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Il turismo industriale: nuovi scenari urbani per la cittadinanza, le imprese, l’innovazione e il patrimonio Il turismo industriale costituisce un istruttivo, autentico e divertente modo di valutare: i processi tecnici che furono sviluppati nelle imprese industriali, il buon know-how dei suoi lavoratori, la ricchezza dei loro prodotti, la dimensione storica di queste industrie, la sua rilevanza come patrimonio culturale industriale e il suo potenziale come uno strato culturale delle città che deve essere registrato. Negli ultimi decenni il settore turistico tradizionale è cambiato sostanzialmente. L’aumento del livello di vita dei cittadini, il miglioramento nella formazione educativa, la riduzione del prezzo delle tasse di mobilità, il consumo interattivo, l’interesse per la tecnologia, la richiesta di una formazione permanente e, evidentemente, l’obsolescenza dei modelli di produzione, tra gli altri fattori, hanno permesso la nascita di nuovi settori tematici relazionati con il concetto di turismo culturale. Il turismo industriale, supponeva una nuova branca dell’attività turistica che stà avendo uno sviluppo spettacolare negli ultimi anni e che ha condotto all’apparizione di una nuova tendenza del turismo, chiamata precisamente turismo industriale.Questo turismo si traduce oggi, non solamente in visite alle installazioni industriali già in disuso o di imprese storiche ancora operative, ma anche nell’accesso ai complessi industriali attuali che si trovano in piena attività e cambio tecnologico permanente. Va messa in evidenza l'organizzazione di percorsi specifici di carattere industriale che completano altri tradizionali storico-artistici. Questa tendenza si può identificare, in un’ampia prospettiva, come un’attività: - Che si interessa per la conoscenza dei processi produttivi nella sequenza che va dalla materia prima al prodotto, per i suoi procedimenti, per le sue installazione e i macchinari e per il modo di vivere dei lavoratori, i tecnici e gli impresari. - Che incorpora una dimensione storica che trascende la Rivoluzione industriale e include le attività preindustriali tali come l’artigianato e i mestieri tradizionali. - Che supera la dimensione oggettiva del patrimonio per contestualizzarlo nel suo territorio sotto la denominazione dei Paesaggi Urbani Storici della Produzione. - Che considera tanto la visita e la conoscenza del patrimonio industriale lasciato dalle attività economiche già chiuse, come le industrie in attività. - Che interviene trasversalmente dall’architettura, la geografia, l’antropologia, la sociologia, la storia dell’arte e la storia economica. - Che i beni catalogati e protetti devono essere rispettati dalla pianificazione urbana. La storia della città è carente della dimensione interpretativa che fornisce l'inserimento degli eventi e delle testimonianze, fisiche o immateriali, relazionate alla cultura industriale. L’interpretazione del suo patrimonio culturale, appare sprovvista, eccetto determinati punti di riferimento monumentali, di contenuti relazionati con l’industrializzazione che, oggi denominiamo Patrimonio Industriale. La città e il territorio periurbano deve essere inteso per la sua diversità, ovvero come il risultato di una evoluzione storica continua definita da differenti processi sui quali si possono stabilire diverse storie e racconti. Si deve testare una nuova visione superando la considerazione del patrimonio monumentale tradizionale per coinvolgere gli impresari e i lavoratori, il patrimonio industriale e le imprese attuali, nella struttura patrimoniale della città. 1441

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Il turismo industriale: nuovi scenari urbani per la cittadinanza, le imprese, l’innovazione e il patrimonio

Il turismo industriale costituisce un istruttivo, autentico e divertente modo di valutare: i processi tecnici che furono sviluppati nelle imprese industriali, il buon know-how dei suoi lavoratori, la ricchezza dei loro prodotti, la dimensione storica di queste industrie, la sua rilevanza come patrimonio culturale industriale e il suo potenziale come uno strato culturale delle città che deve essere registrato. Negli ultimi decenni il settore turistico tradizionale è cambiato sostanzialmente. L’aumento del livello di vita dei cittadini, il miglioramento nella formazione educativa, la riduzione del prezzo delle tasse di mobilità, il consumo interattivo, l’interesse per la tecnologia, la richiesta di una formazione permanente e, evidentemente, l’obsolescenza dei modelli di produzione, tra gli altri fattori, hanno permesso la nascita di nuovi settori tematici relazionati con il concetto di turismo culturale. Il turismo industriale, supponeva una nuova branca dell’attività turistica che stà avendo uno sviluppo spettacolare negli ultimi anni e che ha condotto all’apparizione di una nuova tendenza del turismo, chiamata precisamente turismo industriale.Questo turismo si traduce oggi, non solamente in visite alle installazioni industriali già in disuso o di imprese storiche ancora operative, ma anche nell’accesso ai complessi industriali attuali che si trovano in piena attività e cambio tecnologico permanente. Va messa in evidenza l'organizzazione di percorsi specifici di carattere industriale che completano altri tradizionali storico-artistici. Questa tendenza si può identificare, in un’ampia prospettiva, come un’attività: - Che si interessa per la conoscenza dei processi produttivi nella sequenza che va dalla materia prima al prodotto, per i suoi procedimenti, per le sue installazione e i macchinari e per il modo di vivere dei lavoratori, i tecnici e gli impresari. - Che incorpora una dimensione storica che trascende la Rivoluzione industriale e include le attività preindustriali tali come l’artigianato e i mestieri tradizionali. - Che supera la dimensione oggettiva del patrimonio per contestualizzarlo nel suo territorio sotto la denominazione dei Paesaggi Urbani Storici della Produzione. - Che considera tanto la visita e la conoscenza del patrimonio industriale lasciato dalle attività economiche già chiuse, come le industrie in attività. - Che interviene trasversalmente dall’architettura, la geografia, l’antropologia, la sociologia, la storia dell’arte e la storia economica. - Che i beni catalogati e protetti devono essere rispettati dalla pianificazione urbana. La storia della città è carente della dimensione interpretativa che fornisce l'inserimento degli eventi e delle testimonianze, fisiche o immateriali, relazionate alla cultura industriale. L’interpretazione del suo patrimonio culturale, appare sprovvista, eccetto determinati punti di riferimento monumentali, di contenuti relazionati con l’industrializzazione che, oggi denominiamo Patrimonio Industriale. La città e il territorio periurbano deve essere inteso per la sua diversità, ovvero come il risultato di una evoluzione storica continua definita da differenti processi sui quali si possono stabilire diverse storie e racconti. Si deve testare una nuova visione superando la considerazione del patrimonio monumentale tradizionale per coinvolgere gli impresari e i lavoratori, il patrimonio industriale e le imprese attuali, nella struttura patrimoniale della città. Juli§n Sobrino Simal, Pietro Viscomi, Francisco Javier Rodr²guez Barber§n, Sheila Palomares Alarc·n

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Turismo industriale nella “Vale do Ave”: una proposta di sviluppo nella regione nordovest del Portogallo

M. Elena Castore Universidade do Porto – Porto – Portogallo

Parole chiave: Patrimonio Industriale, Turismo Industriale, Vale do Ave, Rota do Patrimonio Industrial do Vale do Ave, Guimarães, Zona de Couros. 1. Introduzione

Localizzata nella Regione Nord del Portogallo, la Vale do Ave (Valle dell’Ave) si estende per circa 1.400 km² e corrisponde al bacino idrico del fiume Ave. Amministrativamente, il suo territorio comprende interamente i municipi di Guimarães e Vila Nova di Famalicão, e parzialmente altri 13 municipi ubicati tra i distretti di Braga e Porto. Chi percorre oggi questa regione, incontra un paesaggio caratterizzato da un’urbanizzazione diffusa dove aree naturali e rurali convivono insieme a zone industriali abbandonate, sparse nel territorio, e a stabilimenti produttivi che, modernizzandosi, sono sopravvissuti al fenomeno della deindustrializzazione. L’industria ha avuto un peso predominante nella trasformazione recente di questo territorio e nella configurazione del suo paesaggio attuale e la sua presenza, tangibile e intangibile, è un elemento di forte identità locale. Il suo declino ha provocato una profonda crisi economica e sociale, dalla quale la regione sta tentando di riprendersi, investendo tanto nel recupero del settore industriale, tanto nello sviluppo dei settori culturale e turistico. In quest’ambito, l’industria con il suo ricco patrimonio abbandonato e attivo è diventata negli ultimi anni oggetto di una serie di iniziative di valorizzazione e salvaguardia che hanno l’obiettivo di divulgare la conoscenza di questo territorio, incentivandone la promozione turistica, contribuendo, pertanto, allo sviluppo della regione. 2. Il ruolo dell’industria nella “Vale do Ave”: da agente di trasformazione socio-economico-territoriale a patrimonio culturale

La storia recente della Valle dell’Ave è segnata profondamente dal processo d’industrializzazione che, a partire dall’ultimo quarto del XIX secolo, si installò in questo territorio come conseguenza della progressiva delocalizzazione dell’ industria urbana portuense verso territori rurali vicini. Le caratteristiche socio-geografiche di questa regione, tradizionalmente dedita all’attività agricola, ma con una spiccata vocazione produttiva, riflessa in una ricca attività artigianale e manifatturiera, si unirono a una serie di altri fattori che, in pochi decenni, trasformarono questa regione in una delle più industrializzate del paese1. Il successo del primo grande cotonificio a vapore, la Fábrica de Fiação de Vizela, costruito sulle sponde del fiume Vizela, nella località di Negrelos, nel 1845, ad opera di un gruppo di industriali portuensi con il duplice obiettivo di captare capitali e sopperire al problema della mancanza di filo della nascente industria urbana portuense2, incentivò l’installazione dei primi grandi cotonifici cittadini a partire dal 1850, e qualche decennio più tardi di unità industriali ancor più moderne nella regione dell’Ave.

1 Tra i principali fattori che favorirono l’industrializzazione di questo territorio si evidenzia l’abbondanza di acqua, risorsa naturale necessaria per la fornitura di energia, l’abbondanza di terreni a poco prezzo e di mano d’opera, l’esistenza di una nuova ed efficiente infrastruttura ferroviaria, necessaria per il trasporto di materie prime e di prodotti finiti, la vicinanza alla città di Porto, importante piattaforma di commercio coloniale. 2 J. M. Morais Lopes Cordeiro, A Indústria Portuense no Século XIX. Tesi di Dottorato. Guimarães, Universidade do Minho, 2006.

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Qui la produzione di tessili in cotone sostituì rapidamente la tradizionale attività manifatturiera del lino, trasformando in pochi anni questa regione in uno dei principali poli di produzione cotoniera del paese. Grandi e moderni cotonifici, localizzati inizialmente nella regione del Medio Ave, sulle sponde dei principali corsi d’acqua, a partire dai primi anni del XX secolo cominciarono ad essere costruiti anche in aree più interne, grazie all’introduzione di nuove forme di energia che intensificavano il processo di meccanizzazione3. Nel 1905, la costruzione della prima centrale idroelettrica nella località di Bairros, appartenente ad uno dei più grandi gruppi industriali della zona, incentivò nei decenni successivi la costruzione di altre importanti centrali, che ancora oggi forniscono energia a tutta la regione Nord del paese. Nonostante il predominio del settore tessile, le nuove forme di energia e tecnologia incoraggiarono lo sviluppo di nuovi rami industriali, (in particolare il metallurgico e il settore delle confezioni), favorendo contemporaneamente lo sviluppo di un’urbanizzazione diffusa nel territorio. A partire dagli anni ’30, nonostante le ripetute crisi internazionale del settore tessile, una serie di condizioni favorevoli stimolarono la crescita e una relativa modernizzazione dell’industria tessile nella Valle dell’Ave, che a dispetto di altre zone del paese e della stessa industria urbana portuense, continuò a crescere e a consolidarsi fino agli anni ’50. Anche se in ritardo rispetto ad altri paesi, però, a partire dagli anni ’90, il processo di deindustrializzazione ha colpito anche questa regione, con la chiusura di tutti quegli stabilimenti industriali che negli ultimi decenni non sono più riusciti a competere con i mercati internazionali, per incapacità o impossibilità di modernizzarsi, dando così inizio ad un periodo di profonda crisi economica e sociale. L’emigrazione si è presentata come unica soluzione di fronte agli alti tassi di disoccupazione che hanno reso la Valle dell’Ave una delle zone più depresse del paese. Tuttavia, la sopravvivenza di alcune grandi unità industriali ha spinto negli ultimi anni a scommettere in una rinascita, seppure parziale, del settore industriale nella regione. D’altra parte, seguendo le recenti tendenze internazionali, le politiche di rigenerazione territoriale si stanno aprendo verso la valorizzazione culturale e turistica di un territorio che presenta grandi potenzialità, finora inesplorate. Accanto alle risorse paesaggistiche e culturali della zona, che conserva un ricco patrimonio storico e architettonico, i grandi edifici industriali abbandonati e disseminati nel territorio, rappresentano la testimonianza viva di una storia recente e dell’identità di questa regione, segni indelebili nella memoria collettiva delle comunità locali. 3. Il patrimonio industriale come elemento di valorizzazione turistico-culturale della regione

Il riconoscimento del valore patrimoniale dei beni, materiali e immateriali, legati al processo d’industrializzazione della Valle dell’Ave, avvenuto negli ultimi anni, ha favorito all’inizio del nuovo millennio l’elaborazione di un progetto di valorizzazione turistica del patrimonio industriale di questa regione, denominato “Rota do Patrimonio Industrial do Vale do Ave”. Il progetto, promosso nel 2002 con fondi europei dall’ADRAVE, l’agenzia per lo sviluppo regionale della Valle dell’Ave, aveva come obiettivo “inventariare, studiare, valorizzare e musealizzare” questo patrimonio, con il fine di farlo conoscere e renderlo accessibile ad un numero sempre più alto di interessati4. La Rota si articola in tre itinerari tematici principali –che possono suggerire la creazione di percorsi tematici secondari – percorrendo 23 centri di visita, localizzati nel territorio di 8 municipi della regione.

3 J. Fernandes Alves, «A Indústria Têxtil do Vale do Ave», in Património e Indústria no Vale do Ave. Um passado com futuro, a cura di J. Amado Mendes, et Isabel Fernandes, Vila Nova de Famalicão, ADRAVE, 2002, p. 376. 4 S. Faro, Rota do Património Industrial do Vale do Ave, Vila Nova de Famalicão, ADRAVE, 2002, p. 5.

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Ciascun centro corrisponde a un’unità industriale; otto tra queste, una per ciascun municipio, è stata pensata come polo museologico, elemento puntuale di un progetto di musealizzazione globale dell’intero territorio. In ciascun polo, un sistema di elementi standardizzato (pannelli, informatici, leggende inserite nella pavimentazione, etc..) fornisce le informazioni essenziali sul locale e sulla tematica della rotta di appartenenza. Il progetto prevedeva la connessione degli 8 poli museali attraverso percorsi suggeriti nel materiale di propaganda, oltre che da un sistema di segnaletica stradale5. I tre itinerari proposti percorrono il territorio con l’obiettivo di mostrare differenti aspetti legati, direttamente o indirettament,e al patrimonio industriale della regione. Il primo percorso, Rio e mecanismos da agua – da energia hidraulica à energia electrica6, risalta l’importanza dell’acqua come elemento energetico, a partire dall’installazione delle prime strutture produttive di carattere proto-industriale fino ai grandi complessi industriali moderni del secolo scorso. Il secondo, Espaços de produçao – variedade e complexidade7, evidenzia le diverse tipologie di spazi produttivi-industriali che dinamizzarono fin da tempi remoti questo territorio. Il terzo, Paisagem Industrial – persistencias locais e modernizaçao8, si sofferma sul ruolo che l’industrializzazione ha avuto nella formazione del paesaggio attuale. In realtà, il progetto appena illustrato, che ha prodotto la pubblicazione di una serie di testi e, successivamente, di un sito-web in cui le informazioni sono state riorganizzate in modo interattivo, non si è mai trasformato in un vero strumento di turismo industriale. L’assenza di materiale informativo e promozionale, così come di segnaletica stradale, uniti alla difficoltà di accesso di alcuni dei poli proposti, hanno reso difficile la divulgazione di questo studio, la cui conoscenza si è limitata, finora, a tecnici del settore e a studiosi di quest’area patrimoniale. Tuttavia, negli ultimi anni, alcuni dei municipi che integrano il progetto, hanno proposto autonomamente una serie d’iniziative per promuovere la conoscenza del territorio e di questo importante patrimonio della regione. Alcune interessanti esperienze di riqualificazione e riutilizzazione di beni industriali a scopi culturali e turistici sono state compiute nel Municipio di Santo Tirso, con il recupero di una parte dell’antica Fabrica de Fiação Santo Tirso e la sua trasformazione in un polo d’industrie creative e culturali, ma soprattutto nel municipio di Guimarães, dove si concentra un ricco e differenziato patrimonio industriale, che negli ultimi anni è stato oggetto di recupero e riqualificazione. 3.1. La riconversione di aree e edifici ex-industriali a fini turistico-culturali nella citta di Guimarães.

Maggior centro di produzione tessile di artefatti in lino della regione, prima dell’installazione dei grandi e moderni cotonifici che la trasformarono in uno dei principali poli produttori di tessili in cotone del paese, Guimarães si affermò nel corso dei secoli passati come importante centro artigianale di coltelleria e soprattutto di lavorazione del pellame. La storia della città però, più che per il suo passato industriale, è da sempre nota per il suo forte legame con la fondazione dell’identità nazionale del paese, a partire dal secolo XII. Il suo ricco patrimonio storico, artistico e architettonico, racchiuso entro le mura medievali del suo nucleo urbano più antico, oggetto di interessanti interventi di recupero a partire dagli anni ’ 80, nel 2001 le ha fatto conquistare il titolo UNESCO di Patrimonio mondiale dell’Umanità. Con la nomina, nel 2012, di Capitale Europea della Cultura, la città ha investito nella riqualificazione e valorizzazione dei suoi beni culturali già riconosciuti per il loro valore

5 S. Faro, op. cit., 2002, pp. 19-20. 6 Il fiume e i meccanismi dell’acqua – dall’energia idraulica all’energia elettrica. 7 Gli spazi della produzione – varietà e complessità. 8 Paesaggio Industriale – persistenze locali e modernizzazione.

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patrimoniale, ma anche nel recupero e nel riuso di un ricco patrimonio industriale poco valorizzato fino a quel momento. Fondandosi sul tema “Entre a identidade e a inovação: Construção ao longo do tempo9, gli interventi programmati per Guimarães Capitale della Cultura Europea 2012 hanno cercato di coinvolgere la popolazione nel processo di rigenerazione urbana, sociale ed economica della città, consolidando le sue risorse e potenziando l’offerta culturale e turistica. In questo senso, intervenire sulla trasformazione del tessuto industriale locale e dei vestigi di una storia recente ha funzionato, cosi come per gli spazi pubblici, come un “catalizzatore emotivo” per coinvolgere la comunità locale10. Tra le otto nuove attrezzature pubbliche con funzione culturale sorte in questo contesto, 7 sono state il risultato di interventi di recupero e riuso di edifici industriali localizzati in zone varie della città. Interessa in questo lavoro analizzare, anche se brevemente, la riqualificazione di una di queste aree, la zona di Couros, che concentra le tracce di una delle principali attività industriali di Guimarães, la “curtiduria” (la conceria delle pelli). La Ribeira de Couros, che prende il nome dal piccolo corso d’acqua che la attraversa, localizzata a sud delle mura del nucleo storico della città, si caratterizzò fin dal medioevo come zona di conciatura delle pelli, grazie alla sua vicinanza e contemporaneo isolamento dalla città e alla presenza dell’acqua, necessaria per lo svolgimento di quest’attività. La conciatura non si trasformò mai in vera e propria attività industriale come accadde per altri settori, come il tessile, ma raggiunse il suo auge durante la prima metà del secolo XX, entrando in decadenza a partire dagli anni ’60. L’insalubrità, conseguenza dei vari processi di lavorazione del pellame, l’obsolescenza tecnologica ed il trasferimento degli investimenti nel settore tessile portarono alla progressiva scomparsa di quest’attività. Tuttavia l’ultima fabbrica della zona ha chiuso solo nel 2005. L’importanza della zona de Couros venne già riconosciuta nel 1977 quando fu classificata di Interesse Pubblico da parte della Direcção-Geral do Património Cultural, (l’organo statale che si occupa della gestione del Patrimonio Culturale in Portogallo), costituendo una delle azioni pioniere nel paese nell’ambito del riconoscimento del valore patrimoniale e successiva protezione legale di una zona industriale. In occasione del programma di interventi realizzati nel 2012, il Municipio di Guimarães ha promosso una serie di lavori di riqualificazione degli spazi pubblici, tra cui la rivitalizzazione dei margini del fiume Couros, e delle antiche fabbriche di conciatura della Zona de Couros, all’interno del programma Campurbis. Quest’ultimo prevedeva l’installazione, in questa zona, di un nuovo polo universitario dell’ Università del Minho, oltre che di una serie di servizi, tra cui l’installazione di un Albergo della Gioventù con 84 posti letto per stimolare il turismo giovanile in questa zona. Tra gli edifici recuperati e adeguati a nuovo uso si trovano tre importanti fabbriche di conceria: la Fábrica de Curtumes da Ramada, la Fábrica Freitas & Fernandes, e la Fábrica Ancora. La prima, costruita a cavallo tra il XIX e il XX secolo, venne parzialmente distrutta da un incendio nel 1955 e ricostruita modificando il suo impianto originario. Arrivò ad impiegare circa 60 lavoratori e fu l’ultima fabbrica a chiudere nel 2005. È stata recuperata per installarvi l’Istituto di Design, gestito dal Municipio e dall’Università del Minho. La seconda fabbrica, nata come conceria nel 1860, fu trasformata in fabbrica tessile intorno alla metà del secolo passato. Disattivata da circa vent’anni, è stata recuperata per accogliere un Centro di Formazione e un centro Post-Laurea dell’Università del Minho. La Fabrica Ancora risale anch’essa al 1860 e fu disattivata circa un secolo dopo. Oggi ospita il Centro Ciência Viva, gestito dal Municipio e dall’Università del Minho11.

9 “Tra identità e innovazione: Costruzione lungo il tempo”. 10 C. F. Neves, Intervir no Patrimonio Industrial. Um estudo da Guimarães 2012. Dissertação de Mestrado Integrado pela Faculdade de Arquitectura da Universidade do Porto. Porto, Universidade do Porto, 2013-14, p. 87. 11 C. F. Neves, op. cit., 2013-14.

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Riqualificazione dello spazio pubblico nella Zona de Couros, 2016

4. Considerazioni finali Le iniziative e i progetti di valorizzazione turistico-culturale del patrimonio industriale della Valle dell’Ave presentati in questo lavoro mostrano l’interesse che negli ultimi anni si è accesso nei confronti dei beni di carattere industriale e nella possibilità che gli stessi possano diventare strumenti di rigenerazione economica e sociale di questa regione. Nel caso della Rota do Patrimonio Industrial do Vale do Ave, il progetto si è concretizzato appena in uno studio senza, di fatto, trasformarsi in uno strumento valido per lo sviluppo turistico della Valle dell’Ave. Tuttavia, sulla base di un’esperienza che finora non ha avuto buon esito, la Comunidade Intermunicipal do Ave, organo amministrativo della regione, sta studiando la possibilità di un nuovo progetto che possa finalmente tradursi in una realtà effettiva di sviluppo locale valorizzando il ricco patrimonio della regione. Nel caso della Zona de Couros nella città di Guimarães, gli interventi di riqualificazione e riuso degli spazi e degli edifici industriali realizzati in occasione di Guimarães Capitale della Cultura Europea 2012, oltre a salvaguardare e valorizzare un importante patrimonio della città hanno portato a proporre, nel 2016, l’iscrizione della Zona di Couros nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità, allargando l’area attualmente classificata come “Centro Storico di Guimarães” e ridefinendo i limiti della “zona tampone” di protezione dell’ area già classificata.

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Recupero della Fábrica Freitas & Fernandes, 2016

Bibliografia

C. F. Neves, Intervir no Patrimonio Industrial. Um estudo da Guimaraes 2012. Dissertação de Mestrado Integrado pela Faculdade de Arquitectura da Universidade do Porto. Porto, Universidade do Porto, 2013-14. F. da Silva Costa, «A indústria têxtil na bacia hidrográfica do rio Ave - uma perspectiva segundo as fábricas de fiação e tecidos, numa relação historicamente sustentada pelo Domínio Público Hídrico», in Memória social, patrimónios e Identidades, Porto, Actas do XIX Encontro da APHES, 2009. J. Fernandes Alves, «A Indústria Têxtil do Vale do Ave», in Património e Indústria no Vale do Ave. Um passado com futuro, a cura di J. Amado Mendes, et Isabel Fernandes, Vila Nova de Famalicão, ADRAVE, 2002, pp. 372-389. J. M. Morais Lopes Cordeiro, A Indústria Portuense no Século XIX. Tesi de Doutoramento. Guimarães, Universidade do Minho, 2006. Património e Indústria no Vale do Ave. Um passado com futuro, a cura di J. Amado Mendes, et Isabel Fernandes, Vila Nova de Famalicão, ADRAVE, 2002. S. Faro, Rota do Património Industrial do Vale do Ave, Vila Nova de Famalicão, ADRAVE, 2002.

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The Material and Immaterial Urban Remains of a Railway Heritage – the case of Araraquara/SP (Brazil)

Fernanda de Lima Lourencetti Universidade de Évora – Évora – Portugal

Keywords: Railway Heritage, Urban Landscape, São Paulo State, Araraquara, Material Heritage, Immaterial Heritage. 1. Introduction The aim of this article1 is to contribute to the Estrada de Ferro Araraquara (E.F.A.) safeguard. In the mid-XIX century, the railway was responsible for the design of the main existing transport routes, urban centers and the territorial occupation of São Paulo State (Saes, 1981). The railway had an important role in the coffee market growth and it was the initial impetus to the industrial development in the western region of the State; meanwhile, the paved roads seemed to emerge as a better system when the acceleration of the national territorial consolidation and the modernization of the economic foundations were valuable opportunities, thus, the road system expanded in a higher rate than the railway system. Araraquara made part of this scenario. Recently, due to the construction of a new railway branch out of the city, the urban railway tracks are being deactivated, therefore, it is important to reuse it and to preserve its memory. Currently, due to the industrial displacement from the inside of the urban grid to its suburbs, which is the Araraquara railway situation, the industrial heritage has been the focus of many urban discussions. Some artists’ and researchers’ work support the railway heritage safeguard. When many studies about Araraquara are put in parallel, the railway influence in its cultural, economic and demographic development is highlighted. Therefore, this article will present a reflection about the preservation of the urban tracks of Araraquara from the comprehension of its importance as a material and immaterial heritage. 2. Material Railway Heritage

The Italian José Bertoni, merchant and the Italy’s General Consulate representative in Araraquara, was chosen to build the first railway station of the city, when the railway tracks arrived in São Carlos, just 20 km far from Araraquara (Martins; Bergamin, 2012). The whole building was built by wood, it was small, extended by a covered patio and located relatively far away from the urban center. This infrastructure does not exist anymore, the building was rebuilt in 1915, when it assumed the architecture partially preserved as the Railway Museum Francisco Aurelino de Araújo (2011).

Fig. 1. Araraquara railway station in 1910 and 2002. Fonte: W. L. C. Barcellone (2009)

1 This article received some support from the Centro Interdisciplinar de História, Culturas e Sociedades - CIDEHUS - UID/HIS/00057/2013 (POCI-01-0145-FEDER-007702).

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After the construction of the first station, the railway turned to be a second urban centrality, because it attracted the city growth in its direction and the emergence of many new urban services, neighborhoods and industries in the other side of a river that the city was flanked by. In 1896 (Martins; Bergamin, 2012), the Companhia de Ferro Araraquara was created, but, due to a sequence of epidemics diseases during 1890s, the first headquarters was located in the State Capital, the city of São Paulo. The railway infrastructure was expanded through the construction of a maneuvering yard and workshops, which increased an urban gap between the two sides of the railway tracks. From 1900, the City Hall and the Railway Company have developed a number of initiatives for the opening of roads to connect both parts of the city. Still in the mid-XIX century, the land became a valuable product, consequently, many allotments were designed. The urban planning, from this moment on, took in account the transportation system to develop the urban grid. Thus, the circulation areas were one of the themes developed in the elaboration of some municipal rules, known as Código de Posturas. Araraquara first Código de Posturas date in 1867 (Lança, 2009), before the railway arrival. This document was revised in 1902, after the epidemics of smallpox (1890) and yellow fever (1895). While the Código de Posturas had concerns about the mobility, any significant rule to the railway integration in the urban life was found over the years. In 1997, 130 years after the first Código de Posturas creation, the requirements created to the railway were still insignificants in terms of urban concern. The only proposition of the Código de Posturas of this year was the construction of a parking lot to 15 vehicles2. Other public initiatives seem to contribute to the railway urban alienation. In 1900, the national Law nº 498 was launched; this law gave some tax exemption to land owners able to build working-class neighborhoods out of the city center (Rolnik, 1999). At this moment, some of them, like Vila Xavier, were built in Araraquara on the opposite side of the railway, far from the urban grid; they were built by the Railway Company. Thus, to connect the new suburb to the urban center, some tunnels were constructed with the involvement of the railway workers. The older houses of the working-class neighborhoods were ready in 1920. After the First World War, the national railway situation was not prosperous. The Companhia de Ferro Araraquara bankrupted in 1914; due to that, in 1916, the The São Paulo Northern Railway Co. became the railway manager, the company was coordinated by the French Paul Deleuse (Martins; Bergamin, 2012). However, this company did not invest in the railway, consequently, in 1919, there was a strike, thus, the Government reclaimed the railway and, at this moment, the Companhia de Estrada de Ferro Araraquarense (E.F.A.) was created. During the 1920s, the urban growth was further accelerated due to a coffee price decrease and the banks acceptance of mortgages as loan guarantee. As an effort to control the economy, the Federal Government started to charge some taxes over new coffee plantations, thus, the investors redirected their finances to the property sector (Rolnik, 1999). Therefore, Araraquara was developing very fast, some paved roads started to be built, in the end of the 1930s, to connect the city to the State Capital, like the highway Washington Luís, inaugurated in 1948. Around 1938, Vila Xavier became a part of a urban project called Cidade Ferroviária (Railway City), but it was only in 1947 that the worker’s houses construction started; they were inaugurated in 1948 (Martins; Bergamin, 2012). Some years later, in 1954, more 200 houses were ready next by the old maneuvering yard and workshops; currently these two buildings are used by América Latina Logística – ALL. Even the rail tracks, currently used by this same company, were changed; in the beginning the railway tracks of E.F.A were built by a narrow gauge (1,00m), unlike the tracks that arrived to Araraquara from São Paulo, thus, in 1952, all the railway tracks were replaced by the large gauge (1,60m) (Dardes, 1987). 2 Item “c”, paragraph 2, Article 232, III section, XIII chapter of the Lei Complementar nº 18, December 22, 1997.

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Besides these urban infrastructures and services, the railway is related to many others, like: a big house of the German Carlos Neck, an old director of Cia. Araraquara, built in 1910, considered a “beauty reference”; the Railway Professional School built by the railway workers (1930); a tunnel built by the railway workers under the railway tracks almost 600 meters far from the Nestlé industry (1940); a viaduct of almost 400 meters of extension built by the railway workers; the Associação Ferroviária de Esportes (A.F.E.) built to and by the railway workers during the 1950s, where the Ferroviária soccer time was created; and a tank of oil. Even the industrial meccanization of the city started by the railway, which, in conjunction with Fábrica Lupo, received the first IBM computers of Araraquara (Bergamin, 2013). From the 1950s, the country industrialization grew. In Araraquara, an Industrial District was built between 1962 and 1976, which contributed to the unorganized urban growth, resulting in the spread of many working-class neighborhoods. Therefore, the property speculation was so intense that Araraquara gained many urban gaps, a urban process that needed to be controlled by the Municipal Government around the 1970s (Zequim, 2007). Since then, the regularization of an allotment was possible only if the area already had all the urban infrastructure necessary, like energy and water systems. The National Law nº 10.257, approved on July 10, 2001, called Estatuto da Cidade, was created to try to create a more social and inclusive policy, trying to avoid this urban speculation. This Law establishes some guidelines to be followed by all Brazilian municipalities, and to this end, it requires the creation of a master plan (Plano Diretor) to all cities. The first Plano Diretor of Araraquara was launched in 1971, which does not have any kind of important quote about the railway. The only urban strategy to the railway area was the creation of a non aedificandi area of 15 meters of width in both sides of the railway tracks. Besides that, even the concerns about the urban heritage is not mentioned along this document. With the passing time, things changed. The last Plano Diretor of Araraquara (2014) established rules and interests in urban cultural heritage conservation, revitalization and preservation, considering the railway as a part of this panorama. The railway area is defined as strategic for the insertion of new “centralities and urban spaces”. The area has been called Avenida Parque Orla Ferroviária (Park-Avenue Railway), all the railway of the city became a part of the “Corridors and Poles of urban centers” (CEU). The aim of this plan is to transform the area around the railway in a green belt. Among the projects planned for the Orla Ferroviária, some connection routes between the two sides of the railway were designed, as well as: a landscape project (linear park), a feasibility study of a Light Rail Vehicle connected to the bus system, a bike path, the creation of a Public Administrative Centre and leisure/recreation areas with extensive reforestation areas. Therefore, the municipality has established guidelines for the full reintegration of the railway area and the preservation of its memory. However, not only the railway material heritage is bigger than its own infrastructure, but there are many possible ways to preserve its memory, which requires a reflection and an appreciation on the part of citizens. 3. Railway Cultural

The railway attracted many immigrants looking for new opportunities, therefore, many industries have emerged from railway workers initiatives, some of them are internationally known. The Italian Antonio Blundi, for example, in 1913 (Hildebrand, 2015), after working for the São Paulo Railway Company (company that connected the West of São Paulo to the coast), has created a coffee peeler patented by the Scottish industry Mac Hardy. The Spanish ex-railway worker Celso Martinez Carrera made part of some technological innovation too. In 1909 (Piacentini, 2015), he started the wood furniture factory Furniture Carrera, where he

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created a wooden bed for hospitals. This furniture has a specific design and even then it was only produced in iron. During the First World War, the iron importation got expansive, so the creation of Carrera was very successful. However, the Spanish did not patent the product, thus, one of his employees made it, becoming the owner of the design. Due to this, the factory collapsed. There were some industries that were not directly related to the railway workers, but they were attracted by the railway infrastructure, as metal workshops and foundries, notably Serraria Luzitana of Virgílio Rodrigues and Cypriano Martinez. Even the food industry had its history linked to the railway. The pasta industry Carmona, of the entrepreneurs Nicholas Carmona and José Carmona, provided food for the cooperative of Estrada de Ferro Araraquara in the 1920 (Piacentini, 2014). During the Second World War, due to the shortage of wheat flour, the factory started to produce corn flour. This industry was closed in 1993. The Araraquara railway memory was taken over by some artists and researchers too. Sidney Rodrigues, an ex-railway worker, was professor at the Fine Arts School of Araraquara, an artist and a poet. One of his poems is called The Train. Ignácio de Loyola Brandão Lopes was not a railway worker, but his father was. The journalist reports many railway memories in the book A morena da estação. Francisco Bergamim (2013), current press journalist of Araraquara, made an investigation able to collect reports of old railway workers, who have today around 80 years old, preserving, like that, a memory that would get lost. All interviewed of Bergamim seemed to share the same melancholy in relation to the emergence of FEPASA – Ferrovia Paulista S.A., in 1971. The aim of this company was to manage all the São Paulo State railway system as one big system after the devaluation of the railway. So far, in Araraquara many railway workers were relocated to other offices, when the Politécnica de São Paulo (USP) sent its graduating students to assume the operations of the railway. “And then it became FEPASA, the workshop was closed, everything was over.” (Report of the old railway worker Orlando Steak, cit. for Bergamin, 2013, translated by the author) 4. Final Considerations

Since the end of the XIX century, the Araraquara railway has an important role in the city development. The railway workers became a part of the urban identity, being commonly used in the construction of various buildings and infrastructures. However, despite the railway being a common denominator in urban, economic and social studies of Araraquara, currently, this heritage is in danger of being lost. Analyzing the long term process of urban growth in parallel to the history of the railway it was possible to understand the relationship between the development of Araraquara and the path of the train, as well as the diversity of material and immaterial value of the railway infrastructure. More than the demographic and economic growth of the region crossed by the Estrada de Ferro Araraquarense, many infrastructures have been attracted by the railway, causing the development of a space and a social identity. The appreciation of this heritage might provide an appropriation of its space and memory by the current inhabitants of the city, contributing to its reintegration and safeguard. Bibliografia

A. Kopp, Quando o moderno não era um estilo e sim uma causa, Editora Nobel-Edusp, 1990. C. Zequim, Configuração da estrutura agrária na forma do tecido urbano nas cidades do oeste paulista – Linha Araraquarense, Scientific Initiation Research, UNESP/Bauru, 2007.

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F. A. Bergamim, Era assim... Abrindo as cortinas de ferro das memórias dos trabalhadores das oficinas E.F.A. Master Thesis in Regional Development and Enviroment, Araraquara University Center, 2013. F. A. M. de Saes, As ferrovias de São Paulo 1870-1940, São Paulo: Hucitec, 1981. F. Dardes, “As locomotivas GP-9L e GP-18 (EMD-GM) da EF Araraquara”, Revista Centro-Oeste, n. 22, 1987. Available in: http://vfco.brazilia.jor.br/diesel/gp9L18/CO-22-locomotivas-GP9L-GP18.shtml (2016). F. de L. Lourencetti, ESTRADA DE FERRO ARARAQUARENSE IN THE FRAMEWORK: The industrial landscapes of the West of São Paulo State as a heritage of the mobility, Master Thesis ERASMUS Mundus TPTI (Technique, Heritage and Industrial Landscape), Paris 1 – Panthéon – Sorbonne, Degli Studi di Padova and Évora University. Portugal, 2015. F. T. Martins, F. de A. Bergamin, Máquina estranha que consumia água e carvão e cuspia fumaça, Course Conclusion Paper for the Araraquara University Center, Livro-Reportagem. Author’s edition, 2012. J. F. de A. Lança, Praças e jardins do oeste paulista. A configuração e transformação do espaço público com a introdução da ferrovia: Ramal da Araraquarense. Scientific Initiation Research, UNESP/Bauru, 2009. M. C. Hildebrand, Formação e transformação das cidades do centro-oeste paulista: o rodoviarismo e a substituição do sistema ferroviário. Ramal Noroeste. Scientific Initiation Research, UNESP/Bauru, 2011. P. Piacentini, “Você se lembra do macarrão Carmona?”, Revista Kappa Magazine, ano 5, edition 91, n. 1, 2014, p. 30-32. R. Rolnik, A cidade e a lei: legislação, política urbana e territórios na cidade de São Paulo. 2ª edition, São Paulo: Studio Nobel: Fapesp (Coleção cidade aberta), 1990. W. L. C. Barcellone, O avanço da industria no Oeste Paulista: o Ramal Ferroviário da Alta Paulista, Alta Araraquarense, Noroeste, Sorocabana, Scientific Initiation Research, UNESP/Bauru, 2009.

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Urban rigeneration. Gli spazi post industriali: patrimonio identitario e luoghi

per un turismo esperienziale Cristina Natoli

MIBACT – Torino – Italia Parole chiave: industrial heritage, identità, rigenerazione, turismo esperienziale, valorizzazione.

La letteratura contemporanea in materia di turismo culturale fa emergere l’esigenza stringente di indirizzare i viaggiatori verso una fruizione innovativa, selezionata, caratterizzata e capace di coniugare i luoghi alle esperienze. Le statistiche che indicano il settore turistico in aumento in tutto il modo, evidenziano come fil rouge che accomuna il turista moderno, la necessità di vivere un’esperienza esclusiva, originale, autentica, che tenga conto della complessità delle aspettative e delle esigenze, e non unicamente quelle culturali e di conoscenza. Il patrimonio industriale, vissuto e sperimentato nelle sue molte forme, ancor più se intrecciato con altri elementi attrattivi culturali e tecnologici, possiede queste peculiarità. La rivoluzione industriale ha segnato profondamente i luoghi e la società che ne è stata parte. Dagli anni Novanta del secolo XX il fenomeno e i suoi prodotti materiali e immateriali sono stati progressivamente riconosciuti patrimonio culturale collettivo. Per i beni industriali non più attivi, che stigmatizzano interi comparti di città, si pone la responsabilità della tutela consentendo e veicolando una riconversione che ne preservi il carattere identitario. Il turismo industriale si è ritagliano nel tempo una precisa porzione di mercato, trovando declinazioni diverse in Europa, supportato da organi e associazioni a livello mondiale e locale - UNESCO, ONU, TICCIH, ICOMOS - tra i quali emerge l’ERIH, European Route of Industrial Heritage, per la creazione di una rotta virtuale di congiunzione fra i principali poli industriali europei incardinati sugli anchor points, ovvero quei luoghi riconosciuti come strategici per la storia industriale europea. Tra i siti legati alla rete ERIH ne sono annoverati anche molti italiani e rilevanti sono i luoghi post-industriali della penisola in cui sono state avviate attività di riqualificazione attraverso l’inserimento di nuovi soggetti, nuove realtà economiche tecnologicamente avanzate, creative e ad elevato contenuto di innovazione per qualità e produzione. Anchor point ed esempio di eccellenza italiana, entrato a far parte dei percorsi segnalati dall’ERIH, è lo stabilimento di Schiavon in provincia di Vicenza: le Distillerie Poli. Qui l’industria coincide con il luogo, con la sua gente, con la vita e qui l’industria diventa marca economica e culturale capace di trasformare una località produttiva in centro di turismo industriale e cultura. La visione lungimirante dei Poli ha fatto affiancare alla produzione di riconosciuta eccellenza, l’attività museale e culturale promuovendo l’esperienza turistica e di story telling insieme alla tradizione di impresa. Anche Prato ha messo in atto un processo di rigenerazione urbana partendo dal proprio patrimonio industriale. Primo anchor point in Italia, acquisendo così un connotato internazionale, Prato fu sede della rinomata Cimatoria Campolmi, dal 2003 Museo del Tessuto che vanta il primato di più importante e dinamica istituzione culturale permanente d’Italia dedicata allo studio, alla conservazione e alla valorizzazione del tessuto di moda. Macchinari, stoffe, un fondo librario, una collezione di bozzetti: l’ex fabbrica promuovere l’attività culturali e di ricerca nel restauro dei tessuti d’epoca, nelle nuove tecnologie, nella sperimentazione dei nuovi materiali e loro applicazione nella moda e nel design. Il Museo è scuola, laboratorio, centro di documentazione e ricerca, ossia è fabbrica di cultura, un luogo in cui si attinge dalle proprie radici per generare conoscenza, sviluppo e sostenibilità. Un

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esempio di business model con applicazione delle nuove tecnologie per una fruizione turistica di grande impatto emotivo. Le Distillerie di Schiavon e il Museo del Tessuto di Prato aderiscono perfettamente alle cinque tappe del turismo e del marketing esperienziale individuate da Hetzel nel 2002, ovvero: sorprendere – proporre lo straordinario – stimolare i cinque sensi – creare un legame - utilizzare la marca a servizio dell’esperienza1. La valorizzazione del patrimonio industriale e la promozione del territorio urbano ed extraurbano, possono essere una componente della programmazione e dello sviluppo turistico contribuendo alla salvaguardia, alla valorizzazione e alla promozione del diversificato heritage di un territorio. L’offerta in materia di turismo industriale è in costante ascesa in tutta Europa, in particolare il segmento che trova la sua ragion d’essere nel conoscere testimoniane industriali del passato, è una tipologia consolidata. Allo stesso modo, sono stabilmente attestate le esperienze di riconversione urbana di aree industriali in luoghi per il tempo libero, musei, parchi tematici, spazi fieristici, che hanno ricollocato il patrimonio industriale in una scenografia di turismo urbano. Tra gli esempi più noti, l’ex sede torinese Fiat Lingotto, riconvertita in spazi per attività ludiche, ricreative, didattiche, espositive e culturali, ricettive, che ha acquisito all’intendo della città una nuova centralità2, non più legata alla produzione ingegneristica ma alle nuove destinazioni d’uso; l’ex centrale termoelettrica di Londra Bankside Power Station, riconvertita in spazio museale e attività culturali sotto la direzione della Tate Modern Gallery3; il cotonificio Spinnerei nella periferia urbana di Lipsia, il più grande d’Europa, trasformato dal 2001 in hub per l’arte contemporanea e luogo di atelier, negozi artigianali, commerciali, gallerie espositive, studi e appartamenti per artisti e associazioni no-profit4; ed ancora quello che è certamente il maggiore tra gli interventi messi in atto nel campo della rigenerazione e del turismo industriale, ovvero il Parco Regionale dell'Emscher nel bacino estrattivo siderurgico della Ruhr in Germania, diventato nel 2001 patrimonio UNESCO e capitale continentale della cultura nel 2010 trasformandosi da miniera di metalli pesanti a miniera di cultura con un’azione combinata pubblico-privato senza precedenti5. Milano da anni ormai investe nella rigenerazione del patrimonio industriale, con finalità anche turistica, realizzando esperienze di grande successo ed episodi di significativa riconversione urbana, sociale e turistica. In zona Tortona, ad esempio, David Chipperfield ripensa gli spazi delle ex Officine Ansaldo, acciaierie specializzate nella produzione di locomotive, carrozze ferroviarie e tramviarie in cui nasce il MUDEC, Museo delle Civiltà, per la valorizzazione e la ricerca interdisciplinare sulle culture del mondo; l’antica Distilleria Società Italiana Spiriti, è architettonicamente riconfigurata da Rem Koolhaas in uno spazio per esposizione di mostre temporanee, un ambiente multifunzionale con sala cinematografica e una torre a cui si aggiungono i magazzini, i laboratori e i silos; il nuovo quartier generale di Giorgio Armani di via Bergognone 59, è progettato dal giapponese Tadao Ando nei silos per le granaglie dell’ex Nestlè, ed ancora, sempre in zona Tortona, le ex Officine Riva-Calzoni, sono state interamente rivisitate da Arnaldo Pomodoro per diventare spazio della Fondazione

1 P. Hetzel, Planète conso. Marketing expérientiel et nouveaux univers de consommation, Paris, Éditions d’Organisation, 2002, p. 134. 2 M. Riganò, G. Ricuperati, Visiorama: Lingotto, Mantova, Corraini, 2005. 3 J. Herzog, P. De Meuron, «Tate Modern» in Area, n. 72, 2004; R. Gambra, «Nuova Tate Modern di Londra», in Costruire in laterizio, n. 127, 2009. 4 Il Cotonificio Spinnerei di Lipsia. Un hub dell’arte contemporanea per una periferia industriale in un ex cotonificio, http://www.urban-reuse.eu. 5 M. Preite, Rigenerazione urbana e patrimonio industriale in Europa, in M. Preite (a cura di), La riconversione del patrimonio industriale. Il caso del territorio casalese nella prospettiva italiana ed europea, Firenze, Alinea, 2013, p.74 ; K. R. Kunzmann, L’IBA Emscher Park nel territorio della Ruhr: una retrospettiva, in V. Cerruti, C. Meneguzzo, Sesto San Giovanni. Un patrimonio industriale risorsa strategica per lo sviluppo urbano, Milano, INU Edizioni, 2011, pp. 18-22.

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e contenere il suo Labirinto; ed in ultimo, l’ex fabbrica di materiale rotabile Carminati Toselli, rinata nel 2002 come Fabbrica del Vapore, complesso stratificato di edifici riconvertito in centro multifunzionale dedicato alla cultura giovanile, alla creatività e turismo esperienziale. Nel 2015 ha ospitato Alma Mater, emozionante creazione multimediale di Yuval Avital, dal forte impatto sensoriale e metaforico, in dialogo con un’inedita versione del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto e un’installazione luminosa site-specific di dischi rivestiti in foglia d’oro di Enzo Catellani. E ancora, alla fine del 2016, la mostra itinerante dell’artista americano, Nathan Sawaya The Art of brick, con oltre cento opere realizzate con i celebri mattoncini Lego in 2D e 3D, riproduzioni dei capolavori dell’arte, dalla Gioconda alla Venere di Milo, spaziando fra l’arte classica, il Rinascimento e la Pop Art. È evidente che la città di Milano, capitale del Made in Italy e del design e con connotazione storica di motore economico del paese, stia costruendo una nuova immagine di sé aprendosi al turismo e puntando, tra le molte risorse, sul proprio tratto di città industriale. Turismo d’impresa, valorizzazione del patrimonio industriale, attività culturali e creative, multidisciplinarità e multifunzionalità delle attività, riqualificazione urbana sono gli ingredienti dei nuovi indirizzi di sviluppo sostenibile delle città per coprire i diversi segmenti del turismo industriale, dalla tradizionale visita al patrimonio dismesso alle “industrie vive”, luoghi in cui il visitatore può comprendere il processo e la cultura dell’impresa offrendo un’esperienza innovativa ed attraente per le aspettative postmoderne6. È il caso di Trivero, storica sede dello stabilimento industriale Ermenegildo Zegna immerso nelle montagne biellesi, da oltre un secolo leader nell’abbigliamento di lusso Made in Italy. Lungimirante imprenditore legato al proprio territorio, Ermenegildo Zegna aveva affiancato l’attività industriale ad altre di carattere socio-assistenziali, turistico-ambientali, fra cui la costruzione della celebre Panoramica Zegna. Proseguendo lungo la direttrice tracciata, il Gruppo Zegna oggi si attesta, non solo come polo industriale leader nel settore ma come polo culturale e meta di turismo industriale con l’apertura di Casa Zegna, originaria casa di famiglia degli anni ‘30, in cui si offre al visitare un emozionante escursus della storia imprenditoriale familiare e del mecenatismo ambientale e sociale. Qui si conserva l’archivio storico aziendale, una significativa collezione di campionari del XIX secolo, una mostra permanente - Cent’anni di eccellenza. Dalla Fabbrica del Tessuto alla Fabbrica dello Stile - che racconta dalle origini la storia del Gruppo Zegna, a fianco di spazi, interni ed esterni, per le mostre temporanee. Anche Torino punta sul proprio patrimonio industriale “vivo” proponendo, dal 2005, l’iniziativa Made in Torino - Tour the Excellent, progetto della Camera di Commercio, dell’Ente Turismo Torino, con la partenership della Provincia, per la promuovere la città anche attraverso la sua identità industriale e le eccellenze produttive di livello mondiale (Alenia, Aurora, Fiat, Iveco, Lavazza, Martini & Rossi). L’iniziativa prevede visite alle imprese unitamente al circuito turistico tradizionale dei beni storico-artistici della città integrando, in un’unica iniziativa, le eccellenze industriali simbolo del Made in Italy. Ancora degno di menzione, perché non solo importante momento di rigenerazione urbana ma di contestualizzazione territoriale di un’attività storica e identitaria, è il recupero e la rifunzionalizzazione del complesso industriale Lanificio Lombard a Stia, in provincia di Arezzo, per la creazione del Museo dell’arte della lana. Un percorso espositivo con diversi livelli di accessibilità ed occasione turistica per raccontare la storia dell’arte della lana, dalle origini della civiltà fino alla rivoluzione industriale, di cui il lanificio di Stia ha avuto un ruolo di spicco. Il Museo è stato concepito come una vera e propria esperienza sensoriale, un itinerario in cui vengono coinvolti i cinque sensi: si possono toccare i filati e le lane grezze, odorare gli oli per la lubrificazione della lana prima della cardatura e annusare il tessuto

6 L. Savoja, «La visita d’impresa. Da attrazione a prodotto turistico», in Rotur/Revista de ocio y turismo, n. 4, pp. 33-56.

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appena tinto, ascoltare i rumori dei telai ed imparare, provando direttamente le attrezzature del lavoro. Percorsi sonori, olfattivi e tattili per immergere il visitatore in un’esperienza autentica, coinvolgete e didattica che parte dal recupero e la valorizzazione dei fabbricati e porta alla riappropriazione da parte della comunità locale di una componente fondamentale del proprio vissuto. Rigenerazione urbana, patrimonio industriale, turismo esperienziale, rete, valorizzazione. Questi gli ingredienti del polo MUSIL, Museo dell’Industria e del lavoro che comprende la Città delle macchine a Rodengo Saiano, il museo dell’Energia idroelettrica nella Centrale di Cedegolo in Val Camonica e l’attuale Museo del erro nel quartiere S. Bartolomeo di Brescia, e, in fase di avviamento costruttivo la sede centrale che riqualificherà l’intero comparto urbano dell’ex stabilimento Tempini di Brescia. Obiettivo principale del progetto museale integrato è la conoscenza, divulgazione, studio dell’industrializzazione e delle trasformazioni storiche prodotte dalla sua diffusione e generalizzazione, trovando nel territorio bresciano un caso esemplare, di rilievo nazionale e europeo. I percorsi espositivi sono stati progettati come esperienze multisensoriali ed interattive, sollecitando, attraverso appositi allestimenti, il coinvolgimento fisico, razionale ed emotivo7.

Conclusioni La storia delle città e territorio del XX secolo è intrinsecamente legata a quella dell’industria, e la civiltà industriale può essere l’elemento attraverso il quale innervare culturalmente i luoghi a livello europeo poiché l’identità contemporanea europea è l’industria. Pensare in termini turistici il patrimonio industriale vuol dire riconoscerne appieno il valore culturale ed investire sulla sua valorizzazione a tutto tondo, passata e contemporanea, non unicamente di alcune parti, ed implica altresì, dal punto di vista dei contenuti, la creazione di un sistema di attività interattive, cognitive ed , che risultino attrattive al turista postmoderno che vuole essere protagonista del proprio viaggio attraverso la sperimentazione diretta ed entrando a far parte di un network dedicato al turismo d’impresa in rete con la complessità di beni culturali del territorio. Bibliografia

Il Cotonificio Spinnerei di Lipsia. Un hub dell’arte contemporanea per una periferia industriale in un ex cotonificio, http://www.urban-reuse.eu. R. Gambra, «Nuova Tate Modern di Londra», in Costruire in laterizio, n. 127, 2009. P. Hetzel, Planète conso. Marketing expérientiel et nouveaux univers de consommation, Paris, Éditions d’Organisation, 2002. J. Herzog, P. De Meuron, «Tate Modern» in Area, n. 72, 2004. K. R. Kunzmann, L’IBA Emscher Park nel territorio della Ruhr: una retrospettiva, in V. Cerruti, C. Meneguzzo, Sesto San Giovanni. Un patrimonio industriale risorsa strategica per lo sviluppo urbano, Milano, INU Edizioni, 2011M. Riganò, G. Ricuperati, Visiorama: Lingotto, Mantova, Corraini, 2005. Musil, Museo dell’industria e del lavoro, Brescia, Fondazione Musil, s.d. M. Preite, Rigenerazione urbana e patrimonio industriale in Europa, in M. Preite (a cura di), La riconversione del patrimonio industriale. Il caso del territorio casalese nella prospettiva italiana ed europea, Firenze, Alinea, 2013. L. Savoja, «La visita d’impresa. Da attrazione a prodotto turistico», in Rotur/Revista de ocio y turismo, n. 4, pp. 33-56.

7 Musil, Museo dell’industria e del lavoro, Fondazione Musil, Brescia, s.d.

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Milano. Silos Armani Milano. Fondazione Prada

Trivero. Casa Zegna

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Sleeping in a factory: The Bernardine Convent Residence in Tavira (Portugal)

Sheila Palomares Alarcón CIDHEUS-University of Évora – Évora – Portugal

Key Words: Convent, Rehabilitation, Industrial Heritage, Residence, Tavira (Portugal). 1. Introduction

Between 1820 and 1823, during the period known as the Trienio Liberal or Liberal Triennium, a legal process began in Portugal that was known as the “Confiscation,” which consisted of selling off part of the assets that belonged to the clergy, transforming them into national property. This process took place in different stages (1824-1834; 1834-1861) and included the property of the secular clergy during the nineteenth century, when uncultivated municipal and publicly owned lands were also put on sale from 1869 onwards. Many of these “confiscated” buildings and/or plots of land were used to build structures such as markets, hospitals, barracks and squares, contributing towards the urban development of the new industrial cities. Others, on the request of their new owners, essentially the new middle class, saw these new, large spaces as an opportunity to build factories, warehouses, or workshops. Over time, some of these properties deteriorated or were abandoned, with the loss of extraordinary artistic, documentary or bibliographic collections in the process. Also, many of the structures that formed a part of their construction system were used and adapted to new structures, depending on the needs of each particular moment in time. The Bernardine Convent in Tavira, the subject of this research project, was one of the confiscated buildings in the south of Portugal that was fortunate enough to survive the passing of the years, despite being reused and adapted for other purposes. It is not the only case of this kind, as we can also include the religious residence of the Sepúlveda Palace in Évora, which was subsequently turned into a cork and cloth factory, and is now a hotel; or the Convent of St. Francis in Portalegre, which was previously a cork factory, and is now an industrial museum1. 2. The Bernardine Convent in Tavira (Portugal)

The origins of the Convent of Our Lady of Piety in Tavira, also known as the Bernardine Convent, date back to 1530, when it was delivered to its nuns after 19 years of construction work (1509-1528). The convent stood close to the city walls, at a point where there was a plentiful supply of water for the allotments and orchards that are typical of the Cistercian Order. The building was progressively enlarged over the years, becoming the largest convent in the Algarve region, and the only one belonging to the Cistercian order in existence during the sixteenth and seventeenth centuries. It had two cloisters on different levels, a church that dominated the structure, and a series of buildings that housed the nuns on two floors, including the sacristy and a total of 64 cells. Unfortunately, the earthquake of 1755 affected the building, although the actual extension of the damage is unknown; what we do know is that major renovation work was carried out during the eighteenth century.

                                                            1J. Sobrino Simal, A. Cardoso de Matos, María L. Sampaio, S. Palomares Alarcón, A. Quintas, “De Ora a Labora. Los procesos de cambio y las transformaciones espaciales en las tipologías religiosas (eclesiales, monásticas y conventuales) reconvertidas en espacios de la producción,” in VIII Coloquio Latinoamericano de Patrimonio Industrial, Havana (Cuba) 14-16 March 2016.

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Up until the religious orders were disbanded in 1862, the convent operated as nothing short of an industrial complex, which apart from the church and cells for the nuns, contained a flour mill, a granary, a winery, warehouses, a large garden, and an apple orchard. The nuns were renowned for their sweets, especially candy, and for producing prints, mainly of images of saints. Once the order ceased to exist, its assets were nationalised and distributed between the Municipal Archive, the Hospital of the Holy Spirit in Tavira, and other religious buildings in the region. In 1863, by which time the building had already been abandoned, it was partially destroyed by a fire. Years later, according to the architect Albrecht Haupt in 1888, it was virtually in ruins. In his texts he referred to the Manueline door of the late Gothic church and part of the cloister, with a series of columns with octagonal capitals. At this time it was sold to José María de Lemos, who opened a factory producing flour and steamed pastries. In 1920 it changed hands again, becoming the property of J. A Pacheco, who continued to operate it until 1968.

2.1. From a convent to a flour mill

In order to adapt the convent as a factory, it underwent the following changes: the central section and cloisters were destroyed, transforming them into a large, continuous patio; once of the modules was demolished, connecting the patio to the orchards and gardens; the bell tower was destroyed and replaced by a water tank; a new area was created using a structure made of reinforced concrete and new zinc roofs; a two-floored section was built inside the church to house the flour-making machinery; new structures were added in 1939; and the façades were altered, creating new openings to adapt the former convent to its new use as a factory. Regrettably, no plans have survived that would allow us to analyse how the convent was reconverted into a factory. Also, once the flour factory closed in 1968, the building fell into disuse and ruin, when it was used as a bakery, barber’s, and even as a cycling club, until 2006, when its new owner commissioned the architect Eduardo Souto de Moura to design a rehabilitation project for the construction of 78 homes. During this period, the machinery from the flour mill had all but vanished, with only a few disarticulated, decontextualized pieces remaining, such as part of the grindstone of a mill, the remnants of a motor, or a few small tools. When the convent was re-converted into a factory, a series of modules were also adapted to serve as the owner’s home, from which a few sections of paintings imitating marble remain on the walls of the entrance hall, in eclectic style.

Bernardine Convent Residence in Tavira, Manueline door, 2016

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Bernardine Convent Residence in Tavira, 2016

2.2. From flour mills to the Bernardine Convent Residence

In 2006, the new owners of the land where the convent and mill stood commissioned the Portuguese architect Eduardo Souto de Moura to renovate the property, and transform it into 78 homes. Between the initial plans and the completion of the work, a total of six years went by, and the needs for housing changed as a result of the crisis of 2008. For this reason, in 2013 the architect’s studio also created the project for adapting 58 of the 75 properties that were finally built (due to problems that had to be solved during the construction work) for tourist use. According to the architect, “The project is divided into two types of intervention: a new construction, and the rehabilitation of the existing building, both the convent and the mill.”2 The project consisted of building single-family homes of different types, with one, two, or three floors, depending on the spatial configuration of the architecture within which they were situated. These consisted of either new designs in rehabilitated spaces, such as the tower of the convent, which still preserved its stone cladding and groin vaults; or the old church, which had been divided into three different spaces to adapt it for the mill, and was converted into a cafeteria and reception hall for the building as a whole. The architect designed a spacious patio with pergolas covered by local plant species and distributed in two spaces, one open space that is reminiscent of the old convent cloister, and another containing a swimming pool. In designing the project and converting the original building for residential use, a total of 200 windows were created in order to meet building regulations for residential spaces. According to the project created by the architect, he stated: “Why not homes?” adding, “The Bernardine Convent was a monastery, a factory, and now it is an empty ruin. Generally, these stones are associated with lodging, with hotels, museums, or cultural centres… but there is not enough culture for so much heritage.”3

2 E. Souto de Moura, “Reabilitação,” in Convento das Bernardas, Eduardo Soto de Moura, Lisboa, Uzina Books, 2013, p. 21. 3E. Souto de Moura, op. cit., p. 32.

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3. Conclusions

Thanks to this communication, we have attempted to show how the renovation of the flour mill and cake factory of J. A. Pacheco has gone from being an ensemble of 75 homes, following a successful and carefully designed plan that maintained the historical stratus of the factory as a further layer of the history of the building, which was recently awarded the European Award of Intervention on Architectural Heritage 2017. In his different declarations, the architect has emphasised its use as a factory and as a convent when dealing with the rehabilitation project. In fact, he did not attempt to either recover or reproduce a “supposed convent” as the idea behind the project; instead, he has considered the reality of the different strata of the building, considering the history of the building as a whole, without removing any layers. Also, he has added an important question: Why not houses? And I would add, why only rehabilitate our heritage for cultural uses, as well? Fortunately, the heritage conserved in Portugal is vast and extraordinary, and its reconversion for other uses that bring society into contact with heritage also allows us to discover and study it, and therefore to take care of it. There are numerous cases of heritage assets with a high degree of protection that end up in a ruinous, disused state, awaiting their turn to be restored.

Bernardine Convent Residence in Tavira, 2016

Apart from recovering the heritage associated with the building, the Bernardine Convent Residence has transformed an important landmark in the city of Tavira that attracts large numbers of tourists who are interested in a historical heritage that is off the traditional tourist route. The decisions made by the architect that respected the use of the building as a flour mill have meant that visitors who visit it can perceive it, and not only because the chimney stands out as part of the building as a while. The rehabilitation project has been carried out as part of the historical urban landscape of Tavira. The architect has conserved and maintained the alignment of the façades that form a part of the industrial memory of the building, and has not attempted to place more emphasis on the remnants of the convent than the industrial strata. They are all layers of the history of the building which still preserve different assets, and

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which form a part of the heritage of the local society as a whole. Because when heritage is discovered, it can be studied, protected, and preserved4.

Bibliography C. Almeida Marado, “A presença cisterciense no espaço urbano: o caso de antigo Convento das Bernardas de Tavira,”UBILETRAS, 5, 2015, pp. 55-62. C. Almeida Marado, Antigos conventos do Algarve. Um percurso pelo património da região, Lisbon, Fernando Mão de Ferro, 2006. F. Calapez Corrêa, O convento cisterciense de Tavira, Nossa Senhora da Piedade, Faro, 1991 A. Haupt, A arquitectura do renascimento em Portugal,Lisbon, Editorial Presença, 1985. A. Makua, “Revisión del proceso de valorización de los recursos base del turismo industrial”, in ROTUR, Revista de ocio y turismo, 4, 2011, pp. 57-88. J. Sobrino Simal, “Los paisajes históricos de la producción en Sevilla”within the general framework of the project Paisaje Histórico Urbano en las Ciudades Patrimonio Mundial.Indicadores para su conservación y gestión. Formulación de un Plan de Gestión del Paisaje Histórico Urbano de la ciudad de Sevilla,coordinated by the Andalusian Institute for Historical Heritage (IAPH), 2009-2011. J. Sobrino Simal, A. Cardoso de Matos, Mª L. Sampaio, S. Palomares Alarcón, A. Quintas, “De Ora a Labora. Los procesos de cambio y las transformaciones espaciales en las tipologías religiosas (eclesiales, monásticas y conventuales) reconvertidas en espacios de la producción”, in VIII Coloquio Latinoamericano de Patrimonio Industrial, Havana (Cuba) 14-16 March 2016. M. Paiva Pinto, A. Guilherme Ferreira, “Encuadramento Histórico”, in Convento das Bernardas, Eduardo Soto de Moura, Lisbon, Uzina Books, 2013. S. Palomares Alarcón, Pan y aceite: arquitectura industrial en la provincia de Jaén, Jaén, un published doctoral thesis, University of Jaén, 2016. E. Souto de Moura, “Reabilitação”, in Convento das Bernardas, Eduardo Soto de Moura, Lisbon, Uzina Books, 2013.

4 This study was financed by national funds through the Foundation for Science and Technology, and European Regional Development Fund (ERDF) through the COMPETE 2020 Competitiveness and Internationalisation Operational Programme (CIOP) and PT2020, within the scope of the project CIDEHUS-UID/HIS/00057 – POCI-01-0145-FEDER-007702 and HERITAS [PhD] - Heritage Studies [Ref. PD/00297/2013]. Beneficiária da Bolsa de Investigação com a referência PD/BD/135142/2017. CIDEHUS- Centro Interdisciplinar de História, Cultura e Sociedades / CIEBA- Centro de Investigação e de Estudos em Belas-Artes.

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La memoria del terzo paesaggio Sabrina Sabiu

Associazione Pozzo Sella – San Giovanni Suergiu – Italia 1. Il sistema industriale integrato nel territorio del Sulcis Iglesiente (Sardegnasudoccidentale)

L’archeologia industriale costituisce un interessantissimo e ricchissimo campo di indagine; questa disciplina abbraccia tutti i campi della produzione, che dalla prima rivoluzione industriale hanno interessato l’attività umana. La Sardegna possiede un patrimonio di archeologia industriale importante, risultato delle attività industriali dei secoli XVIII, XIX e XX: fabbriche, tonnare, saline, ferrovie, concerie, cementifici e miniere rappresentano, con le strutture, le macchine, gli insediamenti umani e le infrastrutture di servizio, quali strade, ponti, dighe e porti il ricco complesso industriale dell’età moderna. Le attività mineraria ed industriale dell’Isola hanno avuto un impatto oltre che economico, anche di carattere sociale ed antropologico profondi: alla classe agropastorale e contadina, i cui ritmi erano regolati da millenni dal trascorrere del giorno e dalle stagioni, si affianca una nuova classe operaia, subalterna a quella dirigente capitalista e un nuovo stile di vita viene scandito dai turni di lavoro e dal salario. L’habitat naturale viene trasformato in maniera irreversibile: aree disabitate ed incontaminate si trasformano in centri produttivi con insediamenti abitati. I villaggi e le architetture industriali ottocenteschi si inseriscono nell’ambiente e le strutture adibite a luoghi di produzione e di lavoro hanno un impatto estetico gradevole, rendendo unico il contesto originario. L’industria mineraria, oltre ai manufatti della produzione, ha lasciato un insieme di edifici di grande pregio architettonico ed artistico come le ville direzionali a Montevecchio, Ingurtosu e Iglesias e il complesso di archivi di grande valore storico e culturale. L’industria estrattiva e le attività ad essa collegate hanno lasciato un segno indelebile nei territori in cui hanno operato, come nelle comunità che a quelle intraprese hanno partecipato. La conservazione delle testimonianze, il riutilizzo delle aree interessate da queste attività e la conservazione della memoria antropologica costituiscono oggi una sfida. Il declino dei bacini e dei siti minerari dismessi pone una lunga serie di questioni alle comunità locali, prime fra tutte quelle ambientale e della conservazione e riconversione delle strutture. Le nuove prospettive e le conoscenze maturate negli ultimi decenni in materia di archeologia industriale consentono di porre il problema in termini diversi: i siti minerari e gli apparati industriali dismessi smettono di essere un’eredità ingombrante per essere trasformati in una nuova risorsa economica come giacimento culturale, che pone in primo piano la riqualificazione degli spazi ormai deindustrializzati, urbani o rurali che siano, il ripristino del territorio e la conservazione del patrimonio architettonico, tecnico e della memoria. Da questa premessa è possibile parlare di terzo paesaggio. La definizione terzo paesaggio venne coniata dal paesaggista ed entomologo Francese Gilles Clément nel 2005, quando pubblicò il Manifesto del Terzo Paesaggio, indicando quei luoghi modificati dall’azione dell’uomo, poi dismessi o abbandonati, che devono essere restituiti alla natura. Condivido pienamente la definizione di Clement, ma non condivido la destinazione, la restituzione alla natura, poiché ciò implica che un luogo dismesso sia un luogo dimenticato, nella memoria collettiva, della sua funzione e della sua storia, mentre ritengo che il recupero della memoria dei luoghi e delle loro funzioni sia il primo passo per il recupero del territorio nella prospettiva di un riutilizzo sostenibile. I territori e gli ambienti si trasformano per evoluzione o involuzione naturale, per ragioni storiche, per ragioni esogene o endogene; il Sulcis Iglesiente ha subito tutte queste fasi e ciò lo rende appetibile sul piano di una nuova fruizione culturale, turistica e ambientale: siti

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archeologici, monumenti, ruderi antichi e recenti, rovine contemporanee degli impianti industriali dismessi e di uso bellico, infrastrutture ferroviarie e di bonifica idraulica, stagni e saline costituiscono la memoria di un passato vitale. Il paesaggio è una realtà oggettiva a cui ciascuno attribuisce un’immagine, determinata dalla percezione del proprio spazio geografico. Spesso, infatti si parla di lettura del paesaggio da interpretare e collocare in un determinato contesto storico, sociale, economico e culturale: nella Sardegna sud occidentale, più che nel resto dell’isola, i cambianti epocali sono stai determinati negli ultimi 150 anni dalla nascita dell’industria mineraria, dalla realizzazione delle infrastrutture di comunicazione e dalla bonifica integrale. Questi elementi sono stati caratterizzanti nella formazione del terzo paesaggio, che non è dato solo dalle volumetrie e dalle architetture, che rappresentano l’aspetto materiale direttamente percepibile; vi sono altri aspetti immateriali, quali le maestranze e le professionalità che hanno contribuito a quel progetto, le popolazioni coinvolte in processi di insediamento o reinsediamento e i cambiamenti sociali ed ambientali che li hanno accompagnati. La memoria del terzo paesaggio è una preziosa risorsa che permette di dare nuovo senso e valore a quegli ambiti dismessi per una riconversione a fini turistico- ricreativi e culturali. Sembra esservi una contraddizione tra la visione positiva dell’opera ingegneristica ottocentesca volta alla modernizzazione del territorio e la visione odierna di quegli spazi defunzionalizzati, che vengono interpretati come luoghi di fruizione ambientale e turistica, ma tale contraddizione è solo apparente, poiché in quella progettazione vi era sempre una sensibilità ambientale che oggi sarebbe sorprendente: molti sono gli esempi documentati di buone pratiche per una corretta utilizzazione dell’ambiente e del suo ripristino in seguito alla dismissione delle attività di tipo industriale, aspetto, questo, che andrebbe valorizzato rispetto agli approcci odierni, infatti, mentre sul piano internazionale le vie verdi hanno l’ambizione di divenire luoghi in cui gli abitanti si riappropriano di uno spazio sospeso del territorio con nuovi approcci culturali e relazionali, per quanto riguarda la Sardegna questi approcci sono più complessi e spesso conflittuali in quanto posizioni legittimate dal potere forte dell’interesse economico dominante, spesso legato al potere politico, si oppongono a posizioni che mettono in primo piano la sostenibilità del territorio in termini di esperienze locali e di valorizzazione. Dopo le dismissioni produttive, infatti, sono stati rilevati i rischi a lungo termine del paesaggio estrattivo, caratterizzante il filo culturale del malsano e istituzioni come il Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna1 o strumenti come il Piano di Bonifica delle Aree minerarie dismesse, varato dalla Regione Sardegna2, dovrebbero stimolare e rafforzare il filo culturale del vitale. Il patrimonio industriale del territorio sulcitano si articola e interagisce all’interno in un vero e proprio Sistema Industriale Integrato, il cui punto di partenza è la miniera con la sua attività estrattiva, che pone in essere attività e infrastrutture conseguenti, che oggi costituiscono il capitale storico culturale del territorio e luoghi di memoria e di interesse patrimoniale e il

1 Il Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna nasce con la finalità di salvaguardare, tutelare e conservare i beni del patrimonio industriale della regione, il relativo patrimonio tecnico, scientifico, storico, culturale ed ambientale, nonché il patrimonio archivistico documentale industriale sardo, dando particolare rilevanza ad apparati e strutture minerarie e siti geologici particolarmente rappresentativi da questo punto di vista, oltre a quella di privilegiare la conoscenza e la divulgazione dei siti e dei beni dell’archeologia industriale, attraverso percorsi didattici e museali funzionali al patrimonio industriale e favorire le possibilità di ricerca che offrono gli archivi industriali se conservati e fruibili. 2 Il Piano di bonifica delle aree minerarie dismesse del Sulcis Iglesiente Guspinese è uno strumento che ha l’obbiettivo di eliminare le criticità che mettono in pericolo, non solo i paesaggi, ma anche la salute di chi li abita, particolare non certo secondario. L’inattuazione o attuazione parziale del Piano di Bonifica ipoteca qualsiasi progetto di futuro per le aree interessate con le implicazioni sanitarie, sociali, economiche, culturali ed ambientali connesse.

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patrimonio archivistico relativo è parte integrante necessaria per ricostruire i percorsi storici dei paesaggi. Il lento evolvere della storia della Sardegna ha un parallelo nello sviluppo del suo sistema ferroviario, espressione dell’ambivalenza tra modernizzazione e conservazione del preesistente. Il patrimonio delle ferrovie ormai dismesse è diventato parte integrante del territorio, oggi capitale culturale e risorsa economica alternativa. L’avvio dell’industria mineraria e la costruzione di una rete ferroviaria furono i due fattori di modernizzazione che modificarono gli assetti economici e sociali della Sardegna, ancora strutturati sull’arcaico modello feudale. Organizzazione, professionalità e disciplina erano i cardini della nuova industria capitalistica, che esigeva lavoro di squadra, tempi rapidi e turni di lavoro. Gli imprenditori delle miniere come delle ferrovie importarono nuovi modelli sociali e furono fautori della formazione di nuove professionalità tecniche, che permisero a molti sardi di trasformarsi da pastori e contadini analfabeti in professionisti delle nuove intraprese, mettendo in campo capacità e competenze nuove. Le compagnie minerarie si dotarono autonomamente di quelle infrastrutture di comunicazione necessarie nella prospettiva del risparmio dei costi e dei tempi di trasporto e costituirono modello da imitare nel servizio pubblico3.

3 La prima ferrovia privata della Sardegna entrò in funzione nel 1865 presso la miniera di ferro di San leone, a Capoterra (Cagliari). Nel 1861 venne presentato il progetto ferroviario per la dorsale Cagliari- Sassari. Gaetano Semenza, imprenditore della seta, residente a Londra e portavoce degli interessi dei capitalisti inglesi, nel 1863 costituì la Compagnia Reale delle Ferrovie sarde con un capitale di 25 mln, per la realizzazione della ferrovia più lunga dell’isola. Lo sviluppo dell'attività estrattiva nella località di Monteponi, presso Iglesias, portò la società proprietaria della miniera a dotarsi di una propria ferrovia a scartamento ridotto, messa in attività tra il 1871 ed il 1876 per il trasporto dei minerali al porto di Portovesme. Il collegamento con la città di Iglesias era garantito tramite omnibus: emerse quindi la necessità di migliorare il collegamento dello scalo della Monteponi con la città e con la sua stazione ferroviaria, capolinea della tratta Iglesias- Decimo, sia per il trasporto delle merci che delle persone. La ferrovia di Monteponi, benché fosse stata costruita come ferrovia industriale con trazione a vapore, dall'8 agosto 1880 fu utilizzata anche per il traffico passeggeri, con treni in coincidenza dei convogli delle Ferrovie Reali sarde per Cagliari e dei battelli per Carloforte. L'intermodalità con i convogli delle Ferrovie Reali, inizialmente resa possibile dagli omnibus che collegavano la stazione di Iglesias con quella di Monteponi, fu migliorata dal 1896 con l'apertura della linea delle Reali che collegava i due scali. Le Reali realizzarono un proprio scalo a sud di quello della Monteponi, scalo che passò poi alle Ferrovie Meridionali Sarde nel 1926. La ferrovia del Sulcis costituì un altro importante tassello del sistema viario del territorio e fu anch’esso progettato con la duplice funzionalità del trasporto passeggeri e a attività industriale. L’opera realizzata per porre in collegamento il territorio del Sulcis con la città di Cagliari, fu inaugurata il 13 maggio 1926. La strada ferrata si sviluppava per 113 Km da Siliqua a San Giovanni Suergiu - Iglesias con diramazione per Calasetta, con uno scartamento di 95 cm. Le differenze altimetriche lungo tutto il tracciato necessitarono di 14 ponti in ferro, 29 viadotti e ponti in muratura, 343 acquedotti e relativi ponticelli. Le principali opere d’arte furono il ponte di 40 m sul rio Cixerri e quello sul rio Mannu. La Società Breda realizzò 8 locomotive, numerate da 101 a 108, appositamente per questa linea ferroviaria. Nel 1938 veniva inaugurata la città del Carbone, un complesso urbano perfettamente funzionale alla miniera di Serbariu. Lo sfruttamento del bacino di carbonifero ebbe come importante conseguenza l’aumento del traffico merci e passeggeri, i numeri tra il 1934 e il 1939 sono impressionanti: con un incremento di operai da poco più di 400 unità a oltre 15.000 con una produzione di tonnellate di carbone da 54.000 a 1.295.000 del 1940. Nel corso ella prima metà del XX sec. nel bacino minerario del Sulcis iglesiente si creò un sistema industriale integrato con le due miniere principali di Monteponi e Serbariu e gli stabilimenti chimici di S. Antioco e San Giovanni Suergiu a cui si aggiunse nel 1939-40 la Centrale elettrica di S. Caterina. Fu necessario a questo punto potenziare la rete ferroviaria: nel 1939 iniziarono i lavori per la posa del doppio binario tra Carbonia e S. Antioco, lungo 16 km, terminato nel 1940. Il porto di S. Antioco tra il 1936 e il 1939, deputato a principale terminale d’imbarco del carbone Sulcis, venne dotato di moderne attrezzature destinate ai servizi portuali. Il progetto ferroviario fu realizzato dalle FMS in collaborazione con Carbonifera Sarda e la tedesca DEMAG, che realizzò speciali carri con un telaio a carrelli per il trasporto dei secchioni carichi di carbone. Ogni carro conteneva 5 secchioni da 5 tonnellate . I secchioni furono realizzati in modo tale da scaricare direttamente il contenuto sulla banchina o nella stiva di carico delle navi. Prima di allora il carico e scarico veniva effettuato a spalla impegnando molti uomini con le coffe, particolari ceste per il carico del carbone.

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Nel 1924 la Legge del Miliardo finanziò il primo grande programma di bonifica integrale e di sviluppo del comparto agricolo della Sardegna e la Legge per la Bonifica Integrale del 1928 regolamentò finalmente un'azione pianificata per il recupero totale della terra; proprio in seguito a tale provvedimento nacquero i Consorzi di Bonifica, di cui erano soci con i proprietari terrieri gli imprenditori che avevano investito i loro capitali nei settori chimico, minerario ferroviario ed elettrico. I programmi della bonifica idraulica e del riordino fondiario si svilupparono parallelamente con quelli del potenziamento industriale negli anni dell’autarchia ed anche in questo caso i progetti ebbero un impostazione di sistema tra agricoltura e industria: due mondi, apparentemente paralleli, vennero perfettamente integrati in modo articolato e funzionale in virtù di una stretta collaborazione tra l’Azienda Carboni Italiani e i Consorzi di Bonifica ed in quel contesto vennero progettati il lago artificiale di Monte Pranu e un fitto sistema di canali, alimentati dallo stesso invaso, per l’irrigazione agricola, oltre il sistema di acquedotti, che avrebbero finalmente portato l’acqua sin dentro le abitazioni dei paesi sulcitani. Il programma di bonifica ha lasciato segni tangibili, oggi patrimonializzabili e fruibili in termini culturali ed ambientali. Altro Capitolo importante nella storia del territorio e nella modificazione del paesaggio è rappresentato dalla Centrale elettrica di Santa Caterina, esempio di pregio di architettura industriale e testimonianza del sistema produttivo integrato del Sulcis, che rientrò nel processo di rinnovamento dell’economia sarda avviato nel 1917. In quel particolare periodo si avviò la costruzione degli invasi artificiali, destinati a fornire l’acqua necessaria per la trasformazione agricola dell’Isola. L’energia elettrica era l’altra grande risorsa indispensabile per incentivare lo sviluppo industriale, specialmente quello minerario. Questo ambizioso progetto si articolava nella realizzazione di grandi opere, come le dighe del Tirso e del Coghinas, di cui fu importante protagonista la SES, Società Elettrica Sarda, che, mirabilmente guidata da Giulio Dolcetta, operò in modo efficace nel comparto termoelettrico. Il potente impianto di Santa Caterina, nell’istmo di Sant’Antioco, in territorio di San Giovanni Suergiu, fu concepito nel periodo dell’autarchia per lo sfruttamento del Carbone Sulcis, estratto dalla Miniera di Serbariu. La collocazione logistica della Centrale fu determinata dalla presenza della laguna, da cui l’impianto attingeva direttamente l’acqua per il raffreddamento delle macchine. L’edificio della Centrale era costituito da quattro corpi di fabbrica con differenti altezze. Il corpo principale, alto 35 m, ospitava i generatori di vapore e la grande sala con quattro caldaie; il secondo corpo conteneva i distillatori e le pompe di alimentazione; nel terzo corpo vi era la sala turbine ed infine nell’edificio più basso del complesso vi erano tutti i servizi funzionali all’impianto: amministrazione, infermeria, laboratorio chimico e magazzino. Nell’area dell’impianto furono edificate le palazzine per i dipendenti. Il complesso di Santa Caterina assunse l’aspetto e le funzioni di un villaggio industriale. Adiacente all’impianto, fu realizzato un efficiente sistema di trasporto ferroviario per il carbone proveniente da Serbariu. La centrale entrò in funzione nel 1939 e durante la seconda guerra mondiale fornì energia non solo alla miniera di Serbariu, ma anche all’area di Cagliari mediante un’apposita rete di collegamento. I bombardamenti del 1943 misero a dura prova la tenuta dell’impianto, che rientrò in funzione con due sole caldaie. Il piano Marshall nel 1950 permise il potenziamento di produzione di energia finanziando la realizzazione della quinta caldaia. La Legge 1643, emanata nel 1962, prevedeva la nazionalizzazione del sistema elettrico e istituiva l’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica. Il primo intervento dell’ENEL fu quello di assorbire tutte le aziende di produzione e fornitura elettrica, quindi anche la Centrale di Santa Caterina venne acquisita dal nuovo ente che pose fine all’attività dell’impianto nel 1966. Il complesso della Centrale di Santa Caterina ricalcava un modello industriale ormai consolidato nell’industria mineraria sarda e più in generale nelle grandi imprese industriali della penisola, di insediamento operaio nato intorno o accanto alla fabbrica, spesso parte di un

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più ampio programma aziendale. Un esempio in tal senso è senza dubbio la nascita della città di Carbonia, città di fondazione per eccellenza nella Sardegna industriale. Carbonia fu concepita come una città operaia “a bocca di miniera”, rispondendo ad una funzione industriale in un territorio desolato e spopolato ed è frutto di una politica autarchica estranea a quella ruralizzazione che aveva ispirato Mussolinia di Sardegna e Fertilia o i centri dell’Agro pontino. Carbonia doveva ospitare 50 mila abitanti e una quantità enorme di operai, che avrebbe dovuto produrre 3 milioni di tonnellate di carbone l’anno, pertanto porti, strade, ferrovie, acquedotti e bonifica erano prerequisiti necessari per la realizzazione della nuova città. Il progetto del piano regolatore fu affidato ai professionisti Cesare Valle e Ignazio Guidi, affiancati dall’ing. Gustavo Pulitzer Finali, firme prestigiose dell’architettura e dell’urbanistica nazionali. Nell’elaborazione progettuale non vi è alcun riferimento alla tradizione architettonica sarda, ma si propone un modello completamente nuovo riguardo al contesto territoriale, che esalta una rigida gerarchizzazione della struttura urbana così da riflettere l’immagine del corporativismo statale. Carbonia, emblema della città del Carbone, patrimonio materiale e immateriale della grande epopea mineraria sarda, premiata come città del Novecento, si è evoluta in una città nel senso più vero del termine, ha rivalutato il proprio patrimonio architettonico ed urbanistico, facendone punto di forza nell’economia del territorio e dove artisti prestigiosi come Giò Pomodoro, Staccioli, Sciola e Campus hanno trovato qui un valido terreno di confronto e uno spazio artistico di rilievo. La città del carbone si è sottratta all’abbandono in seguito alla dismissione mineraria, così non è stato per la gran parte dei siti industriali del Sulcis Iglesiente, ma i luoghi abbandonati e defunzionalizzati hanno la capacità di interrogarci e i terzi paesaggi pongono il problema di cosa fare del passato e della memoria dei luoghi; il loro carattere indeciso pone la questione rilevante della realizzazione o meno di un progetto condiviso per trasformare i luoghi di abbandono in paesaggi della cura. Sono dunque chiamati in causa per questo importante compito l’intervento pubblico e il ruolo dei soggetti pubblici locali e le stesse comunità. Bibliografia

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Turismo Industriale: i paesaggi storici della produzione della Carolina (Jaén, Spagna)

Sheila Palomares Alarcón CIDEHUS-Universidad de Évora – Évora – Portugal

Pietro Viscomi CIDEHUS-CHAIA-Universidad de Évora – Évora – Portugal

Parole chiave: Turismo Industrial, Paesaggio Storico della Produzione, Patrimonio Industriale, La Carolina (Spagna). 1. Cosa sono i “Paesaggi Storici della Produzione”?

Il termine “Paesaggio Storico della Produzione” viene estrapolato dai contributi concettuali realizzati da J. Sobrino Simal. Lo studioso ritiene che questi paesaggi prendono in considerazione il quadro “socio-spaziale delle relazioni mantenute tra l’industria, il territorio e la società” 1 e che “sorgono dalle attività economiche che le società hanno sviluppato nel territorio”2. Tuttavia, c’è una carenza tra la storia urbana e la dimensione industriale della città, già che gli spazi della produzione non sono stati presi in considerazione. Gli studi si sono concentrati principalmente sull’aspetto residenziale ( salvando alcune costruzioni progettate da qualche architetto di prestigio), situazione che ha generato un’immagine della città incompleta per l’assenza di livelli nella sua stratigrafia. J. Sobrino ritiene che lo studio dei paesaggi storici della produzione deve realizzarsi con un approccio concettuale basato sulla cliodiversidad, cioè, una nuova cultura del patrimonio che si adatta ad ogni luogo ed ambito culturale, e che si compone dall’eredità storica di ciascuna delle comunità e la loro interazione con il territorio, nella quale “ le architetture, le macchine, i gruppi sociali e le mentalità si inseriscono in un paesaggio che definiamo come Paesaggio Storico della produzione”. Un paesaggio in continua evoluzione che reazione e risponde alla storia economica, per tale motivo non si può capire senza le relazioni che la città ha avuto con l’attività industriale.

1.1. Il “Paesaggio Storico della Produzione” della Carolina (Jaén, Spagna) “La Real Carolina” (Jaén, Spagna) è stata fondata nel 1767 dal Re Carlo III, nell'ambito del piano di colonizzazione della Sierra Morena con l’obiettivo di occupare le zone spopolate lungo il Camino Real (via di comunicazione) che collegava Madrid a Cádiz. L’attività industriale si manifestò in modo intrinseco alla sua fondazione. In principio è stata orientata all’ auto-approvvigionamento già che ai coloni, che provenivano fondamentalmente dall’Europa centrale, venivano offerte case e terre per lavorare e allevare il bestiame. Pochi anni dopo furono costruite le prime fabbriche che producevano prodotti elaborati. Secondo il racconto che realizza B. Espinalt y García nell’ Atlante Español (1778), all’interno del municipio vi erano: “[...] varias fábricas de paño fino, de felpas, terciopelos, sombreros, y medias. Una de agujas, y alfileres, y otra de vidrio con un famoso horno que siempre arde; otra de pedernal del que hacen xícaras platos, y otras cosas: varias alfarerías en las que se trabajan platos fijos, y ordinarios, y cántaros. También hay varias platerías, torneros y otros oficios, con un gran molino de aceite. [...] una casa o Fábrica Real, donde se juntan a hilar las Colonas, y 1 J. Sobrino Simal, <<Los paisajes históricos de la producción en Sevilla>>en el marco general del proyecto Paisaje Histórico Urbano en las Ciudades Patrimonio Mundial. Indicadores para su conservación y gestión. Formulación de un Plan de Gestión del Paisaje Histórico Urbano de la ciudad de Sevilla, coordinado desde el Instituto de Andaluz de Patrimonio Histórico (IAPH), 2009-2011, p. 7. 2 Idem, p. 51.

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en ella se labran medias, y paños: un molino de viento y tres deliciosos paseos con varias calles de moreras: un hermoso, y espacioso palacio, que habita el Intendente [...]”. Bisogna mettere in evidenza che in quell’anno La Carolina ospitava una popolazione stimata attorno ai 1000 abitanti, perciò la proporzione tra le attività relazionate con la produzione e l’industria e la popolazione presente era piuttosto alta. Sebbene non si hanno informazioni della prima industrializzazione, sappiamo che in questa città durante i primi decenni del secolo XIX vi è la presenza di alcune fabbriche tessili, nonché una fabbrica di munizioni e due fonderie di piombo, una delle quali cessò l’attività nel 1839 e l’altra occupò parte del terreno in cui si trovava la Real Fabbrica di porcellana. Iniziò in quel periodo il largo e fruttuoso percorso legato al settore minerario, seppur l’estrazione mineraria nel distretto della Carolina-Linares risale all’Età Antica, quest’attività dal secolo XIX ha avuto un impulso speciale, in quanto è stata favorita legislativamente, si iniziò con le leggi del 1849 e 1859 che sostituivano la proprietà del monarca con il pubblico dominio, creando cosi una situazione che portò a maggiori investimenti nel settore industriale. E successivamente dalle leggi del 1868, che favorivano la concessione per le estrazioni e miglioravano la sicurezza nei luoghi di lavoro. Inoltre, nel 1865 è stata inaugurata la prima ferrovia, circostanza che comportò un miglioramento notevole per le comunicazioni e per il trasporto delle merci. Potremmo considerare che il secolo XIX è stato il periodo di maggiore splendore dell’industria mineraria per la città di Linares mentre il secolo XX per la Carolina, in particolare il 1913 è stato l’anno in cui la capitale delle Nuevas Poblaciones della Sierra Morena ha registrato la sua massima produzione. Da quel momento considerando la volatilità del prezzo del piombo, si sono succedute fasi di crescita e decadenza fino al 1930, data in cui cade definitivamente il valore di questo metallo e si assiste gradualmente alla chiusura di diverse industrie in un processo che si protrae fino al 1985 quando cessò l’attività dell’ultima

impresa la “pozo Federico”. Si mette fine cosi ad un’estesa fase della storia economica della Carolina relazionata all’estrazione mineraria, un periodo che ha lasciato uno straordinario patrimonio industriale nel distretto, attualmente iscritto nel Catálogo General de Patrimonio Histórico Andaluz. Bisogna inoltre evidenziare un altro elemento che influirà in modo determinante alla fase d’industrializzazione della Carolina durante il secolo XX. Vale a dire il Plan Jaén del 1953 che verrà applicato nel municipio a partire dal 1960, e che ha avuto come conseguenza l’installazione di diverse fabbriche sul territorio Carolinense, ma che al presente risultano scomparse o sostituite da altre di diversa natura, è il caso dell’antica fabbrica TECOSA, la quale è stata inclusa nell’elenco dei beni culturali del Movimento Moderno della provincia di Jaén. A scala urbana, durante i suoi 250 anni di vita, La Carolina è cresciuta e si è sviluppata come conseguenza dell’attività economica prodotta nel corso del tempo. Vale a dire, la presenza dell’attività industriale ha condizionato l’urbanistica del municipio fino al punto che il suolo industriale occupa praticamente un terza parte del totale della sua superficie (oltre alle fabbriche isolate che rimangono all’interno del centro urbano).

La Carolina, Jaén. 2017. Vista dalla torre de perdigones

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Questo paesaggio è fedele riflesso della seconda industrializzazione, già che purtroppo, come accennato in precedenza, le vestigia della prima industrializzazione sono praticamente inesistenti. Tuttavia, esiste una marcata impronta del primo periodo, eredità lasciata dalle fonderie nel paesaggio storico urbano. Si tratta delle torres de perdigones che emergono con forza nello skyline del municipio, caratterizzato da una costante densità residenziale e solo interrotta dai campanili delle chiese e dalle citate torri delle fonderie. L’attività industriale ha influito anche nella tipologia residenziale, già che si conservano differenti edifici privati di particolare interesse, realizzati per la borghesia legata all’agricoltura e all’estrazione mineraria. Tra le quali, è degna di nota una casa costruita nel 1929 dall’architetto sivigliano Aníbal González, di stile “inglese” secondo il Catálogo de la Edificación de Interés Histórico de La Carolina, o un alloggio della fabbrica FEMSA ( dedicata alla fabbricazione di apparecchiature elettriche) di caratteristiche simili. Il patrimonio industriale nella Carolina è vivo. E’ soggetto a continui cambiamenti, le fabbriche vengono occupate e riutilizzate da diverse imprese e contemporaneamente assistiamo alla creazione di nuove strutture. Come dicevamo al principio, è un paesaggio in continua evoluzione che reazione e risponde alla situazione economica del momento.

1.2. Turismo industrial La Carolina – che quest’anno celebra il 250° anniversario della sua fondazione – articola il turismo culturale su un modello caratterizzato da due settori dominanti. Ovvero, da un lato, si evidenzia lo straordinario tracciato urbano delle sue strade in stile barocco e il patrimonio storico culturale associato all’ Illuminismo, come il Palazzo dell’Intendente Olavide, la parrocchia dell’ Inmaculada Concepción o l’eremo di San Juan de la Cruz (convento delle Carmelitane scalze ) dove ha vissuto il santo e poeta spagnolo. Dall’altro, si mette in risalto il passato industriale legato all’attività mineraria della città.

La Carolina, Jaén. 2015. Museo della Carolina, Palazzo dell’Intendente Olavide e la parrocchia

dell’ Inmaculada Concepción

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Sia a livello storico che architettonico si sta facendo un importante sforzo per valorizzare il “Paesaggio Storico della Produzione” della Carolina, tanto le associazioni quanto l’amministrazione pubblica stanno valorizzando il patrimonio e sensibilizzando la popolazione. Negli ultimi anni si sono concretizzate differenti iniziative, come per esempio, l’apertura del Museo Archeologico nel 2011 oggi Museo della Carolina, il quale occupa l’edificio che fu uno dei depositi di grano del Servicio Nacional de Productos Agrarios e nel quale si realizza un percorso attraverso la storia della città, dal Paleolitico fino ai giorni nostri. Inoltre è stata recentemente aperta l’ Aula de Interpretación de la Minería del Parque Forestal de la Aquisgrana, nella quale l’Asociación Cultural Minero Carolinense (ACMICA) ha ricreato fedelmente un modello di galleria mineraria, per mettere a disposizione del pubblico un ambiente tratto dalla storia delle miniere Carolinensi, all’interno sono rappresentati i diversi procedimenti e le diverse tecniche dell’industria mineraria , l’associazione affianca a questa esperienza la possibilità di visitare un tunnel sotterraneo di una vecchia miniera per l’estrazione del piombo a pochi chilometri dal centro della città. Quest’anno, nel 2017 si è inaugurato il Centro de Interpretación de la torre de perdigones (struttura costruita nel 1825). Sia il progetto di riabilitazione della torre che le strutture espositive del centro sono state realizzate dagli

architetti F. J. Sánchez Fernández e J. M. Nieto Carricondo. Ci piacerebbe dare risalto (oltre che alla riabilitazione, ai testi, al materiale espositivo ed ai codici Qr presenti nella cartellonistica informativa ) il percorso che si può seguire all’interno della città con il supporto di video immersivi a 360 gradi per aumentare l'interazione , permettendo ai visitatori di identificare i monumenti ed i luoghi in cui ci si trovano. Attraverso un'applicazione software dedicata ai dispositivi di tipo mobile, l’utente “è guidato” attraverso 13 differenti piastrelle distribuite per la città. In questo modo secondo gli architetti: “Es la historia sacada a la calle” che stabilisce lo sviluppo orizzontale industria-territorio-società. 2. Conclusioni

L’obiettivo di questa comunicazione è stato quello di far conoscere le importanti attuazioni in materia di turismo culturale, valorizzazione e conservazione del “Paesaggio Storico della Produzione” che si stanno sviluppando nella Carolina (Jaén, Spagna). In queste si cerca di inserire anche il passato industriale, considerandolo come un altro importante strato della storia del municipio, proprio nel momento in cui si sta celebrando il 250° anniversario della sua fondazione3. 3 Este trabalho é financiado por fundos nacionais através da Fundação para a Ciência e a Tecnologia e pelo Fundo Europeu de Desenvolvimento Regional (FEDER) através do COMPETE 2020 – Programa Operacional Competitividade e Internacionalização (POCI) e PT2020, no âmbito do projeto CIDEHUS-UID/HIS/00057 – POCI-01-0145-FEDER-007702 e pelo HERITAS[PhD]-Estudos de património [Ref.ª.PD/00297/2013]. Beneficiária da Bolsa de Investigação com a referência PD/BD/135142/2017. CIDEHUS- Centro Interdisciplinar de História, Cultura e Sociedades / CIEBA- Centro de Investigação e de Estudos em Belas-Artes.

La Carolina, Jaén. 2017. Centro de Interpretación de la torre de

perdigones

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Turismo industriale e imprese storiche nel Mezzogiorno d’Italia

tra marketing territoriale e sviluppo locale Renato Covino

Università di Perugia – Perugia – Italia Antonio Monte

CNR-IBAM - AIPAI-Puglia – Lecce – Italia Parole chiave: Patrimonio e turismo industriale, imprese storiche, Mezzogiorno d’Italia, marketing, sviluppo locale. 1. Imprese storiche e patrimonio industriale: introduzione In questi ultimi anni c’è stata molta attenzione verso la conoscenza e valorizzazione delle imprese storiche e dei suoi opifici, grazie anche alla nascita – fortemente voluta dagli imprenditori e proprietari – dei musei aziendali. Basti ricordare che nel 2011, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, UnionCamere ha istituito il Registro Nazionale delle Imprese Storiche finalizzato alla conoscenza delle aziende che nell’arco della loro vita imprenditoriale hanno trasmesso un patrimonio di “saperi” e di valori imprenditoriali. Il sud è stato ed è una parte dell’Italia “operosa”, dove vi è una tradizione produttiva con significativi legami con il territorio che sono espressione esemplare della politica culturale d’impresa. Questo ha contribuito a far nascere -nei diversi settori merceologici- aziende che nel corso degli anni, passo dopo passo, hanno conquistato fette di mercato facendosi conoscere al livello nazionale e internazionale. Se volessimo solo citare qualche impresa storica, tutt’ora attiva nel Mezzogiorno d’Italia, basti ricordare la fabbrica di liquirizia Amarelli con annesso Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli” a Rossano Calabro (CS); la distilleria Alberti di Benevento con il noto liquore Strega; la Pontificia fonderia di campane Marinelli ad Agnone (IS) con annesso Museo storico della Campana; il confettificio Giovanni Mucci ad Andria (BT) con il Museo del confetto; i pastifici Afeltra, Garofalo e altri a Gragnano (NA) e Benedetto Cavalieri a Maglie (LE); la distilleria Nicola De Giorgi a San Cesario di Lecce e tante altre. Queste attività industriali hanno lasciato sul territorio opifici di notevole interesse che oggi costituiscono un peculiare patrimonio culturale-industriale legato ai luoghi di lavoro; in alcuni di essi, da quattro-cinque generazioni si continua a produrre prodotti di qualità che sono l’eccellenza della produzione fatta nel Mezzogiorno d’Italia. Pertanto, il contributo vuole dimostrare come la conoscenza e la visita a queste Aziende può creare un itinerario per un “Turismo industriale” d’eccellenza che permette di visitare sia la storica fabbrica che l’azienda oltreché i musei d’impresa, contribuendo così ad attivare un processo di marketing territoriale e sviluppo locale. L’itinerario si snoda sul territorio di alcune regioni del sud e prende in esame diverse Aziende storiche. Arricchisce l’itinerario di contenuti storici, dal punto di vista dell’evoluzione tecnologica delle macchine, la visita ad alcuni opifici dismessi che conservano al loro interno tutte le macchine, gli oggetti e gli utensili utilizzati nei processi di produzione. Dunque, il turismo industriale è un pregevole strumento per recuperare la memoria dei luoghi del lavoro e per dare una visione completa delle numerose testimonianze industriali presenti nei centri urbani. 2. Patrimonializzazione, turismo industriale e marketing territoriale

Il Mezzogiorno d’Italia in questi ultimi decenni sta acquisendo uno spazio dignitoso in tema di archeologia industriale e patrimonializzazione1 delle fabbriche, dei siti e dei paesaggi, tanto

1 Sul tema della patrimonializzazione si consulti G. L. Fontana, Introduzione, in “Archeologia industriale in Italia. Temi, progetti, esperienze”, a cura di M. G. Bonaventura, R. Covino, G. L. Fontana, A. Monte, E.

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da poter individuare, in dei centri dei veri e propri “paesaggi della produzione”. Dopo campagne (“sul campo”) di catalogazione scientifica fatta sia su siti puntuali che complessi, mirate alla conoscenza e alla valutazione dello stato di conservazione del bene, si è passati ad un'altra attività quella di salvaguardia e sensibilizzazione – verso la proprietà dei siti studiati – per cercare di approdare ad un’opera di patrimonializzazione comune. L’opera di patrimonializzazione è stata in parte realizzata grazie alla sensibilità sia di alcune storiche Aziende che di Enti locali; essi hanno cercato di attivare un processo di patrimonializzazione, che in molti casi ha permesso di proporre al viaggiatore itinerari culturali per un turismo industriale di eccellenza attraverso la visita alle originarie fabbriche conoscendo le Imprese storiche che sono ancora produttive, contribuendo così ad attivare un processo di sviluppo locale e marketing territoriale. Quindi, il turismo industriale può diventare un’opportunità nella prospettiva del recupero e conservazione, della valorizzazione e fruizione del ricco patrimonio industriale, dove le testimonianze ancora in molti casi versano in uno stato di totale abbandono in attesa che vengano definitivamente cancellate dalla memoria delle città. Grazie a questo processo, sul territorio delle regioni del Mezzogiorno d’Italia si può delineare un itinerario che racchiude alcune delle “eccellenze” presenti in piccole e grandi città o in paesi. Il percorso comprende sia Aziende storiche (che da quattro/cinque generazioni continuano ad essere ancora produttive) sia alcuni siti “intelligentemente” patrimonializzati e utilizzati come spazi per eventi culturali, mostre, convegni e altro. L’itinerario di turismo industriale parte dal nord del Mezzogiorno per dirigersi, centro dopo centro (da regione a regione, da città a piccoli o grandi centri urbani e rurali), verso il sud d’Italia. Il primo nucleo urbano che si incontra nell’itinerario, è il piccolo centro rurale di Agnone (provincia di Isernia) dove è ubicata la fonderia di campane Marinelli: storica fabbrica che affonda le proprie radici già a partire dall’età medioevale; infatti è considerata sia tra le più antiche fonderie che come azienda metallurgica italiana ancora in attività. Nel 1924, Papa Pio XI concesse alla fonderia il privilegio di fregiarsi dello Stemma Pontificio, tanto che divenne Pontificia Fonderia di Campane. A testimoniare la secolare attività della dinastia dei maestri

Marinelli, nel 1999, è stato inaugurato il Museo storico della Campana che conserva pregevoli campane e pezzi di storia della fonderia, tra cui la più antica campana, datata 1339, modellata e forgiata da maestro Nicodemo Marinelli. Oggi i fratelli Pasquale e Armando Marinelli – da generazione in generazione – continuano, nella storica fabbrica, a produrre campane per tutto il mondo con la collaborazione di maestri fonditori, tra cui il Maestro Antonio Delli Quadri2, figlio di Guglielmo maestro fonditore dell’arte campanaria.

Novello, I Quaderni di Patrimonio industriale, n° 1, Brescia, Aipai-Grafo, 2005, pp. 13-28; R. Covino, Il patrimonio industriale come risorsa: il cotonificio di Forno, in “La filanda di Forno” a cura di C. Torti, Comune di Massa, Società Editrice Apuana, Carrara, 2013, pp. 95-98; L. Bergeron, Industrial heritage tra archeologia industriale e processo di patrimonializzazione, in “Progettare per il patrimonio industriale” a cura di C. Ronchetta, M. Trisciuoglio, Torino, Celid, 2008, pp. 6-8; G. L. Fontana, Archeologia, storia e riuso del patrimonio industriale. Nuovi approcci e competenze, in “Progettare per il patrimonio industriale”, cit., pp. 9-12; R. Covino, Lo storico, l’archeologo industriale e il patrimonio, in “Il capitale culturale”, Journal of the Department of Cultural Heritage, University of Macerata, III, Macerata, 2011, pp. 33-40. 2 A. Delli Quadri, Arte campanaria. Manuale tecnico pratico, Napoli, Arte Tipografica Editrice, 2010.

Agnone (IS). Pontificia Fonderia di Campane Marinelli (ph. A. Monte, 2017)

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Dal Molise ci spostiamo verso la Puglia, dove a Margherita di Savoia (oggi provincia BAT) è ubicata, tra l’omonimo comune, quelli di Trinitapoli e Barletta, la più grande e importante salina d’Europa; infatti, l’area del sito si estende lungo una fascia costiera nella parte settentrionale della Puglia e si sviluppa su una superficie che misura 25 Km in lunghezza e 4 Km in larghezza. Attraverso la visita al sito si può assistere “dal vivo” (attraverso percorsi guidati e itinerari tematici) all’intero ciclo industriale della produzione del sale, e vedere tutti i manufatti -di interesse archeoindustriale- presenti nel sito produttivo, tra cui il Magazzino per la sofisticazione sali progettato dal celebre Maestro dell’architettura contemporanea, l’ingegnere-architetto Pier Luigi Nervi. All’interno dell’area è anche presente la riserva naturale Salina di Margherita di Savoia, un’area naturale protetta, istituita nel 1977; inoltre, a poche centinai di metri dall’ingresso alla salina, in un vecchio magazzino del sale adiacente alla torre di età rinascimentale Le Saline, è ubicato il Museo storico della salina dove è possibile conoscere e vedere tutta la storia di quest’affascinante luogo3. Attualmente, la salina, ha una produzione annua di circa 5 milioni e 500 mila quintali di sale, divenendo cosi la più grande salina d’Europa. Continuando sempre in Puglia, verso sud, il percorso ci porta ad Andria (sempre BAT) dove dal 1894 è ancora attivo, nella sua sede originaria, l’Antica Confetteria e Museo del Confetto “Giovanni Mucci”. Dopo un attento e rigoroso intervento di recupero della storica fabbrica fondata dal capostipite Nicola, Mario Mucci ha destinato lo stabilimento in museo e in confetteria, mentre lo stabilimento di produzione (che da oltre centoventi anni continua -per la quarta generazione- con Mario e i figli Cristian, Loredana e Manuela) è a Trani. Nel 2005 è stato inaugurato il Museo del confetto “Giovanni Mucci”; l’esposizione museografica, frutto di una paziente ed appassionata ricerca che ha saputo raccogliere macchine, apparecchiature del mestiere, utensili, stampini per la produzione di confetti, ecc., si articola in cinque ambienti e si sviluppa su due livelli: uno interrato e uno a piano terra4. Continuando a percorrere l’Alta Murgia, in un paesaggio agrario caratterizzato da architetture di pietre a secco e da distese di oliveti e vigneti, si incontra in contrada Torre di Bocca l’ottocentesca Masseria Terre di Traiano della casata dei conti Spagnoletti Zeuli di Andria. L’Azienda agricola, ecosostenibile, continuando nella tradizione di famiglia che da secoli si dedica alla produzione di olio extravergine di olive, in un territorio dove l’ulivo rappresenta la storia e il simbolo dell’olivicoltura italiana, produce olio extravergine biologico con cultivar di oliva Coratina. Nel complesso rurale, realizzato nel 1900, in degli ambienti utilizzati in passato per le diverse attività masserizie, si può visitare il Museo dell’olio dove sono raccolte e raccontate le attività legate all’olivicoltura. Pregevole è l’intero impianto produttivo dello stabilimento oleario fornito dalla Ditta Veraci di Firenze nel 1934 e attivo sino al 1985. Da Andria si giunge ad Altamura (in provincia di Bari), il centro italiano per eccellenza nella molitura dei cereali dove tra la fine dell’Ottocento e metà del secolo successivo, erano in attività oltre venti molini. La tappa fa visita ad un noto molino, che da tre generazioni produce farina di alta qualità, il Molino artigianale di Mario Dibenedetto che dal 1950 è ancora attivo nel suo sito originario. Esso produce delle particolari farine (la maggior parte provenienti dal grano del “senatore Cappelli”) con un pregevole impianto costituito da un laminatoio della 3 A. Di Vittorio (a cura), Sale e saline nell’Adriatico (Secc. XV-XX), Napoli, Giannini editore, 1981; S. Russo, Le saline di Margherita di Savoia tra Sette e Ottocento, Foggia, Claudio Grenzi editore, 2001; A. Riondino, Magazzino per la sofisticazione dei Sali a Margherita di Savoia. Progetto dell’architetto-ingegnere Pier Luigi Nervi, Foggia, Claudio Grenzi editore, 2006; E. Greco, L’industrializzazione di un prodotto spontaneo: Le saline di Margherita di Savoia, Tesi de laurea, Università del Salento, Facoltà di beni Culturali, A. A. 2006-2007, Relatore prof. arch. Antonio Monte; F. Armillotta, M. Bitondi, A. Guarnieri, C. Varagnoli, Margherita di Savoia. La struttura che sale: il magazzino di Nervi per il Monopolio di Stato, in “Cantiere Nervi. La costruzione di un’identità”, a cura di G. Bianchino e D. Costi, Skira Editire, Milano, pp. 185-190. 4 A. Monte, Il Museo del confetto “Giovanni Mucci” di Andria, in “Patrimonio industriale”, n. 14, ottobre 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, pp. 156-159.

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Ditta Fratelli Bühler di Uzwil (Svizzera), da due laminatoi e due plansichter a due cassoni del tipo sospeso ad oscillazione libera della Ditta Negretti e da una semolatrice MIAG. Lasciamo Altamura e dirigendosi ancora verso sud incontriamo il centro urbano di Maglie dove (vi sono importanti realtà industriali ancora, per la quarta o quinta generazione, che producono) all’interno dell’espansione tardo ottocentesca, è ubicato il noto Pastificio Benedetto Cavalieri, nato come molino nel 1906 e poi, nel 1918 si è trasformato in pastificio. La pasta prodotta, da oltre un decennio rappresenta una punta d’eccellenza della gastronomia italiana. Altra realtà produttiva d’eccellenza, presente a Maglie, è costituita da Maglio Arte Dolciaria, che dal 1875 produce dolci e cioccolata di qualità. Anche Maglio è presente con suoi prodotti sia in Italia che in diversi paesi europei. Da circa un anno è aperto il MaglioMuseo che racconta la storia della dinastia della famiglia di maestri pasticceri. Dopo il berrettificio visitiamo un singolare bene, dove si può parlare di vera e propria patrimonializzazione; si tratta dell’ex conceria Lamarque. Essa, ben pensata e interamente recuperata grazie all’intuizione e alla sensibilità di un privato, è stata destinata a Museum & Artlab ed ospita eventi culturali e mostre di arte contemporanea. Da Maglie ci spostiamo verso il nord Salento dove si incontra uno dei più importanti centri vitivinicoli: Salice Salentino dove, già dal 1665, è presente -nella sua sede storica- l’Antica Azienda Agricola Vitivinicola dei Conti Leone De Castris. La dinastia dei de Castris nel 1922 inizia, con Piero, la pionieristica esperienza produttiva costituendo l’omonima Azienda lanciando sul mercato (nel 1925) le prime bottiglie di vino; verso la fine degli anni venti, dopo aver brillantemente avviato l’imbottigliamento, Piero decise di realizzare una moderna cantina dove introdusse le più importanti innovazioni nel campo dell'enologia. Nel 1940 dopo aver sperimentato, con brillanti risultati, una personale tecnica per la trasformazione del vino, produsse il primo vino rosato del Salento al quale diede il nome di Cinque rose che indicava un’area del territorio di Salice Salentino dove era piantato il vitigno che produceva uva di Negroamaro e Malvasia nera5. Affianco alla cantina, il visitatore può vedere il Museo del vino Piero e Salvatore Leone de Castris che racchiude la storia di una dinastia di vitivinicoltori, che per secoli a saputo coniugare tradizione e innovazione continuando a migliorare e

diversificare l’offerta del mercato, pur conservando le consuete peculiarità produttive. Da Salice Salentino ci spostiamo a San Cesario di Lecce, città delle distillerie e della distillazione. Di questa importante industria possiamo ammirare la distilleria Nicola De Giorgi che, dal 2014, grazie ad un’attenta opera di patrimonializzazione promossa dal Comune con la partecipazione della Fondazione Rico Semeraro, ha restituito una parte degli ambienti destinati ai processi di produzione dell’alcol, della distillazione delle

5 Intervista fatta da chi scrive a Salvatore Leone de Castris del 15 aprile 1999. Inoltre cfr., C. Pasimeni, Quell’intuizione del rosato che ha cambiato il Salento, in “Il Corriere del Mezzogiorno”, 11 settembre 2005; A. Massara, Leone de Castris. Cinque Rose di Negroamaro, Salice Salentino, 2007; A. Monte, lôAntica azienda agricola vitivinicola dei Conti Leone De Castris a Salice Salentino, in “Salento l'arte del produrre. Artigiani, fabbriche e capitani d’impresa tra Ottocento e Novecento”, Lecce, Edizioni del Grifo, 2012, pp. 52-56.

Andria (BT). Azienda Terre di Traiano; frantoi Veraci (ph. A. Monte, 2014)

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fecce, alla produzione del vermouth, ecc.6 Per vedere l’antica arte della produzione dei liquori però si può visitare l’unico liquorificio ed ex distilleria, che da oltre sessant’anni produce e commercializza liquori di qualità: le Distillerie Mario e Antonio Cappello. Visitando la fabbrica di liquori si vede tutto il processo di produzione e si sente il profumo delle erbe e delle essenze utilizzate per fare il liquore. Dalla Puglia passiamo in Basilicata, a Matera Capitale Europea della Cultura 2019. Nel rione Carro (oggi Piccianello)7 è ubicato il Molino Alvino realizzato da Vincenzo Alvino, nel 1884, con i soci Radogna, Paolicelli, Fontana, Sinisgalli, Battista, Ridola. La struttura molitoria è la prima realtà industriale realizzata nel territorio materano, ed era costituita da un molino a tre palmenti e da un pastificio; nel 1913 all’esistente molino si affiancò un modernissimo molino a cilindri. Nel 1980 l’attività molitoria e della produzione della pasta cessa; nel frattempo la proprietà è passata a Manfredi Michele e Quinto Giuseppe che fanno nascere il marchio Pasta Lucana; nel 1983 viene rilevato dalla Barilla che nel giro di qualche anno lo destinata a magazzino. Attualmente è in corso di restauro e sarà destinato, grazie ai fondi del Programma Matera 2019 a Centro per le Arti Bianche. Continuando l’itinerario si approda a Benevento, dove si può far visita alla fabbrica con annessa distilleria e al museo aziendale di un noto prodotto tra i più diffusi in tutto il mondo:

il liquore Strega Alberti. Da cinque generazioni l’Azienda, oggi Strega Alberti Benevento Spa, è gestita dalla famiglia Alberti e amministrata dal discendente Giuseppe D’Avino, noto all’estero come “Mister Strega”. La storica Casa fu fondata da Giuseppe Alberti nel 1860 con l’apertura, in un nodo cruciale -sia stradale che ferroviario- per il commercio del beneventano, di un caffè esercitando anche l’attività di commerciante di vini sfusi da taglia che provenivano dalla limitrofa Puglia. In questi anni inventa

6 La storica distilleria Nicola De Giorgi, che quest’anno celebra i primi cento anni dall’inizio della costruzione dello stabilimento industriale (realizzato tra il 1917 e il 1920), il 16 marzo 2011 è stata aggiudicata alla Fondazione “Rico Semeraro” a seguito di una procedura fallimentare che ha avuto la durata di undici anni. Il 28 settembre 2012 la Fondazione, a nome del suo Presidente Giovanni Semeraro, cede gratuitamente al Comune di San Cesario di Lecce la distilleria con “[...] finalità sociali e culturali a beneficio della comunità di San Cesario [...]”. Grazie a questa donazione gli spazi produttivi, con tutte le aree di pertinenza, sono passati nei beni patrimoniali del Comune di San Cesario di Lecce; pertanto è stato possibile, nell’ambito della Legge Regionale n° 21/2008 su: Norme per la rigenerazione urbana (promossa grazie alle risorse del PO-FESR, Programma Operativo-Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, 2007-2013, Asse VII-Linea d'intervento 7.2-Azione 7.2.1), presentare un progetto per il recupero del Giardino storico e degli ambienti circostanti. Il 27 settembre 2014 è stato inaugurato il I° lotto dei lavori che ha sancito l'avvenuto passaggio tra le parti. Da febbraio 2016 a marzo 2017 si sono svolti i lavori del II° lotto grazie al Fondo di Sviluppo e Coesione 2007-2013 del CIPE n° 92/2012 “APQ Aree Urbane-Citta”, Azioni Pilota Programmate “Patto Città-Campagna”. Il 21 aprile scorso so stati inaugurati altri ambienti produttivi. Il “caso-studio” della distilleria De Giorgi (con i numerosi studi fatti e la redazione di un progetto generale di rifunzionalizzazione e conservazione del sito industriale) ha attivato processi di partecipazione unici nella realtà dell'Italia meridionale, tanto che l'opera di patrimonializzazione della distilleria è un “caso di studio” per diverse realtà sia nazionali che europee. 7 A. Monte, Molini e silos granari. I siti produttivi, i brevetti, le architetture, il patrimonio archeoindustriale, in Atti del Convegno Internazionale “…come sa di sale lo pane altrui. Il pane di Matera e i pani del Mediterraneo”, Matera 5-7 settembre 2014, Foggia, Edizioni Centro Grafico Foggia S.r.l., 2014, pp.189-213; R. Riccardi, Gli Alvino e il mulino alla periferia di Piccianello, in P. Doria, “Ritorno alla città laboratorio. I quartieri materani del risanamento cinquanta anni dopo”, Matera, Antezza, 2010, pp. 84-85.

San Cesario di Lecce (LE). Distilleria N. De Giorgi, vista d’insieme del reparto filtri .(ph. A. Monte, 2017)

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e mette in produzione un infuso a base di erbe dandogli il nome di Strega: nasce cosi il liquore Strega Alberti di Benevento. Dopo avere visitato la fabbrica e la distilleria, si può vedere lo Spazio Strega Museo Aziendale8. Da Benevento si prosegue verso la Capitale del Regno, Napoli. Qui da tre generazioni è presente l’elegante negozio di cravatte “napoletane” che, Eugenio Marinella fondò nel 1914. Sin dalle sue origini la piccola bottega sartoriale, oggi punto vendita -segno di raffinato stile- era ed è il luogo d’incontro dell’alta società napoletana e delle persone eleganti di tutto il mondo. Dal capostipite Eugenio, passando per il figlio Luigi sino ad arrivare a Maurizio. Casa Marinella, con Maurizio, porta avanti la filosofia del suo fondatore incentrata tutta sulla cravatta che è il vero simbolo dell’eleganza perché realizzate tutte rigorosamente in modo artigianale, tagliate e cucite a mano con le migliori sete inglesi. Da Napoli si prosegue verso Gragnano, capitale mondiale della pasta e dell’arte molitoria svolta lungo la Valle dei Mulini; qui, insieme a tanti altri pastifici, dal 1848 è presente il “Premiato Pastificio Afeltra” e la storica “Fabbrica di paste Alfonso Garofalo”. Spostandoci dalla Campania verso la Calabria; a Rossano Calabro è ubicata la Fabbrica e Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli”. Dal 1731 la storica azienda produce liquirizie in un vecchio capannone noto come “concio”, dove estraevano il succo dalle radici.

Arricchisce l’itinerario di contenuti storici, dal punto di vista dello studio dell’evoluzione tecnologica delle macchine, la visita ad alcuni opifici dismessi che conservano al loro interno tutte le macchine, gli oggetti e gli utensili utilizzati nei processi di produzione9. Il patrimonio industriale presente nel sud d’Italia è un’eccezionale opportunità di sviluppo del sistema locale, proprio per la commistione tra tradizione e modernità. In questo ultimo decennio, molti sono gli ex siti industriali recuperati e in corso di rifunzionalizzazione; questo contribuisce sia al recupero della “memoria dei luoghi” che alla patrimonializzazione di un ricco corpus di beni che hanno scritto la storia d’impresa nostrana. Quindi essi, inseriti in un itinerario culturale contribuiscono a valorizzare un territorio rendendolo sempre più “appetibile” per il viaggiatore in cerca di nuove forme di turismo, quale è quello industriale.

8 V. Ferrandino, Lo Strega e gli Alberti: storia di un’industria dell’Italia meridionale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999. 9 Rivolgo un particolare ringraziamento a tutti i proprietari delle fabbriche, degli stabilimenti e delle cantine che mi hanno consentito l’accesso per poter analizzare le strutture, le macchine e i processi di produzione.

Etichette del pastificio Alfonso Garofalo

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Bibliografia

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1485Itinerario di Turismo industriale per la visita a fabbriche e musei (Elaborazione grafica arch. Chiara Sasso)

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G. L. Fontana, Archeologia, storia e riuso del patrimonio industriale. Nuovi approcci e competenze, in “Progettare per il patrimonio industriale”. E. Greco, L’industrializzazione di un prodotto spontaneo: Le saline di Margherita di Savoia, Tesi de laurea, Università del Salento, Facoltà di beni Culturali, A. A. 2006-2007. A. Massara, Leone de Castris. Cinque Rose di Negroamaro, Salice Salentino, 2007. A. Monte, Il Museo del confetto “Giovanni Mucci” di Andria, in “Patrimonio industriale”, n.14, ottobre 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, pp. 156-159. A. Monte, l’Antica azienda agricola vitivinicola dei Conti Leone De Castris a Salice Salentino, in “Salento l’arte del produrre. Artigiani, fabbriche e capitani d’impresa tra Ottocento e Novecento”, Lecce, Edizioni del Grifo, 2012. A. Monte, Molini e silos granari. I siti produttivi, i brevetti, le architetture, il patrimonio archeoindustriale, in Atti del Convegno Internazionale “…come sa di sale lo pane altrui. Il pane di Matera e i pani del Mediterraneo”, Matera 5-7 settembre 2014, Foggia, Edizioni Centro Grafico Foggia S.r.l., 2014. C. Pasimeni, Quell’intuizione del rosato che ha cambiato il Salento, in “Il Corriere del Mezzogiorno”, 11 settembre 2005. R. Riccardi, Gli Alvino e il mulino alla periferia di Piccianello, in P. Doria, “Ritorno alla città laboratorio. I quartieri materani del risanamento cinquanta anni dopo”, Matera, Antezza, 2010. A. Riondino, Magazzino per la sofisticazione dei Sali a Margherita di Savoia. Progetto dell’architetto-ingegnere Pier Luigi Nervi, Foggia, Claudio Grenzi editore, 2006 S. Russo, Le saline di Margherita di Savoia tra Sette e Ottocento, Foggia, Claudio Grenzi editore, 2001.

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Territorialità e patrimonio industriale. Il grano e l’industria molitoria in Puglia e Basilicata

Emma Capurso AIPAI-Puglia – Altamura – Italia

Antonio Monte CNR-IBAM-AIPAI-Puglia – Lecce – Italia

Chiara Sasso AIPAI-Puglia – Taranto – Italia

Parole chiave: Territorialità, patrimonio, industria, grano, molini, Puglie e Basilicata, turismo industriale, marketing. 1. Introduzione

Il distretto territoriale compreso tra Puglia e Basilicata è caratterizzato da una elevata vivacità produttiva e da una crescente attività molitoria, documentata sin dall’antichità e successivamente sviluppatasi in linea con i processi di industrializzazione. Le comunità di tale distretto, dedite alle attività agro-silvo-pastorali, hanno lasciato le tracce di quelle che furono le dinamiche insediative proprie del mondo rurale, costituito da una tradizione produttiva attestata in numerose aree archeologiche che, via via hanno interessato gli spazi urbani, come documentato dall'attività vitivinicola e da quelle molitorie di olio e grano; le testimonianze connesse alle fasi pre e protoindustriali presenti nelle città moderne hanno, quindi, delineato nuovi scenari di vita. Lo stretto rapporto tra gli aspetti del paesaggio rurale, fortemente connessi alle attività produttive, ha caratterizzato questi territori di confine, la presenza di aree coltivabili ai piedi dei pendii, i solchi vallivi a regime torrentizio tra le lame murgiane, hanno favorito l’impianto e lo sviluppo di una efficiente attività molitoria, testimoniata dalla costruzione, a partire dal XVII secolo, di diversi impianti produttivi per la macinazione dei cereali. La testimonianza di tale produzione è documentata dai numerosi mulini (e centimoli) che si distribuiscono nell’area che interessa la Puglia e la Basilicata; molteplici sono le testimonianze appartenenti al patrimonio industriale, costituito da beni mobili, immobili e immateriali, che hanno determinato il delinearsi di un paesaggio antropico e ambientale rendendolo peculiare, paesaggi urbani storici della produzione, dagli aspetti architettonici e funzionali, in alcuni casi ancora leggibili, in altri, ricostruibili, sono divenuti oggetto di studio rilevabili nella prospettiva della patrimonializzazione e della valorizzazione. La storia del paesaggio agrario in cui il patrimonio culturale industriale si è articolato accanto all’assetto produttivo che si è delineato nelle campagne, va analizzato in rapporto alla città. Il delinearsi di alcune peculiarità deve essere considerato come un fattore specifico in grado di permettere lo sviluppo territoriale di tutto il distretto e caratterizzare l’affermarsi di un turismo consapevole che miri allo sviluppo dell’intero territorio. 2. Territorio e paesaggio agrario

Durante tutto il Settecento e l’Ottocento diversi viaggiatori stranieri si sono spinti verso l’Italia meridionale in aree, spesso, di difficile accesso per le condizioni ambientali e per le strade insicure e malmesse; studiosi ed escursionisti che con passione e curiosità hanno annotato gli aspetti tipici dei territori con utili descrizioni del paesaggio. Alcuni viaggiatori che attraversarono il territorio pugliese, tra la fine del secolo XVIII e la metà del successivo, definirono la Terra di Capitanata “i granai delle Puglie”1. Il viaggiatore svizzero Carlo Ulisse De Salis Marschlins nel suo viaggio compiuto nel 1789 tra le province del Regno di Napoli 1 G. Ceva Grimaldi, Itinerario da Napoli a Lecce, Cavallino di Lecce, Capone Editore, 1981, p. 14.

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descrive con attenzione lo stato dell’agricoltura soffermandosi nella descrizione nei grandi campi coltivati a frumento definendo che si trattava della principale forma di industria locale2. Nel corso del suo viaggio in Puglia si sofferma nella descrizione della Basilicata, in particolare di Matera e delle eccellenze prodotte3. Un’interessante descrizione della Basilicata potentina si deve al Pallottino4, che nel 1874 descrive le attività svolte per la realizzazione di serbatoi e sistemi per incanalare le acque; l’idea è quella di formare uno “stabilimento” per lo sfruttamento delle acque minerali della Francesca. Nella maggior parte delle regioni del Mezzogiorno d’Italia prevale l’industria agroalimentare, connessa alle numerose attività produttive e alla trasformazione dei prodotti agricoli quali uva, olive e grano, così da delineare un paesaggio caratterizzato dalle ampie distese di campi di frumento accanto ai quali sono presenti gli impianti colturali delle viti e degli oliveti. Le distese di campi coltivati si dispiegano lungo i lievi pendii murgiani e nelle lame che tra essi si interpongono, si alternano scarne piantumazioni arboree di ulivi e mandorli, segnati da solchi carrai e stradine brecciate, preludio di traturelli e tratturi. Sono le vie delimitate da muretti a secco che hanno creato una fitta trama di divisori ordinati che han fatto da cornice ad una intensa attività agro-pastorale che si è perpetuata, in maniera intensiva, sino alla metà del secolo scorso. La Puglia (in particolare nelle province di Foggia, Bari e Lecce) e la Basilicata, accanto a Campania (province di Avellino e Salerno) e Calabria, rappresentano le regioni dove la presenza di coltivazioni a frumento, nel corso degli anni, ha visto svilupparsi una delle più importanti produzioni di grano duro della nazione ma principalmente ha alimentato l’approvvigionamento della materia prima per la produzione di "pasta da minestra" e di prodotti da forno, determinando una vasta diffusione delle industrie molitorie. Un breve e sintetico accenno va fatto alla storia del paesaggio agrario in cui il patrimonio culturale si è articolato, influenzato dall’assetto produttivo, delineatosi nelle campagne in stretto rapporto con le città. Nel territorio analizzato un ruolo centrale va assegnato alle masserie, le strutture preposte alla trasformazione della produzione agricola che accoglievano spazi destinati alla produzione, come trappeti e palmenti, o aree destinate alla lavorazione del latte e delle materie coltivate. Nelle masserie si praticava la molitura delle olive che avveniva nei trappeti ipogei o semipogei, mentre al piano terra era ubicato il molino (o centimolo) del tipo a palmenti con mole, che utilizzavano il tradizionale metodo di macinatura per fregamento. Nel resto della Puglia, in tutta l’area del Tavoliere, dal Subappennino alle Murge, si registra una crescita del seminativo che coinvolgerà anche le zone di confine della Basilicata andando a spingersi sino a tutta l’area che si estende da Irsina al Bradano; nelle aree di macchia i terreni vennero dissodati e messi a coltura mentre le estensioni boschive vennero abbattute per far posto alle coltivazioni di grano, segale e granturco5. La tradizionale tecnica di macinazione praticata nei molini a palmenti (o a sfregamento) ampiamente diffusa nelle campagne italiane, rimase per diversi secoli inalterata anche dopo l’introduzione della forza motrice a vapore ed elettrica. Essi venivano azionati da forza animata da uomini o animali (perciò chiamati anche “a sangue”) o inanimata prodotta da

2 Descrive "Manfredonia, Barletta e Trani lavorano principalmente in grano [...] fatta eccezione di pochi vigneti presso Grotta Minarda, l’intera campagna è tutto un esteso campo di grano. [...] Percorrendo la via fra Gravina e Matera traversai due miglia di campi di grano. [...] da Matera proseguii sino ad Altamura, grano e bestiame formano qui i principali capi di produzione dell’industria [...]". C.U. De Salis Marschlins, Viaggio nel Regno di Napoli, G. Donno (a cura), Cavallino di Lecce, Capone Editore, 1999, pp. 193, 85, 59, 197, 201. 3 "[...] il pane, l’acqua ed il vino,le tre cose più necessarie alla vita, sono eccellenti; ed il pane e l’acqua in ispecie, non sono inferiori a quelli di nessun paese del Regno [...].", Idem, p. 199. 4 F. Pallottino, N. Tamburrino, Le acque minerali della Francesca, Napoli, Tip. F.lli Testa, 1878, p. 151 e ss. 5 P. Bevilacqua, Terre del grano, terre degli alberi: l’ambiente nella storia del Mezzogiorno, Rionero in Vulture (PZ), Calice, 1992, p. 26 e ss.

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energia idraulica, eolica, a vapore ed elettrica6. I molini azionati dall’energia idraulica con ruota orizzontale o verticale, si diffusero maggiormente nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale, dove la presenza di numerosi corsi d’acqua ne determinò un largo uso. In Puglia numerosi sono gli esempi di impianti molitori a trazione idraulica come quelli della valle del Celone7, in provincia di Foggia, accanto ai diversi esempi documentati nella Basilicata8, in provincia di Potenza mentre nelle campagne della Terra d’Otranto e nell’area Murgiana si diffusero i molini a trazione animale noti come centimoli. 3. Industria molitoria e patrimonio industriale

Con lo sviluppo tecnologico, intorno ai primi decenni del secolo XIX, appaiono i primi laminatoi a cilindri, che solo intorno all'ultimo quarto del secolo iniziano a diffondersi. Questo nuovo sistema di macinazione (che introduce l'alta macinazione o macinazione graduale a cilindri), permette la costruzione di moderni impianti molitori che inizialmente si sono affiancati ai vecchi molini del tipo a palmenti. La presenza di molini a palmenti e del tipo a cilindri, ancora in situ costituisce un peculiare patrimonio protoindustriale e industriale; luoghi in cui i valori legati al lavoro e all’economia che attraverso la patrimonializzazione possono rientrare tra i patrimoni della storia dei territori9. Come accennato la presenza di impianti protoindustriali si è protratta per lungo tempo, il molino a palmenti presenta un meccanismo costituito da un albero verticale (o albero rotante) su cui sono inserite la tramoggia, che porta direttamente il grano al centro della macina superiore, e due mole di pietra calcarea disposte in senso orizzontale una sull’altra. Tutti gli impianti molitori tradizionali praticavano la bassa macinazione con questo metodo in un solo passaggio di macinazione venivano completamente schiacciati i chicchi di grano. Per tutto il periodo compreso tra il XVI e la fine XVIII, gli impianti a palmenti, dominarono la scena dell’arte molitoria in tutta l’Italia dal nord al sud comprese le isole; il palmento poteva essere semplice o doppio con banco metallico ma i meccanismi utilizzati, rimasero intatti nella loro struttura originaria e solo raramente venivano rinnovati. Infatti, la macinazione a palmenti, che nel corso di circa quattro secoli aveva raggiunto un discreto grado di perfezione, continuò ad essere utilizzata dai contadini per molti decenni anche dopo l’avvento dei primi esempi di laminatoi, poiché considerati dispendiosi e costosi con il conseguente prevalere della bassa macinazione10. A rivoluzionare radicalmente il tradizionale metodo di molitura dell’età moderna fu la comparsa dei laminatoi a cilindri, avvenuta tra il 1821 e il 1832, con questo sistema la rottura in frammenti, lo svestimento delle semole, la rimacina vengono compiuti dai laminatoi. A partire dalla metà XIX secolo il passaggio alla nuova tecnologia avvenne in maniera graduale, l’alta macinazione del tipo a cilindri con successive rotture e conseguente burattatura e separazione dei prodotti.

6 R. Covino, A. Monte, L’industria molitoria in Terra d’Otranto: il molino a cilindri Scoppetta a Pulsano nel centenario della sua fondazione. Recupero e conservazione di un monumento industriale, Narni (TR), Crace, 2011; A. Monte, Molini e silos granari. I siti produttivi, i brevetti, le architetture, il patrimonio archeoindustriale, in Atti del Convegno Internazionale "…come sa di sale lo pane altrui. Il pane di Matera e i pani del Mediterraneo", Matera 5-7 settembre 2014, Foggia, Edizioni Centro Grafico Foggia S.r.l., 2014, pp.189-213. 7 A. e N. Pirozzoli, I mulini ad acqua dell’Alta valle del Celone, Faeto (FG), Centro Grafico Meridionale Foggia, 1983. 8 Nel 1877 un censimento in Lucania attesta la presenza di 700 molini idraulici collocati nelle campagne. 9 A. Monte, Dal palmento al laminatoio a cilindri. Origini e sviluppi dell'industria molitoria in Puglia, in "I molini e l’industria molitoria in Puglia. Il progetto IN.CUL.TU.RE. e il molino Coratelli e Imparato a Corigliano d’Otranto (Le)", a cura di A. Monte, P. Durante, S. Giammaruco, LECCE, In-Cul.Tu.Re/CNR-IBAM, 2015, pp. 21-42. 10 A. Monte, Dal palmento al laminatoio a cilindri., cit., p. 27.

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Salice Salentino (LE). Molino a palmenti; Pulsano (TA). Molino con laminatoi a cilindri; Proprietà A. Corigliano (A. Monte, 2009) Proprietà Eredi Scoppetta (ph. A. Monte, 2006) Il laminatoio, e tutti gli altri macchinari correlati alla macinazione che si andarono perfezionando in questo secolo, avevano il grande vantaggio di produrre un prodotto decisamente migliore11. Da un lato si ridusse il surriscaldamento delle farine dovuto allo schiacciamento sotto le macine di pietra dei palmenti, dall’altro si iniziò a raffinare il prodotto grazie all’eliminazione della crusca e del cruschello, processo che portò al confezionamento di diverse varietà di farine. Dopo l’introduzione del laminatoio per frantumare i chicchi di grano, seguì, dopo circa cinquant’anni, il plansichter, un buratto piano o staccio piano ad oscillazione libera che rappresentò il tipo più moderno di macchina stacciatrice, utilizzato per l’abburattamento delle farine12, segnando la vera rivoluzione dell’intero sistema dell’arte molitoria. Con l’introduzione della macinazione a cilindri le strutture molitorie impiantate a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, furono realizzate nei nuclei urbani, seguendo un aspetto monumentale, e in alcuni casi collocate in prossimità della linea ferroviaria per favorirne il commercio. Tra la metà del secolo XVIII e i primi decenni del secolo XX, accanto ai molini sorsero numerosi pastifici, noti come “fabbriche di paste da minestra”, forni da pane, accanto ai quali nacquero stabilimenti e officine meccaniche per la produzione e riparazione di impianti e macchine per la molitura, frangitura e torchiatura. Se il passaggio dai molini a sangue a quelli a cilindri, segnato dall’introduzione della macchina a vapore e successivamente dall’uso dell’energia elettrica la quale fornisce energia pulita, superando il grosso problema che rappresentavano i fumi delle ciminiere nel contesto urbano in cui ormai erano stati inglobati i molini di Altamura e Matera, l’esigenza di migliorare e aumentare la portata delle produzioni accanto ai processi di nazionalizzazione del 11 Di grande rilievo fu la casa produttrice Bühler, che nei primi decenni del Novecento brevettò e costruì raffinatissimi laminatoi a tre e quattro cilindri, definendo le macchine più utilizzate nei moderni impianti molitori. 12 Lo staccio piano a oscillazione libera o plansichter, venne brevettato dall’ungherese Karl Haggenmacher nel 1887. Esso rappresentò il tipo più moderno di macchina stacciatrice; infatti era composto da diversi stacci piani disposti uno sull’altro. Diverse furono le case costruttrici di plansichter: la Ganz & C.; la Luther; la Amme, Giesecke & Konegen; la Daverio e la Bühler; ecc...

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mercato, ha portato alla dismissione delle sedi storiche dei molini a cilindri. Il processo di dismissione dei molini altamurani ha seguito quelle che sono state le dinamiche di ampliamento edilizio dei quartieri abitativi che a partire dagli anni settanta hanno segnato una mutazione dell’aspetto monumentale e sociale della città di Altamura. Si tratta di un processo di forte urbanizzazione che ha segnato fortemente l’aspetto della città che ha depauperato la stessa, del meraviglioso e monumentale aspetto di motore economico, impresso sulle facciate e negli ambienti degli opifici. Va ricordato che tutti gli opifici nacquero accanto al piano di lottizzazione ottocentesco che previde un’organizzazione urbanistica costituita dalle costruzioni di case contadine a schiera destinate ai braccianti che lavoravano i latifondi delle famiglie borghesi della città13. Un inaridimento urbanistico e monumentale che ha travolto nel corso degli anni il tessuto sociale della città, capitale per eccellenza dell'arte molitoria del Mezzogiorno d'Italia; ma purtroppo ormai tutto giace nella memoria che si sta cercando -con meticolosità- di ricostruire14. 4. Dal territorio all’industria. Temi e percorsi

L’industria molitoria è il riscatto nel percorso socio-economico della storia del Mezzogiorno, l’affrancamento dalla feudalità, attraverso lotte e conquiste per l’emancipazione economica. “Pane e lavoro” è lo slogan delle piazze del dopoguerra, quello che il popolo chiedeva ai governi, e presto l’industrializzazione del paese, fu la risposta alla richiesta di lavoro. L’industria della molitura dei cereali in Puglia e in Lucania, tra la metà del XVIII secolo e i primi decenni del XX, segna un cambiamento epocale nello sviluppo economico, nell’emancipazione sociale e nella diffusione del benessere. Ha determinato l’avvio di processi di urbanizzazione dei centri abitati, contribuendo all’ammodernamento e allo sviluppo di numerosi settori economici e al miglioramento dei trasporti e delle comunicazioni a partire dalla rete ferroviaria. La rete degli opifici è un patrimonio socio-economico che nella sua specificità architettonica è anche il riflesso di un territorio contraddistinto dalla varietà degli ambienti geografici, dalle stratificazioni storiche e dalle tradizioni artistiche locali. Oltre al restauro e al riuso di tali fabbriche, si propone la “lettura” del territorio mediante la valorizzazione dei paesaggi dell’agricoltura, per restituire bellezza e identità alla terra, delle macchine (brevetti, case produttrici, officine di riparazione), del lavoro dell’uomo e della memoria collettiva, della comunicazione commerciale e del marketing, dei prodotti di trasformazione (tradotti in specificità gastronomiche locali) e della tradizione culinaria tra riti pagani e feste religiose. La ricostruzione del ciclo produttivo in ogni sua singola fase, è lo studio delle complesse relazioni di luoghi, uomini e mezzi, che hanno condizionato la storia economica e antropologica del territorio. Ripercorrere la filiera agroalimentare, dal grano al pane, alla pasta, costituisce un’esplorazione antropologica tra saperi e sapori, tra produzione e prodotti di una civiltà rurale, attraverso beni materiali ed immateriali di una fitta e significativa rete di relazioni che definiscono la memoria e delineano i presupposti del futuro dell’arte bianca. I molini insieme ai forni e ai pastifici, nella loro complessità architettonica, a volte teca delle antiche macchine molitorie, sono esempi di archeologia industriale e testimonianza storica della vita della comunità rurale.

13 S. Cutecchia, La città di mezzo. Frammenti e testimonianze della storia urbanistica e sociale di Altamura tra XIX e XX secolo, Monteroni di Lecce, Ed. Esperidi, 2015. 14 E. Capurso, Archeologia del paesaggio ad Altamura. Dalla carta archeologica allo studio delle attività produttive, Tesi di specializzazione, Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici, Matera, A. A. 2014-2015, Relatore Prof. Dimitri Roubis, Correlatore prof. Arch. Antonio Monte. E' in corso di preparazione un volume di Emma Capurso e Antonio Monte dal titolo: I molini di Altamura e l’industria molitoria tra Puglia e Basilicata.

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Tavola dei distretti territoriali di Foggia, Altamura, Matera, Taranto, Lecce e Potenza (Elaborazione grafica arch. C. Sasso)

Fabbriche in cui la cittadinanza di piccoli e grandi borghi ritrova la propria identità culturale. L’ambizioso progetto ecomuseale15, si propone come rete per la valorizzazione delle peculiarità dei distretti di Foggia, Altamura, Matera, Taranto, Lecce e Potenza, al fine di strutturare e migliorare l’offerta turistica e perseguire uno sviluppo territoriale unitario anche nell’entroterra, limitato spesso ad un turismo monostagionale e costiero. Il sistema capillare delle testimonianze industriali -impianti molitori, pastifici, forni da pane, officine meccaniche- in rete con le attuali aziende produttive, costituirebbe la mappatura del turismo industriale, volano per la rinascita sociale ed economica di questo territorio. Per una migliore comprensione di quanto esposto, si prendono come "casi studio" tre realtà produttive che hanno scritto un'importante pagina dell'industria molitoria: Pulsano con il molino Scoppetta, Altamura e Matera con i loro molini e i numerosi forni da pane. Nel distretto di Taranto, il molino Scoppetta di Pulsano, è un’importante testimonianza della memoria del lavoro nella storia economica e sociale della comunità pulsanese e dei paesi vicini. L’opificio, unicum nella conservazione dell’impianto oltre l’involucro, contraddistinto dal verticalismo architettonico che si impone su un tessuto edilizio introverso, fatto di tipologie abitative a due piani, solitamente unifamiliari, si presta ad essere Museo di impresa16, in quanto testimonianza tangibile di un luogo di lavoro e, contestualmente centro propulsivo di conoscenza, di valorizzazione e proposizione di attività sull’arte molitoria. Nell’intento di ridare vita produttiva all’opificio, il riuso museale diventa il pretesto per ricongiungere il mondo industriale al mondo della cultura e dell’arte. Due i percorsi che si strutturano e si intercettano all’interno della fabbrica: il percorso di cultura industriale, il percorso di cultura sociale. 15 H. De Varine, Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo locale, Bologna, Clueb, 2005. 16 M. Negri, Manuale di museologia per i musei aziendali, Soveria Manelli (CZ), Rubettino Editore, 2003.

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Carta di distribuzione dei centri dove erano o sono ancora presenti impianti molitori (Elaborazione grafica archh. A. Monte e C. Sasso)

Il museo in quanto custode di oggetti e prodotti, nella sua peculiarità di poter conservare gli apparati produttivi e le macchine, è testimonianza delle tecnologie della produzione e delle metodologie produttive, nonché custode di attrezzi, stampi, documenti e protocolli di lavorazione, disegni tecnici, risultati delle attività di ricerca, bilanci e atti di contabilità, lettere e relazioni tecniche. Il percorso di cultura industriale è un viaggio di conoscenza dell’apparato tecnico e funzionale della “macchina di produzione” che si articola verticalmente dal piano seminterrato al quarto livello, ripercorrendo ogni azione e ogni fase di trasformazione del grano. Il percorso di cultura sociale è articolato orizzontalmente su tre livelli. Il primo piano ripercorre le relazioni tra la produzione agricola e il contesto sociale, culturale e paesaggistico. È dedicato alla memoria del lavoro, alla comunità rurale, alle maestranze, nonché in primis, alla famiglia Scoppetta e all’intraprendenza del suo fondatore Francesco Scoppetta. Il secondo piano è un passaggio di scala da Pulsano, oltre i confini nazionali. La sala dell’arte culinaria fa rivivere la storia dei prodotti di trasformazione nella sua naturale evoluzione da bene primario a bene identitario della tradizione gastronomica locale. Il terzo piano oltre ad ospitare la Sala plansichter, ha come tema l’architettura degli opifici, analizzata nella materia e nei caratteri costruttivi delle sue componenti e sub-componenti formali e funzionali. Continuando a produrre attività di sviluppo territoriale, con il restauro e la musealizzazione del molino Scoppetta si restituisce un “bene produttivo” alla comunità locale oltre che alla collettività generale17. 17 C. Sasso, Pane e lavoro. Dal territorio all'industria: il Museo e Centro di documentazione Molino Scoppetta, Project work del Master in Conservazione, Gestione e Valorizzazione del Patrimonio Industriale-Università degli Studi di Padova, A. A. 2014-2015, Tutor Prof. Arch. Antonio Monte.

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Nel distretto di Altamura in cui hanno operato imponenti molini, a differenza degli altri distretti pugliesi, la comunità ha perso la “memoria” fisica di questi opifici che in seguito alla dismissione sono stati demoliti. Unica testimonianza attiva dal 1949, che conserva e “racconta” la memoria dell’industria altamurana, è il già citato molino artigianale Dibenedetto sito in via Aquileia. Opera dagli anni cinquanta nel centro storico, conservando l’impianto e il processo produttivo tradizionale; il proprietario Mario Dibenedetto ha scelto di tutelare la dimensione di piccolo opificio a conduzione famigliare, selezionando (e riscoprendo) i grani per la macinazione (primo fra tutti la nota varietà "Senatore Cappelli". Di contro alla perdita degli stabilimenti industriali, resta solida la tradizione della panificazione di uno dei prodotti cerealicoli, che ha trasformato l’economia di questo centro, il pane di Altamura, alimento simbolo della comunità dell’Alta Murgia, impastato in casa e portato a cuocere in forni pubblici, diventato un prodotto col marchio DOP dal 2003. Nel 2008 arriva anche il riconoscimento IGP per il pane di Matera, nonché la valorizzazione della tradizione contadina dei panificatori lucani nell’antico processo di produzione del pane. Con il marchio si valorizza il territorio di origine nelle sue variabili ambientali, le tecniche di produzione, le tradizioni storico-culturali e istituzionali, rendendo quel prodotto unico e non riproducibile con le stesse caratteristiche in altri luoghi. E’ uno degli obiettivi perseguiti dagli attori territoriali in un progetto di sviluppo turistico di terza generazione, in cui l’offerta propone la scoperta del territorio in chiave enogastronomica e culturale18. Si tratta spesso di dinamiche scaturite da processi bottom up della comunità locale, che sempre più acquisisce consapevolezza del valore della tradizione, della propria storia culturale e riconosce le qualità organolettiche dei prodotti e il valore dei metodi di produzione strettamente legati al luogo. Bibliografia M. C. Amouretti, Città e campagna in Grecia, in J. Flandrin, M. Montanari (a cura di) Storia dell’alimentazione, Roma-Bari, Laterza, 1997. G. Berarducci-Vives, La macinazione e la panificazione, Lecce, Tipo-Litografia L. Lazzaretti e Figli, 1886. P. Bevilacqua, Terre del grano, terre degli alberi: l’ambiente nella storia del Mezzogiorno, Rionero in Vulture (PZ), Calice, 1992. P. Castoro, A. Creanza, N. Perrone, Alta Murgia. Natura, storia, immagini. Libro primo, Altamura (BA), Ed. Torre di Nebbia, 1997. V. Cazzato, S. Politano, I luoghi del lavoro: gli stabilimenti industriali e artigianali, in "Architettura e città a Lecce. Edilizia privata e nuovi borghi fra '800 e '900", Galatina (LE), M. Congedo Editore, 1997. G. Ceva Grimaldi, Itinerario da Napoli a Lecce, Cavallino di Lecce, Capone Editore, 1981. R. Covino, A. Monte, L’industria molitoria in Terra d’Otranto: il molino a cilindri Scoppetta a Pulsano nel centenario della sua fondazione. Recupero e conservazione di un monumento industriale, Narni (TR), Crace, 2011. A. L. Denitto, Proprietari, mercanti, imprenditori tra rendita e profitto, in "Storia di Lecce dell’unità al secondo dopoguerra", Bari-Roma, Gius. Laterza & Figli, 1992. C. U. De Salis Marschlins, Viaggio nel Regno di Napoli, G. Donno (a cura), Cavallino di Lecce, Capone Editore, 1999. H. De Varine, Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo locale, Bologna, Clueb, 2005.

18 B. Guerra, Il marketing dei prodotti tipici ed il ruolo dell'ospitalità di territorio, il caso "le strade della mozzarella", in Atti del Convegno Internazionale "…come sa di sale lo pane altrui....", cit., pp. 337-348.

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G. Florio, L’ingegnere mugnaio. Manuale pratico per gl' ingegneri civili incaricati delle perizie giudiziarie per la determinazione delle quote fisse nei molini forniti del contatore meccanico, Napoli, Stabilimento Tipografico di Francesco Giannini, 1871. B. Guerra, Il marketing dei prodotti tipici ed il ruolo dell'ospitalità di territorio, il caso "le strade della mozzarella", in Atti del Convegno Internazionale "…come sa di sale lo pane altrui. Il pane di Matera e i pani del Mediterraneo", Foggia, Edizioni Centro Grafico Foggia S.r.l., 2014. E. Madureri, Storia della macinazione dei cereali, Vol. I, Pinerolo (TO), Chiriotti Editori, 1995. G. Masi, Altamura farnesiana, Bari, Editore Cressati Bari, 1959. D. Mazzotta, Archeologia industriale nel Salento: il mulino Marati, in "Il Coltello di Delfo", A. IV, n° 19, settembre 1991. A. Monte, Il molino e pastificio di Francesco Marati a Martano, in "Salento l'arte del produrre. Artigiani, fabbriche e capitani d'impresa tra Ottocento e Novecento", Lecce, Edizioni del Grifo, 2012. A. Monte, Molini e silos granari. I siti produttivi, i brevetti, le architetture, il patrimonio archeoindustriale, in Atti del Convegno Internazionale "…come sa di sale lo pane altrui. Il pane di Matera e i pani del Mediterraneo", Foggia, Edizioni Centro Grafico Foggia S.r.l., 2014. A. Monte, P. Durante, S. Giammaruco, (a cura), I molini e l’industria molitoria in Puglia. Il progetto IN.CUL.TU.RE. e il molino Coratelli e Imparato a Corigliano d’Otranto (Le), Lecce, In-Cul.Tu.Re/CNR-IBAM, 2015. M. Morano, Storia di una società rurale. La Basilicata nell'Ottocento, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli, 1994. M. Negri, Manuale di museologia per i musei aziendali, Soveria Manelli (CZ), Rubettino Editore, 2003. F. Pallottino, N. Tamburrino, Le acque minerali della Francesca, Napoli, Tip. F.lli Testa, 1878. R. Pareto, G. Sacheri, Voce Macinazione e Triturazione, in "Enciclopedia delle Arti e Industrie", Vol. V, Parte II, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1891. A. e N. Pirozzoli, I mulini ad acqua dell’Alta valle del Celone, Faeto (FG), Centro Grafico Meridionale Foggia, 1983. C. Siber-Millot, L’industria dei molini. Costruzioni-impianti-macinazione, Milano, Ulrico Hoepli Editore, 1897. M. VAQUERO PINEIRO, I silos granari in Italia negli anni Trenta: fra architettura e autarchia economica, in “Patrimonio industriale”, anno V n. 7, aprile 2011.

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