste azioni concrete si verrà giudicati, e non sul fatto che ci si dichiari cristiano o meno. Questi atti di misericor-dia, espressi nel brano del “giudizio finale”, sono atti nei quali ogni uomo sulla terra può ricono-scersi per condurre al meglio la propria vita. Di

conseguenza, il giubileo di papa Francesco è rivo-luzionario soprattutto sotto questo aspetto, dal momento che offre a chiunque la possibilità di una vita giusta di fronte a Dio, ma anche e in pri-mis di fronte all’umanità. Concludo con una frase esemplare di san Giovanni della Croce: “Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore”; questo è il punto di partenza per riflettere e il punto di arrivo per agire.

RACCOLTA CARITAS

Domenica 30 ottobre 2016 durante le SS. Messe (sabato h. 18, domenica h. 9, 11, 18) raccolta viveri in favore della Caritas parrocchiale

INCONTRI PARROCCHIALI 2016 - h. 21.00 sala don Peppino -

Lunedì 17 ottobre 2016

Al di qua del bene e del male

Riflessioni sull’esperienza dei valori

Roberta De Monticelli, Università Vita e Salute - San Raffaele

Martedì 8 novembre 2016

Riflessioni di un uomo che fa il giudice

Cesare Tacconi - Magistrato

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La mia esperienza a Capizzone è iniziata nell’ulti-mo tratto di strada prima di raggiungere la meta; in tutta sincerità in quel momento volevo sparire, tornare a casa, un forte senso d’ansia e inadegua-tezza mi invase e pensai che per quei lunghissimi tre giorni avrei aspettato la fine di quell’incubo stando incollata ai miei amici. Quando ci smistaro-no in squadre mi sentii persa: non conoscevo nes-suno, i miei amici non c’erano. Quando però inco-minciai a conoscere i miei compagni di squadra iniziai a rivalutare la situazione. Infatti non avevo pensato che tutti quei ragazzi intorno a me, sep-pur ognuno con la propria storia alle spalle, aveva-no un comune denominatore: erano animatori, proprio come me; non c’era bisogno che mi sen-tissi fuori posto, perché quello era il mio posto. Ho conosciuto tantissimi ragazzi carichi, positivi, sempre a ballare, a cantare, a giocare… Dopo un breve momento di conoscenza, non si ebbe più un momento senza far nulla, era un continuo di-vertirsi, partecipare a laboratori, un milione di attività educative e al contempo divertenti, e an-che nei brevi momenti di pausa, che solitamente erano dopo i pasti, c’era chi si riuniva a giocare a palla, me compresa, chi ballava e chi chiacchierava. Gli educatori erano qualcosa di stupendo, riusci-vano a trasmettere felicità, allegria, voglia di balla-re, cantare, ma soprattutto di mettersi in gioco; ognuno con una o più caratteristiche che li rende-va a loro modo unici e speciali. I momenti di pre-ghiera non mancavano, anzi, ma non erano noiosi come ci si potrebbe aspettare, a Capizzone sem-bra tutto magico e divertente, non so se fosse perché eravamo tutti ragazzi animatori, o per la bravura, la spontaneità e la carica positiva degli educatori, o entrambe le cose, ma sta di fatto che è così. Sicuramente una cosa che non mancava era la musica, dai momenti liberi ai momenti in cui imparavamo i balli e l’animazione, era persino usa-ta a tutto volume per svegliarci la mattina alle 8,

anche se per alcuni è stato un trauma, ma per fortuna io ero sempre già sveglia e ansiosa di sco-prire cosa mi aspettava quella giornata. L’ultimo giorno ci riconsegnarono un foglietto sul quale, quando eravamo appena arrivati, ci fecero scrivere cosa ci aspettavamo da questa esperien-za, e sono felice di avere superato quelle aspetta-tive. Infatti al termine di questo viaggio collettivo mi sento molto più positiva, allegra e carica, ho gua-dagnato dei nuovi amici che continuo a sentire nonostante la lontananza, ho imparato nuovi balli, nuovi giochi da proporre ai bambini dell’oratorio, l’importanza del gioco di squadra con gli altri ani-matori, ho imparato che i bambini ti guardano sempre, sei il loro modello, che qualsiasi cosa tu stia facendo devi farti vedere col sorriso; per i ragazzi più grandi devi mostrarti pieno di energia e per i bambini più piccoli devi essere buffo e al-legro. Ho imparato che bisogna cercare di coinvolgere tutti sempre e comunque, che bisogna conoscere i bambini del proprio oratorio, sapere ciò che gli piace per farli sentire speciali, e magari organizza-re qualche gioco a tema con quelle informazioni; che anche i momenti di pausa sono un’occasione per stare con loro, giocare a pallone, fare trucchi di magia o raccontare una storia per far sì che la volta dopo siano loro a venirti a cercare. Sicura-mente mi sarò dimenticata qualcosa perché an-che se sono stati solo tre giorni, mi sono diverti-ta (e stancata) come se fossero state due settima-ne, nessun secondo della giornata è mai stato perso. È un’esperienza che consiglio a tutti e che mi piacerebbe rifare l’anno prossimo, tornare in quel posto chiamato Capizzone, magico, unico, dove le cose funzionano come vorresti, dove senti che hai davvero trovato la tua realtà, un po-sto che lasci con le lacrime agli occhi.

Capizzone 2016

Federica Savini

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La sera del prossimo 8 ottobre, nella nostra chie-sa risuoneranno note e parole di canti a noi tutti conosciuti: è infatti la serata che il coro ha scelto per festeggiare il suo XXXV anniversario di servi-zio in parrocchia. Ripercorreremo la nostra storia attraverso i brani che i coristi stessi hanno ritenuto essere i più si-gnificativi del percorso del coro. Tra i tanti ese-guiremo “Ma la tua parola” che fu il primo canto di una certa difficoltà insegnato dall’indimenticato fondatore don Vanni e che venne eseguito nel Natale del 1980. E passeremo subito… dal primo all’ultimo: il recentissimo “Beato è il cuore che perdona”, inno della giornata mondiale della gio-ventù tenutasi questa estate in Polonia. La serata si concluderà con una versione partico-lare del canto “Benedizione”, brano molto amato e fortemente voluto dal coro. Momenti intensi hanno contraddistinto questi an-ni: le solennità liturgiche, le ricorrenze importanti, le partecipate meditazioni quaresimali, le visite pastorali degli arcivescovi, ma soprattutto la pre-senza costante… Il coro infatti anima sempre la Messa domenicale delle 11 e si contraddistingue per la gioia e la semplicità del servizio: cantare in coro è bello! Ed è ancor più bello quando è un servizio per la nostra amata comunità degli Angeli Custodi.

I 19 brani che saranno eseguiti - scelti e pensati insieme - saranno presentati da altrettanti coristi attraverso un’immagine e una frase. Si alterneran-no tre organiste e parteciperanno anche le no-stre 8 nuove leve. Tante sono anche le persone che hanno collaborato alla realizzazione della se-rata aiutando nell’organizzazione tecnica e logisti-ca. La nostra instancabile direttrice, ancora una volta attraverso il gesto delle mani ci farà cantare, emozionare e pregare! Si possono dire tante cose sul cantare in coro… ma ora mi piace ricordare come in un coro cia-scuno è parte di un tutto, una tessera di un puzzle senza la quale il risultato finale rimane in-completo, una voce che da sola si sente poco ma che insieme a tante altre diventa un coro e capa-ce, attraverso il canto, di pizzicare le corde più intime del cuore che vibrando trasformano il can-to stesso in preghiera a Dio. Insomma non mi resta che augurare lunga vita al nostro coro… tante persone nel coro sono cre-sciute, si sono sposate, sono diventate genitori, nonni, semplicemente amici… qualcuno anche ci ha lasciato… ma questa è la vita… vita che ci pia-ce scorrere come le note in un pentagramma, vissuta battuta dopo battuta, intensamente, tra tempi forti e tempi deboli… finché la vita un canto sarà!

Buona Festa!

Fa di me uno strumento

Marco Favero

FA DI ME IL TUO CANTO

Concerto del Coro Parrocchiale Angeli Custodi

In occasione del XXXV anniversario

SABATO 8 OTTOBRE 2016 ore 21.00

Chiesa degli Angeli Custodi

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“Questa vita che vivo nella carne

io la vivo nella fede del Figlio di Dio

che mi ha amato e ha dato se stesso per me”

(Gal 2, 20)

don Renato Coronelli

Per tutto ciò che è stato: grazie. Per tutto ciò che sarà: si!

(Prima messa 12 giugno 1994)

Milano, 6.1.1962 - Varese, 7.7.2016

Nato nel 1962 a Milano, originario della parrocchia cittadina degli Angeli Custodi, sacerdote am-brosiano dal 1994, don Coronelli aveva conseguito la laurea in Giurisprudenza nel 1986 e in Dirit-to canonico nel 1999. Docente di Diritto canonico Presso il Quadriennio teologico, di cui era stato vicerettore dal 1999 al 2004. Coronelli era anche giudice del Tribunale ecclesiastico regionale lombardo (dal 2005) e del Tribunale diocesano (dal 2010). Risiedeva presso il Seminario arcive-scovile di Venegono Inferiore.

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Signore Gesù, quante volte ho pensato con timo-re a questo momento, chiedendomi come mi sa-rei trovato? Quali sentimenti avrei avuto? E adesso ci siamo. Domani sarò ordinato sacerdote, prete nella tua Chiesa, con i miei 33 compagni. Mi sono chiesto tante volte se almeno in questa occasione sarei riuscito a dire in verità e fino in fondo la preghiera di Sant’Ignazio: “Prendi Signore e ricevi ogni mia libertà, la mia intelli-genza, la mia volontà, tutto ciò che mi hai dato Signo-re. Disponi di tutto secondo la tua volontà, dammi la tua grazia e questa mi basta”. Sì, Signore ricevi ogni mia libertà, la libertà di fare una cosa piuttosto che un’altra, di impegnarmi in un servizio, nell’insegnamento o in una parrocchia; ricevi, più in profondità, la libertà che sono io in tutto quello che sono e che ho, perché tu possa compiere in me l’opera tua. Accogli la mia intelli-genza la mia volontà e la mia memoria, luogo do-ve si conservano incorrotti i ricordi dei tuoi bene-

fici, delle persone che mi hai fatto conoscere ed amare, che mi hanno trasmesso il tuo amore la tua gioia, la tua luce. Ma anche luogo che conser-va il ricordo dei miei peccati, delle mie debolezze, della mia fatica ad amarti, della mia povertà biso-gnosa di essere colmata dalla tua grazia. Si, Signore ora sono qui e ti dico: “Eccomi, mi affido a te. Tu mi basti Signore, tu mi basti Signo-re e con te ricomincio da capo ogni mio cammi-no, ogni tratto nuovo di strada, consapevole che tu sei con me mi accompagni sorridente. Vinci con il tuo amore le mie paure e le mie debolezze, rendimi povero, disponibile ad accogliere tutto come un dono della tua bontà e a sapermi mera-vigliare per ogni giorno che nasce, per ogni bim-bo che cresce, per ogni vittoria del bene per ogni lacrima versata. Non permettere che le preoccu-pazioni, l’orgoglio e la fatica mi rendano insensibi-le o distratto, ma che ogni persona possa riceve-re da me il massimo dell’attenzione del rispetto e della disponibilità.

Vigilia dell’Ordinazione Presbiterale, 10 giugno 1994

don Renato Coronelli

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Vorrei cogliere questo momento per affermare la mia profonda tristezza per la morte di don Renato Coronelli. Ho perso un amico e sento dolorosa-mente la sua mancanza. Doveva venire da me alla fine del mese come soleva fare da più di dieci anni. E quest’anno non verrà perché è stato chiamato, non a casa mia, ma alla casa del Padre eterno. Do-vrei gioire in questo, e, da credente, da sacerdote, da vescovo gioisco, ma non senza sentire il dolore umano della sua scomparsa. E trovo doveroso offrire ai fratelli di Renato, alla famiglia, ai parenti tutti, alla Comunità del Semina-rio di Venegono, ai seminaristi, ai suoi colleghi professori ed educatori, alle comunità parrocchiali della Valganna dove serviva da anni da sacerdote assistente al parroco, dove era molto amato da tutti, dove mi portò diverse volte, perfino a fare la cresima ai giovani, a tutti voi e a tutti suoi amici, vorrei offrire le mie condoglianze più sincere e sentite. Per quanto mi disse e scrisse, per quanto ho visto con gli occhi, vi ha sempre amato tutti, si è dedicato totalmente a voi in Cristo Gesù. Prego che la sua anima generosa sarà ammessa senza in-dugio alla gloria della risurrezione e avrete in don Renato insieme a Maria e ai Santi un altro avvoca-to celeste. La mia intenzione nel parlare a voi in questa circo-stanza sarebbe soprattutto di dare voce a quella parte della vita e degli affetti di don Renato che riservava per la Scozia e, per quanto posso, per l’Irlanda. Sono anni che don Renato passava le settimane della pausa estiva in Scozia e in Irlanda, e da 10-12 anni alloggiava da me per un paio di settimane al-meno. “Quando verrà don Renato?”, mi chiede la signora che governa la mia casa. E poi quando ri-parte dopo più di due settimane, lo interroga di-cendo: “Ma don Renato, come mai rimane così poco?”. E dopo la sua partenza, la signora dirà: “La casa sembra vuota senza don Renato”. E volentieri faceva la lavanderia per lui, gli dava da mangiare e metteva a posto la sua camera. Si vede che col passare degli anni si è affezionata a lui.

Visitando d’estate la Scozia e l’Irlanda, Renato co-struì una rete di amicizie molto più larga di quan-to io capisca, con sacerdoti e con persone e fami-glie le più diverse. Tant’è vero che se io presenta-vo lui alla mia famiglia e ai miei amici, è altrettanto vero che lui presentava me ai suoi amici di Gla-sgow che io non conoscevo. E in questo si poteva percepire in Renato un do-no per la persona che sapeva toccare nell’intimo gli individui che incontrava. E aveva un tocco pa-storale perfetto che induceva le persone a rispon-dergli con vera simpatia e ringraziamento. Molte volte dava a loro un piccolo dono (una cro-cetta, una medaglietta, un santino). E le persone, anche quelle che non andavano molto in chiesa o che non erano cattolici, apprezzavano questo ge-sto come il gesto di un vero uomo di fede e di compassione. In questo, oso dire che don Renato fu un modello per sacerdoti e seminaristi. E per sottolineare questo punto, vi posso dire che ci sono persone scozzesi che hanno fatto di tutto per arrivare in questa Basilica per partecipare a questa funzione per Renato. C’è chi è venuto di-rettamente dalla Scozia; chi da Roma, come il ret-tore del Pontificio Collegio Scozzese, don Dan Fitzpatrick; e ci sono alcuni che – essendo già in viaggio in Italia e venuti a sapere della morte del nostro amico - hanno cambiato strada per essere qui oggi, persone nella cui casa don Renato è an-dato insieme a me a mangiare, di cui conosceva perfino i nomi dei bambini e seguiva le loro vicen-de di anno in anno. I contatti come questi che Re-nato creò sono numerosi e sono veramente uma-ni, e sono sicuro che ci sono molti altri a me non noti. Devo confessare che ci fu un tema sportivo molto importante nelle gite di don Renato in Scozia. Fu tifoso molto fedele di una squadra calcistica della mia città natale, Glasgow, e cioè il famoso Celtic di Glasgow, che fu fondato nel tardo ottocento dalla comunità cattolica scoto-irlandese di Gla-sgow e ha conservato fino a oggi questi legami culturali e storici. Fu una passione, questa per il

Don Renato: un caro amico e un sacerdote bravo e fedele

mons. Philip Tartaglia (arcivescovo di Glasgow)

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Celtic, che condivideva con me e con altri suoi amici scozzesi. Era normale che noi due andassimo allo stadio insieme per seguire la nostra squadra. E se io non potevo andarci, andava lui lo stesso, an-che in trasferta e spesso senza di me. Per accorciare una narrativa lunga, Renato venne alla conoscenza del Presidente del Celtic e dei di-rigenti della Società. Lo invitavano in tribuna d’o-nore come ospite della Società, gli assicuravano biglietti per le partite, e sinceramente apprezzava-no la passione e l’amicizia di questo sacerdote mi-lanese per la squadra. Tant’è vero che, quando arrivò la notizia della sua morte, sul sito internet ufficiale del Celtic Football Club apparve una di-chiarazione di condoglianze della Società per Re-nato. E lo stesso Presidente della Società mi pre-gò di offrire a nome suo le condoglianze della So-cietà a tutti voi e allo stesso tempo ha spedito una corona di fiori a nome del Celtic Football Club, corona che in questo momento è vicino alla bara di don Renato.

Vi racconto queste cose per farvi capire un po’ come Renato diventò vicino a tante persone tra-mite le sue visite estive a Glasgow e anche in Ir-landa. Ed è importante notare che la sua vicinanza a loro fu sempre quella di un sacerdote. Loro ca-pirono questo. Lo stimarono per questo, anzi si affezionarono a lui proprio per questo: in lui, sa-cerdote, si vedeva in qualche modo il volto di Gesù. Per concludere, ricordo don Renato Coronelli volentieri come un uomo unico, un caro amico e un sacerdote bravo e fedele. Fu un vero discepo-lo e amico del nostro Signore Gesù Cristo. Che riposi in pace. Requiescat in pace. Amen.

Basilica del Seminario Arcivescovile di Milano

Venegono Inferiore - Italia 11 Luglio 2016

Ciao Renato! Chi ti ha conosciuto non può scordare il tuo sorriso e la risata contagiosa.... Erano anni che non ci si vedeva, ma sei una di quelle persone che hanno condiviso con te l'adolescenza e che restano per sempre dentro di te... Noi... I ragazzi della PAC... I ragazzi del don Vanni... Chissà che festa ti avrà fatto... Lui, che ha condiviso il tuo destino, lasciandoci troppo presto... Se chiudo gli occhi, vi vedo vicini a prendervi in giro .... Vedo i vostri bellissimi sorrisi!

Elena Fullin

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A QUALE PASQUA ERAVAMO PREPARATI Eravamo preparati a giorni più lieti, per cammini più facili e piani; siamo venuti per feste più con-suete; ci siamo immaginati momenti più leggeri di quella leggerezza ordinaria che si rallegra dell'in-contro e della memoria; ci eravamo radunati per stare un po' in compagnia, alla buona, senza pre-sumere d'essere perfetti, portando dentro la sala le nostre piccole meschinità e le nostre abituali ambizioni; era promettente constatare di trovare tutto già preparato e l'ospitalità cordiale e gene-rosa. Ci immaginavamo di poter celebrare gli affetti, quell'affezione semplice, non troppo impegnativa, gratificante, senza essere troppo vincolante, più una compagnia che un'amicizia o addirittura un'al-leanza. Eravamo nelle disposizioni di celebrare un rito, il rito tradizionale della Pasqua, con una de-vozione sincera, ma senza troppo stupore, con una esecuzione precisa e una liturgia corretta, ma familiare, con quel tanto di convenzionale che an-nacqua le parole troppo forti e addolcisce i co-mandamenti troppo esigenti e le pretese troppo radicali. Ci aspettavamo per quel 14 di Nisan una Pasqua come tante, scritte nel calendario come una ricor-renza consueta, celebrata volentieri come una scadenza attesa, una bella festa che presto finisce, per poi tornare a giorni feriali e a occupazioni or-dinarie. Eravamo in attesa di eventi prevedibili e allegri per una notte di veglia in compagnia, intorno a una tavola imbandita, insieme al Maestro ammira-to e sempre sorprendente e agli altri, persone come tante, rese care più per l'abitudine a stare insieme che per una vita donata e per decisione irrevocabile. Insomma eravamo preparati per un'altra Pasqua - sembra la confessione dei discepoli - nelle pagine del Vangelo.

LA PASQUA DI GESÙ IRROMPE COME UNO SQUARCIO In queste aspettative minime, in questi orizzonti limitati, in questi preparativi abituali e scontati, per questi discepoli mediocri, irrompe come uno squarcio la Pasqua di Gesù. Gesù sconcerta i discepoli con parole che parla-no di corpo dato e di sangue versato; Gesù con-testa i discepoli e la loro meschinità dichiarando insostenibile e ingiustificabile la pretesa di sedere a mensa per farsi servire; Gesù impegna i suoi discepoli a trascendere dalla celebrazione con-sueta all'evento che istituisce la nuova alleanza. La cena di Pasqua, forse immaginata dai discepoli come una delle tante, si rivela la cena ultima, si rivela l'introduzione al dramma estremo, si rivela il compimento del desiderio di Gesù: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, pri-ma della mia passione» (Lc 22, 15). Così due pun-ti di vista si scontrano e due modi paralleli di pro-cedere, di pensare, di prevedere si intersecano creando il dramma: c'è il percorso dei discepoli, lo svolgersi di una vicenda che sembra ripetitiva e banale e c'è il punto di vista di Gesù, che designa questo tempo come la sua ora, questo evento come il compimento della sua missione, questo rito celebrato come il sacramento dell'amo-re fino alla fine. Quanto celebrato nell'ultima cena si compie nello squarcio del cuore di Gesù e del velo del tempio, nel grido che squarcia il cielo e trafigge il cuore dei discepoli, nell'evento che scuote la terra e apre i sepolcri. Niente sarà più come prima, dopo la Pasqua di Gesù: per chi ha visto e creduto, per chi ha in-contrato il mistero di Pasqua e vi è entrato con la fede, i sepolcri non sono più chiusi, Dio non è più nascosto, la morte non è più invincibile, il pecca-to non è più irrimediabile, la separazione non è più definitiva, la disperazione non è più indiscuti-

Lo squarcio che rivela

mons. Mario Delpini

Nella notte tra il 6 e il 7 luglio è mancato don Renato Coronelli, sacerdote dal 1994, giudice del Tri-bunale ecclesiastico regionale lombardo e del Tribunale diocesano. La comunità del Seminario lo ricorda con riconoscenza e affetto per gli anni in cui è stato vicerettore al Quadriennio e per il suo attuale incarico di docente di Diritto canonico. Riportiamo l'omelia funebre tenuta dal Vicario gene-rale, lo scorso 11 luglio, nella Basilica del Seminario.

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bile. IL TRIBUTO D'AMICIZIAE LA COMUNIONE NEL SIGNORE Anche noi eravamo pronti per giorni più lieti in questo inizio d'estate, per percorsi più piani e rac-conti più consueti. Il cuore squarciato di don Re-nato ha reso drammatici questi giorni e ci ha con-vocati per condividere la tristezza e per offrire il nostro tributo d'amicizia a un prete che ha vissuto il suo ministero con dedizione e letizia, con inten-sità di affetti e competenza professionale speciali-stica, con ampiezza di vedute e con semplicità. Noi però siamo radunati qui per vivere l'irrompe-re della morte di don Renato dentro la Pasqua di Gesù, nella visione che ci consente il velo squar-ciato del tempo e i sepolcri aperti e raccogliamo l'invito che viene dalla celebrazione dei santi mi-steri: «Non pensate più, non pensate mai che i giorni siano banali, che le cose ordinarie siano co-se da poco. Non portate dentro la sala dove si celebra la Pasqua le vostre abituali meschinità, le vostre beghe noiose». La morte improvvisa di don Renato è come un terremoto che scuote la nostra terra assopita dall'abitudine e ci impegna a un apprezzamento più intenso della vita, perché nessuna occasione sia perduta. È come se don Renato, sottratto troppo presto alla convivenza abituale, ci invitasse a penetrare con sguardo più acuto e intelligente la

nostra vita quotidiana e, unito al Risorto, invocas-se anche per noi che i sepolcri si aprano e che le nostre vite siano vissute all'altezza della nostra vocazione. Vivete il tempo come un'occasione da non perde-re: il tempo può essere breve e l'occasione irri-petibile; vivete i rapporti come grazia incompara-bile e responsabilità non delegabile, come amici-zie da costruire e fraternità da custodire: nessuna relazione è intercambiabile e le meschinità, le pic-cole beghe, che logorano le convivenze, rendono tutti più poveri e distratti dalla misericordia che Dio sta offrendo ora per ciascuno; vivete il pen-siero, lo studio, le provocazioni offerte dalle do-mande di questo tempo come un percorso che introduce alla verità: la confusione, la tolleranza delle ambiguità, la superficialità sbrigativa dei giu-dizi è co-me un velo che Dio vorrebbe squarciare per elevare alla visione che rende beati. Ecco don Renato ha vissuto intensamente, ha coltivato con affetto e discrezione rapporti personali profondi, si è applicato allo studio e al pensiero con serietà e precisione: ci aiuti con il suo esempio e la sua preghiera a vivere all'altezza della nostra vocazio-ne.

Dal periodico mensile La Fiaccola, numero di Agosto/Settembre 2016

Perché rimanga sempre con noi il desiderio di pace, fratellanza, amicizia che il nostro amico Re-nato ha mostrato in ogni sua azione nel costante desiderio di condividere con tutti il bello della vita e perché la sua umanità sia di ispirazione per ogni nostro gesto.

Preghiera fedeli, messa in suffragio, sabato 16 luglio

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Mi è giunta improvvisa la notizia della morte di don Renato. Un caro ragazzo della nostra Parrocchia, lo ricor-do sempre sorridente, rispettoso, disposto a qua-lunque tipo di servizio, molto impegnato negli stu-di. Ha ottenuto la laurea in giurisprudenza. A questo punto pensa al suo avvenire, alla voca-zione e manifesta grandi ideali. Si interroga, chiede consiglio. Si reca di persona presso case religiose: monastiche, missionarie, vive con loro un lungo periodo, prende tempo e rimanda la decisione. Al momento favorevole il Signore chiama e Rena-to senza esitazione risponde alla voce della Chiesa e decide per questa strada, il sacerdozio. Entra nel nostro Seminario diocesano il mese di settembre 1987. ln quell'anno la nostra parrocchia festeggiava il 25° di fondazione.

lmmaginate la nostra gioia (avevamo paura di per-derlo). Dopo gli studi di teologia, è arrivato il giorno del-la consacrazione 1994. Don Peppino gravemente ammalato festeggia il suo 50° anniversario di Messa e concelebra con don Renato la prima Messa. La nostra gioia è grande don Renato rimane no-stro sacerdote. Don Renato svolge il suo ministero in Seminario come vicerettore Quadriennio e come incarico di docente di Diritto Canonico. Don Renato pur nella sua semplicità è vissuto intensamente e in umiltà il suo tempo come oc-casione da non perdere, il suo esempio e la sua preghiera siano di aiuto a vivere il nostro tempo all'altezza della propria vocazione.

Renato, un caro ragazzo della nostra parrocchia

Luigia Panigada

Lo ricordo così Renato, grande amico, roccia su cui appoggiarsi, custode di noi adolescenti. Ci hai insegnato a giocare... a barare... a pregare... e ci dividevi in animaTORI e animaMUCCHE. Ci ricordavi sempre la Messa del giovedì, il catechismo e i campeggi… poi hai capito che il Signo-re ti chiamava per qualcosa di più, e ti sei messo in ricerca. Anche allora non ti lasciavamo in pace e ti cercavamo in continuazione, in bicicletta venivamo a Chiaravalle... Il grande passo è arrivato e per tutta la parrocchia è stata gioia immensa perché erano anni che non si vedeva una vocazione sacerdotale. E così ci hai dato l'esempio di come si seguiva Gesù. Grazie Renato!!!!

Laura Magnaghi

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Quando da ragazzino che frequentava l’oratorio cominciai a conoscere Renato ricordo che pensai a due coincidenze particolari: era nato nel 1962, anno in cui nacque la nostra parrocchia degli An-geli Custodi( la comunità che mi ha coinvolto sin da principio), mi accorsi anche che il giorno e il mese della sua nascita erano gli stessi dei miei compleanni... Ricordo di lui un’infanzia e una adolescenza molto normale: un ragazzo sveglio, vivace e anche un po’ sbarazzino. Ma fu poi, più avanti negli anni, quando gli studi lo condussero al liceo e all’università, che ebbi modo di trovare un giovane, pacato, riflessi-vo e sempre gioioso, quasi contagioso, attento ai ragazzi nei diversi momenti educativi come nelle attività oratoriane. Tutto con grande passione. Lo apprezzai molto anche quando venne il mo-mento di orientare la sua vita; soprattutto per come con coscienza e serietà iniziò un cammino di discernimento per scoprire dove il Signore lo voleva, dal momento che proprio Lui, lo chiamava ad una consacrazione più vicina ed esclusiva. E la sua strada fu questa: essere prete diocesano!

Da prete don Renato non lo vedevamo molto in Parrocchia; sapevamo però che anche se impe-gnato nell’insegnamento in Seminario e poi in Curia a svolgere compiti sempre più delicati e impegnativi non rinunciava a quell’impegno pa-storale che lo aveva accompagnato fin dalla giovi-nezza e così ogni fine settimana continuava ad occuparsi dei ragazzi e dei giovani in una Par-rocchia in Valganna, compito che ha portato avanti anche quest’anno. Debbo dire che pur sapendo e conoscendo tut-to questo di lui, mi sono ulteriormente stupita e ammirata per quanto si è reso manifesto alla sua morte: al funerale e attraverso scritti e testimo-nianze. Ne è emersa una figura carica di bontà sempre gioiosa, uno sguardo luminoso, un servi-zio molto competente, tutto svolto nel silenzio e nell’umiltà. Davvero calza a pennello questa espressione sen-tita sulla bocca di tanti che l’hanno conosciuto: Don RENATO, “ Servo buono e fedele”

Ricordo di don Renato

Giovanna Borgonovo

Ricordare Renato è ritornare indietro in un tempo che ormai è lontano ma che ha lasciato un se-gno indelebile nella mia vita. L’ho incontrato un anno fa in via Lazzaro Papi, sotto casa, ma vo-glio ricordare con gioia quella volta di quasi trent’anni fa, quando lui, non ancora consacrato, e don Vanni piombarono a casa mia in quel di Pomezia (Rm). Ero appena sposata e fui felice di accoglierli nella mia casetta. Fu un pomeriggio di ricordi e risate e quei due poveretti mangiaro-no di gusto una terribile torta al cioccolato sostenendo che era anche buonissima. Li ho salutati e ci siamo promessi di rivederci presto… Don Vanni e Renato… chissà se stanno commentando lassù la mia tremenda torta!

Antonella Faravelli

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Passavamo spesso, negli anni 70, dall’oratorio ma-schile attirati dal vociare e dagli schiamazzi di una ciurma scatenata, libera momentaneamente dagli affanni scolastici e avviluppata attorno ad un pallo-ne. Protagonisti di tante glorie, li vedevamo inter-preti di questo o quel calciatore, fenomeni delle squadre di serie A di quel tempo. Spiccava anche Renato nella sua mitica maglia del Celtic, di qualche taglia in più… biondino, con le gote arrossate, impegnato e ricurvo sul pallone che passava all’amico nella speranza di segnare un goal. Formavano un bel gruppo e, mentre ci si sof-fermava, offrivano tanta gioia e simpatia perché assistevamo ad uno sport autentico, fatto di entu-siasmo e di certo migliore di ciò che uno stadio potesse offrire. Fantasticavamo così l’entrata dei nostri figli che sarebbe avvenuta di li a qualche anno: questi ado-lescenti inconsapevolmente stavano preparando «il testimone». Divenuti giovani, molti sono rimasti in parrocchia e abbiamo seguito da vicino lo svolgersi della loro vita, amandoli e condividendo i momenti che han-no segnato le tappe più emozionanti: i diplomi, le lauree, il matrimonio la nascita dei loro figli e più

ancora le laure degli stessi figli! Quanta gioia! Renato, in toni silenziosi, ha affrontato un per-corso personale, scandito dai traguardi volanti, progressivi e brillanti. Quando ci raccontò della sua scelta vocazionale religiosa ci rendemmo con-to nell’immediato, anzi ne fummo certi, che la sua profonda e riflessiva maturità aveva deciso per sempre. Amava i giovani, l’oratorio, la vita e so-prattutto non aveva fretta: ecco la componente principale della sua maturità. Ci si incontrava per strada senza che mai avesse dato segni di premu-ra, non doveva rincorrere un appuntamento, non era lui, don Renato a congedarci perché noi, il suo prossimo, in quel momento eravamo impor-tanti: facevamo parte della quotidianità in cui con-vergeva il fine della sua vocazione. Non si vorrebbe concludere questo pensiero con frasi scontate, ma vorremmo esprimere quanto di buono abbiamo avuto da Dio nel vissuto di tanti anni, fianco a fianco in una comunità parroc-chiale che è stata terreno fertile per molti, privi-legiando qualcuno che è salito per un altro sen-tiero credendo in un’interpretazione di vita es-senziale, tenendo conto che il valore più grande è l’amore di Dio, per Dio, e per il mondo sua crea-tura.

Pensiero a don Renato

Francesca e Giuseppe Amoroso

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Renato era uno che prendeva le cose molto seria-mente: sempre andato bene a scuola, laureato a tempo di record, attualmente era insegnante in seminario e giudice ecclesiastico (mamma mia!). Ma Renato era anche un tipo molto simpatico: sempre pronto a scherzare, aveva battute pronte e argute. Senza esagerare: brillante ma leggero. Durante i fine-settimana si occupava ancora della pastorale giovanile in Valganna. Si trovava a suo agio sia in un ritiro spirituale sia a una festa di car-nevale. Perché Renato era un soggetto originale: la sua passione per il Celtic (squadra di calcio scozzese) inizialmente ci sembrava un’esagerata stravaganza e trovavamo molto divertente vederlo arrivare dopo ogni vittoria con largo e soddisfatto sorriso e addobbato coi colori sociali: bianco e verde. Ma quando, al suo funerale, un alto prelato ha co-minciato il suo saluto (Io mi chiamo Filippo. Sono

arcivescovo. A Glasgow…) si è percepito un gene-rale sussulto di emozione: tutti abbiamo capito. Perché quel giorno, nella basilica del seminario, tutti quelli che lo avevano conosciuto - familiari, preti, seminaristi, amici, parrocchiani - proprio tutti sapevano di questa sua passione. E certa-mente mai nessuno di noi è diventato tifoso del Celtic… però Renato ce lo ha reso familiare. Perché questo era il suo grande dono: nelle tante sfaccettature della sua persona riusciva sempre a coinvolgerti. Non ti diceva “ora ti spiego come si fa” ma ti chiedeva di fare insieme a lui. Andava a stanare i suoi ragazzi da casa, si faceva accompa-gnare da loro in un sacco di posti: lo si incontrava spesso nel quartiere e aveva sempre qualcuno appresso. Riusciva addirittura a portare gli adole-scenti a recitare i vespri coi monaci a Chiaravalle, il luogo che poi ha ospitato il suo discernimento. Non può esserci tristezza nel ricordare Renato.

Non può esserci tristezza nel ricordare Renato

Roberta Marsiglia

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Il tuo coraggio nelle nostre azioni, la tua semplicità nei nostri occhi, nel Vangelo la nostra certezza e le note della nostra speranza. A Padre Puglisi noi giovani liberi.

La mafia è forte, ma Dio è onnipotente. Il 15 settembre del 1993, giorno del suo 56° compleanno, veniva martirizzato il parroco di una delle periferie più difficili di Palermo: don Pino Puglisi. L’omicidio fu ordinato dai capimafia del quartiere, i fratelli Graviano, ora all’ergastolo. Gli esecutori materiali dell’omicidio furono Salva-tore Grigoli e Gaspare Spatuzza e altri, ma solo questi dopo l’arresto cominciarono ad avviare un percorso di pentimento e collaborazione con la giustizia. Il secondo rivelò anche gli ultimi istanti di Padre Puglisi: un sorriso e le parole: ”Me lo aspettavo”. E forse aveva ragione Tertul-liano quando scriveva che dal sangue dei martiri nascono nuove vocazioni. Don Pino fu ucciso perché con l’azione pastorale che aveva intrapreso stava sottraendo ragazzi e bambini alla ma-fia del quartiere, preziosa risorsa per chi li sfrutta per pochi soldi per arricchire sé in modo im-pressionante. Proclamato Beato il 25 maggio 2013, è il primo martire della Chiesa Cattolica per mano mafiosa. La scritta posta in alto è stata realizzata con una sottoscrizione dai giovani del liceo che lo avevano avuto come educatore ed insegnante e posta sul luogo dove è stato ucciso: sul portone di casa. Non si tratta di una delle solite targhe un po’ fredde che incontriamo nelle nostre città, ma, mi pare, di una professione di fede vera e propria. La Chiesa su questo tema si sta muovendo. Non più come iniziative dei singoli, ma finalmente come istituzione. Gli ultimi tre Papi hanno avuto parole durissime contro la mafia e i suoi mem-bri: dall’anatema di Giovanni Paolo II alla Valle dei Templi, all’affermazione dell’incompatibilità col Vangelo di Papa Benedetto XVI fino alla scomunica di Francesco. Le conferenze episcopali calabresi e siciliane sono decenni che vanno annunciando l’incompatibilità tra la fede e la mafia, anche con documenti molto interessanti. Ora tocca solamente a noi prendere più consapevolez-za di questo, per il nostro Paese ma anche per il nostro quartiere, che non ne è escluso. Sulla sua tomba, nel cimitero di S. Orsola di Palermo è stata scolpito un versetto del quarto Vangelo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” Gv 15,13.

Giacomo Perego

Il Giubileo della terza età in Duomo Venerdì 14 ottobre 2016

Alle ore 15,30 avrà inizio la funzione giubilare che sarà presieduta dall’assistente diocesano Mons. Don Renzo Marzorati. È opportuno raggiungere il Duomo almeno 15 minuti prima dell’inizio della funzione per facilitare le operazioni di controllo all’ingresso, che verranno effettuate nei pressi della porta sinistra del Duomo

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Hanno collaborato a questo numero: Ugo Basso, Carlo Favero, Fabrizio Favero, Roberta Marsiglia, Levia Messina, don Guido Nava, Elisa-betta Perego

I numeri precedenti sono raccolti nella sezione “La Parrocchia” del sito internet parrocchiale www.parrocchie.it/milano/angelicustodi

Sacerdoti Parroco Don Guido Nava tel. e fax. 0255011912 Residente Don Michele Aramini (con incarichi pastorali)

Ss. Messe festive: 9.00 (inv.) - 11.00 - 18.00 vigilia: 18.00 feriale: 8.15 (inv.) - 18.00 Segreteria tel. 0255011625 Lun. - Ven. 9.30 - 12.00 / 17.00 - 18.00 Lun. - Mer. - Ven. 16.00 - 17.00 (Centro di ascolto)

Gli Angeli raccontano…

(a cura di Elisabetta Perego)

Domenica 2 ottobre è la festa degli Angeli Custodi, ai quali è dedicata la nostra parrocchia. L’Angelo Custode si ricorda sempre di noi, ma noi quanto ci ricordiamo di lui? Facciamoci aiutare da questo testo per imparare a conoscerlo meglio… Dio Padre che ci ha creati, ha posto accanto a noi un Angelo Custode e ci ha affidati a lui. Lo ha fatto per amore. L’ Angelo è un essere invisibile ma, se gli vogliamo bene, possiamo sentire la sua presenza: è con noi quando studiamo, giochiamo, cantiamo, dormiamo, preghiamo, quando siamo tri-sti o nella gioia. Egli ci aiuta e ci protegge, illumina la nostra mente e il nostro cuore affinché possiamo fare bene ogni cosa. Dio, in Cielo, è circondato da tanti angeli che Lo contemplano, Lo glorificano, Lo servono, sono suoi messaggeri e collaborano con Lui nella missione di salvezza degli uomini. Per questo il nostro Angelo Custode ci sorregge non solo per le cose che facciamo sulla terra ma anche per quelle che riguardano la nostra anima: ci prende per mano per farci crescere in santità e per condurci un giorno dinanzi a Dio. L’angelo è nostro amico: non saremo mai soli!

Angelo di Dio,

che sei il mio custode,

illumina, custodisci, reggi e governa me

che ti fui affidato dalla pietà celeste.

Amen.

Page 20: LETTERA DEL PARROCO - Parrocchie.it file/segno_ott2016.pdf · chia in due luoghi e momenti fondanti la vita di una comunità: la presidenza dell’Eucaristia e la catechesi. A loro

CALENDARIO PARROCCHIALE OTTOBRE 2016

SAB 1 16. 00: Incontro Professione di Fede 21. 00: Caccia al tesoro – The Angel’s Night

DOM 2

FESTA PATRONALE ANGELI CUSTODI

V dopo il martirio di S. Giovanni Prima domenica

11. 00: salutiamo don Roberto Davanzo e Suor Luisa 12. 45: Pranzo insieme 15. 30: Benedizione dei bimbi 16. 00: Palio delle contrade

LUN 3 21. 00: S. Messa per tutti i defunti

MAR 4

MER 5

GIO 6 21. 00: Redazione …tra le case

VEN 7 Beata Vergine del Rosario 21. 00: Giovani Coppie

SAB 8

Festa delle Genti – S. Eugenio

21. 00: FA' DI ME IL TUO CANTO Concerto Coro parrocchiale

DOM 9 VI dopo il martirio di S. Giovanni

LUN 10 21. 00: Serata per Marcello Candia alla Scala di Milano

MAR 11

MER 12

GIO 13

VEN 14 19. 30: Incontro Preado - Ado 20. 30: Corso Fidanzati

SAB 15 15. 30: Incontro per Battesimi Mercatino Missionario – Sala Angeli

DOM 16 Dedicazione Chiesa Cattedrale 10. 30: Battesimi Mercatino Missionario – Sala Angeli

LUN 17 S. Ignazio d’Antiochia 21. 00: Incontri parrocchiali – Roberta De Monticelli Mercatino Missionario – Sala Angeli

MAR 18 Mercatino Missionario – Sala Angeli

MER 19 Mercatino Missionario – Sala Angeli

GIO 20 Mercatino Missionario – Sala Angeli

VEN 21 21. 00: Corso Fidanzati Mercatino Missionario – Sala Angeli

SAB 22 Mercatino Missionario – Sala Angeli 15. 30: Genitori e ragazzi II elementare

DOM 23 I dopo la Dedicazione Giornata Missionaria

Mercatino Missionario – Sala Angeli 11.00: Centenario Candia 15. 30: Castagnata in Oratorio

LUN 24 Beato Don Carlo Gnocchi

MAR 25 21. 00: Commissione liturgica

MER 26

GIO 27

VEN 28 SS. Simone e Giuda 19. 00: Incontro Preado - Ado 21. 00: Corso Fidanzati

SAB 29 15. 30: Incontro per Battesimi

DOM 30 II dopo Dedicazione Battesimi Raccolta alimentare per Caritas Parrocchiale

LUN 31

CALENDARIO PARROCCHIALE NOVEMBRE 2016 MAR 1 Solennità di Tutti i Santi Ss. Messe: 9. 00 – 11. 00 – 18. 00 Battesimi

MER 2 Commemorazione di tutti i defunti Ss. Messe: 8. 15 – 18. 00 – 21. 00

GIO 3