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IL BARLUME Anno 3 - Numero 10 - Ottobre

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Mensile di fotografia, letteratura e poesia

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IL BARLUMEAnno 3 - Numero 10 - Ottobre

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EDITORIALE

Il Barlume - Anno 3 - Numero 10 - Ottobre 2009 2

Il problema è sempre la voglia. Né le cose da dire mancano, né il tempo per farlo. In realtà un momento di tempo per pensare si ricava sempre da qualche angolo recondito dei propri mal di testa. In realtà il fatto è che a volte si è intrappolati in una doccia solo per il gusto di appoggiarci il corpo. Anche uscirne sarebbe semplice.

Ecco questo Barlume è un po' così, intrappolato nella doccia, appollaiato e disteso su un letto, scarsamente vestito, bendato, stanco, sconfitto e vinto. O vincente. Il problema è sempre la voglia, come quando giochi una partita e non ti rassegni a vincere, a fare quell'ultimo punto, a infilare quell'ultimo cesto, a calare quell'ultima carta.

Poi, quando lasci lo spogliatoio, dopo la doccia, hai dimenticato sempre qualcosa e quando ti svegli hai perso un poco di sogno. Ecco, questo troverete nel Barlume di ottobre: l'arte dell'ultima cosa dimenticata.

Buona lettura

DePiCo

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Il Barlume - Anno 3 - Numero 10 - Ottobre 2009 3

F. non dorme più.Inizia a piovere sopra al suo letto vuoto per metà, sul lucernario e su tutte le città immaginabili nel dormiveglia. L’acqua settembrina riscalda da fuori un silenzio freddo, reso ancora più asettico dalle ventole del pc (lasciato acceso per sbaglio): gli scricchiolii del vecchio portatile si isolano dalle gocce facendosi pian piano insopportabili, come se i byte le stessero scorrendo nelle vene.F. si alza per entrare in bagno straniera, cerca subito i capelli con la spazzola: non trova lo specchio; finalmente appare il contenitore delle lenti a contatto.Quasi involontariamente si veste ed esce di casa.Domenica mattina.

Giulio Aldinucci

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La sigaretta l'ha già spenta, dunque rimane poco.I capelli ora assomigliano per davvero a quelli che sua zia cuciva con zelo alle teste di bambola, e per davvero, ormai, quello che manca è solo uno sforzo di volontà.Eppure vorrebbe ancora dormire, come ha sempre fatto in questi casi, dimenticandosi di averla già spenta, la sigaretta – immaginandola intera e pronta, come le gambe strette; toccare con tutto il corpo il lenzuolo che sembra appena messo: “un tutt'uno col pavimento”, dicevano a quel corso di mentecatti ma le cellule sembravano schiacciarsi al suolo sul serio, bisogna ammetterlo.

Sotto l'acqua arriva l'illuminazione, di quelle che devono essere assecondate: cancellati i palliativi, le mezze misure.Emergono quelle varianti creative alle risposte necessarie, perché non c'è più bisogno dei falsi per sé. Lo shampoo è finito. Questo è un ostacolo. O forse un segno.

Ricompone il letto sorridendo, perché vede il rito, e per continuare ficca tutto in lavatrice: a mondare! Che sollievo decidere.Questo è quanto, il suo corpo sa di nuovo: di più, è nuovo. Ed è suo, ancora, e – ora – per sempre.

Marta Mantovani

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Durante l'ultima glaciazione ricordo che piovve tanto.Grosse lacrime caddero dai nostri occhi, simili a quelle che si vedono nei cartoni animati, se non fosse stato drammatico sarebbe stato buffo.Tu piangevi e tiravi su con il naso, eri tutto tranne che sexy, ricordavi un po' una donna ormonalmente scombussolata, ma non te l'avrei mai detto. Io piangevo per non farti arrabbiare.Perché immaginavo che la mia tristezza fosse esattamente ciò che desideravi vedere. In fondo fu un atto d'amore, l'ultimo che ti feci.L'ultima glaciazione venne senza troppi clamori, non si fa quasi mai avvertire.Un leggero vento iniziò a soffiare e le fronde degli alberi si mossero come capelli, alcune caddero anche se non erano gialle. Ti colse impreparata, come sarebbe potuto essere altrimenti? E ghiacciò ogni tua più piccola convinzione. Forse fu quella la cosa che mi fece più male, vederti smettere di credere in te stessa. Non voglio giocare a fare l'eroe, ho capito da troppo tempo che non ci sono eroi fuori dalla carta stampata, ma avrei voluto che andasse meglio. Magari con un sorriso triste.Del resto quando arrivano le glaciazioni seguono le rotture, e ogni altra teoria è pura inutilità.L'ultima glaciazione arrivò e passò, come faceva sempre, lasciando qualche brivido e i vetri appannati. Nessuno morì, e vorrei ben vedere. Anche se il freddo è insopportabile, o sembra tale, alla fine si trova sempre la coperta adatta, quel vestito che riscalda meglio di tutti.E ci si stupisce di non averci pensato prima. Il dolore è stagionale amore mio, almeno questo l'abbiamo imparato no?Dopo l'ultima glaciazione il mondo continuò il suo lento, noioso circolo.La mia casa è un po' più vuota e io mi masturbo un po' di più, del resto ho imparato a prendere le misure. Anche dei miei fallimenti.Va tutto incredibilmente bene.

Fabio Ricci

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Eccolo il finito di turno, di tralice lo scorgo abbeverarsi. Farfuglia incomprensibili vaniloqui, rivolgendosi a una barista new hippy, mentre allena bicipiti al bancone. Poi, con mosse sconnesse si volta verso di me, piantandomi addosso quei cerchi strabuzzati a mezz’asta, persistenti e sfacciati. Lo conosco. Stava con una che un tempo era mia amica. Ebbra di buoni sentimenti, in un periodo della fattanza-fratellanza avevo tentato di combattere una istintiva e subitanea antipatia sbocciata in pochi secondi nei suoi riguardi , nel tentativo supremo e stoico di sconfiggere la mia passione per la cattiveria e le labbra sottili e riabilitare la mia grandezza morale. Non c’ero riuscita.Mi era sembrato un arrogante fallito che esiste per contrapposizione. Con le ginocchia incastrate in portoni in discesa, spalla a spalla con l’illustre Emilio, mi sforzavo di seguire le declamazione di questo ventiquattrenne depresso, affetto dal patologico niente generazionale. Dissertazioni paranoiche della serie “non so che fare della mia vita, compro un camper e giro il mondo oppure entro in una comune…”, abusate e inflazionate, unico appiglio a cui aggrapparmi per sfuggire dall’incipiente ubriaco. A conferma delle più intime e balenanti previsioni il finito mi si piazza davanti. “Ehi, è questo il tuo mondo?!” mi si rivolge proteso in avanti con i lineamenti del volto deformati dai Cuba libre e tono minaccioso e sbiascicato. Mi guardo intorno. Il finito è un replicante, forse uno dei migliori in quel posto sordido, il ventiquattrenne è perfettamente in auge, io? Non sono pervenuta. “No, è il vostro” rispondo glaciale e mi allontano da loro, dai loro discorsi vacui e paranoici, da quel posto così banalmente insulso. Domani alle 7 mi suona la sveglia, da buon mortale!

Lise Ergica

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Le foto di questo numero sono state scattate da

Alessandro Pagni http://www.flickr.com/photos/alessandropagni

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Anno 3Numero 10Ottobre 2009

Mensile fondato e diretto da:

Costanza [email protected] [email protected] [email protected]