iis telesi@ - controluce giugno 2013

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Page 1: IIS Telesi@ - Controluce Giugno 2013

Matteo Di Donato Mario Liverini Luca GiamatteiMaria Federica Viscardi

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www.iistelese.it

i t raguardi del l ’ I . I .S . Telesi@

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“Che sia l’inizio, non la fine.”

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Giugno 2013 3

Raccontare cinque anni in una dozzina di righe e un centinaio di parole è come sperare che qualcuno capi-sca la tua vita solo guardan-doti negli occhi. La memo-

ria fa fatica a dondolarsi tra i ricordi. Sono entrato in questa scuola senza riferimenti né certezze. Ne esco (credo, spero) consa-pevole e deciso. Ho sperimentato la paura di scegliere, l’ansia di sbagliare, il senso di inadeguatezza dei primi anni adolescenzia-li. La vertigine del vuoto. Sono inciampato tante volte, caduto tantissime. Ho vissuto in bilico tra la voglia di fare e l’impressione di non farcela. Ho pianto per la timidezza a rontando le prime delusioni. Guardavo dall’esterno una realtà che non mi appar-teneva, lo specchio senza riconoscermi. Facevo della fragilità il mio cavallo di bat-taglia, cercando sempre di impegnarmi per non ferire le persone. Una ad una. Ad oggi non so dirvi se ci sono riuscito e se ce l’ho fatta no in fondo. Da qualche parte, ai tropici, vive una mo-sca che imita le vespe. Ha quattro ali come tutte quelle della sua specie, ma le tiene una sull’altra, così sembrano due. Ha l’ad-dome a strisce gialle e nere, le antenne e gli occhi sporgenti e ha anche un pungi-glione nto. Non fa niente, è buona. Ma, vestita come una vespa, gli uccelli, le lucer-tole, persino gli uomini la temono. Può en-trare tranquilla nei vespai, uno dei luoghi più pericolosi e vigilati del mondo, e nes-suno la riconosce. Ho pensato tante volte di seguire la mosca che imita le vespe. Mi mimetizzavo come un insetto stecco tra i rami secchi. Dovevo stare in disparte senza farmi nota-re. Gli stimoli e le spinte giuste mi hanno dato la forza di rompere l’involucro. Ho ru-bato la disciplina dell’esteriorità da Russell ed ho cominciato a giocare nel mondo de-gli adulti, acquisendo (forse) competenze e sicurezze. Non posso non ricordare tutte le persone che mi hanno dato ed insegna-

to tanto. Ringrazio tutti i professori che ho incontrato durante questi cinque anni di didattica, formazione e crescita emotiva. Coloro che hanno creduto in me n dall’i-nizio, sperando e cercando di capirmi, va-lorizzando i talenti individuali e rispettan-do ogni studente-adolescente-uomo. La valorizzazione della diversità, l’amore per l’altro, l’etica del merito e del sacri cio è il messaggio più bello che potevate comuni-carmi. Ho apprezzato la vostra passione, la tenacia a non mollare, la voglia sempre continua di mettersi in discussione, cam-biare metodologia, aiutare il gregge smar-rito al di là della cattedra. Certi gesti si percepiscono anche quando non vengono detti. Non perdete mai la gioia e l’entusiasmo e la lungimiranza in quello che fate. Ringra-zio la Preside per tutta la vitalità e l’energia e il senso del dovere che mi comunicato in questi anni. Per lo spirito di sacri cio e abnegazione che segue nella forte difesa dei suoi ideali e di una Scuola che ama e vuole migliorare. Mi ha aiutato a crescere da tantissimi punti di vista, abbattendo la pigrizia e proiettandomi oltre barriere ide-ologiche e dogmatiche. L’amore che ha per i suoi alunni è incommensurabile. Ed ha una grandissima forza nel non tra-scurare nessuno, nel permettere ad ogni tessera del puzzle di sentirsi importante e trovare la sua giusta collocazione. C’è biso-gno di continuare a credere nei giovani. Il tempo ve ne darà ragione.. Ringrazio il Centro Studi Sociali Bachelet e Don Franco Piazza per le belle iniziative promosse nella Valle Telesina e per l’inten-sa opera di azione sociale a servizio della collettività e della dignità delle persone. Devo ringraziare la Fondazione Gerardi-no Romano per la pro cua collaborazio-ne con la rivista (avviata ben tre anni fa) e per gli stimoli e gli spunti di ri essione che ha saputo far nascere durante gli amabili incontri culturali del Mercoledì. Mi avete regalato sincere emozioni ed importanti

percorsi di crescita. Ringrazio il professo-re Felice Casucci per le continue ispirazio-ni, la disponibilità, l’a etto mostrato e le lezioni di vita che mi ha silenziosamente impartito. Spero di portare con me (come direttrice del futuro) il suo forte senso civi-co e la profonda solidarietà sociale che gli appartiene e lo caratterizza. Ringrazio la Società Dante Alighieri per la ducia mo-stratami e la prof.ssa Ruggiero per avermi guidato e spronato ogni giorno in questa direzione.Ringrazio il vecchio direttore e fondatore del giornale Gianclaudio per aver creduto in me e per i suoi consigli; se oggi posso scrivere quello che penso senza paura è anche un po’ merito suo. Ringrazio VOI redazione per avermi scelto, supportato e seguito sempre e comunque, per il vostro impegno ed i vostri sacri ci, per il forte spirito di partecipazione che vi ha contrad-distinto: meritate un mondo all’altezza dei sogni che avete. Non perdete mai la voglia di fare e continuate a guardare con sguardo critico ciò che vi circonda. La sensibilità è il miglior dono che si possa ricevere. Rin-grazio chi c’è stato e chi ci sarà alla guida del giornale, tutti coloro che non ho nomi-nato per dimenticanza; vogliate perdonar-mi, ma questo è soprattutto ed anche per voi. Ringrazio chi mi è stato vicino e mi ha permesso di diventare la persona che sono oggi.Ringrazio i miei compagni di classe che in questi 5 anni, nel bene o nel male, hanno condiviso con me questo viaggio: Marco, Ornella, Gianluigi, Domenico, Rina, Ro-berta, Federica, Lucrezia, Giulia, Maddale-na, Loris, Francesco, Anna N., Anna, Pa-ride, Alberto, Ilario, Ferdinando e Teresa. Grazie.

Di Matteo Di Donato

E questo è per mia madre e per mio padreA tutti coloro che credono che la luce esista

PRONTOACORRERE

Page 4: IIS Telesi@ - Controluce Giugno 2013

Pronto Accorrere ........................................................................... 3

L’intervista impossibile.................................................................. 4Un’inchiesta sull’Italia dei trasporti ............................................. 6La Libertà è Donna .........................................................................7

CinemaPerché vario significa vitaLe verità più profonde sono difficili da accettare ..................................................................................... 9

CulturaNapolitano si o no? ......................................................................10Lezioni sul campo al Telesi@...................................................... 12La giornata della memoria ......................................................... 13Il fondamento della vita è l’uguaglianza ................................... 14

GiovaniMa lo sai che oh no! Aspetta! Te lo dico sotto voce ............... 15Stop al cyber bullismo ................................................................. 16Cosa fate prima di decidere? ...................................................... 16I giovani di oggi ............................................................................17

Scienze e BenessereLa cannabis solo una droga o anche effetti benefici? .............. 18Più di un secolo dedicato alla ricerca : Rita Levi Montalcini . 18

PoliticaCrisi economica o crisi di valori? .............................................. 19

ScuolaPer bravura o tutti insieme? .......................................................20Siamo quelli che siamo ................................................................21

SportMondiali di sci ............................................................................. 24

SpettacoloIl successo di X Factor ................................................................. 25

Costume e societàQuando la paura diventa follia .......................................... ........28

Pronto a Correre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

Un altro anno al Telesi@. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

L'intervista impossibile. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

Un'inchiesta sull'Italia dei trasporti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

La Libertà è Donna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

Perché vario significa vita. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

Napolitano si o no? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

Lezioni sul campo al Telesi@ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Per un attimo di felicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Una denuncia per cambiare rotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

Fanatismo religioso e terrorismo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

Tempo di crisi? Non per gli sportivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

Un bicchiere tira l'altro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

Bianca come il latte rossa come il sangue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

I trucchi del mestiere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

Canzonetta Malinconica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

Ho imparato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

Mi apro alla chiusura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

Scuola

Politica

Costume e società

Attualità

Giovani

Sport

Cinema

Scienze e Benessere

Poesia

Exclusive

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Giugno 2013 5

Ogni mattina sempre la stessa routine: mi sveglio, faccio cola-zione, mi vesto, salgo in macchi-na, sento la musica, vado a scuo-la. Oggi però è diverso: la musica è sempre la stessa, ma oggi ascol-to le parole. La playlist parte con una canzone su dei liceali: i lice-ali del [email protected] ragazzi del Telesi@ sono bravi, hanno vinto molti premi. I ra-gazzi del Telesi@ sono matema-tici: secondo e terzo posto alla “Coppa D’Ignazio” a Teramo, la studentessa del primo anno più brava in provincia e non solo, in un liceo che coltiva sempre quel sogno che nonva mai pronunciato ad alta voce ma che in fondo si spera di avve-rare e che prende il nomedi Cesenatico. I ragazzi del Tele-si@ sono musicisti: le due band che hanno partecipato al con-corso per licei indetto da Radio-italia sono arrivate nella top 20 nazionale. I ragazzi del Telesi@ conquistano il mondo: Spagna, Francia e Irlanda sono solo tre delle nuove colonie del nostro Istituto. I ragazzi del Telesi@ sono artisti: basta guardare il murales che hanno realizzato e che ci accoglie ogni mattina da-vanti alla sede di Via Caio Pon-zio Telesino. I ragazzi del Telesi@ sono consapevoli del loro corpo che cambia: come dimostra il progetto Ben.Gio. portato avan-ti dalla classe 3aS3. I ragazzi del Telesi@ sono sportivi: ci sono alunni del nostro liceo convocati nelle rispettive nazionali e altri che scoprono il mondo girando per tornei. I ragazzi del Telesi@ sanno che dopo il “se” ci vuole il

congiuntivo: Matteo Di Donato e Jacopo Del Deo si sono clas-si!cati primi, rispettivamente per la sezione del triennio e del biennio, alla fase d’istituto delle Olimpiadi di Italiano. I ragazzi del Telesi@ sono scienziati: An-tonio Cusano (già medaglia di bronzo alle Olimpiadi Interna-zionali di Scienze Naturali) si è classi!catoprimo per la Campania nella gara interregionale delle Olimpiadi di Astronomia. Una volta qualcuno scrisse su queste pagine che “la rivoluzione che manca è una ri-voluzione culturale” e guardan-do i ragazzi del nostro Istituto, che nel futuro dovranno rendere reali le parole scritte, mi viene da pensare che forse la rivoluzione sia già iniziata, e non ce ne siamo accorti. Controluce è uno dei mezzi per attuare la rivoluzione culturale e ha da sempre portato avanti l’idea di dare voce ad ogni singolo alunno del Telesi@, e nei prossimi anni sarà sempre quella la rotta da perseguire, cambian-do capitani al timone e avvici-nandosi sempre di più all’isola della cultura, ricordando sempre che “il bello di Itaca è il viaggio”.La musica è !nita, scendo dalla macchina, mi ferma un uomo fuori dalla scuola e mi chiede “Credi di essere una brava per-sona?”, io ci penso un po’ e poi rispondo “Non sono una brava persona, io sono colpevole. Sono colpevole di essere arrivato tardi a scuola. Sono colpevoledi aver copiato un compito, e sono col-pevole di non averlo fatto copia-re ad un amico. Sono colpevole di aver usato il cellulare in classe.

Un altro anno al TelesI@

di Andrea Burro

La rivoluzione culturale inizia nei banchi della nostra scuola

Sono colpevole di aver perseguito un ideale, e sono colpevole di non averlo di"uso agli altri. Sono colpevole di non aver studiato e aver preso un buon voto ad un compito, e sono colpevole di aver studiato e aver preso un brutto voto ad un altro. Sono colpevole di aver abbassato la testa sul banco. Sono colpevole di aver aiutato un mio compagno prima di un compito, e sono colpevole di non aver aiutato gli altri 20 compagni della mia classe. Sono colpevole di es-sere andato ad un Mak #. Sono colpevole di far parte di un gruppo di ragazzi che nel futuro cambieranno il mondo con una penna in mano e un sogno in testa”.

L’uomo va via, io entro e a scuola e guardo i ragazzi del Telesi@: le nuvole iniziano a scomparire e sotto uno strato bianco si in-travede il cielo azzurro.

Per cambiare il mondo con una penna in mano e un sogno in testa

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6 Giugno 2013

L'INTERVISTA

IMPOSSIBILEArchimede dopo 2300 anni ad Archimedi@

Nonostante i suoi innumerevoli impegni siamo riusciti a strappare una breve intervi-sta all’illustre matematico Archimede di Si-racusa, in tournée nel mondo per festeggiare il suo 2300esimo compleanno. Tantissimi gli auguri ricevuti da tutte le epoche. Seneca parla di lui come “un grande navigatore che sa mandare l’imbarcazione anche con la vela rotta”, Cicerone nelsuo telegramma lo de!nisce “luce della ve-rità, vita della memoria, maestro di vita e nunzio dell’antichità.” Da gran pedagogista Archimede ha voluto lasciarci importanti spunti di ri$essione, che continuano ad in-$uenzare le idee della scienza...

1) Rompiamo il silenzio. Dopo 2300 anni il suo pensiero è ancora alla base della cultura contemporanea. A cosa deve tutto questo successo?

Alla mia lungimiranza (sorride sotto i baf-!). Tutto ciò che ho analizzato dimostra le in!nite potenzialità della mente umana e la costanza con cui si ripetono i dilemmi dell’uomo. Sono contento di aver dato un contributo importante allo sviluppo del si-stema conoscitivo della scienza. Mi sollazza notare che le mie soluzioni sono molto vici-ne alle applicazioni moderne.

2) Un monito alle nuove generazioni per confutare il tabù delle materie scienti!-che.

Ai giovani di oggi dico di accendere la testa e non soltanto le lampadine. La logica ma-tematica è in ognuno di noi, non esistono di%coltà insormontabili. La Natura è scrit-ta nel linguaggio scienti!co (e qui concor-

do con il mio successore Galilei), un codice universale che spezza le distanze e le identità. Alle nuove generazioni dico di non fermarsi ai primi errori: la volontà, l’impegno e la de-dizione sono essenziali per scoprire un mon-do ancora tutto da esplorare.

3) Cosa ne pensa del Colossal Cabiria e della scenogra!a di D’Annunzio? Il perso-naggio descritto rispecchia fedelmente la sua personalità?

Abbastanza. Tra un popcorn e l’altro il !lm mi ha commosso ed emozionato. Ho rivisto me stesso in grandi linee, e sono contento del successo riscosso nella storia della cine-matogra!a. E’ per me un onore essere così ricordato, ringrazio gli addetti ai lavori che hanno voluto rendermi omaggio e l’attore Enrico Gemelli per la sua interpretazione.

4) Tra le sue innumerevoli e utilissime in-venzioni, quale preferisce?La domanda è interessante e complessa. Mi mette davvero in imbarazzo (arrossi-sce e glisi illuminano gli occhi ndr).

Credo lo studio di pi greco. Una conquista ancora irrisolta ma essenziale per allargare gli orizzonti dogmatici della matematica. Molti contestano il mio metodo iterativo, i tanti passaggi logici omessi nelle dimostrazioni, l’aver ridotto la Geometria a semplice Arit-metica. Ma dimenticano il mio obiettivo e che il !ne giusti!ca i mezzi: per me era im-portante fornire un’approssimazione precisa e rea-le, ed i posteri mi hanno dato ragione.

5) L’icosaedro troncato è l’antenato del pallone da calcio. C’è il suo zampino an-che nello sport più famoso del mondo.

Ne sono orgoglioso. Un esempio di come la matematica possa essere divulgata incon-sapevolmente. La mia squadra del cuore, il Palermo, mi ha sempre dato grandi soddi-sfazioni. Quest’anno, nonostante le tante di%coltà, speriamo ancora di salvarci. Sono contento per il Catania e del suo campiona-to. C’è sempre stata grande sportività dalle nostre parti.

6) Quali generi musicali ascolta?

Sono un tipo classico, io. Ascolto pochissi-mo la musica moderna e odio quella com-merciale; tanti vocalizzi e poca profondità. Amo le sinfonie di Mozart, Wagner e Schu-bert. Mi proiettano in un’altra dimensione, proprio come la matematica.

7) La sua personalità è divenuta un’ico-na che ha ispirato numerose caricature e personaggi animati come Archimede Pita-gorico della Disney. Cosa ne pensa della nostra interpretazione?

Devo dire che sono rimasto colpito dal vo-stro personaggio; la somiglianza è notevole, credo che mi rispecchi molto. Un vecchietto simpatico anche se un pò ossessionato dal suo lavoro.

8) Per l’elaborazione del metodo scienti-!co sono stati necessari più di 1500 anni di storia dalle sue scoperte. Qual era il suo metodo e come spiega questo ritardo della scienza?

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Giugno 2013 7

In realtà il mio metodo, se così si può chia-mare, non era altro che un misto di osser-vazioni e intuizioni ma soprattutto di im-maginazione: ero capace di creare nella mia mente l’immaginedi ciò che volevo costruire; cosa che non tutti erano in grado di fare. Ritengo che, seppure i miei colleghi abbiano svolto un lavoro egregio nell’identi!cazione di un me-todo, tuttavia esso resta una componente soggettiva. Non si diventa grandi scienziati semplicemente seguendo un metodo scien-ti!co ma è necessaria una grande passione e soprattutto una forte attrazione per tutto ciò che ci circonda.

9) E cosa ne pensa delle nuove tecnologie? Progresso scienti!co o progresso tecnolo-gico?

Bella domanda. Sono sempre stato un pro-motore di entrambi, e sono convinto che non può esservi progresso senza applicazio-ne scienti!ca. Però oggi la questione è di assoluta priorità: credo sia importante agire con consapevolezza in tutti e due i casi, sen-za sottovalutare il benessere e l’etica di un popolo.

10) Res publica et utilitatis communio, quindi?

Sì, senz’altro. Le mie scoperte belliche furo-no dettate da questa logica. Difendere Sira-cusae i suoi cittadini, proteggere e conservare l’i-dentità di un popolo, i costumi e le tradi-zioni delle persone. Oggi le grandi potenze economiche sembrano non interessarsi della vita quotidiana e delle reali condizioni di so-pravvivenza. Bisognerebbe ritornare a met-tere al centro l’uomo.

11) Partire dalla salvaguardia e promozio-ne della cultura, quindi.

Assolutamente sì. È indispensabile per lo sviluppo e la crescita di una nazione. La co-scienza di un Paese si vede dal grado di istru-zione dei suoi cittadini. Abbiamo il dovere etico di investire nella formazione dei nostri giovani.

12) Basterebbe una leva per sollevare il mondo?

Preferisco essere retorico. Voglio parlare di sacri!ci, impegno, dedizione, sincerità ed

onestà intellettuale. Con una leva si potreb-be anche, ma la situazione non cambierebbe.

13) Cosa ne pensa dell’iniziativa del Tele-si@?

Stratosferica! Siete formidabili ragazzi. Mi congratulo con voi per l’idea e la sua messa in atto. Un museo virtuale fruibile da tutto il mondo è un qualcosa di eccezionale. Magari avessi progettato anche questo. E poi tutto il materiale che avete raccolto, i disegni, i fumetti, i video, davvero bravi. Sono orgo-glioso di voi.

14) E noi di lei, per quello che ha fatto.La ringraziamo della sua disponibilità e per l’intervista, con la promessa di rivederci pre-sto. È stato un piacere. Grazie a voi.(Dal Museo virtuale dedicato ad Archime-de, in occasione del 2300esimo anniversario della sua nascita – www.iistelese.it)

di Matteo Di Donato e Domenico Cusano

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8 Giugno 2013

Quanto è importante il sistema dei trasporti in una Nazione? Se tale sistema andasse in crisi, quali potrebbero essere le conseguenze per la collettività? Edato che l’Italia è un Paese la cui economia si basa principalmente sul turismo e sull’industria, quanto inciderebbe sull’economia reale? Le vie di comunicazione sono state !n dal loro primo sviluppo un importantissimo indice di progres-so di una Nazione, e i primi a comprenderlo furono gli antichi romani, i quali svilupparono un’ingente sistema viario che permetteva spo-stamenti agevolati tra le diverse regioni dell’Im-pero.Con l’arrivo dei Barbari tale aspetto fu molto trascurato e parallelamente diminuirono anche gli spostamenti e i commerci. A partire dal Cin-quecento le vie di comunicazione hanno inizia-to ad avere la loro importanza in quanto per-mettevano di trarre enormi pro!tti, ma è con la rivoluzione industriale che si comprende appie-no ciò che i Romani oltre mille e duecento anni prima avevano iniziato a capire.L’avvento della ferrovia è stato di vitale impor-tanza per lo sviluppo dell’economie moderne, in quanto il costo del trasporto è molto dimi-nuito, permettendo così all’industrie di produr-re e vendere prodotti a prezzi inferiori. Di lì a poco in gran parte dell’Europa e Nord Ameri-ca il treno è stato poi uno dei mezzi principali di trasporto e grande motore di sviluppo. Con l’applicazione della macchina a vapore alla navi-gazione anche il trasporto su acqua ha assunto un ruolo rilevante negli scambi commerciali. Negli Stati moderni il sistema di comunica-zioni ha assunto una grandissima importanza, in quanto vivendo in un mondo globale dove

gli scambi devono avvenire in poco tempo con grandi volumi ed a prezzi bassi. Avere quindi un sistema e%ciente vuol dire per prima cosa essere competitivi a livello globale e chi non lo è ri-schia di essere tagliato fuori dalla competizione.Oltre che a livello globale l’e%cienza di tale si-stema permette di abbattere icosti che incidono sulle singole produzioni che sono consumate all’interno della Nazione dove sono prodotte. Da considerare che l’e%cienza si paga anche in termini d’inquinamento e quan-tità d’energia che deve essere prodotta per poi essere consumata: maggiore è l’e%cienza, mi-nore è la necessità d’energia e di conseguenza ci sarà anche un inquinamento ridotto. Con la crisi economica in atto, il rallentamento dell’e-conomia, soprattutto in Italia, ha portato con sé anche un drastico taglio alla viabilità interna, che ha assunto per comuni ed amministrazioni locali costi molto elevati e di%cili da sostene-re con le attuali entrate. Nella sola Napoli sono stati tagliati oltre 300 autobus e la situazione a meno di stanziamenti straordinari non miglio-rerà. Tra Benevento e Avellino vi è stato un drasti-co taglio della frequenza e tra Benevento e Na-poli i treni accusano sempre un forte ritardo. Le conseguenzedi tutto ciò sono state terribili per tutti gli uten-ti, in quanto hanno dovutoprendere mezzi il più delle volte strapieni di persone ed è stato calcolato che circa quattro-centomila persone sono rimaste a piedi. Tale problema non si è veri!cato solo in Campania, ma ha riguardato tutta l’Italia, e a confermarlo ci sono le parole di Roberto Alesse, presidente dell’Autorità di Garanzia sugli Scioperi nei Ser-

vizi Pubblici essenziali: ”Ci sono anche la Cala-bria e il Lazio. In generale, però, è tutta l’Italia che vive un momento di grave crisi nel traspor-to pubblico locale”.Se per il trasporto locale su terra e gomma la situazione non è rosea, per quello su mare la situazione non cambia. Dall’inizio di gennaio sono state ridotte le corse che collegano Napoli e Pozzuoli con le tre isole del golfo. Attualmen-te solo otto corse giornaliere collegano Capri e Ischia con la terraferma e la situazione è ancora più disastrosa per i collegamenti con Procida. Da notare che la diminuzione del servizio non ha portato una riduzione del costo per l’utenza, anzi, questo è aumentato. Per quanto riguarda il trasporto aereo la situazione è un tantino mi-gliore, questo perché la “Deregulation” ha evi-tato il monopolio da parte di una sola compa-gnia, creando così maggiore concorrenza e una diminuzione del prezzo dei biglietti oltre che adun aumentò delle frequenze. Il vero problema del trasporto aereo sono gli alti costi che le com-pagnie devono a"rontare, e il più delle volte per far fronte a questi sono costrette a licenziare un gran numero di dipendenti o ad a%dare tratte che non o"rono margini di guadagno a compa-gnie terze, le quali il più delle volte trascurano la sicurezza.Nell’incidente occorso alla Carptair (operatrice per conto di Alitalia nella tratta Roma-Pisa) lo scorso 3 febbraio, la mancanza di una corretta manutenzione èstata la principale causa dell’avvenimento. Per la compagnia però non si trattavadi un caso isolato, poiché a gennaio vi erano già stati due incidenti più lievi dovuti sempre alla scarsa manutenzione. Il trasporto aereo riveste

UN’INCHIESTA SULL’ITALIA DEI TRASPORTI

Reti di comunicazione: competizione ed e$cienza al primo posto

Anche in tempo di crisi, la qualità prima di tutto

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UN’INCHIESTA SULL’ITALIA DEI TRASPORTIAnche in tempo di crisi, la qualità prima di tutto

in Italia un ruolo importantissimo, in quanto è dagli aeroporti che passano la maggior parte dei turisti stranieri. Solo nel 2010 vi sono state oltre cento milioni di presenze straniere:è evidente che solo il turismo straniero incide per oltre il 10% sul P.I.L. Da considerare che tra non molto la maggior parte dei turisti proverrà da Nazioni come Cina, Emirati Arabi e Brasile, i quali si uniranno ai Russi che sono già da di-verso tempo sempre più presenti.Di fronte a ciò la reazione della nostra compa-gnia di bandiera è stata quella di aumentare i collegamenti a lungo raggio con questi Paesi. L’aspetto ancora critico, che penalizza in parte l’Italia, sono gli aeroporti. L’aeroporto di Napoli sorge in punto in cui è di%cile sviluppare nuove infrastrutture e così si è costretti a limitare gli spostamenti aerei, nonostante tutta l’area attiri moltissime persone. A Roma la situazione non è migliore, e spesso ai numerosi ritardi degli aerei e alle lunghe !le ai varchi a cui sono sottoposti i passeggeri, si aggiunge il problema dei bagagli. Per quello che riguarda l’industria, il vero pro-blema è il costo del trasporto. In Italia,il trasporto incide molto (circa il 10% più che

negli altri Paesi) perché da diverso tempo si è preferito puntare sul trasporto su gomma ri-spetto a quello su ferro. Tuttavia da un punto di vista strettamente economico, a parità di ton-nellate, il treno consuma circa il 70% meno di energia rispetto ai camion e ha dei costi di eser-cizio nettamente inferiori. Da considerare, inol-tre, che il trasporto ferroviario non è soggetto ai costanti andamenti del prezzo del gasolio, e ogni tonnellata per chilometro un treno emette circa 50 grammi di anidride carbonica mentre un camion oltre 200. Considerando che in Ita-lia oltre l’80% dei trasporti avviene su gomma, e il restante su ferro o acqua, noi tutti ed in parti-colar modo le nostre imprese pagano un prezzo veramente alto per commercializzare e rendere i loro prodotti competitivi al livello globale.Con la globalizzazione in corso la di"erenza ver-rà fatta dal prezzo e dalla tecnologia, e se voglia-mo essere competitivi come i nostri rivali euro-pei dobbiamo per prima cosa ridurre il costo del trasporto che spesso frena le nostre aziende.Per prima cosa è necessario mettere gli interessi da parte, perché se è vero che l’Iveco o la Sca-nia fanno lavorare un gran numero di persone, è

anche vero che tutti noi paghiamo di fatto que-ste aziende, alle quali importa per prima cosa il guadagno. Investire sul trasporto via ferro o acqua non vuol dire togliere il lavoro a metal-meccanici e lavoratori dell’indotto di suddette aziende, in quanto questi lavoratori possono es-sere reimpiegati da aziende che si occupano di produrre tutto cio che serve per lo sviluppo dei vari treni o navi cargo, ma vuol dire investire sulla salute e sull’ambiente. Per quanto riguarda il trasporto locale, è necessario che non sia tra-scurato, in quanto permette una migliore puli-zia dell’aria e dell’ambiente, ed evita ai cittadini un quotidiano slalom.

di Francesco Artizzu

politica

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Si concludeva, il 25 Aprile 1945, il periodo della Resistenza, un fenomeno tanto importante quanto complesso nell’analisi della sua portata storica. La Resistenza fu anzitutto una grande lotta per la libertà dell’Italia e del popolo italiano nella sua interezza. Se è vero che – come si suol dire – la Storia la scrivono sempre i vincitori, allora si deve ammettere che quel 25 Aprilela Storia cominciarono a scriverla anche le donne, che in quegli anni rivendicavano con forza i propri diritti e, primo fra tutti, quello al voto. È alle donne soprat-tutto che furono dedicati gli sforzi intensi del fronte di resistenza partigiana, perché le stesse vi avevano aderito con militanza attiva e partecipe, con!dando nell’adito che un grido di libertà può dare ad ogni istanza o diritto. Nacque così, dalle ceneri dell’autori-tarismo, una società viva e moderna, che riconosceva e tutelava i diritti del sesso femminile, considerato come soggetto giuridico, nonché come una compo-nente della società istituzionalmente e politicamente attiva.Il 2 giugno 1946 trovò in Italia concreta realizzazio-ne un desiderio che numerosi movimenti femministi avevano ! no a quel momento auspicato, ovvero la proclamazione per le donne del diritto di voto.“Il corpo è mio e lo gestisco io” gridavano già da tem-po le su"ragette che manifestavano nei cortei in nu-merose piazze italiane e molte di queste continuarono a gridarlo anche dopo la concessione di tale diritto,

LA LIBERTÀ È DONNA

Una storia di emancipazione femminile, dal ‘45 ad oggi

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!no a quando sembrò che la rivoluzione fosse ormai riuscita e quell’immane !ume rosa, for-te del proprio scorrere impetuoso, non riprese poi a $ uire tranquillo all’interno del proprio meandro. Si pensò allora, data la relativa “tran-quillità” delle circostanze, che la lotta partigiana e la paci!cazione che ne era scaturita potesse-ro ormai considerarsi come l’emblema di una dignità riconquistata, soprattutto la dignità del mondo femminile. Come quasi spesso succede, però, ogni conquista rischia, dopo un periodo di massimo exploit ed e%cacia, di essere fagoci-tata poco a poco dal mare calmo della normalità che appiana e confonde. Questo è accaduto, per certi versi, anche per il movimento femminista che, con il passare del tempo, ha !nito per trasformare il vigore reazio-nario e militante dei primi anni in un qualcosa di contrario al pensiero ed allo scopo primo di quel movimento: rivalutare il corpo femminile non come oggetto del desiderio altrui ma come carattere peculiare di dignità della donna in quanto soggetto, oltre che giuridico, umano e pensante.Questa corrente di pensiero invitava in sostanza la donna a non considerare più come un tabù o un’aberrazione il rapporto che ognuna instau-ra con il proprio corpo, a coltivarne la giusta considerazione nella propria psiche, imparando a considerarlo come un aspetto naturale della femminilità. Il corpo, insomma, è importante perché una donna possa, per mezzo di esso, ri-conoscersi nella propria dignità senza lasciare che questo diventi uno strumento per esibirla ed ostentarla agli occhi degli altri. La dignità è tacita e silenziosa, modesta e mai esuberante, ed appartiene, più che alle donne che riempiono delle proprie forme il teleschermo, alle tante mogli e madri che rimangono spesso fuori dal coro, eppure appaiono tanto più grandi nel-la loro posizione e nel proprio ruolo di soliste, perché rispecchiano la vera essenza della femmi-nilità, quella che non vacilla al primo chiudersi del sipario.È orribile pensare che oltre la forma non si è più nulla, o peggio che non esista l’essenza, oppure che questa sia tutt’uno con la maschera. Chi è abituato a pensare nei termini della normalità, formalmente dice ed a"erma cose giuste, ma in sostanza parla di sé con parole dettate dalla normalità stessa. È come se la donna moderna oggettivi sé stessa, perché si sente volutamente e consapevolmente un prodotto, che può garanti-re sicurezze e sentirsi, a sua volta, garantito nel proprio successo e nella propria a"ermazione. Oltre quel successo, oltre quell’a"ermazione, non esiste più nulla: semplicemente qualcuno ci guadagna e la donna perde la sua essenza vera. Questo è il dazio che deve pagare chi, forte del proprio agio e di un’apparente sicurezza, !nisce per perdere sé stesso, smarrendosi e confonden-dosi nelle trame del mondo, facendosi del male quando assolutamente non ce n’è bisogno e poi so"rendo quando si presenta quello vero e reale. Distinguere il bene dal male è diventata una fac-

cenda seria, forse più seria di quando c’era la guerra perché almeno lì, in quella circostanza, il male risulta immediatamente riconoscibile, bal-za agli occhi in tutta la propria crudezza e serve a far crescere e maturare la consapevolezza che, se si vuole il bene, una determinata situazione va a"rontata perché poi non si ripeta.Il male oggi, invece, si è travestito, ha abbando-nato le proprie sembianze per acquistare quelle del bene, un bene che, seppur falso, non è fa-cilmente distinguibile in quanto tale. Ciò che spalanca le porte ai disastri è, solitamente, la forza dell’abitudine, che induce a considerare con super!cialità ogni cosa diluendola nel re-lativismo. Tutto questo dimostra che anche la pace, a volte più d’una guerra, può creare di-sagio e smarrimento, rendendo non facilmente intuibili e quali!cabili i motivi di tale disagio, depistando ogni tentativo di soluzione ad un problema. È sempre possibile, tuttavia, trovare una via d’uscita dai problemi, anche se la strada da scegliere non è mai quella più corta, come il mondo e la società vorrebbero far credere, specialmente se questa non comporta la benché minima necessità di un sacri!cio. Nulla si ottie-ne senza impegno e dedizione e, del resto, senza un tale presupposto, nemmeno la Resistenza sa-rebbe stata possibile. L’importante è, dopo aver !nalmente ottenuto un determinato obiettivo, cercare di non vani!care un sacri!cio, per esem-pio ritenendolo un traguardo già acquisito o il coronamento di un processo in sé compiuto che non necessita di ulteriori sviluppi ed approfon-dimenti, nonché un meccanismo destinato a conservarsi e a funzionare da solo, senza bisogno anche della più minima spinta o impulso. I suc-cessi, quelli veri, che si conseguono nella vita, rimangono tali solo se continuamente alimen-tati da un intento preciso e da un solido sistema valoriale di riferimento. Ripristinare i valori è la vera chiave per scoprire sé stessi, la propria individualità, sottraendola all’eterogeneità della massa che omologa ed uniforma. Si dovrebbe ripristinare in primo luogo la genuinità e la tra-sparenza dei canoni etici, che negli ultimi anni si sono ridotti a inutili formalità o a sentimenti di facciata, a ideali retorici o di pura circostan-za, volti troppo spesso a ribadire e sottolineare un’integrità che poi non c’è. È al di là della pura spettacolarizzazione mediatica, nella concretez-za del reale, che tutto ciò diventa possibile, a cominciare dai rapporti con le persone che van-no ormai annullandosi del tutto o limitandosi a forme di clientelismo ed utilitarismo. Far senti-re quando, per esempio, stringiamo la mano a qualcuno che non conosciamo, oltre alla nostra formale educazione, anche un certo interessa-mento umano nei suoi confronti: questo è ciò che conta davvero, al di là di ogni cosa. L’ideale sarebbe poter ridurre lo spessore che esiste tra il “dire” e il “fare”, adottando misure concrete, che assumano come unico parametro di concretez-za quello dell’umanità, della dedizione verso il prossimo. L’unico antidoto ai mali della vita è la vita stessa, e per liberarsene non bisogna uscire

dalla realtà, costruendo castelli in aria o mondi paralleli, decisamente più pericolosi del mondo stesso nel quale viviamo, che viene sempre più spesso distorto e turbato nella sua naturalezza. In queste dimensioni paradossali perdono la loro importanza anche gli aspetti dell’esistenza più etici e dignitosi, come per esempio il lavo-ro, che viene declassato e messo in ombra da meccanismi quali le raccomandazioni o il facile avanzamento di carriera a determinate condi-zioni, ponendo così ogni cosa nei termini di un puro scambio o di una mera convenienza sen-za bisogno di sacri!cio, che diventa sempre più una parola costruita su misura per quanti – a dire della società – risultano sciocchi e disillusi. Attualmente nel nostro Paese sembra non esser-vi posto per gli eccellenti e per i meritevoli, ma solo per coloro che ambiscono a raggiungere un determinato obiettivo a qualsiasi prezzo e con ogni tipo di sotterfugi. L’obiettività nell’analisi dei comportamenti umani e delle dinamiche so-ciali, associata alla meritocrazia, rappresentano ad oggi le uniche risorse che possano permettere di restituire ai giovani la possibilità di un futu-ro, che per il momento si mostra loro incerto o, in alcune situazioni, non risulta neppure più ravvisabile. In forme di partecipazione ampia ed attiva al sociale come il lavoro si realizza la vera esaltazione della peculiarità dell’individuo che può, in maniera commisurata alle proprie atti-tudini e capacità, aiutare a costruire un qualcosa di utile e vantaggioso per l’intera comunità in cui vive.

Quello al lavoro è un diritto essenziale e fon-damentale di ogni individuo, uomo o donna che sia, come a"erma giustamente la nostra Costituzione, che vuole l’Italia una repubbli-ca fondata sul lavoro.Il più sincero e più grande augurio è che una società moderna, nel dichiararsi tale, sia vera-mente aperta a tutti, e che tutte le divergen-ze di diritti che in Italia ancora esistono tra mondo maschile e femminile, possano appia-narsi de!nitivamente.

di Carmine Cavaiuolo

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12 Giugno 2013

Omologazione: un termine a prima vista molto d’impatto, ma cosa sta a signi!care in realtà? Ovviamente ognuno ha la sua inter-pretazione a riguardo: alcuni credono sia un fenomeno alquanto positivo che rende giu-stizia a chi ha più “potere” o più “capacità e abilità”; altri sostengono la tesi opposta, convincendosi che è un fenomeno comple-tamente negativo che comporta solo soc-combenza. A mio parere, invece, non è altro che una morte !gurata della società. Anche un grande poeta italiano, Pier Paolo Paso-lini, era fermamente d’accordo al riguardo. Come ben sappiamo l’omologazione ab-braccia diversi rami: dai fenomeni sociali a quelli culturali; Pasolini, tende a so"ermarsi maggiormente sull’omologazione culturale. Sulla lingua italiana, ad esempio, fa alcune importanti osservazioni: prima fra tutte e senza dubbio più importante è quella riguar-dante il linguaggio dei media e quello tecni-co-scienti!co che presto avrebbe omologato i dialetti, massima espressione di diversità e prova infangabile della presenza di una par-ticolare identità culturale. Ed è per questo che Pasolini si scaglia contro la società di massa, dà potere ai mass me-dia per proporre un’estrema difesa ai dialet-ti. L’omologazione, come già detto, oltre ad essere culturale, può riguardare anche altri settori. Infatti, uno dei tanti lati oscuri di questo termine potrebbe essere la perdita d’i-dentità delle diverse culture e l’annullamen-to delle diversità tra gli individui e le civiltà. Il fenomeno è tipico in particolare delle mo-derne società di massa, dove la di"usione di valori e modelli di comportamento è a%data soprattutto ai grandi mezzi di comunicazio-ne e ad abitudini di vita fortemente standar-dizzate. Oltre ciò, il fenomeno dell’omolo-

gazione, può essere in un certo senso legato anche alla nostra “pigrizia” perché molto fre-quentemente ci ri!utiamo di voler emergere e, di conseguenza, di far emergere con noi anche i nostri ideali.Lasciamo che gli altri decidano per il no-stro futuro o presente e per di più al nostro posto; così, senza neanche accorgercene, ci ritroviamo ad essere succubi di chi, al con-trario nostro, ha avuto il coraggio di imporsi su un qualcosa che gli impediva il raggiungi-mento dei suoi obiettivi.Spesso ci auto- convinciamo che tutti siano migliori di noi e che i nostri non sono altro che sogni irrealizzabili, campati in aria e pri-vi di razionalità. Ma, a mio parere, per combattere l’omolo-gazione c’è bisogno anche di un po’ di fan-tasia, originalità, aspettativa, imprudenza, forza d’animo, un pizzico di autostima e, ovviamente, una mentalità più aperta, diver-sa rispetto a quella della massa comune che non vuole distinguersi. È indispensabile mettere un po’ di cuore e di passione in ciò che si fa o in ciò che si pro-getta di fare, perché solo se ognuno di noi si comporterà in tal modo, seppur diversa-mente l’uno dall’altra, potremmo avere una società mondiale più ricca! Ma per inculcare questi concetti nella men-talità della massa, e di conseguenza dei me-dia ci vuole qualcosa in più di qualche sem-plice ideale che per noi potrebbe sembrare essenziale mentre per altri assolutamente su-per$uo. Purtroppo non tutti, o meglio, qua-si nessuno vuole accettare questo nuovo stile di vita, diverso sì, ma assolutamente miglio-re e di conseguenza più fruttuoso, perché, contrariamente all’omologazione, “diversi-tà” vuol dire “progresso”. Sfortunatamente

nessuno cerca di trasformare questi ultimi in realtà perché troppo intenti ad acconsentire a ciò che gli altri impongono indirettamen-te portando così alla vera omologazione; ma rendere tutto omologato, omogeneo e privo di autenticità non vuol dire a"atto miglio-rarlo. Forse potrebbe sembrare un’interpretazione al quanto esagerata quella di dire che l’omo-logazione porta a schiavizzare in modo !gu-rato l’uomo, ma solo così si potrebbe meglio concepire il concetto di questo termine. In una realtà come la nostra, la lotta tra l’ori-ginalità e l’omologazione incide fortemente sulla nostra libertà sia di espressione che di pensiero: quante volte capita che la perso-na più “spigliata”, abituata a essere al centro dell’attenzione imponga, seppur involonta-riamente, le sue idee a tutti gli altri del grup-po solo perché, magari, li intimorisce un po’ per il suo modo di discutere vivacemente o per il suo gesticolare ininterrottamente. In realtà l’errore non lo commette chi cerca di far valere i propri valori e principi a voce alta, piuttosto tutti coloro di cui è circon-dato che, non avendo il coraggio di esterna-re ciò che veramente pensano, le loro vere opinioni, che potrebbero anche far cambiare idea al “capogruppo”, si chiudono in se stessi e annuiscono come fossero ipnotizzati dalle parole di quest’ultimo senza essere in grado nemmeno di essere spontanei. Ormai siamo tutti abituati a seguire ciò che qualcun altro ci dice, ad ignorare la voce che è dentro ognuno di noi e che ci incita a farci avanti e ad apprezzare il nostro pensiero cri-tico esternandolo anche agli altri. Ma se non avviene nessun cambiamento, questa voce, con il trascorrere del tempo, rischia di diven-tare sempre più !oca !no a scomparire del

PERCHÉ VARIO SIGNIFICA VITALotta all’omologazione per un progresso delle diversità

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tutto e ad annullare la nostra vera per-sonalità. Questo fenomeno accade soprattutto nelle nuove generazioni, negli ado-lescenti. Alcuni di loro sono fragili, deboli, in cerca di risposte, in cerca del loro vero “io”; altri invece sono già pronti al mondo esterno, alla re-altà perché, essendo più aperti, più ambiziosi e avendo una personalità più marcata rispetto agli altri, sono in grado di essere i “capigruppo” del loro giro di amicizie.Ma non deve essere così, non deve esi-stere alcun capogruppo, ognuno deve decidere per se stesso perché ne è ca-pace e ne ha la possibilità. I ragazzi più deboli spesso adeguano i propri comportamenti a quelli del gruppo o per essere accettati o perché hanno paura di essere se stessi o per-ché cercano una guida, una persona più forte che possa dargli l’esempio. Ecco perché la famiglia, durante l’a-dolescenza del ragazzo, deve essere presente più che mai, per evitare che si possano intraprendere strade sba-gliate e poi non poter tornare più in-dietro per rimediare. Di solito in ogni gruppo c’è il ribelle, l’anticonformista che, guarda caso, è anche il più vivace, il più spigliato e ha tutte le caratteri-stiche per essere un “capogruppo”... Tutti lo seguono o perché lo temono o perché è l’unico a farsi valere in ogni situazione; beh deve arrivare il mo-mento in cui, quando l’anticonformi-sta, il ribelle, lo spigliato del gruppo si fa avanti, appaia qualcun altro pronto ad imporre le sue idee per poi trova-re un punto d’incontro. È così che si combatte l’omologazione, serve solo una piccola dose di coraggio, fermez-za, determinazione e sicurezza. L’anti-doto?! Non esiste. Ognuno di noi po-trebbe solo cercare di tirar fuori, nel modo più completo possibile, la pro-pria personalità e poi bisogna a%darsi alla nostra autostima e al rispetto che abbiamo per noi stessi e per i nostri ideali.

di Teresa Riccio

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14 Giugno 2013

Napolitano, Carlo Azeglio Ciampi. Sono stati coraggiosi liberalisti in periodi di%cili e hanno dovuto a"rontare istituzioni com-plesse, hanno speso la loro vita per la Patria con serena !ducia nel futuro: hanno tessu-to la storia.Noi non vogliamo altro che un Presidente, che sia poi Napolitano o Rodotà, che svol-ga al meglio il suo compito, che rappresenti al meglio il suo ruolo, che guardi in avanti, che riformii partiti, che sostenga i lavorato-ri, i risparmiatori, i più bisognosi, che tuteli le imprese, che valorizzi l’Italia e la renda brillante in Europa e nel mondo.A volte abbiamo bisogno di avere !ducia, essere umili, ottimisti, poter guardare in alto senza girarsi dietro, essere meno egoisti (specialmente se si è a capo di un Paese) e a"rontare le situazioni di%cili senza paura. Speriamo che il nostro Presidente, di cui dobbiamo andare !eri, riesca al meglio nel suo compito e faccia ciò che è giusto. Il po-tere deve ritornare nelle mani del padrone, non deve rimanere nelle mani dei vassalli che l’uno contro l’altro ora “governano” l’I-talia.Qual è la società che vogliamo e qual è l’interesse generale che dovremmo seguire? Abbiamo bisogno di qualcuno che sappia cosa fare, che guardi alla costruzione di una Europa che sia uno Stato federale. Quindi non rimane che fare tanti auguri al nostro PresidenteNapolitano!Come diceva Einstein tanti uo-mini e una sola razza:la razza umana.

Il giorno 20 Aprile 2013, Giorgio Na-politano è stato rieletto Presidente della Repubblica Italiana per la seconda volta con 738 voti contro i 217 di Stefano Ro-dotà, giurista e politico italiano. Napo-litano, undicesimo e attuale Presidente successore di Carlo Azeglio Ciampi è in carica dal 15 Maggio 2006. Precedente-mente era stato Presidente della Camera dei Deputati e membro del Partito Co-munista Italiano. L’unico ad essere stato rieletto due volte con l’approvazione di tutte le forze politiche esclusi i Grillini, i quali hanno continuato a votare Rodo-tà, ra"orzato dal partito di Vendola.Napolitano è, ed è stato, un grande espo-nente della Politica Italiana, ha operato e contribuito al meglio per ra"orzare e tutelare il Paese; ma non sarebbe stato meglio cambiare personalità, introdurre un nuovo volto in politica che possa ri-sollevare la Nazione da questo profondo e disastroso stato di crisi e arretratezza? Questa è la domanda che tutti ci ponia-mo e questo èil motivo per il quale molti sono scon-tenti e insoddisfatti. Alcuni puntavano alla discontinuità,al cambiamento che è giusto se aggiorna ma non se frantuma il patrimonio del-la nostra storia della Repubblica. Altri hanno preferito a%darsi completamente nelle mani di Napolitano e far sì che lui porti avanti lo Stato, rinnovi, sostenga i partiti e copri tutti gli scheletri nell’ar-madio.Noi vogliamo semplicemente un’Italia democratica, riformista ma allo stesso tempo conservatrice e aperta alle esigenze e ai bisogni di tutti i cittadini.

Commenti e ri!essioni all’indomani della rielezione del Presidente della Repubblica

Napolitano

si o no?

di Maria Rosaria Arzano

Quando la "ducia non è mai troppa

Forse sarebbe stato meglio scegliere un Presidente più giovane, vicino ai giova-ni, e non scegliere una persona tra molti candidati, come hanno de!nito alcuni, da “casa di riposo”. Eleggere un Presi-dente non è semplice e decidere di rin-novare il suo mandato per la seconda volta è ancora più complicato. Abbiamo avuto grandi personaggi nella storia re-pubblicana Italiana dal 1948 ad oggi, il primo presidente Enrico De Nicola, de!nito il fondatore, Luigi Einaudi, Giuseppe Sagarat, Giovanni Gronchi, Antonio Segni, Giovanni Leone, Oscar Scalfaro, Sandro Pertini, Francesco Cos-siga, sino ad arrivare al predecessore di

Attualità

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Giugno 2013 15

La scelta del nostro Istituto

Lezioni sul campo al Telesi@Solidarietà e collaborazione a contatto col mondodi Giorgia Cusati

Alla "ne dell’anno scolastico gli studenti del Telesi@ si sono "-nalmente abituati ad usare la l’espressione “Lezione sul campo” per indicare la fase conclusiva di un La.Pro.Di, a sua volta sigla di “Laboratorio di Progettazione Didattica”.I La.Pro.Di, come abbiamo potuto apprendere dai docenti e ve-dere sintetizzato nella Guida al Telesi@ sul nostro sito web, “sono laboratori che vedono protagonisti docenti e studentiin una logica pedagogica di tipo attivo ed esperienziale, volta a fa-vorire modalità interattive tra le parti coinvolte, a dar luogo non a una formazione teorico-astratta, mirando a superare l’enciclope-dismo e utilizzando strategie formative in cui lo studente diventa protagonista del sapere.”Tuttavia l’esperienza che meglio ha dato agli studenti l’idea di la-boratorio è stata quella che

ha permesso l’uscita dalle mura dell’edi"cio scolastico per ricerca-re le tracce di studi negli spazi esterni e anche lontani dai luoghi più noti. In queste occasioni si sono sviluppati senso di solidarietà e collaborazione, si è gustato il piacere di stare insieme anche con i docenti più rigidi e si è avvertito un reale contatto col mondo.Quanto era utile il consiglio di portare bagagli essenziali! Come è divertente viaggiare in alta velocità insieme a chi si sposta per la-voro! Quanto è importante attraversare solo col verde, obliterare i biglietti dei mezzi pubblici, gettare carte e ri"uti negli appositi contenitori, mantenere un tono di voce moderato negli ambienti comuni e altre lezioni di vita e di senso civico... Basterebbe solo questo per dimostrare l’utilità di esperienze simili, senza dimen-ticare la parte culturale e quella del divertimento, che non guasta e non basta mai.

Tutti sono alla ricerca della felicità, eppure sembra che nessuno riesca mai a trovarla, come se fosse qualcosa di così lontano e irraggiungibile... Allora mi chiedo: cos’è realmente la felicità? E soprattutto: è possibile misurarla?Se solo ci fermassimo un istante a pensare ciò che realmente ci rende felici, probabilmente smetteremmo di cercare l’irraggiun-gibile e potremmo capire quanto, in realtà, la nostra vita sia ricca di momenti felici. Sto parlando dei piccoli gesti, di quelli sem-plici che lasciano pensare o addirittura non fanno dormire. Uno sguardo ricambiato, parole inaspettate, un sorriso, una giornata di sole o un bel voto a scuola.E ancora, il circondarsi di persone che ci amano e ci fanno sentire bene, il sentirsi orgogliosi e "eri delle proprie scelte, di ciò che ogni singolo giorno si è. Non è forse questa la felicità?Se solo pensassimo anche a tutti coloro che vivono alla giornata, a quelli che sanno apprezzare lavita giorno dopo giorno e che per un semplice gesto riescono a sorridere, ci renderemmo conto di quanto siamo fortunati. Siamo tutti alla ricerca di qualcosa senza accorgerci che, a volte, quel qualcosa l’abbiamo sempre posseduto.

Ri#essioni e confessioni

Per un attimo di felicità“Siamo tutti alla ricerca di qualcosa”di Rossella Grasso

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16 Giugno 2013

Il primo maggio 2013 si è celebra-ta in Italia la Festa dei Lavoratori. Fu u%cializzata a Parigi nel 1889 dalla Seconda Internazionale, in memoria delle numerose proteste dei lavoratori e dei loro attacchi subiti.Ma è ancora una festa, una giornata di gioia? La risposta appare chiara guar-dando la situazione che ci circonda. L’Italia sembra essere divisa in due: chi ha troppo, e chi troppo poco; chi si attacca alla poltrona, e chi lotta per lavorare. Questa lotta è divenuta este-nuante: le imprese chiudono, gli operai sono costretti a tornare a casa e a causa della forte tassazione non è possibile riaprire le aziende, e in!ne la decisa in-su%cienza dei ! nanziamenti impedi-sce ai centri di ricerca di poter lavorare a pieno regime. Siamo una Repubblica fondata sul lavoro, animata da uomini che assicurano un futuro a quei giova-ni studenti che desiderano costruire e proiettarsi nel mondo del lavoro.Questo è un anno diverso, un anno che ha visto partecipi tutti, lavoratori e non, in ogni parte del nostro Bel Pa-ese. Per la prima volta imprenditori e lavoratori sono scesi insieme in piazza per gli stessi diritti; per la prima volta essa è quasi diventata la “Festa dei Di-soccupati”. È stato un gesto di gran-de importanza simbolica quello della Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, già commissario per

i diritti dei rifugiati, che si è recata a Portella della Ginestra, in ricordo di una manifestazione di massa nel 1947 in cui una decina di lavoratori furono trucidati da esponenti della banda di Salvatore Giuliano. Non senza scalpo-re ci sono state irruenti proteste come presso la Città della Scienza da parte di giovani manifestanti nei confronti dei sindacati e delle istituzioni rei di non tutelarli adeguatamente.Se questo può essere considerato un anno di crisi, sarà allora un anno di cambiamento. Esarà di conseguenza di grande utilità e saggezza ascoltare le parole di chi ha la conoscenzae l’interesse di aiutarci. Papa Francesco si è espresso con fermezza contro “il lavoro che schiavizza” esortando non solo i responsabili della res publica a impegnarsi e%cacemente a dare un rinnovato slancio alla nostra nazione, ma anche il popolo tutto a%nché non rivolgala sua attenzione esclusivamente al compenso monetario. Cordiali e pro-fonde sono state le parole di Roberto Saviano: “Il mio augurio oggi va a chi non trova lavoro, a chi lo ha perso, a chi non è garantito. Va a loro che, no-nostante le enormi, insopportabili dif-!coltà, sanno chela vita propria e altrui ha un valore im-menso. Il mio augurio oggi va a chi,

scoraggiato, chiede aiuto e non si lascia andare a gesti che provocano dispera-zione. Il mio pensiero e il mio augurio a chi per amore del proprio lavoro, in un momento in cui il lavoro è un bene prezioso, rischia quotidianamente la vita.”E in!ne la Voce che si è levata più for-te da parte di una rappresentante della società civile e dell’intelligenza silen-ziosa è come se rispondesse alle parole dello scrittore. Si tratta di Allegra Via, laureata in Fisica e ora ricercatrice bio-informatica a tempo determinato, che è intervenuta nel Concerto del Primo Maggio a Roma – queste le sue paro-le: “[...] Diciassette anni passati con la preoccupazione: ‘Me lo rinnoveranno il contratto?’. Nonostante ciò tutte le mattinemi sveglio felice di andare a lavoro, perché lo amo. Mi porta a pensare in continuazione, aconfrontarmi con persone in gamba, con gente piena di sogni e di speranze. Non si smette mai di studiare. Mi pia-ce tutto di questo lavoro, anche pran-zare ogni giorno con un panino davan-ti al computer. Il mio futuro? Io non so cosa farò tra cinque anni.”Questa è una denuncia forte che ci deve far ri$ettere e che deve far sì che tutti, a tutti i livelli, debbano cambia-re rotta se vogliamo veramente bene al nostro Paese.

“Nonostante ciò tutte le mattine mi sveglio felice di andare a lavoro, perché lo amo.”

Una denuncia per cambiare rotta

Dal 1889 ad oggi: esiste ancora il Primo Maggio?

di Marco Formisano

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Giugno 2013 17

Il genere umano ha partorito un’altra stra-ge, l’ennesima. Però non si ci abitua mai ad ascoltare certe notizie, a vedere certe im-magini. Perciò quelle che ci sono giunte da Boston la mattina del 16 Aprile sconvol-gono e inorridiscono come quando, per la prima volta, ci si avvicina a qualcosa di ri-pugnante. L’attacco che ha causato 3 morti e 180 feriti ha colpitola città nel giorno della tradizionale Mara-tona. Così un giorno di festa si è trasfor-mato in un giorno di morte e terrore.Le indagini condotte dall’FBI e dalla poli-zia locale hanno portato alla cattura, dopo appena cinque giorni dall’accaduto, di uno dei due esecutori della strage; l’altro era stato ucciso dalla polizia in un con#itto a fuoco. La coppia di attentatori, due giova-ni fratelli di origine cecena, hanno quasi sicuramente agito autonomamente, senza appoggio da parte di cellule terroristiche di Al Qaeda.Gli ordigni, confezionati in casa, erano parte di un ricco arsenale che i due conser-vavano in casa.Quando ancora molti dubbi restano da chiarire riguardo all’organizzazione dei due immigrati ceceni, iniziano ad essere sempre più chiare quali siano le motivazio-ni che li hanno spinti a questo estremo ge-sto. Probabilmente agganciati via internet da qualche imam estremista i due hanno messo in atto la loro jihad, forse solo il pri-mo attentato di una serie se la polizia non li avesse fermati.Il triste evento riaccende la luce sul feno-meno dei jihadisti interni negli Stati Uniti, su personaggi che autonomamente o, co-munque, in piccoli gruppi decidono di at-tuare attacchi terroristici.Le motivazioni che spingono questi indivi-dui a perseguire nella loro lotta ad un ne-mico immaginario dell’Islam sono molto più semplici di quelle delle organizzazioni maggiori come Al Qaeda. Se nelle organiz-zazioni maggiori è l’interesse economico che spinge a compiere certi gesti i “lupi so-litari” agiscono solo perché spinti dal loro fanatismo religioso.Fanatismo religioso, come non inorridire di fronte a questo concetto. È un concetto

cheva contro tutti i principi di libertà che dovrebbero caratterizzare la civiltà moder-na. È un concetto tanto antico quanto stu-pido. È qualcosa che ha mietuto talmente tante vittimeche l’uomo dovrebbe temerlo al pari della peste. E invece, continua ad essere in voga e a mietere vittime.Il fanatismo religioso incarna la natura primordiale dell’uomo, quella che tende ad annientare qualsiasi cosa vede come una minaccia. Se a questo aggiungiamo il fatto che se ad essere minacciato è il rapporto con la divinità si può capire quanto questo sentimento, nella testa delle persone sba-gliate, sia paragonabile ad una bomba ad orologeria pronta a scoppiare, da un mo-mento all’altro.Tra tutti i tipi di fanatismo, quello derivan-te dalla religione è il più grave e il più pe-ricoloso. Questo perché si continua a sot-tovalutare la pericolosità della lucida follia che il fanatismo crea negli individui. La fede in una divinità implica il rispecchia-re la propria essenza, la propria emotività nella divinità stessa. Tale rapporto, se vis-suto nel modo sbagliato, può portare all’as-servimento totale alla divinità, o meglio a quegli uomini che si fanno portatori del messaggio della divinità sulla Terra. È per questo che il fanatismo religioso è di$cile da estirpare all’interno di un uomo. Per-ché chi agisce nell’asservimento alla pro-pria ideologia non ha neanche il minimo dubbio di sbagliare. Non vede oltre quel-lo che la stessa ideologia gli suggerisce. Il fanatismo religioso è qualcosa di sbagliato in sé, e di certo non dipende dalla religio-ne di appartenenza. Troppo spesso, infat-ti, ci si riempie la bocca di luoghi comuni sull’Islam senza ri#ettere (o peggio ancora senza conoscere) sulle atrocità che anche i Cristiani hanno compiuto in nome di Dio. Il fanatismo religioso è quindi qualcosa che non coinvolge la religione in senso as-soluto ma causata dall’interpretazione er-rata da parte di alcuni estremisti.Un esempio è proprio quello dei due fratel-li ceceni che si sono rivoltati contro quelli che avrebbero dovuto considerare bene-fattori. I due, infatti, erano stati più volte

costretti nel corso della loro vita a fuggire. Prima dalla Cecenia, durante la guerra, poi dalla Russia, dove essere ceceni era divenu-to troppo pericoloso e in"ne dalla Turchia. Solo in America avevano avuto l’opportu-nità di decidere liberamente del proprio futuro di studiare e di avere, quindi, una vita normale. I due invece di essere grati a chi gli ha dato questa possibilità, o!uscati dal fanatismo di cui erano vittima, hanno trasformato gli amici in nemici. La speran-za èche le varie comunità religiose riconosca-no, alla luce di tutto il sangue innocente versato ingiustamente, di abbandonare la via della guerra e della prevaricazione. Che si inculchiin ognuno l’apertura mentale giusta per rispettare la diversità degli altri. In questo si potrà estirpare il fanatismo dal cuore dell’uomo perché stragi come quella di Bo-ston non si ripeteranno.

FANATISMO RELIGIOSO E TERRORISMOGli attentatori di Boston hanno messo in atto la loro jihaddi Giuseppe Viscusi

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18 Giugno 2013

Sport e soldi sono !n dai tem-pi dello sport professionistico un perfetto connubio che ha reso gli atleti non solo uomi-ni che spendono la loro vita nel superamento di limite o nel miglioramento dei loro ri-sultati, ma li ha fatti diventa-re delle vere e proprie star. Lo sport professionistico è nato a partire dagli anni sessanta, quando alcuni atleti riceveva-no piccole somme in cambio della sponsorizzazione di una marca. Questo fenomeno era però limitato dalle dure re-gole imposte allora dal CIO (Comitato Olimpico Inter-nazionale), che squali!cavano gli atleti che venivano spon-sorizzati. Uno degli atleti che pagò con la squali!ca a vita fu lo sciatore italiano Zeno Colò, il quale accusato di aver sponsorizzato una marca di scarponi, non poté partecipa-re alle Olimpiadi Invernali di Cortina del 1956. Già negli anni ‘70 lo sport iniziava ad essere un gigantesco business e importanti marche facevano a gare sponsorizzare i propri prodotti attraverso atleti fa-mosi: basti pensare che ci fu una durissima lotta tra due aziende tedesche sorelle per

fornire le scarpe da gioco a Pelé. Negli anni successivi le regole del CIO si ammorbi-dirono, e a partire dagli anni ‘90 gli atleti professionisti po-terono partecipare ai Giochi Olimpici. Da allora in poi, le Olimpiadi sono diventate un grandissimo business, dove gli sponsor si contendono i mi-gliori atleti. In questo modo le Olimpiadi hanno perso molto del loro spirito originale dove l’importante è partecipare, e sicuramente se fosse ancora in vita, De Coubertin non sareb-be molto felice. Ovviamen-te i guadagni degli atleti non dipendono ormai solo dalle Olimpiadi, ma sta di fatto che una vittoria olimpica sia in termini di popolarità che di denaro è superiore a qualsiasi altro evento. I guadagni degli atleti professionisti dipendono da diversi fattori, ma il princi-pale è la popolarità dello sport nella Nazione dove questo viene praticato. Nel vecchio continente, dove lo sport più popolare è il calcio gli sportivi più pagati sono ovviamente i calciatori, i cui guadagni di-pendono sia dai vari contratti che vengono stipulati loro dal-le società ma, in misura mag-

giore, dagli sponsor. In Euro-pa i calciatori hanno gli incassi maggiori, e al primo posto di questa classi!ca troviamo Messi con 33 milioni di euro l’anno seguito da Beckham con 31 milioni e C. Ronal-do con “appena” 29 milioni; primo tra gli italiani Bu"on con 11 milioni. Dall’altra par-te dell’oceano, dove gli sport più seguiti sono il basket e il baseball, i tre sportivi più pa-gati sono i due cestisti Kobe Bryant con 41 milioni di euro e Lebron James con 37 milioni mentre il terzo posto è occu-pato dal giocatore di baseball Alex Rodriguez che porta a casa ogni anno 27 milioni. Se si guarda a livello globale gli sportivi che possono vantare i guadagni maggiori, secondo la rivista Forbes, sono: Tiger Woods (Golf ) con circa 60 milioni di dollari, preceduto da Manny Pacquiao (Boxe) con 62 milioni, preceduto a sua volta da Floyd Maywea-ther (Boxe) con 85 milioni. Per quanto riguarda la Formu-la 1 Alonso è il pilota meglio pagato con 30 milioni di euro, seguito da Button e Hamilton che prendono entrambi 16 milioni. Discorso a parte me-

ritano gli sport invernali, dove i guadagni sono notevolmen-te più bassi causati principal-mente alla di%coltà che molte persone hanno a praticarli, e lo sportivo meglio pagato risulta essere lo snowboarder Shaun White con poco meno di 10 milioni di dollari seguito da Lindsay Vonn (Sci) con poco meno di due milioni e mez-zo di euro. Il motivo di tanti soldi è uno solo: il prodotto pubblicizzato da un campione convince le persone ad acqui-starlo. A tutti fa piacereindossare la stessa attrezzatura del proprio idolo, in quanto da la sensazione di poterlo emulare. Tuttavia, visto il periodo di cri-si, molti si chiedono se sia giu-sto pagare così tanto gli sportivi? La risposta a ciò può essere una sola: vengono pagati per quello che rendono alla società spon-sorizzatrice. Difronte a questo connubio che, secondo molti, ha industrializzato lo sport pri-vandolo delle sue radici non c’è molto da fare, in quanto ciò è !-glio di un radicale cambiamento che a partire dal dopoguerra ha interessato questo settore. Quin-di, a meno di scelte radicali da parte nostra, questo connubio resterà sempre in piedi.

Tempo di crisi? Non per gli sportivi!Il valore dei soldi non è un gioco

Di Francesco Artizzu

Ricchi si diventa per un logo

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Giugno 2013 19

Un bicchiere tira l’altroL’alcolismo, una piaga sociale

L'alcol è farmacologicamente la droga più utilizzata che, secondo le dosi, ha e!etti eufo-rizzanti, disinibitori, stimolanti o calmanti e provoca dipendenza. Costa poco, è reperibile ovunque, in qualsiasi momento, ed è social-mente accettato. Spesso, dove le persone si in-contrano, si beve e, talvolta, dove si festeggia ci si ubriaca.La legge italiana vieta la somministrazione di alcolici ai minori di sedici anni, ma i ragaz-zi aggirano i divieti portandosi le bottiglie da casa, o comprandole nei supermercati. Infatti, mentre negli altri paesi si inizia a bere a tre-dici anni, in Italia il dato è inquietante perché già a undici anni si beve. Si comincia con gli happy hour, si continua con birra, superalco-lici e beveroni, nei quale si mette di tutto per dare il colpo "nale. Nelle discoteche avviene il superconsumo delle bevande alcoliche under 15. Di!uso è anche l'uso delle cosiddette be-vande alcopop, ossia bevande con gradazione alcolica compresa tra 5-6 gradi, travestite da innocui succhi di frutta. L'alcol viene spesso unito all'uso di altre droghe creando combi-nazioni micidiali e spesso mortali. Bere tan-to per bere è motivo di vanto, come fosse una moda, un po' come apparire in televisione, per dare un gusto diverso alla vita. Sono ragazzi apparentemente normali che frequentano la scuola (anche con risultati soddisfacenti): se non si ha l’occasione di vederli “sbronzi”, è dif-"cile distinguerli dagli altri.Spesso i ragazzi, anche avendo molti modi per divertirsi, attendono il sabato per diver-tirsi e liberarsi di tutte le tensioni, le noie e le fatiche accumulate nel corso della settimana: è proprio questo il giorno in cui accadono le peggiori stragi dell'intera settimana. Gli inci-denti stradali legati all'alcol sono in aumen-to soprattutto tra chi ha meno di trenta anni. Il sabato sera al pronto soccorso è sempre la stessa storia: arrivano genitori inconsapevoli e disperati, ai quali verrebbe da chiedere se co-noscono un po' i propri "gli, che sono lì, vitti-me d'incidenti perché ubriachi.Spesso l'alcol è usato come mezzo per socia-lizzare, e i giovani alcolisti sono terrorizzati di non far parte del gruppo, di essere considera-ti s"gati, e bevono anche senza averne voglia. Gli incidenti stradali del sabato notte, infatti, sono spesso la prova di alcune bravate fatte dai giovani per mostrare al gruppo di amici il pro-prio coraggio, per non farsi emarginare dagli altri. Tante sono anche le ragazze che fanno uso di alcol. Queste sono più deboli e vulne-rabili, e più sensibili ai suoi e!etti negativi,

poiché hanno una massa corporea inferiore rispetto ai ragazzi, e di conseguenza si ubria-cano molto velocemente e impiegano molto più tempo a tornare lucide.Le più magre impiegano anche un'ora in più rispetto alle coetanee con le forme tonde a ri-prendere lucidità. Sarebbe necessario, invece, che le giovani si mantenessero lucide per pro-teggersi dal rischio di subire violenze da parte dei ragazzi, spesso ancheconosciuti, che, gon" di alcol, possono tra-sformarsi in inaspettati aggressori.L'abuso di alcol tra i minori sta diventando una piaga sociale, spesso sottovalutata; essa ha costi sociali enormi per le patologie legate ai vari organi, tra cui il fegato, e quelle psichi-

che. Fare il pieno di alcol, come fanno sem-pre più adolescenti nelle uscite serali, nuoce al cervello, causando danni irreversibili a livello di un'area essenziale per le funzioni cognitive: l'ippocampo.Il motivo degli e!etti devastanti e irreversibili dell'alcol sta nel fatto che prima dei 18- 20 anni l'organismo non è capace di metabolizzarlo. Le abbu!ate sono particolarmente dannose ma anche piccole quantità possono esporre un organismo immaturo a rischi. Così come chi inizia a fumare a 15 anni, a 40 anni rischia di ritrovarsi con un tumore ai polmoni, allo stesso modo chi inizia a bere alcolici in gio-vane età è destinato ad avere prematuramente problemi correlati a questa cattiva abitudine, da tumori a disturbi cognitivi.Come riconoscere una persona ubriaca? Mol-to evidente è la di$coltà a parlare, spesso da soli; la lentezza dei ri#essi è un altro indica-tore come la mancata coordinazione dei mo-vimenti, aggressività, perdita dell'equilibrio, tremore alle mani...Per risolvere questo problema bisognerebbe adottare misure che limitino queste stragi, cominciando ad apportare una serie di modi-"che all'interno delle discoteche. Bisogna far capire ai giovani che è sbagliato dare all'alcol un valore d'uso e quindi avvalersene per esse-re più brillanti, o ancora come spesso accade nelle ragazze, per richiamare l'attenzione degli adulti o della famiglia.Il vero problema è che mancano controlli e in alcuni locali vige l'anarchia più assoluta in fat-to di vendita di alcolici ai minori. I proprietari dei locali di divertimento, inoltre, contribui-rebbero a salvare, anche se in modo indiret-to, molte vite di giovani nel chiuderli in casa a un'ora più ragionevole. Credo che la cosa più importante sia una buona educazione da parte di esperti all'interno delle scuole, mag-giore controllo da parte delle famiglie, mag-giore consapevolezza personale nel mantenere il proprio corpo in buona salute.Un bicchiere tira l'altro, e si è felici, si è dimen-ticato per un momento l'evento indesiderato, ma un attimo dopo lui è là a “trapanarti” il cervello nel mentre il "sico ha subito un dan-no in più.A che serve rischiare? Non è meglio prendere il coraggio con le mani e a!rontare la realtà?

di Elena Maria Gambuti

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Alessandro D’Avenia, insegnante trentase-ienne di lettere al liceo, nel 2010 scrive digetto un romanzo dopo aver fatto supplenza in una classe dove da poco è venuta a man-care una ragazza per un tumore. “Biancacome il latte rossa come il sangue”, infatti,parla proprio di questa tematica difficile ecommovente contorniandola di noi ragazzi,dei problemi che affrontiamo durante l’adoffff -lescenza: la scuola, i primi amori, l’amicizia,il rapporto con i genitori.Il protagonista è Leo, un sedicenne con un’a-mica a cui confida tutto, Silvia, che è inna-morato di Beatrice e che non ha ottimi rap-porti né con i genitori, né con i professori. Lasua paura più grande è il biancoche rappresenta il silenzio, il vuoto assoluto.Il rosso invece è l’opposto, è l’amore, il san-gue, il colore dei capelli di Beatrice. Quest’ul-tima, purtroppo, ha la leucemia, così il ra-gazzo decide di starle vicino. Tra una partitadi calcetto e un brutto voto da recuperare ascuola, infatti, Leo instaura un’amicizia pro-fonda e sincera con Beatrice.In poco tempo, però, la sua vita deve subire una svolta. Acca-dono eventi che lo cambiano radicalmente: a partire dall’arrivo de “il sognatore”, il sup-plente di storia e filosofia, colui che riesce aspronarlo a lottare per i propri ideali, per ipropri sogni, fino alla morte di Beatrice. Edè proprio questo lutto che lo farà maturaree crescere, seppur con dolore e fatica.Dalgrande successo che questo libro ha avuto trail pubblico, tradotto in numerose lingue, si ètratto un film dall’omonimo titolo, diretto da

Giacomo Compiotti e con grandi attori quali Filippo Scicchitano nei panni del protagoni-sta Leo, Luca Argentero nei panni del pro-fessore, Aurora Ruffino nei panni di Silvia eGaia Weiss nei panni di Beatrice.Questa non è una delle tante storie piene di fantasia, ma una storia reale, coinvolgente, che tocca i principali temi della vita: l’amici-zia, la scuola, l’amore, la malattia, la morte eche li raccoglie tutti nella vita del protagoni-sta, resa intensa da tutte queste circostanze. L’autore riesce a far rispecchiare ogni perso-na nel testo, facendogli ripercorrere i mo-menti dell’adolescenza, ma allo stesso tempoaggiunge una notadi commozione per la triste malattia che col-pisce Beatrice, storia che sfortunatamentesembra essere sempre più comune nella so-cietà odierna.Forse, è proprio questo il pun-to di forza del romanzo: rompere un tabù, parlando di uno dei mali piùforti del nostro secolo, la leucemia ed i tumori in generale. E’ uno sguardo su debolezze, attimi di vitaecoraggio di chi sopporta in prima persona o accanto queste malattie. Mi ha colpito unafrase del protagonista che racchiude proprio l’insicurezza di chi accompagna un malato:“Non so se devo farfinta di non sapere, sedevo far finta che stai bene “. Così è forte il momento in cui Beatrice afferma di essereffffstanca di aver “paura di usare le parole”, di volersi sfogare. Colpisce proprio il carattere di questa ragazza, a tratti vigorosa, audace, quando rivela di indossare una parrucca, dato che i suoi capelli sono caduti a cau-

“Bianca come il latte, rossa come il sangue”

Un grande successo cinematografico, la rottura di un tabù

di Sabrina R. Cusano

sa della malattia, ma anche debole e perplessa riguardoalla sua vita, lei che volevaimparare le lingue, suonarela chitarra, viaggiare, lei che ora non ha neppure la forzadi ridere perché il suo san-gue sta diventando “troppobianco”. Può essere un libroe, perché no, un film che dàcoraggio, che insegna a nonscoraggiarsi di fronte a batta-glie dure come quella che Be-atrice sta combattendo. Si vaa toccare qualcosa di radicalee profondo che c’è in ognu-

no di noi e che è il bisogno di speranze. E, anche nella triste sorte a cui la ragazzava incontro, trasmette gioia di vivere perché si focalizza su un adolescente che non consuma la propria vita mache la dona, stando accanto,ridendo e piangendo assieme alla sua Beatrice, con un rife-rimento non troppo velato a Dante e al suo amore per lasua donna angelicata.

Noi giovani siamo la generazione del “cotto emangiato”: pretendiamo qualcosa senza conqui-starla e ci lamentiamo se non riusciamo ad aver-la; dal video-gioco per la PlayStation alla nostralibertà. Sto parlando del nostro libero arbitrioche spesso non sappiamo sfruttare o che non utilizziamo per semplice pigrizia, perché, dicia-mo la verità, un “piatto” è più comodo trovarlogià a tavola fumante che doverlo preparare. E seun giorno non dovessimo trovare nessun pranzo?Siate certi, che noi ragazzi, pur di non “affaticarffff -ci”, rimarremmo digiuni!Siamo i primi a lamentarci di questa Italia ormaistagnata nel fango della vergogna, ma siamo gliultimi a reagire! Siamo “una generazione che non genera-azione”, canta il rapper Fabri Fibra; una gioventù che guarda al passato e lo considera roba d’antiquariato.Per noi è troppo faticoso scatenare una sana

ribellione perché siamo convinti che possa farloqualcun altro al posto nostro e dopotutto, perchéstancarci quando potrebbero inventare un App anche per questo?Cullati da questa erronea concezione tacciamosenza pensare che in realtà siamo noi la forza che può prosciugare questo “fango”.Con ciò, però, non voglio fare di tutta l’erba un fascio perché ci sono i ragazzi che danno voce aipropri ideali, ma sono così pochi che da soli nonpossono farcela.Ci lamentiamo spesso dei nostri politici senzacapire che siamo stati noi a permettere loro di comportarsi così.Siamo in un Paese dove quasi 50.000.000 di italiani votanti si sente del tutto inutile di fronte a 630 poltroni in giacca e cravatta o, nel peggiore dei casi, è ancora affezionato a stereotipate conceffff -zioni che si legano ad alcuni ex leader politici e

persevera nel votarli.Sto parlando di tutti coloro a cui non piace il “ve-stito” da cittadino e se ne liberano facendo si cheil “beneficio lasci spazio al benestare”. Mi riferi-sco, appunto, a tutti coloro che hanno una grandearma di difesa tra le mani e non la usano o forsenon sanno come utilizzarla: il voto!Una volta compiuti 18 anni, infatti, ognuno dinoi non dovrebbe perdere occasione per espri-mere la mia voce e dimostrare quanto sia fortu-nata a godere di questa libertà tanto agognata nelpassato e tanto minimizzata oggi.A mio avviso è questo il momento di parlare,anche perché se questa Italia non risponde allenostre aspettative è perché non gliele abbiamomai chieste, non credete?Articolo pubblicato anche su ilquotidianoinclas-se.it

UN POPOLO CHE NON ESPLODE MA IMPLODE

di Fabiola Masotta

EXTRA

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Giusgno 2013 21

Riuscire a realizzare i propri sogni al giorno d’oggi sembra impossibile, ma non bisogna mai arrendersi; anzi: dedizione, perseveranza e determinazione sono le chiavi del successo. Ciò ci insegna “l’eroina del make-up” Clio Zammatteo, nota truccatrice ita-liana, diventata ormai un’icona della televisione grazie al successo dei suoi programmi “Clio make-up” e “Make-up Time con Clio”, entrambi trasmessi sul canale Real Time. Nata e cresciuta tra le montagne, giovanissima si trasferisce a Milano, dove ha frequentato l’Istituto Europeo di Design, e successivamente a New York dove ora frequenta la scuola professionale Make- up Designory. Avendo in seguito deciso di condividere la sua esperienza di truccatrice con tutte, nel Luglio del 2008 apre un canale su You Tube: “Cliomakeup”.La fama del suo canale, con milioni di iscritti, la rende una delle più famose e amate video blogger, e le assegna il “titolo” di regina del web. Da questo successo ne conseguono importanti contratti di lavoro con Vogue e Pupa, ed in ne diviene truccatrice per l’importante evento di moda “New York fashion week”.Per molte il trucco aiuta a piacersi e a conferire più sicurezza. Non a caso infatti nei suoi video tutorial sul web e in televisione, la make-up artist dà molti consigli per renderci più belle: suoi trucchi colorati e vivaci hanno in-fatti sempre un enorme successo.

In ogni puntata, due donne, giovani o mature che siano, si rivolgono a lei per “correggere” piccoli difetti con un trucco speci co o per creare un ab-binamento in una determinata circostanza. Alla ne non può non mancare la sua famosa “ rma”, la fatidica domanda “Ma ti ricordi com’eri prima?”, considerata da moltiuna critica, quasi un insulto all’aspetto naturale delle donne, nonostante la bizzarra truccatrice non abbia mai condannato la bellezza autentica, quella “acqua e sapone”.

Clio, che oggi vive e lavora a New York, è l’esempio di come si possano rag-giungere i propri obbiettivi con costante impegno e passione. Quindi, non è impossibile realizzare i propri sogni - anche se si tratta del mondo dello spettacolo, l’importante è lottare e soprattutto, come ci insegna Clio, imparare a conoscere i trucchi del mestiere.

I trucchi del mestiereDa blogger a star, un sogno che diventa realtà

di Natalia Salomone

Page 22: IIS Telesi@ - Controluce Giugno 2013

Ora che le campane, singhioz-zando il loro mesto Ave,

avvolgono il mio povero cuorecon fasce odorate di incenso-

e ritornano nella mia mente cap-pelle di campagna

ove piangono ceri, e le loro la-crime coprono i candelabri...-

devo farti sentirele parole che per te ho cercato.Queste parole sanno di tristez-

za, mia piccola compagna,come quelle ariette di ghironde

che ascoltai un giorno.Queste parole sono tanti mor-ti sepolti nella lugubre Certosa

del mio povero cuore.Dolcezza, mi comprendi?

Tu non sorridi e diventi pallida... Ma io t’amo, come una rondine

ama il limitaree le vele lontane, nell’immen-

so mare, reliquario di tante navi serbanti oro e perle.

E quella tua mano sembra un ßRUH�PHVVR�D�ODQJXLUH�LQ�XQ�GLD-

fanovaso sul comodino.

Tu piangi... Oh, lascia ch’io beva questi tuoi lunghi e amari

pianti, come il vino eucaristico. Silenzio intorno...Una ventarola gira lentamente, arruginita. Una

fontana mormorail suo madrigale alla Sera. Dol-cezza, sto morendo, e tu sarai

il mio confessore...

N.C

Canzonetta malinconica

Page 23: IIS Telesi@ - Controluce Giugno 2013

Ho Im

paratoHo imparato a non mettere le

mani sul fuoco,perché spesso mi sono scotta-

toho imparato che non si raggiun-ge mai un obiettivo perché si

può sempre migliorareho preferito fare le cose in duepoichè così si divide il tempo e

raddoppiano le forzeho imparato a non voler essere

il più fortein modo tale che gli altri abbiano

bisogno di me,ma a diventare il più umile

così che io, abbia bisogno degli altri

ho capito che bisogna guardare a quello che c’è

non a ciò che mancaho imparato che i soldi non

sono poi la cosa più preziosa che c’è ho saputo che le per-

sone un giorno ci sonoun altro no

preferisco un dolore veroad una falsa gioia

so che il solo fatto che un sogno accade nella mia testanon vuol dire che non è veroso che tante gocce formano

l’oceanoho imparato a non guardare con occhi umani sino all’orizzonte ma con occhi del animo cercare

O�LQßQLWRso di certo che “essere”

è più importante che avere-

23

Vincenzo Nocera

Page 24: IIS Telesi@ - Controluce Giugno 2013

MI APRO ALLA CHIUSURA

Ciò che ha reso magici ed indimenticabili cinque lunghi anni

“ETERNI ATTIMI, UNO PER UNO”

È stato un attimo. È stato come chiudere un occhio e riaprirlo all’improvviso, il secon-do necessario ad un cuore per battere o al sangue per pulsare nelle vene. Ed è stato

l’istante più bello e più brutto insieme. È stato un istante della mia vita, senza troppi giri di parole, ma in quell’istante c’è stata più passione di una vita intera.Già, passione. Perché è la passione la chiave di tut-to, anche quando ricordi.

Mentre scrivo piove a dirotto. Sembra quasi che la "ne di maggio stia aprendo all’autunno, piuttosto che all’estate: lo interpreto come un piccolo segno, un regalo a chi, come me, si accinge a mettere un punto fermo al capitolo più importante dell’adole-scenza e vuole farlo nel pieno della lucidità, al ri-paro della propria stanza, senza distrazioni e sen-za sole. Perché questo punto è troppo importante per essere messo su con leggerezza. Perché questo punto è tempo che passa.Bergson ci ha insegnato che esiste il tempo della scienza, quello omogeneo, discontinuo e irreversi-bile come una collana di perle, ma ci ha detto pure che esiste un tempo della vita, eterogeneo e conti-nuo come un gomitolo o un vortice. Ed è proprio quel vortice che mi travolge quando penso all’in-sieme di attimi che si compenetrano e si sommano tra loro, nel rivivere i cinque anni appena trascorsi.Ho contato i giorni, messo crocette sui numeri del calendario, aspettando che venisse la "ne, deside-rando un domani diverso in una realtà nuova, ma poi ho capito: ho capito che il nuovo è quello che mi porterò, quello che questi pochi anni di vita

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Giugno 2013 25

vissuta mi hanno dato, i momenti insigni"canti e inosservati che mi hanno attraversato a poco a poco. È lì la novità, lì dentro.Solo adesso capisco cosa intendono quando dicono “Vi lasciamo entrare che siete ancora bambini e ne uscite più adulti di noi…”: è questo microcosmo che insegna la vita, è qui che capisci cosa c’è che non va in te ed è qui che ti giochi il tutto per tutto, è qui che scegli cosa essere e soprattutto è qui che scegli SE vuoi essere.

Non dimenticherò mai il mio primo giorno, la mia prima aula, il mio primo banco, il primo sorriso e la prima parola che ho scam-biato: mi sembra ieri. E invece sto con gli occhi chiusi a ripensare al mio tempo andato, a fare un bilancio poco veritiero del mio modo di averlo vissuto, delle mie scelte e del mio oggi, felice o triste che sia. E credo che non dimenticherò mai neppure il mio ultimo giorno, la mia ultima aula, il mio ultimo banco, il mio ultimo sorriso e la mia ultima parola, i punti che chiudono il cerchio.Resteranno impresse nella memoria le immagini di hotel e città lontane, del cielo terso del centro Europa e della "tta pioggia du-blinese, di mani che si prendono e si stringono per caso, di frasi troppo dette e di altre lasciate a metà, di spettacoli, di concorsi, di amicizie cominciate e "nite, di piccole fughe dalla realtà. Crescere è questo, è lasciare che ci capiti di tutto mentre cerchiamo di rin-correre un sogno, mentre diventiamo quello che saremo.E cinque anni, inevitabilmente, insegnano ad essere. Io, in cinque anni, ho imparato che i viaggi di ritorno sono sempre più brevi di quelli di andata, ho imparato a tenere strette le perso-ne, ma anche a lasciarle andare al momento giusto, ho imparato ad ammettere e a correggere gli errori, a restare umile, ma a testa alta, ho imparato che la meraviglia è un diritto, che lo spaesamen-to è una condizione di vita e che la paura non è che una scelta, che i problemi si chiamano così perché possono essere risolti, che si può sempre dire di sì, guardare oltre la propria ombra, leggere gli occhi della gente.Ho imparato a guardare lontano, adesso, a non fare rumore al mat-tino e a coltivare in silenzio una passione. Sto imparando quanto sia dura cavarsela davvero da soli, quanto sia di$cile riporre tutto al posto giusto, perché ogni angolo può accogliere qualcosa. Ho imparato ad aspettare, nella mia penombra, e a dare un senso al disordine.E imparerò a spiccare il volo come gli albatri.Cinque anni mi hanno insegnato che là fuori le cose non sono fa-cili, ma è a!rontando imprese ardue che si diventa qualcuno. Cin-que anni mi hanno insegnato a tenere un microfono tra le mani e mi hanno fatto capire quanto più bello sia stare dietro le quinte, a guardare uno spettacolo bellissimo che prende forma, a sentire l’empatia. Cinque anni mi hanno insegnato che non serve avere un tetto solido sulla testa per fare cultura, perché il tetto vero È la cultura e che non è necessario essere geni per essere geniali. Cinque anni mi hanno insegnato l’amicizia, la collaborazione, il credere in un’idea e il portarla a termine con tutte le proprie for-ze, l’essere se stessi sempre e il non avere paura degli altri, il non temere la diversità ma, anzi, il cercarla incessantemente.

Tutto questo esiste e continuerà nel tempo, nelle vite di ognuno, "nché ci sarà qualcuno pronto a credere nei piccoli grandi pro-getti che nascono dalle giovani menti. E questa, credetemi, è una grande fortuna, è la linfa vitale del Telesi@, il punto di forza che non lo farà crollare mai de"nitivamente.A questa scuola devo tanto, dal principio: devo tanto alla persona

che mi ha insegnato a vedere il bicchiere mezzo pieno, auguran-dole di avere sempre la grande forza che ha trasmesso a me; a coloro che ho incontrato lungo il mio cammino, esempi positivi e negativi su cui costruire la mia vita; a quelli che hanno condiviso con me giorni e ore, con una pazienza indescrivibile e a quelli che non hanno avuto paura del confronto; a chi ha permesso che des-si tutta me stessa alle pagine di questo giornale e a chi è stato con me lungo la strada, ad aspettare che la bimba nascesse di nuovo, ogni tre mesi. Ma devo soprattutto qualcosa a chi mi ha fatto es-sere eternamente folle, perché mi ha fatto vivere davvero.

Però il mio “devo tanto” non è un semplice grazie, ma un APPAS-SIONATEVI: senza passione è tutto perso. A costo di combattere da soli, di aizzarvi contro i mulini a vento e di essere considerati folli, di rincorrere utopie. Il segreto è tutto lì, nel perseverare nelle vostre passioni.Ora posso scriverlo.

Fine.

O quasi…

Di Maria Federica Viscardi

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