il valore dell'aiuto

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IL VALORE DELL’AIUTO Risorse per la risposta alle emergenze umanitarie Quarta edizione / Anno 2013

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Quarta edizione - maggio 2013

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Page 1: Il Valore dell'Aiuto

9 11,5

11,3

12,3

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0,7

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3,6

3,45,,8

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15,2

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2008

2009

2010

2011

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IL VALORE DELL’AIUTORisorse per la risposta alle emergenze umanitarie

Quarta edizione / Anno 2013

Page 2: Il Valore dell'Aiuto

2

Premessa / 3Sinossi / 5

Capitolo I - Gli aiuti umanitari a livello internazionale / 6

Capitolo II - L’Italia al microscopio / 19

Capitolo III - Prevenzione e riduzione del rischio dei disastri / 30

Nota metodologica / 41Glossario / 44 Abbreviazioni / 48 Bigliografia / 50Credits / 53

INdICe

Page 3: Il Valore dell'Aiuto

3

PremeSSA

Tra i molti paradossi del mondo di oggi, uno stride più di tanti altri. Non siamo mai stati così vicini alla soluzione di alcuni dei più gravi mali del pianeta: abbiamo acquisito capacità tecniche e di analisi, abbiamo sperimentato e affinato metodi e strumenti, sappiamo esattamente cosa dovremmo fare. eppure non lo facciamo. Nei decenni, la Comunità Internazionale ha più volte rivisto – al ribasso – le proprie ambizioni. dal già modesto impegno dello 0,7% del PIL nel 1970 ai modestissimi Obiettivi del millennio. eppure non ha mai centrato il risultato. Lotta alla povertà, sicurezza umana, riduzione della diseguaglianza, conflitti armati, perfino la sicurezza alimentare, sono tutti fallimenti con cui ci troviamo a fare i conti politicamente, economicamente e moralmente ogni santo giorno. Il perdurare della guerra (strumento ormai arcaico della politica), la distruzione dell’ambiente e le sue catastrofiche conseguenze sul clima, un’economia che fabbrica continuamente nuove ingiustizie, il diffondersi della violenza, il potere della criminalità: dapprima chiusi nella falsa sicurezza del benessere occidentale, poi sentendoci minacciati e insicuri di fronte a un mondo in tumulto, siamo sempre stati incapaci di imprimere una svolta alle dinamiche del pianeta. Non è un mondo facile, e le cose non stanno andando bene. Il sovrapporsi di tre crisi globali (quella economica, quella ambientale, e quella politica) sta causando un drammatico aggravamento delle condizioni di vita di miliardi di esseri umani. Il numero dei conflitti armati è nuovamente in crescita, i disastri naturali si sono moltiplicati per otto negli ultimi trent’anni, e le proiezioni più credibili ci parlano di un miliardo di migranti forzati nei prossimi trenta. La pressione combinata di migrazione e competizione per le risorse non può che generare nuove guerre, che saranno tanto più violente in quanto si verificheranno soprattutto in paesi politicamente molto fragili. da parte loro, le istituzioni internazionali stanno vivendo una fase di grande debolezza politica. In particolare le Nazioni Unite, con la perdurante paralisi del Consiglio di Sicurezza, sono ormai diventate un’agenzia globale di aiuti più che il forum politico universale che dovrebbe proteggere i diritti dei popoli, regolare le relazioni tra i paesi e garantire il rispetto del diritto internazionale. Questo si traduce in un vuoto di progettualità e di azione politica. Purtroppo, la foto che esce da questa edizione de “Il Valore dell’Aiuto” ci presenta un quadro preoccupante, con l’impatto atteso e inevitabile della crisi finanziaria che ha portato gli aiuti umanitari, dopo un decennio di crescita quasi sempre costante, a una flessione decisa e scarsamente mitigata dalla crescita dei nuovi donatori, quali i paesi arabi, la Cina, la Turchia e la russia. La Comunità Internazionale – e l’Occidente in particolare - sembrano rendersi conto solo in parte del potenziale devastante di un aumento generalizzato della vulnerabilità. Se l’aiuto rappresenta una delle poche polizze d’assicurazione contro il collasso del pianeta, è arrivato il momento di pagarne le rate. Certo, non con finanziamenti che già oggi riescono a coprire meno di due terzi dei bisogni, e tantomeno con investimenti in prevenzione che impegnano meno dell’1% del budget degli aiuti a fronte del 10% che ci si pone come obiettivo a livello internazionale. Anche il fatto che quasi due terzi dei fondi dipendano da soli sei donatori ci dimostra quanto scarsa sia la sensibilità politica

di Gianni rufini

Page 4: Il Valore dell'Aiuto

4

per un tema che, al di là dei concetti di generosità e solidarietà, riguarda la sicurezza, la stabilità e la vivibilità del pianeta. e l’Italia? L’Italia delle migliaia di rifugiati che vi approdano, della migrazione disperata di chi sfugge dai paesi in crisi dell’Africa e del medio Oriente? Il centro del traffico di esseri umani e dei diritti violati? La linea del fronte tra ricchezza e povertà, che vent’anni fa, in mozambico come in America Centrale, insegnava al mondo come si porta la pace nei paesi in guerra? L’Italia generosa e solidale, che negli anni Novanta accoglieva col sorriso e una grande umanità centinaia di migliaia di rifugiati dalla Bosnia e dall’Albania? In questo quadro, l’Italia, ancora una volta, si distingue in negativo. Negli ultimi dodici anni, mentre gli altri governi donatori hanno aumentato i loro stanziamenti di quasi due terzi, l’Italia li ha ridotti del 13%, piazzandosi stabilmente in fondo alla classifica mondiale. Non solo, ma questi fondi per tre quarti passano attraverso il canale europeo. Ovvero, noi versiamo i nostri contributi obbligatori all’europa e questa decide di spenderne una parte in aiuti umanitari. Non si tratta dunque di scelte volontarie. Il Governo Italiano rinuncia così anche alla possibilità di seguire delle strategie mirate, di definire delle priorità e di fornire mezzi d’intervento alle organizzazioni umanitarie nazionali (proprio nel paese che ne conta il maggior numero in europa). Anche quest’anno, “Il Valore dell’Aiuto” si rivela uno strumento importantissimo per capire le dinamiche e il vero significato delle politiche che l’Italia e gli altri paesi donatori stanno conducendo in questo delicatissimo ambito. Un’analisi che ci aiuta a comprendere perché le cose continuino a non funzionare, e come non abbiamo imparato nulla dalle tragiche esperienze degli anni Novanta, con i genocidi, la violenza brutale e la morte di milioni di persone. Affannarsi ad inseguire le crisi con mezzi insufficienti e mal utilizzati serve soltanto a peggiorarne le conseguenze, moltiplicarne gli effetti e sperperare risorse preziose. Non è solamente questione di cattiva volontà o di scarsità di finanze, c’è anche tanta superficialità nel trattare una materia così complessa e sensibile. Una debolezza che non ci possiamo più permettere di fronte alle sfide che si prospettano, e quando ci sono in gioco la vita e il benessere di centinaia di milioni di persone.

Page 5: Il Valore dell'Aiuto

5

Il Valore dell’Aiuto è il principale lavoro di ricerca di AGIre – Agenzia Italiana per la risposta alle emergenze. Giunto ormai alla sua quarta edizione, il rapporto offre un’analisi complessiva dell’assistenza umanitaria erogata, a livello globale e in Italia, dai donatori istituzionali e dai privati cittadini.

La prima parte del rapporto 2013 è dedicata a una complessiva ricostruzione del sistema internazionale di finanziamento dei programmi di assistenza umanitaria e di risposta alle emergenze. dopo l’analisi dei volumi complessivi e delle linee di tendenza degli ultimi anni, viene fornito un quadro esaustivo di tutti gli attori coinvolti e delle modalità di erogazione degli aiuti. In chiave critica, il capitolo si conclude con alcune prime riflessioni sui limiti del sistema internazionale di finanziamento, incapace di soddisfare per intero i bisogni umanitari riscontrati dalle organizzazioni di aiuto. Ulteriori direzioni di ricerca e approfondimento potrebbero riguardare la capacità di compensazione offerta da quei canali di assistenza che spesso non è possibile tracciare ma che il senso comune riconosce come spesso più rapidi ed efficienti dei canali di aiuto internazionale. Ci si riferisce in particolare alla risposta fornita dalle stesse comunità colpite, alle rimesse provenienti dagli emigrati all’estero, all’intervento locale di imprese private, gruppi religiosi, autorità e società civile.

Il secondo capitolo si concentra sull’Italia. La prima parte sviluppa le analisi relative ai contributi pubblici destinati all’assistenza umanitaria verso paesi terzi. I rilievi relativi all’inadeguatezza delle risorse economiche allocate e a ciò che abbiamo definito la “comunitarizzazione” dell’assistenza umanitaria italiana sono purtroppo non nuovi e non esclusivi di questo specifico settore dell’aiuto pubblico allo sviluppo. La seconda parte contiene una rapida analisi della contribuzione dei privati cittadini, proseguendo un filone di ricerca – quello sul fund-raising per le emergenze – che AGIre aveva già percorso, tra l’altro, nella precedente edizione del rapporto con uno studio comparato su alcuni paesi europei.

L’ultima sezione del rapporto è dedicata alla prevenzione del rischio e alla riduzione dell’impatto delle catastrofi naturali. Il capitolo analizza gli investimenti economici in questo ambito da parte della comunità internazionale e dell’Italia. mostra inoltre il vantaggio strategico e il risparmio di vite umane e risorse economiche che deriverebbe da un incremento dei fondi disponibili.

Nel complesso questo “affresco” sulle risorse economiche per l’assistenza umanitaria pone una serie di interrogativi sui limiti e le potenzialità del sistema, che solo la curiosità e l’interesse del lettore potranno approfondire.

SINOSSI

Page 6: Il Valore dell'Aiuto

6

Quanti fondi sono stanziati a livello globale per gli aiuti umanitari? Chi sono i principali paesi-donatori? Qual è il ruolo dei privati? dove

vengono indirizzate le risorse?

CAPITOLO IGli aiuti umanitari a livello internazionale.

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7

Le rISOrSe Per L’ASSISTeNzA UmANITArIA1

1 Questa prima parte del rapporto è costruita prevalentemente sulle analisi più recenti sviluppate dal programma Global Humanitarian Assistance di development Initiatives, che da alcuni anni pubblica la più importante ricerca sul tema dei flussi economici per l’assistenza umanitaria. Cfr. development Initiatives, Global Humanitarian Assistance. report 2012, Wells, 2012.

2 Il dAC (development Assistance Committee) è un forum interno all’OCSe (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) composto dai principali donatori internazionali. Vi siedono attualmente 24 paesi e partecipano, in qualità di osservatori, anche la Banca mondiale, il Fondo monetario Internazionale e l’UNdP (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo). Nel 2011 l’APS è stato di 134,03 miliardi di dollari. Considerando il tasso d’inflazione, la cifra rappresenta una diminuzione del 2,3% del valore del 2010: si tratta di un primo segnale preoccupante, dopo che nel decennio tra il 2000 e il 2010 l’APS era cresciuto addirittura del 63%. L’unica altra riduzione negli ultimi 15 anni risale al 2007, ma non è presa in considerazione in quanto dovuta alla cancellazione straordinaria dei grossi debiti di Iraq e Nigeria.

3 I dati relativi al 2011 sono ancora delle stime, basate su informazioni preliminari dell’OSCe (con prezzi costanti 2010) e stime sui contributi dei paesi a UNHCr, UNrWA e WFP. Per maggiori informazioni, si veda la nota metodologica di pagina 41.

Grafico 1 – Assistenza umanitaria globale nel periodo 2007-2011 (in miliardi di dollari)

Fonte: GHA su dati OCSe/dAC e UNOCHA FTS

Nel 2010, anche per effetto del terremoto che aveva colpito a gennaio Haiti e delle alluvioni verificatesi in Pakistan ad agosto, l’assistenza umanitaria complessiva aveva raggiunto la cifra record di 18,8 miliardi di dollari. Si trattava in valore assoluto della cifra più alta mai registrata, addirittura superiore al valore degli aiuti nel 2005, quando si verificarono due disastri naturali di proporzioni incredibili, lo tsunami nell’Oceano Indiano e il terremoto nel Kashmir. L’impatto delle crisi umanitarie si è significativamente ridotto nel 2011: i dati ufficiali indicano che le persone colpite da disastri naturali sono diminuite in quell’anno a 91 milioni (nel 2010 erano state ben 224 milioni), la cifra più bassa nell’ultimo decennio. Inoltre, proprio nel 2011 l’impatto della crisi economica globale ha iniziato a farsi sentire in modo significativo anche nel settore degli aiuti internazionali. Non a caso, per la prima volta dal 1997 è diminuito il valore reale dell’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) erogato dai paesi dAC2. di conseguenza, l’assistenza umanitaria totale si è ridotta nel 2011 di ben 1,7 miliardi di dollari (pari a circa il 9% in meno) e non ha superato il valore in termini assoluti di 17,1 miliardi di dollari. Il grafico 1 fornisce una rappresentazione dell’assistenza umanitaria globale negli ultimi 5 anni, evidenziando la suddivisione tra fondi privati e fondi pubblici e, tra questi ultimi, il contributo dato dal gruppo dei paesi dAC e non-dAC3. L’andamento degli aiuti risulta fortemente legato ai

bisogni umanitari effettivamente rilevati, con una tendenza generale che comunque sembra essere sempre orientata all’aumento complessivo delle donazioni erogate. Si è parlato in questo caso di “effetto ruota dentata” o “ratchet effect” proprio per descrivere la tendenza degli aiuti a crescere anche in modo rilevante negli anni straordinari per magnitudo e numerosità delle crisi umanitarie e poi a non calare negli anni successivi a livelli inferiori al periodo di picco. Questo principio di irreversibilità della crescita dei flussi di assistenza umanitaria si è verificato sistematicamente nell’ultimo decennio ed è stato confermato anche nel 2011: dopo una crescita pari al 23% e l’ineguagliato volume di aiuti del 2010, le donazioni da governi e privati nel 2011, pur calando del 9%, sono state comunque superiori rispetto al 2009 e a tutti gli anni precedenti.

9,011,511,5 11,311,3 12,3 12

0,3 0,9 0,5 0,7 0,5 0,533,6 3,4

5,8 4,6

12,3012,30

16,00 15,20 15,20

18,80 17,10 17,10

2007 2008 2009 2010 2011

Paesi dAC Paesi non-dAC Fondi privati Totale

Page 8: Il Valore dell'Aiuto

8

GLI AIUTI dAI GOVerNI

Nel periodo tra il 2001 e il 2010, i governi hanno speso complessivamente 98,6 miliardi di dollari nell’assistenza verso le popolazioni colpite da crisi umanitarie. Ben il 96% di questi aiuti sono stati erogati dai paesi dAC che hanno progressivamente incrementato i loro livelli di investimento, passando dai 6,5 miliardi di dollari del 2001 ai 12,3 miliardi del 2010. Nel grafico 2 è ricostruita una panoramica dei paesi donatori più generosi in valore assoluto. Gli Stati Uniti sono responsabili di più di un terzo del valore complessivo degli aiuti umanitari pubblici. I primi cinque donatori (oltre agli USA, le istituzioni europee, il regno Unito, la Germania e la Svezia) hanno sostenuto da soli il 69% del totale degli aiuti erogati dai governi. Si noti inoltre che nessun paese non-dAC figura tra i primi quindici donatori in termini assoluti: solo al sedicesimo posto compare l’Arabia Saudita con 2,1 miliardi di dollari di assistenza umanitaria. Per analizzare con più dettaglio il livello di generosità dei paesi donatori, prendiamo ora in considerazione i dati relativi all’anno 2010 e confrontiamo la classifica dei governi che hanno erogato più aiuti con quelle su rapporto tra assistenza umanitaria e PIL e assistenza umanitaria e popolazione. e’ del resto intuitivo osservare come il valore assoluto degli aiuti erogati non possa costituire da solo l’indicatore più affidabile per valutare la virtuosità di un paese donatore: è indispensabile tenere in considerazione anche il “peso” di quel paese nel contesto internazionale e la sua effettiva capacità di contribuzione. riformulata in questo modo, la classifica permette di osservare alcuni elementi interessanti. Ad esempio, il primo paese contributore in valore assoluto, gli Stati Uniti, scompare del tutto dalla classifica dei primi 15 governi donatori se consideriamo il rapporto degli aiuti con il PIL complessivo. Gli USA siedono infatti al 17° posto, con un contributo pari al 0,03% del PIL contro lo 0,15% della Svezia. In questa nuova classifica, emerge il contributo del Gambia, addirittura terzo con un investimento in aiuti di emergenza pari allo 0,13% del suo PIL, ma anche di Arabia Saudita (8° posto), Guyana (11° posto) ed emirati Arabi Uniti (13° posto)4. Considerazioni interessanti emergono anche osservando gli aiuti umanitari pro-capite. Il record in questo caso va al governo del Lussemburgo, che ha versato ben 109 dollari per conto di ciascun concittadino. meno virtuosi i comportamenti di altri governi

Grafico 2 – Paesi donatori con valore aggregato nel periodo 2000-2010

(in miliardi di dollari)Fonte: GHA su dati OCSe/dAC e

UNOCHA FTS

USA 34,1

Ue 14,6

regno Unito 8,5

Germania 6,3

Svezia 5

Olanda 4,8

Giappone 4,4

Norvegia 4,2

Francia 3,5

Spagna 3,4

Italia 3,2

Canada 3,2

Australia 2,8

Svizzera 2,3

danimarca 2,2

4 e’ evidente che la grande eco mediatica suscitata dal terremoto di Haiti ha incoraggiato la mobilitazione di nuovi donatori, magari con iniziative una tantum che non determinano un reale cambiamento di strategia sul tema degli aiuti internazionali.

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5 I dati del PIL per i paesi dAC sono quelli forniti dall’OCSe (prezzi costanti 2010), per gli altri paesi si è fatto invece riferimento alle informazioni fornite dalla Banca mondiale (prezzi correnti)

6 e’ al 29° posto per rapporto aiuti/PIL (0,01%) e al 25° per aiuto pro-capite (5 dollari).

che ben figuravano nella prima classifica dei donatori in valore assoluto: il regno Unito è al 16° posto con 15 dollari a cittadino, la Germania segue al 19° posto con 9 dollari pro-capite, la Francia al 22° con 7 dollari. Per inciso, si sottolinea come l’Italia sia al 13° posto per aiuti in valore assoluto, ma scompaia dalle altre due classifiche dei primi 15 paesi virtuosi6.Come già evidenziato nel grafico 1 di pagina 7, su un valore complessivo di assistenza umanitaria pubblica pari nel 2011 a 12,5 miliardi di dollari, ben il 96% proviene dal “club” dei paesi dAC e solo il 4% dai cosiddetti donatori non tradizionali. Pur nella limitatezza dei dati disponibili su questa categoria di donatori,

Tabella 1 – Classifiche dei 15 paesi donatori più generosi nel 20105. Fonte: GHA su dati OCSe/dAC e UNOCHA FTS

Assistenza umanitaria in valore assoluto (mln $)

Assistenza Umanitaria su PIL (%)

Assistenza umanitaria per cittadino ($)

1 Stati Uniti 4.871

Svezia 0,15% Lussemburgo 109

2 Istituzioni Ue 1.658

Lussemburgo 0,14% Norvegia 97

3 regno Unito 943 Gambia 0,13% Svezia 744 Germania 744 Norvegia 0,11% danimarca 475 Svezia 690 danimarca 0,08% Finlandia 316 Giappone 642 Irlanda 0,07% Irlanda 287 Canada 550 Finlandia 0,07% Svizzera 288 Spagna 496 Arabia Saudita 0,06% Olanda 289 Norvegia 470 Olanda 0,06% emirati Arabi Uniti 24

10 Olanda 459 Belgio 0,05% monaco 2311 Francia 435 Guyana 0,05% Belgio 2112 Australia 390 regno Unito 0,04% Liechtenstein 1913 Italia 283 emirati Arabi Uniti 0,04% Australia 1814 danimarca 259 Svizzera 0,04% Canada 1615 Arabia Saudita 256 Spagna 0,04% Stati Uniti 15

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7 La maggiore propensione della Cina a coordinarsi con il sistema umanitario internazionale è ben descritta in A. dreher e A. Fuchs, rogue Aid? The determinants of China’s Aid Allocation, discussion paper n.93 in Courant research Center, Poverty, equity and Growth in developing and Transition Countries: Statistical methods and empirical Analysis, Goettingen, febbraio 2012 e A. Binder e B. Conrad, China’s potential role in Humanitarian Assistance, Global Public Policy Institute, Berlino, 2009.

è del tutto evidente come nell’ultimo decennio il loro contributo sia aumentato in misura assolutamente rilevante. Nel decennio 2001-2011, i paesi non-dAC hanno complessivamente erogato circa 5,1 miliardi di dollari di assistenza umanitaria e, dato per certi

versi ancora più interessante, sono numericamente cresciuti passando da 40 nel 2003 a 130 nel 2010. mentre risulta evidente una tendenziale crescita degli aiuti, la volatilità del contributo dei paesi non-dAC è di gran lunga superiore a quella dei donatori

tradizionali e costituisce un fattore di estrema debolezza. Le fluttuazioni al rialzo corrispondono spesso a contributi straordinari di un donatore, l’Arabia Saudita, verso un unico paese beneficiario: nel 2001 con 645 milioni di dollari indirizzati ai Territori Occupati Palestinesi; nel 2008, veicolando 339 milioni di dollari verso il Programma Alimentare mondiale; nel 2010, con un sostegno al Pakistan alluvionato di circa 200 milioni di dollari. Va del resto ricordato che, dal 2000 ad oggi, l’Arabia Saudita

è stata il principale donatore nel gruppo dei paesi non-dAC, fatta eccezione per gli anni 2004, 2009 e 2011 quando è stata superata dagli emirati Arabi Uniti. Anche la classifica dei primi cinque donatori non-dAC (in valore assoluto) offre interessanti elementi di analisi. Nello specifico emerge il ruolo crescente della Cina: un’analisi prudenziale dell’assistenza umanitaria finanziata dal paese asiatico stimava solo 5 milioni di dollari nel 2009, cresciuti a 38 nel 2010 e addirittura a 87 nel 20117.

Grafico 3 – Paesi donatori non-dAC nel periodo 2001-2011 (in milioni di dollari)Fonte: UNOCHA FTS

664,00

98,00 155,00

192,10

619,00

287,00 311,00

941,00

582,00

738,00

509,00

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011.....................................................................................................................................................................................................

Page 11: Il Valore dell'Aiuto

11

L’architettura del sistema umanitario internazionale è oggi più inclusiva rispetto al passato e vede quindi un protagonismo più forte di donatori non tradizionali8. Alcuni osservatori, peraltro, sostengono che proprio le caratteristiche dell’assistenza umanitaria

– che richiede minori capacità di organizzazione e di pianificazione rispetto alle strategie di sviluppo a lungo termine – abbiano consentito con più facilità ad alcune nazioni di trasformarsi da pure ricettrici di aiuti a paesi donatori9.

Tabella 2 – Principali paesi donatori non-dAC nel periodo 2007-2011 (in milioni di dollari)Fonte: GHA su dati UNOCHA FTS

8 Un’analisi più approfondita delle caratteristiche dei donatori non-dAC esula dagli obiettivi di questo rapporto. La letteratura in materia è però ormai estremamente ampia, anche se penalizzata dall’assenza di un repertorio di dati completo. Si vedano a titolo esemplificativo: A. Binder, C. meier, J. Streets, Humanitarian Assistance: Truly Universal? A mapping study of non-Western donors, Global Public Policy Institute, research Paper Series No. 12, Berlino, 2010; K. Smith, Shifting Structures, Changing Trends: non-dAC donors and humanitarian aid, Global Humanitarian Assistance, Briefing Paper, 2011; A. Harmer, e. martin, diversity in donorship. Field lessons, Humanitarian Policy Group, report 30, Londra, 2010.

9 A. Fuchs, N. Klann, emergency AId 2.0, dicembre 2012, p.2 (UrL: www.princeton.edu/politics/about/file-repository/public/FUCHS-KLANN-emergency-Aid.pdf).

Arabia Saudita566

emirati Arabi Uniti353

emirati Arabi Uniti110

Arabia Saudita82

Kuwait96

Kuwait40

russia44

russia32

Tailandia29

Qata r13

Arabia Saudita256

emirati Arabi Uniti114

Turchia61

russia40

Cina38

2008 2009 2010 2011

emirati Arabi Uniti89

Cina87

Arabia Saudita83

Brasile29

russia26.......................................................................................................................................................................................................................................................

I fondi privati sono costituiti da donazioni di individui, fondazioni e aziende, che veicolano le loro risorse essenzialmente attraverso organizzazioni umanitarie (ONG, agenzie ONU, Croce rossa Internazionale). Questo tipo di contributi è stato finora relativamente meno influenzato dalla crisi economica globale, proponendosi quindi come fonte di finanziamento cruciale di fronte alla minore crescita degli aiuti pubblici. Ovviamente solo i dati relativi al 2012 e 2013 potranno confermare questa linea di tendenza.

Le dONAzIONI dA PrIVATINel periodo 2006-2011 è progressivamente cresciuta la percentuale dei fondi privati per l’assistenza umanitaria: si tratta del 24% del volume complessivo degli aiuti, per un valore totale di circa 22,5 miliardi di dollari. Come era ovvio attendersi, il picco massimo è stato raggiunto nel 2010, quando i privati hanno contribuito addirittura per il 31% dei fondi complessivi. Le stime preliminari per l’anno 2011 indicano una caduta dei contributi privati di circa il 20%, mantenendo comunque un livello di investimento decisamente superiore al 2009 (e

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10 Per un approfondimento in materia, si vedano development Initiatives, Private Funding. An emerging Trend in Humanitarian donorship, aprile 2012 e Idem, Public Support for Humanitarian Crisis through NGOs, febbraio 2009. Un’analisi comparativa sulla generosità privata in emergenza in 7 paesi europei è contenuta in AGIre, Il valore dell’aiuto. risorse per la risposta alle emergenze umanitarie. Anno 2012, roma, aprile 2012, pp. 37-41.

confermando anche per questa componente degli aiuti “l’effetto ruota dentata” descritto in apertura di capitolo). Più dei tre quarti dell’aiuto umanitario privato nel periodo esaminato proviene da donatori individuali; le fondazioni e le aziende contribuiscono rispettivamente per il 7% e l’8%, mentre il restante 9% viene da altri donatori privati, tra cui i comitati nazionali delle agenzie ONU e le società nazionali di Croce rossa e mezzaluna rossa.

Nel considerare i volumi di donazione privata, è indispensabile sottolineare che si tratta di flussi economici complessi da tracciare e analizzare: in assenza di una base dati centralizzata, informazioni attendibili ed esaustive sui fondi privati restano difficili da reperire e sono per lo più basate su stime derivanti dall’analisi dei bilanci delle principali organizzazioni10.

Grafico 4 – rapporto tra donazioni private e assistenza umanitaria globale nel periodo 2006-2011 (in miliardi di dollari)Fonte: elaborazione AGIre su dati GHA

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13

Analizziamo ora la distribuzione geografica degli aiuti. In valore assoluto, nel primo decennio del secolo l’Africa è stata la prima regione destinataria, con circa il 45% del valore complessivo di assistenza umanitaria, seguita da Asia (24%) e poi medio Oriente (18%). e’ interessante soffermarsi sui valori del 2010, che evidenziano una significativa riduzione degli aiuti indirizzati verso l’Africa e il medio Oriente, compensate da un aumento pressoché equivalente delle erogazioni verso le Americhe e l’Asia. L’elasticità della curva degli aiuti rispetto al verificarsi delle cosiddette “super-catastrofi” era già emersa con lo tsunami del 2005, ma ha assunto una visibilità ancora superiore con i disastri ad Haiti e in Pakistan nel 2010.

dOVe VANNO GLI AIUTI?

Questa tendenza è confermata peraltro dai dati sulla concentrazione degli aiuti umanitari verso i principali paesi recipienti. Nel 2010, quasi la metà degli aiuti si è indirizzata verso i primi 3 paesi: Haiti (25%), Pakistan (17%) e Sudan (7%). Nel decennio in esame, il picco di concentrazione era stato raggiunto nel 2004, con solo il 37% degli aiuti destinato ai primi 3 paesi, essendo invece la media del periodo non superiore al 32%. risulta quindi evidente la capacità dei grandi disastri di sconvolgere le percentuali di distribuzione degli aiuti, provocando spesso scompensi nella capacità del sistema internazionale di rispondere a crisi di minore visibilità o di lunga durata11.Per entrare più nel dettaglio, osserviamo la

Grafico 5 – Aiuto umanitario per regione nel periodo 2000-2010 (in miliardi di dollari)Fonte: GHA su dati OCSe/dAC e UNOCHA FTS

11 restando al 2010, il consistente aumento dei fondi verso Haiti e Pakistan ha ridotto in modo importante i contributi verso Sudan (-528 milioni di dollari), Territori Occupati Palestinesi (-485), Somalia (-338) e Iraq (-293).

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14

classifica dei primi 10 paesi destinatari di assistenza umanitaria negli ultimi 5 anni. Includiamo in questa comparazione anche una stima relativa all’anno 201112.In valore aggregato, il Sudan risulta essere il principale percettore di aiuti umanitari nel primo decennio del secolo attuale. Lo è stato ininterrottamente dal 2005 al 2009, per essere superato da Haiti e Pakistan nel 2010 e poi solo

dalla Somalia nel 2011. Gli aiuti ricevuti dal Sudan nel quinquennio esaminato pesano praticamente il doppio rispetto a Pakistan e Haiti, rispettivamente secondo e terzo paese destinatario di assistenza umanitaria. Nel 2011 la Somalia è diventata il primo paese destinatario: vale la pena sottolineare come circa il 10% dei fondi raccolti siano in questo caso di provenienza privata.

Grafico 6 – Principali paesi destinatari nel periodo 2007-2011 (in miliardi di dollari)Fonte: GHA su dati OCSe/dAC e UNOCHA FTS

Sudan 1.358 Territori Palestinesi 598 re. dem. Congo 415Iraq 371 Libano 329 Afghanistan 326 etiopia 303 Bangladesh 287 Somalia 275 Pakistan 251

2007

Sudan 1.469 etiopia 891 Afghanistan 878 Territori Palestinesi 631 Somalia 606 rdC 529 myanmar 484 Iraq 382 zimbabwe 339 Cina 315

2008 2009

2010

Sudan 1.436 Territori Palestinesi 1.103 etiopia 699Afghanistan 647 Somalia 577 rdC 574 Pakistan 567 Iraq 478 Kenya 404 zimbabwe 400

Haiti 3.065 Pakistan 2.065 Sudan 909 etiopia 639 Territori Palestinesi 618 Afghanistan 605 rdC 456 Kenya 290 Chad 278 Somalia 239

Somalia 1.347 Sudan 1.345 Afghanistan 894 etiopia 821 Giappone 723 Kenya 642 rdC 548 Haiti 497 Pakistan 460 Territori Palestinesi 453

2011

12 In questo caso non disponiamo delle elaborazioni di development Initiatives, che non ha ancora pubblicato l’edizione 2013 del suo rapporto. Le stime relative al 2011 sono preliminari, in quanto ancora non ricomprendono i trasferimenti ad agenzie internazionali ed eU da parte dei paesi dAC: si è fatto perciò ricorso ai valori riportati nell’FTS OCHA, scaricati il 26 marzo 2013. Anche in questo caso, il rimando è alla nota metodologica di questo rapporto.

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15

I donatori di aiuti umanitari dispongono di una varietà di opzioni per veicolare i fondi alle popolazioni colpite da emergenze umanitarie. L’erogazione da parte dei donatori pubblici può avvenire attraverso il cosiddetto canale bilaterale, che prevede un trasferimento di risorse direttamente al governo del paese colpito, oppure sul canale multilaterale e tipicamente verso agenzie delle Nazioni Unite con mandato umanitario. Nel secondo caso, i donatori

I CANALI dI erOGAzIONe

13 Il CerF – Central emergency response Fund, istituito nel 2005 dalle Nazioni Unite, raccoglie contributi da governi, aziende e privati a livello globale. I CHFs – Common Humanitarian Funds sono gestiti su base nazionali e tipicamente servono per allocare fondi all’interno di un singolo piano d’azione elaborato dalle Nazioni Unite. Anche gli erFs – emergency response Funds vengono istituiti per singoli paesi in quei contesti in cui le Nazioni Unite non hanno avviato un piano umanitario o non partecipano regolarmente agli appelli.

possono scegliere se vincolare in maniera rigida l’utilizzo dei fondi oppure lasciare all’agenzia il compito di investire le risorse ricevute nel modo più appropriato. I paesi donatori possono anche scegliere di indirizzare il loro contributo verso i fondi umanitari che sono stati istituiti a livello internazionale con l’obiettivo di facilitare il finanziamento rapido ed efficace della risposta umanitaria13.

Grafico 7 – Canali di erogazione nel periodo 2006-2010 (in miliardi di dollari)Fonte: GHA su dati OCSe/dAC e UNOCHA FTS

Nel quinquennio 2006-2010, più della metà (54%) del finanziamento umanitario disponibile è stato gestito dalle organizzazioni multilaterali. Le ONG e le organizzazioni della società civile hanno ricevuto

circa il 17% dei fondi, percentuale che nel 2010 è cresciuta fino al 21%. Anche il movimento della Croce rossa e della mezzaluna rossa è cresciuto dal 4% del 2006 al 10% del 2010.

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Le analisi statistiche evidenziano anche le tendenze dei donatori a privilegiare specifici canali di trasferimento dei fondi per l’assistenza umanitaria. I donatori non-dAC suddividono in maniera quasi uguale il loro contributo tra il canale multilaterale e quello bilaterale: questo approccio riflette una posizione favorevole al riconoscimento della responsabilità primaria del paese colpito a gestire la

risposta umanitaria sul proprio territorio. Viceversa i paesi dAC indirizzano generalmente il 55% del loro aiuto alle organizzazioni multilaterali. Se il loro contributo verso soggetti non governativi è più spesso orientato verso le ONG (17%) piuttosto che il sistema Croce rossa (7%), per i donatori non-dAC questa propensione si inverte.

Nell’ultimo decennio è cresciuto sensibilmente il ruolo dei militari nel fornire assistenza alle popolazioni colpite da disastri ed emergenze complesse. Questa tendenza è in larga parte motivata dalla capacità logistica degli eserciti che, più delle agenzie civili, sono spesso in grado di fornire una risposta efficace ai disastri su larga scala (tsunami nell’Oceano Indiano, terremoti in Kashmir, Haiti e Giappone). Le truppe internazionali sono sempre più di frequente coinvolte sulle catastrofi naturali: dal 2004 ad oggi, ad esempio, le forze armate USA sono state dispiegate ben 40 volte in aree colpite da disastro. Anche il mandato allargato delle operazioni di peacekeeping di nuova generazione, con sempre più funzioni di natura civile, ha spinto i militari a occuparsi di compiti un tempo assegnati unicamente alle organizzazioni civili. Nell’ambito della cosiddetta “guerra al terrore”, questa tendenza è degenerata in un vero e proprio “umanitarismo militare” che ha spesso finito per compromettere lo spazio umanitario, l’applicazione dei principi di imparzialità e indipendenza e, in ultimo, la stessa sicurezza degli operatori civili14. e’ piuttosto complesso stimare la quota di assistenza umanitaria veicolata attraverso le forze militari. Tipicamente i budget di spesa militare sono gestiti in capitoli di bilancio che non hanno a che fare con l’aiuto internazionale, le componenti di assistenza umanitaria sono spesso costituite da contribuzioni in-kind e, infine, il livello di trasparenza generale nel settore non favorisce la disponibilità di informazioni pubbliche. Le statistiche OCSe/dAC consentono tuttavia di conoscere i cosiddetti “costi aggiuntivi” legati al ricorso alle forze militari per la distribuzione degli aiuti. Tra il 2006 e il 2009, circa il 2% dell’aiuto umanitario pubblico è stato veicolato attraverso gli attori militari. Nel 2010, questa percentuale è più che raddoppiata: i donatori dAC hanno allocato su questo canale ben 530 milioni di dollari, buona parte dei quali destinati a “gestire militarmente” la risposta al terremoto di Haiti e alle alluvioni in Pakistan15. Il ruolo più importante è sicuramente quello svolto dagli Stati Uniti, ma lo strumento militare è stato utilizzato ad Haiti anche da Francia, Nicaragua, Cile, Colombia, Brasile, Suriname, Uruguay, Giamaica, Giordania e Italia; e in Pakistan da egitto, Indonesia e russia. Nel 2011, gli aiuti in Giappone hanno visto un contributo importante da parte degli eserciti di Stati Uniti (90 milioni di dollari) e Cina (5 milioni di dollari). Continua ad essere estremamente difficile valutare l’intervento degli eserciti nazionali dei paesi colpiti.

IL rUOLO deI mILITArI

14 La letteratura su questo controverso tema, che ha animato il dibattito tra operatori del settore e mondo accademico negli ultimi 10 anni, è estremamente ampia. Per uno sguardo introduttivo, si veda il recente HPN-OdI, Civil-military Coordination. Special Feature, Humanitarian exchange, n. 56, gennaio 2013. Si rimanda inoltre alle “Oslo Guidelines”, sviluppate dalle Nazioni Unite nel 1994 e revisionate nel 2006, per un’analisi dei principi generali sulle modalità e i limiti del coinvolgimento dei militari nelle attività di assistenza umanitaria.

15 La segmentazione di questi dati non è tuttavia così facile. Infatti i valori indicati comprendono sia il supporto militare alla risposta umanitaria fornito in ottemperanza alle Oslo Guidelines, sia le componenti civili di strategie militari di stabilizzazione e sicurezza (come i controversi PrT – Provincial reconstruction Team e CerP – Commander’s emergency response Program). e non a caso, nel periodo 2006-2010, dopo Haiti i principali paesi destinatari sono stati proprio l’Afghanistan e l’Iraq. Cfr. development Initiatives, Counting the cost of humanitarian aid delivered through the military, marzo 2013.

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definiti i volumi e le modalità attraverso cui i donatori intervengono a soccorso delle popolazioni colpite dalle emergenze, una delle questioni più rilevanti che restano da analizzare riguarda l’adeguatezza delle risorse economiche messe a disposizione dai donatori rispetto ai bisogni rilevati dalle agenzie umanitarie. Per farlo, utilizziamo come indicatore il livello di “copertura” degli appelli umanitari che vengono periodicamente lanciati dalle Nazioni Unite e da altri soggetti16.Il grafico mostra l’andamento degli appelli nell’ultimo decennio (disponiamo per quest’analisi di dati fino al 2012). La prima considerazione che emerge è la crescita significativa nella richiesta di fondi a partire dal 2008, dovuta principalmente alle maggiori richieste negli appelli consolidati delle Nazioni Unite (Consolidated Appeals Process - CAP) e, soprattutto nel 2010, alla straordinaria crescita dei Flash Appeal17. Anche i fondi erogati dai donatori hanno

seguito un simile trend di crescita, nonostante dal 2010 il divario tra le risorse necessarie e quelle effettivamente disponibili abbia iniziato a crescere. Forse uno dei primi effetti rilevabili della crisi economica globale che proprio dal 2010 ha iniziato ad aggredire con maggiore consistenza i bilanci dei paesi donatori? Per una singolare coincidenza, peraltro, il 2003 e il 2012 risultano essere gli anni peggiori, con il 41% di fondi mancanti: ben cinque punti percentuali in più rispetto alla media dell’intero periodo.

Grafico 8 – Finanziamento degli appelli umanitari nel periodo 2003-2012 (in miliardi di dollari)Fonte: UNOCHA FTS

16 Gli appelli lanciati dalle Nazioni Unite nell’ambito del CAP – Consolidated Appeals Process sono di due diverse tipologie. I Consolidated Appeals, pubblicati nel mese di novembre, riguardano attività pianificate per l’anno successivo e sono utilizzati soprattutto per scenari di post-conflitto (dove i bisogni sono abbastanza facilmente individuabili). I Flash Appeals sono invece lanciati a seguito di un disastro e rappresentano uno strumento di fund-raising per ricercare la necessaria copertura finanziaria per gli interventi di prima emergenza. Tutti gli appelli vengono generalmente aggiornati a metà anno, per tenere conto delle variazioni sul versante dei bisogni individuati e degli interventi programmati. L’analisi contenuta in questa sezione tiene anche in considerazione gli appelli gestiti da altre organizzazioni che, pur non considerate all’interno dei CAP, rientrano nelle statistiche elaborate dall’FTS di OCHA: si tratta prevalentemente di appelli lanciati congiuntamente da governi nazionali e Nazioni Unite.

17 Quello per Haiti è stato di 1,5 miliardi di dollari (coperto al 73%), quello per il Pakistan ha raggiunto addirittura gli 1,9 miliardi di dollari (coperto al 70%).

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Su quali crisi umanitarie è pesato di più il progressivo disinvestimento dei paesi donatori nell’ultimo triennio? Per rispondere a questa domanda, abbiamo aggregato per paese gli appelli lanciati dalle Nazioni Unite nei CAP del periodo 2010/2012

Paese CAP Fondi richiesti Fondi erogati Fondi mancantiAfrica Occidentale 2010-2011 1,49 0,71 52%zimbabwe 2010-2012 1,2 0,65 45%Territori Palestinesi Occupati 2010-2012 1,56 0,93 40,%Ciad 2010-2012 1,65 1 40%Yemen 2010-2012 1,06 0,65 39%Sudan 2010-2012 4,03 2,54 37%Afghanistan 2010-2012 1,81 1,15 36%Sud Sudan 2011-2012 1,8 1,17 35%Pakistan 2010-2011 2,32 1,53 34%rep. dem. del Congo 2010-2012 2,35 1,58 33%Haiti 2010-2012 2,04 1,39 32%Kenya 2010-2012 2,14 1,46 32%Somalia 2010-2012 2,77 1,94 30%

Tabella 3 – Principali appelli sottofinanziati nel periodo 2010-2012 (in miliardi di dollari)Fonte: elaborazione AGIre su dati UNOCHA FTS

ed estratto i dieci appelli con minore copertura finanziaria. Per fornire un dato rilevante, sono stati presi in considerazione solamente gli appelli superiori al miliardo di dollari.

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CAPITOLO II

Qual è la performance economica dell’Italia in ambito umanitario? Quanti fondi vengono stanziati e dove sono diretti? Qual è il

contributo dei privati cittadini?

L’Italia al microscopio.

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IL CONFrONTO SUI dATI GLOBALI

Ancor prima di approfondire la composizione e la destinazione dell’assistenza umanitaria pubblica italiana, è utile soffermarsi su una comparazione tra il volume di aiuti erogato dall’Italia rispetto agli altri governi e soprattutto ai paesi donatori dell’area OCSe. Per farlo, ci affidiamo alle anticipazioni sui dati di dettaglio fornite ad AGIre dal team di ricerca del Global Humanitarian Assistance1. Come ben evidenziato dal grafico, dal 2000 al 2012 l’assistenza umanitaria italiana si è mantenuta su livelli sostanzialmente stabili. L’andamento pressoché

lineare costituisce un dato in netta controtendenza rispetto al continuo incremento degli aiuti erogati a livello globale dai governi e dai paesi dAC. Nel 2000, i governi hanno speso complessivamente 7,1 miliardi di dollari; nel 2012 l’assistenza umanitaria pubblica ha raggiunto la ben maggiore cifra di 11,8 miliardi (con un tasso di crescita pari al 66%). L’Italia risulta invece aver speso nel 2012 circa 312 milioni di dollari, addirittura il 13% in meno rispetto ai 357 milioni del 2000.

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

2

4

6

8

10

12

14

16

Totale governi Ital ia Totale paesi dAC

Grafico 9 – Andamento dell’assistenza umanitaria nel periodo 2000-2012 (in miliardi di dollari)Fonte: GHA su dati OCSe/dAC

1 Come precisato nella nota metodologica, le cifre relative all’anno 2012 sono parziali, basate per il canale bilaterale su dati preliminari e non ancora comprensive dei trasferimenti alle organizzazioni internazionali.

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Il sostanziale disallineamento dell’Italia rispetto alla crescita dei volumi complessivi di assistenza umanitaria è ulteriormente confermato, in termini

Grafico 10 – Confronto tra assistenza umanitaria italiana e media OCSe- dAC nel periodo 2000-2012 (in miliardi di dollari)Fonte: GHA su dati OCSe/dAC

LA COmPOSIzIONe deLL’ASSISTeNzA UmANITArIA ITALIANA

Per comprendere meglio le caratteristiche specifiche dell’assistenza umanitaria italiana, è utile analizzare le diverse voci di spesa che la compongono e seguirne l’andamento nel tempo. Ciò che emerge con estrema chiarezza è la progressiva crescita della componente legata ai trasferimenti italiani all’Unione europea spesi in assistenza umanitaria. Nel 2000, questa componente costituiva circa il 46% dell’assistenza umanitaria pubblica italiana: le stime relative al 2012 segnalano come gli aiuti europei finanziati dall’Italia abbiano ormai raggiunto il 77% del totale dell’assistenza umanitaria italiana.

Su 312 milioni di dollari di assistenza umanitaria, ben 241 sono riconducibili ai trasferimenti obbligatori alle istituzioni europee: in sostanza, dei circa 5,3 dollari spesi dal governo italiano per ciascun cittadino (spesa umanitaria pro-capite), circa 4 sono in realtà aiuti delle istituzioni europee resi possibili dalla quota contributiva dell’Italia. Il ruolo dell’Italia nell’assistenza umanitaria globale è di conseguenza sempre più legato alle scelte operate a livello comunitario piuttosto che all’esplicita volontà politica espressa dalle nostre istituzioni nazionali2.

2 Si fa in ogni caso presente che un analogo fenomeno di “comunitarizzazione” – ossia di gestione dell’aiuto da parte delle istituzioni europee secondo strategie non direttamente determinate dall’Italia – si rileva anche nel più ampio ambito dell’aiuto pubblico allo sviluppo (APS). Negli ultimi 4 anni, i contributi italiani al Fondo europeo di Sviluppo e al bilancio comunitario hanno rappresentato circa la metà del nostro APS. Cfr. Action Aid, Annuario della Cooperazione allo sviluppo. L’Italia e la lotta alla povertà nel mondo. 2008-2012: cinque anni vissuti pericolosamente, rubettino editore, 2012, pp. 46-47.

assoluti e non più di tendenza, dal confronto tra la performance italiana e la performance media nell’area dei paesi dAC.

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Grafico 11 – Composizione dell’assistenza umanitaria italiana nel periodo 2000-2012 (in milioni di dollari)Fonte: GHA su dati OCSe/dAC

risulta evidente che un alto valore percentuale della “componente europea” indica, nel confronto con altri donatori, una minore capacità di investimento del paese in ambito umanitario. Confrontando le quote percentuali degli aiuti “targati Bruxelles” nei diversi stati membri, possiamo constatare che nel 2012 la media è stata del 45%, con un’incidenza ancora inferiore nei grandi donatori di assistenza umanitaria come Svezia (6%), Lussemburgo (7%), danimarca (12%), Irlanda (15%) e Finlandia (16%). Peggio

dell’Italia (77%) hanno fatto solo Portogallo (97%) e Grecia (99%). Vale inoltre la pena sottolineare come la “comunitarizzazione” dell’assistenza umanitaria italiana si sia sensibilmente incrementata nell’ultimo quadriennio, passando dal 58% del 2009 appunto al 77% del 2012: proprio questa componente ha controbilanciato in parte l’importante riduzione dei fondi umanitari gestiti direttamente dall’Italia, che affronteremo nel prossimo paragrafo.

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2009

4032

1

2010

3038

3

2011

2819

4

2012

11 113

73 72

50

24

multilaterale Bilaterale e multi-bilaterale Sminamento Fondi totali

Per favorire il confronto con gli altri paesi, abbiamo fino a qui fatto ricorso ai dati aggregati pubblicati nel rapporto Global Humanitarian Assistance (GHA). Per cercare ora di entrare più nello specifico della gestione dei fondi umanitari italiani, faremo riferimento ai dati ufficiali forniti dal ministero Affari esteri (mAe), avvertendo da subito che la metodologia di raccolta delle informazioni, più diffusamente illustrata nella nota metodologica pubblicata al termine del rapporto, non consente un immediato raffronto tra la prima e la seconda parte di questo secondo capitolo3. Nel quadriennio 2009-

2012, i fondi gestiti dall’ufficio emergenze della Farnesina si sono ridotti di circa un terzo, passando dai 72,7 milioni di dollari del 2009 ai 24,1 milioni del 20124. Questa significativa contrazione degli investimenti ha riguardato sia le risorse destinate agli interventi bilaterali e multi-bilaterali (capitolo 2183) che quelle per i contributi sul canale multilaterale (capitolo 2180), mentre in leggera crescita sono risultati i fondi destinati allo sminamento umanitario (capitolo 2210), che costituiscono in ogni caso una componente minoritaria dell’assistenza umanitaria del nostro paese.

I FONdI GeSTITI dALL’ITALIA

3 I dati GHA includono anche le quote di spesa umanitaria derivanti dai trasferimenti italiani all’Unione europea e ad altri organismi internazionali, nonché contribuzioni di assistenza umanitaria riconducibili a diversi soggetti erogatori (otto per mille, enti locali…). I dati ufficiali del ministero degli Affari esteri, forniti ad AGIre dall’ufficio VI (emergenza) della direzione Generale della Cooperazione allo Sviluppo (dGCS), riguardano solo i fondi di pertinenza della Farnesina. A complicare ulteriormente il quadro, vi sono anche sostanziali differenze nel modo in cui l’OCSe e il ministero Affari esteri classificano gli aiuti bilaterali e multilaterali. Per la conversione da euro a dollari, si è fatto uso dei tassi ufficiali di cambio della Banca d’Italia.

4 Occorre tuttavia segnalare come le dotazioni di bilancio del 2013 segnino una positiva inversione di tendenza, riportando l’assistenza umanitaria pubblica italiana a circa 43 milioni di dollari.

Grafico 12 – Composizione dell’assistenza umanitaria italiana nel periodo 2009-2012 (in milioni di dollari)Fonte: ministero Affari esteri

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Per quanto riguarda le iniziative multilaterali e multi-bilaterali, il sostegno italiano alle attività umanitarie delle organizzazioni internazionali avviene sia attraverso l’erogazione di contributi volontari e finalizzati, sia mediante la costituzione di fondi specifici destinati a tali organizzazioni (i cosiddetti “Fondi bilaterali di emergenza”)5. L’Italia ha prevalentemente finanziato operazioni gestite dal World Food Programme (WFP) oppure realizzate attraverso il deposito di Aiuti Umanitari delle Nazioni Unite di Brindisi (UNHrd)6. Tra le più rilevanti organizzazioni internazionali attraverso cui sono gestiti i programmi di assistenza umanitaria, figurano UNICeF, UNHCr e FAO. Percentualmente rilevante è anche il contributo riconosciuto al movimento internazionale della Croce rossa (attraverso i finanziamenti a ICrC e IFrC). Le risorse erogate attraverso il canale bilaterale sono gestite direttamente dalle strutture della Cooperazione Italiana (attraverso la costituzione di fondi in loco presso le sedi diplomatiche e consolari italiane all’estero) con interventi concordati con il governo beneficiario, oppure vengono indirizzate al contributo finanziario degli interventi realizzati dalle organizzazioni non governative idonee. Nel corso degli ultimi 4 anni, la suddivisione tra gestione diretta e sostegno alle ONG è stata piuttosto discontinua. Il budget per sostenere i programmi di assistenza umanitaria condotti dalle ONG idonee si è in ogni caso sensibilmente ridotto, passando dai 21,2 milioni di dollari del 2010 ai circa 5,7 milioni stimati per il 2012.

Grafico 13 – Contributi alle organizzazioni internazionali

nel periodo 2009-2012 (in milioni di dollari)

Fonte: ministero Affari esteri

Gestione diretta

Progetti ONG % ONG

2009 22,0 9,6 30,4%2010 16,8 21,2 55,8%2011 14,6 4,2 22,2%2012 5,3 5,7 51,8%

Tabella 3 – ripartizione capitolo 2183 per anno di delibera (in milioni di dollari)Fonte: ministero Affari esteri

Grafico 147 – Contributi alle ONG per iniziative di emergenza sul Capitolo

2183 (risorse destinate agli interventi bilaterali e multi-bilaterali) nel periodo

2009-2012 (in milioni di dollari)Fonte: ministero Affari esteri

CeSVI 9,7

GVC 8,6

INTerSOS 7,2

CISP 5,5

COOPI 5,3

AVSI 5,2

AISPO 4,2

TdH 4,2

OXFAm 3,8

ICU 3,5

COSV 2,7

rC 2,2

AFrICA70 2,2

VIS 2

CISS 1,8

CeFA 1,8

ALISeI 1,7

ArCS 1,7

ACS 1,6

UNHrd 21,47

WFP 18,28

UNICeF 17,45

UNHCr 14,15

FAO 11,87

ICrC 9,53

UNrWA 8,33

IFrC 5,26

UNdP 4,50

WHO 4,60

OCHA 4,33

CerF 4,19

UNOPS 4,17

World Bank 2,19

UNmAS 0,7

UNFPA 0,5

5 I Fondi Bilaterali di emergenza (FBe) costituiscono un meccanismo finanziario virtuoso della Cooperazione Italiana, realizzato attraverso un accordo bilaterale preventivo che favorisce, allo scoppio di un’emergenza, il rapido impiego delle risorse allocate. Nel corso del 2012, l’Italia non ha potuto rifinanziare i FBe con le organizzazioni internazionali, ma ha potuto comunque sostenere programmi d’intervento utilizzando il saldo residuo dei fondi in essere con International Federation on red Cross (IFrC), International Committee of the red Cross (ICrC), World Food Programme (WFP), World Health Organization (WHO), Office for the Coordination of

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dOVe VANNO Le rISOrSe

Vediamo ora la distribuzione per aree geografiche dell’assistenza umanitaria italiana nel corso dell’ultimo quadriennio8. Il grafico evidenzia come l’Africa sub-sahariana sia stata in modo pressoché costante la principale regione destinataria dagli aiuti

Grafico 15 – distribuzione geografica dell’assistenza umanitaria italiana nel periodo 2009-2012 (in milioni di dollari)Fonte: ministero Affari esteri

umanitari italiani (35% del totale in media), seguita dai paesi dell’area mediterranea e mediorientale (32%) e dall’Asia (25%). Più ridotti sono invece risultati i contributi destinati all’America Centrale e meridionale (8%) e ai Balcani (1%).

Humanitarian Affairs (OCHA), United Nations International Children’s emergency Fund (UNICeF) e United Nations High Commissioner for refugees (UNHCr). Secondo i dati contenuti nella relazione annuale del ministero degli Affari esteri al Parlamento italiano, l’ammontare del saldo residuo è stato nel 2012 pari a 7,1 milioni di dollari (che si vanno ad aggiungere ai 10,9 milioni stanziati a inizio esercizio).

6 Il ministero Affari esteri sostiene interamente la gestione del deposito UNHrd (United Nations Humanitarian response depot), attraverso contributi finanziari al WFP (World Food Program, a cui è affidata la conduzione del deposito) finalizzati alla gestione e la predisposizione delle operazioni umanitarie, ed inoltre gestisce gli stock di farmaci e beni di prima necessità tramite contributi alle Agenzie ONU interessate (WHO e OCHA).

7 Il grafico riporta solo le prime 20 ONG per ammontare di progetti finanziati nel periodo 2009-2012. Seguono in ordine: COSPe (1,4); CCm (1,4); LVIA (1,3); mLAL (1,2); CTm (1,1); edUCAId (1,0); Un Ponte per (0,9); ActionAid (0,9); Overseas (0,9); PrOSVIL (0,9); Save the Children (0,8); Amici dei Popoli (0,8); CrIC (0,7); reTe (0,6); ACrA (0,6); ATS (0,6); WWF (0,6); movimondo (0,6); Progetto Continenti (0,5); differenza donna (0,5); ACAP (0,5); Vento di Terra (0,5); CVm (0,5); COe (0,4); Soleterre (0,4); C&d (0,4); AIFO (0,4); ISP (0,3); Nexus (0,3); CUAmm (0,3); JrS (0,3).

8 La ripartizione tiene conto delle iniziative deliberate nel periodo di riferimento attraverso i tre capitoli di bilancio 2180, 2183 e 2210. Non sono invece ricomprese le operazioni relative all’invio di beni umanitari in natura. Per questi ultimi, si può fare riferimento all’apposito database sull’aiuto umanitario della Commissione europea, denominato edrIS (cfr. https://webgate.ec.europa.eu/hac)

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L’analisi incrociata tra distribuzione geografica e allocazione per capitoli di bilancio, sintetizzata nel grafico 16, evidenzia come la destinazione di fondi ai Balcani sia limitata esclusivamente alla prosecuzione delle operazioni di sminamento successive ai conflitti

Grafico 16– distribuzione per canale e regione percentuale di assistenza umanitaria italiana nel periodo 2009-2012Fonte: AGIre su dati ministero Affari esteri

degli anni ‘90. Le priorità geografiche sono invece proporzionalmente distribuite sui canali multilaterali e bilaterali, non essendovi particolarità rilevanti rispetto alla scelta delle modalità di erogazione dei fondi su base geografica.

Page 27: Il Valore dell'Aiuto

27

L’Afghanistan risulta il paese che nell’ultimo quadriennio ha ricevuto la quota più rilevante dell’assistenza umanitaria italiana, seguito dai Territori Occupati Palestinesi, dalla Somalia, dal Pakistan e, infine, dal Sudan. I primi cinque paesi beneficiari insieme hanno ricevuto poco più della metà degli aiuti umanitari italiani.

Osservando il dettaglio dei primi paesi destinatari (grafico 18), si può notare come la Somalia sia stata nell’ultimo quadriennio il paese privilegiato nell’erogazione degli aiuti multilaterali, mentre l’Afghanistan lo sia stato per gli aiuti bilaterali. Per ovvie ragioni di attualità, emergono in classifica, sempre sul canale multilaterale, Haiti nel 2010 e Siria e Giordania nel 2012. Si noti che fino al 2012 i dati relativi al Sudan includevano anche gli aiuti indirizzati verso il Sud Sudan.

Afghanistan 15%

Territori Occupati Palestinesi 12%

Somalia 11%

Pakistan 7%

Sudan 5%

Libano 4%

rep. dem. Congo 3%

etiopia 3%

Giordania 3%

Siria 2,%

Grafico 17– Principali paesi destinatari dell’assistenza umanitaria italiana nel periodo 2009-2012

Fonte: ministero Affari esteri

2009 2010 2011 2012 Totale periodo

multilaterale Territori Palestinesi (6,6) Pakistan (5,5) Afghanistan (5,6) Siria (2,7) Somalia (16,5)

Bilaterale Territori Palestinesi (9) Afghanistan (6,9) Afghanistan (3,1) Afghanistan

(3,9) Afghanistan (17,9)

multilaterale Somalia (5,4) Somalia (4,5) Somalia (4) Somalia (2,6) Afghanistan (11,2)

Bilaterale Afghanistan (4) Territori Palestinesi (5,4) Libia (3) Giordania (1,7) Territori Palestinesi

(16,2)multilaterale Afghanistan (3,7) Haiti (3,9) Sud Sudan (2,2) Sudan (1,8) Pakistan (9,4)

Bilaterale Libano (2,9) Pakistan (4,3) egitto (2,8) Pakistan (1,3) Libano (7,5)

multilaterale Sudan (2,4) Territori Palestinesi (2) Libia (2) Sud Sudan (1,5) Territori Palestinesi (8,9)

Bilaterale Sudan (2,3) Somalia (4,3) etiopia (1,8) Congo rd (1) Pakistan (5,6)multilaterale Pakistan (1,9) Afghanistan (2) Pakistan (1,9) Giordania (0,9) Sudan (4,9)

Bilaterale Bolivia (1,7) Sudan (2,8) Territori Palestinesi (1,7) Libia (0,9) Sudan (5,1)

Grafico 18– dettaglio primi paesi destinatari dell’assistenza umanitaria italiana nel periodo 2009-2012 (in milioni di dollari)Fonte: ministero Affari esteri

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esaminiamo infine la suddivisione dell’assistenza umanitaria italiana nei diversi settori di intervento. In base ai dati resi disponibili dalle Nazioni Unite, la maggior parte degli aiuti di emergenza è stata utilizzata per programmi di salute (14,3%), seguiti dagli interventi di sicurezza alimentare, agricoltura, ripari e distribuzioni di beni essenziali e acqua.

Come già sopra richiamato, nel periodo 2009-2012 circa 10,1 milioni di dollari sono stati destinati a iniziative di sminamento umanitario (cap. 2210). L’Italia ha, infatti, istituito nel 2001 un apposito “Fondo per lo Sminamento Umanitario” con l’obiettivo di allocare risorse per interventi di sminamento, assistenza alle vittime e sensibilizzazione delle popolazioni civili. Nel periodo indicato, non risultano invece finanziamenti attraverso l’AGeA (Agenzia per le erogazioni in Agricoltura) per interventi di aiuto alimentare realizzati nell’ambito della Convenzione di Londra del 19999.

Settore non specificato 26,3%

Salute 14,3%

Sicurezza alimentare 10,8%

Coordinamento e servizi di supporto 10,8%

multisettore 10,1%

Agricoltura 6,3%

Acqua e igiene 5,7%

ripari e distribuzioni beni essenziali 5,4%

Sminamento 3,9%

Sostegno attività produttive 2,6%

Protezione umanitaria e diritti umani 2,2%

Istruzione 1,5%

Grafico 19 – Settori di intervento dell’assistenza umanitaria italiana nel periodo 2009-2012

Fonte: FTS-UNOCHA

I FONdI PrIVATI GeSTITI dALLe ONG

In analogia a quanto già fatto per il livello internazionale nel primo capitolo di questo rapporto, proviamo ora a mettere in relazione anche per l’Italia l’assistenza umanitaria pubblica con le donazioni dei privati cittadini che le ONG destinano ai loro programmi di aiuto umanitario. Attraverso una ricerca quantitativa sui bilanci consuntivi di un campione selezionato di organizzazioni10, AGIre ha potuto stimare a circa 117 milioni di dollari i fondi privati raccolti dalle ONG e investiti in assistenza umanitaria nel corso del 2011.

Grafico 20 – Fondi privati spesi dalle ONG italiane in assistenza umanitaria nel periodo 2006-2011 (in milioni di dollari)

Fonte: AGIre

9 Gli ultimi aiuti alimentari ex Convenzione di Londra risalgono al 2008, con una copertura pari a 8,7 milioni di dollari.

10 Per i dettagli sulle modalità di calcolo, si rimanda alla nota metodologica pubblicata al termine del rapporto.

Fondi privati italiani spesi dalle ONG in ass istenza umanitaria

81 95 90 92 122 117

2006 2007 2008 2009 2010 2011

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L’analisi di tendenza evidenzia, dopo un sostanziale equilibrio tra il 2007 e il 2009, un incremento deciso dei fondi privati raccolti nel 2010, grazie soprattutto alla visibilità mediatica del terremoto ad Haiti, seguita da una riduzione nel 2011 aventi caratteristiche simili (“effetto ruota dentata”) a quelle già descritte per l’assistenza umanitaria globale all’inizio del primo capitolo.

mettiamo ora in relazione l’andamento in Italia delle donazioni private alle ONG con la spesa pubblica dello Stato, considerando sia le risorse amministrate dall’ufficio emergenze della Farnesina

74,6 72,4

187,6

72,7 71,650,2

354,2366,8

407,4

355,0

299,8

361,7

81 95 90 92122 117

2006 2007 2008 2009 2010 2011

Fondi gestiti dal mAe Assistenza umanitaria pubblica italiana

Fondi privati italiani

Grafico 21 - Comparazione fondi pubblici e privati italiani per l’assistenza umanitaria nel periodo 2006-2011

Fonte: AGIre per fondi privati, GHA e ministero Affari esteri per fondi pubblici

(fonte ministero Affari esteri) che, a puro titolo di riferimento, l’assistenza umanitaria totale inclusiva di fondi europei e trasferimenti a organismi multilaterali (fonte GHA). Il dato che emerge in modo incontrovertibile riguarda la maggiore sensibilità dei privati cittadini rispetto agli impegni che i rappresentanti istituzionali sono stati in grado di assumere nell’ambito degli aiuti internazionali. Tra il 2006 e il 2011, le ONG hanno mobilitato in Italia almeno 597 milioni di dollari per programmi di assistenza umanitaria in paesi terzi; nello stesso periodo la spesa umanitaria pubblica del ministero degli Affari esteri è stata di 592 milioni di dollari.

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CAPITOLO IIIPrevenzione e riduzione del rischio dei disastri.

Nel solo 2011, 332 disastri naturali hanno colpito più di 240 milioni di persone, ne hanno uccise più di 30 mila e hanno

provocato danni per un valore di circa 366 miliardi di dollari, la più alta cifra mai registrata.

Nel decennio 2001-2010, più di 1 milione di persone ha perso la vita e circa un terzo della popolazione mondiale è stata

direttamente colpita da disastri naturali.Tra gli altri, eventi come lo tsunami in Giappone, la siccità e carestia in Africa Orientale, le alluvioni in Tailandia, hanno

provocato immense sofferenze alle popolazioni e importanti danni materiali ed ambientali, contribuendo ad evidenziare l’urgenza di ulteriori e più efficaci investimenti nel campo della prevenzione e

della mitigazione dei rischi.

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I COSTI deI dISASTrI1

Ben 384 disastri nel mondo ogni anno: questa la media registrata tra il 2001 e il 2010. dietro questa cifra si nascondono enormi costi umani e materiali: le statistiche parlano di 109,3 miliardi di dollari all’anno di danni economici e 232 milioni di persone direttamente coinvolte, di cui 106.891 uccise a causa di disastri.rispetto a questi numeri relativi allo scorso decennio, per il 2011 si osservano conferme ma anche importanti differenze. In primo luogo, a fronte di un minor numero di disastri (332), è cresciuto il numero di persone coinvolte (244,7 milioni) e i

1 Cfr. d. Guha-Sapir, F. Vos, r. Below, S. Ponserre, Annual disaster Statistical review 2011: The Numbers and Trends, Bruxelles, 2012.

2 L’ultimo record registrato nel 2005 era di 246,8 miliari di dollari.

3 Il NatCatService di munich re è il più importante database sui danni economici da disastri. dal 2004, registra e analizza ogni anno circa 1.000 eventi catastrofali. Le statistiche comprendono il numero di disastri, le vittime, i danni complessivi e quelli assicurati e la suddivisione percentuale per i diversi continenti. Cfr. https://www.munichre.com/touch/naturalhazards/en/natcatservice/default.aspx

danni economici sono risultati i più alti di sempre: 366,1 miliardi di dollari2. La principale causa di questo contraccolpo economico è stato il terremoto seguito da tsunami in Giappone, che risulta esso stesso il disastro naturale “più costoso” di sempre, con circa 210 miliardi di dollari di danni circa. In controtendenza è il dato sul numero di vittime nel 2011, che vede un significativo decremento dai 106.891 decessi l’anno nel decennio 2001-2010 e 270 mila nel solo 2010 (ricordiamo che il terremoto ad Haiti causò la morte di più di 230 mila persone), ai 30.773 nel 2011.

Per quanto riguarda il tipo di disastri, i dati del 2011 rispecchiano quelli del decennio precedente: gli eventi di natura idrogeologica (alluvioni, inondazioni, smottamenti) sono rimasti i più frequenti (52,1%), seguiti dai disastri meteorologici (cicloni e tempeste, 25,3%), da quelli di natura climatica (siccità, 11,7%) e infine geofisica (terremoti, eruzioni vulcaniche e frane, 10,8%). Per quanto riguarda la localizzazione geografica, l’Asia si conferma il continente più colpito (44%), seguito da America (28%), Africa (19,3%), europa (5,4%) e Oceania (3,3%). Ad eccezione dell’europa, i dati sul numero delle vittime risultano in aumento rispetto al 2001-2010 in tutti i continenti, tra i quali l’Asia rimane al primo posto, spiccando con l’86,3% di vittime di disastri a livello globale, seguita dall’Africa con il 9,2%. Anche per le perdite economiche, nel 2011 l’Asia risulta il continente ad aver subito più danni (75,4% del dato globale), seguito in questo caso dall’America (18,4%), dall’Oceania (5,6%), e da europa e Africa (entrambe allo 0,3%). Questa distribuzione differisce da quella osservata nel decennio 2001-2010, quando è stata l’America a subire il livello medio annuale più alto di danni materiali, seguita da Asia e europa. A far salire il dato per l’Asia così nettamente nel 2011, lo tsunami in Giappone a marzo e le alluvioni in Tailandia tra agosto e dicembre.

Secondo i calcoli di munich re3, uno dei principali gruppi riassicurativi a livello internazionale, le perdite globali causate da disastri sono cresciute di oltre il 200% negli ultimi 25 anni. A partire dal 1981, anche nei paesi OSCe i danni economici provocati da disastri risultano in crescita. Non solo: in alcuni

di questi paesi, tale crescita risulta più rapida di quella del PIL pro-capite. Ciò significa che il rischio di perdere la ricchezza in condizioni di disastri è ora superiore alla velocità con cui la ricchezza stessa si sta creando.

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I FATTOrI dI rISCHIO

I disastri si verificano per diverse ragioni, ma sono quattro i fattori principali che contribuiscono alla crescita dei rischi:

I CAmBIAmeNTI CLImATICINumerosi studi confermano l’aumento del rischio di catastrofi connesse alle condizioni climatiche. I cambiamenti climatici stanno gradualmente innalzando la temperatura media, il livello dei mari e la quantità delle precipitazioni atmosferiche. Le aree subtropicali diventano progressivamente più aride e colpite da fenomeni di siccità cronica che provocano degradazione delle terre coltivabili, danni ai raccolti e perdita di bestiame. I cicloni tropicali diventano più intensi, con velocità del vento estreme e maggiori precipitazioni. Queste ultime sono causa di una serie più frequente di alluvioni e frane. Con l’aumento delle temperature, i ghiacciai si sciolgono e aumenta il rischio di alluvioni ed esondazioni.

L’UrBANIzzAzIONeIl 50% della popolazione mondiale vive all’interno di una città. Questa proporzione continuerà a crescere nei prossimi anni: si stima che entro il 2030, saranno 5 miliardi le persone residenti in ambito urbano (pari a circa il 61% della popolazione mondiale, che si prevede raggiungerà gli 8,1 miliardi). Tre miliardi di persone vivranno all’interno di uno slum. I rischi derivanti da questa evoluzione sono evidenti. Otto tra le 10 più popolose città sul pianeta sono vulnerabili ai terremoti; 6 possono essere colpite da alluvioni e tsunami. Ventuno, tra le 33 metropoli che entro il 2015 conteranno almeno 8 milioni di residenti, sono situate in aree costiere e sono vulnerabili a catastrofi naturali connesse ai cambiamenti climatici (tra cui dhaka, Shanghai, manila, Jakarta e mumbai).

LA POVerTÀLa povertà e le diseguaglianze socio-economiche sono fattori di rischio centrali. I livelli di vulnerabilità ai disastri dipendono in misura rilevante dallo status economico di individui, comunità e nazioni. Non è un caso che le comunità povere sono state le più colpite dall’uragano Katrina negli USA e che Haiti è stato il paese caraibico più devastato nella stagione degli uragani del 2008. La sproporzione con cui i disastri colpiscono le comunità e i paesi più poveri ha molte cause. Tra i fattori più influenti vi è l’inadeguatezza delle infrastrutture e la limitata capacità dei paesi meno sviluppati di investire nella prevenzione e nella mitigazione dei rischi. I poveri spesso vivono in edifici o in spazi fisici le cui caratteristiche e la cui localizzazione contribuiscono ad aumentare i rischi connessi ai disastri.

IL deGrAdO AmBIeNTALeLe comunità spesso contribuiscono a innalzare i rischi di disastro o ad aumentarne la gravità attraverso la distruzione di naturali difese ambientali costituite da foreste, barriere coralline e zone umide. Circa la metà delle foreste sono scomparse. Il 60% delle barriere coralline potrebbe scomparire nei prossimi 20-40 anni. L’espansione dei deserti e la devastazione delle terre coltivabili minaccia circa un quarto della superficie terrestre complessiva. Più di 250 milioni di persone sono direttamente colpite dai fenomeni di desertificazione.

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Le STrATeGIe dI rIdUzIONe deI rISCHI

Sofferenze e distruzioni provocate dai disastri comportano altissimi costi umani ed economici, sia nei paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo. Nei paesi più poveri, l’impatto economico di un disastro di vaste dimensioni ha ripercussioni a lungo termine da cui spesso il paese non fa in tempo a riprendersi prima che eventuali altri disastri o shock di diversa natura lo colpiscano, andando a peggiorare ulteriormente quella situazione ancora precaria e innescando così un circolo vizioso che sembra impossibile interrompere.

Un contributo fondamentale per evitare questa spirale negativa può venire da un’attuazione più ampia e puntuale di appropriate strategie di riduzione dei rischi da disastro, racchiuse nel quadro della cosiddetta disaster risk reduction (drr). Tali strategie stanno assumendo un peso sempre maggiore nel panorama degli interventi di emergenza e per lo sviluppo, grazie a una crescente consapevolezza e attenzione da parte degli operatori del settore.

Nel gennaio 2005 – solo tre settimane dopo che un violento tsunami nell’Oceano Indiano uccidesse circa 250 mila persone – 168 governi si riunirono nella seconda Conferenza mondiale sulla riduzione dei disastri, convocata dalle Nazioni Unite a Kobe, nella prefettura giapponese di Hyogo. In quella conferenza, venne adottato lo Hyogo Framework for Action (HFA), un piano decennale per rafforzare la resilienza di città, comunità e nazioni, e ridurre

in modo significativo le conseguenze dei disastri. L’HFA non è un documento vincolante, ma è il piano internazionale più avanzato e condiviso per fornire un approccio globale alla sfida di ridurre i rischi da disastro entro il 2015. esso non definisce alcun obiettivo numerico da raggiungere, ma identifica cinque aree prioritarie d’azione per rendere nazioni e comunità più preparate di fronte ai disastri.

Il piano di Hyogo si inserisce nella Strategia Internazionale per la riduzione dei disastri, la cui gestione è affidata al suo Segretariato (UNISdr - United Nations International Strategy for disaster reduction), e che si realizza prevalentemente attraverso la costituzione di piattaforme nazionali per la riduzione del rischio, supportate da ulteriori meccanismi di coordinamento a livello regionale e globale. L’UNISdr, inoltre, gestisce una campagna globale per aumentare sensibilità e consapevolezza dell’opinione pubblica sui benefici della prevenzione dei disastri. Il dibattito sulla mitigazione dei rischi da disastro si è sviluppato negli ultimi anni mettendo al centro il concetto di resilienza nella preparazione alle emergenze4, ma anche negli interventi di ricostruzione post-emergenza5. Una particolare attenzione è stata riservata ai cosiddetti “disastri ricorrenti”, che determinano seri effetti sullo sviluppo umano e la resilienza delle popolazioni colpite6.

4 Cfr. K. Harris, Finance for emergency preparedness: links to resilience, Overseas development Institute (OdI), background note, gennaio 2013.

5 Cfr. S. Lawry-White, Country Capacity development for emergency Preparedness, IASC Sub Working Group on Preparedness, Ginevra, 2012.

6 e. Ferris, d. Pets, C. Stark, The year of recurring disasters: a review of natural disasters in 2012, The Brookings Institution – London School of economics, Project on Internal displacement, marzo 2013. Secondo questa analisi, nel 2012 la ricorrenza di disastri di minor impatto rispetto ai “mega” terremoti del 2010 e 2011 (Haiti e Giappone) ha fatto sì che anche i fondi destinati alle emergenze per disastri naturali diminuissero drasticamente, assestandosi agli investimenti del 2009.

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Le Aree PrIOrITArIe deLLO HYOGO FrAmeWOrK FOr ACTION

ASSICUrAre CHe LA rIdUzIONe deL rISCHIO SIA UNA PrIOrITÀ NAzIONALe e LOCALe CON BASI ISTITUzIONALI FOrTI Per L’ImPLemeNTAzIONeUn costante impegno a livello nazionale e locale è indispensabile per salvare vite e beni minacciate dai disastri naturali. I paesi devono quindi sviluppare legislazioni, strategie e sistemi organizzativi per integrare la riduzione dei rischi da disastro, allocando sufficienti risorse per mantenerli. Tra le azioni possibili figurano la costituzione di piattaforme nazionali di coordinamento, l’integrazione della drr nelle politiche di sviluppo e nei piani di riduzione della povertà e la partecipazione delle comunità locali nella pianificazione di settore.

IdeNTIFICAre, VALUTAre e mONITOrAre I rISCHI Per reNdere PIù eFFICACe IL SISTemA dI ALLArme PreVeNTIVOIl punto di partenza per ridurre i rischi e promuovere una cultura di resilienza sta nella capacità di conoscere gli eventi pericolosi e le vulnerabilità fisiche, sociali, economiche e ambientali che ogni comunità possiede. Analizzare i rischi richiede investimenti in tecnologia, ricerca, strumenti di analisi e modelli di valutazione, allo scopo di strutturare efficaci sistemi di early warning.

SFrUTTAre LA CONOSCeNzA, L’INNOVAzIONe e L’edUCAzIONe Per COSTrUIre UNA CULTUrA dI SICUrezzA A TUTTI I LIVeLLILe conseguenze dei disastri possono essere ridotte se le persone sono informate sulle misure appropriate a ridurre la loro vulnerabilità. Tra le attività di prevenzione cruciali: la sensibilizzazione dei cittadini nelle aree di maggior rischio, il coordinamento tra gli esperti e le istituzioni preposte; la creazione di programmi di gestione del rischio a livello comunitario; lo sviluppo d’iniziative educative in ambito formale e informale.

rIdUrre I FATTOrI dI rISCHIOI governi possono rafforzare la resilienza ai disastri investendo in alcune semplici e ben note misure, capaci di ridurre sostanzialmente il rischio e la vulnerabilità. Ad esempio è possibile farlo applicando standard di costruzione appropriati alle infrastrutture più critiche (scuole, ospedali, abitazioni, ecc.) o proteggendo gli ecosistemi in grado di funzionare da barriere naturali (barriere coralline, foreste di mangrovie, ecc.). Anche il ricorso a schemi assicurativi e iniziative di micro-finanza può aiutare a trasferire efficacemente il rischio e offrire risorse addizionali.

rAFFOrzAre LA CAPACITÀ dI FAr FrONTe AI dISASTrI Per UNA rISPOSTA eFFICACe A TUTTI I LIVeLLIPrepararsi in anticipo ai disastri è indispensabile per rafforzare la resilienza delle persone e ridurre le conseguenze negative. La preparazione è possibile attraverso una vasta serie di attività, tra le quali: l’adozione preventiva di piani di emergenza, la costituzione di fondi dedicati per la prevenzione e la risposta; la realizzazione di esercitazioni per preparare soccorritori e popolazione, ecc.

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QUANTO SI INVeSTe OGGI IN PreVeNzIONe?

Nonostante il cambiamento di attitudine generato dal piano di Hyogo, che ha saputo promuovere una consapevolezza diffusa tra i diversi stakeholder sulla centralità delle attività di prevenzione e riduzione del rischio, le limitate risorse economiche messe a disposizione delle attività di drr a confronto con i fondi dedicati agli interventi di risposta dimostrano come la prevenzione dei disastri continui a essere la “Cenerentola” nel settore degli aiuti internazionali. La riduzione dei rischi è una strategia di bassa visibilità e che mostra i risultati sul periodo medio-lungo. Inoltre i governi non sono incentivati a investire in prevenzione quando sanno di poter contare su generosi aiuti da parte della comunità internazionale una volta che si verifica un disastro. del resto la risposta umanitaria ha ricevuto nel tempo maggiore attenzione politica e più visibilità mediatica dei programmi di mitigazione dei rischi.

Le risorse per gli aiuti internazionali investite in programmi di drr sono particolarmente complicate da tracciare e quantificare7. Nel 2010 l’investimento complessivo è stato superiore ai 585 milioni di dollari: nonostante il progressivo incremento nell’ultimo periodo, la percentuale di fondi dedicati al drr è sempre stata ben al di sotto degli obiettivi raccomandati nella terza sessione della “Piattaforma Globale per la riduzione dei disastri” (istituita nell’ambito dello Hyogo Framework). In quell’occasione, i governi si impegnarono affinché il 10% dei fondi per la risposta umanitaria, il 10% di quelli per la ripresa post-emergenza, e almeno l’1% del totale degli investimenti in programmi di sviluppo venissero allocati in misure di prevenzione.

Grafico 22 – Finanziamenti per attività drr e % su assistenza umanitaria globale nel periodo 2006-2010 (in milioni di dollari)

Fonte: GHA su dati OCSe/dAC

7 Si faccia riferimento alla nota metodologica contenuta al fondo del rapporto per informazioni di dettaglio sulle modalità di rilevazione dei dati. Per ulteriori dettagli, cfr. d. Spark (ed.), Aid investments in disaster risk reduction. rhetoric to action, development Initiatives, ottobre 2012.

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Per quanto riguarda la percentuale di investimenti in misure drr su fondi per lo sviluppo, dal 2006 al 2010 i governi dAC hanno speso un totale di 2,2 miliardi di dollari. Tale cifra equivale allo 0,5% della spesa totale in interventi per lo sviluppo, contro un già modesto obiettivo del raggiungimento dell’1%. Anche in questo caso, bisogna comunque distinguere tra i diversi donatori. Il Giappone rimane il paese “più virtuoso” in questo campo, avendo investito circa il 3,5% dei fondi destinati a programmi per lo sviluppo (equivalente a quasi 1,7 miliardi di dollari) nel periodo 2006-2010. Considerando le cifre assolute, altri donatori importanti in questo ambito comprendono il regno Unito, la Germania, gli Stati Uniti e il Canada. L’obiettivo di destinare almeno l’1% dei fondi per lo sviluppo in misure drr rimane comunque raggiunto da soli due paesi oltre

al Giappone, e cioè il Canada e l’Australia.Considerando i dati sulla destinazione dei fondi drr per settori di intervento, è interessante notare che i 5 in cui si investe maggiormente sono tutti collegati alla protezione dell’ambiente e all’adattamento ai cambiamenti cimatici, a sottolineare come il tema della prevenzione dei rischi da disastro sia fortemente percepito come interconnesso al problema del degrado ambientale e del cambiamento climatico8.

Nella tabella che segue, osserviamo il dettaglio di spesa in drr da parte dei principali paesi donatori. Per meglio verificare il rispetto delle raccomandazioni internazionali, gli importi sono suddivisi a seconda che l’investimento sia stato fatto all’interno di risorse dedicate all’assistenza umanitaria oppure alla cooperazione allo sviluppo.

Paese Spesa drr su fondi per

aiuti umanitari

drr / assistenza umanitaria

(%)Giappone 305,5 18,3%

Corea 16,0 14%Australia 121,6 7,5%Canada 161,2 7,4%

Germania 235,6 6,7%Austria 22,3 6,5%

regno Unito 292,7 6,2%Francia 120,3 6,0%Belgio 53,1 5,6%Irlanda 44,0 5,6%

Portogallo 6,8 5,5%Spagna 124,2 5,2%

Nuova zelanda 8,7 5,1%Italia 79,6 4,7%

Grecia 10,0 4,2%

Paese Spesa drr su fondi per

cooperazione allo sviluppo

drr / cooperazione allo sviluppo

(%)Giappone 1665,2 3,5%Canada 268,3 1,3%Australia 168,0 1,2%Austria 40,6 0,9%

Finlandia 44,3 0,9%Svizzera 80,7 0,9%

regno Unito 397,5 0,9%Germania 375,0 0,8%

Corea 25,0 0,7%Irlanda 23,4 0,6%Italia 87,8 0,6%

Svezia 109,7 0,6%danimarca 57,2 0,5%

Belgio 50,8 0,5%Norvegia 93,9 0,5%

Tabella 4 – Classifica principali donatori in ambito drr (in milioni di dollari)Fonte: GHA su dati OCSe/dAC

8 I 5 settori di intervento in cui maggiormente si investe per misure drr sono (in ordine decrescente): prevenzione e controllo di alluvioni/inondazioni; politiche ambientali; bio-diversità; protezione della biosfera; ricerca ambientale.

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COme SI COmPOrTA L’ITALIA?

Il tema in esame sembra oggi assumere sempre maggior rilievo nel nostro paese, tanto che le discussioni al recente Forum della Cooperazione Internazionale9 hanno confermato come specifica vocazione dell’Italia le attività di prevenzione dei disastri e mitigazione dei rischi. Tra le raccomandazioni espresse dal gruppo di lavoro 5 (“Il ruolo dell’Italia nelle aree di crisi”), raccolte nel Libro Bianco della Cooperazione Italiana – I documenti del Forum della Cooperazione Internazionale10, due sono quelle dedicate alla drr:

• Perseguire a breve termine l’obiettivo di vincolare una quota non inferiore al 10% dell’assistenza umanitaria complessiva alle priorità della prevenzione e della “disaster risk reduction” (“Più risorse, meglio investite”)

• Adottare come priorità trasversale d’intervento in ambito umanitario la prevenzione dei disastri e la mitigazione dei rischi di catastrofe, identificando il concetto di resilienza come principale focus tematico su cui concentrare gli sforzi e adottando le linee d’azione dello Hyogo Framework for Action (“L’aiuto efficace, basato sui principi”)

Questi impegni trovano conferma nelle linee-guida e indirizzi di programmazione 2013-2015 della Cooperazione Italiana allo Sviluppo11, presentate lo scorso dicembre al Tavolo Interistituzionale. Nel documento si afferma che “l’aiuto umanitario italiano si impegnerà nell’accrescimento della capacità di resistenza e recupero (resilience) delle popolazioni colpite da shock esterni, in linea con la

recente Comunicazione adottata dalla Commissione europea”. Nel seguito viene sottolineato il beneficio che deriva dall’investire maggiormente in prevenzione: “si tratta, infatti, di una componente fondamentale della risposta ai disastri, nella sua triplice accezione di prevenzione, mitigazione dei rischi e risposta delle comunità locali, con positive ricadute in termini di costi/benefici”.Per quanto riguarda l’impegno profuso fino ad oggi dalla Cooperazione Italiana nel finanziamento per interventi drr, questo è stato rivolto principalmente a paesi teatro di crisi complesse quali Afghanistan, Pakistan e Somalia e a paesi frequentemente colpiti da catastrofi naturali (Bolivia, Guatemala, Honduras, el Salvador e Nicaragua). Analizzando più nel dettaglio i dati fornitici dal ministero stesso sui principali interventi in questo settore nell’ultimo triennio, possiamo osservare che su un totale di 18 milioni di dollari investiti, Asia Centrale e America Centrale e Latina hanno beneficiato della maggior parte dei fondi (rispettivamente 11,6 e 4,7 milioni di dollari), con il restante contributo destinato all’Africa (1,6 milioni di dollari Somalia e Burkina Faso).

La strategia generale adottata dalla Cooperazione Italiana ha puntato sulla realizzazione di attività di prevenzione, mitigazione e risposta al rischio, agendo sia a livello nazionale – attraverso il rafforzamento delle istituzioni centrali di protezione civile – sia a livello locale, favorendo la nascita di gruppi di protezione civile territoriali anche in aree remote dei paesi beneficiari, rafforzati talvolta grazie al coinvolgimento di volontari. Questi ultimi sono infatti considerati strumento fondamentale e

9 Voluto dal ministro per la Cooperazione Internazionale e preparato in collaborazione con la direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del ministero Affari esteri, il Forum si è tenuto l’1 e 2 ottobre 2012 a milano e ha costituito un importante momento di confronto e riflessione pubblica sul futuro della cooperazione allo sviluppo.

10 Libro Bianco della Cooperazione Italiana – I documenti del Forum della Cooperazione Internazionale, 1-2 ottobre 2012, disponibile all’indirizzo: http://www.lombardia.cisl.it/doc/dipartimenti/relinternazionali/iscos/news/2013/Libro%20bianco%20cooperazione%20internazionale%20italiana.pdf

11 ministero degli Affari esteri, La Cooperazione Italiana allo Sviluppo nel triennio 2013-2015. Linee-guida e indirizzi di programmazione. Presentata al Tavolo Interistituzionale 14.12.12, disponibile all’indirizzo http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/documentazione/PubblicazioniTrattati/LL.GG.Cd.19.12.12.pdf

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reGIONI SeTTOrI rAFFOrzAmeNTO CONTrIBUTOASIA CeNTrALe

[Afghanistan, Pakistan]equipaggiamento emergenze; capacity building; formazione; food security.

(canale multilaterale: UNOPS, FICrOSS, FAO, Banca mondiale)7,6

Sicurezza idro-geologica.(canale bilaterale)

4

AmerICA CeNTrALe e LATINA

[Bolivia, Guatemala]

Sistema di previsione, monitoraggio e allerta disastri; equipaggiamento emergenze; capacity building istituzionale; Croce rossa locale; formazione per

operatori e comunità locali.(canale multilaterale e multibilaterale: FAO, Fondazione CImA, FICrOSS)

1,9

Prevenzione, mitigazione e riduzione del rischio ambientale; protezione civile nazionale e gruppi locali; volontariato; strutture emergency shelter; capacity

building; formazione per operatori e comunità locali; resilienza alle crisi.(canale bilaterale)

2,8

AFrICA[Somalia, Burkina

Faso]

Croce rossa locale; equipaggiamento emergenze; resilienza alle crisi; settore agricolo, economia e mercato locale.

(canale multilaterale: FAO)

1,6

Totale 18

Sul piano dell’impegno in prevenzione interno al nostro paese, va sottolineato che l’UNISdr si è di recente pronunciato molto favorevolmente sull’iniziativa dell’Italia di creare un database nazionale sulle perdite economiche da disastro, dopo che la serie di devastanti terremoti dello scorso anno in emilia romagna, Lombardia e Veneto hanno causato più di 17 miliardi di dollari di danni12. Il progetto punta a responsabilizzare i leader politici affinché prendano decisioni più consapevoli per ridurre il rischio generale di disastri del paese. Il progetto si presenta come un’enorme

spinta al rafforzamento della resilienza in Italia, sia a livello locale che nazionale, idealmente in uno sforzo congiunto tra istituzioni italiane e UNISdr. Nel database verranno infatti raccolti i dati sui reali costi economici dei disastri in Italia, rappresentando in tal modo anche un punto di riferimento per la valutazione di passate e future politiche ed iniziative di prevenzione e mitigazione dei rischi. Con questa iniziativa, l’Italia diviene il quinto paese in europa a lavorare su un progetto di database nazionale su perdite da disastro, seguendo gli spunti di Albania, Croazia, Francia e Serbia.

12 mariana Osihn, Italy moves on disaster loss database, news disponibile all’indirizzo http://www.unisdr.org/archive/31929.

strategico per il rafforzamento della preparazione alle emergenze e della capacità di risposta a livello locale. Inoltre, formazione degli operatori e delle comunità locali, capacity building, riduzione della vulnerabilità e aumento della resilienza sono ulteriori parole chiave per comprendere il tipo di attività in ambito drr sostenute attraverso fondi italiani. Gli

interventi hanno anche incluso la riabilitazione di rifugi di emergenza e il rafforzamento della capacità di risposta delle Croce rosse locali. Prevenzione del dissesto idro-geologico e sostegno alla sicurezza alimentare, anche attraverso la valorizzazione dell’economia e dei mercati locali, completano il quadro delle attività promosse.

Tabella 5 – Principali interventi drr finanziati dalla Cooperazione Italiana nel periodo 2009-2012 (in milioni di dollari)Fonte: ministero Affari esteri

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LA CONVeNIeNzA dI INVeSTIre dI PIù

Come i dati sopra riportati confermano, l’investimento economico per misure drr rimane ancora una dichiarazione di principio piuttosto che una pratica consolidata. Le analisi dimostrano infatti che, nel caso dei primi 20 paesi beneficiari di aiuti umanitari nel periodo 2005-2009, solo 62 centesimi su ogni 100 dollari sono stati effettivamente spesi in prevenzione e preparazione ai disastri13.

eppure, un crescente numero di osservatori sottolinea che investire in prevenzione è conveniente se comparato con approcci che si basano esclusivamente su interventi di risposta ex-post. Uno studio commissionato da dFId – il dipartimento inglese per la cooperazione internazionale – ha evidenziato come in Somalia ed etiopia il rafforzamento della resilienza delle comunità costituisca l’intervento più efficace e conveniente rispetto alla semplice risposta umanitaria successiva allo scoppio della siccità. Assumendo che gravi crisi di siccità14 si manifestano in modo rilevante ogni cinque anni (la stima è prudenziale per entrambi i paesi), la ricerca dimostra che negli ultimi 20 anni l’intervento ex-post è costato in Kenya 21 miliardi di dollari più delle attività di drr, mentre in etiopia sono stati spesi 3,1 miliardi di dollari in più. In buona sostanza, solo per gli interventi anti-siccità in Kenya ed etiopia, i paesi donatori risparmierebbero circa 24,1 miliardi di dollari se investissero in resilienza nei prossimi 20 anni piuttosto che concentrarsi esclusivamente nell’aiuto umanitario alle popolazioni colpite.

esistono anche dimostrazioni fattuali che confermano quanto detto. Nel 2002 il mozambico richiese 2,7 milioni di dollari di aiuti per attività di preparazione alle alluvioni e ottenne dai paesi donatori poco più della metà. Nelle alluvioni che seguirono, la comunità internazionale spese 100 milioni di dollari per la risposta umanitaria, più ulteriori 450 milioni per la ricostruzione. Nel 2010, le alluvioni in Pakistan provocarono circa 10 miliardi di dollari di danni. Pochi mesi prima del disastro, la Banca mondiale aveva dichiarato che un investimento di soli 27 milioni di dollari avrebbe ridotto significativamente i danni di futuri disastri.

La stessa Banca mondiale ha del resto sostenuto che se negli anni ’90 si fossero spesi 40 miliardi di dollari in misure preventive, le perdite economiche provocate a livello globale dai disastri si sarebbero potute abbattere di circa 280 miliardi di dollari. L’Organizzazione metereologica mondiale ha evidenziato poi come per ogni dollaro investito nella prevenzione dei disastri se ne potrebbero risparmiare circa 7 in assistenza umanitaria e ricostruzione.

I benefici della riduzione dei rischi sono stati ampiamente verificati anche con riferimento ai cambiamenti climatici. Una nota ricerca commissionata dal governo inglese15 ha dimostrato come i benefici dell’azione preventiva superino ampiamente i costi connessi ai cambiamenti climatici: questi ultimi equivarrebbero, infatti, ogni

13 K. Harris, op. cit., p.1.

14 C. Venton, C. Fitzgibbon, T. Shitarek, L. Coulter, O. dooley, The economics of early response and disaster resilience: Lessons from Kenya and ethiopia, giugno 2012. Una simile analisi di costi-benefici era già stata sviluppata in C. Venton, Justifying the cost of disaster risk reduction: a summary of cost–benefit analysis, in Humanitarian Practice Network (HPN), Humanitarian exchange, numero 38, giugno 2007

15 N. Stern, The economics of Climate Change. The Stern review, Cambridge University Press, 2007.

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anno ad almeno il 5% del PIL globale, mentre le azioni per ridurre le emissioni nocive potrebbero costare non più dell’1%. Ulteriori analisi su costi e benefici delle strategie di adattamento climatico sarebbero necessarie per favorire una maggiore integrazione con le strategie drr e ridurre il rischio di duplicare gli sforzi. L’evidenza sulla bontà del rapporto qualità-prezzo delle attività drr dimostra che investimenti in questa direzione apportano maggiori benefici che costi e dunque dovrebbero divenire una priorità nella pianificazione per lo sviluppo. Fino ad oggi, però, l’evidenza è limitata a pochi e specifici esempi. L’analisi economica sulla prevenzione è ancora nella sua “infanzia” e occorrono maggiore chiarezza e un più ampio campione di risultati certi ed evidenti. Tutto ciò si traduce in un ridotto numero di canali di finanziamento specifici sulla prevenzione, che

rimane così finanziata tramite meccanismi esistenti che supportano un ampio spettro di azioni a essa correlate ma non esclusivamente dedicate. Un più ampio lavoro di ricerca comparata sarebbe utile a dimostrare ai finanziatori e ai donatori che rafforzare il ruolo della prevenzione nell’azione umanitaria e per lo sviluppo è finanziariamente ed economicamente giustificato.

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I dati sull’assistenza umanitaria pubblica riportati nel rapporto sono stati elaborati partendo da due principali fonti d’informazione:

1. Le tabelle dAC (development Assistance Committee) sull’aiuto pubblico allo sviluppo erogato dai paesi aderenti all’OCSe (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico)

2. Il database del Financial Tracking System (FTS) di OCHA, che riporta i contributi in assistenza umanitaria che i paesi donatori decidono di comunicare alle Nazioni Unite

I dati sui paesi dAC estratti dal database OCSe comprendono la spesa umanitaria erogata attraverso le ONG, i fondi delle Nazioni Unite, la partnership pubblico-privato e i governi di paesi terzi. Tuttavia non considerano altri trasferimenti – come i contributi alle agenzie ONU con mandato umanitario oppure la spesa umanitaria delle istituzioni europee – che pure costituiscono un contributo “indiretto” dei paesi donatori. Per analizzare l’assistenza umanitaria totale dei paesi dAC, pertanto, si è scelto di fare riferimento al dato aggregato elaborato dal team di ricerca di development Initiatives, che produce annualmente il rapporto “Global Humanitarian Assistance” (GHA).

Al Financial Tracking System di OCHA, a sua volta elaborato all’interno del rapporto GHA, si è invece fatto ricorso per ricavare i dati relativi ai donatori che abbiamo definito “non-dAC”.

Il rapporto GHA è stato principale riferimento anche per quanto riguarda i dati sulla spesa dei paesi dAC per misure di disaster risk reduction (drr). Per risalire a queste informazioni, si è fatto ricorso al database OCSe, che associa a ciascuna transazione un codice a cinque cifre che identifica il settore di spesa. In assenza di un codice specifico per il drr, nel rapporto GHA vengono riportati i dati relativi a 2 settori afferenti: “dPP - disaster prevention and preparedness” (74010) e “flooding prevention/control” (41050). In aggiunta, sono stati inseriti tutti gli investimenti relativi a progetti che non sono codificati 74010 o 41050, ma che attraverso un’analisi delle descrizioni di attività facevano riferimento a 30 parole chiave rilevanti nell’ambito del settore drr. Considerata la complessità di questa metodologia, bisogna considerare i dati riportati con certo un margine di errore. Per il dettaglio italiano sulla spesa in prevenzione e mitigazione del rischio, abbiamo fatto riferimento ai dati fornitici dalla direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (dGCS) del ministero Affari esteri, che abbiamo rielaborato considerandone i principali destinatari (regioni/continenti) e relativi tipologie di intervento.

I dati aggregati (diretti e indiretti) relativi all’assistenza umanitaria italiana sono stati forniti dal team di ricerca GHA. Quelli invece riferiti ai fondi a diretta gestione del ministero Affari esteri sono stati trasmessi dall’Ufficio emergenze della dGCS (e sono peraltro disponibili nelle sue relazioni annuali al Parlamento italiano, pubblicate sul sito web della

NOTA meTOdOLOGICA

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Cooperazione Italiana). Occorre tuttavia riconoscere che le informazioni disponibili sui flussi economici per l’assistenza umanitaria sono frammentarie e spesso discordanti, il che giustifica il frequente ricorso a stime e valutazioni sulle tendenze generali che, in qualche misura, costituisce il tratto ricorrente di questo rapporto.

esistono infatti alcuni limiti sostanziali nelle stesse fonti da cui vengono ricavati i dati dell’assistenza umanitaria pubblica. Il database dell’OCSe è molto rigoroso nella raccolta delle informazioni, la cui comparabilità è garantita dall’utilizzo di codici di definizione della spesa comuni a tutti i donatori. Seppure gli strumenti di segmentazione dei dati siano eccellenti, le informazioni riguardano solo i paesi aderenti al dAC e un numero limitato di “outsider” e soprattutto vengono rilasciate con molto ritardo. Il database dell’FTS di OCHA offre informazioni in qualche misura ancora più aleatorie. Costruito in real-time (in grado quindi di offrire informazioni sempre aggiornate sugli aiuti), il sistema offre discrete possibilità di disaggregazione dei dati. I suoi limiti principali sono però il carattere totalmente volontario del reporting, affidato alla buona volontà di donatori e organizzazioni umanitarie, e l’estrema eterogeneità dei dati raccolti.

Ancora più complessa la rilevazione delle donazioni private. Le informazioni sui flussi privati di assistenza umanitaria non sono raccolte in nessun database centralizzato e solo in parte sono rintracciabili nell’FTS di OCHA. Per i dati riferiti ai flussi globali (capitolo 1), ci si è affidati al rapporto GHA che utilizza come riferimento un’indagine empirica condotta su 5 agenzie ONU (UNHCr, UNrWA, WFP, WHO e UNICeF), 62 ONG, ICrC - Comitato internazionale della Croce rossa e IFrC - Federazione Internazionale della Croce rossa e mezzaluna rossa e 7 società nazionali di Croce rossa (Belgio, Canada, Colombia, danimarca, Francia, regno Unito e Svezia). L’indagine fornisce i dati per il periodo 2006-2010: i dati per il 2011 sono stati estrapolati utilizzando appositi coefficienti di variazione agganciati alle donazioni private riportate sull’FTS di OCHA.

Un simile modello di rilevazione empirica viene utilizzato da AGIre per stimare i flussi privati in Italia (capitolo 2). AGIre ha selezionato un campione di 16 ONG con le quote più significative di raccolta fondi su privati e spesa in programmi di assistenza umanitaria (ActionAid, AmreF, AVSI, Caritas, CeSVI, CISP, COOPI, COSV, emergency, GVC, INTerSOS, mSF, Oxfam, Save The Children, Terre des Hommes e VIS). Attraverso interviste e analisi dei documenti di bilancio si è individuata, per ogni organizzazione, la percentuale di contributi privati sul lato delle entrate (rispetto a finanziamenti provenienti da altre fonti) e la percentuale di spesa umanitaria sul lato delle uscite (rispetto alla spesa in programmi di sviluppo o in altri costi di natura organizzativa). L’incrocio dei due valori ha portato a definire con sufficiente precisione la quota di fondi privati che le ONG hanno destinato

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all’assistenza umanitaria nel corso del 2011 (i dati del periodo 2006-2010 erano già disponibili a seguito di precedenti analisi di AGIre). Si è prudenzialmente stimato che tale importo costituisse il 93% dei fondi privati investiti dalle ONG italiane in programmi di assistenza umanitaria. Tale stima tiene anche in considerazione le differenze di classificazione della spesa per programmi: non tutte le organizzazioni adottano la stessa definizione di assistenza umanitaria ed è stata rilevata una tendenza di alcune ONG a suddividere la spesa umanitaria in settori a essa non direttamente ed esclusivamente riconducibile (risulta ad esempio difficile differenziare la spesa umanitaria in ambiti come l’educazione o la sicurezza alimentare, in assenza di uno studio più analitico sulle attività di progetto contabilizzate). La metodologia di ricerca adottata e le modalità di analisi dei bilanci sono state oggetto di validazione da parte della società di consulenza Crowe Horwath Italia, che ha collaborato direttamente alla realizzazione di questa sezione del rapporto.

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ACCOUNTABILITYIl termine ha a che fare con i concetti di trasparenza, condivisione degli obiettivi e dei risultati, capacità di fornire prestazioni. In ambito umanitario è utilizzato per indicare il livello di trasparenza con cui viene resa pubblica non solo la modalità di utilizzo del denaro ma anche il modo in cui viene eseguito il programma, in quale misura sono stati raggiunti gli obiettivi e quali aspettative sono state soddisfatte.

ASSISTeNzA UmANITATrIASecondo la definizione riportata dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (OCSe), “possono correttamente qualificarsi come umanitari quegli aiuti internazionali finalizzati esclusivamente a salvaguardare la vita e la dignità umana, nonché ad alleviare le sofferenze nel corso di un’emergenza e nel periodo immediatamente successivo ad essa. Per essere considerata come umanitaria tale assistenza deve inoltre rispondere ai principi umanitari di umanità, neutralità, imparzialità ed indipendenza”.Così classificati, gli aiuti umanitari includono: la fornitura di cibo, acqua, servizi igienico-sanitari, di assistenza medica e di rifugi di emergenza; la fornitura di altri beni per l’assistenza e il beneficio delle persone coinvolte; misure per promuovere e proteggere la sicurezza, il benessere e la dignità dei civili; misure per la riabilitazione, ricostruzione e assistenza di transizione finché la situazione di emergenza persiste; nonché misure di preparazione e prevenzione ai disastri.L’assistenza umanitaria può essere fornita attraverso il contributo di governi, individui, ONG, agenzie multilaterali, organizzazioni nazionali e aziende.

BILATerALe (CANALe, AIUTI)Aiuti veicolati direttamente da un paese donatore al paese destinatario. Possono concretizzarsi in interventi in loco concordati con le autorità locali, ovvero nel finanziamento di progetti realizzati dalle agenzie multilaterali.

CerF - CeNTrAL emerGeNCY reSPONSe FUNd Fondo creato nel 2005 delle Nazioni Unite per rendere l’assistenza umanitaria più tempestiva e efficace per le popolazioni colpite da conflitti armati e disastri naturali. Si basa sull’accantonamento preventivo di contributi economici volontari da parte dei governi donatori che permettono di provvedere rapidamente e in modo flessibile ai bisogni meno prevedibili delle crisi umanitarie. Il fondo è accessibile sia per le agenzie delle Nazioni Unite che per le ONG e, oltre che per la risposta alle emergenze, viene occasionalmente utilizzato per programmi di prevenzione del rischio.

CAP - CONSOLIdATed APPeAL PrOCeSS Strumento principe della pianificazione strategica e del meccanismo di coordinamento degli aiuti umanitari a livello di Nazioni Unite. Gli appelli consolidati si basano sulla collaborazione tra governi, donatori, agenzie delle Nazioni Unite, ONG, movimento della Croce rossa e della mezzaluna rossa, nel determinare la richiesta di fondi internazionali

GLOSSArIO

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necessari alla risposta umanitaria.

dAC - deVeLOPmeNT ASSISTANCe COmmITTee e’ il comitato dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (OCSe) che si occupa di cooperazione allo sviluppo. e’ attualmente costituito da 24 membri: Australia, Austria, Belgio, Canada, Commissione europea, danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Italia, Irlanda, Corea, Lussemburgo, Norvegia, Nuova zelanda, Olanda, Portogallo, regno Unito, Spagna, Stati Uniti, Svezia e Svizzera.

drr – dISASTer rISK redUCTIONe’ l’approccio sistematico di teoria e pratica della prevenzione del rischio disastri, volto ad identificare, analizzare e ridurre vulnerabilità socio-economiche, nonché a migliorare la gestione dei fattori che le scatenano, secondo il principio, sottolineato dalle Nazioni Unite, per cui “there is no such thing as a ‘natural’ disaster, only natural hazards”.L’impatto di un disastro dipende infatti da scelte di politica sociale, economica, ambientale e di gestione del territorio, che rendono una società più vulnerabile a eventi calamitosi, o al contrario più resiliente ad essi.e’ stata proprio la massa di ricerca sulla vulnerabilità, sviluppatasi a partire dagli anni ’70, ad accendere l’attenzione sull’importanza della prevenzione, che sta progressivamente assumendo un peso maggiore nella teoria e nella pratica dello sviluppo e dell’intervento umanitario globale.

FLASH APPeALStrumento adottato dalle Nazioni Unite per coordinare la risposta umanitaria nei primi tre/sei mesi di un’emergenza. Individua e stima necessità economiche e tipologie di intervento necessarie partendo dall’analisi del contesto e dei bisogni umanitari ed elaborando piani di risposta sia a livello di strategia generale che nei settori di intervento specifico.

FTS - FINANCIAL TrACKING SerVICedatabase aggiornato in tempo reale che elenca gli aiuti umanitari registrati a livello globale. L’FTS riserva un’attenzione centrale ai CAP e ai Flash Appeals che permettono di valutare i bisogni specifici di ogni crisi umanitaria e la percentuale di aiuti effettivi ricevuti rispetto alle necessità stimate. FTS è gestito dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Aiuti Umanitari (OCHA) e aggiornato in base ai dati trasmessi da paesi donatori e paesi destinatari degli aiuti.

GHd - GOOd HUmANITArIAN dONOrSHIP Forum informale dei donatori che ha adottato un documento in 23 punti contenente i principi e le buone pratiche del finanziamento dell’assistenza umanitaria. Il documento stabilisce una definizione comune di azione umanitaria, ne fissa finalità e obiettivi, e ha consentito di individuare negli anni buone pratiche che dovrebbero essere perseguite

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dai Governi donatori. L’Italia ha sottoscritto la GHd nel 2007 attraverso l’adozione del Consenso europeo sull’Aiuto Umanitario.

HFA – HYOGO FrAmeWOrK FOr ACTIONPiano decennale (2005-2015) sviluppato e concordato dagli attori responsabili di portare avanti azioni per la riduzione del rischio disastri (governi, agenzie intergovernative, esperti sui disastri, ecc.), ed ufficializzato dall’Assemblea Generale dell’ONU con risoluzione A/reS/60/195 (2005). Il piano stabilisce 5 priorità di azione, e offre principi guida e strumenti pratici per aumentare la resilienza ai disastri. L’obiettivo è infatti quello di ridurre sostanzialmente le perdite da disastro entro il 2015 attraverso il rafforzamento della resilienza di nazioni e comunità.L’UNISdr ha recentemente lanciato un processo di consultazioni per prepararsi alla fase post-2015.

ISdr – INTerNATIONAL STrATeGY FOr dISASTer redUCTIONLa Strategia Internazionale per la riduzione dei disastri raccoglie l’eredità del decennio Internazionale per la riduzione dei disastri Naturali (1990-1999) (International decade for Natural disaster reduction), lanciato nel 1989 dall’Assemblea Generale dell’ONU. La Strategia riprende i principi articolati nei documenti adottati durante il decennio, e riflette la svolta dalla tradizionale enfasi sulla risposta umanitaria “pura”, a quella sulla riduzione del rischio disastri. In questo senso si propone infatti di promuovere una “cultura della prevenzione”. La Strategia Internazionale è dotata di un segretariato – UNISdr – organismo responsabile della sua implementazione secondo il mandato ricevuto dall’Assemblea Generale.

mULTILATerALe (CANALe, AIUTI)Attività di assistenza umanitaria finanziate direttamente con il budget degli Organismi Intergovernativi. I progetti realizzati dalle agenzie multilaterali per conto dei paesi donatori sono invece classificate come aiuti bilaterali, dal momento che il paese donatore mantiene il controllo effettivo sull’uso dei fondi.

PerSONe COINVOLTe (PeOPLe AFFeCTed)Persone che richiedono un’assistenza umanitaria immediata per la soddisfazione dei propri bisogni primari, in conseguenza a una catastrofe naturale o conflitto armato (cibo, acqua, rifugio, servizi igienici e sanitari, ecc.). riferendosi a “persone coinvolte” si includono dunque tutti coloro che hanno subito gli effetti di eventi di questa natura, diretti o indiretti, e non solo le vittime rimaste uccise a causa degli stessi.

dISASTrI rICOrreNTI (reCUrrING dISASTerS)Il verificarsi ripetuto nell’arco di un anno dello stesso tipo di disastro in una data area geografica. Questi disastri ricorrenti minano lo sviluppo dell’area in questione e la sua ripresa dai disastri precedenti, aumentandone la vulnerabilità e l’esposizione agli

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effetti dei disastri successivi. Sono dunque particolarmente importanti da tenere in considerazione nella strategia di riduzione e mitigazione del rischio.

reSILIeNzAL’UNISdr la definisce come “la capacità di una comunità o società vulnerabile (esposta a rischi), di resistere, assestarsi e riprendersi dagli effetti di un disastro o un conflitto, in una maniera pronta ed efficiente”. In altre parole, è l’abilità di gestire i cambiamenti che derivano da uno shock, mantenendo o trasformando standard di vita pre-esistenti, senza compromettere le prospettive di ripresa/sviluppo a lungo termine della comunità.

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AGeA Agenzia per le erogazioni in AgricolturaAPS Aiuto Pubblico allo SviluppoCAP Consolidated Appeals ProcessCerF Central emergency response FundCerP Commander’s emergency response ProgramCHFs Common Humanitarian Fund(s)dAC development Assistance CommitteedFId department for International developmentdGCS direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppodrr disaster risk reductionedrIS european disaster response Information SystemerFs emergency response Fund(s)FAO Food and Agriculture OrganisationFICrOSS/IFrC Federazione Internazionale delle Croci rosse e delle mezze Lune

rosse/ International Federation of red Cross and red Crescent Societies

FBe Fondi Bilaterali di emergenzaFmI Fondo monetario InternazionaleFTS Financial Tracking ServiceGHA Global Humanitarian AssistanceGHd Good Humanitarian donorshipHFA Hyogo Framework for ActionHPN Humanitarian Practice NetworkIASC Inter-Agency Standing CommitteeICrC International Committee of the red CrossIOm International Organisation for migrationmAe ministero Affari esteriOCSe Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economicoOdA Official development AssistanceOdI Overseas development InstituteOSCe Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in europaPrT Provincial reconstruction TeamrdC repubblica democratica del CongoTAP Territori Autonomi PalestinesiUNdP United Nations development ProgrammeUNFPA United Nations Population Fund

ABBreVIAzIONI

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UNHCr United Nations High Commissioner for refugeesUNHrd United Nations Humanitarian response depotUNICeF United Nations Children's FundUNISdr United Nations International Strategy for disaster reductionUNmAS United Nations mine Action ServiceUNOCHA United Nations Office for the Coordination of Humanitarian AffairsUNOPS United Nations Office for Project ServicesUNrWA United Nations relief and Works Agency for Palestine refugees in

the Near eastWFP/PAm World Food Programme/Programma Alimentare mondialeWHO/OmS World Health Organisation/Organizzazione mondiale della Sanità

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Action Aid, Annuario della Cooperazione allo sviluppo. L’Italia e la lotta alla povertà nel mondo. 2008-2012: cinque anni vissuti pericolosamente, rubettino editore, 2012, pp. 46-47

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Hanno collaborato alla redazione di questo rapporto: marco Bertotto, maddalena Grechi, Guglielmo micucci, Gianni rufini, Cecilia Signorini

Grafica: Giorgia de Filippis / ideapura.it

Fotografia di copertina: dona Bozzi Si ringrazia per la collaborazione: Sara Bertolai (ActionAid), Nadia Fiore (AmreF), Alberto Piatti (AVSI), Paolo Beccegato (Caritas Italiana), Alberto Cortinovis (CeSVI), riccardo Stefanori (CISP), Alberto Cogo (COOPI), Cinzia Giudici (COSV), daniele malerba (development Initiatives), Isabella Crippa (emergency), Tommaso Ceramelli (GVC), daniela Carella (INTerSOS), Bruno Pasquino, marta Collu e Viviana Wagner (ministero Affari esteri), Gabriele eminente (mSF), daniela Tavanti (Oxfam Italia), elisabetta Cammarota (Save The Children), Claudio Perna (TdH), Gianluca Antonelli (VIS)

Un grazie particolare a development Initiatives e alla direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo del ministero Affari esteri per aver condiviso i dati essenziali alla produzione di questo rapporto

Pubblicato da AGIre nel mese di maggio 2013in collaborazione con Crowe Horwath Italia

e inoltre

CredITS

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AGIreAgenzia Italiana per la risposta alle emergenze

Via Aniene 26/A - 00198 [email protected]

www.agire.it