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IL BARLUME Anno 3 numero 1 – Gennaio 2009

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Mensile di fotografia, poesia e letteratura

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IL BARLUME Anno 3 numero 1 – Gennaio 2009

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EDITORIALE Il tempo che insegna che alcune parole dovrebbero comparire con minor frequenza nel nostro voca-bolario: signorina, attimino, ironico, par condicio, olistico. Altre sarebbe necessario che scomparisse-ro: fascismo, teocrazia, stupro, ho ragione io, Moccia. E perché. Perché dovrebbe scomparire perché? No, forse scomparire è un’esagerazione, però possiamo provare a ridurne la sua frequenza di com-parsa, diciamo una volta al giorno tanto per cominciare, come una lenta e programmata disintossica-zione. Quando abbiamo deciso di fare un numero sui sensi, e di questo tratta Il Barlume di gennaio, nessuno si è chiesto perché. Ci concediamo il nostro perché quotidiano. Perché nessuno si è chiesto perché? I sensi non richiedono spiegazioni, i sensi esistono. Io sono, io sento, e basta. Quanti e quali siano non siamo in grado di dirvelo, abbiamo provato a chiedercelo e il risultato lo potete virtualmente sfo-gliare. Come con una cipolla, lentamente scivolare di senso in senso, come quando da una rabbia incomprensibile si scende allo strato della ferita e di lì a quello del dolore, per ritrovare il senso ultimo (primo?) di ciò che sentiamo. Spesso è dolore, e allora ci mettiamo un perché per raffreddarci. Non lo faremo stavolta, ci siamo ripromessi di abbandonare questa pericolosa dipendenza. Questo mese abbiamo confezionato un Barlume scintillante, tanto scintillante che quasi ci veniva vo-glia di cambiargli il nome. Lo Scintillio, ma poi saremmo stati subissati di perché, e allora abbiamo desistito. Si comincia con un racconto di Lorenzo Calza. Siamo felici di ospitarlo su queste pagine, lui che è fra i padri di uno dei personaggi meglio caratterizzati del fumetto italiano, Julia, edito da Bonel-li. Per questo non vediamo l'ora di avere fra le mani "La commedia è finita", il suo romanzo a fumetti illustrato da Roberto Zaghi e che uscirà nelle prossime settimane (edito da Robin Edizioni). Su Face-book potete trovare altre conversazioni con Kerpov, tutte ugualmente argute. Ma questa, concedete-celo, ci piace di più, è diventata nostra. Si prosegue con la terza puntata del romanzo d'appendice "Il futuro non è più quello di una volta" di Emidio, che ci parla di sensi trascorsi. Potete trovare le puntate precedenti nei numeri di agosto e di novembre. Continuando incontriamo i sensi di Alessandro Pagni, che ci invia una letterina natalizia decisamente atipica che prende a pugni chi legge. Almeno, noi abbiamo sentito questo. Infine troviamo una neo-barlumista, Rossella Palloni, che fa la sua prima apparizione come scrittrice, delineando una carnale e femminea Psiche che ha messo i nostri sensi in festa, lieti e desiderosi di corpi. Sul finire la prima sdraio dell’anno e la nostra rubrica di cinema. Buona lettura DePiCo

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MARSHMALLOWS (al telefono con Kerpov) Lorenzo Calza

15 dicembre alle ore 15.53 Quando arrivò al telefono, Anatoli Kerpov aveva la voce impastata. "Sono reduce dalla festa indetta per lo sgonfiamento delle labbra di Angiolina Jolie, nella loro casa di New Orleans…" "Com'è andata?" "Male. Ho chiesto a Steve Jobs se fosse a dieta, è sceso il gelo, e nessuno ha avuto il coraggio di usare lo spillone. Per fortuna, il punch spaccava di brutto. C'era questa scala a chiocciola che non finiva più e tanti, tanti bambini. Ho fatto indigestione di marshmallows. Devo dire che vomitare dolce ha un suo fascino. Soprattutto mentre Clint suona al piano "It ain't necessarily so" di Gershwin. An-che se preferivo la versione dei Bronski Beat…" Come al solito, mi lasciò interdetto. "Prof, mi scappa da ridere, mi chiedono la sua opinione sui cinque sensi…" "In che senso?" "Provi a indovinare." "Userò il mio sesto senso. Anzi, l'ottavo." "Perché non il settimo?" "Il Settimo Senso è stato rovinato dalle cazzate zen di Nader Butto. Che ti puoi curare con l'energia cosmica, e quelle robe lì…" "Qual è l'ottavo, allora?" "Il senso generale.” "Delle cose? Delle persone?…" "Il senso compiuto, quello unico." "Il senso unico?" "No, l'unico senso. Quello che ci spinge a dire le cose sensate."

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"Le cose giuste?" "No, quelle coi sensi. Le cose con l'udito, con l'olfatto, con la vista, col tatto, col gusto." "Prof, questi sono i soliti giochi di parole. Da un semiologo della sua fama ci si aspetta di più." "Chi è il committente?" "Il Barlume." "Accetto." "Lo sapevo già, prof. Parliamo di quell''unico senso. È una specie di 'senso comune'?" "Diciamo che ne è la formula socialdemocratica. Così lasciamo perdere il comunismo. L'unico senso è tornare ai sensi. Assaggiare, toccare, annusare, guardare per bene. Tu che perdi tanto tempo col nono senso." "Quale?" "La virtualità." "Si parla di crisi di senso della realtà contemporanea." "Io parlerei di crisi di buon senso della realtà passata." "Ci avete regalato un mondo invivibile." "Nessun regalo, ve lo abbiamo fatto pagare" si accese qualcosa - tabacco arrotolato, dice lui - "E dobbiamo studiare la natura di questo orrido commercio unilaterale. Il contratto asociale che abbia-mo chiuso nei cassetti del passato. Bisogna riaprire quei cassetti…" "Cioè, senza memoria non c'è futuro?" "Senza futuro non c'è memoria. È questo il problema." Cavolo, il punch aveva fatto effetto. Questo era un concetto su cui riflettere. Ma non capivo come c'eravamo arrivati. "Torniamo ai cinque sensi, prof." "Te l'ho detto, perché le cose abbiano senso, bisogna che le cose ritrovino i sensi…" "Mmm… Mi fa un esempio di una cosa che ha gusto?" "Il TG5." Mise giù, prima che realizzassi. Perché "fuck" in inglese lo so dire.

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IL FUTURO PARTE TERZA Emidio Picariello

Ok, stiamo calmi, ancora non è successo niente. E' solo stramazzato un tecnico da-vanti ai miei occhi, e qualcuno ha tirato fuori quella cazzo di storia di Alcazar. Ok, stiamo calmi. Torno a casa. Oddio, non sono sicuro che sia una buona idea. Stia-mo calmi. L'ho già detto? Se sono riusciti ad arrivare così vicini non sarà di sicuro la strada che percorrerò stasera a portarli a casa mia. Evidentemente sanno tutto di me. Forse anche qualcosa che io stesso ignoro o ho rimosso.

Il passato che torna e questo tecnico che mi muore davanti. Adesso davvero mi manca l'aria per respirare. Mentre le porte dell'ufficio si aprono davanti a me, attivate dalle mie retine, non posso fare a meno di chiedermi come diavolo abbiano fatto ad arrivare così vicini a me. Io sono arrivato, io sono potente, io sono in ottimi rapporti con la Loggia. Le porte si aprono solo le t o c cano l e pe r sone g i u s t e 1 . Con calma. Torno a casa, cerco di rispon-dere a mia moglie nel modo più tranquillo possibile, perché non si accorga delle mie ansie. Non posso sopportare la cena, le dico che devo finire del lavoro, e mi rifu-gio nel mio studio.

Il mio studio è una roba retrò che mi sono disegnato su misura. Niente occhiali, arredamento vero. Appena entri, sulla sinistra c'è una grande libreria. Contiene la mia collezione di libri. Da quando nes-suno più sfoglia libri di carta, la maggior parte delle persone conserva gli eBook su dischi fissi o in contenitori di card SD2. Io ho una scatola per ogni libro o fumetto e ogni scatola ha la dimensione, la forma e il colore di un libro originale. Questo almeno per i libri a cui tengo di più. Insomma, una vec-chia libreria come quella del secolo scorso.

Sulla scrivania ovviamente sta la docking station3 che mi permette di usare il monitor MR4 anche sul portatile. Poi un camino, nell'angolo opposto, perfettamente funzionante. In realtà riscaldare con il camino sarebbe conveniente, la legna costa molto poco, penso che sia per via di una legge varata prima dell'Avvento del primo Buongovernatore, secondo la quale si possono usare solo risorse nate nell'arco di 50 Km dal luogo dell'utilizzo. Certo, se così fosse l'acqua non costerebbe diecimila crediti al litro. Invece la legge è stata cambiata, pezzo per pezzo, settore merceologico per settore merceo-logico, e adesso riguarda solo la legna. Sarà perché ad avere il camino siamo rimasti davvero in po-chi.

Dalla libreria prendo un fumetto di Julia. Quello che ho letto lì in questi anni è praticamente l'unica cosa che so sul giallo, insieme a quello che ho letto nei romanzi di Rex Stout. Dovrei saperne molto, quindi, in teoria, perché ha cominciato a comprarli mio nonno, dal primo numero. E si vantava di avere conosciuto il nonno di Larry J. Sock, lo scrittore delle sceneggiature per Julia. Mio nonno rac-contava che quella famiglia aveva un cognome italiano, prima che il Buongoverantore invitasse tutti

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ad americanizzare5 nomi e cognomi per far piacere all'"amico Bill" e che lui conosceva il nonno di Larry e un suo amico russo - o americano, non ricordo - stronzo e arguto. Ma non so se credergli. Mio nonno raccontava un sacco di storie. Mi siedo nella poltrona davanti al camino. L'ultima volta che l'ho acceso era questo Natale. Io ci tengo, al Natale. Ho anche le "Chiesa Cattolica SPA" e ogni anno crescono di valore. Ma anche se non fosse così la Loggia incoraggia l'acquisto di quelle azioni e io voglio restare in buoni rapporti con la Loggia. Adesso mi devo concentrare e devo cercare di capire. Ma appena mi siedo nella poltrona risento quel piacere che mi dà stare seduto davanti al camino con il fuoco che scoppietta e un buon bicchiere di Oban fra le mani. E' una sensazione strana. Sono nel panico e mi rifugio nel piacere della memoria dei sensi. Perché quella poltrona con il camino acceso appaga quasi completamente ogni mio senso. Il tessuto mor-bido e il calore del fuoco, il rumore del suo scoppiettare e la musica classica in sottofondo - Franco Bat-tiato prevalentemente, il gusto di carbone che emana dal bicchiere e la libreria di fronte a me. Ogni senso è pagato. Con le dita accarezzo il velluto morbido della poltrona e nelle dita trovo il mio rifugio dai mali del mondo. I sensi sono tranquilli solo se sto dentro me stesso in una condizione di semi-autismo. Tanto che questo Natale, mentre fuori dalla mia stanza si continuava a mangiare e io ero sulla mia poltrona, solo, ascol-tando e sorseggiando, scaldato dal fuoco, apparve sulla porta mia moglie. - Sto studiando da Orso. - Studiando? Fai un master. - .... - Sei grasso e stai perdendo i capelli. Buon Natale. E chiuse la porta di schianto. 1 Attualmente la tecnologia del rilevamento delle impronte permette di effettuare il login su alcuni portatili in com-mercio 2 Esiste un oggetto che si chiama Kindle prodotto da Amazon.com che è semplicemente un libro elettronico. La stessa Amazon vende eBook telematici che si possono leggere con il Kindle. Il Kindle non è un portatile, è un libro elettroni-co, i libri si possono sottolineare virtualmente, appuntare etc. Il fondo dello schermo non è automaticamente retroil-luminato e quindi non è stancante per la vista come un portatile, inoltre ha le dimensioni di un libro tradizionale. 3 E' un dispositivo al quale sono collegati i dispositivi fissi (monitor, tastiera e altro) e al quale si collega molto sempli-cemente il portatile. 4 Nel film Minority Report basato su un racconto di Philip Dick si vede un monitor tridimensionale con il quale si inte-ragisce muovendo semplicemente le mani. Un prototipo è già pronto. 5 Rispetto ad altre lingue europee l'italiano tende a far sue moltissime parole inglesi. In spagnolo, per esempio, si traduce tutto, anche la terminologia tecnica informatica e nessuno si sognerebbe di dire “ok”.

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CARA LUISA Alessandro Pagni 23-12-08 Cara Luisa, ti lascio questa lettera perché credo di doverti delle spiegazioni. È giusto che tu un giorno capisca il motivo della nostra assenza. Nel raccontarti che cosa è accaduto veramente, voglio essere un’ultima volta tua madre e avere la pretesa di insegnarti alcune cose sulla vita. Il valore delle piccole gioie tesoro, quelle che vedi, che annusi, che ascolti. Tutta quell’esistenza che tocchi e assapori. Perché basta così poco figlia mia. Non voglio che ti proteggano per sempre, non è a questo che serve una famiglia: solo la consapevo-lezza ti rende libera. E non sarò certo io a raccontarti bugie. Si reggono su un castello di carte le cose che dai per scontate ogni giorno, sono così fragili e non si dà loro mai troppa importanza. Ma basta un’inezia perché le tue facoltà primarie si chiudano come porte blindate. È un attimo poi non provare più niente. Il tempo di pochi fotogrammi srotolati. Quindi trovo giusto che tu sappia che ho mangiato per cena tuo padre ieri (mi riferisco ovviamente alla data della lettera, anche se tu la leggerai probabilmente fra molti anni, qualcuno certo sentirà il dovere di proteggerti da tutto questo). Ne ho mangiato fino a sentirmi male, fino a che la lingua non è diventata come una moquette sporca e ruvida a contatto con tutto quel sangue e quella pelle car-bonizzata. (Mi rincresce ma quest’anno aspetterete invano il nostro arrivo a casa dei nonni per festeggiare insie-me il Natale.) Ho acceso una candela e mi sono messa quel vestito lungo che adora, quello rosso con lo scollo e le spalline finissime. Ho lasciato che la stanza si riempisse di una delle sue sinfonie preferite, per me assolutamente inuti-le adesso, e mi sono seduta a tavola. A lavoro ho telefonato dicendo che si era preso una brutta influenza e il dottore, davvero un amico, mi ha fatto il piacere di lasciarmi il certificato nella cassetta delle lettere, senza neppure visitarlo. È stato tutto perfetto, solo la lingua mi ha dato inizialmente delle spiacevoli sensazioni, come se stes-si trangugiando un frappè di sangue coagulato e cenere. Davvero poco digeribile. Il resto di me non risponde più ad alcuna sollecitazione. Il resto di me non sente più niente. Non ha più senso, il resto di me. Non posso esimermi dal raccontarti che, come potrai immaginare, non era possibile servirlo a tavola così, tutto intero, come fosse un grosso tacchino del Ringraziamento Americano. Chiaramente il giorno prima della nostra cenetta intima ho dovuto usare il coltello più grande, quello con cui il martedì, come d’abitudine, preparavo la sua bistecca alla fiorentina alta due dita. Mi sono messa di buon’ora a dividere le porzioni, tagliando e strappando le coste di carne con le ma-ni. Non ti nascondo che la parte più ostica siano state le ossa, ma non puoi immaginare che sensazione sia scavarsi una strada tra quegli umidi cunicoli zuppi di sangue e trovare d’un tratto qualcosa di du-ro. Quando sarai grande capirai figlia mia. Il coltello non è riuscito nel suo intento, fortuna che tuo padre lascia sempre la borsa degli attrezzi a portata di mano. Ho usato il suo martello più grande per finire il lavoro: anche le ossa più dure con pazienza e mano ferma prima o poi si spezzano. L’unica parte che mi ha dato un po’ di pensiero è stata tutta quella pelle bruciata, diventata così dura che sembrava crosta di maiale arrosto.

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Sono stata costretta a riaffilare più volte la lama e ad aiutarmi con le forbici da cuoio per arrivare allo strato successivo. Da due giorni ormai ho i polpastrelli totalmente anestetizzati: tutto quel lavoro di taglia e affetta mi ha fatto uscire dei calli durissimi, non sento male neppure se li buco con uno spillo. Stranamente neppure il dorso della mano, né il palmo, reagiscono in alcun modo se li passo sulla fiamma del fornello. Ma io credo che tutto questo sia anche dovuto alla stanchezza, bimba mia. Tu pensa che da tre giorni non riesco neppure più a sentire alcun odore. Devo essermi strapazzata un po’ troppo. Considera che, la notte prima di tutto quel lavoro con papà, non ho proprio chiuso occhio. Dopo avere portato tu e tuo fratello dai nonni in campagna, ho organizzato nei minimi dettagli la nostra seratina speciale. Per un po’ l’ho guardato riposare nudo sul nostro letto, ma senza emozioni, totalmente indifferente. E dire che appena una settimana fa, dopo anni di matrimonio, sono rimasta un’ora a fissarlo mentre dormiva e alla fine mi sono anche eccitata. Lui non ha voluto saperne di svegliarsi e ho dovuto fare da sola. Anche questo lo capirai con il tempo. Nel matrimonio ci sono sempre alti e bassi, sacrifici e delusioni. Comunque non voglio uscire dal seminato. Che stavo dicendo? Ah sì, che l’altra sera invece non ho provato assolutamente niente alla sua vista, come se la luce da fuori rischiarasse le lenzuola bianche e non il corpo di mio marito. Grazie al suo sonno pesante è stato facilissimo legarlo al letto con le cinture di cuoio senza che si accorgesse di me. Quando ho stretto il nodo del mio foulard per imbavagliarlo, però, si è svegliato di soprassalto, spa-ventato, ma appena si è reso conto che ero io a gambe aperte su di lui, ha pensato che mi fossi im-provvisata un’amante fantasiosa e avessi inventato un gioco intrigante. Sembrava divertito e decisamente propenso a restare sveglio, questa volta. Le cose purtroppo hanno preso un’altra piega quando ho tirato fuori da sotto il letto la tanica di ben-zina e l’ho rovesciata completamente su quel corpo, che un tempo mi faceva eccitare solo a guardar-lo. Ho dovuto mettere la TV ad un volume altissimo per non riempire la stanza delle sue grida, non per me, io da quattro giorni ho le orecchie ovattate, come una camera insonorizzata; l’ho fatto perché i vicini non si preoccupassero troppo. Figlia mia ricorda sempre che è buona educazione mantenere ottimi rapporti con il vicinato, io ero sempre disponibile con tutti e spesso organizzavo cene di cui si parlava per settimane. Comunque perdonami, perdo sempre il filo del discorso, stavo parlando di olfatto. Si ecco, mentre guardavo, assolutamente tiepida e indifferente, la carne di tuo padre che si trasfor-mava lentamente in qualcosa di simile ai miei spiedini domenicali, quell’odore così forte mi ha proba-bilmente danneggiato le narici. Sai quanto sono sensibile alle piccole cose. A volte nella vita si sente così tanto, tutto in una volta, che dopo non puoi più fare paragoni con al-tro, nel bene e nel male, ed è un po’ come smettere definitivamente di sentire, come annullare i sen-si perché si è raggiunto l’apice o il baratro. E tu ti chiederai il perché di tutto questo. Posso capirlo, è legittimo. Vedi, tutto è cominciato 5 giorni fa. Mattia piangeva ormai da molte ore e lo faceva praticamente tutte le notti, ininterrottamente, da non so più neppure quanto tempo. E tuo padre, come sempre, non ha voluto saperne di alzarsi e darmi una mano. Tuo fratello aveva in quei giorni un modo di piangere così irritante e monotono da assomigliare quasi ad un ronzio continuo che mi solleticava noiosamente il cranio dall’interno, tanto ostinato che non sono più riuscita ad addormentarlo: l’ho semplicemente lasciato lì a frignare e mi sono seduta sul divano con un terribile cerchio alla testa. Per un po’ ho sentito quella specie di motoscafo tediare i miei timpani, sempre dalla stessa indefinibi-le distanza, allora ho acceso la televisione per distrarmi, ma c’erano solo le televendite.

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Risoluta nel voler annientare quel brusio ho preso alcuni vecchi filmini girati da papà: mi è venuto in mente quello dove hai nuotato con il delfino, questa estate al parco acquatico. Mi sono messa a cercarlo sotto la tv, ma niente da fare e neppure nello scaffale dei dvd. Ormai era diventata un’idea fissa, dovevo vedere assolutamente quel filmato e ho tentato inutilmente anche nella libreria dello studio, senza trovarlo. Alla fine ho rovistato tra gli oggetti di lavoro di tuo padre e, in fondo al cassetto più basso, ho scovato questo disco anonimo, con sopra segnata piccola, in un angolo, la lettera “L”. L’ho preso incuriosita, non guardo mai le cose di tuo padre, lui lo sa, ma quel frullatore non voleva saperne di andarsene dal mio cervello. Ho inserito il disco e mi sono messa comoda. Quel motorino ostinato tartassava le mie orecchie: probabilmente Mattia stava ancora piangendo, ma non riuscivo a distinguere bene i rumori con quel disturbo martellante. Il video è partito. Una stanza, la mia, la stanza da letto. La stanza di mio marito. Mia e di mio marito. Poi i miei occhi hanno incontrato i tuoi dentro la televisione. Il ronzio nella testa improvvisamente si è ammutolito. I tuoi occhi guardavano lucidi di paura verso di me, ma non guardavano me. Il silenzio nella mia testa, la solitudine delle mie orecchie. La mia stanza da letto. Un gioco che non volevi fare, figlia mia. E tuo padre ti stava costringendo a giocare. E le mie orecchie di colpo erano diventate due case vuote, abbandonate. L’ultima cosa che ho visto, prima che anche i miei occhi smettessero per sempre di partorire emozio-ni, è stato il tuo corpo nudo e piccolo, i brividi lungo il tuo minuscolo corpo arreso… e poi tuo padre. Adesso sono qui, a concludere il mio lavoro.

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Ho risistemato la casa, pulito tutto quel sangue e gettato i resti indigesti del mio perduto amore in capienti sacchi neri della spazzatura. Non voglio che pensino che sia una donna sciatta e disordinata, quando verranno a portarmi via. Ho appeso al trave scoperto del salotto questa corda robusta e fatto un nodo scorsoio bellissimo. Non lo faccio per tuo padre, neppure per te, dopo anni e anni potrei di nuovo rivederti e godere anco-ra dei tuoi occhi, finalmente cresciuti e liberi da questo schifo. Lo faccio perché se arrivi a sentire troppo, così tanto da non avere più termini di paragone, significa che hai abusato dei modi più veri che hai per comprendere il mondo e loro non hanno retto al trau-ma. E quando perdi queste cose, perdi tutto e la vita non ha più alcun senso. Quindi figlia mia, perdona l’immagine di me che nelle notti dell’adolescenza ti verrà a tormentare. Forse a spaventare come un fantasma. Perdonami per la vergogna di dover raccontare o spiegare agli altri, per l’imbarazzo di dover inventare una bugia. Io preferisco fermarmi qui, in fondo al buco nero del mio sentire.

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LA NOTTE DI PSICHE Rossella Palloni Non svegliarmi stanotte quando arriverai da me. Lascia che a guidarti da me sia il senso della notte, fino alle mie braccia calde e bianche, ai miei capel-li odorosi e all’incavo dei miei seni. Scivola leggero sul letto con i tuoi piedi fatati e giungi al mio ca-pezzale. Fa che possa respirare il mondo sulla tua pelle. Fammi sentire il tuo respiro familiare vicino alle mie orecchie, mentre mi cerchi nel mantello dell’oscurità. Scivola nei miei sogni e consolami con le tue mani fanciullesche, carezzami, fino a farmi sentire nata di nuovo. Viva ed amata. Tienimi con te, come faresti con un gioco caro e rotto, cullami, fino a farmi sentire. Stringimi piano, che possa ancora sentir battere il tuo cuore. Fammi giacere sul tuo petto, che io possa sollevarmi ed abbassarmi insieme a te. Prendimi allora le braccia e traccia col tuo indice tutta la pelle, fino a ogni singolo dito. Infine, prendi le mie mani inerti e fammi afferrare quella vita che non mi appartiene. Che non sa appartenermi, in questo corpo abbandonato. La vita alberga laddove la si vuole, cerca consimili e ad essi si concede. Individui, animali, perfino cose che la esprimono in tutta la sua abbaci-nante lucentezza. Io invece vivo nella notte e da essa non voglio distaccarmi. È solo in quei momenti, prima di rilasciarmi su un letto, che ritrovo me stessa e a me stessa appartengo, infine e soltanto. Non conosco altri che questa stanca persona, entità, spirito che inutilmente lotta, finge e si traveste. Io scelgo la notte. E tu, mio amante dal cielo o dall’inferno, da dovunque tu giunga, non svegliarmi, ma cullami piano, baciami lievemente; a te mi affido. E fa che io non esista fino a quando il piacere rabbrividisca sulla mia pelle, penetri i miei organi e allora, baciami sulla bocca: il tuo soffio vitale in me, in una artificiale respirazione. Solo allora il mio petto si solleverà e si abbasserà. Solo allora le mie mani stringeranno le tue. Non portare nessuna parola con te. Baciami le orecchie, scendi lungo il collo e quelle vene che fingono di pulsare lo faranno per te soltanto. Portami il tuo fuoco nel grembo e mi risveglierò, in me e in te, sarò te e me. Ti vivrò e vedrò. Non avrò più un’anima dolorosa perché sarò parte della tua. Non avrò più un nome, finzione del mondo. Nell’esplosione del nostro essere potrò affermarmi senza soffri-re. E spingerò, graffierò la nostra pelle, gemerò con la nostra voce, unendo i nostri capelli in una dan-za a spirale, scendendo e salendo le caverne dell’essere. Ma poi, dopo, deponimi con tenerezza sul letto, stenditi a mio fianco e non svegliarmi. Non fintanto che la notte dura.

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LA SDRAIO Denni Romoli e Emidio Picariello Il re eletto è nudo. Quasi. Certamente sfoggia addo-minali e pettorali invidiabili, torniti, chiaramente frutto di una dieta accurata e di una attività fisica costante. Sarà un pensiero maschili-sta, ma ci immaginiamo donne che guardano Oba-ma non diciamo come non diciamo dove, assise ad un tavolo, che ridacchiano pruriginose circa le nasco-ste virtù presidenziali, de-mocratiche ma allo stesso tempo diverse e, perché no, elitarie. Eh no, non ci sbagliamo. Vicino alla gen-te ed elitario non fanno a cazzotti se stiamo parlando di un politico. Elitari nelle qualità, popolari nei modi, e non il contrario, questo vorremmo. Ad ognuno il suo, come s'usa dire. Non prendetelo come una bassa misoginia, al contrario, crediamo seriamente che l'erotismo sia una delle prime credenziali necessarie in politica. Per meglio dire, la vitalità neces-saria per compiergli certi atti, quelli sessuali in primis.

Spostiamo lo sguardo sulla devastata scena politica del malnato (o mai nato?) Perito Democratico (ma resuscitato democristiano) e ci imbattiamo nella morte dell'erezione, nella perdita di turgore, nell'as-senza di lubrificazione, esemplificata nella figura sterile della senatrice Paola Binetti, di professione neuropsichiatra infantile (il cuore di uno dei due autori sta sobbalzando), membro insigne dell'Opus Dei. Giornalisticamente ribattezzata teodem da alcuni articolisti in vena di abbreviazioni, ci piace piut-tosto vederla come una castrazione ambulante, un fascismo ruinisticamente mascherato, un catto-nazismo rivisto e corretto tanto da essere definita "una delle anime della sinistra" (il cuore dell'altro autore sta sobbalzando). Non ci perderemo in chiacchiere vane sul suo pensiero politico, visto che sarebbe stato considerato anacronistico già nell'alto medioevo. Neanche sui suoi vaniloqui sull'omo-sessualità come devianza genetico-caratteriale e obbligato viatico di pedofilia. Neanche sul fatto che indossa giornalmente il cilicio e si flagella le terga settimanalmente. Neanche sul fatto che ha dichia-rato di aver avuto un solo fidanzato, lasciato quando i valori cristiani iniziarono ad occupare integral-mente il suo spazio esistenziale.

La senatrice Binetti, però, ha tanto da disquisire sulle presunte anormalità altrui. Su questa ci voglia-mo soffermare. La normalità, già, brutta bestia, una parola da usare con cautela. Da quanto si evince, la senatrice Binetti considera normale la verginità, la mancanza di relazioni sessuali, la paura e il di-sprezzo dell'altro da sé (non lo chiameremo "il diverso"), l'autolesionismo (il cuore di entrambi gli au-tori sta sobbalzando).

Se Veltroni avesse le palle, l'avrebbe già cacciata dal suo partito. Peccato che Veltroni non esista. E' solo una proiezione delle vostre menti malate e sessuofobiche.

Anche per questa legislatura, niente sesso.

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13 Il Barlume - Anno 3 - Numero 1 - Gennaio 2009

SIETE SOLO DEGLI SPOCCHIOSI DI MERDA Denni Romoli e Costanza Maremmi Soffio – Regia di Kim Ki-duk (2007) L’anno scorso a Marienbad – Regia di Alain Resnais (1961) Grazie per la cioccolata - Regia di Claude Chabrol (2000)

Il senso dell’irrazionale, il senso del sogno, il senso dell’amore inappagato. E, sopra ogni altra cosa, la per-dita del senso, del sentire. Un uomo rinchiuso che cono-sce la morte, avendola per-petrata su altri e su se stes-so. Ora in carcere. Una don-na rinchiusa che conosce la soffocazione di un rapporto defunto. Dentro la sua casa. La speranza di poter rinnova-re le stagioni, all’interno della claustrofobia emotiva di una coppia depredata di ogni calore. La donna lo cercherà nel suo carcere, cercando di liberarsi dal proprio. Senza riuscire. Ki-duk soffia sulla fiammella delle speranze d’amore e la fa liquefare, come un pupazzo di neve di fronte a troppo sole, a troppa verità, a troppa luce. Stagioni rinchiuse in un giorno, dipinte su di un fondale fragile, che pre-sto rivela l’effimero, una notte soltanto, la notte di Antonioni. Il senso dell’amore inappagato, gelido, malato, cattivo. Uno sguardo volto all’interno, come nel migliore e meno compreso Allen di Interiors e di Un’altra donna, che riporta a galla speranze frustrate e la consapevolezza dell’impossibile sogno d’amore, dell’impossibile liberazione da catene che non hanno un senso, non uno soltanto. Un reale incomprensibile, o meglio polisemantico, onirico, indecifrabile attraverso un ipotetico conca-tenarsi di cause ed effetti, che anzi si rinchiude intellettualmente in sé qualora privato dei suoi sensi. È questo L’anno scorso a Marienbad di Resnais, dove un uomo tenta di convincere una donna a fuggire con lui in virtù di una promessa d’amore fatta l’anno precedente nello stesso luogo del loro presente incontro. E la donna non ricorda. L’uomo proverà a convincerla, senza emozioni, senza un tono di vo-ce rivelatore, senza un mobile accenno di esistere. La realtà è piegata alla legge del sogno, vero e falso si confondono, appare Cocteau, ogni persona è fantasma di sé stessa, anemica, sterile, prosciu-gata. Ancora un amore inappagato, faticoso nel suo incedere, costruito mattone su mattone a delinea-re una figura imbalsata, bellissimo cadavere, l’amore come una Venezia eterna. Un apparire raffinato, ineccepibile sul piano formale, il funerale di una belle époque che ha conservato e lustrato la sua esteriorità, privando l’interno di ogni senso. Come nell’algido e perfetto Grazie per la cioccolata di Chabrol, dove ritroviamo una Huppert al di là del bene e del male necessitata al crudele, spia e orchestratrice di una vita familiare imperniata su una immagine ideale che contrasta violente-mente contro le varie realtà di cui ognuno meschinamente si fa interprete. Niente da nascondere, di-rebbe Haneke. L’ostentazione dell’amore non vi coincide, anzi è presupposto dell’odio subdolo, del rancore e della vendetta. Nessun senso, soltanto il calcolo dell’interesse personale, della sottrazione, dell’inaridimento. Nella parole della Huppert: “Invece di amare io dico ti amo, e mi si crede”.

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Mensile fondato e diretto da Costanza Maremmi [email protected] Denni Romoli [email protected] Emidio Picariello [email protected]

Le foto di questo numero sono state scattate da

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