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L’Essenza del Cristianesimo - Ludwig Feuerbach - (brevissima introduzione) Ludwig Feuerbach nacque il 28 Luglio 1804 a Landshut, in Baviera; studiò teologia a Heidelberg, traendone una approfondita conoscenza dei testi sacri, e successivamente filosofia a Berlino, dove ebbe Hegel come ammirato e venerato maestro. Insegnò in qualità di libero docente a Erlangen, fino a quando non dovette lasciare la cattedra in seguito alla pubblicazione di uno scritto - “Pensieri sulla morte e l’immortalità” - osteggiato dalla critica di potere intenzionata a riportare l’ortodossia religiosa contro il temibile “seme di draghi del panteismo hegeliano”. L’astio, non distolse però Feuerbach dalle sue riflessioni, che anzi continuò dando vita ad una produzione filosofica quanto mai fertile ed originale. L’opera che gli diede maggiore fama e che ancora oggi possiamo considerare come una delle più importanti produzioni della filosofia moderna fu “L’Essenza del Cristianesimo”. I contemporanei accolsero lo scritto con grande entusiasmo; Engels scrisse: “Ognuno dovrebbe provare l’esperienza liberatrice di questo libro per averne un’idea. L’entusiasmo fu generale; tutti allora fummo Feuerbachiani”. Con l’Essenza del Cristianesimo si posero le basi per il cosiddetto “Materialismo” ch’ebbe come figura trainante Marx. Egli stesso considerò Feuerbach come il personaggio culmine della “vecchia Filosofia”; in quanto gli riconobbe la correttezza e la spietatezza nell’individuare e denunciare le contraddizioni insite nel pensiero Classico e in quello Cristiano, senza tuttavia porsi nell’ottica della costruzione “pratica” di una nuova Filosofia. L’opera è una lunga ma chiara dissertazione intorno all’”Antropologia religiosa”, considerata da Feuerbach l’unica possibile e “reale” Teologia. Il libro è diviso in due parti: nella prima vengono illustrati i processi che sono ad arché del fenomeno religioso; nella seconda sono confutate le tesi teologiche dei “Padri della Chiesa”, smascherati come sofisti di fronte alle contraddizioni nelle quali spinge la fede. La frase che racchiudere l’analisi feuerbachiana può essere considerata “Homo homini Deus est”; è importante però chiarirne il significato per non cadere in inganno. L’uomo nel suo pensarsi pone, tra il sé pensante e il sé pensato, un oggetto intermedio che ha il dono della perfezione. In questo essere non v’è limitazione e tutto ciò che possiede in potenza è presente al tempo stesso in atto. Ma qual è l’essenza di questo essere? E’ essenzialmente la stessa dell’uomo, giacché proviene da esso per arrivare ad esso stesso, privandosi di ogni limitazione imposta dalla materia e dal rapporto col mondo sensibile. Le religioni “umane”, che possono essere assimilate a quelle monoteistiche, tendono alla venerazione di questo essere “di mezzo”, cadendo, però, in un errore ontologico di rilevanza madornale: lo considerano “essere a sé”, di essenza differente od al massimo “simile” rispetto a quello umano, quando invece è esso stesso uomo, uomo come “specie”. Questo sbaglio porta a creare una terza persona, quella dell’uomo della religione, che è la totale contrapposizione alla perfezione di Dio. Se Dio è buono, l’uomo è malvagio, se Dio è misericordioso, l’uomo è spietato, se Dio è santo, l’uomo è peccatore. Colpevole di questa disgrazia umana è considerata la Natura, in quanto è essa che ci impone limitazioni, che fa ritornare il nostro pensiero in noi impedendoci di soffermarci sulla venerabile seconda persona. Metodo di santificazione, secondo la religione, sarà quello del rinnegare ogni cosa materiale, della mortificazione corporale. La vita terrena diviene così un arduo periodo di passaggio da dedicare esclusivamente, attraverso la fede, alla costruzione della nostra futura vita eterna. Questa dinamica è definita di “alienazione”. Al contrario di Marx, Feuerbach ritiene che essa preceda lo “sfruttamento delle masse”; masse che non si alienano a causa della sottomissione, ma che si sottomettono a causa dell’alienazione. Per evitare ciò, sarà necessario fondare una nuova teologia che sia anzitutto un’ antropologia dell’animo umano, sbarazzandosi anzitutto dei sofismi messi in opera dai monoteismi per giustificare la fede; a questo scopo, Feuerbach ritiene che sia necessario “sacrificare Dio all’Amore”. Come detto poco sopra, il rinnegare la natura è “conditio sine qua non” per accettare totalmente la fede in un “Dio umano”. Se il paganesimo venerava il miracolo della stessa natura ammirando il

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Page 1: L’Essenza del Cristianesimo · L’Essenza del Cristianesimo - Ludwig Feuerbach - (brevissima introduzione) Ludwig Feuerbach nacque il 28 Luglio 1804 a Landshut, in Baviera; studiò

L’Essenza del Cristianesimo - Ludwig Feuerbach - (brevissima introduzione)

Ludwig Feuerbach nacque il 28 Luglio 1804 a Landshut, in Baviera; studiò teologia a Heidelberg, traendone una approfondita conoscenza dei testi sacri, e successivamente filosofia a Berlino, dove ebbe Hegel come ammirato e venerato maestro. Insegnò in qualità di libero docente a Erlangen, fino a quando non dovette lasciare la cattedra in seguito alla pubblicazione di uno scritto - “Pensieri sulla morte e l’immortalità” - osteggiato dalla critica di potere intenzionata a riportare l’ortodossia religiosa contro il temibile “seme di draghi del panteismo hegeliano”. L’astio, non distolse però Feuerbach dalle sue riflessioni, che anzi continuò dando vita ad una produzione filosofica quanto mai fertile ed originale. L’opera che gli diede maggiore fama e che ancora oggi possiamo considerare come una delle più importanti produzioni della filosofia moderna fu “L’Essenza del Cristianesimo”. I contemporanei accolsero lo scritto con grande entusiasmo; Engels scrisse: “Ognuno dovrebbe provare l’esperienza liberatrice di questo libro per averne un’idea. L’entusiasmo fu generale; tutti allora fummo Feuerbachiani”. Con l’Essenza del Cristianesimo si posero le basi per il cosiddetto “Materialismo” ch’ebbe come figura trainante Marx. Egli stesso considerò Feuerbach come il personaggio culmine della “vecchia Filosofia”; in quanto gli riconobbe la correttezza e la spietatezza nell’individuare e denunciare le contraddizioni insite nel pensiero Classico e in quello Cristiano, senza tuttavia porsi nell’ottica della costruzione “pratica” di una nuova Filosofia. L’opera è una lunga ma chiara dissertazione intorno all’”Antropologia religiosa”, considerata da Feuerbach l’unica possibile e “reale” Teologia. Il libro è diviso in due parti: nella prima vengono illustrati i processi che sono ad arché del fenomeno religioso; nella seconda sono confutate le tesi teologiche dei “Padri della Chiesa”, smascherati come sofisti di fronte alle contraddizioni nelle quali spinge la fede. La frase che racchiudere l’analisi feuerbachiana può essere considerata “Homo homini Deus est”; è importante però chiarirne il significato per non cadere in inganno. L’uomo nel suo pensarsi pone, tra il sé pensante e il sé pensato, un oggetto intermedio che ha il dono della perfezione. In questo essere non v’è limitazione e tutto ciò che possiede in potenza è presente al tempo stesso in atto. Ma qual è l’essenza di questo essere? E’ essenzialmente la stessa dell’uomo, giacché proviene da esso per arrivare ad esso stesso, privandosi di ogni limitazione imposta dalla materia e dal rapporto col mondo sensibile. Le religioni “umane”, che possono essere assimilate a quelle monoteistiche, tendono alla venerazione di questo essere “di mezzo”, cadendo, però, in un errore ontologico di rilevanza madornale: lo considerano “essere a sé”, di essenza differente od al massimo “simile” rispetto a quello umano, quando invece è esso stesso uomo, uomo come “specie”. Questo sbaglio porta a creare una terza persona, quella dell’uomo della religione, che è la totale contrapposizione alla perfezione di Dio. Se Dio è buono, l’uomo è malvagio, se Dio è misericordioso, l’uomo è spietato, se Dio è santo, l’uomo è peccatore. Colpevole di questa disgrazia umana è considerata la Natura, in quanto è essa che ci impone limitazioni, che fa ritornare il nostro pensiero in noi impedendoci di soffermarci sulla venerabile seconda persona. Metodo di santificazione, secondo la religione, sarà quello del rinnegare ogni cosa materiale, della mortificazione corporale. La vita terrena diviene così un arduo periodo di passaggio da dedicare esclusivamente, attraverso la fede, alla costruzione della nostra futura vita eterna. Questa dinamica è definita di “alienazione”. Al contrario di Marx, Feuerbach ritiene che essa preceda lo “sfruttamento delle masse”; masse che non si alienano a causa della sottomissione, ma che si sottomettono a causa dell’alienazione. Per evitare ciò, sarà necessario fondare una nuova teologia che sia anzitutto un’ antropologia dell’animo umano, sbarazzandosi anzitutto dei sofismi messi in opera dai monoteismi per giustificare la fede; a questo scopo, Feuerbach ritiene che sia necessario “sacrificare Dio all’Amore”. Come detto poco sopra, il rinnegare la natura è “conditio sine qua non” per accettare totalmente la fede in un “Dio umano”. Se il paganesimo venerava il miracolo della stessa natura ammirando il

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potere purificatore dell’acqua, la forza e l’audacia del fuoco, lo splendore delle creature animali, i monoteismi a noi meglio noti considerano miracoli non la grandiosità degli eventi naturali, bensì ciò che è assolutamente contro natura. L’aprirsi delle acque, la resurrezione, la fine del mondo ne sono altrettanti esempi. Geova o Javé, il Dio innominabile degli Ebrei, farà in modo che il popolo “eletto” riesca, guidato da Mosé, a fuggire dall’Egitto passando tra le acque del Mar Rosso. I Cristiani, dal canto loro, considereranno sommo miracolo la resurrezione del Cristo. Il miracolo è amore di Dio per l’uomo e – al tempo stesso - dichiarazione di superiorità dell’uomo nei confronti di tutto il restante universo sensibile, che viene quindi ‘legittimamente’ sacrificato per l’unico essere “simile” a Dio. Oggi vi sono - come li definisce con originale sagacia Feuerbach - moltissimi “pii naturalisti cristiani”. Essi dovrebbero però considerare che, con il loro fare, finiscono nel cadere in fatale contraddizione con la vera ontologia della fede! La preghiera è altra caratteristica peculiare che pone colui che attua l’atto del pregare al di sopra d’ogni altra creatura. Con la preghiera si da del ‘tu’a Dio, gli si confidano i crucci, le aspirazioni, i sentimenti controversi che veleggiano nell’animo umano. Perché si fa questo? Chi è il vero interlocutore cui ci rivolgiamo? Dio è considerato il nostro “padre”, colui che ci ha creato. Noi, figli, abbiamo sudditanza nei suoi confronti; secondo logica, non potremmo perciò avere in alcun caso influenza su di lui… Ecco invece farsi avanti la forza della preghiera: “la preghiera del figlio non è che l’espressione del potere che il figlio esercita sul padre – se è lecito usare in questo caso il termine ‘potere,’ dal momento che questo potere del figlio non è altro che il potere dello stesso sentimento paterno”. La preghiera conosce una sola forma: “l’imperativo”. Con la preghiera non solo perpetuo di fatto la mia salvezza eterna, unicamente derivante dal fatto che ho fede in Dio, in quel Dio che sto pregando, ma chiedo a ‘Lui’ un atto di “onnipotenza”, atto esclusivamente personale, che presuppone l’insussistenza del mondo esteriore, dell’oggettività. Al di là dei pensieri strettamente Feuerbachiani, c’è da considerare il miracolo - strettamente correlato alla preghiera - come fattore di notevole importanza nella fede cristiana odierna. Ogni processo di canonizzazione deve attuarsi attraverso un “numero” di miracoli; gli uomini assunti in cielo come “Santi” hanno, parimenti a Dio, l’onnipotenza sulla natura, sulle leggi che la regolano; essi dispongono in atto di ciò che l’uomo ha solo in potenza nel proprio sentimento di amore. Essi sono la nostra “raccomandazione” a Dio e, nel momento della preghiera, rappresentano forse, per noi, Dio stesso. Il venerare un brandello di tunica di un Santo, piuttosto che un presunto filo che componeva il sudario di Cristo in croce, non ha maggior dignità, e non ne dovrebbe avere, della venerazione che alcune religioni orientali hanno per l’“orina di vacca”. Come abbiamo potuto scorgere in questa breve analisi dell’opera, Feuerbach vive la fede Cristiana con rabbia; egli opera in un’epoca in cui lo scontro tra una ragione rafforzata da una scienza sempre più evoluta, e una religiosità di stampo medio-orientale, si fa insostenibile. La religiosità non è più il compendio “necessario” per imporre una legge etica comune e di facile assimilazione, ma è limite, attrito, scontro, muro opposto al progresso scientifico e culturale. Feuerbach, per onestà intellettuale, non è in grado di accettare una fede “passiva”, snaturata dei suoi contenuti, libertina, quasi epicurea, che pure rivendica il “potere” di una fantomatica rivelazione. Il compromesso fede-ragione, come dimostrato, affonda la sua insanabile contraddizione nell’ontologia della coppia implicata: la fede rinnega la ragione allo stesso modo in cui la ragione rinnega la fede. La vera “rivoluzione positiva”, secondo Feuerbach, dovrà avvenire ed essere in ogni singolo uomo, che si rende libero riscoprendo se stesso “come specie”, acclamando come vero miracolo la natura e ammirando la potenza dell’uomo che si esplica per mezzo del sentimento d’Amore e con la Ragione.

Jacopo Agnesina http://jacopo.agnesina.it

con la preziosa collaborazione della Dott.sa Carla Chiaffrino

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