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TORNIAMO INSIEME? Margaret Way Fiona Harper

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Margaret Way

ATTRAZIONE MAGICA

Fiona Harper

TORNIAMO INSIEME?

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Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Wealthy Australian, Secret Son

Three Weddings and a Baby Harlequin Mills & Boon Romance © 2011 Margaret Way, Pty., Ltd

© 2011 Fiona Harper Traduzione di Laura Polli

Traduzione di Giovanna Cavalli

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Serie Jolly

maggio 2012

Questo volume è stato stampato nell'aprile 2012 presso la Rotolito Lombarda - Milano

HARMONY SERIE JOLLY

ISSN 1122 - 5390 Periodico quindicinale n. 2461 del 15/05/2012

Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 56 del 13/02/1982 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Attrazione magica

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Il presente Era la giornata ideale per una festa in giardino. Il cie-lo era perfettamente azzurro, il sole splendeva sopra la distesa verde della valle e la brezza mitigava il ca-lore del pomeriggio estivo. Alberi e campi erano completamente in fiore e il paesaggio che circondava il piccolo centro rurale era di una bellezza mozzafia-to. Un piccolo mondo perfetto, del quale gli abitanti di Silver Valley erano orgogliosi. Ma Charlotte Marsdon Prescott pensava a ben al-tro mentre contemplava distrattamente la propria im-magine allo specchio della sua camera da letto. Già vedova a ventisei anni, con un figlio di sette da crescere, aveva l'impressione che una parte della sua vita stesse per concludersi e stesse per incomin-ciarne un'altra, nella quale non ci sarebbe stata alcu-na gioia per lei, per il suo anziano padre e per Chri-stopher, il suo adorato, sensibile e riflessivo figlio. Erano stati costretti a vendere Riverbend, la tenuta che da generazioni era l'eredità di famiglia, e niente e nessuno poteva attenuare il dispiacere per l'increscio-sa situazione in cui si trovavano. Nell'ultimo mese, da quando gli inviti per l'Open Day erano stati spediti, a Silver Valley non si era parlato d'altro che della festa che si sarebbe tenuta a Riverbend, la più vasta tenuta coloniale della valle.

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Riverbend... Un nome incantevole, che si adattava perfettamen-te alla splendida villa e testimoniava la ricchezza e la statura sociale dell'uomo che l'aveva fatta costruire nel 1880. Ovvero sir Charles Randall Marsdon, emi-grato dall'Inghilterra in Australia, dove aveva fatto fortuna. Charles Marsdon, infatti, nonostante la giovane e-tà, si era rivelato un abile uomo d'affari, che aveva guadagnato rapidamente cifre colossali e prestigio. Riverbend, con la sua candida facciata a colonne in stile georgiano era la testimonianza visibile e il ri-cordo perenne di tutto ciò. Charlotte sospirò, pensando che la villa era pro-prietà della famiglia Marsdon, la sua famiglia, da sei generazioni ormai. Ma per un amaro scherzo del de-stino non sarebbe passata in eredità a suo figlio. Riverbend, infatti, non apparteneva a loro. La vil-la, insieme con i vigneti, gli uliveti, e il vasto terreno agricolo che la circondava, quest'ultimo un po' tra-scurato dal giorno della tragedia che aveva sconvolto le loro vite, era stata acquistata dalla Vortex. Ben poco si sapeva di questa società, a parte il fat-to che avesse sborsato l'ingente somma per la quale suo padre aveva messo in vendita Riverbend. Una cifra che, a dire il vero, nemmeno lui aveva sperato di realizzare. Soprattutto perché, al verde com'erano, Vivian Marsdon non avrebbe potuto per-mettersi il lusso di fare il difficile o tirare sul prezzo. Invece, la cifra richiesta, davvero esorbitante, era stata pagata senza battere ciglio. E adesso, liquidate tutte le formalità burocratiche relative alla compra-vendita, avrebbero finalmente avuto l'occasione di conoscere il titolare della Vortex, giunto a Silver Valley per la festa d'inaugurazione della nuova pro-prietà della tenuta. Naturalmente lei e suo padre erano stati invitati,

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anche se non avevano avuto occasione di conoscere in precedenza il titolare della società o qualche suo rappresentante. Con grande sollievo di suo padre, in-fatti, erano stati i legali di famiglia, Dunnet & Ban-field, a sbrigare le formalità relative alla com-pravendita. Una clausola del contratto stabiliva che Vivian Marsdon avrebbe potuto continuare ad abitare al Pa-diglione, una dependance della villa, fino alla fine dei suoi giorni. Dopodiché, anche quello sarebbe passato al nuovo proprietario. Un tempo il Padiglione era stata la rimessa delle carrozze, ma iniziata l'era delle automobili, suo non-no lo aveva fatto ristrutturare e ingrandire, trasfor-mandolo in una lussuosa dependance per gli ospiti, molto utilizzata ai bei tempi passati. Da qualche settimana, invece, il Padiglione era di-ventato l'abitazione dei Marsdon. O meglio, di ciò che restava della loro famiglia: padre, figlia e nipote. Charlotte scosse il capo, pensando ai suoceri e alla cognata Nicole. Nei diciotto mesi trascorsi dalla morte di Martyn, l'estraniamento da parte dei Pre-scott era stato pressoché totale. Il suo defunto marito, di tre anni maggiore di lei, era rimasto vittima in un incidente automobilistico. Aveva perso il controllo della sua fuoriserie e si era schiantato contro un albero. Insieme alla donna che era stata con lui quella se-ra, una ragazza molto giovane, che per fortuna si era salvata, riportando solo traumi leggeri. Dall'inchiesta che era seguita, era risultato che la ragazza era stata l'amante di Martyn nei suoi ultimi sei mesi di vita. Ma i Prescott, anziché riprovare questo comporta-mento, ne avevano attribuito la colpa alla nuora, so-stenendo che se lei si fosse comportata da brava mo-glie, Martyn non avrebbe avuto bisogno di cercare

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altre donne e la tragedia non sarebbe accaduta. La seconda, grande tragedia della sua vita, pensò Charlotte. Che dire? Sei da compiangere, concluse, fissando la propria immagine allo specchio. La tua vita è un vero pasticcio. Per ironia della sorte, quella di suo padre non era stata migliore, anche precedentemente alla prima tra-gedia. Ovvero l'unica che avesse contato per i suoi genitori. Vivian Marsdon, infatti, era fondamentalmente una persona incapace di assumersi delle responsabili-tà o di ammettere le proprie colpe. Quando le cose andavano male, era sempre colpa di qualcun altro o delle circostanze avverse. La verità era che il declino finanziario della fami-glia era iniziato quando suo nonno, sir Richard Mar-sdon, era morto. Purtroppo Vivian, suo unico figlio ed erede, non si era rivelato all'altezza del compito di conservare il piccolo impero finanziario di famiglia. Una specie di bizzarra teoria. Un uomo aveva fatto fortuna, i discendenti l'avevano accresciuta e consoli-data, l'ultimo l'aveva perduta. Quasi a significare che non tutte le generazioni avevano il bernoccolo degli affari o il tocco di re Mida. A volte nemmeno quel tanto che bastava per garantire benessere alla fami-glia. Suo padre, nato fra gli agi, non aveva il carattere forte e intraprendente di sir Richard e nemmeno le sue doti di affarista. Per colpa dell'inettitudine di Vivian, i depositi bancari dei Marsdon avevano cominciato ad assotti-gliarsi inesorabilmente, come acqua inghiottita da un terreno permeabile. Suo padre aveva fatto dei pessi-mi investimenti, contro il parere di amministratori e avvocati, convinto di saperne più di tutti loro messi insieme. In realtà, la sua mancanza di esperienza e

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discernimento, aveva intaccato gravemente le risorse finanziarie familiari. E questo prima ancora che la tragedia sconvolgesse irrimediabilmente la loro vita. Charlotte sospirò di nuovo, prendendo un cappello di paglia e mettendoselo in testa. Ormai capitava di rado che lasciasse sciolti i suoi lunghi capelli biondi. Di solito preferiva raccoglierli alla base della nuca o in nodi di vario genere. Ma con il cappello di paglia le avrebbero dato noia e così aveva deciso di lasciarli cadere liberamente sulle spalle. Per l'occasione aveva indossato un abito di Hér-mes, un modello di seta verde pallido, con un'unica spallina, il corpino aderente e la gonna svasata. Il cappello di paglia, ornato di peonie d'organza rosa, era perfetto con il colore del vestito e dei sandali. Quel completo non era nuovo, ma l'aveva indossa-to solamente una volta, in occasione della Melbourne Cup, quando Martyn era ancora vivo. Suo marito era stato molto orgoglioso del suo aspetto, dello stile e del buon gusto con cui vestiva di solito. In effetti, le era sempre piaciuto apparire elegante e sofisticata. Una vera e propria fashionista, in perfetto stile con la vita inutile e vuota che lei e Martyn avevano condot-to. Erede di una immensa fortuna, Martyn Prescott a-veva potuto permettersi di fare quello che gli piaceva quando gli pareva. Entrambi appartenenti a due delle più ricche fami-glie della contea, amici dall'infanzia, tutti si erano a-spettati che prima o poi si sposassero. E così era av-venuto. La loro vita insieme si era svolta in un turbi-ne di mondanità e divertimenti, fino alla tragica scomparsa di Martyn. Conducendo quell'esistenza dorata ma priva di scopo, si era sentita spesso inquieta e insoddisfatta, ma si era consolata pensando che, raggiunta la matu-rità, Martyn sarebbe riuscito a risolvere il conflitto

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con Gordon, il suo iperattivo padre, avrebbe accetta-to il suo ruolo nell'azienda di famiglia e l'avrebbe svolto con abilità e determinazione. Purtroppo le sue speranze, come quelle di Gordon Prescott, erano andate deluse. E dopo la sua tragica fine, era stata anche assalita dai sensi di colpa, ren-dendosi conto di non avere mai amato Martyn. Fin dall'infanzia erano stati uniti da un legame d'affetto. Ma l'amore vero, romantico, fatto di profonda attra-zione e passione? No, quello non c'era mai stato fra loro. Ne era certa perché prima di sposare Martyn a-veva sperimentato cosa fosse l'amore e la passione travolgente per un uomo. Ma per poco quell'espe-rienza non l'aveva annientata. A distanza di anni, il cuore le accelerava ancora i battiti al solo ricordo del nome del suo primo, grande amore. Rohan... «Mamma? Sei pronta? Il nonno mi ha detto che siamo in ritardo.» La nota ansiosa nella voce di suo figlio riportò bruscamente Charlotte alla realtà. Si voltò e vide Christopher entrare di corsa nella stanza, vestito in modo casual come si addiceva alla sua età, con una maglietta blu e un paio di pantaloni sportivi. «Non ti preoccupare, non siamo affatto in ritardo» lo rassicurò, dopo avere dato un'occhiata all'orologio. Dopo la tragica scomparsa di Martyn, Vivian ave-va insistito perché lei e Christopher tornassero a vi-vere a Riverbend e alla fine lei aveva ceduto. Suo pa-dre era anziano e solo, e trovava difficile accettare il rovescio di fortuna di cui era stato in gran parte cau-sa. Ciò nonostante era perfettamente consapevole che prima o poi, quando anche lui sarebbe venuto manca-re, avrebbe dovuto cavarsela da sola. Ma come? E

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soprattutto dove? Non se la sentiva di lasciare Silver Valley. A Christopher piaceva molto abitare lì. Fre-quentava la scuola locale, aveva molti amici e aveva un legame molto affettuoso con il nonno. Tutto que-sto le avrebbe sicuramente reso difficile un trasferi-mento da Silver Valley. E c'erano anche altre diverse questioni da tenere presenti per una madre giovane e con un figlio da crescere. Martyn le aveva lasciato ben poco denaro liquido. Da sposati avevano vissuto con i genitori di lui ad High Grove, la tenuta dei Prescott, spesati di tutto. Il padre di Martyn, infatti, sapendo che il figlio aveva le mani bucate, si era limitato a concedergli una ren-dita, impedendogli di partecipare ai profitti dell'a-zienda. E dopo le scandalose circostanze in cui Martyn era morto, i Prescott avevano deciso che la vedova del figlio non meritava nulla. «Il nonno ha sempre premura» convenne Christo-pher, scuotendo la folta massa di riccioli biondi. Lei e suo figlio avevano lo stesso colore di capelli, ma non quello degli occhi. I suoi, infatti, erano verdi, mentre Christopher li aveva di uno splendido colore azzurro. «Stai bene vestita così, mamma» osservò Christo-pher, con l'ingenua ammirazione dei bambini. «Grazie, tesoro» rispose Charlotte, abbozzando un sorriso. «Per favore, non essere triste anche oggi» aggiun-se suo figlio, dopo averle dato un'occhiata. «Quando diventerò grande, sarò io che baderò a te.» «Il mio cavaliere in armatura» commentò Charlot-te, chinandosi a dargli un bacio. Sorrise, prendendolo per mano. «Animo, soldati cristiani, alla riscossa!» «Che cos'è?» le domandò Christopher, incuriosito. «Un antico inno inglese» gli spiegò. «Significa che dobbiamo sempre andare avanti e fare del nostro meglio. Resistere. Era l'inno preferito di sir Winston

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Chruchill. Sai chi era, vero?» gli chiese sua madre. «Certamente» annuì suo figlio. «Il primo ministro inglese durante la Seconda Guerra Mondiale» ag-giunse senza incertezze. Christopher frequentava solo la seconda elementa-re, ma in comune con il nonno aveva una vera e pro-pria passione per la storia e restava per ore ad ascol-tare Vivian che gli raccontava di guerre, battaglie e generali. A differenza del nonno, Christopher aveva già i-niziato anche a imparare a utilizzare il computer. Vi-vian, invece, si rifiutava di farlo, e si intestardiva a leggere esclusivamente i libri che facevano parte del-la ricca collezione della sua libreria. Christopher era un bambino molto intelligente. Proprio come... suo padre, concluse Charlotte. La festa era in pieno svolgimento quando i Mar-sdon, attraverso un sentiero del parco, dal Padiglione raggiunsero il giardino che circondava la villa. Sotto il sole di quello splendido pomeriggio esti-vo, Riverbend era più bella che mai, pensò Charlotte, osservando la candida facciata con una stretta al cuo-re. Lanciò un'occhiata a suo padre e si rese conto che anche lui stava sperimentando lo stesso profondo senso di perdita e nostalgia. Ma grazie a quella sua a-ria altera da signore del castello, nessuno che non lo conoscesse bene non avrebbe mai indovinato quello che provava in quel momento. Sia l'esterno che l'interno della villa erano stati ac-curatamente restaurati, assunti governante e mag-giordomo, e un giorno, per puro caso, Charlotte ave-va incontrato la giovane donna che faceva regolar-mente la spola da Sydney per controllare il nuovo staff di servizio e che i giardini fossero pronti per il giorno della festa. Quella volta la sconosciuta aveva lasciato la pro-

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pria auto parcheggiata nel vialetto che portava al Pa-diglione. Charlotte, che stava potando alcuni cespu-gli di rose, aveva sorpreso l'elegante bruna in tailleur e tacchi a spillo mentre osservava con interesse la co-struzione. «Posso esserti utile?» le aveva chiesto. «Oh, io... Spero di non averti disturbata» aveva ri-sposto la bruna, con un certo imbarazzo. «Diane Ro-dgers» aveva aggiunto, tendendole la mano. «Piacere di conoscerti, Diane» aveva risposto lei, ricambiando la stretta. «Il nuovo proprietario di Riverbend mi ha incari-cato di supervisionare i lavori alla villa. Ma non ho resistito a dare un'occhiata anche al Padiglione» ave-va ammesso Diane. «Sei un'agente immobiliare?» «Certo che no!» «Semplice curiosità. Allora, come forse ben sa-prai, il Padiglione è proprietà privata.» «Proprio così, ma spero non ti dispiaccia se gli do un'occhiata» aveva replicato Diane, con una punta di freddezza. «Non ti preoccupare, non si tratta di un'i-spezione.» «Lo credo bene. Una cosa del genere sarebbe a dir poco impropria.» «Come dici scusa?» «Stavo solo ribadendo che il Padiglione è proprie-tà privata» aveva ripetuto Charlotte, rendendosi con-to che quella donna lo sapeva e tuttavia aveva igno-rato le regole della buona educazione. Forse, se aves-se tentato un approccio più amichevole, sarebbe stata più ben disposta nei suoi confronti... Invece Diane si stava comportando con poco tatto. «Sei seccata perché non sei più la padrona di tut-to» aveva ribattuto l'altra. «Sei la figlia del preceden-te proprietario.» Non era una domanda ma una sem-plice constatazione.

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«Cosa te lo fa credere?» aveva replicato Charlotte, riprendendo a potare uno cespuglio di rose Ecstasy, una splendida varietà scarlatta. «Ho sentito molto parlare di te, signora Prescott. Sei davvero molto bella come mi avevano detto.» «La bellezza non è tutto. Ci sono cose più impor-tanti... Posso sapere chi ti ha parlato di me?» «Sai, com'è, alla gente piace fare pettegolezzi» a-veva risposto Diane in tono vago. «Ma essere belle e ricche non preserva dai guai della vita, vero? Mi han-no raccontato che hai perso un fratello quando erava-te ancora bambini, e poi il marito pochi mesi fa. Im-magino non siano state esperienze gradevoli.» Quel commento così diretto e privo di tatto l'aveva lasciata qualche istante senza parole. Con chi aveva parlato Diane Rodgers? Con Nicole, la sorella mino-re di Martyn? Nicole aveva sempre nutrito antipatia nei suoi confronti. Se era stata la sua ex cognata a in-formare Diane, di sicuro ogni informazione che le a-veva fornito era stata condita con il vetriolo. «Proprio così» aveva risposto con freddezza. «E a-desso, se non ti dispiace, ho da fare. Fra le altre cose, devo preparare la cena» aveva aggiunto in tono di congedo. «Mi hanno detto che abiti qui con tuo padre e tuo figlio» aveva continuato Diane imperterrita. Quella completa mancanza di educazione le aveva fatto ribollire il sangue nelle vene. «Mi spiace, ma non ho tempo di fare conversazio-ne» aveva tagliato corto, riponendo le cesoie in un cestino. «E la prossima volta che vieni qui, sei prega-ta di ricordare che il Padiglione è proprietà privata» aveva aggiunto, gelida, prima di piantarla in asso. In onore dell'Open Day a Riverbend, tutti gli invi-tati si erano vestiti con eleganza. Le signore, in parti-colare, con deliziosi, leggeri abiti color pastello e

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cappelli a tesa larga per difendersi dai raggi del sole primaverile. Osservandole, Charlotte rammentò come sua ma-dre avesse sempre avuto cura della propria pelle, in-segnando alla figlia a fare altrettanto. Bei tempi. Attualmente, infatti, lei e sua madre si parlavano appena. I suoi genitori avevano divorziato due anni dopo la tragedia. Attualmente Barbara abitava a Melbourne e aveva una nuova vita. Quando era nato Christopher, aveva creduto che sua madre sarebbe stata entusiasta di avere un nipote, ma le sue speranze erano andate deluse. Per Barbara contava solo Matthew, il suo adorato figlio, il suo or-goglio e la sua gioia, strappatole da un destino crude-le. «Mamma, io e Peter possiamo andare a giocare?» domandò Christopher, riscuotendola da quei tristi pensieri. Peter Stafford era il migliore amico di Christopher fin dal primo giorno di scuola materna. «Non vedo perché no» rispose Charlotte, sorriden-do al bambino fermo accanto a suo figlio. «Ciao, Pe-ter. Sei molto elegante oggi.» «Davvero?» rispose timidamente Peter, dandosi un'occhiata. Christopher lo aveva informato in antici-po che quel giorno avrebbe indossato un paio di pan-taloni lunghi, e così anche lui aveva insistito perché sua madre gliene comprasse di uguali. «Proprio così» gli assicurò Charlotte. «I tuoi geni-tori sono qui?» «Sì, e anche Angie» annuì Peter, nominando la so-rella maggiore. «Ci ha messo un secolo a decidere quale vestito mettersi, anche se a me piaceva di più il primo che aveva scelto. Poi ci ha messo un mucchio di tempo a pettinarsi, e alla fine mia madre si è pro-prio arrabbiata.»

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Quell'ingenua cronaca familiare fece sorridere Charlotte. «Sono sicura che alla fine il risultato ha premiato l'attesa» commentò, con una punta di divertimento. Angela Stafford era una ragazzina con un carattere a dir poco difficile. L'esatto contrario di quello sempli-ce e solare del fratello. «Andate pure a giocare ma restate sempre bene in vista, d'accordo?» replicò dando un'occhiata all'area di gioco che era stata alle-stita per gli ospiti più piccoli. «Okay» risposero i due bambini all'unisono, cor-rendo via. Dopo che Christopher e il suo amico si furono al-lontanati, Charlotte si guardò intorno, sforzandosi di avere un'aria calma e serena. Suo padre era impegnato in una conversazione con il sindaco di Silver Valley, un uomo di mezza età con un girovita davvero ragguardevole, che gli stava de-dicando molta attenzione. Forse perché conscio del fatto che il nome dei Marsdon avesse ancora peso a Silver Valley, soprattutto nelle questioni elettorali. Charlotte rammentò che la separazione dei suoi genitori aveva diviso i benpensanti della contea. La sua bellissima, aristocratica madre, aveva fatto parte di tutti i comitati di beneficenza di Silver Valley, raccolto fondi per ogni buona causa organizzando un mucchio di feste come quelle a Riverbend. Era stata stimata e benvoluta da tutti, ma la tragedia l'aveva annientata. Anche per suo padre era stato un colpo durissimo. E che ne era stato di lei? Era cresciuta consapevole del fatto che a modo suo sua madre le voleva bene, ma che Matthew, suo fratello maggiore, era il figlio prediletto. A dire il ve-ro, quel particolare non le era mai importato più di tanto. Forse perché Matthew aveva sempre dimostra-to grande affetto e attenzioni per la sorellina.

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Nessuna gelosia fra di loro. E poi lei aveva avuto Rohan come migliore amico. Rohan, il figlio di Mary Rose Costello. Mary Rose, rimasta orfana in tenera età, era stata cresciuta dalla nonna materna, una donna di mezzi modesti, che le aveva impartito una rigida educazio-ne. Capelli rossi, bellissima, Mary Rose era rimasta incinta a diciotto anni senza essere né fidanzata né sposata. E, cosa peggiore di tutte, si era sempre rifiu-tata di fare il nome del padre di Rohan. A Silver Valley si era speculato per anni su chi po-tesse essere, ma la diretta interessata non si era mai confidata con nessuno. Nemmeno con la nonna. Tut-ti, però, avevano concluso che dovesse trattarsi sicu-ramente di un uomo colto e attraente, perché Rohan era stato il ragazzo più bello e affascinante di Silver Valley. Quando la nonna di Mary Rose era morta, aveva lasciato il suo cottage in eredità alla nipote, che lavo-rava come domestica sia dai Marsdon che dai Pre-scott. Era stata anche un'abile sarta, una dote che Barbara Marsdon aveva sempre incoraggiato, facen-dosi confezionare abiti da lei e passando la voce alle amiche. Così, i Costello avevano potuto godere di un certo benessere, grazie anche al patronato di Barbara Mar-sdon. Fino alla tragedia. Gli ospiti passeggiavano sullo splendido prato al-l'inglese antistante la villa. Altri, invece, avevano preferito cercare un posto all'ombra delle magnolie del giardino, i cui fiori vellutati in quella stagione e-manavano un delizioso profumo. Alcuni bambini stavano giocando a nascondino fra i cespugli, mentre un secondo gruppo si stava roto-lando sull'erba. I più vivaci si erano avvicinati troppo

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allo spruzzo della fontana, e alcuni adulti dovettero intervenire per evitare che si bagnassero come pulci-ni. Nel complesso, tutti sembravano contenti di essere stati invitati a quella festa. In un angolo del giardino, sotto un ampio tendone bianco, era stato allestito il buffet, un delizioso calei-doscopio di salatini, tartine, pasticcini alla crema e alla frutta, accompagnato da una ricca selezione di bibite e succhi di frutta. Gli alcolici erano assenti, notò Charlotte, con un sospiro di sollievo. Almeno non ci sarebbe stato il ri-schio che qualcuno alzasse il gomito e rovinasse il clima sereno e familiare di quella festa. Sempre tenendo discretamente d'occhio suo figlio, Charlotte scambiò saluti e convenevoli con amici di lunga data e conoscenti, l'espressione sorridente stampata sul viso e un profondo senso di tristezza nel cuore. Un atteggiamento che non le riuscì difficile, grazie ad anni di pratica. Anni in cui, se non altro, a-veva imparato a controllare le proprie emozioni. Co-me quando aveva fatto colazione con i suoceri dopo l'ennesimo litigio con Martyn. Soprattutto negli ulti-mi tempi quando, a causa dell'alcol, lui era diventato alquanto violento nei suoi confronti. Una volta che aveva bevuto più del solito, aveva osato persino picchiarla e frustarla. Naturalmente in punti dove nessuno poteva vedere, per evitare guai. Sebbene, infatti Martyn fosse stato spudoratamen-te viziato dalla madre, un comportamento del genere non avrebbe mancato di provocare la reazione di suo padre. Gordon Prescott riteneva che la violenza do-mestica fosse inaccettabile. In nessun caso un uomo aveva il diritto di usare le maniere forti con una don-na. Era da vigliacchi. Il problema era che Martyn era diventato prepo-tente e violento perché aveva desiderato disperata-

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mente da lei qualcosa che lei non aveva potuto dar-gli. Un amore totale e indiviso. Era stato geloso perfino di Christopher, ma non a-veva mai osato toccarlo perché sapeva che se lo a-vesse fatto, lei lo avrebbe abbandonato. Comunque fosse, prima che la situazione diventas-se intollerabile, Martyn era morto e le scandalose cir-costanze del decesso avevano fatto sì che suo padre le proponesse di andare ad abitare al Padiglione, an-che perché voleva sinceramente bene a Christopher. Guardandosi intorno per cercare di distrarsi, Char-lotte si rese conto che tutti gli invitati erano curiosi di conoscere il nuovo, misterioso proprietario di Ri-verbend, che fino a quel momento non si era fatto vi-vo. Fu solo passata l'ora di pranzo che un elicottero passò a bassa quota sopra la villa e atterrò nell'appo-sito spiazzo che era stato predisposto ai margini del parco. Cinque minuti dopo, un uomo alto alto e bru-no, con una rosa rossa appuntata sulla giacca di lino bianco, comparve sul patio della villa, seguito da Diane Rodgers, elegantissima in un abito da cocktail dal taglio sofisticato. Gli invitati intuirono immediatamente chi fosse e applaudirono con entusiasmo il nuovo padrone di ca-sa. I bambini in particolare, entusiasmati da quell'en-trata in scena a bordo di un elicottero. Charlotte si voltò a guardare suo padre, chieden-dosi ansiosamente come avrebbe affrontato quella presa di possesso della casa che per generazioni era appartenuta ai Marsdon. In quella circostanza, tuttavia, Vivian sembrava deciso a fare sfoggio dei suoi modi aristocratici. Si staccò dalla piccola folla di ospiti e si diresse verso il patio. «Vieni con me, Charlotte» la invitò sottovoce, passandole accanto. «Come ex padrona di casa tocca

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a te dare il benvenuto al nuovo proprietario. Ho il so-spetto che sia molto più che il titolare della Vortex.» «Be' da questa distanza direi che è anche un bel-l'uomo» mormorò Charlotte. «E molto più giovane di quanto mi aspettavo» ag-giunse suo padre. «Avevo immaginato si trattasse di un uomo di mezza età e... Aspetta un momento! Ma io lo conosco! Santo cielo, Costello... Sei proprio tu?» esclamò Vivian. Udendo quel nome, e osservando meglio il nuovo arrivato, Charlotte ebbe l'impressione che il cuore cessasse di batterle. «Buongiorno, signor Marsdon» replicò educata-mente il titolare della Vortex. Il tono di voce era cal-mo e sicuro di sé. Il timbro gradevolmente caldo e virile. Dopodiché il suo sguardo si appuntò su Char-lotte, e i suoi occhi azzurri sembrarono volerle legge-re fino in fondo all'anima. Lei trattenne il respiro, sopraffatta dall'emozione per quella situazione a dir poco irreale. Rohan! Di colpo ebbe l'impressione che il tempo non fosse passato, travolto da una gigantesca marea di ricordi. Il giorno della resa dei conti era arrivato. Non aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe successo? Una onda nera le oscurò la vista. Respirò a fondo, vagamente coscia di avere perso per un istante l'equi-librio. No, no... Non doveva assolutamente svenire! Non doveva mostrarsi così debole! «Rohan» riuscì soltanto a mormorare. Lui non era mai stato crudele come Martyn nei suoi confronti, pensò Charlotte. Tuttavia dal modo in cui aveva condotto la com-pravendita di Riverbend e da quell'entrata in scena improvvisa, era chiaro che aveva voluto cogliere di sorpresa Vivian Marsdon. E ancora di più sua fi-glia. Di cosa si trattava esattamente? Probabilmente

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di una vendetta, abilmente mascherata. «Hai fatto tutto questo per me, Rohan?» sussurrò, mentre di nuovo un'ondata nera le oscurava la vista. Il mondo intorno a lei sembrò dissolversi. Prima di perdere i sensi l'ultima cosa di cui fu consapevole fu di un paio di forti braccia che la sostenevano e poi la voce spaventata di suo figlio che gridava mamma! Il bambino si slanciò verso di lei, e nonostante Vi-vian cercasse di trattenerlo, Christopher sfuggì alla sua presa e seguì lo sconosciuto alto e bruno che sta-va entrando in casa reggendo sua madre fra le brac-cia. Il nuovo proprietario di Riverbend. Adesso tutti conoscevano la sua identità e gli invi-tati si guardarono l'un l'altro, stupiti e imbarazzati. Rohan Costello. Il destino, a volte, aveva davvero uno strano modo di vendicarsi.