kerényi k. - figlie del sole

69
-, u ..,. -l .. '" :;:r:::.:.. -.:l:: . 't'- L ::!\.ç>: l-\- ::::< UC; •• V} ,..: ',t'f

Upload: daniel-fonnesu

Post on 24-Oct-2015

339 views

Category:

Documents


6 download

DESCRIPTION

kerenyi , K. "Figlie del Sole"

TRANSCRIPT

Page 1: Kerényi K. - Figlie del Sole

-, u ..,. -l .. ~

'"

:;:r:::.:.. -.:l:: . 't'-

L ::!\.ç>

: l-\-::::<

UC

; •• V} ,..: ',t'f

Page 2: Kerényi K. - Figlie del Sole

Prima edizione nella collana «Gli Archi» gennaio 1991

© ]99] Rollati Boringhieri editore s.p.a., Torino, corso Vittorio Emanuele 86 I diritti di memorizzazionc elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o par­ziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati Stampato in Italia dalla Novalito di Torino CL 61-9545-8 ISBN 88-339-0592-6

Titolo originale

Tiichter der Sanne

© 1944 Rascher Verlag, Ziirich

Traduzione di Francesco Barberi

Copertina di Luisa Conte

Figlie del Sole I Karoly Kerényi. - Torino Bollati Boringhieri, 1991 141 p. ; 22 çm. - (Gli Archi) Rist. anast. dell'ed., Torino Einaudi, 1949 L KERENYI, Karoly l. MITOLOGIA GRECA

CDD 292.08

(a cura di S. & T. - Torino)

Indice

Prefazione di A. Brelich

II padre e il re

li dio che si rinnova ogni giorno II Titano

La ricerca della regina

La maga L'assassina La metà L'aurea

Fini·s initium

La cretese figlia del Sole

Nota finale

9

23 41

61 79 97

115

133

139

Page 3: Kerényi K. - Figlie del Sole

Prefazione

Il nome di Karl Kerényi è già da tempo familiare, anche in Italia, agli studiosi della religione classica: instancabile peUe­grino delle regioni mediterranee, conoscitore d'ogni angolo della nostra penisola, Kerényi ha sempre tenuto a far arrivare la sUI! parola agli italiani, fidando forse in quella comprensione istin' tiva e quasi inconsoia che deriva da recondite rispondenze ed affinità, pili di quanto potesse fidarsi della raffinata educazione intellettuale dei paesi di cultura germanica. È per questo che oltre ad alcuni saggi apparsi su periadici strettam'ente «stolico· religiosi» italiani, oltre a diverse conferenze tenute a Roma, egli ha fatto pubblicare in Italia e in itaNano La religione antica nelle sne linee fondamentali (Zanichelli, Bologna, 1940) - sin­tesi delle nnove ricerche salla particolare « forma» dello spirito antico nelle sue due grandi espressioni: la religione greca e quella romana -, uno dei primi tentativi seri del nostro secolo di trovare la propria chiave per la comprensione del mondo antico, di gettare le basi del proprio umanesimo.

Da qualche anno però l'interesse suscitato dallo studioso ungherese pare stia evadendo dalla cerchia ristretta della « gente di mestiere », filologi, archeologi, storici della religione. È tut· t'una classe intellettuale - numericamente forse non mettQ

Page 4: Kerényi K. - Figlie del Sole

lO Prefazwne

ristretta di quella degli specializzati, 11U> notevolmente pia com­pusita e culturalmente in certo qual modo pia importante sw fJppunto per la sua varietà che per la sua posizione d'avanguar­dia - che oggi comincia a tener conto di quel nome, guidata <lal vago ma non per questo meno significativo intuito che le ricerche del Kerényi coinvolgano qualcosa di pia di quanto d"bbll interessare unicamente i filologi.

lJn forte lavoro sul romanzo greco-orientale, pubblicato in letìesco a Tubinga nel 1927, ha valso a Kerényi la libera docenza imit't!rsitaria come pure le p11ime critich'e ostili dei 'colleghi. La sua audacia di prendere sul serio i motivi religiosi nella let­,erafunl, « decadente») dell' ellenismo, ha segnato sin da questo primo passo la direzione della sua attività ulte1'iore e, in [X1ri lempo, la reazione deUa scienza « ufJiciale ».

Ma è solo dopo un periodo di silenzw e di preparazione che le posizioni di Kerényi prendono una piu robusta consistenza. In quel periodo ha luogo un « avvenimento», importante di per .é nel campu degli studi storico.religiosi e particolarmente importante per l'evoluzwne spirituale di Kerényi: la pubblica­zione, nel 1929, del volume Die Gotter Griechenlands di Walter F. Otto (traduzione italiana: Glidèi della Grecia, Firenze, 1941). L'incontro con l'opera deU'Otto reca a Kerényi la liberazione, / .. conferma, la consapevolezza delle proprie tendenze e vedute.

Die Gotter Griechenlands è la prima presentazione del mondn rt>ligioso greco in cui appaiano in pie1W sia l'autonomia di valori .ia la profonda e intima realtà della religione ellenica. Non si Irattava piii di considerare questa religione come un complesso di credenze largamente superate dall'umanità moderna, piu « evo~ luta l); né di « giustificarla» con una teoria generale della JJtentalità « prelogica») o « mitica »: si trattava di ritrovare in f:ssa la forma greca, la maniera di vedere, vivere ed affrontare I" realtà, maniera propJ1ia al popolo che ha creuto la nostra

Prefazwne Il

civiltà. Al contatto di un simile punto di vista, la religÙlne greca, anziché rimanere un curioso fenomeno storico, si è rivelata COme

limpida e perfetta espressione di valori spirituali di cui non possiamo disinteressarci se non a prezzo di disinteressarci della. nostra stessa esistenza.

L'opera di Otto è il punto di partenza delle nuove ricerche di storia religiosa classica, ispirate a Un maggiore rispetto e a una serietà pia profonda di fronte all' antichità, di quanto non distinguesse 'la scuola « storico-filologica» razionalista e, coscien­temente o inconsapevolmente, evoluzionista. Contemporanea­mente alla cosidetta « scuola di Francoforte)) (F. Altheim, C. Koch ecc.), anche Kerényi, in questo suo perwdo, muove dall'opera di Otto, per illuminare, con i rimwvati criteri 'e con profonda penetrazÙlne, sempre nuovi settori della religwsità antica. Nascono cosi Dionysos und das Tragische in der Antigone (1935), i saggi del volume Apollon (1937), Orphische Seele (1936), Pylh.agoras und Orpheus (1937) ecc. Ciò che però già in questo periodo distingue Kerényi dagli altri rappresentanti del nuovo indirizzo stonro-religioso, è una maggiore ricchezza di pensi'ero, una « originalità» che, in fondo, consiste in una maniera piu essenziale d'impostare i problemi, in un riferimento pia deciso e radicale alle ultime questioni dell' esistenza umana.

L'accoglienza da parte degli studiosi della scienza « ufficwle )) è in questo periodo piu che mai ostile e negativa. Si rimprovera a Kerényi un' esagerata fantasia, soggettività, arbitrio e, soprat .. tutto, troppa filosofia. Quegli studiosi parlano facilmente di arbitrio e di costruzione, non appena qualcuno osi abbandonare le loro categorie di pensiero, le quali in sostanza non sono che l'eredità di costruzioni arbitrarie sorrette da una filosofia as.~ai

triviale. Essi non si rendono conto del fatto che il loro tanto vantato « bzwn senso», lungi dal coincidere con la « 'verità assoluta», è la precipitazione inerte di queUa singolare esalta­zione razionalistica che era ltn fenomeno storica,mente limitato

Page 5: Kerényi K. - Figlie del Sole

12 Prefazione

al tempo dei loro nonni e bisMnni, e cioè che essi non SOTW

che depositari di idee arretrate e scheletrificate. La penetrazione filosofica del materiale storico è oggi indispensabile appunto per rimlWvere le costruzioni morte e per ritrovare il contatto vitale con la realtà. È forse fatale, in conseguenza delle dure necessità della specializzazione, che oggi gli studiosi siano gli ultimi a portarsi al livello dei tempi. Kerényi non esita a confessare, in una le';;era a Thmnas Mann, di aver imparato il piu, intorno alla realtà mitica, non dai filologi, bensi dai romanzieri contempo· ranei, come Thomas Mann stesso, i Powys, i Lawrence; e dalle sue opere il lettore intuisce qlUlnto egli abbia « imparato» da pensatori come Scheler, Heidegger, Huizinga, Ortega ecc. La familiarità di Kerényi con i rappresentanti piii squisiti del nostro secolo può aumentare soltanto la diffidenza degli studwsi chiusi fra le pareti delle categorie antiche; ma tale diffidenza non è che la controprova della sua netta posizwne di avano glUlTdia.

Non è solo per ragioni di intima qualità che Kerényi si distingue dalla « scuola di Francoforte» e dai seguaci dell'Otto in genere: arriva un momento in cui il suo interesse stesso si sposta in modo fondamentale. La religione antica chiude una fase dell' attività di Kerényi: la fase aperta con Apollon, uel segno de Gli dèi della Grecia.

Egli non può fermarsi alla considerazione contemplativa delle figure divine antiche e alla morfologia delle civiltà clas· siche: intuisce che la chiave piI' segreta di quel mondo religioso è riposta nel mito; non in uno o nell' altro mito, nel significato dei singoli miti, ma nella fun.wne stessa del mito, nella sua struttura e nella sua genesi. « Sulla mitologia scientifica mo'; derna, su questa disgregazione del mito in linguaggio e leggenda senza contenuto spiritlUlle - scrive a Thomas Mann nel 1938 -potrei fare una poesia. W. F. Otto, l'unica ecce.wne fra i filo· logi, è piuttosto un teologo (nel significato fondamentale del

Prefazwne 13

termine) che non un mitologo, e la prima breccia l' ho battuta anch'io, dieci anni or sono, verso questa specie di teologia. Ciò pe~ò, per cui io da piu di vent'anni raccoglievo il materiale scientifico e per cui io già nella mia gioventu mi occupavo, oltre che dell' antichità classica, di indologia, civettavo con l'orienta­listica e osservavo i mondi nordici ed esotici, è quella cosa, alla quale sano giunto adesso: la grande mitologia in genere ».

È da questo momento che Kerényi persegue una ricerca essenzialmente nuova, finora mai tentata: egli è il primo ad affrontare con altrettanto di esattezza scientifica, quanto di seno sibilità intuitiva e di duttilità di pensiero, quel fenomeno - il mito - che da qualche tempo, sotto l'una o l'altra forma e per ragioni, si può dire, misteriose, riafJìora con singolare insistenza nella coscienza occidentale. Egli capisce la natura sui generis del mito: « in un autentico mitologema - dice nell'Einfiihrung in da. Wesen der Mythologie (1941) , - il senso non è qualcosa che possa esser espresso altrettanto bene e completamente in modo non-mitologico. Mitologia non è una mera maniera di espressione al cui posto potrebbe esser scelta anche un' altra maniera, piii semplice e pia comprensibile ... » Con ciò è tra­montato il tempo delle povere «interpretazioni» mitologiche, delle traduzioni traditrici - nel linguaggio degli studiosi da bib~ioteca - delle grandi immagini mitologiche. Da ciò deriva come « atteggiamento giusto di fronte alla mitologia: lasciar par· lare i mitologemi per se stessi e semplicemente ascoltarli)l. Ma il lavoro scientifico non viene in questo modo eliminato? Al con· trario: è appena avviato. l miti, per natura loro, si presentano sempre come tante « variazioni su un tema »), ogni singola for­mulazione di un mito è già una va",iazione, come ogni singola esecuzione di un pezzo di mU$ica è già un'interpretazione unica

l Edizione italiana: Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Einaudi, 19'48.

Page 6: Kerényi K. - Figlie del Sole

14 Prefaziolle

e irripetibile; ora, tutte quest'e variazioni ci sono pervenute, per giunta, in una forma estremamente frammentaria. Cercare attra~ verso i frammenti vari delle pi6 differenti variazioni il tema stesso - attraverso le singole formulazioni mitologiche il ( mito­logema» e il suo ultimo e intraducibile senso - questo è il compito della nuova scienza che quindi, lungi dal concentrare la sua attenzione su contingenze della piccola storia e dal voler spiegare tutto con un povero meccanismo di « influssi», delle gettar luce su un' attività primordiale dello spirito umano, sca­turita e determinata dall' essenza stessa dell' uomo e della sua posizione nel mondo.

Il contributo di C. Jung ai grandi mitologemi del Fanciullo divino e della Fanciulla divina dimostra l'interesse che la psico­logia contemporanea può prendere a questo, genere di ricerche (C. Jung-K. Kerényi: Einfiihrung ecc., 1941); ma la psicologia del mito non afferra che un singolo aspetto della scienza mito­logica perché la mitologia impegna qualcosa di pi6 in noi che non la nostra «psiche»: impegna la nostra esistenza st~ssa, la nostra umanità.

Dopo il preludio del Die Gebnrt der Helena (1939), l'Ein­fiihrnng apre quindi la nUOVa fase dell' attività scientifica del Kerényi, che coincide con la guerra e il vowntario esilio in Svizzera dell'autore. Hermes der Seelenfiihrer (1944) - una monografia divilUl., ma non piu nella maniera statica e circo­scritta dell'Otto -, Tochter der Sonne (1944) e Prometheus, il mitologema greco dell'esistenza umana (1946) sono i frutti di quella solitudine che spesso offre in cambio, per i perduti contatti molteplici e superficiali con i singoli uomini, un con­tatto profondo con l'umanità.

Figlie del Sole è dunque un'opera della piena maturità del­l'autore. Ciò si rivela anche nella sua forma; non sow nella solida e densa bellezza dello stile che è cosi difficile rendere in una lingua analitica come la nostra, ma anche nella presenta-

Prefazione 1.;

zione priva di quella massa di note che formano l'orgoglio delle dissertazioni tedesche. Ma la mancanza delle note non significa abbandono del solido terreno del materiale. I numerosi miti, culti, raflìgurazioni, espressioni poetiche citati non hanno una

importanza in sé: essi sono altrettanti frammenti che ricevono vita e luce pulsante unicamente dal senso integrale del mitolo­gema solare. L'aderenza al materiale per Kerényi non è piI' l'attaccamento inutile ai dati atomizzati e senza significato auto­nomo, ma la fedeltà al senso che solo ravviva i particolari. L'eli­minazione delle minuzie filologiche - di cui l'autore si dimo· stra padrone, ma alle quali dà soltanto un valore strumentale -non vuoI dire né arbitrio, né astrazione. Kerényi non intende propriamente darci una filosofia del mito: egli si rende solo interprete religiosamente attento e fedele di un fatto umano di portata universale: il mito. In Figlie del Sole Kerényi non fa altro che raccontare miti greci. Di fronte a questi miti ,wi moderni, malgrado le nostre particolari forme psichiche e le sovrastruttuTe della nostra coscienza, non possiamo non avvel·.

tire nel nostro intimo una rispondenza profonda: questa rispon­denza è garanzia dell'autenticità del mito solo ora risuscitato. ed è garanzia della nostra umanità.

ANGELO BRELICH

Page 7: Kerényi K. - Figlie del Sole
Page 8: Kerényi K. - Figlie del Sole

:,\'

{i 'i~l

k":

i,

Dedicato al Poeta in Montagnola

e al Filosofo in Brissago

L'Iperione di Hiilderlin contiene singolari « pensieri segreti » del poeta intorno al Sole, un « mistero» nel senso in cui egli usa tale parola.

« Sii come questo!» esclama A labanda e accenna al dio Sole, che nella sua eterna giovinezza risorge sempre gioioso e

fresco. I figli della Terra vivono unicamente per virtU sua. Vi sono però anche figli del Sole, «anime piu libere », che egli' educa. Un fratello di nome del Sole, del « magnifico lperioae del cielo », è l'eroe del romanzo. Il Sole è in lui. Quando ama, l' lWmo è generalmente un Sole, tutto gli si sco pre, tutto gli si rischiara. Sotto l'influsso di Diotima si fa piu equilibrio nel. l'anima d'/penone, e all'improvviso egli sente le proprie forze disperse e vaganti «( raccogliersi tutte in un aureo centro». Egli ha cercato la verità. Ma vero è per Hiilderlin il Sole. Come spirito 'e aria, cosi verità e luce solare sono essenzialmente uguali. La verità, che « è tutto ed eterno tutto », la si ritrova ad un tempo fuori dell'uomo, nel Sole, e dentro di lui, nel sUO essere solare, come in un unico « seme aureo », da cui germoglia in eterno l'alIJero della vita.

Questi pensieri di un gramle poeta, che ho cercato di riassu­mere in una nuova edizione dell'Iperione apparsa nel 1941,

Page 9: Kerényi K. - Figlie del Sole

"""HlII I/"i l'''''mlere il posto di prefazione: quasi parole di NHII I"''''''J(II ,,,uwscenza del nucleo di un mitologema da lungo I_mIH' "''''/lparso, che /Ielle pagine seguenti vuoi essere soltanto ,1I"o/H,IIO.

I ì .

. '

Il padre e il re

p

Ove .sei tu? ebbra l'anima mi trasogna d'ogni tua voluttà; poiché ascolto come d'aurei suoni traboccante l'incantevole giovinetto Eolare il suo canto serotin'O su lira celeste suona; eeheggiano intorno le selve e i poggi. Ma lungi egli, .a popoli pii che ancora l'onorano, è fuggito.

HOLDERLIN

Page 10: Kerényi K. - Figlie del Sole

ì 'I i: \;i ,

Il dio che si rinnova ogni giorno

« Affinché il padre lo guardi! Non il mio, ma quello che vede tutto ciò: Helios! » Con queste parole nel secondo dramma dell'Orestiade di Eschilo il figlio dell'assassinato Agamennone, reduce in patria, fa mostrare il manto insanguinato di suo padre. Si dedusse da ciò che la concezione di un dio Sole paterno deve essere stata un tempo assai radicata in Grecia. Qui noi cogliamo per l'appunto questo meno conosciuto aspetto paterno di Helios. RivoIgendovi l'attenzione, ci è dato accostarci alla comprensione di quanto in Grecia sopravanza di una mitologia solare, che in epoca preellenica dové essere probabilmente piti imponente.

Al paragone dell'esuberante ricchezza della mitologia solare egizia e delle altre antichissime, l'ElIade sembra presentarci solo qualcosa di frammentario. Anzitutto quell'altro aspetto pin noto di Helios: il raggiante volto del dio dei ginramenti, che tutto vede ed ascolta ed è per tutti il testimone pin fido ... Ascolta anche: non meno dello stesso Zeus egli possiede una forma perfetta, degna di un dio greco. Il Sole non è soltanto un disco simile a un occhio. Tuttavia in questo suo piu evidente aspetto egli ha una particolarissima relazione con gli occhi degli uomini. « Raggio di sole, tu multiveggente madre degli occhi», invoca Pindaro. Infatti « raggio» è in greco femminile, come

Page 11: Kerényi K. - Figlie del Sole

24 Il padre e il re

in tedesco il sole stesso. Gli occhi attingono il senso e la sostanza del loro essere dalla luce solare. Il dio Sole è il « procreatore padre degli acuti ~aggi » - cosi di nuovo lo chiama Pindaro -per virt" del qi:ulle è possibile sulla terra la vista. Egli, l'occhio del mondo, che tutto vede, può dire di sé: « Omnia qui video, per quem videt omnia tellus, mundi oculus », - cosi Ovidio ricapitola questa concezione ellenica.

Anche Oreste invoca Helios come testimone. Egli si rfchiam,a al carattere oculare del Sole e lascia insieme apparire questo carattere radicato nella sua paternità. TI procreatore gli è testi~ mone '. Il momento etico della qualità di testimone del dio Sole ha nella sua procreatività una naturale radice. I due aspetti, ai quali semhra principalmente limitarsi la mitologia solare greca, Don si escludono a vicenda. Soltanto assieme essi formano lutto un mondo intorno agli uomini. Un corpo celeste che irra- -­diasse luce e calore per conto suo non sarebbe ,ancora un mondo. La duplice relazione del Sole con gli uomini, essa sola costi­tuisce quel mondo in pari tempo delimitato dal Sole e per mezzo di questa delimitazione anche definito, che è il mondo greco, un mondo soprattutto solare, benché non il Sole ma l'uomo. sti.a al suo centro.

La prima delle due relazioni è rappresentata dalla stessa vista, la quale è essenziale tanto per questo mondo, che si mani­festa nella vista, quanto anche per gli uomini, che senza la vista sarehbero imperfetti.

Se l'occhio non fosse di natura s'olare, non potrebbe guardare il sole.

cosi Goethe espresse questa relazion,e, l'intima partecipazione dell'uomo al Sole per mezzo dell' occhio. Egli parla anche di quell'altra relazione, che sta a significare una partecipazione

1 Zeuge, testimone; zeugen,. generare (N. d. T.).

::At~

:~, 1, ~ ,

, .,

\1 1

Il dio che si rinnova 2.;

ancor piu profonda: la p.aternità del Sole. Nel suo ultimo col. loquio, pochi giorni prima di morire, disse a Eckermann: « Se mi si domanda se appartenga alla mia indole di adò.are il Sole, rispondo: senz',altro! Poiché esso è una rivelazione dell' Altis­simo, e invero la piu potente che ci sia dato percepire, a noi figli della Terra. lo adoro in lui la luce e la forza procreante di Dio, in virtu della quale soltanto noi viviamo, ci muoviamo e siamo, e con noi tutte le piante e gli anim.ali». Si tratta qui della medesima partecipazione, che nelle parole di Oreste, in Eschilo, viene ,ancor piu alla luce quando la paternità di Aga. mennone riceve quasi un archetipo nella paternità di Helios. L'essere dell'uomo e l'essere del Sole sono qui fusi in un unico «( contesto» per mezzo della vista e della procreatività. In questo « contesto» il Sole è anzitutto un essere mitologico. Lo si sciolga da questo «( contesto» tr:aducendolo in pensiero: rimarrà un corpo celeste irradiante per conto suo luce e calore, non sarà piu il dio Helios. E neppure vi sarà piu intoruD all'uomo un mondo divino.solare.

A questa situazione siamo giunti per gradi. Da un.a periferia che circoscrivev.a e definiv,a un mondo, dove in .alto era la originaria luce degli occhi per tutti gli occhi e in basso, in una sfera invisibile, il primo padre gener:ante, il Sole venne tratto al centro. Questo si dovette a Platone. Fu lui che in sostanza lo trasferi li, come immagine del sommo Bene, della sorgente trascendente dell'essere. Quindi Helios già nel terzo secolo avo Cr., in seguito ana scoperta di Aristarco di Samo, l'antico precursore di Copernico, risplendette anche come centro del mondo degli astronomi. Anche allora, tuttavia, il Sole era ancora piuttosto una divinità che non il mero dato fondamentale di un'immagine eliocentrica del cielo. La scoperta di Aristarco non penetrò a fondo nel mondo ,antico, essa si muoveva troppo sul piano della pura teoria. Il dio Sole mantenne la propria posizione al centro di un vero vivente ( contesto» cosmico.

Page 12: Kerényi K. - Figlie del Sole

26 II padre e il re

finché dové ritrarsi davanti a un altro dio: al Dio trascendente rispetto al mondo, al Dio assoluto del cristianesimo.

È nn singolare fenomeno nella storia della religione che poi anche il Dio dei Cristiani si associasse elementi di culto della mitologia solare, per potere occupare lo steSso centro. Soltanto

cosi il Sole venne rimosso dalla posizione spettantegli, e diventò nn quantum religioso difficile a manipolarsi. Poeti, teologi e santi cristiani cercarono accortamente, con senso fraterno, di ammansirlo e assegn.argli un posto. Demonizz.alo fu solo ecce­

zionalmente, al margine del cristianesimo, dove ci si sentiva ancora esposti alla sua potenza. Al eentro tornò di nuovo in epoca moderna, totalmente spogliato della sua divinità - non piu in un « contesto l), ma in un sistema da cui il divino si era ritirato. Questo nuovo ordinamento eliocentrico, che si

dimostrò alla fin fine soltanto uno tra innumerevoli simili, ba in sé per noi moderni cosi poco di divino, che poté essere rico­nosciuto perfino dalla Chiesa,appnnto come creazione del Dio trascendente.

Nessuno descrive con tanta efficacia la nostra situazione ~ la simazione di noi uomini ~ rispetto ,al Sole, come il poeta inglese D. H. Lawrence. Dobhiamo qui venire in chiaro di tale situazione, prima ancora che tentiamo di cogliere i tratti paterni di Helios. « È mera presunzione», ei dice Lawrence, poco prima della sua morte, nel commentario all'Apocalisse, « credere che noi vediamo il Sole cosi come lo vedevano le antiche civiltà. Tutto ciò che vediamo al posto del Sole è nn piccolo corpo di luce fisica, un globo di gas ardente. ~ei secoli prima di Ezechiele e di Giovanni, il Sole era una snhlime realtà, si attingev,a da lui energia e luce e gli si restituivano in compenso venerazione, offerte e azioni di grazie. Ma in noi ogni legame è spezzato, i centri corrispondenti sono morti. TI nostro Sole è qualcosa di completamente diverso dal Sole {'osmico degli antichi, è qualcosa di molto piu ordinario. Noi

Il dio che si rinnova 27

possiamo ancor oggi vedere quello che chiamiamo Sole, ma Helios lo ahbiamo perduto per sempre, e ancor pili il grande disco dei Caldei. Abbiamo perduto il cosmo allorché siamo usciti dalla corrispondente comunione con esso: questa è la nostra piu grande tragedia. Che cos'è il nostro meschino amore per la natur,a - la natura a cui ei si rivolge come a una per­sona! - al paragone di quel sublime vivere·col.Cosmo ed eSsere·

onorati.dal·Cosmo! ... ... Chi dice che il Sole non può parlanni? Il Sole ha nna

grande ardente coscienza, e io ho una piccola ardente coscienza. Se riesco a liberarmi dal laccio dei sentimenti e delle idee per· sonali e scendo giu giu fino al nudo essere solare che è in me, aUora il Sole ed io possiamo unirei ora per or.a, da una parte e dall'altra può scamhiarsi l'ardore; e mentre il Sole dà a me vjta~ una vita solare, io mando a lui un piccolo esiguo fuoco dal mondo del focoso sangue. Il gran Sole somiglia a un drago cattivo che odia la personale, nervosa coscienza che è in noI. Ciò dehbono meditare tntti questi moderni amici del bagno solare, poiché essi v,anno in rovina a causa del Sole medesimo che li abbronza. Tuttavia il Sole, simile ,a un leone, ama l'igneo, rosso sangue della vita e può dare a esso un infinito arricchi .. mento, purché sappiamo come riceverlo! Ma noi non sappiamo: noi abbiamo perduto il Sole. Egli lascia cadere su nOI l suoi raggi e ei distrugge: lui, drago dell'annientamento invece che

datore di vita l).

Oltreché descriverei la situazione odierna, queste parole contengono ,anche una teoria, la qu,ale merita attenzione perché

scaturisce dalla spontaneità di un gr.ande poeta. Noi uomini saremmo resi intimamente partecipi al Sole non solo per mezzo degli occhi, che sono di natura solare, e della paternità solare, ma anche in virtu della nostra propria solare intimità, della nostra (( piccola ardente coscienza (little blazing consciousness) l),

perché anche il Sole ne ha una grande: « a great blazing COI!'

Page 13: Kerényi K. - Figlie del Sole

28 Il padre e il re

sciousness l). Con la parola consciousness viene qui evidente~

mente intesa quella proprietà del corpo, per cui esso non è già

percepibile all'esterno dagli altri, m,a all'interno esiste per sé ed ha coscienza di sé, anche se non ne dia un segno particolare

neppure a se stesso. Esso « arde» per conto proprio e questo suo ardere è di nalur:a solare, mentre la « personale, nervosa coscienza (the nervous and personal consciousness) in noi l),

]a tJ.~ale consta soltanto di «( sentimenti e idee personali l),

rimane qualcosa di .accessorio e non ha in sé nulla di solare.

Per parlare con maggiore evidenza di questa relazione che

unisce gli uomini al Sole come a un essere dotato di grande ardente coscienza, il poeta ricorre all'antico simbolo orientale

del drago, una v.ariante del simbolo del serpente. Egli paragona il Sole rimosso dal suo posto ,a un « drago cattivo l), a Wl « drago dell',annientam,ento, anziché datore di vita l). Egli fa ciò piena­

mente consapevole del fatto che nella stessa simbolistica la « piccola ardente coscienza » assume la medesima forma e mo­stra ora un buono or.a un cattivo volto di dr,ago ...

L'evocazione del dr.ago come simbolo solare, il quale nel

significato che gli dà Lawrence è insieme il simbolo dell' « aurea fluente vita nel corpo », ci conduce non lontano dalla mitologia solare greca. ( Serpente nato dal fuoco») vien detto una volta

Helios da Euripide, con una parola che pone in risalto lo sguardo del serpente, ed anche foneticamente sta alla base della p.arola « drago» in tutte le lingue occidentali. La nipote di

HeIios, Medea, ricevette dal suo avo un vero e proprio cocchio

di draghi: tirato da serpenti alati. Come poco greco appare questo cocchio, subito a prima vista! Sembra scelto a causa

della provenienza orientale di Medea, la quale infatti è di casa nella orientale terra del Sole. Basta questa semplice ipotesi a sottolineare la relazione con Helios. Il divino fanciullo di Eleu5i, Trittolemo, aveva ,anche lui un meraviglioso cocchio di

Il dio che si rinnova 29

serpenti, noto a noi per mezzo della pittur.a vascolare del pin

puro stile ,attico. Trittolemo vola con esso su tutte le terre, per recare agli uomini henedizioni e felicità col dono di Demetra. Sta il suo cocchio a indicare che a lui come a tutti i rampoIli divini è proprio lo splendore del Sole nascente, e pertanto solo i serpenti sono in rapporto con la sfer,a ctonia di Demetra?

Oppure il cocchio solare già di per sé indica sempre una rela­zione ctonia, anche quando non sia tirato da serpenti o da draghi?

I serpenti rimandano sicur.amente alla sfera ctonia - al

lato tenebroso dell'Essere, seppure non all'assoluto Non-essere.

Ma ciò è anche dei cavalli. Per Greci e Romani essi sono egual­mente ,animali ctonii - a Roma il cavallo è sacro a Marte, in

Grecia a Posidone, signore degli abissi. Sacrifici di cavalli Mnno valore di sacrifici ctonii. Un tale sacrificio riceve Helios sul

Taigeto. Non dappertutto lo si onorava con eguale solennità.

Il Greco faceva ciò come figlio e cittadino del mondo solare,

rivolgendoglisi di solito col pin semplice segno d'amore: col

gesto della mano che lancia baci. A Rodi tuttavia, dove Helios avev,a Wl solenn,e culto statale, si affogava in mare come sacri­

ficio, in suo onore, un tiro di quattro cavalli. Non potrehh'es­

sere posta in piu chiara luce la relazione' del cocchio solare

tirato da cav,alIi, cosi spesso rappresentato. Si tratta di una rela­

zione con gli Inferi. In una civiltà anteriore, nella quale il cav,allo non r,appresentava ancora una parte caratteristica, nel­

l'antica civiltà mediterranea, il toro ,aveva una particolare rela­

zione col Sole. E continuò ad averla ancora dopo, se nell'Odis. sea si parla di buoi di Helios, se ,armenti sacri vengono allevati

in onore del dio Sole sul Tenaro, un famoso luogo di accesso

all'Ade, presso Gortina in Creta e presso Apollonia in Illiria.

Ma tali armenti li possiede normalmente il re degli Inferi, Ade.

Fino a qual punto tutti questi elementi della mitologia

Page 14: Kerényi K. - Figlie del Sole

30 Il padre e il re

solare greca avessero un loro valore espressivo gla In età pre­ellenica e da allora se lo portassero, per cosi dire, con sé, non è facile stabilire. L'unione di Sole e cocchio compare sicura­mente non per La prima volta in Grecia. Essa si ritrova in un ambito piu vasto ed è forse connessa in generale con l'origine del carro. Rivolgiamo solo per un momento il pensiero a tale invenzione. La grande scoperta alla quale l'invenzione del carro segui come spontaneamente, fu la ruota. Quanta genialità tecnica ci volle perché si giungesse a questa macchina, grandiosa uella sua semplicità! Seppure non abbia ragione Leo Frobenius di ritenere che la sensibilità religiosa precede, nella storia di tutte le civiltà, lo spirito tecnico-pratico. poiché in questo caso il disco, che compie ogni giorno il suo cammino in cielo, avrebhe fornito lo spunto a un'imitazione cultuale e quindi anche pratica. La funzione dei dischi e delle ruote come simboli solari presso dif­ferenti popolazioni preistoriche, anche italiche, rafforza questa

ipotesi. Fra i monumenti dell'antica civiltà nordeuropea si cono­sce il carro solare di carattere cultuale. Il carro porta il disco

solare come suo proprio e chiaro significato. In Grecia il nesso tra Sole e carro è semplice. Nel caso che

quest 'ultimo possieda generalmente ancora un valore simbolico,

esso appartiene, conformemente ,al significato, ad Helios vianw

dante del cielo, il quale altrimenti è costretto o ad andare a piedi

- come nell'Iliade e nel!'Odissea - ovvero a servirsi di altri

veicoli. Sarebbe stato concepibile anche un cocchio alato, simile -' '

,a quello di Trittolemo, ma senza animali ctonii. Benché dunque

il cocchio in sé sia piuttosto « solare l), anche Ade ne possiede-.

uno. Si attribuiscono a lui cavalli neri, all'opposto di quelli

bianchi di Helios: in tal modo risalta meglio il perfetto paralle­

lismo. È qui evidente ciò che il nome Ade soltanto oscuramente

può esprimere. « Hades» suona nella lingua omerica ancora

« A-ides », e significa colui che è invisibile e rende invisibile,

Il dio che si rinnova 3l

appunto corrispondendo all'opposta caratterIstICa essenziale di Helios: di colui, cioè, che è visibile e rende visibile. Giacché presso Ade e nella sua « dimora », il mondo sotterraneo dei Greci, non si tratta ad esempio di un'invisibilità spirituale, che potrebh' essere anche un elemento positivo, quasi nel sensO di « invisibilia non deei piunt », hensi della mancanza di quella vista e visibilità, che il Sole dispensa. Ciò che Helios dona, qui è tolto. Ma se noi domandiamo: chi può secondo la propria essenza togliere vista e visibilità, se non quegli stesso che le lar .. gisce? e se riflettiamo: non viene forse rivissuta l'invisibilità di Helios ogni notte, e con ]a morte non la si sperimenta in modo definitivo? La risposta è facile: colui che è invisibile e rende invisibile è prohabilmente sempre Helios.

Ciò a cui ci conducono intanto domande e ri1les.sioni è quel rivivere, che alla fine trapassa in uno sperimentare la morte, lUl 'unità che lion è stata ancora disso1ta d,a alcuna dom,anda e riflessione: l'unità appunto di colui che dispensa vista e vita, e

di colui che le sottrae. Quest'unità viene presupposta anche dal

genere di espressione di quel verso al principio dell'Odissea, dove si dice che i compagni di Ulisse hanno « divorato i buoi

di Helios, e questi pertanto tolse loro il giorno del ritorno ».

Che specie di giorno ha tolto qui Helios? Non già un vuoto

giorno astronomico, in cui può accadere ogni cosa, ma un dC('i ..

sivo giorno di vita dei compagni di Ulisse, un giorno carico del

loro destino. Non direttamente decide Helios del loro destino.

Egli non è una divinità che influenza il destino degli uomini,

come nell'astrologia. Egli lascia sorgere il giorno di vita di cia­

scun uomo, con quel destino di cui sia carico. Ma può anche

sottrarre i giorni di vita, e insieme la vista, la visibilità e la vita.

Da questo punto di vista non sembra tanto superficiale e

conforme soltanto all'apparenza sensibile la concezione secondo

cUi la « porta del Sole» viene considerata ingresso all' Ade,

Page 15: Kerényi K. - Figlie del Sole

'f

:12 II padre e il re

(~()IllC nell'ultimo canto dell'Odissea, Helios viene venerato presso

l'ingresso dell'Ade sul Tenaro, e infine il suo altare può stare

persino in un recinto sepolcrale. Secondo la concezione egizia,

che vede l'apparenza piuttosto come qualcosa di m,aterialmente

oggettivo e COSI la inserisce nella mitologia, il dio Sole scende

nel regno dei morti e intraprende con la sua imbarcazione un

viaggio sotterraneo da occidente a oriente, dove di nuovo riap­

pare. alla superficie. Una tale concezione affiora in lardi testi

greci, ma rimane anche li egizia. « Ascoltami, o Beato »), è detto

in un'invocazione al Sole del grande papiro magico di Parigi, « io t'invoco, guida del cielo e della terra e del Caos e degli

Inferi, dove ,abitano le ombre degli uomini, che prima di noi

videro la luce: Ti prego or,a dunque, o Beato, immortale signore

del mondo, quando tu scendi nelle oscure profondità della terra, nella dimora dei trapass.ati, mandami quel!' ombra)) ...

Nell'Odissea una tale concezione viene espressamente ripu­

diata come intollerabile. È detto in quei versi, la cui vigorosa

espressione risale ,all'immediata intuizione dello stretto leg,ame

tra Sole e giorno - una concezione che può venire espressa

anche usando la medesima parola per Sole e giorno, come nel­

l'ungherese nap -: Helios tolse il giorno del ritorno ai com.

pagni di Vlisse, Nel dodicesimo canto questa vicenda viene nar­

rata nella lingua della mitologia olimpica dominata da Zeu,.

Helios apprende da sua figlia Lampetie che i compagui di Ulisse hanno ucciso i suoi buoi e dice:

Zeus padre, e voialtri beati dèi sempiterni, punite i compagni d'Ulisse figliol di Laerte, che i buoi m'ucciser-o, infami! dei quali io prendevo diletto salend-o nel cielo stellato, e quando di nuovo- gin in terra scendevo dal cielo. Ché se per i buoi a me non daranno un degn-o compenso • .scenderò giu nell'Ade, e splenderò in mezzo ai defunti.

Il dio che si rinnova 33

Ciò sarebbe intollerabile: Helios nel regno dei morti! Zeus risponde:

Heli-o,s, risplendi pure in mezzo agli dèi immortali, e agli uomini mortali sulla terra feconda: io prest-o la nave veloce con folgore ardoo.te colpendo in pezzi farò in mezzo al mar scintillante.

Anche questo svolgimento ris.ale infine alla medesima conce·

zione fondamentale, espressa nella frase « sottrarre il di del

ritorno»: Heuos risplende agli Immortali e agli uomini viventi,

non ai morti; ma per i suoi buoi divorati egli si prende in

« compenso» delle estinte vite umane. In questo prendere egli

è come Ade. E il significato di questo particolare genere di riparazione (che razza di ( compenso» sono delle vite ui:nane

in cambio di buoi?) è rivelato dal fatto che a Helios apparten­gono precisamente tanti buoi quanti giorni ha un anno. Si tratta

di giorni, che per i mortali sono vita ...

In quanto prende giorni di vita, Helios è Ade. Ma poi pro· prio nel sottrarIi e nel m,antenerli sottratti, egli non c'è pili.

Li infatti c'è Ade, non Helios. Il pitagorismo elude questa

contraddizione per mezzo di un mondo diversamente formato.

In esso il Sole gira già intorno .alla terra sferica, solida, e mentre

qui sopra è notte, come dice Pindaro, può risplendere là sotto.

Nell',àtnhito della precedente, immediata concezione rimane Era~

clito quando dice che il Sole è « nuovo ogni giorno ». Ma poi la

sua particolare spiegazione «( scientifica» su come il Sole si

formi ogni mattino alI' orizzonte dal fiammeggiare di ignei

v,apori, trascura quella originaria concezione, e rimane per noi

aperto il problema, al quale la mitologia aveva risposto prima ancora che venisse posto dai filosofi: di dove Helios risplende, se non dai vapori ignei che si addensano al mattino?

Intanto anche Eraclito conosce un'altra opinione, che egli

deriva dalla mitologia solare greca e concilia con la propr5a "-·'v,

/ .;'~- .! ,;',,' '"

, '

" ,.

Page 16: Kerényi K. - Figlie del Sole

34 1l padre e il re

teoria. I vapori si raccolgono secondo Ini neIl'« orhita del Sole D,

che va concepito come un vaso rotondo, una specie di « seafa ». La sua evidenza questa mitologica imbarcazione di HeIios la deriva dall' apparenza del Sole: non è un verO e proprio hattello, ma un calice o una coppa, come lo chiamano i poeti. Ma è, cosi possente che altre fonti parlano pili esattamente di un caIdaio. In tal modo viene anche raffigurato in nna famosa pittura vasco­lare, che mostra «Eracle nella tazza del Sole D. Come Eracle venisse a trovarsi in tale situazione lo narravano testi epici, che per noi sono andati perduti. Egli percorreva nel favoloso vascello di Helios il cammina verso l'isola di Oceano, dove Gerioneo custodisce i suoi buoi - sicuramente i buoi del Sole.

Helios medesimo viaggiante in barca fu un tema volentieri cantato dalla poesia arcaica fino alla pili antica tragedia. Lo s'incontra per la prima volta in un'elegia di Mimnermo:

Poiché .sulle onde lo porta l'amabile letto, concavo, dalle mani di Efesto contesto, d'oro prezioso, alato. Sulla sommità delle acque lo porta in fretta, dormente, dalla regione delle Esperidi alla terra degli Etiopi, dove il veloce eocchio e i cavalli aspettano, finchè giunga Eos, figlia del mattino. All·ora sale il suo carro il figliol d'Iperione.

TI cocchio è pertanto il veicolo celeste, ed Helios lo sale

sotto il segno di Eos, dea del mattino. TI caIdaio, al contrario,

appartiene a quell'elemento che qui, agli estremi confini della

terra, non è pili il mare, ma Oceano. Nell'« aurea tazza)} ci viaggia Helios «verso il .cuore della sacra tenebrosa notte, versO

la madre, la sposa legittima e gli amati figlioli D. Cosi leggiamo

in Stesicoro, mentre in Eschilo è detto in modo alquanto

diverso: «Fuggendo l'oscurità della sacra notte coi suoi sacri

cavalli D. In cielo sale, stando snl cocchio, anche la dea Notte.

Helios fngge la sua tenehra e scompare nella sua profondità.

Il dio che si TÌmwva 35

Un poeta si accosta alla medesima sitnazione da nna direzione, un altro da una diversa. Qual'è questa sitnazione?

II Sole in un recipiente rotondo, natante; noi ritroviamo nel cnlto qualcosa d'identico, o quanto meno di assai simile. « C'è un po' d'acqua conflnita in una cavità, e che la gente dice sacra al Sole. Vengono mostrati Ii vicino anche due altari, rivolti uno a occidente, l'altro ,a oriente D, cosi Dionigi di Ali­carnasso ci rappresenta un luogo sacro al dio Sole nelle vici­nanze di Roma, presso l'antica Lanrento. TI dio Sole è qui chia­mato Sol Indiges, con un nome esattamente rispondente al «padre HeIios D.Ma fn un errore credere che si trattasse di un particolare culto solare itaIico. Come in tante concezioni apparentemente originali della religione romana o paleoitalica, anche qui si ritrova il grandioso prototipo greco. È il rotondo stagno cnltnale nell'isola di DeIo. « A foqna di rnota », e quando Apollo nacque nelle sne vicinanze, splendette «d'oro tutto il giorno », ci dice Callimaco nel suo inno a DeIo. Anche se Apollo non fosse il pili solare di tutti i solari rampolli divini, e l'aurea luce intorno alla nascita di Apollo non attestasse il Iato solare dell'avvenimento, il rapporto dello staguo sacro col Sole sarehbe pur sempre certo. Tutta una serie di arcaici leoni di pietra stanno li accanto a lui: possenti statue dell'animale sacro al Sole. Giacché il leone era tale non solo nella simbolistica del­l'antico Oriente, ma anche nelle monete greche di Rodi, Cnido, Samo e Cipro.

L'intera situazione che ahMamo potuto fissare - il Sole in un tondo recipiente natante - viene però in luce innanzitutto nel mitologetna della natante isola di Delo. Non una terra ferma, e neppure nn'isola ferma dové costituire la scena della nascita di Apollo, ma un minuscolo isolotto galleggiante. E a quest'isoIotto appartiene lo stagno rotondo. Se crediamo alla testimonianza dei due altari presso lo staguo solare di Lau­rento, in essi venivano simboleggiati il tramonto e l'aurora,

Page 17: Kerényi K. - Figlie del Sole

36 Il padre e il re

apparentemente contrastanti. Secondo l'una, Helios abbando."a nn «meraviglioso stagno». È la stessa parola che impiegano anche Teognide e Callimaco per lo stagno solare di Delo. Secondo l'altra locuzione e intuizione, Helios sorge da « Oceano dalle profonde correnti ».

L'intuizione mitologica concilia appunto questa contraddio zione. Un piccolo circoscritto specchio d'acqua è sospeso, come in una coppa o in una caldaia, sulle primordiali acque scorrenti senza fine. Considerati in base a questo quadro, lo stagno cul­tuale e il vaso cultuale rendono presente quello che altrimenti era irraggiungibiIe: Oceano. (Nessun genere di recipiente ha rappresentato nel phi .antico culto greco una parte cosi grande e misteriosa colne il caldaio di bronzo). Uno stagno, in cui si rispeechiano il tr,amonto ·e r aurora, ovvero un caldaio, anche esso piccolo, rotondo e circoscritto, racchiudono il medesimo evento, ,al pari dell'infinito Occano: il fuggire, l'inabissarsi e il rinascere di Helios. Sembra quasi che si neghi il significato della grandezza spaziale, dell'estensione, e anzi il significato in genere del concetto di dentro e di fuori. Non troviamo qui forse intorno allo stagno e in esso, dentro e mori, il medesimo ele­mento, l',acqu.a? Analogamente avviene in quella situazione in cui Helios fugge la notte e insieme ricerca la notte, dove egli è padre presso la sposa e i figli, figlio presso la madre. Stagno solare e caldaio solare racchiudono il mistero di questa notte - il mistero del rapporto di Helios con Oceano.

Un r:acconto, che in Grecia rappresenta, per cosi dire, un masso erratico di una piu antica mitologia solare, ci permette di parlare in senso assoluto di un « mistero del caldaio», del significato misterioso di questo arcaico arnese di culto. È il grande mitologema dell'eroe solare Giasone con la nipote di Helios, Medea. In siffatti antichissimi mitologemi, il tema fon­dalnentale appare risolto in diversi aspetti, allo stesso modo che un tema melodico varia e si sviluppa nel drammatico giuoco.

Il dio ch'e si rinnova 37

A Delo, secondo la mitologia classica, doveva certo trattarsi soltanto di una nascita « solare », una nascita lavorata, per cosi dire, col materiale mitico dell'aurora. Ma quando viene descritto il nascere del Sole, la poesia omerica si serve di due espressioni ddJ.e proprie variazioni. Giasone rappresenta qui l'aspetto eroico, o piu esattamente viene rappresentato come una variazione eroica, della melodia solare. Di essa la forma pili passiva è l'agnello d'oro, in questo mitologemail vello d'oro custodito dal drago. E ci viene narrata un'impresa di arte magica della coa­diutrice e vendicatrice Medea, nella quale si deve riconoscere una azione sacr,a per il rinnovarsi del Sole. Medea si mostra grande nello smembrare: essa smemb~a sno fratello Apsyrtos, chiamato anche Fetonte, che porta cosi nn nome di Helios, e ne getta i pezzi in mare. Il preciso significato dell',azione diventa chiaro in quanto Medea la compie come nna specie di sacrificio: in quanto essa fa in pezzi un ariete e ne getta i pezzi in un calda io ringiovanendo il vecchio animale sotto forma di agnello. Allo stesso modo deve avere ringiovanito il vecchio padre di Giasone, e anzi Giasone stesso.

Il destino dell'animale solare sacrificato - ariete o bue che sia - ci rivela il mistero del calda io : esso nasconde il dio Sole in quella tenebra del sonno, anzi del lento addormentarsi, che solo rende possibile lo svegliarsi per un « rinnovarsi ogni giorno l). Dove questa tenebra persiste eternamente, cioè nella morte degli « esseri di un giorno», dei mortali che vivono una sola volta, li deve parlarsi di nn regno che viene costituito per mezzo della poten.za di Helios manifestante,i nel proprio sot­trarsi, cioè per mezzo di Helios in quanto Ade: del regno dei morti. Ma dove la sacra notte, durante il ringiovanente sonno di Helios, nasconde pomi aurei avviluppati da draghi e vello d'oro, tesori delle occidentali Esperidi e di Aiete colchico, germi di Sole che si svilupperanno in giorni di vita, li trovasi sicuramente un ,altro regno che è al di fuori della vicenda dei

Page 18: Kerényi K. - Figlie del Sole

38 Il padre e il re

giorni e delle notti come la «dimora di Ade» - il regno di

Oceano. Che cos'è Oceano? La genesi degli dèi, anzi di tutto ciò che

esiste, è detto assai chiaramente nell'Iq{tUle. Se si volesse tra­durre « genesis» con « origine», bisognerebhe prescindere in quest'ultima parola del carattere di zampillo e di lUUl sola vr>lta, e rappresentarsi un continuo fluire, che scaturisce 'da un inin· terrotto processo generativo. Oceano è in tanto la genesi di tutto, jn quanto fu il primo procreatore, insieme con la sua compagna, la prima madre in quest'umido elemento: Tetide. Dalla circostanza tuttavia, che Hera può pretendere nell'Iliade di riconciliare tra loro i due primi genitori, segue che quel pri. mitivo processo generativo cosmogonico non continua piu: il mondo dell'olimpico ordinamento degli dèi non è piti il mondo della genesi, traboccante in forme nuovamente gene­rate. Naturalmente Oceano col suo flusso primordiale, che mantiene il prodotto del fiuire per entro il già assicnrato perpe­tnarsi di tutte le acque e i sncchi vitali, Oceano, nella sna «forza possente» si trova, anche tale, ancora Ii. Hera poté visitarlo nella sua « dimora». Ella invita anche Helios, quando questi indugia, a far ciò. E il suo sciancato figlio Efesto, che lei per vanità ha scaraventato lontano da sé, ascolta nella caverna dove lavora per le sue salvatrici, le dee del mare, lo strepito della corrente di Oceano spnmeggiante là intorno e rifinente senza fine. Poiché costui scorre ormai pacato «tornando su se stesso». II resto si deduce dalla posizione della sua « dimora )l.

Chi lo raggiunge - e ciò è impossibile agli ordinari mortali - raggiunge i «confini della terra». Ma li cessa ogni ulteriore delimitazione e quindi anche ogni precisazione spaziale e teDi­porale. La delimitazione ha valore soltanto verso la terra, la quale ha anche un'estensione - fino ai confiui, che abbracciano in cerchio essa e tutti i mari possibili e che sono Oceano. Giac­ché questo significa l'espressione «confini di Oceano)l. Una

Il dio che si rinnova 39

« delimitazione di Oceano » non esiste fnorché in rapporto alla terra, che sola è circoscritta e circoscrivibile. Dal Iato di Oceano ogni estensione si annulla. Ciò viene espresso per mezzo della rapidità della corrente di Oceano. Helios deve soltanto salire nella «tazza D, e in «vertiginosa velocità» giunge da occidente .a oriente. Ovvero là oriente ed occidente trapassano l'uno nel· l'altro. L'identità delle regioni orientali e occidentali è stata notata in un lavoro straordinariamente profondo sul Kosmos di Oceano: «Aia giace verso oriente, Aia giace verso occidente, e tuttavia ambedue sono unite come sorelle in Aiete e Aiaia Circe, geneticamente una cosa sola », scrive l'autrice,l e accenna al racconto che Aiaia Circe aveva originariamente abitato col fra .. tello Aiete nella sua Aia, e poi il padre l'aveva portata in occi­dente. In tal senso viene lumeggiata anche la singolare sitna­zione che si profila davanti a noi sia quando Odisseo nell' Aia di Circe, che è rivolta verso le tenebre, protesta inquieto di non sapere dove è Zophos e dov'è Eos, dove Helios nasce e dove .scende sotterra, sia quando poi si rende manifesto che in que­st'Aia occidentale sono la dimora e i luoghi di danza di Eo. e l'aurora del Sole.

Non è qui, assolutamente necessario pensare a un trasferi­mento di Circe da occidente a oriente, benché già Esiodo lo abbia fatto. Quando Helio. sale nella corrente di Oceano, l'ap­parente incomunicabilità tra occidente e oriente si risolve in una situazione che richiede le immagini dello scatnrire e del fiuire. Cosi Eschilo parla delle « sorgenti del Sole», che si po­trebbero rendere ,anche mediante «corrente del Sole ». Tiepido fluisce là, dice altrove, e racconta inoltre non di un fiume ma di uno «stagno, che tutto alimenta, su Oceano D. Soltanto in modo contraddittorio pnò essere descritto quel luogo fuori di ogni luogo, dove Helios è snlI'Oceano e insieme dentro la sna

, PAULA PHlLIPPSON, TheMolisc/w My.hologie (N. d. T.).

marco
Evidenziato
Page 19: Kerényi K. - Figlie del Sole

'40 Il padre e il re

corrente. Neppure il « difuori)) in rapporto alla terra risulta determinato da quella posizione. Poiché tutto ciò di cui si rac· conta che giaccia fuori dei confini della terra, avvolto nella tene· bra, come la casa di Ade, viene anche trasferito nelle profondità della terra. «Tenebra)) e « profondità terrestre)) sono soltanto espressioni diverse per dire che qui v'è qualcosa al di fuori della vicenda di giorno e notte, e quindi non soltanto fuori di ogni luogo, ma anche del tempo.

Per giungere a una situazione come questa, il filosofo Par· menide, nella visione introduttiva de] suo poema didascalico,. ",le sul cocchio di Helios. Cosi egli crede, confermando invo· lontariamente l'intuizione fondamentale del mitologema della tazza solare, di giungere, attraverso la porta della vkenda di giorno e notte, a quello che per lui costituisce 1'« ,essere )), ma i cui attributi convengono largamente anche ad Oceano. Insieme con Oceano appare tuttavia - espresso COSI facibnente in ter· mini di mitologia ciò che in termini filosofici è cosi indicibil. mente difficile - la genesi stessa nella aspazialità e atempora. lità dell'Essere assoluto. E di qui affaccia il suo splendente volto, nuovo ogni giorno, il padre Helios.

Il Titano

Ogni mattino della nostra vita Helios rinasce, per donare paternamente a tutti i mortali un giorno di vita. Il mistero della sua rinascita non è in primo piano nella mitologia greca: esso rimane il segreto della sua tazza d'oro. Tuttavia le nascite di rampolli divini, come quella di Apollo o del mistico fanciullo divino di Eleusi, vengono abhellite con la perspicuità e lo splen. dore della nascita del Sole. Ricaduto o tornato nell'Oceano, presso la sposa e i figli e presso la madre, riunitosi con la COl"

rente della genesi, Helios è solo or,a veramente paterno, e in­sieme figlio. Non ci sorprende piu se al suo cocchio, ancora nel chiaro cielo del giorno, sono attaccati gli animali ctonii che al. ludono alla generazione. E se ora anche il suo tramonto di tutte le sere nascondesse pei Greci una specie di mistero? Da ciò che ci è stato reso noto dalla mitologia solare greca, siamo autoriz­zati piuttosto a formulare una tale domanda anziché a supporre affrettatamente che Helios sia per la sublime contemplazione spirituale, con la quale questo popolo imparò a vedere le divi. nità della sua religione, troppo elemento per aver potuto impero sonare una forma spirituale dell 'essere cosmico (ciò che costi .. tuisce l'essenza di una divinità prettamente olimpica), troppo

marco
Evidenziato
Page 20: Kerényi K. - Figlie del Sole

42 Il padre e il re

luce perché si potesse per mezzo suo esprimere il profilo fine· mente ombreggiato di una realtà naturale vista da ogni lato.

Senza duhbio Helios rimane, non diversamente da ()ceano, alla periferia del nuovo olimpico ordinamento di dèi divenuto classico. Ma proprio in relazione .a ciò, è detto giustamente nel Kosmos di Oceano: « Oceano ed Helios, colui che col suo fluire abbraccia tutto e colui che vola su tutto, il principio di tutte le cose e colui che vede tutto, i due che non escono mai dal loro tracciato, sono in questo aspetto del mondo i garanti della coe· renza e regolarità di questo mondo. E inoltre: con trasparente

evidenza i miti di questo cosmo di Oceano e di Helios rappre· sentano l'intuizione greca che luce e tenebra, giorno e notte, auror.a e tramonto, tutte queste manifestazioni polari e i loro correlativi - vita e m'Orte, nascere e morire, felicità e infeli. cità - siano particolari fenomeni costitutivi di un unitario e originario fenomeno divino, la cui forma primitiva si esplica polarmente in questi fenomeni e in essi diviene manifesta. -Poiché essi sono UDa cosa sola, - dice Er,aclito di giorno e

notte ». Soltanto non va trascurato il fatto che Helios nella sua tazza

giunge oltre questo mondo, e ]e sue « sorgenti» preesistono a questa polare esplicazione; che lui, analogamente a Oceano, espresso filosoficamente è un proteron, mitologicamente una pin antica divinità di carattere primordiale, la cui irruente forza non s'inserisce in modo del tutto evidente nel nuovo ordina­mento del mondo. « Il Sole uon oltrepasserà la sua misura)), dice Er,aclito. Ma aggiunge: «Altrimenti le Erinni, ministre di Dike, lo scopriranno)). Soltanto dopo la cessazioue del suo ori· ginario spiegamento di forze, Oceano poté divenire «garante della coerenza e regolarità di questo mondo)). Anche la mode· razione di Helios può essere intesa solo come attenuazione delle sue forze originarie. Ma questo mondo, secondo i racconti greci intorno alla sua origine, viene per mezzo di quelle forze costi-

Il Titano 43

tuito non meno che per mezzo della moderazione. Se intorno a lui desideriamo apprendere qualcos'altro di ancor pili esseno ziale, dobbiamo tenere presente anche la sua funzione cosmo­gonica.

In una cosmogonia un mondo si esplica attraverso un narra­tore. Però solo uei limiti di certe possibilità della umana capa· cità espressiva, in h.ase alle quali vengono fissate insorpassabili regole di stile. Un.a digressione è necessaria per chiarire queste regole, nel modo phi breve possibile.

Nessuna cosmogonia - nessun mitologema circa l'origine del mondo, si tratti di creazione o di un sorgere spontaneo, di rac­conto « libero» oppure « canonico» - può rendersi indipen­dente dal mondo che già esiste e che comprende lo stesso narra· tore, né dalla sua pensahilità, in quanto questo mondo è non soltanto sensibile, ma anche concepibile, e può schiudersi a un essere pensante. Questo mondo si riflette in modo incancella­bile nel patrimonio lingUistico. Pertanto anche un mitologema circa 1'origine del mondo può venire formato so].o nella materia lingnistica di questo mondo, in parole che hanno un riferimento al mondo già « formato» e da quest.o tragg.ono il loro contenuto. E il mitologema può venire esposto soltanto nel modo in cui il processo dell' origine del mondo si riflette nella coscienza di un essere pensante. Da ciò derivano due paradossi propri di ogni 'Cosmogonia.

Il primo paradosso è questo: benché ogui racconto dell'ori. gine del mondo abbia come punto di partenza il Non·essere· ancora di questo mondo, tuttavia esso deve parlare di questo Non-essere-ancora, come se qualcosa già ne esistesse. Il nulla viene rappresent.2'to e perciò vi è già qualche cosa, ad esempio, in molte cosmogonie, l'acqua. Come paradosso proprio della fonna di un mitologema cosmogonico si spiega la famosa diffi­<ooltà !!Tammaticale del Genesi biblico. Si dové dire: « In prin. -cipio Dio creò il cielo e la terra, e la terra era deserta ... » Se-

Page 21: Kerényi K. - Figlie del Sole

44 Il padre e il re

condo il senso grammaticale c·'è qui però qualcosa di apparen­temente assurdo: al principio della creazione della terra per opera di Dio (in breve: al principio della creazione) la terra era deserta .. Dunque la terra già esisteva? Si, nel racconto. Il nulla può venire espresso in termini non filosofici, secondo lo stile dei mitologemi, soltanto come se fosse qualche cosa: terra o ,acqua, o tutt'e due - soltanto, deserte. Con la logica non ci si può avvicinare a questa forma del racconto mitologico, perché essa è semplicemente forma e, come tale, inevitabile.

Secondo paradosso: henché si parli dell'origine del mondo come di qualcosa accaduto al di fuori di colui che lo pensa, questo accadimento viene rappresentato COme un venir fuori nella coscienza del pensante. Anche ciò è inevitabile. In tale venir fuori la tenebra, conforme all'esperienza, precede la luce. Se non si ponga di proposito la luce al principio come valore piu alto, ve la ritroviamo, come chiarezza, già nel momento successivo, subito dopo la tenebra: la chiarezz,a su ciò che nasce nel pensante, cioè il mondo. Non c'è 'da stupirsi che non soltanto luce e chiarezza in alcune lingue siano denominate con la mede­sima parola, ma che anche il mondo possa chiamarsi allo stesso modo. Cosi l'ungherese vilag ha tutti e tre i significati. Nel rac­conto biblico della creazione Dio comanda: Sia la luce. E la luce fu, prima ancora che fossero il cielo, il 801e e le altre stelle. Nessuna cosmogonia è pensabile senza che il mondo « sora Il")). Ed esso sorge non altrimenti che nella luce. S'intende, in colui che pens.a: in una cosmogonia si dovrebbe naturalmente dire come il mondo per la prima volta sorse fuori! Qui noi in· contriamo il secondo paradosso, formalmente necessario, di ogni r.acconto cosmogonico. Né il vasto mondo, né la coscienza umana possono essere esclusi quali presupposti delle cosmogonie.

E qui si presenta un terzo paradosso. Un mitologema cosmo­gonico, formato con materiale linguistico di questo mondo e rivissuto dalla coscienza, ha esso stesso il carattere di creazione,.

Il Titfl1l{) 45

al pari di ogui creazione spirituale. Esso possiede tale carattere come opera che ci afferra alla maniera dell'opera d'arte. AI carattere di creazione appartiene anzitutto il paradosso della corrispondenza. Un''Opera ha val'Ore di creazi'One e non di mera compilazione soltanto quando corrisponde a ciò che nel nostro mondo è reale. Nel caso di un mitologema cosmologico questo parad'Osso cade. Avviene qui come in un' 'Opera musicale, la pre­tesa della corrispondenza non si solleva nemmeno. Nella forma del sorgere si ha appunt'O un unico processo, che possiamo se· guire, e nessun altro, al quale questo debba corrispondere. Al. trimenti verrebbe seguito appunto quest'altro, questo « reale », e cosi si avrebbe la cosmogoni.a « propria)} che non potrebbe essere confrontata con nessun processo pÌ'li « genuino ». Un mi· tologema cosmogonico può essere accettato soltanto senza con­fronti, altrimenti si tratterebbe di una serie di ipotesi scientifi­che, non di un mitologema.

Il terzo paradosso della cosmologia come tipo di racconto consiste dunque nel credito dato al mitologema della creazione, da accogliere spontaneamente, come si accoglie un'opera musi· cale. Al carattere di creazione appartiene cioè anche il para­dosso dell'autore. L'opera fatta di propria mano viene già dal suo autore - qualora si tratti realmente di creazione e non di compilazione - accolta in tal modo, quasi giungesse a lui come una specie di dono di una potenza pinalta, posta al di fuori della sua coscienza. II narratore - lo sa benissimo - non era presente alla nascita del mondo. Ciò che egli racconta è opera sua. E tuttavia può riferirlo in modo credibile, perché la sua coscienza per prima lo accolse come rivelazione. In ciò consiste ]' attestazione: lo si crede, perché lo credette anche quegli che per primo lo udi - lo udi soltanto. Per esempio dalle Muse, come Esiodo.

Che cosa udi Esiodo? Seguiamo la cosmogonia, che è conte· nuta nel suo poema intorno alla genealogia degli dèi, la Teogo.

Page 22: Kerényi K. - Figlie del Sole

46 Il padre e il re

nÙl. Al principio di tutto nacque il Caos, il vuoto, l'abisso. Poi la Terra, l'elemento solido. Questa è la prima esplicazioue in senso polare di quello che li comincia a svilupparsi. Ed Eros fu il terzo elemento sorto con la prima emanazione, e causa di emanazioni ulteriori. Dal vuoto abisso emanarono Erebo8 la Tenebra, e Nyx la Notte; e dall'unione di questi due i loro polari contrapposti: Aither la Luce celeste, ed Hemera il Gior· no. Quindi un 'ulteriore emanazione polare da parte del Caos - di ciò che abbraccia, come un abisso. È la nascita della Luce e del suo equilibrato riscontro con la Notte: la nascita del Giorno. Entrambi: Giorno e Luce sono qui vuote, infeconde, mere nega· zioni della Notte gr,avida di una genia di larve, manifestazione di un pensiero che ritrova la sua particolare chiarezza Del mon­do, e che è dotato di forte capacità di astrazione.

Dall'altro lato procede un'altra emanazione. E semplicemente per il fatto che Mn viene tenuta presente la relazione temporale di queste emanazioni - se accadano contemporaneamente e con lo stesso ritmo, ovver(} se il loro rapporto sia diverso, -càpita a questa cosmogonia di rimanere fino al principio del re· gno di Zena, fino al principio cioè dell'emanazione del nuovo ordinamento olimpico - del primo ordinamento in genere -, totalmente fuori del tempo. Solo con l'assoggettamento dei Ti. tani e il collocamento forzato di Atlante a mantenere separati Cielo e Terra, solo con questi atti di fondazione di Zeu, venne fissato un punto fermo, dal quale alla Notte e al Giorno fu pos­sibile cominciare a divergere l'uno dall'altro e armonizzare il loro alternarsi. Atlante sta li « davanti», davanti ai Titani scacciati, i quali rimangono dietro a lui, « dentro » la profonda tenebra, definitivamente « foori» dal mondo ordinato di Zeus. Davanti a lui - si può già dire, nel futuro - si avvicendano Giorno e Notte. Nella loro combinazione compare già un futuro.

Ma torniamo all'emanazione della Terra. Si tratta di un'ema­nazione di paesi - mari e monti - ma anzitutto di un'esplica-

Il Titano 47

.ione polare. Come all' altro lato procede l'esplicazione polare dell'elemento privo di sostanza, cosi qui quella dell'elemento sostanziale. La Terra, la materna Gaia, genera il suo sposo, il Cielo stellato Urano. Dalla loro unione feconda nasce tutta la serie dei Titani, con Oceano alla testa. Costui apre la serie, e con Tetide la enumerazione delle Titanidi si chiude. Titani " Titanidi sono ugualmente compresi nel ciclo della primordiale generazione, fin al pin giovane di essi, Crono, il quale ne provoc.a con la forza la cessa'zione. Questa cessazione a,'veniva anche in quell'altra cosmogonia accennata nell'Iliade, ma li per discordia tra i primi genitori. Oceano e Tetide compaiono in Esiodo in­sieme coi Titani, perché in questa cosmogonia si tratta qui per la prima volta di qualcosa di pili che non una pura esplicazione: cioè di una genesi. Nessuno dei Titani ha un nome esplicito, lo hanno piuttosto le Titanidi, che {( esplicano » la prima dea Gaia, e quindi il primo femminino.

I Titani hanno un nome enigmatico, in parte sicuramente non g~eco. Iperiore rappresenta forse un eccezione. l'tlBisB, eàQ non condIVlae la sorte aermai;f~"~~;"-~h~·,'"'~~~e·'~&~ano·, viene accolto nell'ordinamento"" dermoiììIodi7eus." Eglr-è"""hifì'illm éòh-,·'ltéUbs:"'-MislèHoSò~' --elipure"-'Ìft sostanza univoco, suona in Om;;';ifd;;'ppio nome del Sole: HyperionEeHoi.-rr"nome-iii"-'­nìCO'TSempre al'priiiiOposto:"La de;}~-;n;~io~; che si presenta accanto a questa, Hyperionide" accenna al fatto che Helios ap­partiene a Iperione solo in quanto figlio. Ed a ciò corrispon.1é anClìelilTIiiea genealogica di E,l"'do. Co'n questo la misteriosa unità non scompare dal mondo omerico. II carattere titanic? appartiene alla piena dignità di Helios. Il sUo;;o;;;;;-iii-Tit;';;' èreIatlvamente -traspare-;;'te:"press'a poc~- equivalente al latino sUpè,,';r:C~~p~ì;~bb';'çhia!PJ!J"&Uo stesso dio del Cielo. ".

- ·-Dei rilDane~tCtre Titani, che Esiodo nomina in serie Koios, Krios, Japetos, il primo porta un nome che probabilmente non è greco, ma significa egualmente qualcosa di simile. Koios è

Page 23: Kerényi K. - Figlie del Sole

48 11 padre e il re

la forma maschile di Koia, un vocabolo raro, proveniente pro­babilmente dall' Asia Minore, e il cui significato si è conservato. Esso vuoI dire lo stesso che in greco sphaira, « sfera»; in que­sto caso « sfera del cielo». Per cui « Koios» sarebhe, come « Sphairos », dio del cielo. Con tale significato s'accorda anche la serie genealogica che procede da lui. Sposa di Koios è Phoibe, loro figlie sono Latona e Asterie - questa con il nome tra'pa· rente di « Stellata » - e la figlia di Latona Artemide. La serie: Phoibe-Latona-Artemide è di carattere ,abbastanza lunare. Ac­cantO.R questa corre la serie: Phoibe-Asterie-Ecate con una dea, per nipote di Koios, forse ancora pili lunare. Il padre di Ecate si chiama Perses, un nome di cui una forma collaterale è por .. lata da un eroe di antichissimi mitologemi solari e lunari: Per­seo, l'uccisore della lunare Medusa e il liberatore di Andromeda, ed esso stesso uno dei solari ram polli divini. Il significato dei nomi Perses-Perseus e dell'altr,a forma di « Perses», Persaios, è confermato dal fatto che il vocabolo perra, foneticamente affine, è in greco una parola straniera per « Sole », Perses è, insieme con Astraio, e Pallante - il dio alato del Cielo -, figlio del Titano Krios, il quale per mezzo di tale prole (sep­pure non già per mezzO del nome, che ha lo stesso suono di krios, « ariete», in questo caso probabilmente « ,ariete del Sole») si dimostra parimenti dio del Cielo.

Iperioreha dun~~,J!i'.t JUl..<keUrano, il"J;;i~I!!. Egli porta un nome"-che-"signffica press'a poco lo stesso. Suoi frateIii sono: i dèi del Cielo Koios e Krios, la cui prole di nuovo « dispiega» soltanto il Cielo. I suoi figli formano la trinità Helios, Selene, Eos: Sole, Luna, Matiirio:-'I.a. suà'-'sposa è conosciuta ~~~1ii-~~6me­Eurypnaes!a, '«coreiche splende lontano»,' tuttavia soltanto n~lI~ ,~!!!r, __ ~avverso a -iutt?:'~',c~~_ che è miste~ioso, dell'omerico Inno a Helios. In Esiodo questa Titanide, la madre di Helios, no'; lia~;i;"~Jiòme proprio: poi~hé « Ti.eia» vnol .dire semplice­mente la «Divina». Shnilmente accade alla moglie di Helios,

Il Titano 49

che in Omero è chiamata Perse, in Esiodo Perseis, «figlia di Perse». Ma quale? Una Perseis è anche Ecate. Di Theia rivela Pindaro che ha molti nomi, ma oltre a questo soltanto che èld che rènae roio"preiioso.Da"Ièideriva ciò che è beatificante nello splendore, 'il quale appartiene nello stesso modo al Sole e ,al metallo sotterraneo. Theia può in questo avere relazione tanto con gli Inferi che col Sole. Con Perse-Perseis è unita me· diante il nome anche Persefone, la regina del rcino dei morti. Il resto della parentela titanica rimane cosi tanto pÌ1i univoco: un-turhine di dèi celesti stellari, che non ha il suo uguale in tntta la mitologia greca.

Una tale ridda I, guidata da Iperione insieme coi suoi fra­telli Titani. Essi sono veri figli del padre loro: divinità celesti, solari o stellari, nelle quali si esplica l'essenza dell'antico pro­genitore, il dio Urano, meno però nella ricchezza di forme con­cettualmente chiare, che non nella esuberanza di forza stella re, per cosi dire di bruta solarità. Per l'interpretazione di Esiodo non è necessario stabilire se i Titani, come portatori di tale forza, venissero onorati nei piu ,antichi culti greci e preeIlenici. Una cosmogonia non vuole fissare la notizia di culti antiquati, hensi le stesse potenze originarie che sono ancor sempre rag­giungibili dalla memoria mitologica, e che possono mostrare <:on altrettanta immediatezza anche il loro allontanamento.

A nessuno dei Titani 1'« allontanamento» si applica in modo ·cosi conforme alla sna essenza come al piu giovane fratello di Iperione: a Crono. Non divagheremo troppo dalla lista dei, Titani esiodei e dalla genealogia della stirpe di Iperione Se dedicheremo qualche parola a Crono.

Il nome « Kronos» non è trasparente. L'attributo di Crono, la spada-falce, e la mutilazione di suo padre, che prepara la fine del primo processo generativo, lo pongono accanto alla figura dell'assai primordiale eroe solare Perseo. Anche l'altra .sua orribile azione, quella di divorare i propri figli, ce lo fa

marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
Page 24: Kerényi K. - Figlie del Sole

50 Il padre e il re

apparire come un antichissimo dio mitologico. Del suo carat~

tere solare testimoniano. il culto greco, e anche i Satumali ro· mani e le feste di Crono della tarda antichità. In Attica veniva festeggiato in piena estate; in Olimpia nel giorno dell' equinozio di primavera, mentre i Saturnali e feste posteriori cadevano nel tempo del solstizio invernale. In Olimpia aveva inoltre anche un altare in comune con' Helios. I suoi sacerdoti si chiamavano. colà Basilai, ciò che non a caso nella sua radice, e certo anche nel significato, corrisponde al vocabolo greco per re, basileus. Crono è il re, da cui suo figlio Zeus ha ereditato il diritto a tale dignità. E il regno di Crono sussiste anche pili a lungo: sol· tanto, nel confino a lui caratteristico. A lui appartiene l'età dell'oro, lontana nel tempo e nello spazio, ritiratasi nelle re· mote Isole dei Beati. Un presago poeta del nostro tempo, Hofmannsthal, lo dice in modo del tutto corrispondente al senso di questo antichissimo mitologema:

Nelle terre del s-ole- sopravvivono gli antichi tempi sublimi ancor sempre - ancor se,mpre laggiii.!

Fu il piu giovane figlio di Crono, il successivo re degli dèi, Zeus, che lo bandi dapprima, insieme con gli altri Titani, nelle profondità della terra, e quindi in quella oceanica distanza. Crono aveva fatto qualcosa di simile col proprio padre, quando allontanò la generante forza di Urano e costrinse lui a ritirarsi nella sommità del cielo. La lontananza del cielo e quella delle Isole dei Beati di Crono non sono essenzialmente diverse. E corrisponde all'idea di questo re di paesi lontani il fatto che gli astrologhi greci designarono col nome di Crono il pianeta piu remoto, pili fosco e tardo, che i Babilonesi chiamarono « stella del Sole)l, quasi un secondo Sole, piu piccolo e oscuro.

Una copiosa solarità, trasferita piu tardi a remota distanza, risplende in quel momento dell'origine del mondo, in cui com·

Il Titano 51

paiono i Titani. Nei suoi avi Helios, in Esiodo, si è per cosi dire moltiplicato in tutte le potenze del cielo. I poeti poste. riori, che lo invocarono semplicemente COme il Titano, cono· scevano ancora intorno a lui qualche cosa di fondamentale. E adesso che cosa ci dice di lui questo nome? Premettiamo che la tradizione del carattere priapeo dei Titani coincide piena. mente con la loro situazione nella cosmogonia esiodea. Auche a questo riguardo essi sono soltanto figli dell'insaziabile pro· creatività del dio del Cielo, i portatori solari di una paternità celeste, che i Greci avevano sott'occhio Don soltanto nel mitolo­gema dell'iniziale unione di Urano e Gaia, ma anche nelle ripe­tute fecondazioni della terra dall'alto. Essi vedevano il ripetersi di qUesta situazione primordiale nella pioggia. Ma a Trittolemo attribuirono il cocchio del Sole, con cui egli portava dall'alto agli altri popoli la prosperità del seme di Demetra. Il mitolo. gema della nascita di Perseo, rampollo solare cOSI titanico, nar· rava perfino di una fecondante pioggia d'Oro ... Ancor piu vigo. rosamente di questi ridenti quadri, il nome « Titano» esprime il celeste generarsi della nostra vita per virtu del Sole.

La p,arola titan sorse probabilmente nei Balcani, da, uno stratoTinguistico preeIIe~Ero"~iiolf~ neoossifrlamenUi:' 'u'q,tr-in­doeUr(;peo'. Se ne poté accertar~ con notevole sicurezza il signi­fi;';;:;;; in <j1lanto una forma femminile, che foneticamente appa~. , tiene allo stesso ceppo' e's'avVicina del tutto al significato rivelato dall'interpretazione, venne usata da poeti greci. Questuarola è

iitò~-'c~ecome'-~_~:VfnH~_",~.~_~~~,a!~ ad Eo,~ e signifì~~ ~~~~:'~~jno », « giorno », e anche r«,in~o,~i». Per intenderlo appieno, do­vremmo. rivolgere "l'atte~zi~~~~d' alcuni versi di Omero, come Od. V 390, dove è detto: « Ma quando Eos, la dea dalle belle trecce, porlò il terzo giorno ... » Nell'aurora c'è quindi già un giorno intiero. Perciò Tito significa ambedue le cose: Eos ed Hemera, « mattino» e « giorno». Il significato di « giorno» spetta anche al nome dell'amante, o figlio di Eos, « Tithonos >,

Page 25: Kerényi K. - Figlie del Sole

52 11 padre e il re

foneticamente affine. il confronto con la parola albanese per giorno, dite, permise di ricollegare queste a una radice di egnale significato, a una parola che nel carattere solare del Ti· tano poneva in rilievo l'aspetto del compimento del giorno.

Il giorno portato a compimento dal Tit'ano non può in nes, sun modo essere la vuota Hemera, piena soltanto di luminosità. A questa Esiodo assegnò nella cosmogonia un posto separato dai discendenti di Urano e di Gaia. Se a lni si attribuisce con diritto l'affermazione che figlio di Aither e di Hemera sia Brotos, il « Mortale», il predecessore e modello di tutti noi, ecco riem· pirsi d'improvviso anche la vuota Hemera, e diventare gravida della nostra vita. Empedocle chiamò anche Aither «Titano)). e con ciò colse in esso il Iato solare. È tuttavia ass,ai dubbio se l'antore della Teogonia debba essere preso in considerazione per tale dottrina. I (( giorni di vita », in contrapposizione ai giorni astronomici e puramente astratti, si possono chiamare pin pro­

priamente «giorni dei Titani» che non «giorni del Sole », e appartengono qnindi al lato di Gaia e di Urano. A questo lato,

alla prole di questi due, appartiene anche l'intero olimpico

mondo degli dèi, e infine l'umanità.

Quella titanica è una fase fondamentale di tutta questa me· ravigliosa fioritura. La sua impetuosità ed anche quel partico.

lare atteggiamento dello spirito, che Prometeo sostenne di fronte

a Giove, dovettero rimanere relegati nella lontananza, come

pure vi rimase la dolcezza di una vita realmente solare sotto

l'aureo regno di Cron-o. « Aureo giorno!» Esso non risplende

quaggiti mai « come prima! » Nessun titanismo, costituito sol.

tanto di forza e di astuzia, poté ricondurlo. Ma questa vita, che

i nostri giorni pur sempre contengono? Essa procede dalla pri­

mitiva coppia divina: da un lato da Gaia e da sua nipote De·

metra, dall'altro da Urano, da costui però non pili direttamente,

bensl attraverso suo nipote Helios. Una preghiera per la vita i

Il Titano 53

poeti degli Inni omerici la rivolgono, oltre a queste due dee, soltanto a Helios, e a nessun'altra divinità.

Helios comincia a cantare, o Calliope, figlia di ZeWi, il fulgido, che Eurifaessa dagli occhi bovini generò al figlio di Gaia e di Urano stellato! infatti Iperione sposò EuruaesF3 preclara, sorella germana, che a lui partori dei bei figli, Eos dalle rosee braccia, Selene che ha splendide trecce, e l'instancabile Helio5, simile a un di'O, che splende ai mortali e ai numi immortali, quand'è sopra il carro. Terribile guarda con gli occhi dall'aureo elmo-. Fulgenti raggi da lui brillano splendidi, intorn{) alle tempie i guanciali dell'elmo lucenti dal capo rieoprQno il volt'O grazioso che guarda lontano. E intQmo al corpo lampeggia un abito bello, di fine lavoro, al soffio del vento. E solto 3 lui maschi cavalli ..• Qui il cocchio frenando dall'aureo giog'O, i cavalli dirige, al tramonto, dal cielo, all'Oceano. Salve, o Signore, benevolo dona una vita piacevole. Incominciando da te canterò la stirpe' degli uomini semidei, le cui gesta gli dèi ai mortali mostrarono.

Cosi suona l'omerico inno al dio Sole. L'impetuosità dei Titani non scompare del tutto neanche nello stile dell'olimpico ordinamento del mondo.

Un altro tratto titanico della mitologia solare greca non rientra certo nella visione omerica del mondo di Zeus, tuttavia le sopravvive per molti secoli, fino ai nostri giorni. Eschilo no· minò una volta una regina con un vocaholo arcaico, cioè con la forma femminile della parola « Titano»: « Titene ». Una forma­zione dalla stessa radice di « Tito» per mezzo di quella desio nenza, in sé arcaica, che noi conosciamo per caso nel nome Athene. Un 'altra derivazione, titax, ha in !llodo documentato anche il significato di «re ». Si può affermare che questo fosse, se non l'unico, almeno uno dei significati anche di « Titano ». L'aureo splendore dei grandi regni della storia mondiale sem·

marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
Page 26: Kerényi K. - Figlie del Sole

54 Il padre e il re

hra sempre, consapevolmente o inconsapevolmente, fondarsi sull'archetipa relazione di Sole e re. Spiritualizzato come nel Hvareno dei re persiani, ovvero in oro massiccio, nel metallo che fa per cosi dire apparire il Sole nelle profondità della terra: si tratta sempre dello stesso splendore. Di quello splendore, in hase al quale si credette di poter intendere 1'essenza di Theia, la madre di Helios: «Essa è il fnlgore, l'irraggiare essenziale, « ]a Divina», della cui magnificenza testimonia il Sole, ed an­che l'anima umana quando risplende nella heatitudine dell'at. timo perfetto». Cioè, in quell'unico incomparahile momento in cui si è « re »). Questa è appunto la caratteristica della ge­nuina regalità. Un re che non rappresenti soltanto l'imitazione, attinente al diritto puhblico, di quest'alta possibilità umana, bensi la realizzi, possiede anche nell'infelicità quell'essenziale splendore. Senonché alla pienezza della regalità appartiene la felicità, qualità solare. Non senza fondamento veniva, ad esem­pio, nella cerimonia di consacrazione degli antichi re indiani dichiarato in modo particolare che il consacrato è felice. Senza dubbio anche re di questa terra, pervenuti alla pienezza delI. loro dignità, possono direttamente riconoscere il proprio carat .. tere solare. Il cerimoniale, la tradizione e la corte sorreggono questo carattere; non possono sostituirlo. Ma anche il tardo « roi Soleil » era ancora cosi consapevole di questa qualità, che fece costruire in V ersailles la sua camera da Ietto rivolta a oriente con gr.andi finestre, per poter fare la sua levée quoti­diana in corrispondenza con la levata del Sole.

Intanto, che cosa conosciamo noi di una regalità nell'antiea Grecia? Giacché quella che cominciò col solare Alessandro non ci è possibile affrontarla: l'elemento titanico ci travolgerebbe addirittura. Non possiamo neanche seguire l'aureo splendore sparso dappertutto nell'antica Ellade, henché potrebb'esserri di guida Pindaro, per non parlare di Plutarco... Limitiamoci pertanto a ciò che nella lingua greca riecheggia una piu anti{~a

Il Titano 55

diguità regale, e consideriamo un po' piu da VICInO il nome greco di re. A questo nome, basileus, corrisponde la denomina. zione dei sacerdoti di Crono in Olimpia, basi/es _ fino alla desi­nenza. Quest'ultima è una forma maschile, una formazione in sé rara, che suggerirebbe l'esistenza di un piu antico femminile basile, anche se di questo non vi fossero testimonianze. Basile, una parola piu antica per basi/eia, regina, compllre come nOme della regina deg,li Inferi in una figurazione attica del ratto di Persefone. La terminazione eus di basileus si riscontra del resto (oltre che in nomi propri poco chiari) soltanto in parole deri. vate, per cui linguisticamente considerata la parola «re» è secondaria. Non cosi basite, la denominazione di regina, linguisticamente primaria. Le testimonianze circa le condizioni matriareali nelle antiche civiltà mediterranee rendono anche oggettivamente accettabile ciò che è lecito ammettere in base alla formazione delle parole: che la regina rappresenta il fonda. mento della regalità, o almeno lo rappresentava in quella civiltà preellenica, alla cui lingua non-indoeuropea appartiene la radice della parola.

Una testimonianza relativa aIla regalità di Helios sussiste ancor oggi. Quanto spesso ci càpita di vedere in Grecia un contadino o un pastore, il discendente di tutte le civiltà che fiori. rono snl suolo dell'Ellade, guardare iI sole che per l'appnnto tramonta e dire: «Helios è ora re»! Perché, ci domandiamo, proprio al tramonto? Perché soltanto per il sole che tramonta vale quella locuzione convenzionale, il cui originario significato nessuno piu conosce. Una singolarità della lingua greca mO' derna: quando altri dicono del Sole che la soa corona è cadnta, qui si parla del suo grande atto regale! Ma forge comprendiamo tutto ciò riflettendo che questo è il momento, in coi Titano entra in Titene, la regina. Appnnto per qnesto e in questo egli è « re ».

Chi è « regina» tra le dee? Prima di tntte le altre Hera, la

marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
Page 27: Kerényi K. - Figlie del Sole

56 Il padre e il re

sposa del re degli dèi, Zeus. Saremmo propensi a credere che essa ottenne la sna dignità di regina dal suo consorte. Platone in ogni modo la pensa diversamente. Secondo lui la sovranità viene non da Zens, ma da Hera. Sorprendente è inoltre in quale rapporto Zeus viene chiamato nel culto « re ». Accade general­mente di rado, ma sempre in uno stretto rapporto con la grande regina degli Inferi, che compare nel duplice aspetto di figlia e di madre, ma nella parte di regina piuttosto in quello di figlia: Persefone. Si deve qui supporre che si tratti generalmente non dello Zeus olimpico, ma del Katachthonios, lo sposo della regina degli Inferi. Secondo la legislazione di Solone, Zeus Basileus è il dio dei giuramenti accanto a Demetra, e appunto in questa sua qnalità il suo aspetto infernale non pnò essere dimenticato.

Hera, la dea, seduta « sull'aureo trono» cOJlle « Eos )l, è solo in apparenza una figura puramente celeste. Neanche a lei manca l'aspetto infernale, e la duplicità di Demetra e Per8efone. Basti frattanto ricordare che la menzione di una « regina l),

senza l'ulteriore precisazione per mezzo di un nom'e proprio, allude sempre alla grande, misteriosa regina degli Inferi. La giovane rapita, che vediamo nel rilievo del pireo, si chiama soltanto Basile. TI tempietto nascosto nei vigneti dell'isola di Thera è, secondo quanto dice la sua iscrizione, dedicato .a

Basilea: già la sua somiglianza con un edificio funerario ci vieta di pensare a una dea diversa dalla regina dei morti. Il nome della piccola località Despoine nel golfo di Corinto conserva l',altra eqnivalente denominazione « Despoina» per indicare la dea dei misteri che non pnò essere nominata. È lo stesso divieto sacrale del nome proprio che s'incontra in Eleusi, dove si parIa soltanto di «dea»; ovvero come nel caso della « Divina l), che secondo Pindaro ha molti nomi, la sposa d'Iperione; e come in quello della « Perseis» esiodea, la moglie di Helios, che come « figlia di Perses » neppure lei porta un nome proprio. Il quale in tal modo viene ripetutamente soltanto mascherato.

Il Titano ,)7

Non possiamo fare a meno di sospettare che sia un 'unica grande « regina» che porta tutti questi nomi non propri. Da lei Helios attinge la sua regalità, con lei è padre. Ci troviamo qui in realtà di fronte a un mistero che tocca la sostanza della nostra vita. Dove la regina degli Inferi compare sullo sfondo, sia pnre soltanto per dar valore all'oro, si tratta dell'oro dei giorni della nostra vita. Il notturno entrare di Helios in lei, riferito al sole astronomico, non ha senso. Il sole è senza notte. Al dio Helios, al contrario, conviene quella denominazione, con la quale una volta la parola padre è stata resa da C. F. Meyer in uno stile di sapore ,antico: l'uomo deve riconoscere in lui. non meno che nel suo padre carnale, 1'« Autore dei suoi giorni )).

L'Autore non soltanto dei giorni riferiti ai « fisici corpi lumi. nosi», ma in pari tempo di quelli riguardanti noi uomini, di quelli vissuti da noi. E le notti? Esse sono in generale qual.cosa soltanto in quanto riferite a noi, in relazione ai giorni della nostra vita; riferite al sole esse sono la pura negazione, un vuoto elemento negativo. In quel « contesto», formato dall'uomo e dal mondo che lo comprende, la notte è certo una gran de •. Tuttavia, come condizione terrestre che ci comprende, riposa su un'ombra: sull'ombra della terra e sull'esperienza d'ombra dei suoi ahitanti. È il nostro « giorno di vita», al quale apparo tengono anche delle notti, ed è il nostro Sole che vi entra e viene di nuovo partorito.

La notte è ancor piu nostra di quanto non siano Sole e giorno. Essa è ombra intessuta alla vita di tutti gli esseri mortali come a fili d'oro. Ma quest'oro la notte lo accolse dal Sole. Il mistero, di fronte al quale noi qui ci troviamo, è il segreto di questo accoglimento. Nella dimora della dea Notte, o di Oceano, gen."i di tutti gli esseri - poiché sappiamo che vi sono parecchie denominazioni per quel luogo extraspaziale dell'origine -, il Sole della mitologia, il dio Helios, non si trova solo. Autore dei nostri giorni egli diviene per ~ezzo di un ',autrice, intorno

marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
Page 28: Kerényi K. - Figlie del Sole

58 Il padre e il re

alla quale nessuna astronomia, nessuna scienza può conoscere alcunché, ma solo e unicamente la mitologia, cioè lo stesso tes~

suto cosmico divenuto immagine e lingua. Seguiamone i fili: forse tornerà di nuovo a manifestarsi il disegno dimenticato, che accanto al padre e al re ci mostra anche la regina.

La ricerca della regma

Dal cuore del mondo ella ascese, ascese in alto, davanti aUo sguardo am­mirato - e ascende, ascende nell'etero nità come quella nelle cui mani spie­tate sono consegnati paradiso e inferno.

G. HAUPTMANN

Page 29: Kerényi K. - Figlie del Sole

La maga

Se si volesse parlare di figli di Helios nell'antico significato, bisognerebbe sempre narrare di lui, dello stesso dio Sole. Egli medesimo è già « figlio l>: Iperionide. E d'altro cauto si discorre già di lui quando viene nominato suo padre Iperione. Titanico dové essere solo il padre, che porta questo nome di Titano. Lo , porta però anche Helios in Omero, allo stesso modo che la dea i Atena porta l'altro suo nome di Pallade. Anzi, ancora Fetonte, I il figlio di Helios deIIa mitologia postomerica, non è altri che suo padre, e come lui titanico. È nota la sua caduta di Titano. Egli sale il cocchio del Sole e oltrepassa la « misura» deII'ordi· namento post-titanico. Perciò Zeus lo colpisce col fulmine, ed egli precipita in un'antica corrente solare, l'Endano ... (( Fe tonte ", lo « splendente)>: cosi neII'Iliade e neII'Odissea vien chiamato Helios medesimo, e al pari di Hyperion Eelios anchè « eelios phaethon» prova l'identità di padre e figlio.

Helios è frattanto padre anche di figlie. Due figlie del Sole custodiscono neII 'Odissea gli armenti di Helios: Phaethusa (cosi suona la forma femminile di Phaethon) e Lampetie (ii nome significa parimenti la «splendente»). Se si prende in conside­razione anche il tardo racconto di Fetonte, le sorelle sono tre: oltre Phaethusa e Lampetie, Aigle, la « lucente», oppure la

marco
Evidenziato
Page 30: Kerényi K. - Figlie del Sole

62 La ricerca della regma

« luce)l, ed anche altre. Esse piangono il loro fratello precI l''' lato e nell'afflizione si tramutano in pioppi: in ,alberi di luce sulla corrente solare, dai quali stillano dorate lacrime di ambra. Tuttavia esse sono sempre li, servono il padre, sono le Heliadi, che al filosofo Parmenideattaccano i cavalli del Sole. In loro ci appare quella misteriosa femminilità, quel soccorrevole atteg­giamento sororale e al tempo stesso quell'aureo aspetto donnesco che i Greci percepiscono nel Sole, oltre la paternità di Helio •. A questo accenna anche il femminile tedesco: die Sonne. Gli antichi Lettoni cantavano appunto ciò nelle loro canzoni intorno alla figlia del Sole e alla madre Sole. ({ Si, grande è la mia stirpe», dice la m,aterna dea Sole in uno dei canti, e quella stirpe è principalmente di sesso femminile.

Ci troviamo qui di fronte ,a un ,ingoIare fenomeno di l'nmI' tiva intuizione del mondo. Accanto al mitologema della paterna forza del Sole - ovvero, con,iderando da un altro lato, al puro a'petto ,olare dell'origine maschile della vita - vi ,ono mito· logemi di donne solari. Noi qui intendiamo prendere con la stessa serietà « carattere solare» e « donna». Usciremmo dalla mitologia, che ancora una volta va ascoltata come una lingua intellegibile, e le diventeremmo estranei, se interpretassimo «donne solari» soltanto come un'espressione presa a caso al feIlllninile per indicare il Sole o la sua raggiante apparizione. In qualche modo si parla qui del Sole e allo ste,so tempo auche della donna. Sappiamo anzi che le dee lunari hanno col destino della donna e con l'essere femminile un rapporto almeno altret· tanto ,tretto che con la luua stessa. Luna e donna sono elementi di eguale valore nella ,toria della divina giovinetta che riap. pare dopo essere stata rapita .. uccisa: nel mitologema, cioè, della regina degli Inferi Persefone '.

L'aspetto lunare nell'essenza delle dee greche ci è familiare.

l JUNG e KERÉNYI, Prolegomeni ecc.

La lTUlga 63

il rapporto tra luna e donna è corrente. Tanto piti enigmatiche ci ,appaiono delle figlie del Sole, le quali hanno l'aria di aver eredilato qualcosa della sostanza paterna, e hanno anche l'aria di manife,tarlo. In corrispondenza a ciò, ,econdo il genere di espressione proprio della genealogia mitica, il significato della loro qualità di figlie, del loro essere Heliadi, sarebbe quello di mostrare 1'essenza di Helios sotto un nuovo aspetto, in una particolare relazione. Ma dall'altro lato, non portano nulla con sé? Certo non a caso la madre di Phaethusa e di Lampetie porta nell'Odissea un nome lunare: ella si chiama Neaira, la « nuova »), esattamente come in latino luno, una forma femminile di juvenis; soltanto che là si pensa piuttosto a una giovane donna, qui piut. tosto alla giovane luna.

Poniamoci sott'occhio di nuovo qnello che in Omero e in Esiodo, e poi anche in relazione COn la storia di Fetonte, ci viene tramandato delle madri che hanno partorito figli solari. La madre delle figlie del Sole, che ne cn,todivano gli armenti, venne chiamata col nome di Neaira. Una parte molto piti im­portante rappresenta nell'Odissea nn'altra figlia del Sole.: Ci~ce.

Sua madre si chiama là Perse, cioè con un nome che sta come forma femminile primaria al piuttosto secondario maschile Per· se, o Persens, nello stesso rapporto in cui Basile sta con basi/eus. Esiodo in lnogo di Perse dice Perseis, qua,i fosse lei la figlia di Perse come Ecate, la piti lnn.are forse di tntte le dee greche salvo Selene. Qnesta Persei, compare in E,iodo, per il quale essa non s'identifica con la « Persei,» Ecate, nell'elenco delle figlie di Oceano. Ma col suo nome primario di Perse ella sta li, per cosi dire, nella Bua forma originaria. E vi sta non solo come madre dei figli di Helios, che già per Esiodo è soltanto una ninfa, una delle tante oceanine, ben,i come la sposa di Helios, la regina, nella quale il dio Sole entra per diventare ancor piti intimamente se stesso - pili intimamente padre, re e fors'anche pin intimamente Sole.

marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
Page 31: Kerényi K. - Figlie del Sole

64 La ricerca della regina

Il poeta dell'Odissea può voler indicare coi nomi di Neaira e Perse differenti donne divine, amate da Helios: tuttavia la situazione mitologica rimane sempre la stessa. li dio Sole trova l'accoglimento che conviene alla sua essenza, e che anzi porta a perfezione il suo carattere essenziale di padre e di re. È un concepimento per mezzo di una donna e presuppone una conce­pente. Quel concepimento dev'essere logicamente, non soltanto rispetto a tutti i figli di Helios, ma anche rispetto allo stesso Helios, padre e re, nn proteron, nn precedente. E già apparo tiene a Iperione, al Titano, per cosi dire, al pre-Helios. L'ori­ginaria concepente, la Theia, non è però necessario che sia un.a pre-Per,e. Colei che concepisce e partorisce il Sole può rima­nere sempre la stessa. I differenti nomi accennano ai differenti 'lati della sua misteriosa essenza. E nessuno si adatta tanto a quella misteriosa sua qualità, per mezzo della quale ella, secondo l'espressione di Pindaro, dà valore all'oro (il che vuoi dire: carattere solare al Sole), quanto appunto il primario-femminile

nome solare « Perse ». I nomi che sono tramandati in connessione ,alla storia di

Fetonte illuminano la sua essenza da un altro lato. Ovvero, parlando con pili esallezza, gettano l'ombra là dove rispleude il pili puro oro. Se la madre di quel giovane Helios che è Fetonte, figlio del Sole, si chiama Klymene, «colei che esau­disce» (e questo nome sembra già di per sé convenire alla Regina degl'Inferi), accanto a lei viene nominato come sposo un re Merops, equivalente a « primo uomo». Secondo una diffe­rente tradizione ella medesima era Merope, la «femmina della specie umana», e il suo sposo, il padre di Fetonte, si chiamava Klymenos, cioè con un nome che si riferisce piuttosto al signore dei morii che non al dio Sole. È anzi lui che « oocatus atque nnn t'ocatus audit )): colui che sempre esaudisce. I nomi Merope­Merops, Klymene-Klymenos, conservano nel carattere della regina e sposa del Sole il lato d'ombra che conferisce mortalità.

La maga 65

E anche l'intuito poetico di Spitteler non ricollega torse \'in­nata dignità regale di Hera con il fatto che ella conferisce potenza, e con la mortalità? La mortalità della regina, dalla quale Zeus medesimo ottiene la signoria del mondo, era noa sin­golare profonda intuizione, in risonanza involontaria col mitolo­gema di Klymene e di Persefone. Tnttavia la parola « regina» si­gnifica per noi anche qualcosa di puramente umano, in cui non pensiamo a ombra nè a tenebra di morle. Viené in tale parola espressa nna possibilità dell'essere femminile, forse una delle sue forme primordiali, come in «madre» o «vergine». Si tratta sicuramente di qualcosa, che dev'essere presa con altret­tanta serietà che «carattere solare» e « donna». Finora sap­piamo soltanto che i mitoIogemi delle figlie del Sole presnppon­gono la misteriosa regina primordiale, allo stesso modo che presuppongono il paterno, aureo Titano. Non rivelano forse i discendenti qualche cosa di pili anche intorno all'essenza della progenitrice?

Una figlia di Perse e di Helios era Circe, nn'altra Pasifae.

Circe dovremmo conoscerla anche dal nostro Omero. La cono­sciamo realmente? Non troviamo sorprendente, all'udire il suo nome, che come prima delle figlie del Sole incontriamo

nella letteratura ,greca la famigerata, malvagia incantatrice? Cerchiamo, senza pregiudizi che risalgono già ad antica

origine, d'imparare .a conoscerla interamente nel senso del. l'Odissea. Il mitologema di questa donna solare ha il fascino del

favoloso. È la storia di nna dea «dalle belle trecce, terribile,

dalla voce umana », in virili del suo canto seducente e forse pili

stridulo che melodico. Se a questo proposito ci sovviene il ricordo di nostre favole, ciò avviene Wlic.amente perché rac­conti relativi a figure divine preclassiche dei Greci solo in via

eccezionale trovarono accoglienza nella loro letteratura classica,

marco
Evidenziato
marco
Evidenziato
Page 32: Kerényi K. - Figlie del Sole

66 La ricerca della regma

ma poi furono avvicinate al sentimento di umanità diversamente da quanto avvenisse di solito per i grandi Olimpici. L'elemento arcaico affiora attraverso lo stile omerico-classico e ci trasporta nell'atmosfera di un mondo selvaggio, senza tempo, proprio di

un'antichissima poesia di miti. n luogo selvaggio è qui letteralmente presente. La posizione

di questa Aiaie, l'isola di Circe, viene data nell'Odissea con parole che - già lo sappiamo - la trasportano oltre occi­dente e oriente. Ascoltiamo ora questa « precisazione del

luogo D,

o (',ari, poiché non sappiam6 dov'è aurora, dov'è il tramonto, né dove Helios che splende ai mortali discende sotterra, né dove risorge ...

Cosi si lamenta Ulisse, benché abbia vissuto nell'isola già parecchie aurore e tramonti. Ebbe poi un suo particolare fonda­mento - un fondamento nella concezione mitologica della configurazione del paesaggio - quando i Greci credettero di

riconoscere l'isola di Circe,

dove di Eos sono la casa e le danze e di Helios la splendida aurora,

davanti alle coste occidentali d'Italia: nell'odierno monte Ciro ceo. Questo è si unito alla terraferma mediante una pianura paludosa - le scomparse paludi Pontine -, tuttavia antica­meDte De era separato appunto da essa, in modo da formare un'isola selvosa. In qnesto promontorio circondato dal mare e dalla palude, ricoperto ancora di boschi quando io lo visitai, in nn paesaggio che al chiarore lunare, come io l'ho visto, sembra fatato, poteva benissimo avere la sua dimora quella grande dea arcaica, di cui scopriamo le fattezze in Circe, se leggiamo attentamente il decimo canto dell'Odissea.

Non c'è da meravigliarsi che Ulisse, iI quale aveva già visto

La maga 67

salire il flllno dall'abitazione della dea - i megara di Circe -« dietro fitte hoscaglie», uccida un cervo straordinariamente grande: una « fiera gigantesca ». Anche l'incontro, affatto natu~ rale, con un tale cervo caratterizza una sfera determinata: la sfera della grande dea dei luoghi selvaggi. Ancor pili ci ricor­diamo della potnia theron, della « signora delle fiere )), quando i compagni inviati in missione raggiungono il palazzo di Circe:

V'erano intorno a esso lupi selvaggi e leoni, che Circe aveva ammaliato con filtri cattivi. Né invero assalirono glì uomini, ma alzandosi in piedi le lunghe code festosi agitavano. E come intorno al padrone che viene da mensa i cani scodinzolano, ché sempre dà ghiotti bocconi, cosi intorno a quelli i lupi e gli unghiuti leoni scodinzolavano; ma essi temettero vedendo quei mostri.

Sono fiere incantate, trasmutate per mezzo delle tristi arti di Circe. Erano in origine degli uomini? Lo ,apprende piu tardi Euriloco, dopoché i compagni di Ulisse, già tramutati in porci, furono di nuovo trasformati in uomini. Ma è anche possibile, e pili fedele allo spirito di tutto il racconto, che ai visitatori di Circe foss~ riservata solo e unicamente la trasformazione in porci. Non che Omero abbia voluto qui fare il moralista, come già opinarono certi suoi antichi esegeti. Egli descrive soltanto le possibili forme di essere entro il dominio di Circe, e questa divina incantatrice ha da fare anche con la sfera ctonia, come Demetra e Persefone, i cui animali sacri sono i porci. Nel segno di Circe, che seduce e in questo sedurre è anche etéra, può capitare all'uomo appunto quello che accadde ai compagni di Ulisse: il trasformarsi e il conseguente perdersi in un'esi. stenza porcina. Ma quelle fiere incantate possono essere state in origine ordinari lupi e leoni. Ciò che esse hanno imp,arato neII'incantesimo, dice molto: esse si rizzano in piedi e si tramu-

Page 33: Kerényi K. - Figlie del Sole

68 La ricerca della regina

tano negli animali araldici cultuali della potnia theron. Di fronte ai compagni di Ulisse esse mostrano un comportamento da cani, che tuttavia, a fian{!o di una grande dea, non disdice a delle fiere favorite.

Arcaiche raffigurazioni della grande signora delle fiere, fian· cheggiata dai suoi selvaggi favoriti, fanno da sfondo alla molto piu umana descrizione omerica Noi Don siamo incappati, dietro ]' opera d'arte, in una mitologia con la quale la poesia di Circe non abbia pili niente a che fare. Poiché questa poesia ci comu· nica in maniera piti uman.a .ancor sempre il particolare incanto dell'antica figurazione mitologica. Intorno a quella grande dea la magia era ancora una forza direttamente divina, non era né fattura, né malia. Cosi la confenna un'altra descrizione di stile omerico, la quale insieme ci mostra che la vergiuale Artemide non è l'unica erede, che lutto riassume, della preolimpica potnia theron. Un inno omerico descrive Afrodite come signora degli animali selvaggi:

a lei dietro scodinzolando grigi lupi e leoni dagli occhi brillanti, orsi, pantere veloci di caprioli mai sazie, mossero. Nel vederli gioi la dea ne] suo animo, e ad essi nel petto ispirò desiderio d'amore: insieme giacqueI"o tutti a coppie dentro le grotte ombrose.

L'inno ci mostra Afrodite, con un tale seguito, in un elevato prato montano « dell'Ida ricco di sorgenti», dove ha dimora Cibele, la gran madre asiatica degli dòi e signora delle fiere. Qui anche Afrodite può essere soltanto una forma del suo appa· rire, come Anchise, che Afrodite visita e rende felice, può essere solo l'umanizzazione di Agdistis, la metà virile dell'.antica dea dai molti nomi, che si chiama anche Cibele. Il destino di Agdi. stis fn la perdita della sna virilità, affinché il Iato femminile nella figura della grande dea risorgesse onnipotente. Nel culto

La maga 69

di Cibele qnesta .grande signora dei monti e dei lnoghi selvaggi esige apertamente il sacrifici .. della virilità. Questo è il pericolo che minaccia tutti i suoi amanti, tntti gli Attis. Ma ascoltiamo l'ammonimento di Hermes, quando munisce Ulisse di rimedi e di consigli contro l'incantesimo di Circe::

Ella impaurita t'inviterà a coricarti con lei: né tu dovrai rifiutare il suo letto, acciò che i compagni ti liberi e di te prenda cura. Ma ehiedile giuri col gran giuramento dei numi di non tramarti qualche altro triste malanno, affinché, spogliato, ti renda codardo e impotente.

In tale azione Circe è l'erede di una dea ancora pili grande. E il suo incantesimo è anch'esso eredità, in quanto ogni incan­tesimo può seguire soltanto alla potenza immediata di un incan­tesimo divino. Quale divino incantesimo originario si presenta la potenza dell'amore che tntto trasforma. In un felice incontro amoroso potenza e amore si equilibrano, e anzi l'una è anche l'altro. L'amore infelice genera qnello squilibrio, che si mani. festa come magia d'amore, come volontà di svegliare l'amore per mezzo della forza, in luogo dell'impersonale destarsi dell'a. more come forza che domagli amanti. Ogni altro incantesimo, tutta quanta la magia, sta sotto il segno della -pura volontà di potenza, ,ed è secondario rispetto all'incantesimo d'amore. Secondo queste considerazioni, Afrodite dovette essere la prima incantatrice. Nella mitologia greca prime incantatrici sono la nipote del Sole Medea e, prima di lei, Circe. Ma costei è simile ad Afrodite (che l'inno. omerico mostra in amoroso connubio con Anchise, e l'Odissea nel letto di Ares) anche in ciò, che essa fa come Hermes aveva predetto..

L'immediato trapasso della malvagia incantatrice nella donna amante crea la pili grande difficoltà al moderno lettore del canto di Circe nell'Odissea. Qui appunto non si tratta né di donna

Page 34: Kerényi K. - Figlie del Sole

70 La ricerca della reg.na

nè di femmina della specie umana, e neppure di una virago ordinaria, ma di una Incantatrice, e questa è fatta in tal modo che, non appena vengono attraversati i suoi cerchi magici, una essenza ,afrodisiaca avvolge coloro che del resto sono fatati, non esorcizzati. Il cerchio, quella delimitazione essenziale nell'in .. terno della quale la potenza incantatrice crea il suo particolare

mondo magico, è per cOSI dire intorno ,al palazzo di Circe, e anche nel suo stesso nome. Kirkos, foneticamente corrispondente

al latino circus, che sta alla base di circulus, si chiama in greco un volteggiante uccello da preda, e anzi una volta una specie di lupo aggirante in cerchio, in Omero un falco. « Kirke ») ne è il femminile. Un nome adatto a una figlia del Sole, poiché circolare è il moto del Sole. Nel che anche gli Egizi ricono· scevano senza dubhio il carattere solare del loro sparviero del Sole. Nell'incantesimo d'amore i Greci impiegarono un piccolo

uccello con voce di sparviero: il torcicollo, che però nell'azione incantatrice facevano volteggiare in cerchio. Ciò indica donde anche l'incantesimo d'amore voglia attinger forza, cioè da

quella potenza accerchiante nella quale anche Circe, in quanto figlia, è radicata.

Come incantatrice Circe non ha bisogno di rinnegare la pro~ pria origine solare. Ella stessa certo non accerchia, al modo che

poteva farlo la signora delle fiere nella sua forma alata. Anche nello stesso Omero appaiono talvolta ancora un dio o una dea setto forma di uccello. Ma Circe, dobbiamo tenerlo per fermo, rimane in tutte le sue azioni umana. Umana è quando con la sua potente bacchetta magica colpisce i compagni d'Ulisse e li rin· chiude nel porcile:

Ed essi di porci avean testa, ~etole, voce e aspetto, ma la mente era quella di prima. E come piangenti furon chiusi, ad essi Circe gettò da mangiare ghiande e corniole, che sempre mangiano i porci che dormono in terra.

La maga 71

E umana è anche quando canta intenta «alla grande tela)),

benché a questo seducente canto ci ricordiamo sinistramente

della voce mortalmente incantatrice delle Sirene. Ma il tessere!

Quanto pÌ1i questo avvicina lei a una reale donna umana, che non faccia l'eterno pettinare della Loreley!

È poi un'altra questione se questa domesticità di nna dea, la

figlia di Helios e di Perse, appartenga soltanto al piano di uma­

nità, ovvero, tutt'al piu, soltanto alle doti di un'ordinaria inc.an ..

tatrice. Dmero fa precedere espressamente le relazioni di paren ..

tela di Circe, ed esse non vanno dimenticate. « Un.a sorella ger­

mana (autokasignete) del feroce Aiete », che vuoI dire? Aiete

è, a giudicare dalla parte che rappresenta nel mitologema del

vello d'oro, un re degli Inferi, il lato Ade di suo padre. Il suo

nome è connesso, secondo la medesima legge di formazione, con

aia, la « terra », come ad esempio l'appellativo di Apollo, Ai­

gletes, con aigle, la «luce)). Se iuoltre nella coppia fraterna

di Aiele e Circe debba esser passato in eredità anche il carattere

solare de1 padre, ne consegue che, oltre il Iato oscuro, sotter.

raneo, la coppia deve avere una metà chiara, celeste. Questa

metà è Circe. Solo apparentemente la sua domesticità la porta

gin sulla terra. Dobbiamo considerar meglio quel «grande tes­suto ).

Nel fortemeute mitologico ambito culturale del Nord, nel

quale si sono conservate anche le canzoni lettoni del Sole e i

runi dell'epos mitologico del Kalevala, filare e tessere sono occu.

pazioni caratteristiche della numerosa discendenza della dea solare. In un'antica canzone svedese è detto:

Donna Sole sedette su una nuda pietra e filò sulla sua conocchia dorata tre ore, prima che il Sole sorgesse.

Page 35: Kerényi K. - Figlie del Sole

72 La ricerca della regina

Nel 41° runo del Kalevala l'effetto cosmico del canto sciama­nico di Vajnamojnen viene descritto nel modo seguente:

Della luna la donzella e del Sol la bella figlia, ..se ne stavan al telaio ed alzavan le spolette stoffa d'oro a ricamare e d'argento ad adornare, sopra l'orlo d'una nube, sulla cima del grand'arco.

(trad. PAVOLINI).

Con questo viene indicato come loro « luogo» il margine del cielo. E che cosa tessano, ce lo chiarisce una canzone estone, in cui il tessere è l'attività dell'cc antico padre », dell'« antico sapiente »: il Dio creatore.

Il rovescio fu tessuto al mezzogiorno, la piega nella casa dell'aurora, il resto nell'atrio del Sole.

Lavorato al telaio, danzato al pedale

un abito d'oro tessuto alla Luna, un velo fulgido al Sole ...

Sarebbero dunque fenomeni di luce, che vengono filati e tessuti in tal modo. Mai però si tratta della spiegazione mitolo· gica di un fenomeno particolare, bensi, come espressamente attesta la canzone estone, della creazione del mondo. Si fila e si tesse continuamente il mondo. «Luce» può essere qui altret­tanto poco la luce astronomica, quanto poco sotto il segno di Helios « giorno») è il giorno astronomico. In questa luce, nella compagnia di questi fenomeni di luce, si svolge la vita. Conforme allo spirito della mitologia solare greca si dovrebbe dire che cosi vien filata e tessuta la vita, una vita aurea, argentea, piena di

La maga 73

luce. Ciò in realtà corrisponde all'occupazione delle Moire. Omero le chiama esplicitamente anche Klothes, le Filatrici, mentre d'altronde per lo pili soltanto la prima di esse è chia. mata Klotho. Il verho che si riferisce a questo nome ha indub­biamente come oggetto non il puro vivere, ma un contenuto di vita carico di destino, come lo è press'a poco il ritorno di Ulisse. Esse sono li fredde dispensatrici del destino, come figlie asso­ciate Dra ana Notte, ora a Zeus e alla giusta Temi. E una di loro dev'essere sempre quella che prende a filare. In Delfo se ne riconoscevano soltanto due: la Moira della nascita e quella della morte. Lo stame delle Moire greche sembra filato non di luce solare o lunare, ma di misura e di morte. Che tuttavia, contrariamente a questa apparenza, si tratti di un filo di ori. gine celeste, ce lo rivelano gli Ateniesi celebrando in un'iBcri· zione Afrodite Urania come la piti antica delle Moire.

Di nuovo Mrodite, e precisamente quella «Celeste», ci ri­conduce a Circe. L'afroditica incantatrice è anche tessitrice. Certamente non essa sola nell'Odissea: il che, trattandosi di un ovvio genere di occupazione delle donne antiche, nou ha in sé nulla di sorprendente. Frattanto Penelope, colei che in appa­renza è la tessitrice puramente umana dell'OJissea, è a un tempo quella che disfa il proprio lavoro. Il suo tessere corrisponde a questo riguardo al filare delle Moire. Forse anche il suo nome di uccello (penelops significa « anatra») tradisce qualcosa della sua condizione preomerica: la fignra dell'anatra, posta in risalto con tutti i mezzi nei vasi protocorinzi, accenna presumibilmente a una grande dea dell'origine della vita e della morte. Ma noi non intendiamo ora svelare i segreti di Penelope. Che « tessere ) possa esprimere il .generarsi della vita umana o del corpo, lo dimostra il comparire della tessitrice nelle simboliche pitture funerarie delle tombe romane, e la parola greca mitas che desio gna il seme virile come filo da tessere, ed è il nome dell'antico fidanzato c.biro.

Page 36: Kerényi K. - Figlie del Sole

74 La ricerca della regina

Si deve forse relegare la luminosa figlia del Sole nelle oscure profondità donde scaturisce la vita, dove nuovi esseri vengono tessuti con due diversi fili? Circe non è, anzitutto, UDa divinità materna. È vero che si ricordano figli di lei: figli e una figlia, Cassifone. Secondo il nome questa sarebbe la «fratricida» (quasi un altro nome di Medea, la quale in tal caso - cosi potrebbe ricostruirsi questa variante del mitologema - sarebbe la figlia della coppia di fratelli Aietes-Circe). Ma noi, nonostante la digressione, restiamo fermi alla fignra della Circe omerica. E questa, di certo, non è materna. All'incantatrice appartiene piuttosto l'elemento atmosferico che non quello sostanziale-crea­tivo della maternità. Questo elemento atmosferico, che ella crea intorno a sé già col suo cantare, va riconosciuto come proprio di un'etéra, anche nel senso della rappresentazione omerica. Circe è inoltre colei che indica a Ulisse il cammino verso gli Inferi, e anzi ve lo manda. Anche senza di ciò 1'etéra ha una relazione con la sfera mortale infera - per limitarci a ricordare di nuovo le Sirene -; l'una e l'altra cosa unite legano forse Circe alla profondità ctonia molto pili di quanto lo farebbe la sola maternità ...

Nell'autica Italia lo stretto rapporto tra morte ed etéra è par­ticolarmente palpabile. È questa un'intuizione immediata, altret­tanto libera da intenti moralistici quanto in Omero la metamor­fosi dei compagni di Dlisse. Plauto rappresenta nel Poenulus la casa di un ruffiano: « Puoi tu vedere qui ogni specìe d'uo­mini, come se andassi nell'Averno ». In un'altra commedia, Bacchides, il pedagogo designa la porta di casa di due giovani libertine come « porta dell'Averno », e cita - staremmo quasi per dire - Dante, comunque l'antico precursore italico del « Lasciate ogni speranza voi ch'entrate»: « Poiché nessuno vi entra se non ha perduto tutte le speranze di poter essere ancora un uomo dabbene». Non si tratta di un 'esagerazione plautina (è stato opportunamente separato lo spirito plautino dal pro-

La maga 75

verhio originario, ciò che si fa anche qui), ma del riscontro complementare di quell'intuizione che faceva decorare le pareti delle tombe etrusche con scene lascive. A qnesto riscontro si accorda anche il fatto che l'etéra viene in latino chiamata lupa, mentre 1'Ade etrusco compare in una celebre pittura funeraria come dio Lupo. In corrispondenza con questa intuizione si dovrebbe riconoscere in Circe stessa la « lupa aggirante », tanto pili che nell'Italia anlica essa moslra, come progenitrice di prische divinità latine, una discendenza lupesca.

Una dea che tesse e di nuovo scioglie nascite e morti - 1'etéra mortale che procura il piacere e divora gli uomini -: queste sono le possibili forme di una mitologia preomerica t

greco-arcaica e in parte caratteristica dell'antica Italia, forme sorelle che la figura omerica sfiora per poi spiccare tanto di pili su questo sfondo oscuro. Circe rimane al margine di tutta questa sfera ctoni.: ella non accompagna Ulisse agli Inferi, ve lo manda soltanto. Ella relega soltanto i compagni di Dlisse nella condizione terrestre di porci, ve li tiene quasi in una specie d'inferno, ma lei né condivide la loro condizione, né assume una corrispondente forma animale. Essa ha da fare con tutto ciò poicbé opera la trasformazione, come anche la dea della morte opera trasformazioni - soltanto pi1i sostanziali. Quello che Circe opera e tesse non attiene alla sostanza, lascia intatta la « ragione» di coloro che sono slati trasformati, rimane al margine del reale, come l'incantatrice medesima, la quale vive ai confini del mondo, ma sempre a una giornata di viaggio dana zona estrema: da Oceano, dall'eterna Notte, dalla dimora di Ade.

In contrasto con l'aspetto di lupa che divora, c'è indubbia­mente un altro modo di essere etéra. Esso mostra di contro all'antico italico, un aspetto greco di questa possibilità dell'es­sere femminile. Non l'unico aspetto greco, ma appunto quello che incontriamo nella sfera della celeste Afrodite. Afrodite "or-

Page 37: Kerényi K. - Figlie del Sole

76 La ricerca della regina

risponde proprio nella sua qualità di celeste, di Vrania, alla grande dea orientale dell'amore, ed è certo per questa ragione che le sue ierodule, le etére del tempio, l'accompagnarono in Grecia eome un'istituzione orientale. È però altrettanto impor­tante che gli Ateniesi riconoscessero in Urania la piu antica delle Moire, e che il sno santuario sull' Acrocorinto - '1uesta dtta'della celeste, sospesa in alto, che si doveva salire come in pellegrinaggio per visitare le addette al tempio - entrasse nel sistema dell'arcaico culto greco di Corinto. Arcaici sono questi culti anche in dò, che. il dio Helios nell'unione con Afro" dite rappresenta una p,arte dominante. Oltre Rodi, Corinto, insieme con le sue colonie, aveva la 'massima venerazione per Helios. Rhodos, la dea dell'isola, era secondo Pindaro una figlia di Afrodite. TI tempio di Afrodite sull' Acrocorinto fu fatto costruire, secondo una tradizione, da Medea, una sovrana della stirpe di Helios - e insieme di Circe - la quale, benché sol· tanto come nipote, prolnnga tuttavia la linea delle IIeliadi.

Tutto parla qui di nn' antichissima comunanza di culto che si riflette anche nel fatto che Esiodo conosce, come custode del tempio di Afrodite, quel Felonte che la dea slessa ha rapito con sé in alto. Senza il carattere solare nell'essenza di Urania, una tale comunanza difficilmente sarebbe stata possibile. La giusti. ficazione della presenza di simili etére in un santuario greco di Afrodite -consisteva anch'essa soltanto in ciò che esse esprime­vano qualcosa di quell'essenza. A un ricco corinzio, che aveva regalato cento di tali schiave sacre, Pindaro diresse un encomio, che celebra esse, le schiave, in modo caratteristico con parole che quasi descrivono un armento di mucche della dea. Il che hen si accorda con la concezione mitologico-ier.atica. Difficile sarebbe rendere in una traduzione il sentimento di venerazione che nelle parole del poeta è perfettamente intonato alla parli. coIare situazione delle giovani donne sull' Acroconnto. Tuttavia una cosa dobbiamo ancora tener presente prima di tornare a

La maga 77

Circe. Dopoché Pindaro ha descritto quella singolare forma di esistenza, butta là queste parole: «Noi abbiamo moslrato il vero oro ... »

Cogliere in Circe l'eléra è giuslificalo soltanto nel senso del· l'aurea esistenza acrocorinzia. E dobbiamo per di pin compene~ trarci del fatto che in Circe s'incontra non il servire, l'imitare, il rappresentare, ma l'essenza stessa. Ella mostra questa essenza, quando rivolge a Vlisse le parole:

E quindi saliamo sul mio letto, affinché mescolati in amplesso d'amore, ci diamo fiducia.

~ell'originale, in queslo punto non si parla pm In modo particolare di riconciliazione, bensi di fidncia, di quel supremo abbandono in un'aperta dedizione di se stessi (questo significa la semplice espressione greca di fiducia) nella quale l'attributo di « vero D spetta anche al puro elemento corporeo - nel mede· simo senso in cui Holderlin chiama « vero D il Sole. Appartiene allo sfondo di Circe che essa possa essere anche « falsa D, non già per riservatezza, ma in quanto ella si lascia andare oltre la misura umana di Vlisse che si affida a lei, e lo annienla come uomo. Perciò ella deve anzitutto pronunciare il grande giura. mento. Questo fa quando i cerchi della sua fattura magica sono spezzali, ed ella ha soltanto se slessa. E noi vediamo la figlia del Sole, dopo aver dalo il suo ultimo consiglio in spirilo di verità, sollevarsi dal fianco di Vlisse nello splendore che le si addice, indossare un manto argenteo

fine, grazioso, e cingere intorno ai fianchi una zona aurea, bella e coprirsi la testa di un "elo.

Page 38: Kerényi K. - Figlie del Sole

L'assassina

Un 'incantatrice afroditica al margine del mondo - cosi Omero ci descrive la prima delle figlie del Sole: Circe. Questa è anche la situazione vera di una Heliade dal punto di vista della mitologia solare. Considerato mitologicamente il dio Sole non è già il centro astronomico, ma la delimitazione del mondo, che è contesto dell'essere suo e di quello dell'uomo, ed ha intorno a sé uno sfondo di tenebre. Certo, questo sfondo è tenebra solo dal punto di vista dell'essere umano, ed esiste in generale soltanto in questo « contesto» cosmico e non già anche per il sole astronomico. Se ci poniamo delle domande intorno allo sfondo di tenebra, dal quale Circe è emersa come figlia del Sole e di una dea sconosciuta, se ci poniamo delle domande intorno .a questa dea e allo sfondo di Circe medesima, tali domande hanno un senso soltanto riguardo all'uomo nel mondo e non già anche all'astronomia. Ma in questo caso l'umano viene di fatto concepito vasto quanto il mondo, sorpassante ogni indi. vidualità, e spinto fino a quel margine dove Circe e Medea e dee ancora piu grandi ci mostrano il loro volto. Seppure esse realmente lo mostrino e non rimangano nella tenebra dello « sfondo » ...

La posizione marginale di Circe può intendersi anche nel

marco
Evidenziato
Page 39: Kerényi K. - Figlie del Sole

lIO La ricerca della regina

.enso che dietro di lei sia da supporre anche una primordiale madre ed etéra, una dispensatrice di vita e di morte per noi uomini, che però si risolva nella natnra afroditica della figlia del Sole ., diventi qnalcos',altro, appunto un'incantatrice. Ci sembrò del tutto comprensibile che l'incantesimo in sé possa emanare dal carattere soIare-afroditico, l'intima essenza di Circe, e che anzi, come effetto immediato, non come « fattura », emani unicamente da esso. Ma l'incantesimo della seduttrice Don era ,ema malvagità, era uno strumento della potenza e non del· ]' amore, e dové essere spezzato da una forza piti grande, affinché nella dimora di Circe potesse espandersi l'atmosfera della sua essenza. Non si può qui negare una oontraddizione. Vi è qui intorno a Circe un incantesimo malvagio, e appunto questo gli antichi conoscevano come « incantesimo ), Di dove proviene esso, qual' é la sua origine, l'origine della malvagità di una Heliade? Come mai delle malvage incantatrici appartengono alla stirpe solare, e Medea innanzitutto, che fu considerata la

pin malvagia? Medea, la pin tenehrosa delle Heliadi, anzi di tutte le dee

greche in generale, non trovò nessun grande poeta epico che, in apertura di orizzonti vasta quanto il mondo di fronte alle possibilità dell'essere, si avvicinasse a un Omero, il poeta di Elena, di Calipso e di Circe, per non parlare qui delle dee olimpiche. Tuttavia gli antichi lirici greci celebrarono ferma­mente la divina figlia del figlio del Sole, Aiete. Per Pindaro ella non è affatto soltanto la « straniera esperta d'incantesimi », bens! una dea e regina: la «( signora dei Colchi », che profetizza con «hocca immortale}). Thico e Simonide diffondono la fama che Achille, ,assunto nell'immortalità, ottenesse in moglie non già Elena, ma Medea. nella omicida e vendicatrice del ciclo mitico degli Argonauti, che smembra o fa smemhrare i suoi persecutori o nemici, ciò sembra appena concepibile, se quei poeti non avessero conosciuto il senso originario dello smernbra-

L'assassina 81

mento: nel fratello fatto in pezzi il dio Sole che rinasce, nella omicida colei che lo risveglia.

Una tale conoscenza non era impossibile ai tempi dei grandi lirici; tuttavia ciò non hasta a sciogliere questo che è il pin inquietante enigma della mitologia greca: l'enigma di una divina omicida. Pensiamo per un momento non ancora propria .. mente a Medea che uccide il figlio, della quale fu affermato che sia una creazione di Euripide, ma soltanto alla fratricida. Apollonio Rodio, il poeta epico ellenistico che non tratta pin come m,ateria cosmica la spedizione degli Argonauti, similmente a quanto Omero aveva fatto con l'avventura di Circe, ma la rie­labora come soggetto letterario, per renderla accessibile al gusto e alla comprensione di un puhhlico moderno: anche questo arte:fì~e, che indora un oro originario, non può allontanare dal raggiante capo della verginale figlia del re l'oscuro velo dell' as­sassina. Vi sono dati del soggetto mitologico, che penetrano a forza anche nelle situazioni create da Apollonio. Ed egli non può fare a meno di costruire le sue nuove situazioni sugli antichi dati, o di servirsi di questi come di materiale da costruzione.

È un caso, ovvero un elemento di un antichissimo materi~]~. di culto, quando nella descrizione degli inquieti pensieri del· l'innamorata Medea viene fuori d'improvviso il caldaio, nel quale il Sole si rispecchia? A quel modo che il riflesso del Sole rimandato dall'acqua del caldaio saltella qua e là - e «cir­cola»! - nella casa, similmente faceva il cuore nel petto della giovane. O non ha pili profonde radici nella mitologia il fatto che la dea Luna - denominata da Apollonio «Titenis», «Ti· tanide» - riconosca la propria sosia in Medea che di notte ricerca il suo amato? « Non solo io dunque ... » comincia in cielo il suo discorso la notturna Titanide, e con ciò si affaccia inevitabile la domanda se la figura mitologica della nipote di Helios rappresenti in realtà una bella e mortale variazione del· l'aurea melodia solare, ovvero, benché in stretta connessione

Page 40: Kerényi K. - Figlie del Sole

82 La ricerca della regina

col Titano del giorno, sia soltanto UJUl melodia argentea traUa dal ciclo mitologico della luna. Ma il nucleo essenziale di Medea, solare o lunare che sia, è avvolto anzitutto da quella tenebra, che le aleggia intorno anche in Apollonio.

II modo barbarico dell'uccisione, lo smembramento, il poeta ellenistico lo tiene invero lontano dalla sua eroina, ed egli ne mitiga la crudeltà anche in questo, che nella sua descrizione Medea si limita ad attirare il fratello, mentre è Giasone ad uc· ciderlo. Ma poi Apollonio racconta la visita della coppia omi· cida a Circe. Gli Argonauti reduci in patria toccano anche quel. l'altra Aia, l'isola Eea «( Aiaie ))) che è in occidente. Li sor· prendono Circe nel momento appunto in cui lei si purifica in mare dai sogni cruenti, che ha avuto come presentimento della visita. Soltanto Giasone e Medea la seguono, gli altri eroi non si lasciano sedurre dalle astute lusinghe della figlia di Helios. Ma questi due si stabiliscono nella casa di Circe implorando prote­zione. Medea si prende il volto neIIe mani, Giasone ficca in terra la spada con la quale ha ucciso Apsyrtos.Fetonte. E sie· dono li, abbattuti, con gli occhi bassi.

Agli occhi e all'aureo sguardo di tutti i figli del Sole Circe aveva riconosciuto Medea. Viene ora a conoscere anche la loro. situazione e intraprende una grande cerimonia espiatoria, per purificarli entrambi. Quanto volentieri ascolterebbe la lingua della sua gente dalla bocca della giovane! La creazione di questa situazione e la descrizione dell'incontro delle due donne discen­denti dal ceppo solare colchico è caratteristica in ApoIIonio. Un'essenziale differenza originaria, conosciuta soltanto, non creata da Apollonio, emerge in primo piano quando l'azione sanguinaria di Medea non trova comprensione in Circe. Il rac· conto degli Argonauti ella lo ascolta, il fratricidio lo indovina. E senza tener conto dell'avvenuta espiazione respinge dal suo focolare e dalla sua casa colei che è stata purificata. Del poste­riore infanticidio non una sola volta si fa qui parola sotto forma

L'assassina &~

di profezia. Le due incantatrici di stirpe solare SODO divise da qualcosa di essenziale: è la differenza tra la rete e il coltello, tra la seduzione e l'uccisione. anche se quest'ultima serva sol. tanto al rinnovamento e al ringiovanimento dell'ucciso ...

Con la cerimonia purificatrice e la cacciata di Medea dal pa. lazzo di Circe Apollonio delinea il problema che ha di fronte. Una nipote del Sole dal mitologico Oriente - per Apollonio la Titenis Aia, la terra dei T'itani - arriva in Grecia. Qui ella viene onorata: in Atene, dove la si associa con Egeo, padre di Teseo, il fondatore della città, meno pubblicamente e piuttosto nell'intimità di un culto familiare; in Corinto sulla rocca, nel. l'ambito cultuale del puro dio Sole. Rrattanto ella arriv.a già macchiata del fratricidio, e tuttavia è pu~a. La purificazione presso Circe supera questa contraddizione e lascia che Medea rimanga sempre l'omicida, con la quale la pura figlia del Sole, Circe, anche dopo ]a purificazione, non ha niente a che fare. Da Apollonio la fratricida è conosciuta anche come infanticida,. e certamente non soltanto attraverso Euripide. II gr.ande tragico,. l'unico poeta in cui Medea trovò un degno c,antore, avev,a già davanti a sé lo stesso problema, ed egli non se lo rese piu facile col porre in primo piano l'infanticidio.

Con questo Euripide si pose in contrasto con tutta la poste­riore tradizione, la quale probabilmente già prima di Apollonio cercò di liberare la figura di Medea, oggetto di culto, dal peso del suo passato omicida. Ma sarebbe stato possibile che lui per primo imputasse 1'orrendo misfatto dell 'infanticidio a una dea, che nel culto apparteneva alla luminosa sfera di Helios? Questa ipotesi è in sé una mostruosità e non viene resa piu verosimile dal fatto che il Giasone di Euripide scorga nel fratricidio la preparazione deIl'infanticidio.

Poiché salisti Argo bella.pr-ora, ucciso al focolare tuo fratello. Cominciasti di li ...

Page 41: Kerényi K. - Figlie del Sole

ll4 La ricerca della regma

Già questo inizio rendeva difficile a comprendere come gli Ateniesi potessero. accogliere nella loro città santa la donna cosi gravata di onta. Sarebbe stata assolutamente un'empia presun­zione se Euripide avesse aggravato la sua eroina di 1111 nuovo delitto, per poi farle domandare dal coro:

Come dunque la città dai sacri fiumi, e la terra che ospita gli amici accoglierà te infanticida, tra tutti ]a piu empia?

E tuttavia avvenne cosi: il che costituiva una difficoltà per la comprensione logica e insieme religiosa, difficoltà che poteva si trovarsi in determinate situazioni di un culto tramandato da tempi remoti, ma non poteva venire creata con la ragione. Proprio la grandezza di questa difficoltà deve avere attratto Euripide. Alla fine della tragedia, quando Giasone cerca con la spada la donna omicida, gli appare Medea snl cocchio tirato da un drago, e accanto a lei i cadaveri dei figli:

Perché mai scuoti e sconficchi le porte, dei morti in cerca e di me che li ho uccisi? Non darti pena; se vuoi qualche cosa da me, dillo: ma non mi toccherai. Tal cocchio il padre di mio padre, Helios, mi dà in difesa da mano nemica.

Della sepoltura dei figli si preoccupa ella stessa:

a loro con questa mano darò sepoltura dentro il recinto di Bera, dea Aerea, ché non li oltraggi un nemico e profani

le tombe. In questa di Sisifo terra istituirò una pia festa e mliile.:ì per espiare quest'empio omicidio, lo poi alla terra n'andlò di Eretteo-, e abiterò con Egeo Pandionide.

L'assassina &5

Anche per Euripide queste non sono soluzioni, ma dati della mitologia e del culto, la cui natura problematica è posta abba­stanza in lnce nella replica di Giasone:

o donna odiosa, la piu detestabile a me, agli dèi e a tutti gli uomini, tu che trafiggere osasti i tuoi figli e me uccidesti, privato di loro; ancora guardi la terra e il Sole, avendo osato l'azi.one piu empia?

E ancora piti acuto era questo prohlema, .accennato nel canto col quale il coro cercava invano d'impedire l'infanticidio:

o Terra, e tu che tutto vedi raggio di Sole, mirate mirate la donna funesta, prima (:he la cruenta mano getti omicida sui figli: ché dell'aurea tua stirpe sono germogli, e temo che sangue divino sia versato da uomini. Ma tu, .lu-ce divina, trattienila, arrestala ...

In Medea infuria il gusto omicida di una Erinni. Come av­viene che questo demone possa sussistere in lei accanto alla pura forza solare? Tale è la questione per Euripide.

La risposta si trova già nelle prime parole della sua eroina tragica. Ella chiama dall'interno, prima di apparire sulla scena:

o maledetti figli di trista madre, possiate perire insieme al genit-ore.

Questo « possiate perire insieme al genitore» si converte qui in tragedia, in una manifestazione tragica della natura femmi­nile, che non diminuisce la dignità di chi la compie. Al contra-

Page 42: Kerényi K. - Figlie del Sole

Hl> La ricerca della regina

rio: colei che è respinta dal suo uomo, colei che soffre la dura

separazione, ritrova, come per una spietata legge di natura, 5014

tanto in un separare ulteriormente e in un tagliare piu a fondo

quel complesso vivente, che un tempo era formato da lui, da lei

e dai figli, il proprio potere e la propria esaltazione. I figli, (che

prima esistevano per formare e continuare quel complesso vi·

vente, non hanno piu senso per lei se non per servire a questo

potere, per venire sacrificati a questa esaltazione. E poiché ap­

partiene a Medea iI gusto del sacrificio cruento, anche questo

sacrificio dev'essere cruento.

Essa parla deUe ragioni di questo fatto inevitabile, come

donna a donne:

Lui ch'era tutto per me - tu lo sai rinse!, il mio sposo, il peggiore degli uomini. Tra tutti i vivi e i pensanti noi donne siamo la specie la piu disgraziata. A grande prezzo d-obbiamo acquistarci prima un marito e signore del corpo; ma questo è il peggio, e il maggiore pericolo: buono o cattivo tenercelo. Infatti non onorevole è il separarsi a donne, né ripud.iare il marito. A nuove leggi e abitudini giunta indovinar devi, ignara -da prima, come il compagno convenga trattare. Se ci rie~ci a fatica e lo ,sposo non controvoglia sopporti il suo giogo, degna d'invidia è la vita; altrimenti, meglio morire. Che quando poi l'uomo si cruccia in casa coi suoi familiari, mcito placa il disgusto volgendosi a qualcbe amico o a .suoi coetanei; noi invece abbiamo una !ODIa persona.

Qnesta descrizione può nei dettagli dipendere dal gusto nel tempo. Tnttavia la relazione deUa donna con l'uomo prescelto

L'assassina 87

neJl'amore porta con validità naturale alla medesima situazionf".

Di qui l'accentuazione della passione amorosa di Medea:

Travolgenti passioni non dànno agli uomini onore né virtu. Ma temperata se giunga Afrodite, non è ,altra dea cosi gradita. Giammai, o Signora, contro di me scaglia dall'arco tuo d'uro uno strale avvelenato di passione. Me- prediliga temperanza, il piu bel dono degli dèi; né mai di litigiose ire, di risse insaziabili colpendomi Afrodite, mi gelti su lenÌ altrui, ma rispettando il pacifico coniugio sorvegli accorta delle donne i talami.

All'appassionato attaccamento di una donna ,altera al vincolo

matrimoniale come a un dato di fatto naturale corrispondono le

trionfali parole cbe Medea rivolge a Giasone verso la fine:

Tu non dovevi, sprezzato il mio letto, menar vita allegra e deridenni .••

E cosi ella rimane in Euripide, nonostante l'infanticidio col quale punisce lo sposo, e anzi proprio in virtli di esso, degna di

se stessa, « dell'alta nipote di Helios». Ovvero, considerata da un punto di vista puramente um,anO:

Nessuno creda me volgare e debole e tranquilla, bensi di opposta indole: grave ai nemici e agli amici benevola. Solo di tali la vita è onorevole.

Questa soluzione del problema di una Heliade che uccide i proprii figli, è un 'intuizione di Euripide. Una soluzione hen

Page 43: Kerényi K. - Figlie del Sole

S8 La ricerca della regina

efficace! Ma aveva essa un fondamento anche là, dove Medea era infanticida prima che apparisse sulla scena, vale a dire nel cnIto? Euripide stesso ricorda che la popolazione di Corinto celebra ( una pia festa e misteri per espiare questo omicidio »),

e indica anche il luogo del seppellimento, dove quella celebra­zione aveva luogo: il sacro recinto di Hera Aerea sull'Acroco­rinto_ Una parola che egli qui impiega (tele). accenna a una mistica festa. Un tardo scrittore, F'ilostrato neI suo H'erDikos, la paragona con il lamento estatico nei misteri. Vien fatto una volta perfino il nome di Adone, che veniva pianto in modo simile.

Dello svolgimento della celebrazione sappiamo soltanto che annualmente selte fancinIli e setle fanciulle venivano portati nel santuario di Hera, e li dovevano passare l'intero anno,

come in esilio o nella morte. Il mitologema, sul quale ciò venne fondato, ci è rimasto. Medea nascose i suoi figli, una volta nati, nèl santuario di Hera. Ella credeva - cosi ancora si aggiunge nella tarda redazione, a noi tramandata, del mitologema - che con ciò i fanciulli divenissero immortali; ma Giasone, quando scopri lo strano modo di agire di sua moglie, la ripudiò_ Questo rendere immortale nascondendo non era dunque un'innocente azione di Medea. La ripetizione di quest'azione per mezzo di quella simbolica offerta di quattordici fancinIli e fanciulle, il mistico lamento e 1'esplicito carattere funerario di tutta la festa, non lasciano presagire nulla di buono_ L'unico dato, col quale si può paragonare in suolo greco questa offerta, è il sacrificio di fanciulli e fanciulle ateniesi che, in numero pari a quello ùei corinzi, venivano spediti a Creta nel labirinto e divorati dal Minotauro.

Si possono ricordare anche altre analogie mitologiche. Nella precedente storia familiare della nipote di Helios era accaduta già una volta che un avo facesse scomparire i suoi figli appunto dopo la nascita: era Crono, che divorava i propri figli. Azioni

, I

r ::

L'assassina 89

siffatte sembrano essere familiari nel medesimo ciclo mitolo· gico, al cui centro si trova il Sole. TI Minotauro - con altro nome Asterios o Asterion, « lo stellato)) -, che divorava i figli degli Ateniesi, era figlio della figlia di Helios, Pasifae_ Al labirinto è legato anche il nome della figlia di Pasifae, Arianna, la nipote di Helios. Ma la somiglianza, e a un tempo il contrasto. tra la figura di Medea e quella di Arianna ce li sottolinea Apol­Ionio Rodio, quando al suo Giasone fa raccontare della cretese

figlia del re e fa quindi pronunciare a Medea le piu impressio­nanti parole del suo poema: « lo non sono eguale ad Arianna! •

Medea è l'antiarianna, colei che riconduce i neonati alla morte, non come Arianna i già morti all.a vita. Al centro delle­

raffigurazioni del labirinto nelle monete cretesi si vede talvolta in luogo del Minotauro, o della stella che accenna a lui, la falce della luna. Il sette è un numero lunare: sette giorni significano un quarto della luna, due volte sette il crescere o il calare della stessa. La ripetizione annuale della festa corinzia vieta, s'in­tende, di pensare a una semplice imitazione della luna nel suo declinare e occultarsi. Nel caso vi sia in ciò un rapporto COli

l'oscura metà lunare, esso dev'essere collegato anche con un

rapporto al Sole. L'aspetto mortale, che veniva posto sott'oc· chio nel santuario di Hera sull'Acrocorlnto mediante l'imita~

zione della scomparsa dei figli di Medea, rientrava di sicuro in una connessione phi complessa di quanto non fossero propensi a.

credere i sostenitori di una mitologia astrale. Nella stessa Medea l'aspetto stellare e quello umano sono visibilmente intrecciati. E noi non siamo ancora in grado di fissare il posto di lei in quel grande «contesto» formato dall'essere del Sole e dall'essere dell'uomo.

Nel culto corinzio essa era un'occultatrice di figli, ciò ohe è soltanto un'espressione attenuata per dire infanticida. In questo infanticidio accadeva come nel fratricidio: dopo la scompar;a avveniva la ricomparsa. Nel segno di Medea o di un'altra dea?

Page 44: Kerényi K. - Figlie del Sole

9() La ricerca della regina

Noi l'abbiamo sempre incontrata soltanto nell'esecuzione di una azione mortale, anche se questa - come nel caso del fraleUo -serviva al rinnovarsi di colui che vive in eterno. Il suo posto è là dove ella riduce in pezzi, dove il vivente è tagliato e spartito, dove viene ucciso. Ma noi la incontrammo anche in connessione con altre dee: suIl'Acrocorinto con Hera. Appunto là essa deve aver fondato il tempio di Afrodite. Ad ApoIlonio Rodio eIla appariva come sosia deIla dea Luna. Ed ella è, per lui e per tutta l'antichità, soprattutto una sacerdotessa di Ecate. Forse per mezzo di queste dee, o di una o dell'altra di esse, possiamo ap­prendere qualcosa di piIi intorno a Medea.

Ecate in tutta la sua essenza esprime qualche cosa di lunare, e in Euripide è la dea familiare di Medea. È Ecate che la donna ahbandonata supplica insieme a Temi con l'invocazione «si. gnora Artemis», come sue testimoni nel giuramento. La. « lon· tana)) dea (tale il il significato del nome « Ecate ))), colei che ha scelto i crocicchi e i trivi per i suoi vagahondaggi e le sue appa­rizioni, colei che accerchia a mo' di cane selvaggio, in casa di Medea prende il posto di Hestia, la dea del focolare:

per la signora che onOTO .su tutte, Ecate, e scelsi mio aiuto, e che abita nei penetrali del mio focolare -

cosi giura Medea in Euripide. A ciò fa riscontro in Apollonio il fatto che ella dimor.a costantemente nel santuario di Ecate come sua sacerdotessa. Ecate l'ha istruita, da costei Medea apprese la scienza delle erbe magiche, la preparazione dei veleni e con­travveleni. La magia di Medea è piuttosto una scienza, quella di Circe un',arte. A Ecate appartiene la non-apollinea scienza segreta, in lei l'aspetto lunare mostra la sua esperienza delle uscite e deIle entrate pili segrete, dello sbocciare e dello spe­gnersi della vita.

Con ciò si spiega la tradizione 'dominante intorno alla madre

L'assassina 91

di Medea. Sussiste la possibilità che la coppia fraterna Aiete­Circe fosse in origine anche coppia coniugale e Medea, col nOUle

di Cassifone « la fratricida », una figlia di Circe; tuttavia que­sta possibilità non ha trovato posto nella concezione classica. Sofocle conosce come sposa di Aiete Neaira col nome di Luna nuova, ma forse soltanto come madre deIl'ucciso frateIlo Apsyrtos-Fetonte. Anche in Apollonio costui ha una madre di­versa da Medea. EIla si chiama Asterodeia, « colei che vaga intorno come stella» o « sotto le steIle ». La madre di Medea porta in tutta quella che è divenuta la tradizione dominante il nome univoco di Idyia o Eidyia, « l'esperta». Un tale nome conviene alla Luna, quando venga considerata sotto l'aspetto dì Ecate. Se una volta Ecate è designata addirittura come madre di Medea, ciò supera soltanto nell'espressione queIlo che in so­~tanz,a già da prima era certo.

Mrodite, che abbiamo parimenti incontrato nell' essenza in­tima di Circe, s'impadronisce di Medea come dall'esterno: la ammalia. Euripide e i poeti epici si servono di lei per spiegare il legame passionale deIla loro eroina con Giasone. Ed è una significativa trovata quando in Valerio FIacco, il rifacitore ro­mano della spedizione degli Argonauti, Afrodite appare nelle sembianze di Circe. Ma non solo poeti pili tardi, bensi anche Pindaro descrive particolareggiatamente l'intervento di Afrodite. I tratti solari dell'incanto d'amore, che essa rivolge contro la esperta vergine lunare, risaltano particolarmente belli nella rap­presentazione di Pindaro: per ]a prim,a volta allora - cosi press' a poco suona questo luogo della quarta ode Pitica - la signora degli acutissimi dardi, ]a dea nata presso Cipro, portò daIl'Olimpo tra gli uomini il variopinto torcicollo, l'uccello dell'amore delirante, incatenato in modo indissolubile al cerchio di una ruota solare a quattro raggi, e insegnò a Giasone l'arte di supplicare, che era al tempo stesso uno scongiurare, per cui Medea perde il rispetto dei genitori, e il desiderio deIl'ElIade

Page 45: Kerényi K. - Figlie del Sole

92 La ricerca della regina

flagella e sospinge lei, l'ardente, con la oferza di Peitho, ancella di Afrodite e dea della persuasione ...

È nn ,genuino mito lo gema sulle origini quello che pindaro ci racconta. Afrodite portò gin in terra l'incantesimo solare, affinché la lunare nipote di Helios toccasse in sorte, in virtn della sua forza ammaliatrice, all' eroe solare Giasone. Alle altre cause del suo destino ci conduce tuttavia soltanto il legame di Medea con la dea che anche presso Pindaro è la promotrice della spedizione degli Argonauti e - come i posteriori poeti epici dicono espressamente - muove Afrodite: Hera. Già l'Odissea è a conoscenza che Hera portava amore a Giasone. Ciò viene completato dalla narrazione corinzia, che Zeus ,amava Medea e costei lo distolse dalla fedeltà a Hera. Tutto questo legame delle due dee - un paranelismo nella loro relazione con Giasone e una comunanza d'interessi che si manifesta liuI· 1'Acrocorinto' perfino in una comunità di culto - deve avere ragioni pin profonde che non quelle soltanto poetiche.

Una comunanza di culto, come quella di Hera e di Medea

sull'Acrocorinto, è pensabile in generale solo sulla base di

un'intima affinità, dell'uguaglianza essenziale delle due dee,

ovvero della loro reciproca integrazione. A Hera, la cooperatrice

di Giasone e protettrice del matrimonio, corrisponde Medea - la cooperatrice di Giasone, colei che vendica la violazione

del matrimonio con l'uccisione dei figli - proprio in quel punto

,",senziale in cui Euripide intui la soluzione del suo problema.

Egli la rappresentò sotto il seguo della comunanza di culto

corinzia, vista parimenti attraverso Rera. Egli fece ciò, senza sottolineare in modo particolare il legame della barbarica

nipote del Sole con la grande dea olimpica. È questo un rapo porto assai singolare, il cui fondamento nell'essenza delle due

dee è probabile dovesse anche rimanere segreto. Infatti dal

punto di vista della religione olimpica doveva sembrare strano

.:!l

L'assassina 93

che Medea l'assassina potesse rappresentare le leggi della sublime sfera di potere di Hera.

La Medea di Apollonia faceva questo in modo meno crudele, ma egualmente esplicito, che la Medea di Euripide. La situa· zione, che deriva dal fatto che le leggi di Hera debbono venire attuate nella seduzione di Medea malgrado l'intromissione di Afrodite, doveva produrre un effetto quasi ridicolo, se non fosse stato da intendersi dal punto di vista della dea del matrimonio. Medea non viene rapita come Persefone. Ella segue Giasone, cui ha dato aiuto per amore. Quando poi gli Argonauti fuggitivi vengono raggiunti dai Colchi nella terra dei Feaci, Medea sup· plica la regina dei Feaci Arete di non consegnarla agli inse· guitori e al padre. Arete cerca di persuadere in tale senso il suo sposo, il re Alcinoo. Essi discutono confidenzialmente nella notte la difficile contingenza. Alcinoo prende la decisione: nel caso Medea sia già moglie di Giasone, non verrà restituita. Ma se essa non sia ancora sposata, dovrà tornare ad Aietes. Il re si addor­menta con questa decisione. La regina sorge dal suo fianco e fa

pervenire a Giasone la notizia. Soltanto in seguito a ciò viene celebrata in tutta fretta la notte

nuziale di Medea. Non si tratta appunto né di ratto né di libero

connubio, ma di matrimonio, quello che avrebbe dovuto con·

cludersi nella casa paterna di Giasone. Questa sarebbe stata l'intenzione dei due. Ma ora Ii stringe la necessità: la decisione

di Alcinoo. La tirannia della situazione non può venir superata

facilmente, benché il poeta facesse di tutto per farla dimenti.

care. L.a grotta di Makris, una divina nutrice di Dioniso, viene scelta per la celebrazione delle nozze. Sul letto nuziale splende

il vello d'oro, il manto dell'ariete solare, il cui fulgore riempie

di dolce desiderio le ninfe, che si affrettano sul luogo. Esse portano fiori, mandati da Hera. E gli eroi canlano il canto nuziale, accompagnati dalla cetra di Orfeo. Cosi Hera onora il

Page 46: Kerényi K. - Figlie del Sole

94 La ricerca della regina

suo favorito e anche lei, insieme col suo mondo - il mondo del matrimonio con le sue leggi -, vengono onorati.

La comunanza di culto delle due dee suI!' Acrocorinto sarebbe dunque da intendere nel senso che Medea col suo tetro culto trovò accoglienza nel sacro recinto della moglie di Zeua come una barbara rappresentante del mondo di Hera? Vi giUll:'\C

ella soltanto con la leggenda della spedizione degli Argonauti e con Giasone, l'eroe favorito da Her.a? Giacché del carattere barbarico del culto di Medea i Corinzi rim,asero sempre consa­pevoli. Essi chiamavano « semibarbari» i figli di Medea, ono' rati col sacrificio dei loro propri figli. Se quel sacro recinto fosse appartenuto in origine soltanto a Hera, la maestosa dea olim­pica, costoro avrebbero avuto scarse prospettive di esservi accolti a causa del loro padre Giasone. Contro una tale ipotesi p.arlanl> sia lo stretto rapporto di Medea - e non già dell'olimpica Hera - con Helios, la cui presenza determina l'atmosfera cul­tuale dell' Acrocorinto, sia la slessa tradizione.

L'Ella de arcaica conosceva diversi mitologemi circa l'origi­naria ripartizione del mondo e distribuzione dei domini e dene regioni a diverse divinità. Soltanto poche di queste narrazioni ci sono rimaste. « Raccontano a noi uomini antiche leggende - cosi suona un tale mitologema presso Pindaro - che qnand<> Zeus e gl'immortali si divisero la terra, Rodi non fosse ancora visibile snllo specchio del mare, ma !'isola stesse nascosta nelle salse profondità. E poiché HeIios non era presente, nessuno gli assegnò una parte. Cosi lasciarono lui, il dio puro, senza una terra propria ... » Quasi! Poiché quando Zeu, per amore del" dimenticato vuole intraprendere una nuova asse.gnazione, HeIios vede emergere dalla superficie del mare nna terra, e la sceglie: l'isola di Rodi.

Nessun altro racconto avrebhe potuto ·esprimere in modo pIU' efficace di questo la posizione di Helios alla periferia del mon,!o divino dominato da Zeus. I Corinzi avevano evidentemente-

L'assassina 95

un'altra immagine del mondo, nella quale il dio Sole aveva una parte decisiva. Secondo una loro tradizione, riferita dal poeta epico Eumelo e dopo di lui anche da un antico compo· nimento prosastico, Helios distrihui la sua porzione del mondo in tal modo che uno dei suoi figli, Aiete, ottenne ciò che per i Corinzi rappresentava sicuramente il centro del mondo: Corinto stessa. Soltanto pin tardi costni si sarebbe ritirato nella Colchide, al margine orientale del mondo. È per questo che sua figlia Medea poté pin tardi con pieno diritto regnare in Corinto, e Giasone soltanto « ,8 causa di lei» sarebbe stato riconosciuto come « partecipe della sua sovranità». Non il Greco condusse - cosi sapevano i Corinzi - una barbara dall'Oriente introdn­cendola come dea straniera nel mondo dei culti acrocorinzi, ma la singolare figura di Medea, in quanto figlia di un figlio del Sole e regina, vi era di casa e legittimava il suo sposo ellenico.

Questa tradizione signi:fic,a, tradotta in una concezione reli­giosa immediata, che l'Acrocorinto ero considerato come l'Aia di Aiete, come una terra del Sole - soltanto non al margine del mondo, ma sospesa in alto. Ogni luogo del mondo antico, dove diversi santuari vengono riuniti in un.a zona di culto che come paesaggio è omogenea, è una terra mitologica: esso esprime allo stesso modo un aspetto del mondo - talvolta molto complicato, ma sempre significativo - come lo esprime un mitologema nelle sue diverse variazioni. Sull' Acrocorinto fu creato un sopramondo celeste, una sfera del Sole, extraspaziale ed extratemporale, la quale poteva stare egualmente bene al centro come essere trasferita al margine: un aspetto del mondo, in quanto la totalità del mondo poteva venire guardata anche dal punto di vista della sua genesi come da una sorgente origi­naria fuori del mondo.

Il mondo acrocorinzio della genesi ci si è mostrato, nella considerazione intorno a Circe, sotto il segno dell' Afrodite celeste. Ora vediamo che anche quel sopramondo possiede

Page 47: Kerényi K. - Figlie del Sole

96 La ricerca della regma

almeno ancora un altro aspetto, che è parimenti connesso col

Sole e tuttavia è molto meno solare che lunare. Sono qui visibili due lati, che s'integrano a vicenda. Eppure non stanno, ad esempio, da un lato la vita e dall'altro la morte, bensi qni Afro· dite e là Hera. Si tratta in ambedue i lati di ricchez'ze e misteri

dell'essere, che non si possono interamente esprimere con un'u­nica parola, nemmeno con la doppia parola «vita e morte ».

Le civiltà preelleniche credettero di poter afferrare tali misteri senza dubbio piu per mezzo degli eventi celesti, per mezzo dei destini delle stelle; i Greci, invece, piu per mezzo <Ielle figure umane. Pei rappresentanti delle due diverse conce· zioni del mondo l'esistenza umana era radicata in un essere tra­E-cendentale di natura stella re - per esprimerlo in greco: Urano e Gaia. Essi potevano perciò dire del Sole e di tutta la sua parentela celeste quello che C. F. Meyer, o prima di lui Gian· giacomo Rousseau, diceva dei propri genitori: « Tels furent les auteurs de mes jours », questi furono gli autori dei nostri giorni. Come figura apparve tuttavia ai Greci, in un mitologema che esprimeva orribili misteri intorno all'origine ( dei nostri giorni », non la Luna stessa in quanto dea, ma una Medea.

M,a nemmeno la Titanide, quale sempre è rimasta Medea, soddisfaceva l'esigenza greca di cosi elevate e pure soluzioni dei problemi e dei paradossi dell'essere, quali li rappresentano le figure delle divinità olimpicbe. Come il Sole, cosi anche la sua nipote doveva inserirsi nell'ordinamento olimpico. Hera si pose accanto alla sua precorritrice barbaric-a, o in ogni caso arcaica, e l'avvolse della santità del suo proprio mondo. Ciò avvenne sulla base di un'effettiva affinità essenziale, che aiuta a sciogliere l'enigma di Medea, allo stesso modo cbe il lato .afroditico nel· l'essenza di Circe facilita la comprensione di questa figlia del Sole. Circe e Medea sono ambedue in certo qual modo soltanto <lei gradi preparatori, e cosi dobbiamo intenderle. I gradi pili elevati si chiamano Hera e Afrodite.

La metà

Invano cercheremmo nella mitologia greca il male personifi. cato, un essere che rappresenti la malvagità in sé. La genealogia esiodea presenta dal lato del Caos, della tenebra e della Notte, tutta una serie 'di figure letali, o « figure infonni», compreso Thanatos, la Morte stessa. Ma mortale non è ancora, in sé, dia­bolico. Gli dèi <lei destino e della morte, il Sonno e i Sogni, le Esperidi e la Nemesi: questi figli della Notte sono di sicuro non univocamente degli spiriti malvagi. I rimanenti di questa serie di fratelli sono anch'essi piuttosto neutrali: necessità ele­mentari, come Illusione, Amore e Vecchiaia, ovvero - come « Momos» e « Oizus »: Biasimo e Affanno - punizioni, dalle quali l'umanità viene colpita, forse però a proprio vantaggio. Soltanto di Eris, la Discordia, dice Esiodo espressamente nelle Opere e i Giorni, ve ne sono di due specie: una buona e una cattiva. Cosi anch'essa non è ancora in sé diabolica, ma tra i suoi figli la malvagità viene già in primo piano: accanto alle Piaghe, che in sé possono essere senza malvagità e pur,amente mortali, anche « Phonoi» e « Androktasiai l), in una parola J'Omicidio.

Letale non è senz'altro malvagio: indnbhiamente malvagio è l'Omicidio. Dall'altro lato della genealogia esso è presente

Page 48: Kerényi K. - Figlie del Sole

98 La ricerca della regina

per la prima volta con i misfatti di Crono. Ciò non significa in ,é ancora che Crono sia il Malvagio. Al suo nome è persino associata la felicità dell'età dell'oro, una felicità senza alcun gusto concomitante del male. Le sue azioni omicide sono certo cattive, ma non di un unico e dello stesso genere. U TI' azione di queste era il separare: separare la primitiva unità generante di Urano e della madre Gaia, e recidere le virilità del padre. L'altra azione efa l'incorporare: il divorare i propri figli. Se ciò gli fosse riuscito di fare con tutti i neonati, avrebbe in un certo senso ristabilito la felice condizione primitiva, in cui i genitori erano uniti: avrehhe conseguito un non.progredire, un eterno rimanere nella stessa felicità. Considerata dal punto di vista del nostro mondo sviluppantesi nel tempo, sarebhe stata una mostruosità - tuttavia soltanto la mostruosità dell'età del­

l'oro. Cosi la seconda azione sta contro la prima, e quella prima, l'azione della falce che divide, omicida e cruenta, si rivela come la prima propriamente malvagia ...

Il prohlema che si affacciò dopo la considerazione SlI Circe e che s'impone in modo assoluto dopo la conoscenza fatta di Medea, concerne la malvagità. Di dove proviene la malvagità di una EIiade? Questo dovevamo chiedere anzitutto in relazione all'incantesimo di Circe, e ora chiediamo in generale circa il sorgere del male in una dea. La magia di Circe era WlO stru­mento di potenza, che toglieva alle vittime la loro libertà e la dignità della loro propria forma, che le divorava. La potenz,a è in sé qualcosa che divora, il che rispetto a ciò che prima era fuori, certamente è demoniaco: il secondo tipo di malvagità nel senso del mitologema di Crono. Nello sfondo di Circe stava nascosta anche l'Etéra che divora, la Madre che tesse, la quale in pari tempo è colei che di nuovo disfa, colei che ringhiotte ciò che ha inghiottito. Soltanto, la sorgente della sua magia era qualcosa, di cui nulla che è vivo può essere spossessato e liberato: cioè la sua natura solare, Helios in essa! La volontà

La metà 99

di divorare doveva venir dominata, affinché il male si risolvesse in un'esistenza puramente solare e aurea.

Cosi Circe al margine occidentale del mondo attira con forza t'olare nell'ambito del suo potere divorante gli esseri viventi, se essi non sono alla sua altezza. E quelli che lo sono? Essi ritor­llano attraverso il mondo degl'Inferi. È forse in questo Circe soltanto una copia di sua madre Perse, la misteriosa regina? Dovremmo crederlo, giacché nelle generazioni divine, madri, figlie, nipoti mai sono tra di loro del tutto dissimili. In questo easo però noi ,abbiamo forse incontrato anche un' alt:r;a copia della sposa del Sole. Medea, la figlia di re, al margine orientale del mondo, la legittima regina della città solare di Corinto, è caduta nell'incantesimo ,afroditico, che scaturisce dalla natura solare. Ma la sua essenza e la sua magia sono lunari. Un essere notturno, che tocca la malvagità di Crono in questo, che Medea {( nascondeva» i propri figli: quasi volesse trasmutare la notte in una felice eternità, allo stesso modo che quello l'aureo giorno.

Anche Medea si muoverehbe nel cerchio del secondo tipo di malvagità, della potenza che divora, se non fosse rivolta all'O­riente, alla separazione. E cosi ella appare assai piu terribile di Circe: come la vendicatrice del fallito divorare. È forse la cosa piu terribile e malvagia in genere: ammazzare perché la propria potenza fallisce, uccidere come forma estrema del domi­nio. E proprio questo nel segno della nobile e pura regina degli dèi, Hera! Giacché, tuttavia, per entro l'antico ciclo della mitologia solare Medea era forse soltanto colei che divora i propri figli, e in ciò non piu scellerata di Crono; e quando faceva in pezzi il dio Sole - originariamente, di sicuro, non piu persone, Apsyrtos, Giasone e suo padre Aison, bens! in una stessa persona padre, sposo e fratello - ciò faceva soltanto perché senza separazione non viene ad effetto nessuna nuova nascita, e anche l'azione piu malvagia, omicida~ è solo malvagia rispetto all'unità originaria ... Soltanto sotto il segno di Hera la

Page 49: Kerényi K. - Figlie del Sole

100 La ricerca della regina

omicida ci si presenta con un'azione della vera morte, e non della vita che si rinnova, e potremmo dare alla nostra domanda la formulazione virgiliana: « Tantaene animis coelestibus irae? » È l'ira cosi potente nell'animo dei celesti?

È il problema di Hera che Virgilio rappresenta, ,anche se egli la chiama col nome romano di Giunone. Noi parliamo in ogni caso soltanto di Hera olimpica, figlia di Rea e di Crono, la nipote di Gaia e Urano. Ma non dobbiamo in tal caso dimenti. care del tutto che senza un'affinità essenziale ella non avrebbe potuto essere identificata con la dea romana, e che Giunone domina il periodo della luna nuova. Sappiamo infatti che il suo nome è equivalente a quello della madre dei figli di Helios: Neaira. Enumerare gli altri suoi tratti lunari sarebbe facile: tuttavia la premessa di una nuova ricerca intorno a Giunone sarebbe quella stessa intorno ad Hera. La nostra ricerca deve prestare attenzione all'aspetto lunare nell'essenza dell'olimpica regina degli dèi, anche se la ricerca stessa non tenda a un 'inter* pretazione mitologico*astrale di Hera e Giunone come divinità lnnari nel senso di Mene, Selene o Luna. Per quanto riguarda Hera, rimane abbastanza singolare che sua madre Rea nell' Asia Minore rechi come «Grande Artemide» tratti prevalentemente lunari e che a lei stessa venga attribuita per figlia anche Ecate.

La particolarità della situazione mitologica di Hera sta ora nel seguente paradosso. Accanto allo Zeus olimpico, che non è affatto identico a Helios, essa Don può essere una donna lunare e una sposa del Sole, come quella misteriosa i cui tratti si sono delineati nella figura di Medea, e ciò nondimeno Hera poté, pro· prio nella sua relazione con Medea e nella sua qualità di regina degli dèi, essere la regina ... D'altro canto Zens porta l'appel. Iativo cultuale di « re» non in quanto olimpico ma in quanto « infero », «katachthonios », e in questa qualità sembra apparo tenere alla coppia ctonia di Demetra e Persefone come marito della figlia, la lunare regina degli Inferi. SuIl'OIimpo egli è

La metà 101

« padre degli uomini e degli dèi ». In corrispondenza di ciò anche Hera porta il titolo di regina soprattntto nel culto, ma sull'Olimpo essa è la sposa, con un 'accentuazione e un rilievo di questa dignità, che rende come snperflno il risaltare delle altre. In Omero la « regina» rimane a tal punto nello sfondo di un'immagine rappresentante semplicemente la cc sposa», che alla fine c'è da domandarsi in generale - e questo appnnto è il paradosso della situazione - se la regina titanica, la primi. tiva realizzazione di questa possibilità dell'essere femminile, sia d.a riconoscere in Hera la sposa, ovvero non venga in questione a tale riguardo la fignra di nna dea tutta diversa. Medea era già solo 1m aspetto della sposa di Helios accanto all'afroditica Circe ...

Le scene coniugali tra Hera e Zeus sono nell'Iliade prodotte da uno spirito nient'affatto parodistico, ma da quello spirito omerico che solleva anche la tragedia a un'altezza pur,a e serena

e fa risuonare il liberatore riso degli dèi sn ciò che gli stessi

eroi piangerebbero. AI poeta preme a tal punto la raffigurazione

di una situazione coniugale elevata al piano extratemporale dell'archetipo - non già al piano di un paradigma morale! -

d.a subordinare, per cosi dire, gli dèi a questa situazione, e far

loro rappresentare la parte di coniugi, come sono; da farli

quasi giuocare e appunto con ciò mettere in risalto l'idea di « sposo» e di «sposa ». Solo nello spirito di questo « ginoco » nel reguo di una validità extratemporale - dell'eterno. umano,

si potrebbe anche dire, ma riferito a un piano pin profondo, nel

quale « giuocano» delle forze che trascendono la vita indivi.

duale - diventa del tutto comprensibile la famosa scena coniu­gale del primo. canto.

È la dea Tetide, la figlia del vecchio marino Nereo, che pone

Zens ]n una penosa situazione. In uno degli avvenimenti titanici

Page 50: Kerényi K. - Figlie del Sole

102 La ricerca della regina

che sono sempre soltanto accennati, svoltisi nella vita familiare di Zeus con Hera,

quando di legarlo gli altri Olimpici minacciarono, Hera e Posidone e Pallade Atena,

la dea del mare «dai piedi argentei» portò aiuto a colui che era angustiato. Adesso lei sollecita da lui l'onore pel suo figlio offeso, Achille. Ciò poteva avvenire soltanto contro la volontà di Hera. Perciò Zeus tace a lungo, seduto in disparte d.gli altri sulla piti alta vetta del frastagliato Olimpo.

Tuttavia Tetide si stringe forte alle sue ginocchia.

Avvinta in tal modo gli stava, e ehiesegli ancora di nuovo: - Sincero a me dunque prometti, rivolgimi un cenno di assenso. ovvero un diniego (ché niente tu devi temere): ch'in sappia quanto tra tutti gli dèi io SODO la piu disprezzata -. A lei seccatissimo Zeus che aduna le nubi rispose: - Ah, brutt'affare! con Hera mi spingerai tu a litigare, allora che m'irriterà con parole insolenti: con lei, che anche cosi in mezzo ai numi immortali sempre m'assale col dir che sostengo in battaglia i Troiani. Ma .ora di nuovo allontànati, acciò Don s' accorga Hera j e di quanto dicesti avrò cura, finché non ]0 compia -.

Egli « giuoca », come se questa deliberazione potesse essere tenuta segreta davanti alla moglie - ana]og,amente a quanto avviene nei rapporti umani - ed egli stesso non facesse subito tremare, col potente cenno del suo capo divino, tutto 1'00hnpo! Anche Hera accetta il «giuoco», come se non avesse notato Tetide nè indovinato la ragione dello scuotimento della sede divina. È alla mensa familiare a cui Zeus interviene non in veste di re ma di padre, in compagnia degli altri dèi, che ella comincia:

Quale dio dunque, o ingannatore, di nuovo con te ha concertato? Sempre t' è caro tenerti in disparte da me,

La metà

nascostamente pensare, decider; né mai accondiscendi a dinni una sola parola di quello che hai in mente.

103

Benché Zeus da parte sua insinui di nuovo «per giuoco» che Hera non sa, tuttavia egli avverte chiaramente iI tragico della sitnazione di lei, cui ella stessa ha accennato con le parole ~ in disparte da me D. È la tragedia della distanza, del nOIl­essere-uno, che sussiste tra uomo e donna anche allorquando all'uomo non spetta, colne nel caso di Zeus, il piti elevato degli dèi, una superiorità di rango:

Hera, non devi sperar di sapere i penslen mIeI tutti: difficile sarebbe per te pur essendo mia moglie. Ma quel che conviene si sappia, nessun.() per certo dei numi l'apprenderà prima di te. nessuno degli uomini. Di qnello che invece a parte dai numi mi piaccia pensare, non devi ogni cosa tu chiedermi, né investigare.

Ma con questo cessa per Hera il tipico « giuoco» del « non

sapere» umano, e ne subentra uno esistenziale e insieme ele~

mentare. Ancor sempre un giuoco, giacché gli dèi giocano anche

quando si fanno ,guerra, tanto non ne va mai di mezzo la loro

esistenza. Ma in questo divino giuoco di forze si scontrano gli

elementi ({ Donna », « Uomo », come due «esistenze» minac­

ciate, divino contro divino nella spietata nudità delle loro qua­

lità, e possono app,artenere ad esse, la potenza, come nel caso

di Zeu" o la simulazione, che si tradisce nelle parole di Hera:

- Tremend.() Cronide, quale parola dicesti! Troppo, anche, son solita non chiederti né investigare, e tu indisturbato decidi le oo.se che vuoi. Ora però nel mio animo assai temo t'abbia sedotto Teti dai piedi d'argento, la figlia del vecchio marino: t'bé mattutina a te accanto s'assise, ti prese i ginocchi, e a lei ho in so,spetto tu abbia accordato sincera promessa che onore ad Achille darai, e morte a molti Achei presso le navi -.

Page 51: Kerényi K. - Figlie del Sole

104 La ricerca della regina

A lei rispondendo parlò Zem che aduna le nubi: - Perfida, sempre sos.peui, né mai mi è concesso celarmiti. Comunque tu niente otterrai, se non che dall'animo mio sempre piu lungi sarai: e questo per te sarà peggio. Ché se la cosa è in tal modo, solo a me essa deve piacere -.

La distanza viène qui espressamente definita come spaven­

tosa per Hera, tanto piu spaventosa quanto piu grande diventa. La minaccia che segue, difficilmente può significare un di piu,. dopo che il poeta ha già prospettato il compimento della tra­

gedia di Hera: del suo sempre crescente allontanamento da Zens. Anzi qnesta esplosione della potente natura titanica di

Zeus attesta la solidità della posizione di Hera. Malgrado la tra­gica distanza, ella è cosi saldamente unita a Zeus che a costui non rimane contro di lei che un solo mezzo: le vie di fatto per

cavarsi d'impaccio.

Siediti dunque in silenzio, e prestami ascolto, ché invano non diano a te aiuto gli dèi tutti d'Olimpo, se a te m'avvicino un po' piO. e t'allung.o le mani invincibili.

Queste parole di Zeus spaventano Hera e diffondono sul­

rOlimpo un 'atmosfera di dolorosa depressione. Esse risvegliano il ricordo di una precedente e piu remota lotta, veramente tita­nica, della coppia divina. Efesto, il quale con la sua bonarietà intende sciogliere la tensione in un « inestinguihile riso», rac-· conta anche di quell'evento titanico:

Pazienza, mia madre, e sopporta per quanto angosciata, acciò che, pur cara qual sei, coi miei occhi non veda percuoterti; allor non potrei, sebbene accorato, aiutarti: difficile è infatti oppor.si all'Olimpio. Ché già un'altra volta, mentre tentavo difenderti, presomi un piede mi scaraventò dalla soglia divina: precipitai tutto il giorno, e al tramonto del sole in Lemno piombai quasi senza piu fiato; e li, non appena caduto, m'accolsero nomini Sintii.

La metà lO;

Dev'essere stato un mitologem,a preomerico intorno alla

punizione di Hera, nel quale Efesto, il lemnio dio del fuoco,

appariva come un sosia del Sole, partecipò al volo della rnota solare e - quasi un personificato segno di sv.astica, il simbolQ

del volo solare - rimase eternamente zoppo. Di ulteriori parti. colari titanici c'informa Zeus, quand'egli si desta al principio

del XV canto, dopo l'inganno ad opera di Hera. Titanico è qui non soltanto ciò che è violento, ma anche ciò che è stellare,

l'immagine della Luna nel pendere di Hera, immagine che tra· spare in questa situazione nient'affatto classica:

Certo il tuo perfido inganno, impossibile Hera, Ettore divo sottras.se al combattere, impauti le sue genti. Ora io non so se della tua frode luttuosa anche per prima godrai, e ti sferzerò coi mIei colpi. N on ti ricordi di quando pendesti dal cielo, e ai piedi ti mi.si due incudini, e intom·o alle mani gettai una catena d'oro infrangibile? Nell'etere tu, tra le nubi pendevi; fremevano i numi d'Olimpo, ma non potevano scioglierti, stando vicini, e quel che afferrassi giù dalla soglia scagliavo, finché non giungesse a terra, sfinito.

Ciò avvenne come punIZIOne a causa della persecuzione di

Eracle, l'eroe che Hera rese famoso (poiché questo significa il suo nome). La piu enigmatica relazione di tutta la mitologia

greca, una relazione che apparentemente deriva soltanto dal~

l'odio e tuttavia largisce fama ed eternità ... L'odio di Hera si

trova certamente al1a base di ciò, ma intanto quest'odio è odio

e amore insieme, una condizione di continue lotte e ribellioni I che però hanno sempre il m·edesimo oggetto, s.aldo come roccia:

Zeus. Un frutto della ribellione di Hera contro Zeus era Elesto stesso, un figlio che ella, secondo Esiodo, ha generato e parto~ rito in ira e in gara con Zeus, senza di lui, da se stessa. Senza

dubbio un figlio zoppo e brutto, che lei medesima, secondo un

mitologema, ha scaraventato via. Che lo abbia fauo forse non

Page 52: Kerényi K. - Figlie del Sole

106 La ricerca della regina

unicamente per ragioni di vanità, ma perché l'amore di Hera è sempre anche odio? Non ha essa all'amato Giasone fatto dono

di Medea? Secondo un' altra descrizione degli antichi rapporti, Efesto

era il primo figlio di Hera e di Zeus. Un figlio mostruoso, nel

quale si personifica tutto il lato tempestoso e sismico di sua madre - cosi ci narr,a l'inno omerico ad Apollo Pizio - era

Tifone terribile ooioso, flagello ai monali, che partori Bera adirata eontro Zeus padre, quando il Cronide dal capo Atena famosa generò; e subito Rera sovrana fu presa da ira. e in mezzo ai nomi immortali parlò: - U ditemi, dèi tutti quanti e voi tutte, dee, come comincia a .sprezzarmi Zeus che aduna le nubi per primo, lui ch'ebbe in me una moglie fedele; .ora in disparte da me generò l'occhicerula Atena, che eccelle tra tutti i beati immortali; ma quello che io partorii, il figlio mio FJesto, nacque tra tutti gli dèi il pia infermo, ai piedi deforme. Presolo in mano lo .scaraventai giu nel ,mare; ma Teti dai piedi d'argento, la figlia di Nereo, l'accolse, l'educò insieme alle proprie sorelle. Poteva un favore diverso recare ai beati! Funesto orditore d'inganni, che altro- ora mediti? Come da solo osasti generare Atena occhicerula? Non c'ero io? lo ero chiamata tua moglie tfa gl'immortali che hanno dimora nel cielo. Bada ora, che dietro non mediti qualche malanno. Si, adesso- io pure farò che venga alla luce da me un figlio, distinto tra tutti gli dèi, senza macchiare il sacro tuo letto né il mio. Non verrò piu nel tuo letto, ma stando lontana da te, rimarrò tra gli ·dèi immortali -.

Ella se ne va via di là piena d'ira e si ritira presso gli antichi

genitori, che qui sono, non come nell'Iliade, Oceano e Tetide,

ma Urano e Gaia. Essa comincia a preg.are:

La metà

E batté con la prona mano la terra e pregò: - U-ditemi ora, Terra, e tu vasto Cielo di sopra, e voi dèi Titani, che avete -dimora sotterra nel Tartaro grande, dai quali ebber nascita uomini e dèi: uditemi ora tutti e datemi un figlio senza Zens, non meno gagliardo .di lui, anzi piu farte, di quanto Zens è piu forte di Crono Detto- cosi il suol.a percosse con mano potente; si scosse la terra nutrice; ed ella vedendo, nel cuore gioi: pensò infatti che tutto sarebbe avvenuto. Da allora in avanti, fino alla fine dell'anno, mai piu .5i acoostò al letto di Zeus prudente, mai piu al trono ornato di fregi, come una volta, sedendo a lui presso, gli dava accorti consigli; ma rimanendo nei templi assai supplicati Hera sovrana dagli occhi oovini godeva dei riti. E allora che il giro di notti e di gi.orni fu pieno, e al l"olger dell'anno vennero nuove stagioni, lei part-or1, dissimile a uomini e a dèi, Tifone terribile odioso, flagello ai mortali.

107

Da1la sua propria natura, eredit.ata dall'ava Gaia, Hera par· tori un essere tellurico privo della calma della Terra, un funesto dio vulcanico, che inghiotte e spazza via tempestosamente. In realtà è eosi che Zeus poté far uscire da se stesso Palla de Ateno, mentre Hera non avrebbe potuto partorirla. Qual è il figlio, che eUa secondo la concorde tradizione, omerica e esiodea, par· tori a Zeus? Ares, l'abbominevole dio della guerra, rispetto al quale lo stesso padre si serve nel quinto canto dell'Iliade di queste parole:

Per me il piu odioso sei tu, dei numi che stanno in Olimpo; ché sempre discordia t'è cara, e guerre e battaglie. Tu hai da tua madre il furore sfrenato e implacabile, da Hera, che .a stento addomestico con le parole.

:'\Ion senza ragione Virgilio mise la moglie del re celeste in

relazione con gli spiriti infernali e coniò la famosa massima

Page 53: Kerényi K. - Figlie del Sole

108 La ricerca della regina

di Giunone: « Flectere si nequeo superos, Acheronta nuwebo »

(se non riesco a piegare i celesti, metterò in movimento l'in­ferno). Èdi nuovo Zeus, che nell'ottavo canto dell'Iliade accenna al fatto che Hera, quando si ritira, ricorre alle antiche potenze titaniclie. E non solo con la preghiera, come nell'inno, ma nel fatto che elIa condivide l'esilio sotterraneo degli antichi dèi celesti. E se in quest'occasione Zeus la chiama « cagna », ciò è da intendere piu nel senso di accanita e che sbrana, che di «( svergognata »):

Dell'ira tua non mi curo, neppur se agli estremi confini giungessi della terra e del mare, là dove Giapeto e Crono siedono senza godere né i raggi del SoIe-lperione, né i venti, e profondo hanno il Tartaro. intorno; neppure se là tu giungessi raminga, di te non mi euro sdegnata, poiché di te non c'è niente piu cane.

Dalla superficie di una descrizione poetico·tIplca siamo gJa da un pezzo pervenuti a quelle forze delle profondità cosmiche atelnporali, il cui giuoco che determina l'eterno-umano si ogget .. tiva nei phi antichi mitologemi titanici e nei primitivi culti divini. Le nltime parole di Zeus si riferiscono a quella condizione di Hera, cui corrispondeva nel culto il suo appellativo « Chera », « colei che è rimasta vedova», o qui forse pin propriamente « colei che è rimasta sola ». Queste parole esprimono un grande sprofondarsi e quindi un rimanere sprofondato nella tenebra, che sarebbe altrettanto facile riconoscere nelIa seconda metà del periodo lunare, quanto è facile riconoscere nella prima metà le altre due fasi di Hera, indicate nel culto per mezzo degli appellativi: la « Pais », la « fanc'iulla », e la « Teleia », « colei che è giunta a compimento ». Ora il telas, il compimento di cui qui si tratta, non è certo sotto il segno di Hera un fenomeno astronomico, hensi il matrimonio.

La metà 109

È tempo di prendere in seria considerazione il fatto che Hera rappresentava per i Greci la dea del matrimonio. Per mezzo della sna figura, quale abbiamo imparato a conoscerla, il matri­monio non fu già giustificato come un'istituzione morale o anche soltanto vantaggiosa, bensi illuminato nella sua essenza. Illumi. nato come una forma totale dell'esistenza, la cui validità di natura in tutte le umane forme sociali viene dimostrata appunto con questo, che Hera vi appare insieme al suo lato tenebroso: che tali tenehre - il tragico allontanamento, le lotte e le ribel­lioni - vengono comprese nel matrimonio e non lo smentiscono. Il matrimonio è anzi la premessa che rende tragico quelI'alIon. tanamento, e possibili le lotte e le ribellioni. Esso è costituito da questa totalità di luminoso e di oscuro, e cosi viene ricono­sciuto nel culto di Hera come dato di natura. Matrimoni umani possono andare in rovina, urtando contro una simile « totalità )): Hera invece non soltanto si trova come « teleia» nel matri .. monio, nta percorre il matrimonio come qualcosa di «intero», quasi un « ciclo D.

Her. e Zeus sono nella mitologia greca la coppia, proprio nel senso che soltanto il loro matrimonio mostra questa totalità. Zeus stesso vi trova una pienezza. E.gli riceve in relazione alla sua unione con Hera l'appellativo di «teleios ». Ma «pieno» egli non è già come Hera, nel punto culminante di un ciclo, che ha il suo significato soltanto ,alIo zenit; hensi in quanto inte­grato dall'altra metà - quella lunare e ctonia - ha nel suo ampio potere il mondo intero. Quando Hera si ritira completa­mente nella tenebra, proprio alIora Zeus possiede il mondo con tutte le sue tenebre. Hera è sempre soltanto in rapporto allo sposo ciò che essa è: anche Chera, colei che è rimasta sola. Ella rimane compresa in un ciclo, che in ognuna delle sue fasi viene determinato dalla relazione con Zeus. L'intera sna essenza si esaurisce in una forma delI'essere, che per lei siguifica, anche come pienezza, soltanto un esserè la «metà ». Ella può avere

Page 54: Kerényi K. - Figlie del Sole

110 La ricerca della regina

intorno a Zeus UlI4 valta scienza, ma la potenza sta dal lato del nipote di Urano, dell'erede del Cielo che tutto abbraccia. Il tra· gico non~e8ser&una .. cosa-sola con Zeue tiene Hera a distanza da quel centro - l'essenza di Zeus - stando nel quale la potenza rappresenta nn comprendere altrettanto ovvio quanto l'essere compresi dalla luce del cielo.

Benché tutt' e tre gli appellativi delle fasi di Hera - Pais, Tele;a, Chera - ci siano stati tramandati soltanto dall'arcadica StinIalo, le fasi stesse vennero celebrate anche in altri luoghi del suo culto. Esse corrispondono alle tre forme sotto cui appare la « divina fanciulla», la sposa che si mostra madre tenera nei riguardi della propria figlia, ma piena d'ira nei riguardi d"Ilo sposo violento, il rapitore. Come qui madre e figlia sono nel 101'0

nucleo essenziale identiche, cosi la figlia di Hera, Ebe, appare essere soltanto la sosia di sua madre, anzi la sua propria forma verginale, che conservava accanto a sé, come accompagnatrice, la grande dea ormai sviluppata, la Teleia. Ciò voleva essere l'espressione statico· plastica di quello che si raccontava nella forma mitologia corrispondente al ciclo: Hera che riemergeva sempre vergine dal bagno nella sorgente Kanathos. Questa coro rispondenza nello sviluppo delle forme delle due sorelle Hera e Demetra - che diventavano qui « Hera e Ebe», là Demetra e Kore - viene confermata anche dal fatto che in un'iscrizione di Paro Demetra é designata come Hera, e in un'altra dello stesso luogo perfino Demetra e Kore come « Herai »: « Rere » al plurale. Come se in quell'isola « Hera» fosse in generale sol· tanto un titolo per indicare una « signora» e « regina )} divina, che là era Demetra.

Alla base della 'corrispondenza c'è di sicuro la medesima sostanza, un primordiale, altrimenti irraggiungihile, elemento femminino e a un tempo lunare, che però mostra in Hera aspetti diversi che in Demetra. La differenza non appare in nessuna parte cosi acuta, come da un Iato nella Kore rapita e dall'altro

La metà Ili

in Bera Paia o Parthenos, cioè in Hera vergine. Il racconto, che Hera riacquista la verginità per mezzo del bagno cultnale - giacché veniva immersa la sua statua di culto - ci viene tra~ mandato come un mitologema segreto dei suoi « misteri )). Questo racconto trae origine dall'àmbito del santuario della grande dea di Argo, Hera Argeia, quella che contava per gli eroi di Omero. La sorgente Kanathos sgorga nei frutteti in vici· nanza di Nauplia, e rinfresca le ospiti di un piccolo chiostro di suore. La stessa usanza con analogo significato si trovava di sicuro anche in altri luoghi di culto, dove veniva onorata Rera Parthenos, come in Ermione, e principalmente nella grande isola di Hera, Samo, cbe si chiamava anche Parthenia.

La differenza essenziale tra una vergine tipo Kore come Nemesi o Artemide, ed Hera che riemerge dal bagno cultuale nella sua originaria verginità, consiste in ciò che essa non viene rapita, ma anzi é la sposa volontaria. Ed è Pais o Partheno. solo in rapporto a Zeus, come in rapporto a lui era Teleia e Chera. Il senso della riacquistata verginità sta appunto nel sacrificarla a lui. Per la dedizione che la fanciulla faceva di se stessa, Her,a rimaneva il modello. Ciò che le accade non è né ratto né violenza, come fu il destino di Persefone, ma il connnbio di una divina coppia di fratelli, nel quale la metà femminile ritrova quella maschile a lei strettamente affine. Il tab" umano dell'incesto ha qui tanto poco valore quanto nel caso di Kore Persefone, la quale fu rapita dallo zio, o in quello della madre Demetra, che venne perseguitata e violentata dal fratello. Le forze primigenie si mostrano in un libero giuoco.

L'Iliade nel XIV canto parla affatto apertamente della prima unione di Zeus e Hera:

quando in amore si unirono la prima volta recandosi a letto nascosti ai lor genitori.

Non si tratta qui, appunto, di vero e proprio «Ietto matri.

Page 55: Kerényi K. - Figlie del Sole

112 La ricerca della regina

moniale», ma di un'usanza nota anche altrimenti e che era diffusa nell'antichità, particolarmente a Samo. Là si riferiva quest'usanza, che precedeva lo sposalizio, ad Hera e Zeus, e Bi pretendeva che la scena dell'unione divina fosse stata Samo. Secondo una narrazione, durò trecent'anni. 11 suo frutto fu -cosi si affermava, e in questo ci si scostava da Esiodo - Efesto, il difettoso. A Ermione si sapeva che Zeus si era conquistata la vergine Hera sotto forma di cuculo.

Tale, Hera Pais: né Artemide, né vittima, come la figlia di Demetra, ma la compagna del giovane uomo, che godeva d'accordo con lui. Forse accenna a questo il nome di colei che le è essenzialmente identica, Ebe - il « fiore di giovinezza» da godere -, ma di sicuro vi accennava il piu drastico soprannome di « Pynna ». Anche la moglie Hera fu nel giuoco erotico e nel "ieno abbandono a Zeus rappresentata in un modo, che sarebbe stato impossibile per qualunque altra dea. Le fonti letterarie ardiscono menzionare questa scena che si vedeva nel rilievo di un tempio, soltanto perché credono trattarsi di simbolismo

naturistico. M,a in fondo si tratta di un riattaccarsi al marito

(~ome un lattante alla propria madre, un estremo sforzo per

raggiungere un'unità originaria, perfetta.

L'impulso verso la primitiva unità e l'essere condannata ali.

distanza costituisce l'essenza dell'eterna avversaria e ribelle, e l'essenza di qnella forma di essere che ne costituisce il fonda­

mento - il matrimonio - quale sussÌste in tutti i tempi sotto

il segno di Hera. Questa nipote di Gaia e di Urano ricevette

dalla iniziale unità degli antichi genitori la sna piu profonda

essenza, e insieme, dalla prima malvagia azione di Crono suo padre, la ferita dena separazione violenta. Necessaria era l'a­

zione, necessaria la separazÌone. L'antica madre Gaia, che volle partorire, l'ha provocata. E tuttavia la separazione rimane ciò che Holderlin ha espresso in nna poesia di qnattro versi in modo

La metà 113

quasi altrettanto penetrante che Mede.:

mitologemi di Hera o di

Volevamo dividerei, credev,amo fosse bello e ben fatto; ma perché quest'azione' ci atterrisce, come un delitto? Ahi, poco ci conosciamo, giacché in noi comanda un dio.

Hera porta in sé la separazione: t~nebr.a separata dalla luce del cielo, tenebra che inghiotte, collera titanica, malvagio pia­cere di vendetta. Fin quando rimane nell'orbita luminosa di Zeus, confinata nel suo proprio ciclo, tutto ciò non la domina in modo definitivo. L'impulso la tiene nel complicato rapporto del conregnare nella vicinanza e del ribellarsi nella distanza. Lasciata fuori e scacciata da nn tale cielo, Medea ha le qualità di Hera, fondamentalmente identica a essa. Nel suo destino si compie il distacco originario, che genera l'omicidio. L'origine dell'omicidio ci si fa chiara, non però la sorgente di quella dignità di regina, che rende possibile a Omero di chiamare Zeus il « tonante sposo di Hera», anziché pronunziare il suo nome. Colei che partecipa della sovranità dell'Olimpo e che sempre di nuovo si solleva «( sul trono aureo» possiede, malgr:ado tutte le tenebre dell',abisso, questa dignità: l'aureo mistero, che ci attira oltre ...

Page 56: Kerényi K. - Figlie del Sole

L'aurea

Quell'aurea fattezza femminile che andiamo rintracciando in qnesto studio, quelIa letificante qualità delI'intera stirpe solare che sembrava emanare non soltanto dal paterno dio Sole, ma anche dalIa natura regale delIa sposa del Sole e delIa madre del Sole, l'abbiamo incontrata nelI'essenza della figlia del Sole, Circe. Era il suo incantesimo afroditico. Uguale incantesimo solare dové appartenere anche a Medea, sedurre lei stessa e insieme circonfonderla, in quanto fu attratta e legata da Gia­sone, e Giasone da lei. Se frattanto consideriamo questa nipote del Sole sotto l'aspetto di Hera, una dea olimpica che mostra meno il suo proprio sfondo titanico· stelI are che non l'idea intrecciata in forma umana, allora riconosciamo indubbiamente anche un altro presupposto di quelI'aspirazione alI'unità e alla vendetta, causate dall'esser separata, che sono caratteristiche di Medea. Questo presupposto è il carattere di metà.

Appartiene alIe profondità delIa mitologia greca il fatto che tra le sue figure appaia come dea anche questo fenomeno in .apparenza esclusivamente umano, iI primitivo carattere di metà. Circa questa peculiarità di una grande dea si pensi non già a una casuale imperfezione, ma a una forma primitiva piena di significato. In Hera l'essere femminile si mostra non come qual-

Page 57: Kerényi K. - Figlie del Sole

116 La ricerca della regina

cosa che soltanto per caso è rimasto metà. Questa primordiale femminilità può venire rappresentata nelle medesime fasi come

un'eterna forma dell'essere in sé. Cosi nella Fanciulla che in Demetra è madre e rinasce di nuovo in Kore. Nel suo proprio

ciclo Demetra fu madre 80]0 per riapparire in sua figlia come l'eterna indistruttibile Kore, la Fanciulla. Considerata sotto que·

st'aspetto, perfino la maternità viene riferita ·alla femminilità

cOme a una forma dell'essere che possiede il suo valore e rango in se stessa, e non già in una funzione come la « fecondità ».

Attribuire a una dea la « fecondità » come significato esclusivo, è possibile solo nel Senso di un.a concezione che riconosce in generale nella donna soltanto una funzione e non già qualcosa

che ha una sua propria esistenza. Anche il ciclo autonomo-femminile di Demetra non sta iso­

lato nel « contesto » cosmico di tutte le forme dell'essere. L'ele­

mento virile penetra in esso come una potenza nemica - come assalitore, rapitore e violatore - e determina anche l'elemento

femminile pienamente riferito a se stesso. Sotto il segno di

Hera il medesimo ciclo rim,ane completamente chiuso e cionon­

dimeno manifesta il riferimento di tutte le sue fasi all'elemento

virile. Quel ciclo non si mostra come qualcosa d'imperfetto,

che in sé e per sé non può avere nessun senso, ma COJ]le «( metà »

fornita ugualmente di significato. L'essere metà significa in

questo caso il riferimento di un «tuttO» ad un altro « tuttO»

a esso corrispondente. Questo riferimento dell'esistenz,a fem­

minile vista come ciclo è in Hera altrettanto esclusivo quanto è esclusivo il riferimento a se medesimo dello stesso ciclo nel

destino di Demetra e di sua figlia. Demetra diventò m,adre per

essere di nuovo se stessa. Hera allo stesso modo si rinnovò in

Ebe. In tutt'altro modo ella fu la madre di Efesto, Ares, Tifone.

Ciò accadde in virtu non di una fecondità materna e disinteres­

sala, ma della sua essenza, che è 1'« essere metà » e appunto per

L'aurea 117

questo desidera quella potenza che ogni «tuttO)} possiede in se stesso.

Né Medea né Hera sono « regine» in virtu del loro essere melà. La regina degli Inferi, la rapita e ritrovata Demetra-Kore,

possiede questa dignità in una forma genuina, e tuttavia essa

non è metà. In Virgilio si chiama « Juno inferna», essa è « domina Ditis », la « Signora di Dite ), ma costui viene desi­

gnato non come suo « signore l), bensi come suo zio, patruus: una r,elazione che risale a un ratto e indubbiamente a una

fondazione del regno. A una fondazione del regno, inquan­

toché il primo ratto di fanciulla fu anche la prima morte, il primo presupposto del regno dei morti. Persefone e Ade s'integrano ,a vicenda. Ambedue esprimono il medesimo l'e­

gno, Ade, molto piu impersonalmente che non la misteriosa e tuttavia assai piu caratterizzata figur:a della sua regina.

Sappiamo anche che alla innominabile, inesprimibile fancinlla, l'Arretos Kura dei m-isteri, ci si avvicina con un ramo d'oro,

nel quale essa riceve, per cosi dire, l'oro della nostr.a vita; 10 conserva, e certo, 10 restituisce anche... Ed essa, 1'accoglitrice di tntto l'elemento aureo, che proviene dal padre Helios e che

senza di lei si disperderebbe come polvere priva di v,alore, è anche regina. Si manifesta forse qnesta forma primordiale del.

1'elemento femminile soltanto nell' accogliere che conserva, nel tener saldo la polverizzante potenza titanica? Dove risplenderà a noi !'idea della Basile, o Basi/eia?

Come una particolare persona divina Basileia compare in un tardo raCCOnto mitologico, un 'invenzione di Dionigi Skyto­brachion nel secondo secolo avo Cr. Il materiale però non è li inventato: né l'antico re Vr,ano, né sua moglie, l'antica madre

Titaia, pili tardi denominata la «Terra l), né i loro figli, i

Titoni. Da Dionigi Skytobrachion proviene solo l'affermazione che si tratti di racconti degli Atlantici intorno a dei loro re,

pili tardi considerati divinità. Fu indubbiamente anche lui che

marco
Evidenziato
Page 58: Kerényi K. - Figlie del Sole

118 La ricerca della regina

in qu~sta preistoria atlantica fece di una Titanide, la pm antica dei figli di Urano e di Titaia, due persone: Basileia e Rea. Egli descrive Basileia in tal modo, come se fosse lei la grande Magna Mater dell' Asia Minore. Questa, la Rea Cibele, appartiene infatti a quelle dee cbe nel loro culto venivano onorate come « regine ». Tuttavia anche Dionigi rimane fedele alla forma pri. mitiva di quella «regina », verso la quale ci hanno portato le nostre prime considerazioni, quand'egli racconta che Basileia, la prima Titanide, sarebbe diventata moglie d'Iperione, e per opera di lui madre di Helios e di Selene.

Non si può dire neppure che la figura di Basileia risplenda per la prima volta - ma piuttosto che affiori da una mitologia popolare non classica - quando compare sulla scena dell'antica commedia attica. Negli Uccelli di Aristofane Prometeo, il ne· mico degli dèi, che è al corrente dei loro segreti, dà a Pisthe· tairos il consiglio di chiedere in moglie Basileia all'imbarazzato re degli dèi, Zeus. Per mezzo delle nozze con lei, la piti bella fanciulla divina, si otterrebbe la signoria del mondo. La parola Basileia significherebbe, con diversa accentazione, «regno». La scena finale delle nozze, l'incoronazione del nuovo signore del mondo Pisthetairos, riposa frattanto non soltanto su un giuoco di parole, ma sull'idea che riC<lnoscemmo alIa fine delIe considerazioni intorno al padre Helios, che regno derivi dalI. regina. Ascoltiamo come la coppia signora del mondo viene salu· tata dal coro aristofaneo:

In fila! Indietro! Scòstati! Inchinati! Sciamate intorno al fortunato Co-D buon augurio. Oh, oh, che grazia, quanta bellezza! O tu che hai procurato alla città i felici sponsali! Grandi immense fortune pioveranno sulla stirpe de-gli ucceUi grazie a quest'uo.mo.

L'aurea

Ma, onu, con imenei e con canti nuziali ricevete lui stesso e Basileia. Con simile imeneo un di le M-oire accolsero insieme ad Rera Olimpia il .signor degli dèi dal trono etereo.

119

La situazione, nella quale la dea Basileia compare in carne e ossa, è quella della sposa che viene condotta a ca .. , la festa in cui essa è presente: le nozze. La Chiesa greca ancor oggi nella ceritnonia nuziale incorona la coppia di sposi e allude in quest'occasione al Cantico dei Cantici e ana sua prediletta. Co­noscitori delle canzoni popolari siriache trovarono dei paralleli a ciò in canti nuziali nei quali ogni sposo appare COJlle re, ogni sposa come regina, e questa dignità deriva direttamente dalla felicità nuziale della propria esistenza. La perfezione è regnare, regnare in due non sui sudditi, ma in una regalità di natura, sufficiente a se stessa ...

Pei Greci la sovranità di Zens sul mondo non è altro che l'ampliamento di una tale sovranità nuziale, e viene fondata per mezzo di nozze solenni. Le prime nozze di Zeus, quelle C<ln la dea Temi, la rappresentante di tntte le leggi primitive della madre Terra, sono descritte in un inno di Pindaro: «Dapprima le Moire condussero su cavalli d'oro la .. ggia Temi celeste dalle sorgenti di Oceano alla sacra pendice dell'Olitnpo per una strada lncente, affinché divenisse 1'antica moglie di Zeus ... » Ma le nozze che suggellarono la signoria del mondo furono evidente­mente quelle con Hera: quel prototipo delle nozze di Basileia, al quale si richiama Aristofane, è il prototipo delle nozze greche, in quanto il tratto del rapimento non è in esse prevalente. Hera nella sna pienezza nuziale potrebbe quindi rappresentarci la forma originaria della regina.

Come facesse, ce lo mostra Omero. Nel XIV canto del.

marco
Evidenziato
Page 59: Kerényi K. - Figlie del Sole

120 La ricerca della regina

l'Iliade la sitWlzione della battaglia è per i Greci, protetti di Hera, preoccupaute. Posidone, quello tra gli dèi che nutre per Hera sentimenti fraterni, con premurosa assistenza infonde co· raggio agli sconfortati. Egli solo, peraltro, non potrebbe aiu· tarli. Entra in scena la moglie e sorella di Zeus. TI poeta dedica quasi l'intero canto al suo operare e alla SWl epifania, la quale è nient'altro se non la preparazione e il compimento di un ma­trimonio, la ripetizione delle sue « sacre nozze» con Zeus. Come gli dèi stessi in Omero, cosi qui un dato « momento» divino viene sciolto dali' ordinamento del calendario festivo, e rappresentato in una forma indipendente. Dobbiamo leggere l'intera aurea scena. Oso chiamarla cosi, giacché essa - sebhene sia la phi grande scena di Hera - sta sotto il segno di qnella che per Omero è la dea aurea: Afrodite.

Hera dall'aureo trono guardava con gli -occhi stando su in vetta all'Olimpo, e subit-o seorse nella battaglia affannato, che gli uomini onora, il fratello e cognato, e gioi nel suo cuore; ma Zeus in cima dell'Ida che ha m,olte sorgenti vide seduto, e l'odio riempi la sua anima. Studiava poi Hera sovrana che ha gli occhi bovini come ingannare la mente di Zeus egioco.

L'appellativo di Hera è boopis, la dea «dagli occhi ho· vini ». Sacre mandre di mucche formano il possesso di tutte quelle divinità greche che nei culti preellenici appartenevano alla discendenza del Sole. Hera possedeva in Argo le sue mandre, e in Omero guarda sempre ,ancora con gli occhi, che un tempo si rivolgevano al toro solare.

E questo, pensando, le parve il migliore consiglio: andare sull'Ida d,opo essersi bene abbigliata, e se a lui venisse la voglia di stendersi accanto in amore al corpo di lei, un sonno beato e soave sulle sue palpebre infondergli, sull'animo accorto.

L'aurea

E s'avviò verso il talamo: il figlio lo aveva costrutto, Efesto, e porte robuste ai stipiti aveva adattato, con un chiavistello segreto, che nessun altro dio apriva. Ivi ella entrò, e chiuse le lucide porte. Con linfa ambrosia dapprima l'amabile corpo nettò d'ogni macchia, spalmò d'olio lene balsamico ambrosio, che aveva odoroso, e al solo agitarlo nel bronzeo palazzo di Zeus in terra e nel cielo se n'effondeva il profumo. Con esso- il bel corpo si unse, quindi le chiome pettinò, con le mani annodò le splendide trecce, belle divine, cadenti dal capo immortale. o.opo, un magnifico peplo indossò, che a lei Atena aveva tessuto, mettendovi molti ornamenti; con auree fibbie se l'appuntò sopra il seno. Cinse una zona di cento pendagli contesta, poi gli orecchini infilò nei lobuli bene forati, a tre gemme, lucenti: ne splendea molta grazia. D'un velo sul capo s'avvolse la dea tra le dee, splendid-o, nuovo, e bianco era, simile al .sole; ai nitid4 piedi d'i sotto legò bei calzari.

121

Non è un abbigliamento usnale quello che qui viene descritto. Per poterlo apprezzare in tutti i particolari bisogna l'orlo accanto alla corrispondente descrizione che si trova nel grande inno omerico ad Mrodite. Là l'innamorata dea dell'amore si prepara per l'incontro conclusivo con Anchise.

Poiché visto l'ebbe Afrodite che ha caro il sorriso, s'accese d'amore, terribile l'animo prese una brama. Venne a Cipro, nel tempio entrò vaporante d'incenso, a Pafo: Ìvi a lei è un luogo sacro e un altare odoroso. Qui penetrata serrò le lucide porte; qui la lavarono e unsero d'olio le Cariti ambro.sio, di quel che cosparge gli dèi sempiterni. E tutte indossate abilmente le splend.4de vesti, omatasi d'oro Afrodite che ha caro il sorriso mosse su Troia, lasciata Cipro odorosa.

Sul monte Ida ella venne accompag=ta da fiere - ricor'

Page 60: Kerényi K. - Figlie del Sole

122 La ricerca deUa regina

diamoci di questa epifania - e cosi si presentò davanti ad Anchise nelle sembianze di una vergine:

Vedendola, Anchise considerò ammirato l'aspetto, l'alta statura e le fulgide vesti. Ché indossO' a lei un peplo splendeva piu ancora che raggio

[di fuoco, aveva fermagli ricurvi, orecchini lucenti, collane bellissime intorno al morbido collo, d'oro, di vari colori: simile a luna sul molle seno splendevano, prodigio a vedersi.

Ovvero è abbigliata come quando, dopo la sua prima epifania, ]a sua nascita, viene fuori dal mare nei pressi di Cipro.:

le Ore delle aUl'ee bende raccolserO' liete, l'avvolsero in veli divini; sul capo immortale le posero un serto ben fatto, bello, aureo; nei lobi forati un fior d'oricalco e di .orO' prezioso; il morbidO' collO' e il seno d'argento ornaronO' intorno con auree collane ...

Hera indossa da sola il suo abito deUe epifanie e delle nozze, non l'aiutano né le Cariti né le Ore, che altrimenti le sono associate nel culto e nelle rappresentazioni cultnali. Tutto è cosi com'era nella solitudine primordiale, al di fuori del mondo, dov'ebbero luogo le sue prime nozze con Zeus. Temi, la prima sposa di Zeus, fu secondo ·Pindaro dalle sorgenti di Oceano condotta alle nozze sull'Olimpo: per Hera è caratteristico il fatto che rimanga là «sottO» (vi sono, come sappiamo, diffe­renti espressioni per quella posizione) all'Oceano -

il sacro termine del cielo, che Atlante regge, e fonti ambrosie sgorgano

presso il palazzo di Zeus, dove la feconda divina terra accresce felicità agli dèi.

,~ " .~

*1 il

I t: .I \

ti

l' '{} ,) ,r

L'aurea 123

Cosi un coro nell'lppolito di Euripide abhellisce quel « luogo» fnori del mondo. Anche un altro tratto di queElo mitologema è caratteristico: secondo questo, la Terra faceva crescere per le nozze di Hera l'albero dei pomi aurei delle Esperidi; ovvero Hera stessa presentava a Zena questo aureo dono nuziale. Come se le antiche nozze si fossero svolte intera· mente nel segno del dio Sole tornato alla sua regina!

Ma quanto pili freddo è lo splendore dell'abito nuziale di Hera che non l'abbigliamento di Afrodite! Uno splendore argenteo come luna brilla intorno ai seni della dea cipria, che certo erano scoperti come il petto delle donne cretesi. Appren. diamo ora dagli inni omerici che questo singolare abbigliamento presentava un'evidente relazione con la Luna. Peraltro Mrodite è carica d'ornamenti d'oro. Le fibbie di Hera, che le chiudono l'abito sul petto, sono si anch'esse d'oro, ma il suo velo è « bianco - cosi è detto letteralmente - come il Sole». Anche la sua cintnra non è d'oro, come quella di Circe. I « molto arti­stici fregi» - i daidala - del suo abito erano per lei egual­mente caratteristici, poiché da tale artistica materia prendevano nome anche le quattordici bambole che in una sua grande festa, i « Daidala », venivano bruciate. (Quattordici è anche il numero delle ninfe di Giunone in Virgilio e il numero dei fanciulli sacrificati a Medea). Il velo noi lo vediamo in nn famoso rilievo di Selinunte, dove lo solleva Zeus nel!' atto di avvicinarsi alla sua sposa.

E quindi, vestite le membra con ogni ornamento, usci dal suo talamo. e a parte chiamata Afrodite dal l'esito dei numi le disse: - Vorrai tu ubhidirmi, mia figlia, in ciò che ti dico, o rifiutarti, avend.o rancore nell'animo perché io i Danai, e tu sostieni i Troiani? -Rispose a lei quindi la figlia di Zens Afrodite: - Hera, dea eccelsa, che del grande Crono sei figlia, di' quello che pensi: il cuor mi comanda di farlo,

Page 61: Kerényi K. - Figlie del Sole

124 La ricerca della regina

se pur posso. farlo e la co.sa può essere fatta -, Con ingannevole animo Hera sovrana le disse: - Dammi ora l'amore, la brama con cui tutti quanti domi gli dèi immortali e gli uomini m{)rtali. Ché andrò a visitare i confini della fertile terra, Oceano padre dei numi e Teti la madre, che nelle case IDro m'hanno. nutrito, educato, avendomi presa da Rea, quando. Zeus loDante pose Crono sot-terra e soUo il mare infecondo. Andrò a visitarli, a comporre le eterne contese: ché infatti da molto stan l'uno. dall'altra divisi di letto e d'amore, poiché l'ira prese il loro animo. Se con le parole riesco, persuasi nel cuore, a farIi salire su] leno e UDire in amore, sempre da loro sarei detta cara e pietosa -. Rispose a lei quindi Afrodite che ama il sorriso: - Non si può, né conviene negar ciò che chiedi: giacché nelle braccia di Zeus altissimo dormi -. Disse e dal petto si sciolse il cinto trapunto, variopinto, dove tutti gli incanti teneva riposti: ivi l'amore, la brama, il parlar lusinghevole, la seduzione, che il senno .sottrae anche .ai saggi. Lo consegnò nelle mani di lei e disse chiamandola a nome: - Ecco, ora, riponi nel fieno codesta cintura variopinta, ove tutto fu messo: e ti dico non tornerai senza fatto ciò che nel tuo animo brami -. Cosi disse, e rise Hera diva dagli occhi bovini, e quindi ridendo la pose nel seno.

TI kestos himas, la cintura di Afrodite, è variopinto come il mondo, che agli amanti risplende di una profusione di colori, altrim·enti sconosciuta, piena d'incantevoli illusioni. L' ineante­silno dev'essere qui inteso, in senso affatto naturale, come l'ori· ginario incantesimo d'amore, che è anche l'incantesimo fonda­mentale di Circe. Anche se illusorio col suo effimero splendore - illusorio come la felicità, che per noi mortali ha delI'eterno soltanto nella sua intensità e non nella sua durata -, quell'in­cantesimo è tuttavia caldo e schietto, come i raggi del Sole. Sono iI calore e la schiettezza della passione che infiammano

L'aurea 125

l'essenza di Afrodite, come l'oro solare tutto iI suo semhiante.

Hera appare fredda anche sotto questo riguardo, benché non

sia neppur lei senza passione. Ma noi riconosciamo in lei, rah .. brividendo, nn'altra calcolata passione. Hera sa di aver bisoguo

dell'incantesimo di Afrodite - di quel puro incantesimo atmo­sferico che abhiamo imparato a conoscere in Circe - se essa

vuole celebrare le nozze, e regnare. Nessun matrimonio pro­

spera~ nessuna regina si solleva da un puro « essere metà». Ma Hera possiede adesso anche quaIcos 'altro. Ella prende al suo

servizio anche Hypnos, il Sonno, e passa dalla preparazione

all' esecuzione.

Ed Hera veloce sali verso il Gargaro, vetta dell'alto Ida; e Zeus la vide, che aduna le nubi. E come la vide, amore annebbiò la saggia sua mente, come allorché in amore si unirono la prima volta recandosi a leMo, nascosti ai lor genitori. E si fermò innanzi a lei, le disse chiamandola a nome: - Hera, dove t'affretti giungendo qui dall'Olimpo? Non hai né c-avalli né carro sui quali montare -. Con ingannevole animo a lui disse Hera sovrana: - A visitare mi reco i confini della fertile terra, Oceano padre dei numi e Teti la madre, che nelle lor case m'hanno nutrito, educato; andrò a visitarli, a comporre le ereme contese. Cbé infatti da molto stan l'uno dall'altra divisi di letto e d'amore, poiché !'ira prese il loro animo. Ai piedi dell'Ida cbe ha molte sorgenti stan fermi i cavalli che mi porteran sulla terra e sul mare. Ma ora per te dall'Olimpo qui sono- venuta, ché poi non ti adiri se io in silenzio vado alle case d'Oceano dai gorghi profondi A lei rispondendo parlò Zeus che aduna le nubi: - Hera, colà si può andare anche pin tardi, ma ora, suvvia, godiamo sdraiati l'umore. Ché mai come adesso la brama di donna o di dea l'animo in petto mi avviluppò, soggiogò, neppure allorché m'infiammai della moglie d'IssioDe ...

Page 62: Kerényi K. - Figlie del Sole

126 La ricerca della regina

Comincia quindi il famoso « elenco di Leporello» del­l'Iliade, quello che qui recita lo stesso Zeus. Non si creda che con ciò il poeta abbia di mira un particolare effetto comico. (Ridere dobbiamo, nel senso di Omero, su l'intero giuoco divino: ridere appunto perché lassu è soltanto giuoco quello che quaggiu procurerebbe a noi insanabili ferite ... ) È la pas­sione amorosa - non quella che lega ed è legata a una persona, ma l'oro di Afrodite che fluisce libero e impersonale da tutte le reminiscenze d'amore - ciò che parla per bocca di Zens, incantato dalla meravigliosa cintura. Ed è il lato paradossale di questa passione che essa, nonostante quelle reminiscenze, creda di essere nel momento attuale la piu forte:

- ... come ora amo te e una dolce voglia mi prende -. Con ingannevole animo a lui disse Hera sovrana: - Tremendo Cronide, quale parola dicesti? Dunque ora in amore desideri tn qui giacere in vetta dell'Ida, visibile da ogni parte? Che cosa accadrebbe se alcuno degli dèi .sempiterni dormir ci vedesse, e andando tra tutti gli dèi lo riferisse? lo certo non tornerei alla tua casa, alzata dal letto: sarebbe una cosa 'Odiosa. Se proprio lo vuoi, e la voglia riempie il tuo animo, il talamo hai, che fabbricò iI caro tuo figlio Eresto, e porte robuste adattò ai pilastri: li andiamo a giacere, dacché t'è venuta la voglia A lei rispondendo parlò Zeus che aduna le nubi: - Bera, non devi temere che qualcuno ci veda, o dio o uomo: t'avvolgerò d'una nube d'oro, tal che attraverso neppur Helios ci vedrebbe, del quale la luce è la piu acuta a vedere -. Di~se, e iI figlio di Crono afferro tra le braccia la sposa, e sotto di loro la terra divina produsse erba fresca, e rorido loto, e croco e giacinto morbido folto, che li tenea sollevati dal suolo. Giacquero li e s'avvolsero di una nube bella d'oro: e ,stillava brillante rugiada. Immobile il padre dormiva cosi sulla vetta del Gargaro, vinto dal sonno d'amore, e avea tra le braccia la sposa.

I , L'aurea 127

Proprio nella sua qualità di dea delle nozze Hera si chiama anche « Antheia », la « dea dei fiori ». Come tale, in Apollonio Rodio spedisce ninfe con fiori alle nozze di Medea e Giasone. Anche in ciò è nipote di sua ava, la Terra che dispensa fiori. Essa dà espressione al lato piu oscuro e freddo, il lato ctonio dell'evento nuziale: quello piu chiaro e caldo è appunto ciò che corrisponde all'incantesimo di Afrodite, quel lato passionale che avvolge di auree nubi la coppia divina. Ciò non è ctonio: infatti anche Mrodite è una dea celeste. Appare come qualcosa di regale in sé, un regnare per sé ~ s'intende, sotto il segno di Mrodite, mentre per Hera è un mezzo per regnare ~ e se qualcosa, proprio questo è il dono d'una regina ...

Afrodite è altrettanto poco dea della fecondità che Demetra o Hera. In Lesbo, dove trovò in una grande poetessa, Saffo, un 'adoratrice intimamente affine, un fiume prendeva da lei il nome di Afrodisio. Le donne che vi si bagnavano, cosi si rac~

contava, diventavano sterili. Certo, ella appare come dea del matrimonio: ad ogni modo non in Omero, presso il quale dimo· stra piuttosto l'indipendenza costitutiva del suo essere, contra~

stante con l'esclusività del vincolo matrimoniale. Il poeta del­l'Iliade non conosce, o non riconosce, il suo matrimonio con Efesto. L 'Odissea rappresenta lei come violatrice del m,atrimonio, ed Efesto nella posizione ridicola del marito ingannato, il quale tenta di trattenere nella sua rete la sovrana inafferrabile, sfug. gente come perla. Se nella disperata preghiera di Penelope è detto che Mrodite abbia voluto impetrare da Zeus per l'orfana figlia di Pand.areos il « compimento », il telos nel matrimonio, essa fa ciò come protettrice materna di quella fanciulla.

Il matrimonio appartiene alla sfera di Mrodite. Costei viene anche invocata in generale come cc la dea nuziale delle fan. ciulle )). Non invano fidanzate e le loro madri le offrono sacrifici avanti le nozze. Ma con riferimento a ciò essa reca in Sparta, in modo affatto straordinario, il nome di un'altra dea COme

Page 63: Kerényi K. - Figlie del Sole

128 La ricerca della regina

soprannome che la circoscrive e definisce piu da VICIno: si chiama Afrodite·Hera. La sconcertante domanda di Mimnermo, se si dia in genere vita e godimento di vita senza « l'aurea Afro­dite », se senza di lei la vita sia ancora vita, vale in modo affatto particolare pei matrimonio, proprio in quanto esso non soltanto serve alla ({ fecondità l), ma può essere per donna e uomo il momento piu alto della vita. La parola afrodite può essere impiegata, come hephaistos per « fuoco», demeter per « frumento l), dionysos per « vino l), per indicare il piacere amo­roso. Bisogna pensare anche a questo piacere quando Omero, e presso di lui in modo del tutto particolare Paride, iI privilegiato per i « bramati doni» di Afrodite, chiama «aurea» la dea, ovvero quando Esiodo uon dimentica di nsare questo aggettivo anche là dove col nome di Afrodite designa semplicemente una feconda unione amorosa.

Poiché nel segno di Afrodite non si tratta tuttavia di qualcosa di cupo e telluricamente opaco, di un incosciente risolversi nel­l'essere-uno, m,a di qualcosa di oltremodo luminoso e chiaro. La figura dell'Anadiomene, di colei che emerge dalle profondità marine, è per cosi dire la trasparente purezza, divenuta visibilità, del perfetto essere·uno. Per mezzo di Afrodite il mondo intero diviene trasparente, e cosi radioso e ridente appunto perché ciò che in esso vi era di pin contrario fu risolto in un'unità, e quest'unità rivela a ogni essere vivente la possibilità della stessa condizione, che noi oggi potremmo chiamare « non proble­matica », mentre in greco è deUa « simile alla calma del mare ». Secondo il mitologema della sua nascita dal mare, che Esiodo ci riferisce, la primitiva unità, spezzata dalla cruenta azione di Crono, si salvò in Afrodite con ciò~ che il reciso membro virile trovò accoglienza nel materno grembo del mare e di qui venne fuori la grande dea dell' amore, quest'unica neUa generazione dei Titani la cui madre non sia Gaia. Hera porta la ferita di quel tragico antichissimo evento, Afrodite ne porta la guarigione.

I,

II

,t

l !

L'aurea 129

In corrispondenza di ciò il culto ciprio di Afrodite pre' senta un tratto ermafroditico: la dea venne là onorata anche come dio, come Aphroditos. Pare che in quel culto, in.ieme ai raggi del Sole e della Luna, anche quelli di un altro a.tro si unissero in quel «contesto» celeste"terrestre, che costituisce per gli uomini 1'essere. La po.izione del pianeta Venere, che nell'A.ia Minore era onorato al terzo posto, accanto al Sole e alla Luna, corrisponderebbe esattamente alla situazione cuI. tuale di Afrodite sull'Acrocorinto, ovvero anche alla sua pre· senza accanto e fuori dei veri e propri Titani e Titanidi, so· lari e lunari, in Esiodo. Ma per la religione greca, che si è molto allontanata da quello sfondo titanico.astrale, rimane significativo che nella tarda antichità si sia voluto attribuire a Hera l'a.tro di Venere, benché sia piu aureo e solare che aro genteo e lunare. Nel mondo olimpico, dopo l'inobliata prima coppia di Urano e Gaia e dopo la coppia titanica di Crono e Rea, domina la costellazione Zeus.Hera: non identica al Sole e alla Luna, e tuttavia per molti rignardi a essi corrispondente. Tra l',altro anche per questo, che accanto a loro non può su,· sistere, con pari diritti, un terzo astro dominante.

'È già secondo questo principio che Afrodite in Omero ap' pare tra le figlie di Zeus. La dea, che essa ottenne per madre, è abbastanza misteriosa. Costei si chiama Dione, con un nome che appartiene come forma femminile alla radice della parola « Zeus ». In Dodon.a, un antichissimo luogo di culto di Zeus, era lei la sua moglie. Foneticamente il suo nome non corri· sponde al latino « Juno », ma piuttosto a « Diana », e sembra avere con la Luna la medesima relazione che hanno tutte que· ste dee: Diana non meno di Giunone·Neaira. In un elenco dei Titani e delle Titanidi essa viene inserita accanto a Theia, la ma· dre di Helios. Quando piu tardi si pretende che sia la figlia di Theia, allora naturalmente diventa sorella del dio Sole. An· tichi teologi sapevano bene del suo carattere lunare; ma nella

Page 64: Kerényi K. - Figlie del Sole

130 Da ricerca della regina

poesia essa si risolve nella sua grande figlia Afrodite, e diventa uu altro nome della dea dell'amore.

Afrodite, un «tutto» maschile-femminile risplendente in aurea purezza, fa impallidire ogni carattere di «metà ». Essa è presente quando da una metà nasce qualcosa d'intero e con­trari risolti diventano indissolubile seme anreo della vita. In questo somiglia pure - per quanto la sua essenza non sia di carattere ctonio - a quella « regina» notturna, presso la quale Helios ritrova e raccoglie per una nuova nascita la sua aurea eSSenza sperperata. I tratti notturni di Afrodite sono profondi, anche se la tradizione classica li passava sotto silenzio almeno dove non si trattasse di notte d'amore, ma di notte di morte. Cionondimeno ci viene una volta rivelato che in Delfi si ono­rava anche un'Afrodite «dei sepolcri », epitymbidia. Nella )ll"a­gna Grecia meravigliosi monumenti ci mostrano direttamente come la dea degli Inferi Persefone possa apparire afroditica e come fosse inteso in modo sentitamente religioso l'insegnamento dei Pitagorici che vi sono due Afroditi: una celeste e una sol­terranea. Afrodite aveva anche il suo aspetto di Persefone e pre­cisamente dove si sapeva questo, nella città greca di Taranto, sÌ chiamava « regina ».

Fini. initinrn

the wells Which boiI nnder OUf being's inmost cells, The fountains -of (lUr deepest life, shall be Confused in Passion's golden purity As mountain-spnngs under tbe morning-sun.

SHELLEY

(le sorgenti .che ribollono sotto le piO. intime cellule del nostro essere, le fonti della nostra vita piO. profonda, saranno confuse nell'aurea purezza della Pas.sione come polle montane sotto il sole dell'alba).

marco
Evidenziato
Page 65: Kerényi K. - Figlie del Sole

La cretese figlia del Sole

Il tessuto mitologico è privo di orli. Si potrebbe cominciare da una profondità sempre maggiore, spingersi sempre pili in là, e propriamente non finirla mai. Nella ricerca della regina ab. biamo seguito dei fili, dai quali si poteva sperare che saremmo stati condotti a quel disegno che ci mostra accanto al re Sole anche la figura della sua vera compagna, avvolta dalla Notte piena di lDistero. Circe, la figlia, Medea, la nipote, Hera, la lunare, e Afrodite, che ha la sua propria stella rilucente nel cielo not­turno, costituirono i fili che si perdettero al nostro sguardo -non però in un'oscurità inesprimibile o in una mera figura d'om· bra - in quel punto dove potevamo attenderci l'apparire lumi. noso della regina. Raggi d'argento e d'oro si uniscono là con quelli del Sole, diventato notturno, quasi in una costellazione generante e di nuovo partoriente.

Ci serviamo di un genere d'espressione astrologico per un processo mitologico, soltanto allo scopo di renderlo pili acces­sihile al pensiero astratto. I processi mitologici avvengono fuori del tempo e sono fondamento e modello per l'intera esistenza umana, indipendentemente dalla sua occasionaIe determinazione temporale. Le costellazioni sono per l'astrologia soltanto un diverso genere di espressione, senza dubbio piu ricco e mitolo-

Page 66: Kerényi K. - Figlie del Sole

134 Finis initium

gico, per esprimere la determinazione temporale. Nel senso della mitologia come {{ modello vincolante del fondamento» avveniva in Grecia che gli uomini innamorati invocassero Helios, le donne innamorate la Luna: cOSI era detto in uno dei perduti cori ver~ ginali di Pindaro.

È stato un ardimento, dal punto di vista della mitologia di stile omerico ed esiodeo, già soltanto di menzionare in generale l'antica concezione orientale degli astrologi e la relazione, pili asiatica che greca, di Mrodite col suo pianeta. Nella stella del mattino e del vespero i Greci di Omero vedevano pin volentieri due figure di adolescenti che non un 'unica possente divinità astrale, la dea dell'amore degli Orientali. Eppnre Esiodo attesta ancora qualcosa di pin che l'affermazione della relazione di quel. l'astro dal chiaro splendore con Mrodite. Il figlio di Eos e di Kephalos, la stella del mattino altrimenti detta Phosphoros, egli lo chiama Phaethon, e con ciò gli attribuisce un carattere solare, e di questo secondo, pin piccolo Sole racconta che Mrodite lo avrebbe rapito fancinllo e ne avrebbe fatto nn custode del suo tempio. I santuari della dea dell'amore tanto in Grecia che nel vicino Oriente stavano sotto la medesima stella.

Abbiamo dovuto osare tali scollfinamenti perché in realtà siamo giunti ai confini della grecità omerica. Se penetriamo an­cora un poco pin a fondo in quel tessuto di miti seguendo un filo aureo che si può paragonare a quello di Circe, siamo nel. l'antica Creta. L'altra figlia del Sole, di grande importanza mito. logica, Pasifae, la sorella di Circe, er,a una regina cretese, un'as­sai degua e nobile figura di donna, malgrado l'umanizzazione che in lei assumeva il significato di un'indegna passione per un animale. Ancora la pin tarda fonte letteraria, l'unica che ci parli della sua morte, la racconta in questi termini: che, cac­ciata e rinchiusa da suo marito, il re Minosse, mori di dolore per la perdita della propria dignità di regina.

Questa dignità di regina proviene da una civiltà preellenica.

-;-11

J

La cretese figlia del Sole 135

L'amore per un toro, che nel mondo olimpico appare cosi mo­struoso, rimanda a un ordinamento preolimpico del mondo, nel quale questo fatto orrendo era possibile e forse non era per nulla orrendo, ma tale da provocare brividi, nel senso di quel brivido religioso che ci prende davanti alla manifestazione del divino. Ciò che fa rabbrividire - originariamente in senso reli· gioso, pin tardi in senso profano - non è l'apparire dell'amante in forma di toro, nella storia di Pasifae. Quest'animale avrebbe potuto nascondere in sé, anche nella mitologia greca classica, un dio olimpico, anzi il pin eccelso. Sotto forma di toro Zeus rapi la madre di Minosse, Europa. Pasifae, moglie di Minosse, è cosi intimamente unita all'amante tanrino - e non già soltanto a uno che rappresenti la parte di toro per capriccio divino -che gli partorisce un figlio simile: il Minotauro. Come donna e madre, doppiamente raccapricciante, ella sali in un primo tempo la scena attica, per poi apparire nella letteratura ellenistica come infelice vittima di Afrodite.

Un antico dio cretese, al quale secondo una mitologia pri. mordiale l'aspetto di toro apparteneva in modo preminente, diventò agli occhi dei rappresentanti di una pin tarda conce·

zione del mondo un toro particolarmente bello, e la dea a lui associata, una donna colpita da follia droditica. Furouo però soltanto i poeti alessandrini e romani che spiegarono con la ven­detta di Afrodite adirata questa storia d'amore, eccitante per la sua innaturalezza. Euripide, che nell'lppolito descrive la funesta passione amorosa di una figlia di Pasifae, la nipote del Sole Fedra - « la splendente» -, dedicò una tragedia, i Cretesi,

anche alla madre folle d'amore, ma faceva risalire la sna follia all'ira di Posidone, che non aveva ottenuto il toro sacrificale a lui

spettante. Il poeta ateniese trovò nella leggenda intorno alla

casa regnante cretese un'atmosfera anoditica cosi carica, che ebbe bisogno soltanto di una motivazione piuttosto superficiale per

marco
Evidenziato
Page 67: Kerényi K. - Figlie del Sole

136 Finis initium

poter rappresenUire la regina e la figlia del Sole come esempio di un'inaudita passione.

Quest'atmosfera era in origine intorno a Minosse, ovvero intorno a Pasifae? Esiste un racconto, variato secondo il gusto dei tardi mitografi, intorno alle arti magiche della regina, so­rella di Circe, con le qn;Ili essa impediva l'unione di Minosse con altre donne. Serpenti e scorpioni uscivano fuori dal re qUand'egli voleva amare un'altra donna. Ma secondo una va­riante anche la stessa Pasifae doveva subire questa qualità di Minosse - antica qu.alità mitologica, in origine certo non ribut" tante, di un amante ctonio che aveva aspetto di serpente. In forma di serpente il Zeus sotterraneo dimorava presso la re­gina Persefone per .generare con lei il mistico fanciullo Dio­niso Zagreus, che i « Cretesi D di Euripide veneravano in modo particolare. Amori di serpenti e di tori presuppongono in Creta appunto la «regina» come centro. Da lei procede nno splen­dore afroditico che ricorda Circe, splendore che per i Greci irraggia perfino dal suo nome.

« Pasiphae» può in sé nascondere una parola straniera, un antico nome cretese per significare la regina; in greco significa colei che «risplende a tutti D. La forma maschile «Pasiphaes» compare nell' orfico inno al Sole come attributo di Helios. In Thalamai, sulla costa messeno-laconica del Peloponneso, vi era un tempio alla dea Ino con un oracolo per mezzo di sogni. Anche Pasifae veniva là ol/orata come dea degli oracoli, e Pau­sania, che vide nel santuario l'immagine di Helios e di Pasifae, spiega il nome come appellativo della dea Luna. C'è inoltre la tradizione di un 'Afrodite «Pasiphaessa D: una denomina­zione che permetterebbe di considerare la regina cretese addi­

rittura come una forma della dea dell'amore. La sua paredra nel Peloponneso, Ino - altrimenti chiamata Leucotea, «la dea bianca D, e in Italia Mater Matuta, « la madre mattutina D,

I i~

ì l

La cTetese figlia del Sole 137

- domina il sorgere del Sole. li suo regno è l'alba, che prima dello spuntare del Sole avvolge anche l'astro del mattino e la Luna. Venne allora in primo piano nel mondo greco la Luna come compagna di Helios. Ma la phi antica relazione non fu del tutto dimenticaUi: Afrodite mantenne come aggettivo il nome di Pasifae.

In CreUi PasHae è congiunUi al mondo astrale anche per mezzo del nome del suo figlio raccapricciante. Giacché costui si chiama non soltanto MinoUiuro, ma anche Asterios o Aste­rion, dimodoché egli è un essere astrale. Antiche raffigurazioni mostrano in mezzo al labirinto nn uomo dalla tesUi di toro nella caratteristica posizione « col ginocchio piegato» - un accenno arcaico al simbolo solare -, ma insieme anche la stella. Egli è per cosi dire un piccolo Sole, il dio Sole che è appunto rinato, ma ancora sprofondato nella notte. Pasifae era sua ma­dre e sposa del grande dio Sole, che in Creta era tutt'uno col dio-toro. La figura del toro viene espressamente attribuita a Talos: cosi suona un nome cretese del Sole. E ci viene traman­dato che il dio Sole appariva in Creta ai colonizzatori sotto forma di toro per condurli alla fondazione di una nuova città.

Il mondo cretese e anzi l'intero mondo mediterraneo del culto del toro era, sembra, un mondo della religione solare. Noi abhiamo raggiunto i snoi confini e non intendiamo proce­dere piti oltre. Poiché il modello ricercato è pur sempre per noi riposto nel « contesto» greco, quand'anche sia (cosi sem·

bra) non solUinto dimenticato, ma - come tutto ciò che si riferisce alla regina degl'Inferi - anche occultato già fin dalle origini. Malgrado ciò i contorni della Luna e di Venere comin­ciarono a divenirci chiari. L'essenza afroditica della dea cretese

che risplende a tutti, la madre di Fedra, la riempie per cosi dire di nn oro ancora piti caldo. La figura, che p<;>trebbe con­

durci ancora piti addentro in quesUi notte gravida di Sole, sa-

marco
Evidenziato
Page 68: Kerényi K. - Figlie del Sole

138 Finis initium

rebbe quella figlia di Pasifae, la cui corona brilla nel cielo delle stelle greche: Arianna. Essa, la trasfigurata sposa di Dio­niso, ci mostra la via che, se noi la percorressimo, costituirebbe un nuovo inizio, l'ingresso, forse l'irruzione, nel regno di un grande dio dei misteri.

~I;

:~t

Nota finale

Qnesto libretto deve finire nn poco brnscamente, al pari di qnelle conferenze dalle quali è nato e che, secondo il loro ca· rattere di libera ricerca e indagine, narrativo e asistematico, non potevano. offrire nulla di conclusivo. Risultati « definitivi» non ve ne sono, in generale, nello studio della mitologia, poi. ché non vi sono. equazioni. Helios non è il « sole» non-mitolo .. gico, e in generale nessun eroe, nessun'eroina è qualche cosa di non-mitolo.gico. Un'equipar.azione siffatta non restituirebbe ai mitologemi la loro comprensibilità, bens! li ricondnrrebbe a qualcosa di diverso da ciò che essi sono. Appunto per questo nella nostra nuova esposizione interpretativa ogni fine è per noi soltanto un principio: finis initium.

La conferenza dal titolo Padre Helios fu tenuta il 5 ago. sto 1943 al conveguo Eranos di Ascona, ed è apparsa nella sna forma originale, con note, nell'« Eranos-Jahrbuch)l del 1943. Ad essa corrisponde la prima parte del presente volume. Que­sta conferenza venne proseguita negli Studi mitologici sulle dee greche, che formarono 1'oggetto di un ciclo di conversazioni allo « Ziircher Psychologischen Club)l, nell'ottobre del 1943. Essi costitniscono, alquanto completati, il resto di qilesto libro. Alle note ho dovnto rinunziare. Gli eruditi troveranno i testi

Page 69: Kerényi K. - Figlie del Sole

1<W Nota finale

e i monumenti che stanno alla b.ase della trattazione, e

ranno anche che talvolta le mie interpretazioni sono nuove, ma: cÌl-Lap't"uP?V où3èv cXs(8ro.

note ..

certo

Del «modello vincoL.nte del fondamento» parla con que, ste stesse parole Thomas Mann, Esse si trovano nel discorso di Ginseppe davanti al re Sole, e possono essere qui riportate nel loro contesto: « Ciò che è tramandato come modello proviene dal profondo che sta sotto, ed è ciò che ci vincola, Ma l'io è da Dio, e appartiene allo spirito, che è libero, Senonché la vita civile consiste in quest,>: nel fatto che il modello che vino coL. si riempie della divina libertà dell'io, e non v'è civiltà umana senza l'una e senza l'altra D.

Villino del Sogno. Ascona, 21 dicembre 1943.

·7 < .

, ..{,

",,,,,._,-bo, 1.3' ~;::...

."",'-'''''--''''

;,'!"flì'ì 'f;"i''1' #

\(

.f' : •• ~ {_ 1':' . '~) :

'~f l' ~.

,~ -.

C, hL i':,

ISI '''C)'''''l' 1'1("/ l ." I \, .\{ ~ . 'L l ~ ... ,;,.

'."'_. ".Ok. \':r)>-1 \~ \

Università degli Studi di Palermo

Sistema Bibliotecario di Ateneo

Il \1 \1 \1 \\\111111 III Il "II "II 0000006 366261

Chaos

I Erebo - Nyx l-r Aitber, Hemera

Albero genealogico della stirpe solare

illustrato nei suoi tratti principali secondo Esiodo

Gaia

I Gaia URANO

I Oceano, Koios, Krios, IPERIONE TREIA, Rea, Crono

I I I I-II PERSE (i.) HELIOS Zeue - Hera

I I ARIETE, CIRCE, PASIF AE

I I MEDEA ARIANNA

.,pI" ----,"'"

(;"r-.~ . !S'-;"\ !..."+"~ ....... '.

:;; / O",~l: .' ....

(.t ( i(

. "\." ;,'t •. " , ", ... /t \ ',,-

,~- .,,~-

,,_,

Eros

URANO

I Afrodite