i siciliani - ottobre 2014

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ottobre 2014 n.22 www.isiciliani.it “A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” EBOOK GRATIS giovani Roccuzzo “INDICIBILI INTRECCI” Capezzuto EMINENZE Rapporto Cross Palladini, C.Catania, Mazzeo SANTA MONNEZZA/ BUSINESS RIFIUTI Vitale MAMMALITURCHI Baldo MANNINO Piscopo RIONE TRAIANO Beccaria CHI CI STA ALUVIONANDO Vita BITCOIN Jack Daniel STORIE Nicosia CATANIA/ MORTE DI UN OPERAIO DISOCCUPATO De Gennaro Abbagnato Cimino Spartà Grimaldi Farina Zolea Amendola . Di Filippo/Romeo L’IMMAGINE DEI MOVIMENTI Bal I Siciliani MIRONE MAFIA E BUONA SOCIETA’ Caselli LA GIUSTIZIA DI FRANCESCO Dalla Chiesa LA NOTTE E L’ALBA Alfia Milazzo LE RAGIONI DEI BAMBINI G.Caruso DEMOCRAZIA NEGATA Catania caccia Mozart Chiude, grazie al Comune, l’Orchestra Infantile Falcone e Borsellino giovani ILVE D’ITALIA/ MILAZZO di Olga Nassis e Riccardo Orioles “Non è successo niente” Una cittadina siciliana come tante rischia un terrificante incidente petrolchimico. “Ci ha salvato la Madonna” fa il vecchio parroco che da anni si batte contro l'inquinamento della locale mega-raffineria. E i politici, le istituzioni? Tutto a posto, tutto tace Che fa Ester Castano, la cronista che scovò la ‘ndrangheta in alta Lombardia? Lavora In un fast-food, per non restare disoccupata. E Rino Giacalone, il reporter trapanese più temuto da Messina Denaro? In tribunale per aver scritto che un mafioso “era una montagna di merda” Storie dal nostro mestiere

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Page 1: I Siciliani - ottobre 2014

otto

bre

2014

n.2

2www.isiciliani.it“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?”

EBOOK GRATIS

giovani

Roccuzzo “INDICIBILI INTRECCI” Capezzuto EMINENZE Rapporto Cross Palladini, C.Catania, Mazzeo SANTA MONNEZZA/ BUSINESS RIFIUTI Vitale MAMMALITURCHI Baldo MANNINO Piscopo RIONE TRAIANOBeccaria CHI CI STA ALUVIONANDO Vita BITCOIN Jack Daniel STORIENicosia CATANIA/ MORTE DI UN OPERAIO DISOCCUPATODe Gennaro Abbagnato Cimino Spartà Grimaldi Farina Zolea Amendola

.

Di Filippo/RomeoL’IMMAGINEDEIMOVIMENTI

Bal

I Siciliani

MIRONEMAFIAE BUONASOCIETA’

CaselliLA GIUSTIZIADI FRANCESCODalla ChiesaLA NOTTEE L’ALBAAla Milazzo LE RAGIONI DEI BAMBINI

G.Caruso DEMOCRAZIA NEGATA

CataniacacciaMozart

Chiude, grazie al Comune, l’Orchestra Infantile Falcone e Borsellino

giovaniILVED’ITALIA/MILAZZOdi Olga Nassise Riccardo Orioles

“Non è successo niente”Una cittadina siciliana come

tante rischia un terricanteincidente petrolchimico.“Ci ha salvato la Madonna”fa il vecchio parroco che daanni si batte contro l'inquinamento della locale mega-rafneria.E i politici, le istituzioni? Tutto a posto, tutto tace

Che fa EsterCastano, la cronista che scovò la ‘ndrangheta in alta Lombardia? Lavora In un fast-food, per non restare disoccupata. E Rino Giacalone,il reporter trapanese più temuto da Messina Denaro? In tribunaleper aver scritto che un maoso “era una montagna di merda”

Storie dal nostro mestiere

Page 3: I Siciliani - ottobre 2014

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Raramente questo Paese è stato così diviso com'è ora. Non

c'entra la geografia e manco la politica, che a questo punto è ri-

masta molto indietro. La spaccatura è secca e bruta, alla Bava

Beccaris, fra una plebe e una Corte. Disoccupazione al 12,5 per

cento, ma “in netto rialzo Piazza Affari”. Persi, fra i 25 e i 34en-

ni, due milioni di posti di lavoro: ma non scemano affatto i con-

sumi di lusso. Siamo, teoricamente, al terzo governo

“risolutivo” ma la governanza reale, in realtà, è da tempo passa-

ta in altre mani.

Le manganellate di Roma sono, in questo contesto, il punto di

svolta. Non che sia successo nulla di straordinario: negli anni

Cinquanta la polizia di Scelba picchiava abbastanza spesso gli

operai. E' che eravamo convinti di essere nel 2014, fra tweet, te-

lefonini, economie planetarie e lìder sofisticati e volitivi. Invece

siamo proprio negli anni Cinquanta, con gli operai e i padroni,

nonché i disoccupati e gli emigranti (che ormai sono di nuovo di

più, dopo un secolo, degli immigrati).

Gli operai, i padroni, i ricchi, i poveracci, il manganello: vede-

te che linguaggio arcaico, proprio vetero-coso? La colpa però

non è mia, è delle cose. Nel medioevo sociale che stiamo attra-

versando non potete ormai pretendere altre parole. L'Europa,

l'euro, i peppegrilli, i leopoldi son roba da fantascienza, da post-

Duemila. Nel nostro mondo reale - che con stampa e tv non

c'entra un fico: e anche questo fa molto anni '50 - siamo ancora

alle prese coi borboni. E come ci vorrebbe un Garibaldi!

Le Due Sicilie si son molto allargate (senza peraltro riuscire a

diventare Europa): Milano è la Catania del nord e Reggio Emilia

è sulla Sila; Torino è finita a Detroit e a Firenze su' Altezza il

Granduca, uomo di mondo, ammonisce i cortigiani che “ci vole

l'orologgio, oggimai, 'un gli è più tempo di clessidre! S'è mica

meno moderni deì giacobbini!”.

(Applausi, manganellate sul pubblico e sipario)

I Siciliani

(r.o.)

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 3– pag. 3

Il regnodelleDue Italie

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I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani ottobre 2014 numero ventidue

RIEPILOGANDO Due storie dimenticate, ap-

parse per un istante. A Milazzo,per una notte, la gente scappa dicasa (“Scoppia la Raffineria! Dinuovo come nel '93!”) temendodi fare la fine di Fukushima. ACatania, da un giorno all'altro,decine di bambini dei quartieripoveri (San Cristoforo specialmente) si vedono togliere gli strumenti con cui avevano imparato a suonare Mozart e Vivaldi perché il Comune per loro posto non ne ha, e senza un posto per le prove nessuna orchestra può andare avanti.

Entrambi i problemi sono stati ufficialmente “risolti”: a Milazzo non parlandone più (“Nessun motivo di allarme!”) e a Catania togliendo bambini e orchesra dall'agenda. Nei giornali non se ne parla, nelle tv nemmeno, e quindi non esi-stono. Tutto a posto.

I pochi che cercano di non rassegnarsi (parrocchie, comita-ti di donne, associazioni senza soldi: poveracci, insomma) vengono rapidamente sommersi dal rumore di fondo e dai si-lenzi ufficiali. Noi, per quel che si può, siamo qui per loro, picchiamo sul tamburo di latta sperando che da qualche partequalcuno stia a sentire.

Ecco, se qualche volta ti chiedi come mai è ancora qui 'sto giornale, il motivo è questo: perché, se ci leviamo di mezzo noi e quei pochi altri, a difendere questa gente non resta più nessuno. Vorremmo dirlo con orgoglio e con immarcescibile fede nella Vittoria della Causa, lo diciamo con cinismo scet-tico, da veterani: rinforzi non ne arrivano, e ritirarsi non si può. Tiriamo avanti.

*

Questo numeroIl regno delle Due Italie I Siciliani 3Papa Francesco e la giustizia di Gian Carlo Caselli 6“Ogni notte ha un'alba” di Nando dalla Chiesa 7

Paese Catania, Italy/ Democrazia che cos'è/ di Giovanni Caruso 8Le ragioni dei bambini/ di Alfia Milazzo 10Illve d'Italia/ Milazzo “Niente, non è successo niente”di Olga Nassis e Riccardo Orioles 11

Libertà di stampa?Mestiere/ di Riccardo Orioles 16

EuropaLa guerra che s’avvicina 18

Misteri d'Italia “Iindicibili intrecci” Anni Settantadi Antonio Roccuzzo 20Gli intoccabilidi Luciano Mirone 22Caccia: diritto alla veritàdi Marika Demaria 25

PersoneI dimenticati/ Parmalianadi Pierpaolo Farina 26“Mica hai visto la sinistra?”di Antonio Cimino 27Il Premio Morrione 28

SistemaI nipoti e il cardinaledi Arnaldo Capezzuto 29

Mafia e politicaI Ros e il processo Mannino di Lorenzo Baldo 30Ambasciate di GiorgioBongiovanni e Aaron Pettinari 31Il silenzio degli innocentidi Lorenzo Baldo 32Emilia/ Dossier mafia 33

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 4– pag. 4

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I Siciliani giovani/ IBAN (Banca Etica):

IT 28 B 05018 04600 000000148119 Da' una mano!

www.isiciliani.it

SOMMARIONapoli

Rione Traiano: radici e storie di Umberto Piscopo 34Poteri

Lo strozzino mafioso di Monica Amendola 37Chi ci sta alluvionando di Antonella Beccaria 38

CittadiniVia dalla Nato: una realistica utopia di Antonio Mazzeo 41Calabria. Il coraggio della verità di Giacomo Riccio 45

AmbienteBorgo Montello: le mani sulla discarica di Andrea Palladino 42L’ultimo chiuda la discaricadi Carmelo Catania 46Il miracolo di Santa Munnizza di Antonio Mazzeo 48

Immagine Testimonianze/ Tano D’Amico di A.Romeo e S.Di Filippo 50Immagini dal basso a cura di Giovanni Caruso 57

Pianeta“Oggetti intelligenti” madein Bitcoin di Fabio Vita 65

StoriaBeppa la Cannonieradi Elio Camilleri 66

Storie“Ciao, sono Kathy”di Jack Daniel 67

Storia“Ve lo do io il lavoro”di Riccardo De Gennaro 68

PalermoBiblioteca Officinadi Giovanni Abbagnato 69

ItalianiMammaliturchi: propagandae realtà di Salvo Vitale 70

MafieRapporto Cross di Samuele Motta e Carmela Racioppi 72Ndrangheta in Liguria di Luca Traversa 74Black Monkey di Valeria Grimaldi 75Il Patriarca di Andrea Zolea 76

Dentro l'ItaliaMarsala: pasticcio al tribunale di Appari e Di Girolamo 78La madre di tutte le cementificazioni di Giolì Vindigni 80Gli imprenditori, i politici e gli affari degli Ercolano 80

SocietàMorte di un operaio di Francesco Nicosia 81“Scuola pubblica, nostra scuola” di Domenico Stimolo 86Contromafie/ di Sara Spartà 87

Il filoIl boss, i “veri uomini” e Sciascia di Giuseppe Fava 88

Thomas Taioli & F.Z. LA MAFIA

PAGA LE TASSE

I Siciliani I Sicilianigiovanigiovani – pag. 5 – pag. 5

DISEGNI DI MAURO BIANI

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Papa Francesco e la giustizia

“Fratello colpevole,non sei un nemico”di Gian Carlo Caselli

Papa Francesco, ricevendo una delega-

zione di avvocati cattolici di ogni parte

del mondo, è intervenuto su vari impor-

tanti profili della giustizia penale. I me-

dia hanno dato un rilievo grandissimo

(in alcuni casi esclusivo) al tema

dell’ergastolo, definito dal Pontefice

come una “pena di morte mascherata”.

Ma ci sono state altre sue riflessioni

che meritano altrettanta attenzione. In

particolare le veementi parole contro la

piaga della corruzione e contro il malfun-

zionamento del sistema giudiziario, che

colpisce solo i pesci piccoli e lascia liberi

i grossi. E poi il biasimo per la carcera-

zione preventiva, considerata non in sé

quanto piuttosto con riferimento agli

abusi che se ne possono fare; unitamente

alla condanna senza riserve delle pessi-

me condizioni di vita in carcere, a partire

dal sovraffollamento.

Anche in carcere, i diritti

Anche in carcere l’illegalità si com-

batte coi dìritti. Un carcere che invece

non rispetta la dignità delle persona e

neppure gli spazi vitali, un carcere de-

gradante è una palestra di delinquenza e

di affiliazione ai gruppi criminali.

Con conseguenze nefaste non solo per

il singolo detenuto, ma anche per la so-

cietà stessa, che vede messa ancor più a

rischio la sua serenità e sicurezza.

Per l’ovvia ragione che ogni detenuto

recuperato, invece di tornare a delinque-

re, cessa di essere un pericolo per la col-

lettività.

La pratica infame delle torture

Il Papa si è anche scagliato contro la

pratica infame delle torture e contro

l’esistenza in varie parti del mondo di

campi di concentramento o prigioni

“speciali” (il pensiero di tutti è andato a

Guantanamo).

Durissima la condanna delle “esecu-

zioni extragiudiziali” che purtroppo af-

follano le cronache di questi tempi sem-

pre più cupi. Non meno dura l’esecrazio-

ne contro le nefandezze - praticate da al-

cuni stati e tollerate se non favorite da al-

tri - delle “extraordinary rendition”, cioè

delle azioni di cattura/deportazione/de-

tenzione di elementi “ostili” in quanto

sospettati di terrorismo, eseguite in for-

me illegali e clandestine.

In sostanza, il Papa ha sviluppato un

discorso molto ampio e di alto livello.

Un indirizzo preciso per tutti gli uomini

di buona volontà che operano nel settore

delle giustizia penale.

L’obiettivo è di dare alla giustizia la

forza di vincere il male col bene. Che

non significa affatto sminuire il male. Il

male resta male, quindi nessun buoni-

smo, perdonismo, giustificazionismo. Sa-

rebbe vanificare la giustizia. Il problema

è provare, per quanto difficile sia, ad in-

ventare forme di risposta al male che sia-

no capaci di contenerlo, ricostruendo il

tessuto sociale diviso da inimicizie pro-

fonde. La chiave è l’attenzione verso la

persona, anche quando ha sbagliato.

Concetti che tendono ad una giustizia

dal volto umano, capace di accertare le

eventuali responsabilità nel rispetto dei

diritti fondamentali dell’uomo e di evita-

re che la pena scivoli nelle spirali tortuo-

se della persecuzione vendicativa, finen-

do per essere (come si è visto) inefficace

se non controproducente.

Una giustizia dal volto umano

Ecco allora, nell’insegnamento del

Papa, qual è il senso di una giustizia

giusta: evitare che il presunto colpevole

sia sottoposto a pratiche e trattamenti le-

sivi della sua dignità; ed evitare che ci si

accanisca su chi sia dichiarato colpevole

fino a schiacciarlo e impedirgli di cam-

biare.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag.6– pag.6

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Giovane antimafia al nord

“Ogni notteha un'alba”

di Nando dalla Chiesa

E perché, invece di fare l’ennesima

(e sacrosanta) denuncia, non dare ai

“Siciliani giovani” una bella notizia

che in fondo li riguarda? Eccola: al

Piccolo Teatro di Milano dal 3 al 21 di-

cembre è già tutto esaurito.

C’è la fila d’attesa, si è dovuta allun-

gare la programmazione di un giorno e

si sono dovute prevedere doppie rap-

presentazioni in più giornate. Tema

dello spettacolo? La mafia al nord. Ti-

tolo: “Ma io dico no”. Sottotitolo.

“Ogni notte ha un’alba”.

Ideatori della sceneggiatura: gli stu-

denti e i neolaureati di Scienze Politi-

che dell’Università Statale, già allievi

del corso di Sociologia della criminali-

tà organizzata.

Sceneggiatori: gli studenti

Tutto nasce una sera di marzo del

2013. Vengono presentate alla città le

migliori tesi dell’anno precedente sulla

materia. C’è anche il rettore, ci sono

diversi assessori. Il rettore viene colpi-

to dalla qualità dei lavori e dall’entu-

siasmo dei ragazzi. Il giorno dopo ne

parla con il direttore artistico del Pic-

colo, Sergio Escobar. Gli suggerisce di

dedicare una serata a loro.

Uno spettacolo collettivo

Escobar immagina subito uno spetta-

colo vero e proprio. L’università, che

compie l’anno successivo novant’anni,

decide di finanziarlo proprio per

l’occasione. Escobar coinvolge un suo

bravo regista, Marco Rampoldi. Che ci

sta subito e si butta nell’avventura.

I giovani nel frattempo fanno la loro

prima esperienza di università itineran-

te con il sottoscritto. In una ventina

all’Asinara. Guide turistiche alle ex

carceri speciali di giorno e seminari

notturni (e mare, e mirto, e musica...).

Mettono la loro esperienza, le loro sen-

sazioni ed emozioni negli incontri con

il regista. Hanno in testa le albe vissute

(da qui il sottotitolo). Ci mettono poi le

loro speranze, e le loro conoscenze, le

loro ricerche.

Tutto viene seguito per un anno. Pri-

ma incontri di gruppo, poi singole

scritture, invio delle tesi di laurea.

Rampoldi ci lavora con Paola Ornati,

una sua giovane assistente che si ap-

passiona e studia la materia più di una

laureanda.

Alle fine viene fuori il testo. Gli at-

tori (professionisti) stanno già provan-

do lo spettacolo. Che sarà, dopo quello

di Ronconi, il secondo evento in cartel-

lone della stagione del Piccolo, ovvero

di uno dei due teatri europei italiani.

La voce si dif-

fonde e prima an-

cora della confe-

renza stampa di

presentazione è già tutto esaurito. Ab-

bonati, scuole, studenti universitari, as-

sociazioni.

E’ la prima volta che succede: che

uno spettacolo così, non di quelli di be-

neficenza, abbia per autori degli stu-

denti. Che uno spettacolo sulla mafia

stia in cartellone per diciotto giorni. In

un teatro così prestigioso. A Milano.

Se l’ho raccontato nei singoli pas-

saggi è per far capire che nella nostra

società ci sono le catene virtuose oltre

quelle massoniche o corruttive o crimi-

nali.

Corso, tesi, testo teatrale..

Un corso universitario, degli studenti

entusiasti, un rettore, un direttore arti-

stico, un regista. E le tesi di laurea, de-

stinate in genere a finire in archivi di-

menticati, diventano testo teatrale, di-

vulgano la realtà e i motivi di una lotta

in una regione che ancora spesso si

ostina a non vedere, a non voler sape-

re. E si ritroverà raccontati i fatti ri-

mossi, con la forza insuperabile che le

parole acquistano in teatro. Lasciate-

melo dire: che bello...

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag.7– pag.7

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Catania, Italy

Democraziache cos'èChiude, per inadem-pienza del Comune, l'Orchestra infantile Falcone e Borsellino. Composta da ragazzini dei quartieri più pove-ri, portava con la sua musica l'immagine più bella e nobile della cit-tà. Nessuna reazione dei politici. Reazione fiacca e debole della “società civile”

di Giovanni Caruso www.associazionegapa.org

Ragioniere Farsaperla, ma chi è sta confusioni?".

"Cunfusioni? chistu è budderllu! Stan-nu prutistannu contro u sinnacu Biancu, volunu democrazia".

“È chi veni a significare sta parola?"."E na parola impurtanti, veni a diri, c'a

u sinnacu prima di fari li cosi a par rari c' a genti da so città".

“Ma talia a chisti, acchiananu.macari supra u'liotru!”.

Poi il silenzio cade sulla protesta e la-scia il posto alla musica di Mozart e di Vi-valdi.

"E ora pirchì si stesunu muti?".“No viri c'a stannu sunannu i piccirrid-

di di San Cristofuru?”.

Quello che abbiamo raccontato non è un teatrino ma qualcosa che è accadutoa Catania e accadrà ancora.

Ma perchè una piccola orchestra sinfo-nica fatta da soli bambini e bambine do-vrebbe scendere in piazza per farci ascol-tare Mozart e Vivaldi?

Questa orchestra esiste davvero e si chiama "Orchestra sinfonica infantile Fal-cone-Borsellino". Opera nei quartieri dell’antico centro e delle periferie di Cata-nia: con grande difficoltà dovute al fatto che non ci sono spazi sociali pubblici dove l'orchestra possa provare.

Parliamo del quartiere di San Cristofo-ro, in particolare. Qui, fino a qualche tem-po fa, l'orchestra aveva un luogo fisico e stabile dove provare, la parrocchia San Cristoforo alle Sciare. Ma poi gliel’hanno chiuso perché pericolante.

Il Comune ha promesso, come no...

Allora l'orchestra ha chiesto al Comune un luogo per la propria attività. L’ha chie-sto a parole e in musica, facendo concerti pubblici (all’aperto...) per chiedere al sin-daco Bianco di darsi da fare.

Il Comune ha promesso, come no. Ha proposto soluzioni “realistiche” (dal puntodi vista di chi con questi bambini non ha nulla a che fare), tipo portare l’orchestra fuori dal quartiere i piccoli musicisti stan-no di casa. Forse, nei momenti liberi, sta promettendo ancora. Ma i bambnini non votano. Nè sono imprenditori, nè danno appalti. Le belle parole, per loro, sono quindi più che sufficienti.

Questo è solo un esempio dei problemi che affliggono le organizzazioni sociali in Sicilia. Quelle che operano nei quartieri poveri, per dare un’alternativa sociale agliuomini alle donne e ai bambini “invisibi- li”, quelli che istituzioni e mercati non ve-dono nemmeno. Abbandonati tre volte: alla cattiva gestione pubblica, alla mala-politica e alle cosche mafiose che oppri-mono i quartieri e la città.

Nel bel Palazzo municipale di Catania, fra le altre cose, c’è l’ufficio dell’Assesso-rato alla Cultura: anzi, non alla cultura so-lamente ma addirittura alla Bellezza Con-divisa. E chi c'è, Sgarbi? No: una persona civile, cresciuta da “compagno” e che sa illatino, che inaugura mostre e convegni, e che minimamente non sospetta cos’è la società reale che vive non negli eleganti dibattiti e nei salotti ma nella vita vera.

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Il “centrodestra” di prima e il “centrosi-nistra” di ora, a Catania, non differiscono molto da questo punto di vista.

Chi governa la città lo fa "all'italiana", elo fa bene! Annunci in stile renziano, con-sulenti “per curare il territorio” (lo curanotanto bene che gli alberi cascano giù sui passanti), manifestazioni costose e inutili (l’ultima, con i ministri della Nato), e poi affari. Affari con i poteri forti ed i nuovi "cavalieri dell'apocalisse": si specula, si cementifica, si coprono città e dintorni.

Il nuovo piano urbanistico, il PUA, massacrerà la Plaja e l'oasi del Simeto. Lepiazze verranno sventrate per far posto a centri commerciali e parcheggi. Il porto... riaffidato al dott.Indaco, autorità portuale,che tanto "bene" ha fatto a se stesso e non certo al nostro povero porto.Contando su un consiglio comunale opportunista e "drogato" si approva - con l'aiuto della cosiddetta opposizione – un regolamento sulla assegnazione dei beni confiscati alle mafie che fa piazza pulita di società civilee antimafia sociale.

Insomma, non si può dire che chi pos-siede la città non faccia “bene” il suo “la-voro”. Ma noi?

Si, proprio noi, quelli della - diciamo così - "società civile". Noialtri, stiamo fa-cendo opposizione e resistenza? O siamo sempre lì a spaccarci su tutto, a dire “io sono più bravo”, a fare comitati che rego-larmente si sfaldano per le liti interne?

Per non parlare della sinistra politica catanese, o delle associazioni sempre in cerca di "corsie preferenziali" per “dialo-gare” col sindaco alla faccia di tutti gli al-tri. "Cu avi sali cunza a minestra", dice l’antica saggezza popolare.

Ma lo vogliamo capire, cara società ci-vile, che si vince solo con l'unità di tutti quanti? Siamo diversi, lo so, ciascuno ha un suo stile diverso: ma questa, alal fine dei conti, non è la nostra vera ricchezza?

Il potere è forte e schiaccia, ma si muo-ve lentamente. Noi siamo fragili e deboli ma a volte riusciamo a muoverci alla svel-ta. Possiamo persino vincere, se riusciamoa stare uniti e compatti.

Si vince solo uniti tutti quanti

Non possiamo riunirci solo quando pic-chiano un ragazzo a Librino, senza dare continuità alle lotte per una giustizia so-ciale nei quartieri. Non possiamo incon-trarci solo nell'intervento urgente, per poi dimenticare tutto e rivederci solo alla prossima emergenza.

Oggi l’emergenza riguarda l'orchestra dei bambini di San Cristoforo, che rischia di sciogliersi per una scellerata ingiustiziache questo Comune non ha nessuna vogliadi risolvere (così come accadde per l'Andrea Doria, l’unica scuola del quartie-re, chiusa dopo tante promesse).

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 9– pag. 9

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SchedaUNA SCUOLA DI VITA

La “Scuola di vita e Orchestra sinfonica infantile Falcone Borsellino”, creata dalla Fondazione La città invisibile, è com-posta dagli allievi di tre centri di formazione, dislocati a Catania(Librino e san Cristoforo), Adrano (CT) e Siracusa. A S.Cristo-foro la scuola era ospitata dalla parrocchia Alle Sciare, con tanteiniziative promosse dai bambini stessi: una libreria gratuita, Buon Libro, dedicata a G.Fava, che ha distribuito in un anno ol-tre 1000 libri gratis a tutti i bambini del quartiere. Il teatro civi-le: a partire dalla riflessione sull'antimafia, i bambini hanno scritto e interpretato testi per sensibilizzare gli altri bambini. E naturalmente l’Orchestra, realizzata col contributo volontario di maestri del Venezuela formatori del sistema Abreu.

Le lezioni sono gratuite e pressoché quotidiane. Gli strumenti musicali e didattici sono in comodato d’uso gratuito. I bambini hanno da 2 a 19 anni. L’orchestra ha realizzato ben 54 concerti,

per Falcone e Borsellino a Palermo, per P.Fava a Catania, e per dalla Chiesa, Puglisi e altri figure storiche dell'antimafia. Hannosuonato per la pace in Palestina, coi bambini di Gaza e di Israele, alla presenza di un imam, un rabbino e un prete. Hanno suonato a Palazzo di Giustizia a Catania; e alla presenza dei pre-sidenti di Camera e Senato, Boldrini e Grasso. Sono stati inter-vistati dal TG2 e da Sulla via di Damasco. Hanno suonato al Gapa, alla presenza del Procuratore Salvi, questo 5 gennaio e hanno avuto l'onore della copertina de I Siciliani giovani.

Ora non hanno più una sede nel quartiere. Hanno chiesto in-vano aiuto alle istituzioni, in particolare al Comune, per ottenereil “Centro Midulla” di via Zuccarello (abbandonato da anni), perla cui assegnazione verrà emesso un bando. Ma i problemi dell'Orchestra sono tutt'altri che risolti. Le lezioni, finché non ci sarà una sede, sono state sospese e per chi suona uno strumentol'esercizio costante è tutto; anche nel caso migliore, bisognerà ricominciare tutto da capo. La burocrazia qui non è amica della musica, e a quanto pare nemmeno dei bambini di quartiere.

TestimonianzeLE RAGIONI DEI BAMBINI

L'Orchestra Falcone Borsellino ha conquistato il cuore e l’intelligenza dei bambini di San Cristoforo. Le loro famiglie-hanno aderito a un codice di regole basato sulla collaborazione reciproca e la legalità. Ma tutto questo non avrebbe senso se la scuola si spostasse dal quartiere, anche solo di un chilometro. La vita e le necessità di questi bambini sono profondamente le-gate al quartiere: dagli spostamenti, sempre a piedi e senza adul-ti, alla difficoltà di trasportare gli strumenti. Ma ciò che più con-ta è il ruolo rivoluzionario che essi svolgono nel quartiere, dan-do visibilità e insegnamento silente ai propri coabitanti, coetaneie non, di un riscatto possibile ed alto, di un impegno nella lega-lità attraverso la cultura, di un’etica delle pari opportunità, di una composta ma convinta lotta al degrado e alla devianza.

Per questo La città invisibile, che non dispone di risorse eco-nomiche per affittare una sede, ha chiesto aiuto alle istituzioni con la richiesta dei locali del Centro Midulla.

Il comune di Catania dovrebbe capire che soddisfacendo que-sta richiesta non farebbe un favore alla Fondazione (che a S.Cri-stoforo sostiene la battaglia pacifica e civile dei propri piccoli allievi) ma darebbe semplicemente risposta a un diritto negato.

Il diritto di un quartiere fragile e abbandonato dallo Stato di ricevere attenzione e ascolto. Il diritto dei minori di S.Cristofo-ro, dove si registra il più alto tasso di dispersione scolastica e analfabetismo di Catania (prima, a sua volta, in questa tragica classifica in Italia) a godere di pari opportunità di crescita cultu-rale e morale. Senza doversi spostare in altri luoghi, “perbene” equindi più attrezzati, lasciandosi dietro con indifferenza l’imbar-barimento delle strade e degli spazi pubblici in cui vivono.

Le istituzioni dovrebbero capire che il loro accanimento nella decisione di non spostarsi in posti distanti è già una vittoria: la vittoria di chi è disposto a perdere la cosa più importante che ha,in questo caso la musica, pur di non dismettere una collettiva re-sponsabilità verso il proprio quartiere, cioè verso gli altri bambi-ni e le altre famiglie del posto. Perché, come dicono questi bam-bini: o si è felici tutti o non lo sarà nessuno. Alfia Milazzo

Un appelloUNA “CASA” PER L'ORCHESTRA E GLI ALTRIA Catania molti beni immobiliari di proprietà pubblica o confi-

scati alla mafia, da tempo potenzialmente disponibili per un uso civile e sociale, sono inutilizzati e condannati al degrado. A Ca-tania le tante associazioni operanti, in totale volontarietà, per sopperire alle deficienze pubbliche, svolgono un importante ruolo di educazione alla legalità, di solidarietà ai deboli e acco-glienza ai migranti. Lo fanno con dedizione quotidiana nei quar-tieri segnati da emarginazione, disoccupazione, e povertà, fra de-vianza minorile e abbandono scolastico: i più a rischio davanti alle sollecitazioni criminali. Sopravvivono fra grandi difficoltà.

Il loro ruolo sociale dev'essere formalmente riconosciuto.Il Comune di Catania ha l’obbligo civile di supportarne le

attività, affidando loro una “casa” attingendo ai molti beni immobiliari comunali disusati o confiscati ai mafiosi.

In questo contesto, suscita indignazione l’incredibile vicenda dell’ Orchestra sinfonica infantile Falcone-Borsellino.

Essa è uno strumento fondamentale di Scuola e di vita, per prevenire il disagio e la devianza dei minori in uno dei quartieri più a rischio di Catania, come scritto nella petizione promossa a livello nazionale con oltre 30mila adesioni.

L’orchestra, costituita da numerosi bambini del quartiere, pre-sidio di educazione, musica e legalità, ha eseguito numerosi concerti in importanti eventi antimafia a Catania e Palermo.

I bambini hanno l’ oggettiva esigenza di avere una “casa” nell’area centrale del quartiere.

Le richieste e i confronti finora effettuati con l’amministra-zione comunale per avere in uso i locali del Centro Culturale Midulla di via Zuccarelli o di parte degli enormi spazi dell’ex Manifattura Tabacchi (piazza S. Cristoforo) non hanno portato a risultati positivi. Ma l’orchestra deve continuare a vivere! La soluzione deve essere immediata!

Per questo si svolgerà un SIT-IN il giorno della riunione del Consiglio comunale (finora, il 4 novembre), alle ore 18in piazza Università, “sotto” il Palazzo comunale.

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L’emergenza riguarda gli spazi sociali pubblici, nè utilizzati nè tanto meno asse-gnati alle organizzazioni sociali senza sede. Che sono tante, dall'orchestra “Fal-cone-Borsellino” alla libreria "Mangia-carte": (ma l’elenco è ben più lungo).

Questi beni, a Catania, sono circa 250.Quelli assegnati non arrivano a una de-cina: assegnati, il più delle volte, ad asso-ciazioni "amiche" degli amministratori, ri-gorosamente senza bando, magari ad affit-to di un euro, simbolicamente...

Continuiamo così o ci battiamo tutti in-sieme per farci assegnare gli spazi socialie i beni confiscati alle mafie? Ne abbiamoil diritto e il dovere. Chiediamo più poterecondiviso e una partecipazione democrati-ca aella gestione pubblica della città.

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ILVE D'ITALIA/ MILAZZO

“Niente,non è successo niente”

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Avete mai sentito parlare di Milazzo? No? Meno male. Perché esattamente un mese fa, il 27 settembre 2014, questa “ridente cittadina sul Tirreno” per alcune ore ha rischiato di finire sulle prime pagine dei giornali di tuttoil mondo per un terrificante incidente petrolchimico, alla fine rientrato. “Ci ha salvato la Madonna” dice don Peppe Trifirò, il vecchio parroco che da anni si batte contro l'inquinamento della locale mega-raffineria. Forse. Ma se anche le autorità preposte le dessero una mano (controllo dei livellichimici, serbatoi non a ridosso delle case, piani d'evacuazione adeguati e tutto il resto) forse non sarebbe male di Olga Nassis e Riccardo Orioles

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“La strategia dell'industria non la conosciamo,ma la loro tattica è di fare confusione:altrimenti rischierebbero di compattareil fronte dei cittadini e dei lavoratori”

“NOI, LE DONNEDEI LENZUOLI”di Olga Nassis

Milazzo – Sono passate solo quaran-tott'ore da quella notte in cui sembrava di essere a Fukushima, una notte che nessuno di noi è sicuro di superare.

L’odore è insopportabile, il serbatoio continua a bruciare. Ma sono solo residui,dicono. “Tutto sotto controllo” dice la Raffineria, che prosegue la produzione.

Le scuole sono aperte, cessato allarme, come se nulla fosse accaduto. Ma quel si-lenzio nel paese è una novità, così come sono nuovi gli sguardi della gente, smarri-ti, inquieti.

Di buon mattino accompagno i bambinia scuola, li lascio a malincuore.

“E se succedesse ancora ed io non sono con loro...”. Incontro un’altra mamma, Matilde.

“Siamo vive per miracolo” fa. Le infor-mazioni su quanto era accaduto e su quan-to poteva ancora accadere arrivano rade, confuse e discordanti.

“Come facciamo a sapere?”.Un lenzuolo! Mettiamo un lenzuolo ai

balconi”.Ci ha spinto il bisogno di protesta, di un

segnale tangibile per tutti. Qualcosa comedire: basta!

Basta al silenzio, alla rassegnazione. Non potevamo più accettare di rivivere il terrore di quella notte. Anche soltanto re-spirare ci faceva paura. Respirare chissà che veleni di un mostro che di morti e ma-lati ne ha già fatti tanti.

Il lenzuolo è innocente è purezza. Forsealmeno lui può dare una risposta. Così, seduta stante, abbiamo mandato un sms a tutti quelli che conoscevamo. Forse, insie-me, la voce sarebbe diventata più potente.

Scrivi: “Io non ci sto”

“Metti un lenzuolo bianco al balcone per protestare. Scrivi IO NON CI STO. Cammina con la mascherina. Non molla-re. Fai passa parola!”.

Nel giro di poche ore sui balconi della Valle del Mela e di Milazzo si vedono i primi lenzuoli bianchi. Certo, non tutti hanno il coraggio di farlo. La paura di esporsi... Certo, “la Raffineria dà lavoro”. “Non ci pensate all’indotto? Quel nostro po’ di ricchezza...”.

Questo, per cinquant’anni, ci hanno in-segnato. “Richiamate i vostri uomini… ora arriva il lavoro” gridava Enrico Mat-tei. Ma la ricchezza, alla fine, ci ha solo sfiorati. E i costi sono stati infiniti. Lavo-ro per alcuni, malattie per tanti, ma disa-gio e conflitto per tutti.

“Noi non abbiamo paura” dice ora Bar-bara “Noi siamo gli altri, noi siamo quelli che mettiamo il lenzuolo al balcone della nostra casa, noi abbiamo un nome, un co-gnome e un indirizzo civico che si ricono-sce dal lenzuolo”.

Per noi è stato uno tsunami

Quello che per gli economisti è un “flusso”, per noi è stato uno tsunami. Il loro flusso si serve della marginalità e del sottosviluppo, e si nutre della totale opaci-tà: della politica, dei controlli, della sicu-rezza, delle conseguenze sulla salute e sul futuro dei luoghi in cui viviamo. Tutto dentro un Sistema.

Un sistema di occultamento program-matico, di mimetizzazione degli obiettivi: chi deve fare i controlli non ha gli stru-menti, chi deve garantire la salute si affidaai saperi aziendali, chi deve pianificare il futuro delega tutte le scelte alle multina-zionali.

Un sistema autoritario, che si nasconde dietro tecnicismi, “saperi” chimici, epide-miologici... parole che servono solo a la-sciare le cose nell’ambiguità. Un sistema di rassicurazioni date all’arena degli schiavi tenuti volutamente nella divisione e nel disordine. “Raffineria per tutti - mo-rale della favola - e poi ognuno per sè”.

La crisi del petrolio non è un’utopia lontana, c'è già ora. Perché non dare allo-ra una visione d’insieme alla gente che c’è coinvolta? Perché non dire finalmente le cose come stanno? Perché lasciare l’ultima parola all’industria? Siamo sicuri che le risposte stiano tutte a casa sua?

Dove c'era l'Acquaviola

Prima che arrivasse la raffineria, in quella costa piena di ruscelli e gelsomini -l'Acquaviola, la chiamavano - le donne andavano a lavare la lana e i lenzuoli bianchi. Si lavavano, si stendevano, si piegavano, si mettevano nei cassoni di vi-mini e lì venivano conservati in attesa del matrimonio.

E’ stata un’emozione per tutte noi sten-dere quei lenzuoli bianchi. Il fatto di non essere sole in questo gesto, di farlo tutte insieme, ci ha fatto capire molte cose. Condividere le percezioni aiuta a decodi-ficare la realtà. “La paura può essere vin-ta, se ci si unisce in una rete sana” dice Paola.

Chiediamo un ripensamento serio, radi-cale, che non lasci scontento nessun esse-re umano. Sappiamo che è possibile. Chiediamo di conoscere le cose come stanno. Le attività economiche le misuri con gli indicatori economici, ma a misura-re quelle umane sono gli stessi corpi che percepiscono l’odore, il rumore, il paesag-gio e anche il dolore. Ecco, questi indica-tori ci dicono che i limiti di tolleranza li abbiamo superati.

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“Vieni in piazza anche tuper chiedere la verità!”

“No, fate sentirela vostra appartenenza

all'Azienda!”

Un volantino delle “Donne dei lenzuoli”Una circolare della Rsu Raffineria che invita i lavoratori a “far sentire la propria appartenenza all'azienda”;Una “black list” di negozi considerati “anti-raffineria e quindi da boicottare.

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PER NON DIMENTICAREPER NON RIMANERE IN SILENZIO

PER CAPIRE - PER PROTEGGERCI - PER VIVERE BENEE’ passato un mese dall’incendio del serbatoio 513 della Raffineria

Mediterranea. Abbiamo ancora tutti il ricordo di quella notte terribile.PER NON DIMENTICARE alle ore 18:00 del 27 ottobre 2014

ci sarà una fiaccolata che partirà da Archi e raggiungerà la Raffineria

PARTECIPA ANCHE TU!PER NON RIMANERE IN SILENZIO abbiamo bisogno anche di te, della tua famiglia, dei tuoi amici, per chiedere a gran voce che sia fatto tutto il possibile per vivere in buona salute. Non dobbiamo abbassare la guardia: è in ballo la nostra salute e il nostro territorio è in grave pericolo.

ABBIAMO BISOGNO DI SAPERECOME STANNO VERAMENTE LE COSE!

Per capire quanto sia realmente pericoloso vivere in queste condizioni si è costituito un comitato intercomunale composto dai sindaci dei paesi, dalle associazioni ambientaliste e dai comitati spontanei che sono sorti a seguito dell’incidente. Il comitato intercomunale ha stilato un documento che chiede prima di tutto la costituzione di un piano di emergenza efficace (non dimenticare che la nostra zona è ad alto rischio sismico e idrogeologico), l’istituzione di un registro dei tumori, l’analisi tossicologica sulla popolazione, un centro grandi ustioni per il nostro territorio, il controllo della messa in sicurezza degli impianti, e subito la dismissione immediata dei serbatoi di petrolio posti vicino all’autostrada, alla ferrovia, alla stradaCOMBATTIAMO affinché tutto questo venga realizzato al più presto!!!PER VIVERE BENE vogliamo anche che sia garantita l ’ occupazione per i lavoratori Raffineria: ma in condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza.

Il Comitato dei lenzuoli “27 settembre”

Ai lavoratori della RAM Raffineria di Milazzo.p.c. alla Direzione Aziendale RAM Raffineria di Milazzo, S.C.p.A.

Carissime e Carissimi, già dopo le prime ore dell'emergenza si è assistito a tante prese di posizione, spesso incontrollate e immotivate, che poi sono proseguite con proclami e richiami alla mobilitazione dei cittadini. Tulto ciò - lo si capisce - non ha contnbuito certo a distendere il clima teso che si è inevitabilmente diffuso presso l'opinione pubblica. [...]Riteniamo che la presenza dei lavoratori sia auspicabile sabato pomeriggio alle 15.30 davanti all'ingresso del cavalcavia in occasione della marcia dei Cittadini del comprensorio che muoverà da contrada Archi (San Fihppo del Mela) e che dovrebbegiungere fino alla Raffineria. Una partecipazione numerosa, silenziosa. e responsabile pensiamo sia la migliore risposta per far sentire l'appartenenza all'azienda e al comprensorio che la ospita: la sola presenza di per sé sarà già un segnale forte. Ci saranno migliori e più proficue occasioni per esternare il pensiero ele ragioni dei lavoratori.

F.to FILCTEM (G.Garsella), FEMCA (G.Sindoni), UILTEC (P.di Pasquale)

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“Rimuovete subitoquei terrificantiserbatoia pochi metridalle nostre case!”

PromemoriaCOME VORREMMOSALVARCI LA PELLE

Le associazioni e i comitati ambientali di Milazzo e Valle del Mela, e parecchi amministratori locali, hanno elaborato un Memorandum per il diritto alla vita, alla salute e alla sicurezza sul lavoro.

Eccone i punti essenziali: Coordinamento di tutti i Comuni del-la zona per prendere sempre insieme - e col concorso di associazioni e comitati – ogni decisione a carattere ambientale; Definire subito il Piano di Emergenza Comprensoriale; Immediata rimozione dei pericolosis -simi serbatoi adiacenti alle case; Coinvolgere i Comuni nelle procedure di autorizzazione industriale; Comunicare con pubblicità e chiarezza i risultati dei controlli sanitari e ambientali; Creare una rete di monitoraggio vera e completa; stanziare con priorità i mezzi per l'adeguato funzionamento di Arpa; Screening tossicologico su vasta scala;

Progetto per lo sviluppo alternativo della, col contributo di università, ordini professionali e associazioni ambientaliste; Dissalatore per evitare le acqua di falda; Piano di Risanamento della zona, con serie attività di bonifica e riqualificazione; Finanziamento del Registro Tumori; Potenziamento delle strutture sanitarie per patologie croniche ed emergenze; Accertamenti periodici sulla percezione di rischio ambientale; Introduzione del concetto di Valutazionedi Impatto Sanitario.

Invitiamo tutti i Comuni della zona ad appoggiare questi obiettivi e a non consen-tire alla Raffineria e alle altre industrie a rischio di realizzare nuovi impianti, e di ri-chiedere periodiche ispezioni straordinarie(Ispra/ Arpa /Ctr); e a elaborare con le as-sociazioni, i comitati e la cittadinanza la pianificazione degli interventi da realizza-re a carico delle industrie presenti.

Richiamiamo inoltre tutte le forze politi-che e sindacali al dovere di sostenere con serietà, disinteresse e determinazione la lotta delle popolazioni per il diritto alla salute e alla vita, senza tentare di scatenar guerre fra poveri in nome di un diritto al lavoro che può essere sostenuto realmente e senza false promesse solo dai movimentidemocratici, non certo dalle multinazionalibasate sulla sola logica del profitto.

Hanno firmato il Memorandum: padre Giuseppe Trifirò, Associazione Abc Sikelia, Associazione Consumatori Siciliani; Italia Nostra di Milazzo; Associazione Il Maestrale; Associazione Adasc, Comitato Luciese Salute e Ambiente; Coordina-mento Ambientale Milazzo-Valle del Mela , Co-mitato Lenzuoli “27 settembre”, Comitato Respi-riamo Monforte; Comitato Tutela Ambiente- Ar-chi; Isde; Tsc, Ucid. Non ha firmato, pur restando impegnata sui temi ambientali, l'Associazione Zero Waste.Hanno contribuito con un documento di richie-ste e denunce i ragazzi del Liceo d'Arte “Guttu-so”, dirimpettai della Raffineria e particolarmen-te esposti ai suoi miasmi.

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Un prete scomodonel regno dei veleni

A sinistra, Padre Giuseppe Trifirò, parroco di Pace del Mela (prov. Messina, ab.4755, m.215 s.l.m..). A destra S.E. Rev.ma Mons. Calogero La Piana, arcivescovo metropolita Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela e Archimandrita di Messina

“IL PROBLEMA DI MILAZZO? LA PUBBLICITA'!”di Riccardo Orioles

“Quello che ci vorrebbe è una bella campagna pubblicitaria nazionale, per far conoscere a tutti le bellezze della no-stra bella città! La gente deve smetterla,appena si dice Milazzo, di pensare alla raffneria! Il cielo, il sole, il mare, questobisogna dire per il turismo!”.

Già. Il fatto è che da una certa ora in poiMilazzo è praticamente isolata dal resto del mondo e d'estate, di notte, c'è pieno di turisti che bivaccano alla stazione di Mes-sina, in attesa dei primi treni del mattino. Neanche ripartire da Milazzo via treno è tanto facile, con la stazione a casa del dia-volo, un paio d'impiegati superstiti che s'arrabbattano alla meno pegio, il bar dellastazione sbarrato e sostituito da un panina-ro e un clima da film giapponese dopo il passaggio di Godzilla.

Ci sono vari pezzi di spiaggia ancora li-beri (a pochi metri da uno hanno appena costruito un magnifico palazzone da cin-que piani) e il mare, se non sei un perito chimico con le tue provette appresso, ti sembra buono. Sul lungomare, una robustastatua di Luigi Rizzo (l'eroe cittadino, con Garibaldi) minaccia col pugno alzato la Raffineria: è l'unico milazzese che osa farlo. “E' successo qualcosa?” dicono, riluttanti, tutti gli altri.

Il risveglio del mostro

Dicevamo Godzilla: e anche qui, stando attento, senti l'aria del mostro. Lo sanno tutti, in realtà, non c'è bambino o vecchio milazzese che non sappia benissimo che cosa stia dormendo là sotto. Ma è meglio non sfruculiarlo. Casomai si risveglia...

Il mostro s'è risvegliato varie volte in passato, la peggiore è stata il 4 giugno del '93, all'ora della pausa-pranzo aziendale.

Il pranzoarrivò conquindici minutidi ritardo, quelgiorno, allamensa dellaRaffineria, cosìinvece dei soliti200 operai alle13.20 ne usci-rono solo sette.L'esplosionedel Topping 5 lidisintegrò in un baleno: qualche scheggia d'acciaio fu ritrovate a cento metri.

Perciò ora, quando la notte fra il 27 e il 28 settembre le fiamme hanno raggiunto ilcielo, i milazzesi non hanno perso un istante a catapultarsi dal letto e fiondarsi mezzovestiti per la strada. Per andare dove? Il piano d'emergenza della raffineria, chi ha la fortuna di conoscerlo, prevede che in caso di guai bisogna chiudere ermetica-mente le finestre e non fare mosse sbaglia-te. E poi? Te ne scappi? Scappi dove? Quali vie? Quali istruzioni? Non ce n'è.

Così, mentre i coraggiosissimi pompieri e operai lottavano per salvare il paese da una mezza Fukushima, i milazzesi che nonerano imbottigliati negli ingorghi pregava-no tutti i santi che conoscevano e bestem-miavano tutte le autorità esistenti. A San Filippo, a poche decine di metri dai serba-toi (gli puoi tirare un sasso dalla finestra dicasa, se ti va: ma non ti consiglio di farlo) bestemmie e preghiere erano più tremanti e più forti.

Il petrolio, l'amianto...

“La Madonna ci ha salvato, la nostra Madonna della Catena!” disse poi padre Peppe, il buon parroco che da anni lotta contro l'inquinamento diquesto e degli al-tri mostri. La Sacelit, con l'amianto, ne ha fatti fuori centoventi, fra operai e mogli e figli: l'ultimo, Giuseppe Gitto, è morto po-chi giorni fa; e ancora (denunciano Maio eGinatempo di Zero Waste) qua non hanno ancora fatto il Piano Protezione Amianto!

Sono un sacco lecose che non hannofatto: per l'amianto,per la raffineria, perla centrale a carbone,per tutto. Ma perché?

La migliore risposta l'ha data un candi-dato sindaco locale, più lucido - involonta-riamente - dello stesso Carlo Marx. “La raffineria è un'azienda, ha detto nel comi-zio, e lo scopo delle aziende è fare profitti.Dire alle aziende di riconvertire è idiota! Le aziende restano finché fanno un euro diprofitto, poi chiudono e se ne vanno”.

Ecco perché l'idea diffusa qui è di non disturbare Godzilla. Se si arrabbia, chiude e se ne va... In realtà, tutti i Godzilli d'Europa - ramo raffinerie – hanno chiusoo stanno chiudendo a uno a uno. Non è piùun affare, raffinare petrolio da questo lato del ciclo: meglio farlo laggiù. Perciò un bel giorno anche qui, nella terra bruciata, non resteranno che gli escrementi di Godzilla: “Io so' io, dirà Godzilla andandosene, e voi non siete un c***. Perciò, affari vostri!”.

Ma non sarebbe meglio cominciare a or-ganizzarsi subito, i lavoratori di Godzilla, e cominciare finché s'è in tempo a legarlo, ad accordarsi coi contadini, a imbavagliar-gli il fiato? Eh, facile a dirsi.

Poi, chi lo sa, forse è anche peccato. Al povero prete di qua, quello che ce l'ha con l'inquinamento, sta arrivando - dicono - qualche “benedizione” non tanto benevola dalla Curia... Don Camillo aveva un ve-scovo di buon senso, ai tempi suoi, e po-teva contare su Peppone. Ma ora...

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Libri

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 16– pag. 16

I redattori di

Giuseppe Fava

Mentre l'orchestrina

suonava “Gelosia”,

di Antonio Roccuzzo,

e Prima che la notte,

di Claudio Fava e Miki

Gambino, raccontano

gli anni dei Siciliani

di Giuseppe Fava

come vennero vissuti

dai ragazzi che con lui

condivisero la più bella

storia del giornalismo

italiano. Una storia

che non è finita.

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Libertà di stampa?

Storie dal nostro mestiereE' ancora possibile farestampa d'opposizione in Italia? Due storie esemplari

di Ossigenoper l'informazione

www.notiziario.ossigeno.info

1/ ESTER CASTANOSe i bravi giornalisti lavorano al ristorante.

Coraggio, valore, professionalità, premigiornalistici ma per guadagnare qualcosa soltanto lavori da camerieri. Ha fatto beneil presidente dell’OdG, Enzo Iacopino, a rendere noto con amarezza e sdegno che Ester Castano non riesce a trovare un la-voro retribuito se non come cameriera in un ristorante.

È una vicenda triste che fa riflettere. Perché, per chi ancora non lo sapesse, Ester è la giovane cronista che due anni faebbe notorietà nazionale e che ha ricevutonumerosi prestigiosi premi giornalistici per il coraggio e la tenacia con cui ha do-cumentato le infiltrazioni mafiose nel Co-mune di Sedriano, alle porte di Milano, due anni prima che l’amministrazione co-munale, nel 2013, fosse sciolta per decre-to del governo.

Ha scritto Enzo Iacopino, con amaro sarcasmo, su Facebook: “Ester Castano: hamburger e patatine. Le danno premi a ripetizione: Pippo Fava, Mario Francese, Premiolino, Biagio Agnes per l’impegno civile. Ma nel suo futuro, nel suo presenteci sono hamburger e patatine. Potrà farlo rivolgendosi ai clienti in italiano, inglese, francese e, con minore fluidità, tedesco e ebraico. Già, per guadagnare 650 euro netti al mese (caviale e champagne, come si intuisce!) Ester servirà in un rinomato fast food.

Ma uno di quei direttoroni che la pre-miano, uno dei bigs politici che la lodano,una di quelle primedonne della tv che usa-no il suo lavoro senza mai citarla, un an-golino per consentirle di continuare a fare il mestiere che ama e che adora non rie-scono davvero a trovarlo? Proviamo a chiederlo tutti. Non neghiamoci la speran-za”.

Purtroppo lo stesso trattamento è riser-vato a numerosi altri giornalisti che hannomostrato valore professionale e coraggio. Ossigeno ne ha incontrati tanti. Ricordere-mo per tutti Arnaldo Capezzuto, che a Na-poli meriterebbe di lavorare in un grande giornale e invece deve arrangiarsi con varilavoretti. Ricorderò i colleghi dei “Sicilia-ni giovani”che a Catania hanno preso il fuoco con le mani, hanno dimostrato indi-scutibili qualità giornalistiche ma per sbarcare il lunario devono servire la pizza ai tavoli.

Altro che premi giornalistici...

Dunque la domanda di Iacopino è perti-nente, e andrebbe riproposta ogni volta che si celebra un premio giornalistico. Ogni volta i componenti delle giurie, i di-rettori dei giornali che consegnano i rico-noscimenti, gli sponsor che li finanziano credo che dovrebbero rispondere anche a quest’altra domanda: essere giornalisti bravi e coraggiosi serve a trovare lavoro oè un impiccio?

La reputazione lesa del capomafia

2/ RINO GIACALONE“Mafioso pezzo di m.”A giudizio per diffamazione

La vedova ha querelato il giornalista peraver leso la reputazione del capomafia de-ceduto. Lettera di solidarietà di quaranta familiari di vittime mafiose

Ill Tribunale di Trapani giudicherà il giornalista Rino Giacalone accusato del reato di diffamazione a mezzo stampa per avere offeso la reputazione del boss mafioso Mariano Agate. Lo ha deciso il pubblico ministero Franco Belvisi, disponendo la citazione diretta del giornalista.

Il processo nasce dalla querela di Rosa Pace, vedova di Mariano Agate in relazio-ne ad un articolo pubblicato il 3 aprile 2014 dal blog Malitalia in cui Giacalone, pochi giorni dopo il decesso, ha ricostrui-to l’efferata carriera criminale del capo-mafia e ha concluso paragonandolo a “un bel pezzo di m…”. Una invettiva che, contutta evidenza, va al di là del significato letterale ed è fatta per trasgredire il rispet-to plateale che i mafiosi ottengono con la prepotenza e la violenza.

Lo scorso marzo quaranta familiari di vittime della mafia avevano espresso soli-darietà a Giacalone e avevano diffuso una lettera aperta con la quale hanno chiesto alla vedova del capomafia di Mazara del Vallo di ritirare la querela e di dissociarsi dalle imprese criminali del marito. Inoltre hanno chiesto alla magistratura di respin-gere la “pretesa di difendere una buona reputazione inesistente, un tentativo di abusare della giustizia per indirizzare messaggi intimidatori a Rino Giacalone e a tutti i giornalisti”.

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Promemoria

La guerrache s'avvicinaPalestina-Israele. Me-dio Oriente. Ucraina. Anni Trenta

* Le foto di queste pagine – che sono

foto di guerra - non riguardano qualche

lontano Paese del Terzo mondo: sono

scattate a un paio d'ore di aereo dall'Italia,

in Palestina-Israele, dove ogni giorno che

Dio - o Allah o Jahvè - manda in terra può

essere benissimo l'ultimo per ciascuno.

Tecnicamente, è un'occupazione milita-

re, imposta con la minaccia delle armi sul-

la popolazione civile, e spesso col loro

uso effettivo. La guerra potrebbe essere

quella del 1967, o del '56, o del '48 o an-

che, secondo alcuni politici locali, quella

tra Filistei e Giosuè del 1200 avanti Cri-

sto. Comunque non è mai terminata; noi,

a Palermo e a Milano, ottimisticamente

c'illudiamo che resti un affare loro e non

venga a travolgerci fin qui.

In effetti, la guerra è già arrivata - sia-

mo un confine di guerra - sia nei prepara-

tivi che negli esempi. Il ragazzino arresta-

to, nella foto qui accanto, da una ragazza

con elmetto e mitra è poi così lontano?

E quel giovane magro, portato via bru-

talmente (non credo che alcun magistrato

abbia emesso condanne, in questo caso)

dai centurioni, è poi così lontano da piaz-

za Tolemaide o dalla Diaz? E' ovvio che

fra poche ore, in qualche stanza sicura,

sarà torturato. Non di nascosto come a

Genova (ma bisogna vedere cosa sarà Ge-

nova fra dieci anni) ma patriotticamente e

apertamente, per il bene dello Stato.

Sulla pelle di altri semiti

Il giovane col bambino in braccio, è vit-

tima di rapinatori assassini, o di gente in

divisa regolare? Chi tiene le donne schia-

ve dentro le gabbie? Dei selvaggi fanatici,

o delle autorità “civili”?

Abbiamo rimosso moltissimo, sulla pel-

le degli ebrei degli anni '30, fingendo che

Auschwitz fosse colpa esclusiva dei tede-

schi: ma, salvo Bulgaria e Danimarca,

tutti gli stati della Fortezza Europa furono

ferocemente antisemiti.

Adesso ricominciamo a rimuovere, sul-

la pelle di altri semiti, fingendo che arresti

bombardamenti e gabbie siano faccenda

esclusiva del governo “israeliano”,

d'estrema destra, di Netanyahu.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 18– pag. 18

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““L'apprendista stregone corre qua e là,ma i demoni sono ormai fuori controllo.

Nel Medio Oriente petrolifero,assegnato da noi civili ai più sanguinari tiranni,la situazione ci è decisamente sfuggita di mano”

Croci frecciate e nazisti

Struzzo sotto la sabbia, mentre i passi

feroci s'avvicinano, l'Europa s'illude. Nel

cuore degli Anni Trenta, in Ungheria e

Ucraina, marciano apertamente croci frec-

ciate e nazisti. Nel Medio Oriente petroli-

fero - assegnato da noi “civili” ai più san-

guinari tiranni, dai re sauditi in poi - la si-

tuazione ci è decisamente sfuggita di

mano: ieri con Bin Laden allevato in fun-

zione antirussa, oggi con altri fanatici

(vedi le dichiarazioni della Clinton) di

analoga provenienza.

L'apprendista stregone corre qua e là,

ma i demoni sono tutti ormai fuori con-

trollo. Hanno armi modernissime e ucci-

dono chiunque sia umano. Nessuno ha più

il coraggio di affrontarli, salvo i curdi:

partigiani e partigiane, garibaldini, male

armati e decisi. Muoiono per difenderci

tutti. Il loro capo, Ochalan, è in carcere

(“terrorista”) da molti anni, e fummo noi

italiani a negargli l'asilo e a consegnarlo.

Hitler ride, e noi dormiamo

Fra i califfi, i “banderisti” ucraini e Ne-

tanyahu, l'inverno dell'Europa s'avvicina.

Donne, ebrei, palestinesi - secondo i

luoghi - sono le vittime prime, ma nessu-

no che sia civile alla fine verrà risparmia-

to. I coltelli, le bombe, le cannonate sui

condominii, gli appelli all'Islam o all'anti-

errorismo o alla pura razza tracimano dai

telegiornali, ma sono cose virtuali, senza

nulla a che fare - noi pensiamo - con la

realtà vera.

Hitler, dal fondo del suo inferno, fero-

cemente sghignazza. E noi europei dor-

miamo.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 19– pag. 19

Foto di Younes Arar (pagina a fianco in basso ) e Shali Alanzen (le altre), dalla Palestina.

,

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Misteri d'Italia/ L'omicidio Russo

Gli “indicibili intrecci”di quegli anni '70Viene da molto lonta-no, il concetto di “trat-tativa”. In nome della pace sociale, pezzi di apparato dello Stato hanno sempre contrat-tato con i boss. E chi provava a interromperequesto baratto...

di Antonio Roccuzzo

Fuor di processo, questa storia della

“trattativa Stato-mafia” ricorda altre

epoche, ma anche una serie di deja vu.

E poi conferma che la cronaca (e la

storia) del dopoguerra in Italia ha una

sua coerente evoluzione. Mostruosa, ma

coerente e niente affatto dietrologica;

perché disseminata di concreti e “indi-

cibili intrecci” (copyright di Loris

D’Ambrosio) in particolare sul fronte

della lotta dello Stato alla mafia.

Noi parliamo ora, e da un paio di anni,

della Trattativa Stato-mafia legata alle

stragi del 1992. Ma ci sono episodi che

raccontano già nei decenni precedenti

l’ombra della medesima continuità di

“scambi” indicibili tra apparati e capima-

fia. In nome della pace sociale e dello sta-

tus quo, pezzi degli apparati dello Stato

hanno da sempre praticato la politica del

baratto con i boss. Alcuni protagonisti di

quelle pericolose relazioni ritornano in

scena nei decenni e forse non sono mai

usciti da questa indicibile scena.

Il contesto

Prendiamo il contesto dell’omicidio del

colonnello Giuseppe Russo alto ufficiale e

investigatore di punta dei carabinieri, uc-

ciso nella piazza di Ficuzza (vicino a Cor-

leone) il 20 agosto 1977. Russo fu un in-

vestigatore dell’Arma al centro di fatti e

intrecci mai chiariti, sempre depistati in

modo che non approdassero mai a una ve-

rità giudiziaria definitiva.

Russo era uno tosto. Indagava ad esem-

pio sul “mistero” della morte di Enrico

Mattei e sulla stagione delle stragi mafio-

se degli anni 70 a Palermo e provincia:

anche allora, per dirimere i conflitti inter-

ni all’organizzazione, i mafiosi corleonesi

e i loro rivali palermitani piazzavano au-

tobombe (Giuliette Alfa Romeo per l’esat-

tezza).

Dalla Chiesa interruppe lo “scambio”

Russo era stato collaboratore del gene-

rale Carlo Alberto Dalla Chiesa, negli

anni 50 capitano a Corleone. Russo e Dal-

la Chiesa avevano iniziato a interrompere

lo “scambio” indicibile per il quale, a

fronte di notizie o di qualche arresto per

“fare bella figura”, le forze dell’ordine si

accontentavano di avere “pace sociale”

sui territori. Niente omicidi, niente indagi-

ni: questa la sintesi del patto. Finché dura-

va, non c’erano delitti, si arrestavano ladri

e piccoli furfantelli, ma senza molestare

traffici e indagare sulle relazioni tra politi-

ca, imprese e mafia.

Per decenni, la scena era stata questa:

vescovi che negavano l’esistenza della

mafia, procuratori della repubblica e giu-

dici di corte d’assise che alla fine assolve-

vano i mafiosi per insufficienza di prove

(che nessuno cercava), forze dell’ordine

che usavano il metodo dell’infiltrazione o

del “patto” di non belligeranza per con-

trollare il “fenomeno”.

Gli unici che facevano casino senza pat-

ti erano i capipopolo che occupavano la

terra e si battevano per i diritti dei conta-

dini e per questo molti di loro venivano

uccisi (vedi la strage di Portella e poi i de-

litti dei sindacalisti Salvatore Carnevale e

Placido Rizzotto).

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 20– pag. 20

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“Cercavauna verità

sul patto?”

Venticinque anni di storia

In Sicilia questa è stata la storia dei

venticinque anni che seguirono alla se-

conda guerra mondiale. Se un carabiniere

si metteva in testa di “rompere” quel patto

di non aggressione, rischiava di restare

solo. Russo lo fece, non si accontentò solo

di fare qualche arresto: indagava sul caso

Mattei, ma si era messo in testa anche di

fare luce sugli affari economici dei cor-

leonesi. Voleva capire le nuove relazioni

e il nuovo, mostruoso patto tra i corleone-

si e la classe politica e le imprese che cre-

scevano in quel contesto.

Chi era Russo? Uno “sbirro” tipico dei

suoi tempi: di destra, autoritario, sospetto-

so. Determinato. Chi lo ha conosciuto, ri-

corda che, nei mesi che precedettero la

sua morte, diceva di voler andare in pen-

sione perché “stanco” e perché voleva

“mettersi in affari”; aveva creato con un

suo collaboratore (il carabiniere Giuseppe

Scibilia) una società e voleva partecipare

alla gara per gli appalti della diga Garcia,

l’opera pubblica “madre” di molti insan-

guinati intrecci politico-mafiosi. Ci fu chi

ipotizzò che lo facesse per “infiltrarsi”

nella mafia che si era già trasformata da

agricola in urbana e diventava politica e

imprenditrice. E certo, la pratica degli “in-

filtrati”, delle inchieste segrete e degli

“informatori” ha fatto parte del bagaglio

investigativo tradizionale dell’Arma.

Nella storia del colonnello Russo ci fu

un lato oscuro, legato all’inchiesta sulla

strage di Alcamo Marina (27 gennaio

1976), due carabinieri uccisi misteriosa-

mente e un’indagine depistata con un te-

stimone costretto ad accusare quattro ba-

lordi, poi assolti.

Il colonnello Russo fu ucciso proprio in

quel momento e in quel contesto, nel qua-

le il patto e le “trattative” non potevano li-

mitarsi più alla gestione di Corleone e

dintorni, perché la mafia si era fatta im-

prenditrice.

Il primo delitto di alta mafia

L’assassinio del colonnello Russo fu

per questo forse il primo delitto di alta

mafia. E tuttavia, grazie alle lacunose e

frettolosissime indagini dei suoi colleghi

sui fatti di Ficuzza, per quel delitto furono

imputati e condannati un gruppo di pastori

e un balordo ai confini dei sistema mafio-

so. Le motivazioni messe alla base del de-

litto Russo? Risibili, piccole storie locali.

A condurre fuori strada le indagini

sull’omicidio Russo fu il successore del

colonnello al vertice del reparto operativo,

Antonio Subranni : proprio l’alto ufficiale

che – negli anni scorsi – è stato sospettato

di aver avuto un ruolo nella trattativa con-

dotta da Vito Ciancimino nell’estate delle

stragi del 1992.

Il depistaggio sul delitto Impastato

Si tratta dello stesso Subranni che, da

investigatore, ha negato il movente mafio-

so per Peppino Impastato, ucciso dalla

mafia il 9 maggio 1978 (stesso giorno del

ritrovamento a Roma del cadavere di Aldo

Moro). Impastato denunciava il potere e

le relazioni politiche del boss Tano Bada-

lamenti e, quando fu trovato dilaniato da

una bomba, fu fatto passare, con l’avallo

degli investigatori, per un terrorista.

Ecco, questi erano contesto, patti e mi-

steri dell’epoca in cui Russo faceva

l’investigatore sulla mafia degli anni 60 e

70. Epoche di “indicibili intrecci”, patti,

depistaggi e trattative occulte.

Vent'anni dopo il delitto Russo, nel

1997, gli imputati condannati nel primo

processo sono poi stati prosciolti e l’intera

cupola di Cosa nostra (Riina, Provenzano,

Bagarella e così via) è stata indagata, pro-

cessata e condannata. Il nuovo processo

ha accertato i depistaggi degli apparati di

intelligence per coprire le ragioni di quel

delitto. Perché? Forse perché il colonnello

Russo aveva infranto la “prassi” antica e

consolidata della trattativa o dei patti scel-

lerati tra Stato e mafia? Oppure perché –

anche usando forse “strumenti arditi” –

cercava una verità sul “patto” che si anda-

va stringendo tra mafia militare, politica e

imprese a Palermo?

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 21– pag. 21

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Poteri

Gli intoccabiliMafia e buona societàLe logge, i politici, i boss e il giudice accu-sato da Parmaliana. Una storia siciliana

di Luciano Mirone www.linformazione.eu

Barcellona (Messina). Da circa mezzo

secolo Antonio Franco Cassata è consi-

derato un potente magistrato amico dei

mafiosi che prima di tre anni fa non era

mai stato sfiorato da un provvedimento

giudiziario. Un intoccabile.

Nel 2011 la Procura di Reggio Calabria

lo ha messo sotto inchiesta per concorso

esterno in associazione mafiosa, ma a

tutt’oggi la notizia è coperta da una coltre

di silenzio, cioè non sappiamo se il fasci-

colo contro di lui è ancora aperto o se è

stato chiuso, ed eventualmente perché.

Quel che è sicuro è che l’inchiesta è

scattata: se è stata chiusa ce ne rallegria-

mo, se è ancora in corso auguriamo all’

interessato di dimostrare la sua innocenza.

Intanto lo scorso anno Cassata ha ripor-

tato una condanna in primo grado per dif-

famazione (800 Euro di multa, più il risar-

cimento alla famiglia) per essere stato ri-

tenuto l’autore di un dossier anonimo pie-

no di veleni contro Adolfo Parmaliana, il

professore universitario che denunciava il

verminaio di Barcellona Pozzo di Gotto e

di Terme Vigliatore, suicidatosi per le ves-

sazioni subite soprattutto “dal potere giu-

diziario barcellonese e messinese che vor-

rebbero mettermi alla gogna”, come lo

stesso Parmaliana lasciò scritto.

La pensione anticipata

Malgrado questo, l’ex Procuratore ge-

nerale della Corte d’Appello di Messina

gode della rispettabilità che dalle nostre

parti viene riservata solo ai potenti, sia nel

capoluogo peloritano, dove ha svolto per

tanti anni la sua carriera, sia a Barcellona

Pozzo di Gotto (pochi chilometri da Mes-

sina), dove risiede da sempre e da sempre

esercita la sua influenza.

In realtà Cassata un potente lo è ancor

oggi, malgrado la pensione anticipata alla

quale – secondo le malelingue – sarebbe

ricorso per evitare lo scandalo di

un’inchiesta per mafia nell’esercizio delle

sue funzioni, con un possibile coinvolgi-

mento di un Consiglio superiore della ma-

gistratura che – malgrado le interrogazio-

ni parlamentari e le denunce giornalisti-

che – nel 2008 lo ha promosso addirittura

alla carica più alta della Procura messine-

se.

Il libro scomodo di Parmaliana

Ma perché Cassata è così potente? Da

dove deriva questa potenza? Qual è il suo

ruolo in una città come Barcellona Pozzo

di Gotto, dove l’alleanza tra mafia, mas-

soneria e servizi segreti deviati è fortissi-

mo?

Per capire il potere di cui dispone que-

sto ex magistrato, basta recarsi alla “Cor-

da fratres” – il circolo più in della città,

esclusivo e “paramassonico” (secondo

una definizione della Guardia di Finanza)

che ha sistemato una caterva di rampolli

dell’alta società barcellonese – di cui Cas-

sata è da sempre animatore e leader, e par-

lare di lui con i numerosi soci.

O magari aspettare l’uscita del prossimo

libro di Melo Freni – giornalista barcello-

nese dalla sfolgorante carriera in Rai, il

quale, alla vigilia dell’uscita del volume

di Alfio Caruso sulla morte di Adolfo Par-

maliana, chiese all’autore di bloccare ad-

dirittura la pubblicazione – per vedere “il

giudice Cassata” al tavolo dei relatori as-

sieme all’avvocato Franco Bertolone, suo

intimo amico e noto legale dei boss più

pericolosi di Barcellona.

Il viaggio con Bertolone e Chiofalo

Certo, di acqua sotto i ponti ne è passata

parecchia da quando (1974) il magistrato

fece uno strano viaggio in Mercedes dalla

Sicilia a Milano assieme allo stesso Berto-

lone e al giovanissimo boss Pino Chiofa-

lo, che tempo dopo (all’inizio degli anni

Novanta) avrebbe scatenato una cruenta

guerra di mafia contro il clan Gullotti,

mentre nel ’99, ormai pentitosi, sarebbe

stato contattato – secondo la Procura di

Palermo – da Marcello Dell’Utri per con-

vincerlo a screditare i tre collaboratori di

giustizia Francesco Di Carlo, Giuseppe

Guglielmini e Francesco Onorato, che ac-

cusavano il fondatore di Forza Italia di es-

sere vicino a Cosa nostra.

Certo, all’epoca di quel singolare viag-

gio a Milano,

Chiofalo muoveva i primi passi

nell’ambito di Cosa nostra, ma è singolare

che un magistrato preposto al persegui-

mento dei mafiosi, faccia un tragitto così

lungo con un mafioso e col suo avvocato.

Che un episodio del genere non sia frut-

to della superficialità del personaggio sarà

dimostrato ampiamente negli anni succes-

sivi.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 22– pag. 22

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“Santapaola,avvisato, lasciail covo. Ma poi

torna tranquillamentea Barcellona...”

Il paradigma Barcellona

Ma per capire meglio la figura di Anto-

nio Franco Cassata, bisogna delineare il

contesto di Barcellona Pozzo di Gotto.

Che non è un posto come tanti. C’è il traf-

fico di droga sì, ci sono gli omicidi (qua-

rantacinque fra il ‘90 e il ‘92) e le estor-

sioni, e c’è la mega discarica di Mazzarà

Sant’Andrea, sulla quale stanno lucrando

in tanti, ma ciò non basta a spiegare il pa-

radigma Barcellona a livello nazionale.

Barcellona è il luogo dove è stato co-

struito il telecomando della strage di Ca-

paci, recapitato da Gullotti a Giovanni

Brusca in quel di San Giuseppe Jato per

far saltare in aria Giovanni Falcone, la

moglie Francesca Morvillo e gli agenti

della scorta.

E’ la città dove hanno trascorso parte

della loro latitanza due boss come Nitto

Santapaola e Bernardo Provenzano, pro-

tetti per decenni da quello Stato attual-

mente sotto accusa a Palermo nel proces-

so Trattativa.

È la città che, assieme a Catania, Paler-

mo e Corleone, è stata l’avamposto avan-

zato dell’eversione stragista fra la fine

della Prima Repubblica e l’inizio della Se-

conda.

Ed è proprio sul “contesto” che Antonio

Franco Cassata – ottimo conoscitore di

uomini e cose di quel territorio – potrebbe

chiarire molte cose. Cosa?

Il boss Gullotti

Primo. Giuseppe Gullotti è il boss indi-

scusso che secondo la sentenza della Cas-

sazione è il mandante di tanti delitti, com-

preso quello del giornalista Beppe Alfano,

ucciso perché “reo” di avere scoperto il

nascondiglio segreto di Barcellona dove

Santapaola si nascondeva all’inizio degli

anni Novanta (circostanza confermata dal-

la recente testimonianza del pentito

Carmelo D’Amico). Perché Gullotti è

rimasto iscritto alla “Corda fratres” fino

all’anno dell’omicidio Alfano (1993)?

Cassata dice che fino a quel momento il

boss era un insospettabile incensurato che

veniva pure preso in giro all’interno del

sodalizio.Ma è vero che negli uffici giu-

diziari circolava da tempo un’informativa

in cui si diceva che “l’avvocaticchio”

(come veniva soprannominato) era diven-

tato il referente di Santapaola a Barcello-

na? Perché tempo dopo – mentre Gullotti

è latitante – Cassata sente l’esigenza di

mettersi a confabulare in piazza con la

moglie del boss (figlia del vecchio capo-

mafia Ciccio Rugolo e sorella del nuovo

reggente Salvatore Rugolo), che è seguita

dai Carabinieri, i quali stilano un rapporto

sull’episodio? Perché Cassata al Csm di-

chiara di essersi fermato per accarezzare il

bambino nella carrozzella, quando i Cara-

binieri, in quel rapporto, scrivono che non

c’è alcun bambino né tantomeno una car-

rozzella? Perché Cassata fa pressione per

evitare che quel rapporto vada avanti? Ci

sta che il Procuratore generale della Corte

d’Appello si apparti con la moglie del

boss, figlia del boss e sorella del boss?

I contratti ai mafiosi

Secondo. Da una interrogazione del se-

natore Pd Beppe Lumia risulta come il fi-

glio dell’ex procuratore generale, l’avvo-

cato Nello Cassata, negli anni in cui è sta-

to presidente dell’Ipab (Istituto di pubbli-

ca assistenza e beneficienza) di Terme Vi-

gliatore-Barcellona (1999-2001) abbia

prorogato dei contratti di locazione a im-

portanti mafiosi e a persone che con San-

tapaola e Gullotti ci hanno avuto a che

fare. Per esempio Aurelio Salvo, “al tem-

po pregiudicato – scrive Lumia nell’inter-

rogazione – per favoreggiamento aggrava-

to nei confronti di Giuseppe Gullotti e di

Nitto Santapaola”.

La “latitanza” di Santapaola

Costui infatti è il proprietario sia

dell’appartamento dove ha trovato rifugio

Gullotti quando si è dato alla macchia per

l’omicidio Alfano, sia della villa di Terme

Vigliatore dove ha trascorso un pezzo del-

la sua latitanza proprio Santapaola

A un certo punto il Ros dei Carabinieri

– grazie alle intercettazioni ambientali –

scopre che don Nitto trascorre la sua

latitanza nel piccolo centro tirrenico, e

individua la villa di Aurelio Salvo come

luogo “sensibile” per la cattura di uno dei

boss più pericolosi del mondo. Basta

organizzare un blitz per prendere

Santapaola. Niente di tutto questo.

Mentre il capomafia se ne sta

tranquillamente a casa, il capitano

“Ultimo” – forse depistato da qualcuno –

inizia un rocambolesco inseguimento con

un fuoristrada a bordo del quale non c’è

Santapaola. Il boss catanese viene messo

sull’avviso e lascia il covo. Ma invece di

fuggire lontano, torna tranquillamente a

Barcellona (c’era stato poco prima) dove

trascorrerà un altro pezzo della sua

latitanza senza essere disturbato.

L’ex procuratore Cassata sapeva dei

rapporti fra Aurelio Salvo, Gullotti e

Santapaola? Sapeva dei rapporti fra suo

figlio e Aurelio Salvo?

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 23– pag. 23

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“Il caso Attilio Manca,le trame di Cattafi...Eppure a Barcellonail Palazzo era cieco,sordo e muto”

Lui afferma che Nello ha ereditato que-

sta situazione dalla precedente gestione

Ipab. Ma cosa ha fatto Nello Cassata per

porre fine a questi rapporti? Ha mai preso

le distanze da determinati personaggi? E

lui, Antonio Franco Cassata, che posizio-

ne ha assunto nei confronti del figlio?

Non avrebbe dovuto chiedere l’immediato

trasferimento per incompatibilità ambien-

tale? Ma questa è solo la punta dell’ice-

berg. Nei due anni di gestione dell’Ipab,

Cassata junior ha continuato ad affittare

gli immobili dell’Istituto al fior fiore della

criminalità barcellonese e ad imprenditori

incensurati molto vicini a Cosa nostra.

L’elenco è lungo. Un nome fra tutti:

Domenico Tramontana, boss di primissi-

mo piano (secondo i Carabinieri), crivel-

lato di colpi sulla sua auto sulla quale i

Carabinieri hanno trovato una cinquantina

di volantini elettorali dell’ex sindaco di

Terme Vigliatore, Bartolo Cipriano, per-

sonaggio transitato con disinvoltura dal

centrodestra al centrosinistra, “molto vici-

no – secondo Biagio Parmaliana, fratello

di Adolfo – allo stesso Nello Cassata, di-

ventato consulente legale del Comune di

Terme Vigliatore”.

Una truffa da 35 milioni

Terzo. Risulta al dott. Antonio Franco

Cassata che, mentre occupava la poltrona

più prestigiosa della Procura generale, il

figlio sia stato uno degli organizzatori di

una maxi truffa alle assicurazioni (ingenti

i capitali ricavati: solo nel 2009, 35 milio-

ni di Euro, al punto da spingere le compa-

gnie a “scappare” da Barcellona) in cui,

oltre ad essere coinvolti diversi professio-

nisti (soprattutto medici e avvocati), c’è

implicata la criminalità organizzata?

Niente ricorso contro i boss

Quarto. È vero che l’ex procuratore ge-

nerale – come dice l’avvocato Fabio Repi-

ci – non ha presentato ricorso in Cassazio-

ne contro la sentenza d’Appello del pro-

cesso “Mare nostrum droga”, in cui tutti

gli imputati barcellonesi, dopo pesanti

condanne in primo grado, sono stati assol-

ti in secondo?

È vero che non lo ha fatto – per citare

sempre Repici – “per una gretta interpre-

tazione giuridica delle fonti di prova”?

Fra gli assolti c'era Ugo Manca

Quinto. Fra gli imputati assolti al pro-

cesso “Mare nostrum droga” figura tale

Ugo Manca, personaggio molto vicino

alla mafia di Barcellona e condannato in

primo grado a quasi dieci anni per traffico

di droga. Ugo Manca è stato coinvolto (la

sua posizione è stata archiviata lo scorso

anno) nella morte del cugino Attilio Man-

ca, urologo allora in servizio all’ospedale

di Viterbo.

Secondo diversi indizi – fra cui le re-

centi dichiarazioni del pentito di camorra

Giuseppe Setola – Attilio Manca sarebbe

stato ucciso perché avrebbe scoperto la

vera identità del boss latitante Bernardo

Provenzano (allora nascosto sotto il falso

nome di Gaspare Troia), mentre lo avreb-

be curato dal tumore alla prostata da cui

era affetto.

È vero che esiste una intima amicizia

fra l’ex procuratore e Ugo Manca? Fino a

che punto?

Cattafi e la “Corda frates”

Sesto. A proposito di amicizie. È vero

che il magistrato è intimo anche del boss

Rosario Pio Cattafi (oggi al 416 bis per

associazione mafiosa), definito “social-

mente pericoloso” dal prefetto di Messina,

al punto che è stato costretto all’obbligo

di dimora per cinque anni a Barcellona?

Vicino ai servizi segreti deviati, ex ordi-

novista assieme al boss di Mistretta Pietro

Rampulla (artificiere della strage di Capa-

ci), residente a Milano per molti anni,

l’avvocato Rosario Pio Cattafi è ritenuto il

riciclatore del denaro sporco del clan San-

tapaola e – secondo recenti inchieste –

uno dei mandanti dell’assassinio del giu-

dice torinese Bruno Caccia, che negli anni

Settanta indagava sui proventi sporchi

provenienti dal casinò di St. Vincent.

Il boss restò nella “Corda frates”

Tornato a Barcellona dopo il coinvolgi-

mento nell’affaire dell’autoparco milanese

di via Salomone (in cui era implicato il

Psi di Bettino Craxi), Cattafi fu ritenuto –

assieme a Silvio Berlusconi e a Marcello

Dell’Utri – uno dei mandanti esterni della

strage di Capaci.

La sua posizione, assieme a quella

dell’ex presidente del Consiglio e del fon-

datore di Forza Italia, venne successiva-

mente archiviata.

È vero che malgrado un curriculum di

queste dimensioni, il boss ha continuato a

far parte della “Corda fratres”, senza che

il dott. Cassata abbia sentito il dovere di

chiederne l’espulsione?

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 24– pag. 24

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L' “informativa Tsunami”

Settimo. È vero che l’ex procuratore

Cassata, all’inizio del Duemila, cercò di

bloccare un rapporto esplosivo dei Cara-

binieri (“l’Informativa Tsunami”) che si

soffermava, tra l’altro, sull’amicizia fra

l’ex Pm di Barcellona Olindo Canali (tra-

sferito dal Csm al Tribunale di Milano per

“incompatibilità ambientale”) e Salvatore

Rugolo, all’epoca ritenuto il nuovo reg-

gente della cosca barcellonese?

Nel rapporto si parla di almeno due tal-

pe “molto vicine a Canali” che dalla Pro-

cura barcellonese avrebbe passato le in-

formazioni al boss. In quelle duecento pa-

gine si parla anche di un intervento del

Procuratore Cassata presso il sostituto

procuratore Andrea De Feis, titolare

dell’indagine su Terme Vigliatore, per

bloccare il rapporto dell’Arma.

“Il grande protettore di Canali”

Ottavo. È vero – come dicono Sonia Al-

fano e l’avvocato Fabio Repici – che “An-

tonio Franco Cassata è stato il grande pro-

tettore di Olindo Canali”? Se è vero, sa-

rebbe interessante sapere se l’ex procura-

tore generale ha saputo – magari dallo

stesso collega – che il giornalista Beppe

Alfano – poco prima di essere ucciso – si

sarebbe recato da Canali per confidargli il

segreto della latitanza di Santapaola.

Il magistrato monzese gli avrebbe rispo-

sto: “Non me ne posso occupare” e alla

fine, secondo Sonia Alfano, gli avrebbe

detto: “Scrivi tutto quello che sai, chiudi

la lettera in una busta gialla e spedisci il

plico alla Dia di Catania. Avviserò un su-

per poliziotto di prenderlo

personalmente”.

“Scrivi tutto quello che sai”

“Mio padre – prosegue l’ex europarla-

mentare, che dice di essere stata presente

al colloquio – eseguì alle lettera le istru-

zioni di Canali, e poco tempo dopo Beppe

Alfano fu ucciso”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 25– pag. 25

Giustizia

Omicidio CacciaIl diritto alla veritàI figli del Procuratore capo di Torino Bruno Caccia tornano a chiedere la riapertura delle indagini relative all'omicidio del padre (unico caso di magistrato ucciso al nord Italia dalla 'ndrangheta), avvenuto a Torino il 26 giugno 1983 in via Sommacampagna, a pochi metri dall'abitazione della famigliaCaccia.

La richiesta avanzata lo scorso anno era stata rigettata dal Tribunale di Milano, «ma noi intendiamo proseguire per la ri-cerca della verità», dichiara Paola Caccia, figlia del magistra-to torinese. Depositata lo scorso 24 luglio dall'avvocato FabioRepici, l'attuale richiesta «è più corposa rispetto alla prece-dente; non vi sono nuovi elementi ma un'indicazione a legge-re gli atti in maniera diversa», ha precisato Paola Caccia, che si mostra soddisfatta «dell'attenzione al nostro caso dimostra-ta sia dalla Commissione Parlamentare Antimafia sia dalla commissione comunale antimafia di Milano».

«Si tratta di un atto doveroso – spiega David Gentili, presi-dente della commissione meneghina – considerati la storia di Bruno Caccia e gli aspetti che riguardano anche la città di Milano come i riferimenti a via Mascagna. Come commissio-ne non possiamo svolgere alcun tipo di indagine, ma speria-mo che emergano fatti importanti e che il Tribunale accolga la richiesta dei famigliari del magistrato piemontese. Sicura-mente a loro daremo tutto il nostro sostegno ed aiuto».

In quest'ottica, la sala comunale Alessi ha ospitato il 3 otto-bre l'incontro “Bruno Caccia, il diritto alla verità”, proprio

per spiegare alla popolazione perché è fondamentale chiederela riapertura delle indagini. «A Milano e a Torino - ha dichiarato l'avvocato Fabio Repici - ci sono alcuni magistrati che sanno la verità». Secondo il legale, il procuratore Caccia sarebbe stato ucciso perché stavaindagando sul casinò di Saint Vincent e sul riciclaggio di denaro proveniente dai sequestri di persona. Una pista che si intreccia con la figura di Giovanni Selis, il pretore che il 13 dicembre 1982 scampò miracolosamente ad un attentato: la sua Fiat 500 esplose sotto la propria abitazione.

Ad affiancare l'avvocato Repici, in qualità di consulente, è l'ex magistrato Mario Vaudano: «La situazione è delicata, oc-corre che ci sia la volontà da più parti di riaprire le indagini, abbandonando l'atteggiamento del “non è il caso”. Bisogna continuare il lavoro che è stato svolto, non certo per esibizio-nismo da parte della famiglia ma solo ed esclusivamente per il desiderio di conoscere la verità sull'omicidio Caccia».

Dalle carte emerge che la figura centrale della vicenda è Rosario Pio Cataffi, considerato anello di congiunzione tra Cosa nostra e i servizi segreti. «Rispetto alla versione dello scorso anno – dichiara Vaudano – la richiesta depositata a lu-glio è più analitica e nominativa: allora si chiedeva di audire determinate persone, adesso si parla di responsabilità ben precise».

Marika De Maria www.narcomafie.it

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I dimenticati/ Adolfo Parmaliana

Io che da mortovi parloSei anni fa il suicidio del professore le cui denunce portarono alloscioglimento per mafia del comune di Terme Vigliatore, in provincia di Messina. Ecco la suastoria

di Pierpaolo Farina www.wikimafia.it.it

Ci sono storie di grande coraggio che

troppo spesso vengono dimenticate o a cui non viene dato adeguato spazio. Una è quella di Adolfo Parmaliana.

Professore di chimica industriale all’ Università di Messina, molto stimato an-che all’estero, ai suoi studenti ripeteva sempre: “Cambia le cose prima che le cose ti cambino”.

Si è tolto la vita il 2 ottobre di sei anni fa, gettandosi da un viadotto dell’autostra-da Messina-Palermo, prima che le cose cambiassero lui.

Nel suo studio, raccontano, campeggia-va una gigantografia di Enrico Berlinguer:era il suo modo per ricordare in ogni istante ai suoi interlocutori quell’universo di valori e ideali a cui era legato.

In prima fila contro Cosa Nostra

Aveva lottato prima per il PCI, poi per il PDS, infine per i DS, sempre in prima fila contro Cosa Nostra e il malaffare, producendo denunce precise e circostan-ziate contro il sistema di potere mafioso e corrotto che governava il suo paese, Ter-me Vigliatore, seimila anime in provinciadi Messina.

Fu proprio grazie alle sue denunce che nel dicembre 2005 fu disposto dall’allora ministro degli Interni Pisanu lo sciogli-mento del suo comune per infiltrazione mafiosa.

La reazione di quel sistema di potere non si fece attendere. Il vicesindaco del paese lo trascinò in tribunale per diffama-zione, a seguito della sua affissione di vo-lantini di soddisfazione per l’avvenuto scioglimento in giro per la città.

L’isolamento morale

Le voci in sua difesa furono poche: i compagni di partito lo lasciarono solo. Tanto che quando nacque il PD abbando-nò la militanza, stanco di essere ignorato, deriso, umiliato da quei compagni di par-tito per i quali la Questione Morale era sì il centro del problema italiano, ma se si fapolitica con la morale non si vincono le elezioni.

Del resto, le sue lettere a Fassino e Vel-troni, in cui denunciava l’andazzo genera-le nel “partito nuovo”, non ricevettero maialcuna risposta: erano evidentemente trop-po impegnati.

Il suicidio maturò subito dopo il suo rinvio a giudizio per calunnia, per la que-stione dei volantini. Era troppo anche per lui.

L’ultima lettera

Lasciò una lettera, il suo ultimo atto d’accusa, intitolata “Io che da morto vi parlo” (da cui prende il titolo il bel libro di Alfio Caruso) in cui disse chiaramente che “la magistratura barcellonese-messi-nese vorrebbe mettermi alla gogna, vor-rebbe umiliarmi, delegittimarmi; mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le co-perture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di mari-to, di servitore dello Stato e docente uni-versitario…”. Non lo permise e si tolse la vita.

L’isolamento morale

Sei anni dopo quel gesto estremo è amaro constatare nei suoi confronti esista ancora una damnatio memoriae, che vede colpevole anche il movimento antimafia. A breve su WikiMafia ci sarà la sua voce. Perché la sua storia non va dimenticata. Oavranno vinto quelli che quando Parma-liana era in vita hanno fatto di tutto per farsì che in vita non ci restasse.

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Bologna

“Mica hai vistola sinistra?”Cresce il Partito Unico della Nazione. A Bolo-gna intanto - un tempo “capitale” della sinistraefficiente, democratica e civile - qualche cosa è già cambiata

di Antonio Cimino

Bologna, scriveva un tempo il "New York Times", è una delle città meglio governate d'Europa. Efficiente, demo-cratica, relativamente incorrotta. Per cinquant'anni è stata governata da co-munisti e socialisti, mentre nel centro storico di Napoli o Genova speculatori edili abbattevano intere file di edifici che meritavano di essere conservati.

Il centro storico di Bologna è rimasto inlarga misura intatto. I mezzi di trasporto pubblico nelle ore di punta erano gratis. Negli ultimi anni molte cose sonocambiate nella città che fu la piùrossa d'Italia.

Con il sindaco Flavio Delbonoprima, il presidente della regioneEmilia Romagna Vasco Errani,entrambi del PD costretti alla di-missioni perchè condannati dallamagistratura. Il primo per pecula-to, il secondo per favoreggiamen-to.

La Festa senza l'Unità

A nche quest'anno, all'interno del Parco Nord, si è celebrata la festa nazionale dell'Unità con grandi sfilate di politici in-dagati (condannati e non) e anche - i tem-pi cambiano... - politici del calibro di Pierferdinando Casini, grande amico dell'ex presidente della Regione Sicilia Cuffaro, da qualche anno in galera per scontare una condanna per cose di mafia.

Intanto, il progetto del partito unico na-zionale fa proseliti. C'è da dire che la basedel PD, a Bologna come nel resto d'Italia, stravede per l'attuale capo del governo, anche lui ospite acclamato durante la festaal Parco Nord. Dove, fra una battuta e l'alra, è rimosso il fatto che il giornale "L'Unità", fondato da Antonio Gramsci e da cui prende il nome la festa, non esiste più. Non una parola neanche per i giorna-listi rimasti senza lavoro.

Probabilmente, il nuovo presidente del-la regione Emilia-Romagna (si andrà alle elezioni a novembre di quest'anno) sarà Stefano Bonaccini, segretario regionale del PD: in nome della “continuità” e con la bendizione di Renzi e di vari ministri.

Lo schieramento dovrebbe comprende-re, si dice, anche Sel, visto che i seguaci di Vendola - fino a questo momento - han-no detto sì all'alleanza col PD e no a quel-la con la lista Tsipras.

Il futuro presidente della Regione ha vissuto momenti turbolenti, quest'estate, dopo aver appreso di essere indagato dallaprocura di Bologna per presunte spese il-lecite in Regione. Il 24 settembre tuttavia i magistrati della Procura hanno chiesto per lui l'archiviazione, stabilendo l'insus-sistenza del reato di peculato non sussiste.Con buona pace di quanti, dal PD al SEL, si erano affrettati a proclamare che “il candidato presidente non può deciderlo la procura”.

I senzacasa nel cortile del Comune

Intanto, nel cortile di Palazzo D'Accur-sio (la sede del comune) si son viste le tende del del sindacato Inquilini Asia-USB, e di diverse famiglie di sfrattati sen-za casa: “Presidieremo il cortile finché non verranno riallacciate luce ed acqua in alcuni edifici occupati”.

Qualcuno della "vecchia guardia", comel'ex segretario regionale dell'allora partito comunista dell'Emilia Romagna Mauro Zani (mai entrato nel PD) dico-no, con molta amarezza, che il PD è senza classe dirigente e che dunque può accadere di tutto. Colpa di chi? Secondo Zani, Renzi ha portato a com-pimento un disegno che era ini-ziato con Valter Veltroni e si conclude adesso col patto del Nazzareno.

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PREMIO GIORNALISTICOROBERTO MORRIONE

AGLI STATI GENERALI DELL'ANTIMAFIAIL LANCIO DEL BANDO DELLA QUARTA EDIZIONE

Entro l'8 dicembre l'invio delle proposte di video-inchiesta degli under 31

Non poteva esserci occasione migliore degli Stati Generali dell’antimafia “Con-troMafie” in programma a Roma dal 23 al 26 ottobre per lanciare il nuovo ban-do del Premio Roberto Morrione rivol-to a tutti i giovani giornalisti, free lan-ce, studenti e volontari dell’informa-zione con la passione per l’inchiesta te-levisiva.

Il Premio Roberto Morrione, arrivato alla sua quarta edizione, è una sezione del Premio Giornalistico tv Ilaria Alpi ed è edicato alla memoria e all’impegno civile e professionale di Roberto Mor-rione, giornalista Rai, fondatore della rete allnews Rainews24 e di Libera In-formazione, osservatorio sull’informa-zione per la legalità e contro le mafie.

E’ un’iniziativa unica nel suo genere perché non seleziona inchieste già rea-lizzate, ma premia le più valide propo-ste progettuali di video-inchieste su temi di cronaca nazionale e internaziona-le e gli fornisce un contributo finanzia-rio per la loro realizzazione. Il Premio ha l’obiettivo di promuovere, sostenere e incentivare il giornalismo investigativodi giovani giornalisti o aspiranti tali, che non devono aver superato i 31 anni di età l’8 Dicembre 2014.

Tra tutti quelli inviati, nel rispetto delle modalità indicate nel sito www.premio -robertomorrione.it, verranno scelti 3 progetti e a ciascuno verrà assegnato un contributo in denaro di 3.000 euro da impiegare nello svilup-po e produzione diun’inchiesta della duratamassima di 20 minuti.

A ControMafie sabato 25 ottobre la Portavoce Premio Roberto Morrione Mara Filippi Morrione ha illustrato la filosofia e la finalità del Premio e lanciato il bando della quarta edizione all’incontro “La cultura e il sapere, dalla finzione al reale nella battaglia per la legalità”.

* * * Scorrendo i 204 soggetti d’inchiesta presentati da 319 partecipanti negli anni passati, troviamo inchieste sul tema delle mafie e delle organizzazioni crimi-nali, sull’attività di organizzazioni segre-te o clandestine con progetti eversivi o terroristici, sulle violazioni dei diritti umani e sulle attività di corruzione e di intimidazione, sui traffici illegali di rifiu-ti tossici, armi, esseri umani, droghe.Il 19 per cento delle inchieste hanno come focus l’ambiente, il 21 per cento l’immigrazione, il 9 per cento le mafie.La provenienza geografica dei parteci-panti mostra una grande sete di giornali-smo d’inchiesta venire dal Sud della penisola: la maggioranza delle proposte arriva da autori del meridione.

Oltre alle risorse finanziarie, il premiofornisce agli autori anche delle forme di tutoraggio per la fase di realizzazio-ne delle video-inchieste, supportandoli nella supervisione e nella consulenza giornalistica e tecnica di professionisti delle testate giornalistiche televisive na-zionali. L’avvocato Giulio Vasaturo, in-vece, garantisce la consulenza legale.

Il termine per la consegna dei progetti di questa quarta edizione del Premio Morrione è fissato per lunedì 8 dicem-bre 2014. I tre progetti selezioniati verranno comunicati entro il 20 gennaio 2015.

La proiezione e premiazione finale dei lavori realizzati avverrà a Riccione all’interno del Premio Ilaria Alpi.

Il premio finale consiste in un ulteriore riconoscimento in denaro di 3.000 euro per il primo classificato e di 1.500euro per ciascuna delle altre due in-chieste. Il primo classificato andrà in onda su Rainews24. Come nelle passate edizioni, le inchieste verranno poi promosse in iniziative e fe-stival italiani e stranieri.

Il premio ha ricevuto il Patrocinio della Presidenza della Camera dei Deputati ed è promosso dalla Direzione Generale della Rai, dall’Assemblea Legislativa dell’Emilia Romagna, Regione Lazio, Rainews24, Raiworld, Eutelsat, Dallah Albaraka, FNSI, Usigrai, Misteriditalia.ite realizzato in collaborazione con Artico-lo 21, Scuola di giornalismo Lelio Bas-so, Tavola della Pace, Liberainformazio-ne.org, Premio Città di Sasso Marconi, UCSI, Gruppo dello Zuccherificio, Inter-nazionale e Rai Radio 3.

Info/ Download bando:www.premiorobertomorrione.it

Contatti stampa: [email protected]

Alessandra Tarquini3479117177

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Napoli

I nipotie il cardinale Il cardinale Sepe, il si-stema di potere e i ni-poti assunti in Eco4

di Arnaldo Capezzuto ladomenicasettimanale.it

Appelli accorati, Giubileo contro la

disoccupazione e per il lavoro. E anco-ra: strigliata alle istituzioni, parole pe-santi indirizzate contro la malapolitica, j’accuse e scomuniche contro i camorri-sti, denunce a viso aperto contro l’eco-nomia malavitosa.

Non c’è niente da dire, il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe è guida lucida, autorevole e sicura. Non solo un pastore spirituale ma soprattutto un’autorità mora-le in una città in continuo disfacimento. E meno male.

Certo però quando si apprende che due nipoti dell’Arcivescovo vennero assunti al chiacchierato consorzio dei rifiuti Eco4, si resta alquanto disorientati. Verità scomodeche emergono dal processo “Eco4” in cor-so al Tribunale di Santa Maria Capuavete-re – dove è imputato per concorso esterno in associazione camorristica l’ex sottose-gretario Nicola Cosentino. Il politico di Casal di Principe si attivò e segnalò ai ver-tici del consorzio i due parenti di Sepe.

A ribadire le nuove-vecchie verità è sta-to Giuseppe Valente, ex presidente del di-sciolto consorzio dei rifiuti Ce4 già con-dannato con conferma in appello a 5 anni e 4 mesi per concorso esterno in associa-zione camorrista, turbativa d’asta, truffa, corruzione e abuso d’ufficio. Ora Valente parla ai giudici nel suo nuovo ruolo di col-laboratore di giustizia e snocciola nomi e cognomi di politici di primo piano, ammi-nistratori, boss. L’ex manager è un fiume in piena. Sia nei verbali d’interrogatorio, sia davanti al giudice sta svelando i mec-canismi, gli accordi segreti, le strategie che hanno negli anni creato un sistema di potere fondato sulla monnezza.

Un grumo di poteri

Un grumo di poteri, una struttura che ruotava attorno a politici del calibro di Ni-cola Cosentino e amici a cui seguiva una sterminata pattuglia di sindaci, presidenti, assessori e consiglieri. Nel pentolone c’eraperfino il sub commissario per l’emergen-za rifiuti Giulio Facchi. Insomma, tutti dentro, per non scontentare nessuno. La storia è sempre maledettamente la stessa: spartizione affaristica per consolidare il potere per il potere e contribuire a far sprofondare Napoli e la Campania nella ventennale finta emergenza rifiuti.

Se un tempo c’era il doroteismo targato Antonio Gava ora in tempi moderni c’è il cosentinismo di Nik ‘o mericano. Gare d’appalto sartoriali, bandi studiati per escludere ditte emanazione di clan nemici,accordi trasversali, costruzione di mecca-nismi clientelari, reticoli invisibili di pote-re distribuito tra i diversi partiti delle coa-lizioni di centrodestra e centrosinistra ma anche tra le varie correnti interne di una stessa formazione politica. Un guazzabu-glio da far rizzare i capelli in testa ai calvi.Fotogrammi di un racconto dell’orrore.

La gestione della cosa pubblica in que-sto disgraziato paese è da sempre privati-stica: “Cosa loro”. A queste alchimie non potevano mancare le strizzatine d’occhio di altri potenti, quelli che indossanotalari, anelli e crocifissi. Non si campa d’aria, i nipoti devono pur mangiare. E Valente spiega: “Seppi da Sergio Orsi (titolare col fratello Michele, poi ucciso dai Casalesi, di Eco4) che erano stati assunti presso Eco4 due nipoti, un uomo e una donna, delcardinale Sepe, non so dire attraverso chi”.“Per il trasferimento di uno dei due – pro-segue - richiesto per una sua esigenza per-sonale (lavorare in una struttura pubblica),dall’Eco4 al Caserta4, mi prodigai in tal senso, assumendolo a Caserta4”.

A questo punto - mettendo eventi e fatti in fila - non è proprio casuale se nella sua precedente vita, il cardinale Sepe, a capo di Propaganda Fide (che gestisce gli im-mobili vaticani e si occupa di evangelizza-zione) si prodiga per far avere uno sconto

sostanzioso all’ex sottosegretario per l’acquisto di un immobile.

Cosentino compra attraverso l’alto prelato un appartamento di lusso nel quartiere Prati di sette vani e mezzo del valore di oltre 630 mila euro ma pagato per poco più della metà. Un gesto di bene-volenza verso l’ex coordinatore regionale di Forza Italia per sdebitarsi di un favore ricevuto.

Illuminante è un’intervista di due anni faa Giuseppe Corbo, ex amministratore del consorzio dei rifiuti ma più che altro prete mancato. E’ stato compagno di Sepe nel Seminario Romano ed è da sempre suo fe-delissimo. Ecco rileggendo quell’intervistae alla luce delle affermazioni in tribunale di Valente è lampante di come Papa Fran-cesco sia un illuso, un gesuita-Don Chi-sciotte che combatte contro i mulini a ven-to. Il nuovo inquilino della Santa Sede lo ha detto appena si è insediato : “Mi chia-mo Francesco perché lui ha incarnato la povertà. Io voglio una Chiesa povera per i poveri”.

La domanda è spontanea: i vari Sepe che ci azzeccano con Papa Francesco? O meglio: la Chiesa di Napoli che peccato hacommesso per avere in Curia un porporatocosì discusso al centro di intrighi e inchie-ste con a seguito la sua scandalosa corte dei miracoli? Misteri della fede. Non è la prima volta per la verità che il nome dell’Arcivescovo finisce in qualche verba-le oppure inchiesta giudiziaria. C’è spazio – infatti- anche per un altro nipote di sua Eminenza, assunto in una società control-lata dall’Anas quando ministro delle Infra-strutture era Pietro Lunardi. Lo stesso che compra a prezzo di favore un palazzo di pregio di proprietà della Santa Sede in via Prefetti a Roma e contemporaneamente autorizza un finanziamento di 2,5 milioni di euro per la ristrutturazione fantasma dell’edificio in piazza di Spagna sede di Propaganda Fide. Inchiesta che vide e vede tra gli indagati il cardinale Sepe, Lu-nardi e i protagonisti della cricca dei gran-di eventi. E come dice l’Arcivescovo: “A Maronna c’accompagna”.www.ilfattoquotidiano.it

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Palazzi

Processo Mannino:il ruolo del RosLa verità sul rapporto “Mafia e appalti”

di Lorenzo Baldo www.antimafiaduemila.com

Palermo. La verità sul rapporto del

Ros fa finalmente luce, secondo il pm Roberto Tartaglia, sulla gestione “lette-ralmente agghiacciante” di una “sporca operazione” del Ros anni ’90

Nella sua minuziosa requisitoria il pm spiega come questa arma difensiva si sia convertita in un effettivo elemento di “prova ulteriore” relativo alla “stabilità” ed alla “illiceità” del rapporto tra il Ros e Mannino.

“Oggi - dice Tartaglia - sappiamo che Subranni e il Ros non hanno denunciato Mannino all’Autorità giudiziaria, ma che anzi, imbattutisi nella posizione di Manni-no nel corso della loro indagine, con delle intercettazioni telefoniche, hanno com-messo gravissimi reati di falso e favoreg-giamento e lo hanno coperto dalle indaginidella Procura di Palermo per 19 mesi e cioè fino a quando, dopo le fughe di noti-zie sull’informativa autentica finita sui giornali, non ne hanno potuto fare a meno e l’hanno depositata in versione ‘piena’ per evitare di essere arrestati!”.

Ma come si è arrivati a ricostruire una tra le vicende più spinose della Procura di Palermo?

Tartaglia ha ripescato una “Relazione sulle modalità di svolgimento delle inda-gini-mafia-appalti negli anni 1989 e se-guenti” redatta il giugno ’98 dall’allora Procuratore di Palermo Giancarlo Caselli (una copia ne era stata consegnata perso-nalmente alla Commissione Antimafia il 3 febbraio 1999): qui vengono indicate tutte le “clamorose ed agghiaccianti anomalie” che hanno contrassegnato la questione dell’informativa mafia-appalti.

L'anomala prima versione

Si inizia dall’anomalia della prima ver-sione del rapporto del Ros, depositata il 20febbraio 1991, priva del nome di Manninoo di altri politici. Giovanni Falcone la rice-ve in quel giorno ma materialmente non sene può occupare perché già designato come Direttore degli affari penali al Mini-stero; la consegna al Procuratore Pietro Giammanco per la riassegnazione.

Il 25 giugno dello stesso anno la Procuradi Palermo, sulla base di quella informati-va e di ulteriori approfondimenti investi-gativi, chiede l’arresto di sette dei soggettidenunciati nel rapporto: Siino, Li Pera, Fa-rinella, Falletta, Morici, Cascio e Buscemi.Per gli altri indagati il 13 luglio del ’92 viene chiesta l’archiviazione.

Non ci sono politici tra le richieste di custodia cautelare, né tanto meno tra le ri-chieste di archiviazione.

Una fuga di notizie misteriosa

Subito dopo l’istanza di archiviazione scoppia una violentissima polemica me-diatica contro la Procura di “rea” di aver fatto sparire la posizione di Mannino e di altri politici importanti. Vengono pubblica-ti stralci di intercettazioni, alcuni anche ri-guardanti Mannino: una fuga di notizie misteriosa, in quanto riguardava atti inve-stigativi che in quel momento la Procura di Palermo non aveva. Chi aveva fatto uscire quei brogliacci?

Il 5 settembre ’92, un anno e mezzo dopo il deposito della prima informativa, ilRos di Subranni “costretto da una non pre-vista campagna di stampa che rischiava di far scoppiare lo scandalo” si decide a de-positare una seconda informativa mafia-appalti che contiene espliciti riferimenti a Calogero Mannino, Salvo Lima e Rosario Nicolosi.

“Ma questa seconda informativa, final-mente completa - dice Tartaglia - contiene acquisizioni investigative su Mannino e sui politici addirittura di un anno antece-denti alla data della prima informativa”.

Questa seconda relazione, presentata 19 mesi dopo la prima, riporta acquisizioni investigative su Mannino che già c’erano ed erano state elaborate molto prima della informativa di febbraio ‘91, e che però erano state inspiegabilmente “escluse, stralciate, nascoste” dal rapporto mafia-appalti.

La relazione all'Antimafia di Caselli

Per approfondire ogni passaggio Tarta-glia rilegge ampi stralci della relazione co-negnata da di Caselli all’Antimafia.

“Le indagini condotte dai magistrati del-la Procura di Palermo negli anni 1991-1992 – dice Caselli - furono condizionate da talune anomalie, ed in particolare si svolsero senza disporre delle integrali ed effettive risultanze investigative che pure il Ros aveva già acquisito fin dalla prima metà dell’anno 1990”.

Alcuni nomi di politici (Lima, Nicolosi e Mannino) venivano per la prima volta a conoscenza della Procura della Repubblicadi Palermo – spiega Tartasglia - solamenteil 5 settembre 1992, quando con una infor-mativa a firma del capitano del Ros Giu-seppe De Donno “venivano per la prima volta riferiti l'esistenza ed il contenuto di intercettazioni telefoniche eseguite e in gran parte già trascritte nel 1990 e nel 1991, recanti la citazione di personalità politiche nazionali”.

Il pm si chiede chi potesse avere “la possibilità e l'autorità” di eliminare dall'informativa le fonti di prova riguar-danti i politici Lima, Nicolosi, Mannino, prima che venisse consegnata alla Procura di Palermo.

Le omissioni effettuate nell’interesse di Mannino e Nicolosi sono state quindi “frutto di preliminari intese con gli stessi Nicolosi e Mannino, che avevano contatta-to i Carabinieri?”, si domanda ancora il pm. “Chi, nel Ros, poteva avere la forza diepurare quella informativa e di proteggere Mannino? Chi, se non il suo Comandante Subranni?”.

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'Nrangheta

Ambasciatornon porta pena?Latitanza Matacena: tragli indagati l'ambascia-tore italiano negli Emi-rati Arabi

di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari www.antimafiaduemila.com

Mentre a Palermo i pm che indagano

sulla trattativa Stato-mafia vengono in-sultati e abbandonati dalle istituzioni a Reggio Calabria ci sono pm che imper-territi, stanno svolgendo importantissi-me inchieste non solo sui mafiosi ndranghetisti ma anche su quei colletti bianchi perfettamente inseriti nel con-testo del sistema criminale.

Sembra a una svolta l'indagine coordi-nata dal procuratore Federico Cafiero de Raho e condotta dai pubblici ministeri Giuseppe Lombardo (in foto) e Francesco Curcio, sulla latitanza dell'armatore Ame-deo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia, condannato in via definitiva dalla Cassazione (deve scontare tre anni di car-cere, ndr) per i suoi rapporti con la cosca Rosmini. Con l'accusa di favoreggiamentopersonale aggravato dall'articolo sette (ag-gravante mafiosa, ndr) è finito al registro degli indagati l'ambasciatore italiano negliEmirati Arabi Uniti, Giorgio Starace.

Gli investigatori sarebbero arrivati a lui seguendo un' informativa trasmessa alla Dda dal colonnello della guardia di finan-za Paolo Costantini, fino al marzo scorso in servizio presso i servizi segreti per con-to dei quali ha diretto proprio il centro operativo di Dubai.

Interrogato dai pm il 6 giugno scorso il colonnello Costantini ha accusato Starace di aver fatto pressioni nei confronti delle autorità di Abu Dhabi e, nello stesso tem-po, aver aiutato Matacena non comuni-cando a Roma alcune informazioni utili all'autorità giudiziaria italiana.

L’8 marzo scorso furono arrestati l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, le se-gretarie degli stessi Matacena e Scajola, i collaboratori dell’imprenditore reggino i quali si sarebbero adoperati nell'organiz-zare il trasferimento del latitante in un paese più sicuro, il Libano (lo stesso Pae-se in cui avrebbe voluto trascorrere la pro-pria latitanza l'ex parlamentare di Forza Italia condannato per mafia, Marcello Dell'Utri, ndr).

I giudici lasciati all'oscuro

Il fatto è che l'ambasciata italiana avrebbe omesso di informare i pm cala-bresi, al momento della trasmissione dellarogatoria per ottenere l'estradizione di Matacena, che negli Emirati non sarebbe stata autorizzata l’estradizione per il reato di concorso o di associazione mafiosa ma che invece doveva essere richiesta per l'ipotesi di concorso nel riciclaggio inter-nazionale (era ricercato anche per questoreato, ndr).

Una mancata segnalazione che compor-tò un negativo esame della richiesta di estradizione, con il risultato che Matacenaresta libero.

Secondo l'accusa “L’ambasciatore Sta-race ha esercitato pressioni insistenti per i modi e per i tempi, che servivano a garan-tire a Matacena le migliori condizioni possibili di permanenza nel Paese”.

'Ndrangheta e sistema bancario

Il nome dell'ambasciatore compariva anche in altre inchieste in Liguria sui rap-porti della ’Ndrangheta con il sistema bancario ligure. In quelle indagini veniva-no segnalati i rapporti tra lo stesso Staraceed il faccendiere Andrea Nucera coinvoltonelle inchieste genovesi. Un ristorante chesarebbe base dello stesso Amedeo Mata-cena.

Proprio sulle difficoltà che hanno impe-dito l'estradizione di Matacena è stato au-dito recentemente il sostituto procuratore Lombardo alla commissione parlamentareAntimafia. Quest'ultimo, oltre a riferire a grandi linee l'indagine avrebbe registrato la “sensazione” dell'ufficio di Procura chea complicare i vari passaggi vi siano stati iproblemi tra il ministero degli Affari este-ri e l'ambasciata a Dubai.

Osservando le inchieste condotte a Reg-gio Calabria emerge più che mai l'impor-tanza del contrasto che si sta conducendo.

Da una parte quello nei confronti della 'Ndrangheta, la criminalità in questo mo-mento più forte al mondo sul piano eco-nomico, totalmente padrona del traffico internazionale di stupefacenti (in grado di foraggiare l'economia mafiosa per oltre cento miliardi di euro all'anno in nero su un totale di duecento miliardi provenienti anche dalle estorsioni e dagli appalti, ndr),e presente in ogni lato del Globo (dall'Ita-lia all'Australia, passando per il Canada, ilSud America, la Russia e più Stati dell'Europa, ndr).

Dall'altra le inchieste sui colletti bian-chi, come quella sulle coperture per la la-titanza di Matacena, che dimostra come questi, da semplici uomini corrotti, si ele-vino fino a diventare parte di un Sistema Criminale.

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Trattativa

Il silenziodegli innocentiAtmosfera pesante a Palazzo. A Palermo, a Roma...

di Lorenzo Baldo www.antimafiaduemila.com

Palermo. “The day after”. Il giorno dopo l’ordinanza che vieta la partecipa-zione degli imputati all’udienza del processo sulla trattativa che si svolgerà il 28 ottobre al Quirinale, al Palazzo di giustizia si respira un’atmosfera che ri-corda il film dell'83 di Nicholas Meyer.

Paragone azzardato? Probabilmente. Ma sicuramente sono reali le macerie la-sciate dall’uragano che continua ad abbat-tersi sulla Procura di Palermo fin dall’ini-zio delle indagini su quello che è diventa-to il processo sul patto scellerato tra mafiae Stato. Non basterebbero mille pagine per contenere gli insulti, spesso anche violenti, riversati sui pm che investigano sulla trattativa: Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi (Antonio Ingroia in primis).

Per comprendere il tenore di questi at-tacchi basta rileggere la principale qualifi-ca gettata addosso a quei magistrati che hanno osato mettere alla sbarra un sistemadi potere criminale.

Li hanno definiti “eversori”

“Eversori della Costituzione”, sono statidefiniti da un coacervo di politicanti, gior-nalisti e pseudo intellettuali.

Le macerie che restano oggi sono quelledella delegittimazione, dell’isolamento e dello sfiancamento psicologico. Dopo mesi e mesi di lettere minatorie contro specifici magistrati, di incursioni nelle loro case e di violazioni dei loro uffici (ul-timo caso quello del Procuratore GeneraleRoberto Scarpinato), il “palazzo dei vele-ni” ripropone l’antico cliché già speri-mentato ai tempi di Falcone, Borsellino e ancora prima: invidie, gelosie, maldicen-ze, sospetti e pugnalate alle spalle.

Lo spirito del “coccodrillo”, che prima azzanna la sua preda e poi piange, è in ag-guato dentro e fuori questo edificio, pron-to a compenetrare chi si siederà nelle pri-me file al prossimo funerale di Stato.

Dalla Procura non intendono commen-tare l’ordinanza del Presidente della Cortedi Assise, Alfredo Montalto. Ma quello che traspare è comunque un profondo sen-so dello Stato che impone loro di andare avanti nella ricerca della verità sul bienniostragista ‘92/’93.

In un altro Paese questi magistrati sa-rebbero stati sostenuti dalle istituzioni, dalla politica e dalla stampa. In Italia sonocostretti a difendersi dal fuoco incrociato. E soprattutto dal fuoco amico.

Ecco allora che il titolo di un altro film, questa volta interpretato nel 1991 da JodieFoster e Anthony Hopkins, ci aiuta a ritro-vare la sintesi di una guerra a senso unico che si sta consumando davanti ad un Pae-se anestetizzato.

Ed è proprio “il silenzio degli innocenti” quello che ferisce maggior-mente. Che va oltre la violenza delle paro-le gridate o scritte contro il pool. Il silen-zio di ex magistrati prestati alla politica, degli intellettuali, del Csm e dell’Anm di fronte allo stravolgimento della realtà.

Ma davvero fa tanta paura?

Ma davvero questo processo fa così tan-ta paura da indurre al silenzio chi avrebbe tutta la legittimità per entrare nel merito e ristabilire la verità dei fatti? Lo chiediamoinnanzitutto al Presidente del Senato, Pie-ro Grasso, al Presidente dell'Autorità Na-zionale Anticorruzione, Raffaele Cantone,al Presidente della Commissione presso palazzo Chigi che si occupa di norme e procedure contro la criminalità organizza-ta, Nicola Gratteri, al senatore Pd Felice Casson e a tutti coloro che inspiegabil-mente tacciono.

“Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti”, disse tanti anni fa il premio Nobel per la pace, Mar-tin Luther King, prima di essere ammaz-zato. A futura memoria.

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Strumenti

Emilia/DossiermafiaCronaca 2012-2014

12 beni confiscati in via definitiva e 448 sequestrati per un valore di 21 mi-lioni tra l'agosto 2013 e il luglio 2014. Con questi dati estratti dalle numerose recenti indagini l’Emilia-Romagna si piazza al primo posto tra le regioni a nord del Lazio come numero di provve-dimenti. Un boom che dimostra la real-tà preoccupante delle infiltrazioni nel tessuto economico della Regione ma cheparte sicuramente da lontano.

Ed è proprio allo scopo di analizzare al-cuni aspetti di questa infiltrazione, in al-cune province è ormai un vero e proprio radicamento, che nasce il dossier “Emilia-Romagna, Cose Nostre”, realizzato da Gruppo Dello Zuccherificio, Gruppo An-timafia Pio La Torre e Gaetano Alessi.

Non si tratta di un'opera letteraria, né di un esauriente testo universitario che tratta il tema delle mafie con carattere scientifi-co, ma di una vera e propria “cassetta de-gli attrezzi” che vuole fornire, a chi acco-sta il tema della criminalità organizzata in Emilia-Romagna, uno spunto di riflessio-ne in più sulla realtà economica e sociale che lo circonda.

Le società coinvolte

Nel dossier si possono trovare cenni alle origini delle infiltrazione, alle società coinvolte nella gestione di appalti pubbli-ci a non, alla gestione del traffico di drogae del gioco d’azzardo. Questi due settori, sempre in costante aumento, portano con loro enormi problemi sociali che vanno oltre l’aspetto criminale come l'aumento

vertiginoso dei morti per eroina bianca e la costante crescita delle ludopatie: nel 2013 l’Emilia-Romagna è stata la quarta regione in Italia con 3.627 milioni di euro spesi annualmente, 3.773.000 giocatori, dicui 61.567 problematici.

Una parte corposa viene dedicata alle questioni più recenti riguardanti quella che tra Romagna e San Marino potremmoben definire la “stagione dei sequestri”. Sequestri, a cui seguono confische, per cedere poi il passo alla delicata fase dell'amministrazione giudiziaria.

Tutte vicende riguardanti in gran parte attività alberghiere, night-club e altri im-portanti esercizi turistico-commerciali della Riviera finiti sotto l'attenta lente de-gli investigatori proprio sulla commistio-ne avvenuta in questa zona tra capitali mafiosi, economia grigia (oaddirittura “nera”) e attività apparentemente lecite.

Tutto il dossier è scaricabile gratuitamente su:www.gruppodellozuccherificio.org , www.grup poantimafiapiolatorre.it , www.gaetanoalessi. blogspot.it

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Napoli

Rione Traianoradici e storie“Stava come un pazzo, col fuoco negli occhi. Ma a poco a poco...”.Origini della violenza inuna città del Duemila

di Umberto Piscopo www.napolimonitor.it

Il modo in cui la grande stampa ha raccontato il contesto sociale dell’omici-dio di Davide Bifolco, riducendo tutta la questione a un problema di ordine pubblico; i commenti dei tanti maestri di pensiero locali e nazionali, oscillanti tra la colpevolizzazione degli abitanti dei ghetti urbani e gli spauracchi, sem-pre agitati a sproposito, di infiltrazioni camorriste o di solidarietà eversive con centri sociali e altri portatori di conflit-to; l’impotenza del sindaco, l’ostentata indifferenza delle altre istituzioni laichee religiose, in generale il coro stridente e rumoroso che si leva dai benpensanti in queste tragiche occasioni, ci hanno indotto a mettere in cantiere una serie di reportage sulla condizione giovanile nei tanti ‘rione traiano’ della città.

Un modesto contributo per arginare la marea delle ipocrisie e delle falsità, sa-pendo bene che per sottrarre la gioventù dei nostri quartieri alle sirene ambigue della malavita e all’abbandono dei gover-nanti, l’unico modo passa per una azione coordinata e perseverante nei territori, al fine di portare in superficie la dignità, i punti di vista, le esigenze e anche le con-traddizioni di quelli che ci abitano.

Una collina di tufo

L’acqua della pioggia che scende dalla collina ha scavato nel corso del tempo dei valloni nel tufo, profondi fino a trenta me-tri, dove cresce spontaneamente un bosco di castagni. Il professor Marcello Canino ha scelto questa zona accidentata ai piedi della collina dei Camaldoli, per il progettoaffidatogli a metà degli anni Cinquanta dal comitato di coordinamento per l’edili-zia popolare (CEP).

“Era un caso quasi unico, perché è ben noto quante difficoltà si incontrino a crea-re zone verdi nei nuovi quartieri popolari. In questo caso le zone verdi vi erano già naturalmente e bastava preservarle inne-standole nella composizione urbanistica”.

La pianta del quartiere si sviluppa se-guendo la complessa morfologia del terri-torio, affidando l’attraversamento dei val-loni alberati a una serie di ponti, che avrebbero collegato sette pianori, ognuno dei quali destinato ad accogliere un nu-cleo minore del quartiere. Nel tessuto ur-bano sono integrati servizi e trasporti, dai cinema alle palestre, strutture per l’assi-stenza medica e sociale, biblioteche.

Il progetto entra a far parte del piano re-golatore il 19 settembre 1957. L’anno se-guente, il plastico di questa nuova zona diNapoli viene esposto alla Mostra d’Oltre-mare. Mentre Canino e altri architetti e ur-banisti guardano con fiducia al futuro, si dà il via al programma finanziario: per al-tri, è qui che comincia la parte interessan-te.

In una traversa del viale Traiano, via Lattanzio, c’è una scuola abbandonata. È distrutta, rimane in piedi solo lo scheletro,ingombro di detriti e mobili sfondati. En-trando nel parco si vede un solo muro an-cora integro, dietro il quale c’è la palestra di boxe di Guido De Novellis. L’ex cam-pione italiano di pugilato, tredici anni fa ha avuto in concessione questo spazio ab-bandonato e col tempo l’ha trasformato.

Ora è un unico ampio spazio, dalle pareti molto alte, tappezzate di bandiere nella parte superiore e di fotografie in quella in-feriore. Le immagini ritraggono il nonno ciclista su una splendida forcella, ai tempidelle sue gare agonistiche; c’è De Novel-lis, quando gareggiava a livello nazionale.

Me ne mostra un’altra in bianco e nero di suo figlio, piccolo e coi guantoni enor-mi, all’angolo del ring. E poi lo stesso soggetto, però grande, grosso e a colori, che alza le braccia dopo una vittoria. Quando questa palestra venne inaugurata le occasioni per fare sport, amatoriale o agonistico che fosse, erano scarse.

Dietro la scuol aabbandonata

Il Polifunzionale non era che una mon-tagna di cemento e miliardi rubati alla collettività, cosa che continua a essere an-cora oggi, malgrado tre campi da basket e pallavolo in funzione. De Novellis, brac-cia incrociate e parlata veloce, mi spiega che continua a esserci una folla di personeche nei giorni dispari si allena attorno al suo ring. Nei giorni pari, invece, la pale-stra è dedicata all’allenamento di chi non può permetterselo. È un martedì il giorno in cui lo vado a trovare.

Sul linoleum si massacrano di esercizi dei ragazzi intorno ai diciotto anni, sono tutti venuti lì a chiedere di poter frequen-tare la palestra gratuitamente.

Il maestro mi dice che se un ragazzo ha una famiglia che non lo segue o che non può permettersi di farlo, se questo conti-nua a non trovare lavoro, gli si dovrebbe almeno dare la possibilità di tenersi in for-ma fisicamente, di essere educato dalla di-sciplina dello sport. Mi indica un ragazzi-no che fa addominali: «Quello quando en-trava stava come un pazzo, col fuoco ne-gli occhi. Pian piano l’ho fatto sfogare, haimparato a mantenere la concentrazione, ora è più tranquillo, più maturo, il padre è contentissimo».

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Gli chiedo come fa a essere sicuro che sia nullatenente chi si presenta per alle-narsi gratis. Lui mi risponde che questa iniziativa è fatta per aiutare non solo fisi-camente, ma anche psicologicamente: se qualcuno ha i soldi e fa finta di essere po-vero per risparmiare quaranta euro, vuol dire che anche lui ha bisogno di aiuto.

Il rione è un circuito chiuso

Nel frattempo i motorini passano rumo-rosi sullo stradone che collega il rione al resto della città. Vengono allo scoperto e poi subito scompaiono nelle strade che si addentrano nel centro abitato, dove ho sempre la sensazione di trovarmi a casa diqualcuno che non mi ha invitato.

Il rione è un circuito chiuso, dove le fa-miglie e le generazioni si sovrappongono, creando in alcune zone un intreccio ine-stricabile di conoscenze. La chiusura ac-corcia gli orizzonti e i margini di scelta.

La disoccupazione non può essere un alibi per chi entra a far parte in modo atti-vo dei meccanismi del Sistema ma, ad ascoltare chi racconta la sua esperienza, chi non si costruisce da sé una via di usci-ta, rischia di infilare una corsia che ti fa correre restando sul posto. Perché va benemettersi in proprio, essere bravi a fare qualcosa, «…ma mai esagerare. Devi sempre restare con le Converse ai piedi e la macchina scassata. Se cominci a salire già non va bene».

Saper fare qualcosa è più che lavorare, avere una passione è qualcosa di più forte ancora. C’è chi è partito dall’ossessione per il disegno, ha investito la sua prima vera paga in un kit per tatuatore e da auto-didatta ha imparato un mestiere, si è assi-curato una clientela, trovando un terreno

solido su cui poter contare per arrivare a fine giornata e non dover chiedere niente a nessuno, sottraendosi con grande sforzo da una forza magnetica che nel rione lo voleva attirare verso il basso.

Diversa è la storia della persona che in-contro a Fuorigrotta, nella carrozzeria dove lavora. Si chiama Lello. Mi fa sede-re davanti a una scrivania ricavata dalla parte anteriore di una Peugeot e comincia a parlare del luogo dove ha vissuto, quellavia Tertulliano dove sembra che all’inizio della strada ci sia una porta invisibile, e tutto cambia nello spazio di pochi metri: tutti passano, rapidamente e senza sosta, ma in realtà nessuno entra e nessuno esce.

Nelle scale del condominio c’è un batti-tacco di marmo che si sposta e nasconde la merce del piccolo spacciatore del posto.Lello ha la passione per l’arte, nella sua cantinola costruisce un laboratorio dove dipinge. All’epoca spazi del genere veni-vano presi di mira da chi non aveva un posto per vivere, soprattutto dopo il terre-moto dell’Ottanta.

La conseguenza è che Lello e la sua fa-miglia devono lottare per conservare quel-la piccola stanza sotterranea dove vengo-no create le tele che adesso, mentre parlia-mo, escono da dietro gli scaffali, tra stru-menti di lavoro e pezzi di carrozzeria, ri-coperte di polvere e macchiate da schizzi di vernice.

I personaggi dei dipinti di Lello si de-formano, hanno bocche enormi a furia di lanciare urla sguaiate, gli occhi spalancati e i corpi in allarme. Poi sculture in ferro, nella stanza dove si conservano in ordine le latte di colore per la verniciatura delle auto: figure lacerate e primitive, dai colorivivi ma resi invisibili dalla polvere.

Un ragazzino per fare il palo prende tre-

centocinquanta euro a settimana rischian-do ogni giorno la galera. Più o meno per la stessa somma, se imparasse il mestiere, Lello lo assumerebbe in carrozzeria. Im-parare però non è che la parte tecnica di una questione più grande, che consiste nelsapere di avere una alternativa.

“Troppe cose da raccontare”

Su una delle grandi strade di attraversa-mento del quartiere, al piano terra di uno dei palazzi che la costeggiano, ci sono le sedi dei partiti, uno al fianco dell’altro: partito comunista, partito democratico, nuovo centro destra e un grande bar in sti-le neobarocco, con un’insegna che arriva quasi al primo piano del palazzo e neon che di notte illuminano l’asfalto. Nello stesso palazzo abita Antonio.

Quando entro e gli faccio i complimentiper la casa lui tentenna nel rispondermi: cisono troppe cose da raccontare, se vengo-no fuori tutte assieme non si riesce a dirle,bisogna sedersi e parlare con calma. Anto-nio nel 1980 studiava architettura. La donna che ora è sua moglie, invece, lin-gue all’Orientale.

Avevano due figli piccoli, uno tra le braccia di lui, l’altro tra quelle di lei, quando il 23 novembre 1980 la loro casa aMontesanto cominciò a ondeggiare e pen-sarono di morire.

Si salvarono invece, ma persero tutto. Ilterremoto aveva danneggiato, oltre alla loro casa, i luoghi dove avevano investito per anni le loro energie, creando con un lavoro di anni una scuola a tempo pieno.

Antonio, che non disponeva dei dodici milioni a fondo perduto che in quell’occa-sione pretendevano per dare una casa in affitto, era destinato ai container.

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Un edificio a Soccavo

Per evitare tutto questo, individuò un edificio di proprietà del comune, a Socca-vo, e occupò un appartamento. Non era però una occupazione come le altre: il pa-lazzo non era stato completato, non c’era-no le mura, si dormiva coi giubbotti, con materiali di recupero a fare da pareti esterne.

Antonio mi indica il corridoio in fondo, dove adesso si trova una delle stanze: al posto di quella porta si vedeva il palazzo di fronte. Questa occupazione non ha una organizzazione dietro, c’è solo una voce che gira, e dice che uno studente di sini-stra fa occupare appartamenti agli sfollati:lo fermano per la strada e gli chiedono se è lui quello che dà le case gratis.

Il palazzo si riempie, col tempo i lavori di costruzione vengono terminati e negli anni la famiglia che per prima occupò l’immobile continua a ristrutturare l’appartamento, rendendolo il posto acco-gliente che è adesso.

Ma Antonio non si ferma, al piano terra c’è uno spazio inutilizzato che occupa tut-to il piano terra dell’edificio, più un livel-lo interrato delle stesse dimensioni.

Un progetto di centro culturale

Con un grande lavoro l’ex studente di architettura elabora un progetto per riqua-lificare quel luogo, per creare un centro culturale. Appena accenna all’argomento tira fuori una pianta in scala che spiega sututta la scrivania: al primo piano una bi-blioteca, con una sala riunioni, un’area ri-creativa e un ampio spazio dedicato al coordinamento tra le associazioni culturalidella città. Il piano inferiore è dedicato alle attività per i bambini, al cinema, alla musica, al teatro. Il progetto viene appro-vato dal comune.

C’è qualcosa però che succede tra l’approvazione di un progetto e la sua rea-lizzazione.

C’è una istituzione che firma, ma poi cen’è un’altra che deve controfirmare. Uno spazio resta vuoto, inutilizzato, i fondi si perdono nel nulla e i lavori non vengono completati. Le proposte vengono ascolta-te, approvate, addirittura incoraggiate ma poi niente si muove. Fino a quando, all’improvviso, tutto si sblocca, ma non nel modo che pensavi. Al posto del centroculturale vengono assegnati i locali alle sedi di partito che in realtà sono centri perla vendita di servizi di patronato.

Il solito meccanismo clientelare

Il solito meccanismo clientelare che nonascolta ragioni, non guarda ai progetti, alle proposte, forza il meccanismo ungen-

dolo col denaro, fino a deformarlo, alte-randone il funzionamento: a quel punto non c’è neanche più bisogno di forzare, le cose vanno avanti in modoufficioso e regolare.

Chi con me ha parlato della sua

esperienza, quando ha dovuto difendersi dalla malavita organizzata, ha trovato nel-lo stato un secondo nemico, alleato al pri-mo grazie alla forza della corruzione e della mediocrità. E non si tratta di mele marce.

Spazi verdi? No, discariche

Fin dai primissimi giorni della costru-zione del rione Traiano, nelle vallate che il professor Canino voleva diventassero lospazio verde del rione, i camion scarica-vano di notte i detriti che provenivano da-gli altri cantieri privati, scarti di una spe-culazione edilizia che guadagnava terrenosulla città, distruggendo e ricostruendo senza freni.

I castagni sommersi dai rifiuti

In breve tempo i boschi di castagni furono sommersi dai detriti e dai rifiuti.

Prima ancora che i ponti per l’attraver-samento dei valloni fossero completati, non c’era più nulla da attraversare. Le au-torità impedirono a stento lo scempio; a cose fatte, invece di intervenire sui re-sponsabili, si decise di accettare la cosa e di costruire le strade su quelle opere di riempimento coatto.

Il viale Traiano sorge su un cumulo di rifiuti dell’edilizia e dell’industria. Il pro-getto per la costruzione del quartiere, or-mai snaturato, fu comunque portato avan-ti, e alcuni suoi risultati si distinguono an-cora oggi da un punto di vista architetto-nico e funzionale.

Ma il terremoto creò l’emergenza, che asuo volta diede il pretesto per nuovi rima-neggiamenti, venne data priorità alle abi-tazioni, rimandando a data da destinarsi lacostruzione delle infrastrutture e dei servi-zi.

Confinate qui le classi povere

Nel nuovo quartiere vennero confinate le classi povere in emergenza abitativa. Oggi, persone che non hanno mai visto una periferia, intellettuali mediocri giudi-cano da lontano, seduti su una poltrona in televisione, e decidono a tavolino, secon-do i propri interessi, qual è il motivo per cui un ragazzo viene sparato da un poli-ziotto, o perché centinaia di vite sono ro-vinate o spezzate sul finire di vicoli cie-chi.

Si continua a versare detriti sul rione, sommergendo quel che resta di buono, fa-cendo il gioco di chi ha tutto l’interesse perché il quartiere resti isolato, le idee non circolino, le possibilità non arrivino a chi vorrebbe che le cose in quel posto nonandassero così. Le porte del rione Traiano non si sono chiuse da sole.

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Società

Lo strozzinomafiosoLibera: «Mafia, usura, povertà: un trinomio inscindibile»

di Monica Amendola www.popoffquotidiano.it

Per effetto della crisi e delle misure

restrittive delle banche, le piccole im-prese hanno sempre più difficoltà ad accedere al credito, e si rivolgono a usu-rai. Ma negli ultimi anni questi sono so-prattutto clan mafiosi. Che s'impadro-niscono così dei beni delle vittime.

«Negli ultimi anni, per effetto della cri-si, i criteri di accesso al credito bancario si sono ristretti, e sono diventati difficol-tosi soprattutto per le piccole imprese. Percui, quando queste hanno bisogno di sol-di, ricorrono ad altri criteri per ottenerli, finendo, così, nelle mani di usurai. Di re-cente è cambiata la figura dello strozzino: l’attività usuraria è ormai sempre più svolta dai clan mafiosi, che utilizzano il denaro proveniente dalle piccole imprese, soldi puliti, per investirli in borsa, per esempio, e guadagnare ulteriormente». Don Marcello Cozzi, vicepresidente di “Libera”, descrive così il recente fenome-no dell’usura, riguardante, negli ultimi anni, duecentomila commercianti.

I primi effetti della crisi sono stati una perdita di redditività delle imprese e una diminuzione del potere d’acquisto di sala-ri e stipendi. Gli Stati dell’Unione euro-pea hanno reagito alla recessione con mi-sure sempre più restrittive dell’economia, come il fiscal compact e il patto di stabili-tà, tagliando i fondi dedicati al welfare e prendendo come unico indicatore di cre-scita economica il Pil, più che il benesseredelle popolazioni.

Risultato: tre milioni e duecentotrenta-mila famiglie a rischio povertà solo in Ita-lia. Il dodici percento della popolazione, in tutto dieci milioni e mezzo di persone.

245mila commercianti rovinati

Questo panorama è evidente soprattutto dalla situazione delle piccole imprese ita-liane: stando agli ultimi dati di Confeser-centi, solo nel biennio 2010-2012 hanno chiuso i battenti duecentoquarantacinque-mila attività commerciali, soprattutto commercianti al dettaglio, artigiani, ali-mentaristi, fruttivendoli, mobilieri, negozidi abbigliamento e ristoratori; a Roma si calcola una media di due fallimenti al giorno per le imprese di ristorazione. Ne èindice il rapporto della Banca d’Italia, chestima a centottantamila euro i debiti delle attività in crisi; o quello dell’Istat, che cal-cola difficoltà sempre crescente per oltre il trenta percento delle imprese.

Altrettante, in effetti, sono le attività che negli ultimi anni hanno dovuto chie-dere un prestito; ma non alle banche, ben-sì a persone singole o associazioni. Così facendo, il commerciante di turno inizial-mente spera di risolvere la sua situazione, ma il tasso di interesse raddoppia, si mol-tiplica. E per l’impresa pagare diventa sempre più difficile. La Guardia di finan-za riceve ogni anno quasi diciottomila se-gnalazioni di tassi di interesse elevatissi-mi.

Così la mafia lava i soldi sporchi

Qui sta il tratto tutto italiano. La vec-chia figura dello strozzino è passata di moda, per lasciare spazio ai clan mafiosi: cinquantaquattro, calcolati da Libera anti-mafie, che non a caso, per descrivere il fe-nomeno dell’usura, utilizza l’espressione «il Bot delle mafie». «La caratteristica di questo nuovo tipo di usura è l’enorme abi-lità dei clan di inserirsi nelle difficoltà economiche delle imprese e di supplire al vuoto che le banche lasciano: in questo modo possono entrare anche in territori prima vergini al loro operato e utilizzarli come “lavanderia”. Perché le mafie utiliz-zano i loro soldi, ottenuti disonestamente, per infiltrarsi nell’economia pulita e po-terli poi riciclare per altri scopi. Il tratto distintivo dell’usura di cosca è che

l’obiettivo finale dell’azione usuraria è non quello di ottenere i soldi, bensì i beni della vittima. Non a caso il tesoro degli usurai è composto principalmente di proprietà immobiliari, società di capitale, ville e automobili di lusso. Per questo il lavoratore dipendente non è appetibile, e vengono colpite le imprese», si legge nel dossier sull’usura stilato proprio dall’associazione. Un meccanismo che staalla base delle infiltrazioni camorristiche in Veneto e in Toscana; o della ‘Ndrangheta in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna.

La campagna “Miseria ladra”

«Le varie Dda, durante le loro operazio-ni contro i clan mafiosi, hanno sequestratooltre duecentocinquanta milioni di euro li-quidi, letteralmente nascosti dovunque, pronti ad essere investiti in borsa», ha concluso don Cozzi. Per questo, a un gior-no dalla giornata mondiale della lotta alla povertà (17 ottobre 2014), Libera lancia un allarme per bocca di Giuseppe De Marzo, coordinatore nazionale della cam-pagna “Miseria ladra”: «In un Paese comeil nostro, con il quarantaquattro percento di disoccupazione, cui è dovuto il dicias-sette percento di dispersione scolastica e quasi un milione e mezzo di minorenni in situazione di povertà, favorisce le mafie.

Per lottare contro di loro occorre solo l’uguaglianza sociale, sancita nei primi dodici articoli della Costituzione. Le asso-ciazioni a delinquere riescono a coprire i vuoti di potere lasciati dallo Stato. Le banche hanno ricevuto quattordici milionidi euro, ma, non avendo l’obbligo di uti-lizzarli nell’economia reale, li investono nella finanza, che è per loro più redditizia».

Per questo “Libera”, nel presidio del 17 ottobre 2014, ha dato vita a un presidio davanti a palazzo Montecitorio, a Roma, per chiedere una maggiore spesa nel wel-fare e misure che aumentino il benessere reale delle persone. «Una democrazia che non investe nei bisogni dei cittadini - dicedon Ciotti - è una democrazia malata».

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Belpaese

Chi ci staalluvionandoÈ una storia che viene da lontano, quella dellealluvioni. Sono più re-munerativi, sia per le economie legali che perquelle illegali, gli inter-venti legati alle emer-genze di turno e alla ri-costruzione

di Antonella Beccaria

Emergenze che fin troppo spesso si sono legate a disastri edilizi, figli dei “sacchi” speculativi della storia recente,e che sono state generate da danni idro-geologici che discendono direttamente da quei disastri.

Era il 30 gennaio 1973 quando il sena-tore Gerardo Chiaromonte affermò: «Non esiste in Italia materia più studiata e ap-profondita di quella che riguarda la difesa del suolo. Esistono biblioteche intere pie-ne di libri, di inchieste, di relazioni: cosa dobbiamo ancora conoscere?».

I fatti di Genova, dell'alessandrino o di Parma dell'autunno 2014 erano ancora molti lontani e oggi in pochi ricordano che, dagli albori della prima Repubblica alle cronache dell’estate scorsa, il passato della nazione è stato percorso da catastrofi- 170 alluvioni, la maggior parte nell'ulti-mo trimestre di ogni anni - di cui a livello di dibattito pubblico si parlò, ma non con l’enfasi che sciagure del genere avrebberomeritato.

Dal Volturno al Po

Inondazioni come quelle avvenute tra lafine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta in Campania (2 ottobre 1949, con l’esondazione dei fiumi Volturno e Calore, evento definito «una specie di Pompei delle acque») e in Calabria (22 ot-tobre 1951, 100 vittime, con tragica repli-ca due anni più tardi lungo la costa ionica)furono di fatto archiviate tra la disatten-zione generale.

Più clamore suscitò l’alluvione del Po-lesine, nel novembre 1951, a cavallo tra leprovince di Rovigo – quella più colpita dall’espansione improvvisa delle acque del Po insieme al Ferrarese, Mantova e, inparte, al basso Veneziano – e di Venezia.

Gli alluvionati del Polesine

Con un bilancio di 84 morti, una qua-rantina di dispersi e 180mila senzatetto, l’evento fu il peggiore del Novecento, di-ventando anche oggetto di un documenta-rio americano, Storm over Italy, il cui obiettivo era «far conoscere agli Stati Uniti e al mondo intero la tragedia della Val Padana». Sia da Washington sia dai Paesi del blocco sovietico giunsero con-vogli e aiuti.

Per quanto riguarda le cause del disa-stro, le precipitazioni che da ovest si era-no spostate a est avevano effettivamente ingrossato i corsi d’acqua che si gettavanonel Po, ma risultò che non erano stati completati i lavori per l’innalzamento de-gli argini a causa della mancanza di fondi:mancanza che il Genio civile di Rovigo attribuiva al ministero dei Lavori pubblici e al Magistrato delle acque.

Le opere pubbliche - soprattutto i caval-cavia ferroviari, stradali e autostradali -

erano inoltre risultate troppo fitte lungo il percorso del fiume, che aveva così trovatosul suo corso molteplici barriere che impedivano il deflusso del materiale che le acque trascinavano con sé.

La mancata sistemazione dei fiumi

Di responsabilità legate alla mancata si-stemazione di fiumi si tornò a parlare nei due anni successivi, in occasione di nuovi disastri, ma le denunce rimasero inascol-tate. Nel 1954 fu devastata la costiera amalfitana, che subì danni per 50 miliardi di lire dell’epoca, e cinque anni più tardi fu la volta della provincia di Ancona e delMetaponto.

E poi giunse il 4 novembre 1966 con l’alluvione di Firenze, che in realtà si estese a tutto il corso dell’Arno.

Mentre anche altre zone, come il Nor-dest e di nuovo il delta del Po, finivano sott’acqua, in certe località toscane il li-vello del fiume Arno si innalzò al punto che in alcuni centri abitati si registrarono quasi 6 metri d’acqua. Trentacinque le vit-time ufficiali, nonostante si sia pensato a lungo che fossero di più, 17 delle quali re-gistrate a Firenze, le restanti nei comuni limitrofi.

“Tutto inevitabile?” ci si chiedeva

Davanti al disastro - impresso nelle im-magini dei Tg e sulle prime pagine che ri-traevano la Biblioteca nazionale centrale ela basilica di Santa Croce invase dal fango- tornava una domanda fin troppo spesso formulata: tutto inevitabile? Così s'intito-lava un editoriale dal parlamentare FrancoBusetto sull'Unità del 5 novembre 1966.

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“Emergenze fin troppo spesso legate a disastri edilizifigli dei sacchi speculativi della storia recente, generate da danni

idrogeologici che discendono direttamente da quei disastri

Da sinistra a desra e dall'alto in basso:Polesine 1951, Firenze 1966, Soverato 2000,Giampilieri 2010, Genova 2013, Genova 2014

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“Le catastrofi idrogeologiche si prestano molto bene(al contrario della manutenzione ordinaria) a successivi

investimenti di capitale ad alta redditività.Questo senza considerare i fenomeni di corruzione

e di arricchimento illegale cui spesso dà luogoil cosiddetto ciclo del cemento”

“Fragilità idrogeologica del Paese”

Ancora una volta, l’intensità delle pre-cipitazioni era stata notevole, ma per il deputato comunista ciò non bastava a spiegare la portata delle conseguenze: «Non solo le difese non [erano] state [ap-prontate], nel tempo e per tempo, ma non si [era] provveduto a colpire le cause [...] sulla base della fragilità e del disordine che [...] caratterizzano le condizioni idro-geologiche del nostro Paese. [Peraltro] il piano Pieraccini [il disegno di legge sul programma di sviluppo economico per il quinquennio 1965-1969, relegava] questo grande problema nazionale della sistema-zione del suolo e della sistemazione dei fiumi, con poche righe, nel capitolo intito-lato Altre opere pubbliche, con previsioni di investimento in cinque anni [...] al di sotto delle spese eseguite, e male, negli anni precedenti. [Inoltre si contestava] il fatto scandaloso per cui [...] per la regola-mentazione dei corsi d’acqua previsti dal-la legge numero 11 del 1962, non vi [era] nessun nuovo stanziamento a questo sco-po nel bilancio dello Stato per il 1967».

Piemonte, Liguria, Valtellina...

Nemmeno dopo questo disastro dagli imponenti effetti mediatici si intervenne con convinzione per contenere i dissesti idrogeologici.

Lo testimoniano i fatti degli anni suc-cessivi: per citare solo i più gravi e fer-marsi alla seconda metà del xx secolo, vanno ricordati i 72 morti nel novembre 1968 in Piemonte, i 44 a Genova nel 1970e i 53 della Valtellina nel 1987. E ancora, di nuovo in Piemonte, i 70 morti dell’autunno 1994, i 13 della Versilia nel

giugno 1996, i 6 di Crotone nell’ottobre 1996 e i 159 di Sarno e Quindici tra il 5 e il 6 maggio 1998.

Nel nuovo millennio, il meteorologo Mario Giuliacci inserisce nell’articolo del 20 novembre 2013 “Storia delle alluvioni in Italia. Perché sono aumentate?”: «Al-luvione a Soverato del 9 settembre 2000 (12 vittime), alluvione in Piemonte del 13-16 ottobre (23 vittime, 40.000 sfollati).Il 23 settembre 2003 alluvione di Carrara (2 morti). Il 29 maggio 2008 in Piemonte, [poi] le alluvioni di Cancia (18 luglio 2009), Messina (1 ottobre 2009) e Atrani (9 settembre 2009), alluvione in Versilia (ottobre 2011), Liguria (settembre 2012) e[...] l’alluvione in Sardegna (19 novembre2013, 16 vittime)».

Le inchieste della magistratura

Al bollettino vanno aggiunti inoltre epi-sodi recentissimi, come quello della pro-vincia di Modena, che ha riguardato 8 co-muni e 1800 aziende (gennaio 2014), e l’alluvione di Refrontolo (Treviso), avve-nuta il 3 agosto 2014, 4 le vittime.

Le inchieste della magistratura hanno accertato per molti di questi episodi la sottrazione di fondi pubblici destinati ai lavori di consolidamento ambientale e di mantenimento dei corsi d’acqua. Nel 1970venne istituita la Commissione intermini-steriale per lo studio della sistemazione idraulica e la difesa del suolo, conosciuta anche come commissione De Marchi.

Nel 1984 fu creato il Gruppo nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologi-che (Gndci) su iniziativa del ministro per la Ricerca scientifica e negli anni seguentiarrivarono norme che si aggiungevano a quelle esistenti, leggi quadro che davano definizioni e linee guida d’intervento.

xxxxxxx

Nonostante tutto questo, non si riuscì giungere nemmeno a un contenimento de-gli effetti del dissesto idrogeologico diffu-so nel Paese. Il fattore umano moltiplica-va e amplificava le conseguenze degli eventi naturali, come spiega Antonio Val-lario nel libro Il dissesto idrogeologico in Campania (Cuen, Napoli 2001).

Dal 1945 al 1999, per fenomeni sismici,eruzioni vulcaniche, sprofondamenti, allu-vioni e frane si sono lamentate circa 10mila vittime, 14 vittime-mese, e sono stati attivati flussi finanziari non inferiori a circa 200mila miliardi [di lire], 10 mi-liardi-giorno, investimenti per rimuovere pericoli e riparare danni ripristinando lo stato dei luoghi. Eppure nessun effetto è stato ottenuto dando vita uno scandalo di-luito nel corso del tempo, senza fine, eter-no. Uno scandalo che, come ha scritto il geologo Marco Delle Rose, “conferma che il sistema, per mantenere condizioni elevate di redditività del capitale investi-to, ha bisogno di continue distruzioni di capitale su larga scala”.

Le “catastrofi idrogeologiche” ben si prestano a questo scopo, al contrario della“manutenzione ordinaria” del dissesto».

Il “ciclo del cemento”

Ma non c’è solo questo. Il “sistema”, in questo ambito, si è nutrito spesso di feno-meni di corruzione, di arricchimento ille-gale, e ciò è stato possibile perché negli anni è stato foraggiato dal cosiddetto “ci-clo del cemento”, espressione sotto la quale rientra un’ampia gamma di manife-stazioni, dall’abusivismo edilizio al con-sumo del territorio con inevitabili riflessi sui bacini idrici.

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Pace e guerra

Via dalla Nato?Una realisticautopiaUn convegno dei pacifi-sti italiani

di Antonio Mazzeo Ridar vita a un movimento contro

tutte le guerre a partire da una campa-gna di mobilitazione contro l’Alleanza Atlantica e le basi militari Usa e Nato interritorio italiano. Se n’è discusso a Roma al convegno “E’ Nato per la guerra. Come uscire dal Patto Atlanti-co”, promosso dalla Rete No War con lapartecipazione di Peacelink, Comitato No MUOS, Statunitensi per la pace e la giustizia, Alternativa, Ass. Amicizia Ita-lia-Iraq, Rete dei Comunisti, Pdci, Ass. Ialana, Ross@, Cobas.

I lavori sono stati introdotti dal giornali-sta de Il manifesto, Manlio Dinucci, dal giurista Claudio Gianciacomo e dal peace resercher Antonio Mazzeo; il riorienta-mento strategico della Nato dopo la guer-ra fredda, l’illegittimità costituzionale di questa alleanza e il complesso sistema delle basi militari in Italia, i temi trattati.

“Nel 1999 a Washington, i governi dei paesi membri dell’Alleanza hanno firmatoun accordo che ha modificato radicalmen-te il concetto strategico della Nato”, ha ri-cordato Dinucci. “Esso autorizza l’inter-vento militare per motivi diversi dalla di-fesa del territorio di uno Stato membro, come previsto dal trattato del 1949, e cioèper motivi di sicurezza globale, economi-ca, energetica, migratoria, ecc., che sono quelli tipici della guerra preventiva. Inol-tre si autorizzano missioni militari in Statiesterni ai territori dei Paesi membri della Nato, secondo la proiezione di potenza, accrescendo la caratteristica aggressiva dell’Alleanza militare”.

Armi di distruzione di massa

Così la Nato ha contribuito al riarmo generale e alla diffusione e modernizza-zione delle armi atomiche e di distruzionedi massa, rendendosi responsabile di stra-gi di civili e crimini di guerra e contro l'umanità in Jugoslavia, Afghanistan, Li-bia e altrove. Per il costituzionalista Gian-giacomo, con il Nuovo Concetto Strategi-co del 1999, mai discusso in Parlamento edunque mai ratificato come trattato, “scompare la ragione d’essere dell’Alleanza per quanto attiene ai compi-ti di tutela della difesa dei confini e dei suoi membri” e di conseguenza non “si può in alcun modo ritenerlo conforme all’art. 11 della Costituzione né alla nor-mativa che regola la ratifica dei trattati."

“Sappiamo che l'uscita dell'Italia dalla Nato può sembrare un’utopia, ma come tutte le utopie è una stella polare che può guidare le nostre aspirazioni ed iniziative”, afferma Nella Ginatempo del-la Rete No War di Roma. “Secondo lo stesso Trattato del 1949 è possibile per gliStati membri ritirare l'adesione passati i primi vent'anni dalla firma del Trattato, non c'è un ostacolo legale ad una eventua-le scelta dell'Italia di revocare l'adesione. Naturalmente l'ostacolo è tutto politico ed è legato alla sudditanza dell'Italia e della UE agli USA, alla posizione dell'Italia in senso geopolitico, alla storia ed ai poteri forti che disegnano il nostro futuro”.

Un appello per la neutralità attiva

Un appello a favore della neutralità atti-va dei paesi europei è giunto da Belfast, via skype, dalla Premio Nobel per la pace (1976) Mairead Corrigan-Maguire. Nei prossimi mesi saranno avviate iniziative di denuncia dell'illegittimità del Nuovo Concetto Strategico della Nato e contro lapresenza e l’uso di basi militari in Italia per operazioni di guerra all’estero.

“Nel Paese si moltiplicano i soggetti che a livello locale si oppongono ai pro-cessi di riarmo e militarizzazione del terri-torio”, ha ricordato Antonio Mazzeo. “DaiNo Dal Molin in lotta contro l’insedia-mento a Vicenza del nuovo centro operati-vo strategico della 173^ brigata aviotra-sportata dell’Esercito Usa, trasferita dalla Germania e del Comando delle forze ter-restri statunitensi per il continente africa-no; ai No MUOS in Sicilia contro l’instal-lazione del terminale terrestre del nuovo sistema di telecomunicazioni della marinaUSA; alle popolazioni che in Sardegna protestano contro le servitù militari e i de-vastanti poligoni militari esistenti.

Molto può essere fatto ancora se si raf-forzano le reti con le lotte del sindacali-smo di base, degli studenti, dei movimentianti-austerità”.

Una legge contro gli accordi militari

La concessione delle infrastrutture mili-tari è regolato oggi in Italia da una magliadi accordi militari secretati. Per questo l’assemblea No Nato chiede di lottare per la loro desecretazione, per la chiusura del-le basi militari Usa e Nato e per la loro ri-conversione a usi civili. Nel 2008, alcune associazioni pacifiste (tra cui Semprecon-trolaguerra e Disarmiamoli) presentarono una legge di iniziativa popolare sottoscrit-ta da oltre 70.000 cittadini ma mai discus-sa in Parlamento che prevedeva tra l’altro,proprio la desecretazione degli accordi militari, l’esplicito divieto alla partecipa-zione italiana in missioni di guerra all’estero e all’installazione e al transito diarmi di distruzione di massa.

“Impegneremo la nostra campagna anti-NATO con il rilancio di questa legge, vistii rischi di guerra in corso e per l'uso sem-pre più massiccio delle basi italiane per operazioni belliche in Africa e Medio Oriente”, concludono i partecipanti al convegno.

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Ambiente/ Borgo Montello

Le manisulla discaricaLatina. Terra, rifiuti e mafie: le tre stagioni della storia di una tran-quilla cittadina che, per quanti nomi abbia cambiato, non è ancorariuscita a trovar pace

di Andrea Palladino www.liberainformazione.org

La monnezza delle strade si vede ra-ramente. L’emergenza è finalmente lon-tana, ad appena cinquanta chilometri, direzione Sud. Lì c’è un fiume, una pia-nura, decine di serre, trattori, contadinicon la loro lingua antica. E una collina, strana, verde pallido. E’ Borgo Montel-lo, Latina, la discarica che da mesi ac-coglie una parte dei rifiuti romani che Marino non vuol vedere dalle sue parti.

Inghiotte tutto, come ha sempre fatto. Negli anni ’80 prendeva quei fusti neri delle industrie criminali; poi “il triturato misto”, melme confuse di chimica e fan-ghi. Oggi la Forsu, ovvero gli scarti umididelle città, selezionati dai mostri d’acciaiochiamati TMB. Roba che puzza come pri-ma, che emette gas, percolati. Che - come in tutte le discariche del Lazio - violenta la terra.

Da queste parti negli anni ’30 l’hanno strappata alla palude. Venti ettari a fami-glia, dove spaccarsi la schiena per genera-zioni. E’ un susseguirsi di argille scure e sabbie, da mescolare e accudire. Guardan-do le mappe catastali della provincia a suddi Roma si riconosce quella suddivisione dell’era che qui chiamano della “Fonda-zione”.

Era l'epoca di Littoria...

Era l’epoca di Littoria, quando la corru-zione il fascismo la teneva nascosta, chiu-sa nei dossier da usare per ricattare tutti.

Nell’ufficio del catasto quella terra oggicoperta da 40 metri di monnezza per un’estensione di 40 ettari (provate a fare i calcoli per avere il senso della violenza insita nella storia delle scorie italiane) oc-cupa il foglio 21. E poi i lotti, tanti, decinedi numeri, divisi tra otto invasi, che mar-cano il tempo dagli anni ’70 in poi, segna-posto della memoria per chi qui è nato e cresciuto.

Per i monnezzari quei numeri sono tut-to. Sono potere, affermazione imprendito-riale, spesso una scommessa sugli affari del futuro. Non c’è riforma agraria che regga alla potenza di una discarica.

Latina è particolare. Qualcuno dice una sorta di camera di compensazione com-plessa e delicata. C’è l’anima nera, neris-sima, fatta di gente che offriva vergini ai camerati assassini in fuga.

C’è il potere democristiano inossidabi-le, cresciuto sotto le ali di Andreotti e del-lo squalo Sbardella. Ci sono i poteri cri-minali che si incontrano, si scambiano fa-vori e affari. C’è un fiume di droga, come in tutte le province italiane. Ma c’è qual-cosa di diverso tra i canali della bonifica, un senso impercettibile e sfuggente di po-tere ancora più complesso.

Ed è forse per questo che anche per la monnezza, da queste parti, le cose si fan-no complicate. Partiamo da un anno chia-ve, il 1994. Uno strano imprenditore na-poletano – tale Giovanni De Pierro – compra in blocco una vecchia discarica inparte abbandonata. Terra inservibile, intri-sa di percolato. La compra da un fallimen-to di una società, la Ecomont, che qualchetempo prima era stata costituita da un va-riegato gruppo: un imprenditore siciliano, qualche studente e un paio di giovani ca-salinghe.

Quell’investimento sarà l’inizio di una complessa vicenda amministrativa e giu-diziaria. Poco dopo il rogito l’amministra-zione fallimentare della Ecomont chiede –e in parte ottiene – la revoca dell’atto, aprendo un contenzioso che dura fino ad oggi. Verificando chi possiede le terre del-la discarica di Latina in conservatoria si scopre un vero e proprio ginepraio, dove èmolto difficile avere una situazione certa.

Una “normale” storia di riciclaggio?

Dopo vent’anni, nel gennaio del 2014, ilGico della Guardia di Finanza sequestra ilpatrimonio di De Pierro. Centinaia di so-cietà, holding estere, conti correnti. E una parte di quelle terre di Borgo Montello, ancora oggi contese.

Una normale storia di riciclaggio all’ita-liana? Forse. O forse qualcosa di più. Quelle terre imbarazzano, in tanti evitano di parlare dell’affare strampalato del 1994, di quell’acquisto finito nei fascicoli della Finanza.

Nel 2007 e poi nel 2009, quando la so-cietà Ecomabiente ottiene l’autorizzazioneper ampliare la discarica, la Regione La-zio ignora completamente la complicata questione della proprietà di quelle terre. Nei documenti ufficiali scrive che quell’area appartiene al gestore. Insomma una bugia. Poi nel 2014, quando quell’autorizzazione viene rinnovata, il gestore Ecoambiente assicura che nessun sequestro è mai avvenuto.

Eppure l’atto della magistratura è stato regolarmente trascritto nella conservatoriae l’area sequestrata rientra nella zona ge-stita dalla società (corrisponde con la par-te degli uffici, l’ingresso dei camion e la pesa, come si può dedurre dalle mappe ca-tastali confrontate con le foto aeree).

La vicenda del passaggio delle terre di Borgo Montello continua a rimanere in buona parte un piccolo mistero di questa provincia del sud del Lazio.

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“La staffettaai vertici

della RegioneLazio”

Un pasticciaccio brutto, la punta di ice-berg di una vicenda oscura. Da quel 1994 – anno dell’arrivo da queste parti dell’investitore napoletano – si può partirein un viaggio della memoria, a ritroso. Una porta del tempo, tra veleni, omicidi eccellenti e giochi di potere.

L'assassinio di don Boschin

C’è un omicidio che pesa sulla storia di Latina come un macigno. Un caso irrisol-to, la morte del parroco di Borgo Montel-lo avvenuta il 30 marzo del 1995. Si chia-mava don Cesare Boschin, un veneto arri-vato in provincia di Latina – in località LeFerriere – nel 1950, con l’incarico di rico-struire la chiesa di Santa Maria Goretti.

Gli viene affidata la parrocchia di Bor-go Montello, dove dagli anni ’30 si erano insediati i contadini provenienti dal Vene-to. Qui morirà quarantacinque anni dopo, soffocato e malmenato nella sua canonica.Il caso si è chiuso con un’archiviazione, disposta dal Gip di Latina, su richiesta della Procura che non riuscì – nelle brevi indagini – ad arrivare a individuare re-sponsabili e moventi.

Imprenditori e politici dietro la gestionedei rifiuti. Con la sua morte si chiude un primo ciclo, e se ne apre un altro, che dura fino ai nostri giorni nella gestione dei rifiuti nella locale discarica.

Quell’omicidio rappresenta un punto di svolta, simbolico, anche se fino ad oggi ufficialmente non si conosce il movente.

La discarica di Borgo Montello era

nata nel 1971 con la gestione di due im-prenditori italiani arrivati dalla Tunisia, Andrea Proietto e Umberto Chini (Vedi: La società ProChi, delle famiglie Proietto e Chini, primi gestori di Borgo Montello).Facevano parte di un gruppo ampio di ex coloni emigrati in nord Africa, costretti poi ad abbandonare quei paesi.

I loro primi passi – ricordava l’ex sena-tore socialista Maurizio Calvi – furono ac-compagnati e sponsorizzati dal Psi. Fino al 1988 sostanzialmente la gestione dei ri-fiuti della provincia di Latina era in mano a questo gruppo locale.

Gli anni '80 e'90

Cronistoria della discarica fra gli anni ’80 e ’90. Il cambiamento radicale avvie-ne con l’arrivo di un imprenditore da fuoriregione, Biagio Giuseppe Maruca, origi-nario di Bompietro (Palermo). Il 30 ottobre 1989, davanti al notaio Angelo Federici di Roma, otto persone costitui- scono la Ecotecna, Trattamento rifiuti.

Sono Domenico D’Alessio, operaio, Franco Marini, operaio, Ciro Salerni, im-piegato, Rosa Manganelli, operaia, Bruna Minestrelli, casalinga, Federico Primiani, studente, Livio Trincia, operaio e, infine, Biagio Maruca.

Un mese dopo la Ecotecna acquista una prima parte dei terreni della zona di BorgoMontello, preparandosi a gestire la disca-rica. I due imprenditori Chini e Proietto a loro volta vendono tutto a Maruca, incas-sando una lauta liquidazione.

Un anno prima, il 10 maggio del 1988,

si era costituita la società Ecomont, amministrata da Riccardo Maruca (imprenditore coinvolto recentementein un’inchiesta della procura di Agrigento per false fatturazioni).

Il passaggio societario

Questo passaggio societario è il punto di svolta, che – da lì a poco –

aprirà la strada ai colossi industriali nazionali, seguendo uno schema comune a molte discariche italiane. L’ex senatore Maurizio Calvi (che per due legislature – dal 1989 al 1994 – ha fatto parte della commissione antimafia) ha raccontato come dietro Biagio Maruca vi fosse la cordata politica andreottiana, rappresentata in quel momento da VittorioSbardella.

E’ un dato molto importante per capire cosa accade a Borgo Montello a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. E’ l’epoca d’oro del-la Dc e del Psi, partiti affidati a due teso-rieri che diverranno famosi grazie a Tan-gentopoli, Giorgio Moschetti, detto “er biondo”, uomo di fiducia di Sbardella, e Paris Dell’Unto, detto “il roscio”, cassierefedelissimo della corrente craxiana.

Ai vertici della Regione Lazio c’è una staffetta tra Bruno Landi – socialista, di-venuto poi amministratore della Ecoam-biente, arrestato lo scorso 9 gennaio per l’inchiesta romana su Cerroni – e RodolfoGigli, democristiano passato poi nelle fila di Forza Italia. Anche a Latina, dopo il 1987, c’è un cambio di potere. La giunta Corona – appoggiata dal Psi – viene sostituita da Delio Redi, andreottiano di ferro, come ricorda Maurizio Calvi.

1994, un anno chiave. All’inizio degli anni ’90 arriva a Borgo Montello il grup-po Pisante, holding lombarda specializza-ta nei servizi ambientali. Il gruppo a Roma in quel periodo ha qualche guaio giudiziario, a causa di un’inchiesta su un appalto per la gestione dei depuratori di Acea.

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“Un pasticciacciobrutto

che in fondointeressaa pochi”

Il gruppo di Biagio Maruca

La richiesta presentata nel 1993 al Se-nato per poter procedere contro l’ex teso-riere della Dc (leggi: Domanda di autoriz-zazione a procedere contro Giorgio Mo-schetti - Fonte: Senato) ipotizzava il ver-samento di una serie di tangenti ai due te-sorieri Dc e Psi romani per la realizzazio-ne di diversi appalti. Le imprese coinvolteerano ben conosciute nel campo dei servi-zi ambientali. Oltre al gruppo Acqua dei fratelli Pisante, nelle carte della magistra-tura appariva anche Romano Tronci (im-prenditore del settore dei rifiuti che opera-va anche nella discarica di Pitelli) per la De Bartolomeis, colosso specializzato in impianti di trattamento dei rifiuti.

E’ questo il contesto politico che in que-gli anni vede in azione il gruppo di BiagioMaruca (mai coinvolto in indagini penali),l’imprenditore che traghetta la seconda di-scarica del Lazio dalle mani di Proietto e Chini a quelle dei grandi gruppi.

Oggi i due impianti, dopo una serie di passaggi societari, sono controllati dalla Green Holding della famiglia Grossi (che controlla Indeco) e dal gruppo riconduci-bile a Manlio Cerroni (che pissiede il 49%di Ecoambiente).

Quella fase si conclude (sembra) nel 1994, quando lo sconosciuto Giovanni DePierro acquista in blocco la parte di disca-rica abbandonata da Biagio Maruca.

La figura di questo imprenditore è un vero giallo. La Guardia di Finanza nei mesi scorsi, con due diverse operazioni, ha sequestrato un patrimonio riconducibi-le alla sua famiglia di 350 milioni di euro.Una cifra enorme, nascosta in una rete di centinaia di società. Il suo gruppo era spe-cializzato nella manutenzione e nei serviziambientali per le grandi industrie.

E questo è l’unico filo che lo lega al ter-ritorio della provincia di Latina, dove operano moltissime fabbriche chimiche e farmaceutiche.

Secondo un’inchiesta della procura di Potenza del 2003 (leggi l’ordinanza del GIP che si dichiarava non competente sul sito dei creditori Federconsorzi) De Pierroavrebbe fatto parte di una vera e propria “holding del malaffare”. In quell’indaginela Procura aveva contestato all’imprendi-tore il ruolo di copromotore di una asso-ciazione per delinquere “impegnata nel settore degli appalti”.

Un luogo poco fortunato...

La storia della discarica di Borgo Mon-tello deve essere in buona parte ancora scritta. E’ un luogo poco fortunato per le società che decidono di investire da que-ste parti. Il gruppo Cerroni, rappresentato a Latina da Bruno Landi, è oggi sotto pro-cesso a Roma.

Francesco Colucci, socio di Cerroni nell’affare discariche, è stato recentemen-te arrestato ed è al centro di un’inchiesta della Procura di Milano.

Anche l’altro gruppo imprenditoriale, riconducibile alla Green Holding di Mila-no, non ha avuto buona sorte. Il patron Giuseppe Grossi – scomparso da poco – ha subito una condanna a Milano per la bonifica di Santa Giulia, insieme alla ma-nager del suo gruppo Cesarina Ferruzzi, ben nota nella discarica di Borgo Montel-lo.

La questione della proprietà delle terre èancora aperta, mentre la Procura di Latinaha chiesto il rinvio a giudizio di tre consi-glieri di amministrazione di Ecoambiente per avvelenamento colposo delle acque, reato particolarmente grave.

Per la Regione tutto va bene

Intanto per la Regione Lazio va tutto bene. Senza colpo ferire lo scorso luglio la giunta Zingaretti ha approvato il rinno-vo delle autorizzazioni integrate ambien-tali, dando il via libera alla realizzazione di due nuovi impianti di trattamento di ri-fiuti. Quel “pasticciaccio brutto” nascosto sotto le colline artificiali di monnezza di Borgo Montello in fondo interessa a po-chi.

Pubblicato su Libera Informazione 25-27 agosto 2014

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Calabria

Il coraggiodi direla veritàGaetano Saffioti s'è preso una soddisfazio-ne. Rischiosa, questo sì: ma lui è un calabre-se vero e non ha paura

di Giacomo Riccio Il 16 settembre è apparsa in tv una

notizia che un dirigente d’azienda di unqualsiasi TG definirebbe “minore”, re-legandola al settimo-ottavo posto nell’ordine delle notizie, quasi a chiusu-ra del programma.

Il 16 settembre Gaetano Saffioti, calabrese, titolare di un’impresa di costruzioni e demolizioni ha avuto il coraggio di fare ciò che tutti i suoi colleghi della zona avevano categoricamente rifiutato di fare: presentarsi all’asta per la demolizione di Villa Pesce, una villa abusiva nel cuore della piana di Gioia Tauro.

La villa apparteneva al clan dei Pesce, un cognome che da quelle parti fa tremarei polsi e abbassare gli occhi, nonostante gran parte dei componenti di quella fami-glia sia da tempo in carcere. Nel 2003 l’allora sindaco di Rosarno, Peppino La-vorato, decise di fare la guerra al clan ed istruì le pratiche per la demolizione rice-vendo minacce a suon di colpi di AK47.

Nel 2011 un altro sindaco coraggioso, Elisabetta Tripodi, finì sotto scorta per aver dato esecuzione di sgombero alla madre del boss, residente nella casa abusi-va. Nel 2011 la prima asta. Un deserto. E così anche la seconda, la terza, la quarta..una fiera della paura, un inno alla codardia. Per ben tre anni, dal 2011 al 2014.

Il 16 settembre 2014 Gaetano Saffioti ha cambiato la storia di Rosarno. È basta-ta una telefonata del prefetto, la risposta di Gaetano è stata immediata, veemente: “Lo faccio gratis”. Ma non è tutto. GaetanoSaffioti ha il dente avvelenato, lui gli ‘ndranghetisti non li ha mai mandati giù.

E un giorno si ribellò

Erano gli anni ’80: l’attività di Gaetano andava a gonfie vele, in Calabria si co-struiva praticamente ogni giorno e la Saf-fioti Srl fatturava una trentina di miliardi di lire all’anno. Ma più lui guadagnava più doveva pagare alle ‘ndrine. Gli face-vano pagare tutto, il pedaggio per traspor-tare la merce, il pizzo sugli appalti, il cal-cestruzzo da comprare solo dove dicevanoloro e al prezzo che dicevano loro.

Gaetano un giorno si ribellò. Prese a re-gistrare ogni incontro, ogni pagamento, ogni minaccia, e portò tutto in questura. Grazie agli sforzi di Gaetano, nel 2002 l’antimafia ha dato il via all’operazione Tallone d’Achille, mettendo in carcere 48 “uomini d’onore” delle famiglie Bellocco,Gallico e Piromalli.

Vivono sotto scorta

Ora Gaetano e la sua famiglia vivono sotto scorta, reietti, evitati dagli amici oc-casionali e dai vicini; il figlio di Gaetano non troverà mai una fidanzata calabrese.

“E' u’figghiu di Saffioti”, diranno. La sua famiglia non può andare fuori a man-giarsi una pizza perché le pizzerie e i ri-storanti non vogliono avere rogne. E così via. Quasi tutti gli operai di Gaetano l’hanno abbandonato, chi per viltà, chi perpaura, e il fatturato è crollato drastica-mente a 500 mila euro l’anno.

Gaetano non ha mollato, ha rifiutato i soldi dello stato perché lui non è un penti-to e non vuole essere trattato come tale. I

In Calabria non costruisce più e alle aste arriva sempre secondo, ma in compenso lavora all’estero, a Parigi, in Germania, a Dubai.

Eppure stavolta sorride

Gaetano è un uomo tutto d’un pezzo, unuomo vero, come pochi a questo mondo. Ha masticato fango e calce, mandando giùbocconi amarissimi e condannando sé stesso e la propria famiglia ad una vita d’inferno.

Nulla potrà ripagarlo degli anni persi, delle offese e delle ingiurie, dei morsi allenocche e dei pugni contro il muro; quelle sono ferite che non si rimarginano. Ma possiamo immaginarcelo sorridente, Gae-tano Saffioti, almeno una volta, a bordo della sua ruspa, intento a ridurre in mace-rie la casa di uno di loro, l’ex quartier ge-nerale dei Pesce. Non è una rivincita o una soddisfazione, Gaetano lo sa bene. Eppure stavolta sorride. Sì, Gaetano sorri-de.

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Ambiente/ Mazzarrà Sant'Andrea

L'ultimo chiudala discarica

La Regione siciliana si avvia a chiudere la discarica di Mazzarrà Sant’Andrea (Me), ma la società proprietaria Tirrenoambiente prende tempo

di Carmelo Catania

Un’inchiesta effettuata dal pool di

tecnici istituito dall’ex assessore Nicolò

Marino nel gennaio scorso, diverse

conferenze dei servizi, un’indagine del-

la magistratura palermitana che ha

scoperchiato un giro di mazzette negli

uffici regionali. Tanto è bastato per far

decidere al Dipartimento regionale

dell’acqua e dei rifiuti di non rinnova-

re l’Autorizzazione integrata ambien-

tale (Aia) rilasciata alla Tirrenoam-

biente s.p.a. per l’attività della discari-

ca di contrada Zuppà e dell’annesso

impianto di biostabilizzazione, a Maz-

zarrà Sant’Andrea nel messinese.

Non poteva essere realizzata

Le controdeduzioni presentate dai ver-

tici della società strumentale del comune

tirrenico (il cui amministratore delegato,

Giuseppe Antonioli, è stato rinviato a

giudizio perché coinvolto

nell’operazione “Terra mia”) «non sono

tali da superare le criticità evidenziate

dalla commissione». L’opera realizzata

non è conforme alla normativa di

riferimento (decreto legislativo 36/2003)

sia dal punto di vista strutturale

(modalità di impermeabilizzazione del

primo fondo e delle successive

sopraelevazioni) che da quello gestionale

(assenza del piezometro di monte

necessario per l’applicazione corretta del

Piano di sicurezza e controllo e mancata

esecuzione delle verifiche sulla stabilità

del corpo rifiuti). In sostanza – per il

Dipartimento – è stato approvato un

progetto che non aveva i requisiti per

essere realizzato ed è stata realizzata

un’opera ovviamente difforme al

progetto approvato».

Alla luce di questi fatti per i funzionari

della Regione non sussistono «i requisiti

soggettivi ed oggettivi» per il rilascio del

rinnovo dell’autorizzazione integrata am-

bientale e quindi «la discarica deve esse-

re oggetto di uno specifico provvedimen-

to di chiusura».

I rilievi della commissione

Nella loro relazione i tecnici avevano

evidenziato, sotto diversi profili, l’insus-

sistenza delle condizioni necessarie per il

rinnovo dei decreti 391 (impianto di bio-

stabilizzazione) e 393 (ampliamento di-

scarica) del maggio 2009. Criticità non

da poco, che hanno fatto decidere al Di-

partimento per l’avvio del procedimento

per il diniego del rinnovo delle au-

torizzazioni integrate ambientali. L’elen-

co è denso: si va dalla mancata conformi-

tà dal punto di vista urbanistico, all’as-

senza «agli atti del preventivo giudizio di

compatibilità ambientale positivo ex

DPR 13 Aprile 1996 (Valutazione di im-

patto ambientale)». E poi la violazioni di

alcune normative – anche comunitarie –

per il pretrattamento dei rifiuti e la bio-

stabilizzazione della frazione organica e

la mancanza di delimitazione dell’area di

pertinenza dell’impianto.

Una collina di 145 metri

È stato rilevato inoltre il superamento

delle quote di abbancamento (circa 145

metri) rispetto a quanto indicato nel pro-

getto approvato (118 metri) e anche «la

morfologia realizzata è diversa da quella

autorizzata». Il controllo effettuato il 27

agosto dai carabinieri del Noe ha eviden-

ziato la presenza di fenomeni di instabili-

tà dell’invaso. La stessa Tirrenoambiente

ha dovuto constatare che «l’eccessivo cu-

mulo di rifiuti in altezza, ha determinato

delle evidenti condizioni di instabilità…

È evidente, infatti, la presenza nei rifiuti

di una frattura che taglia diagonalmente

l’abbancamento. Detta frattura, la cui

profondità è impossibile determinare,

unitamente allo “spanciamento” del cor-

po di rifiuti lungo il fronte sud-est ed allo

scivolamento del nord-est».

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 46– pag. 46

Page 47: I Siciliani - ottobre 2014

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“Nel rispettodella normativa

ambientale...

Tirrenoambiente chiede più tempo

Per il sito di Mazzarrà era stata

disposta già durante la conferenza dei

servizi del 2 settembre, la presentazione

(entro il 22 settembre) di un progetto

definitivo di chiusura che «garantisca la

stabilità e la tutela ambientale della

discarica», ma Tirrenoambiente ha

chiesto ulteriori tre mesi per effettuare le

necessarie verifiche di stabilità,

evidenziando inoltre la necessità della

costruzione di un nuovo argine per la

messa in sicurezza del lato sud e

proponendo una soluzione alternativa per

l’abbancamento dei rifiuti (lateralmente

al fine di mitigare la spinta della massa a

vantaggio della stabilità del corpo

rifiuti), salvo essere costretta a

interrompere i conferimenti.

La discarica va chiusa

Viste le bocciature anche da parte

dell’assessorato regionale Territorio e

ambiente, dell’Arpa e degli altri enti

interessati, il dipartimento acque e rifiuti

ha quindi disposto anche la revoca

dell’autorizzazione per l’impianto di

selezione e biostabilizzazione e ordinato

a Tirrenoambiente di presentare un

progetto di chiusura e messa in sicurezza

del sito (che dovrà essere presentato «nel

minor tempo possibile e comunque non

oltre tre mesi dal 29 settembre) volto a

garantire che esso possa essere chiuso

«nel rispetto della normativa ambientale

e di sicurezza vigente», ha inoltre

ribadito il divieto di abbancare rifiuti in

aree diverse da quelle autorizzate con i

decreti del 2009, oggi revocati, e che

«per la eventuale necessità di interessare

per opere di sostegno aree non

ricomprese all’interno di tale perimetro,

ciò non potrà essere realizzato mediante

l’utilizzo di rifiuti ma di terra».

Si attende adesso il provvedimento

finale che verrà emesso dal dirigente

generale del Dipartimento.

La Regione proroga

Sembra quindi che i giorni per la

ultradecennale discarica di contrada

Zuppà stiano per finire anche se

all'orizzonte si profila il probabile ricorso

contro il diniego del rinnovo delle

autorizzazioni integrate ambientali,

preannunciato dallo stesso presidente di

Tirrenoambiente Crisafulli durante la

conferenza dei servizi decisoria, mentre

la Regione – con la proroga fino al 15

gennaio 2015 dell'ordinanza n. 8/rif del

27/09/2013 prevista dall’articolo 191 del

decreto legislativo 152 del 2006 in

scadenza il 30 settembre (vedi scheda) –

concede altri tre mesi e mezzo di vita

all'agonizzante impianto di Mazzarrà.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 47– pag. 47

SchedaGESTIONE RIFIUTI:UN ANNO DI PROROGHE

Ancora ferme al palo le Società di re-golamentazione rifiuti, i nuovi organi-smi deputati ad occuparsi del ciclo dei rifiuti siciliani, non essendo state anco-ra ultimate da parte degli enti locali competenti le procedure previste dalla legge, né risultano ancora individuati i nuovi soggetti affidatari del servizio di gestione integrata dei rifiuti. Così è scattata l’urgenza di garantire la conti-nuità del servizio pubblico di raccolta, attraverso un intervento sostitutivo sia alla gestione transitoria che relativa-mente alla urgente definizione delle procedure necessarie per il passaggio diconsegne per l’affidamento del servi-zio. È stata quindi rinnovata l’ordinan-za presidenziale del 27 settembre 2013, che prorogava agli Ato le competenze in materia di gestione integrata del ci-clo dei rifiuti: l’atto era stato reiterato diverse volte durante l’anno, fino al 26 settembre scorso, quando gli effetti del documento firmato da Rosario Crocettasono stati prorogati fino al 15 gennaio 2015. Tuttavia i commissari straordinariche al momento reggono gli ambiti in liquidazione dovranno vigilare affinché gli enti ordinariamente competenti pre-dispongano tutti gli atti necessari per assicurare con la massima urgenza il passaggio delle competenze alle Socie-tà per la regolamentazione dei rifiuti o ai Comuni in forma singola o associata.

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Ambiente/ Business rifiuti

Il miracolodi Santa MunnizzaLa moltiplicazione dellaspazzatura (e dei costi di raccolta)

di Antonio Mazzeo

A Falcone, piccolo comune della pro-vincia di Messina, in meno di quattro anni i rifiuti prodotti sono più che rad-doppiati nonostante il numero dei citta-dini residenti non sia variato.

Se ne sono accorti i consiglieri comunalidi opposizione Franco Paratore, Santo Mancuso, Carmelo Paratore e Monica Barbara La Macchia che in un’interpellan-za al sindaco denunciano che secondo i dati pubblicati nei relativi piani finanziari, la quantità totale di rifiuti generata a Fal-cone è passata da 832.400 Kg (anno 2010)a 2.061.000 kg (2013), con un costo totale a carico dei cittadini che dai 206.186 euro è volato a 387.491 euro.

“In questi anni la popolazione residente non è aumentata e nulla di nuovo è succes-so che possa dimostrare un aumento così importante di produzione di rifiuti solidi urbani di oltre il 100%, causando conse-guentemente un aumento terrificante dei costi di quasi 180.000 euro, con ovvie ri-percussioni sulle bollette de cittadini con-tribuenti”, scrivono i consiglieri. “Ci chie-diamo se da parte dell’Amministrazione Comunale è stata mai intrapresa un’azionedi verifica e controllo per così eclatanti au-menti dei rifiuti solidi urbani e se è nelle sue intenzioni intraprendere ogni iniziativautile allo scopo di correggere eventuali errori, con conseguente diminuzione dei costi a carico dei contribuenti”.

Nel 2010, l’ingegnere Salvatore Re, per conto dell’ATO (Ambito Territoriale Otti-male) ME2 fece pervenire al Comune di Falcone il piano finanziario riguardante i rifiuti solidi urbani, quantificando in 171.637 euro i costi per il servizio di rac-colta e in 36.549 euro per il loro smalti-mento. L’importo totale (208.186 euro), diviso per i 3.000 abitanti di Falcone dava una spesa pro-capite di 94,15 euro.

100mila euro di costi non quantificati

In vista della determinazione della tarif-fa RSU Antonio Fugazzotto, responsabile dell’area tecnica manutentiva e protezione civile del Comune, segnalava al consiglio comunale che andava prevista altresì la spesa dei servizi di spazzamento, manuale e meccanico, i cui costi ammontavano, secondo l’ATO, a 107.420 euro con un’ ulteriore incidenza di 35,11 euro a testa.

“Alla luce di quanto è emerso dall’anali-si espunto alla nota ATO ME2 - rileva il funzionario - l’incidenza della voce spazzamento strade e complementari, ec-cettuata la pulizia del mercato domenicale (8.683 euro) non trova riscontro nell’effet-tiva esecuzione dei servizi enucleati”.

Quasi centomila euro di costi non giusti-ficati. Inoltre, la ricchezza generata dalla raccolta differenziata di rifiuti organici, carta, plastica, lattine e vetro si tramuta in una spesa di 48.000 euro circa (nella nota di bilancio 2010, l’ATO ME2 quantificavaun costo per Falcone di 24.109 euro per l’organico; 7.186 per la carta; 7.585 per plastica e lattine; 8.900 per il vetro).

La tabella delle spese comunali per la gestione del business rifiuti nel 2013 elevala voce “costi vari” a 342.491 euro, altri 45.000per le “agevolazioni previste dal regolamento”. In tutto 387.491 euro, di cuil’89,4% a carico delle utenze domestiche (346.274 euro per 1.842.094 Kg di rifiuti solidi urbani) e il restante 10,6% per le utenze non domestiche (41.216 euro per 218.906 kg di rifiuti). Per la raccolta e lo smaltimento dei 2.061.000 kg (presumibil-mente) prodotti, ogni cittadino falconese dovrà versare un obolo di quasi 130 euro.

Il sindaco Santi Cirella ha fatto sapere diaver “girato” l’interpellanza agli uffici preposti. Con ordinanza, ha intanto dispo-sto la proroga del servizio di raccolta rifiu-ti fino al 15 gennaio 2015 alla “Caruter” diBrolo, “con una riduzione del 10% per un prezzo unitario di 540 euro al giorno”.

“I rifiuti vengono pesati solo alla disca-rica”, spiega Cirella. “Secondo i dati in mio possesso, con l’ATO, nel 2012 si pa-gava 565.887 euro, oggi con la Tari del 2014, si paga circa 340.000 euro”: quasi 48.000 euro in meno di quanto riportato nel bilancio di previsione.

“L’indifferenza con cui è stata accolta l’interpellanza da parte del primo cittadinoè molto grave”, commenta il consigliere Franco Paratore. “Mi sarei aspettato un in-tervento tranquillizzante, col quale il sin-daco Cirella si sarebbe impegnato a far luce sull’argomento. Invece, con una bre-vissima dichiarazione ai giornali, si giusti-ficano solo dei costi attraverso cifre sco-nosciute ai consiglieri comunali, che pro-babilmente includono altri servizi accesso-ri alla raccolta e allo smaltimento e che comunque non sono certificati da alcun documento. A Falcone si continua a racco-gliere e smaltire i rifiuti a colpi di ordinan-ze indirizzate sempre alla stessa ditta, sen-za che ad alcuno nasca almeno il sospetto di probabili errori che intanto costeranno centinaia di migliaia di euro ai cittadini”.

“Si affida sempre alla stessa ditta”

Su Falcone pesano pure due contenziosi avviati dalle aziende a cui erano affidati sino a qualche mese fa la raccolta, il tra-sporto e lo smaltimento dei rifiuti. Il primogiudizio innanzi al Tribunale di Perugia è stato promosso il 12 settembre 2013 dalla Gesenu Spa che è contestualmente titolare del 10% di Tirreno Ambiente, la società a capitale misto e Cda dimissionario che ge-stisce la megadiscarica di Mazzarrà Sant’Andrea, a pochi chilometri di distan-za da Falcone. La discarica è una vera e propria bomba ecologica ed è al centro di numerose inchieste giudiziarie anche per accertare possibili infiltrazioni criminali e mafiose nei lavori di realizzazione.

Un secondo contenzioso è stato avviato il 25 ottobre 2013 innanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto dalla Dusty Spadi Catania, società a cui nell’ottobre 2011 l’ATO ME2 ha affidato il servizio di rac-colta dei rifiuti in 38 comuni della provin-cia di Messina.

Per resistere in giudizio, con due diversedeterminazioni a firma del responsabile area amministrativa e socioculturale An-drea Catalfamo, il Comune ha impegnato la somma complessiva di 12.562 euro a fa-vore dell’avvocato Mario Foti, studio pro-fessionale a Terme Vigliatore, odierno sin-daco di Furnari, comune limitrofo a Falco-ne e alla megadiscarica di Mazzarrà Sant’Andrea.

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chi semina raccontasussidiario di resistenza sociale

Mauro Biani

Contributi di Antonella Mar-rone, Carlo Gubitosa, Ce-cilia Strada, Cinzia Bibolotti, Ellekappa, Franco A. Calotti, Gianpiero Caldarella, Makkox, Mao Valpiana, Massimo Bucchi, Nicola Cirillo, Pino Scaccia, Ric-cardo Orioles, Stefano Disegni, Vincino Gallo

Formato 17x24, 240 pagine, coloriISBN 978889719405715 euro

i l meglio delle vignette, sculture e illustrazioni di Mauro Biani, autore di satira sociale a tutto tondo che unisce la

vocazione artistica all’impegno professionale come educatore in un centro specializzato per la disabilità e la non disabilità mentale. Uno sguardo disincantato e libero che sa dare le spalle ai potenti quando serve, per toc-care temi universali come la

nonviolenza, i diritti umani, l’immigrazione, il cristianesimo anticlericale, la resistenza alla repressione e la lotta alle mafie.

l’autoreMauro Biani (Roma, 6 marzo 1967) ha pubblicato vignette in rete per anni per poi fare il salto verso il professionismo su quotidiani e settimanali na-zionali, riviste del terzo set-tore e organi di informazione indipendente. Ha fondato la

rivista di giornalismo a fumetti “Mamma!” che ha chiamato a raccolta un gruppo nutrito di giornalisti, vignettisti e fumet-tari in cerca di nuovi spazi es-pressivi.Collabora con il gruppo in-ternazionale “Cartooning For Peace” sotto l’alto patrocinio dell’Onu. Nel 2009 ha pubbli-cato il volume “Come una spe-cie di sorriso”, una antologia di illustrazioni ispirate alle canzo-ni di Fabrizio De Andrè.

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Testimonianze

L'immaginedel movimento Conversazione con Tano D'Amico

A guardarlo potrebbe sembrare un calzolaio, oppure un filosofo gre-co. Il mestiere e il pen-siero. E infatti, è un fo-tografo

di Alessandro Romeo e Stefania Di Filippo

Tano è un signore magro dai cappelli bianchi lunghi, occhialoni tondi portati bassi sul naso, e un sorriso allegro e saggio. Potrebbe essere un calzolaio così come uno studioso della scuola di Atene, e probabilmente è vicino ad en-trambe queste figure: fa il fotografo.

E’ stato il relatore di un seminario di fo-tografia sociale organizzato dai Siciliani giovani. Per un giorno ci ha rapiti coi suoiracconti e le sue foto, dai movimenti deglianni ‘70 fino ad arrivare alla Genova del G8, ha vissuto e documentato una parte importante della nostra storia, ha raccon-tato le vite delle persone comuni, dei de-boli cui dar voce, con un'attenzione spe-ciale alle donne.

Soprattutto Tano è un poeta, che scrive in maniera semplice, ma chiara e forte, il suo essere partecipe alle emozioni che os-serva, e lo fa usando una macchina foto-grafica.

Prima di lasciarci, aspettando il treno per Roma, abbiamo parlato ancora, da-vanti una granita al limone, che a lui piacetanto, e trova solo in Sicilia, la sua terra dinascita.

Non lasciare indifferente nessuno

Parliamo della fotografia sociale e di militanza.

Le definizioni non interessano. Le im-magini si dividono in due, le belle imma-gini e le brutte immagini, perché indiffe-rentemente dal senso letterale, un’imma-gine si può fare amare e ricordare, oppure può essere completamente superflua.

Una buona immagine non deve lasciare indifferente nessuno, e non lascia indiffe-rente nessuno.

Si possono anche odiare, dicendo però che sono delle belle immagini.

Chi non è capace di indignarsi, chi si conforma alle consuetudini, è cieco nei confronti del mondo?

Questo è un periodo in cui si vedono delle brutte immagini, immagini acritiche,gran parte della bellezza nelle immagini secondo me, sta nella critica.

Un’immagine che si accontenta del mondo com’è, è superflua, è inutile.

Se uno ha un’idea diversa del mondo, ha delle istanze diverse da quelle che sonovincenti nel mondo, nell’immagine si deve vedere, e si vede.

Si racconta come la lotta per la casa hasignificato l’inizio della tua carriera foto-grafica, e oggi sei tornato a fotografarla.

Io mi interesso a delle storie che mi coinvolgano.

La lotta per la casa è coinvolgente per-ché di fatto chi lotta per la casa vuole un mondo diverso, almeno una città diversa, non si accontenta delle strutture gerarchi-che che esistono, perché tocca con la sua vita, con la salute dei propri figli, che sono ingiuste, che sono fatte per macinaregli uomini, molto più che per farli vivere.

Quindi la lotta per la casa è avvincente perché oggi è il primo gradino di una ri-volta contro lo stato di cose esistente.

E anche ieri, ieri nel senso di quarantacinque anni fa, lo era ed ha vinto.

Ha vinto nei cuori delle persone, ha spostato una specie di centro di gravità nella coscienza di un popolo.

Se la lotta non riesce a spostare quel centro di gravità culturale, è superflua, perché, anche se per caso vincesse, lasce-rebbe esattamente tutto com’è.

Se, al contrario, riesce a spostarlo, per primo nelle coscienze delle persone che laconducono, quella lotta allora vincerà, perché anche se sarà sconfitta, le persone saranno cambiate, le persone saranno più coscienti.

Io penso di aver avuto una vita fortuna-ta, che mi ha fatto toccare con mano che persone, ambienti, e situazioni possono cambiare e non dipende dalla forza fisica, né dalla potenza del denaro, ma dipende dalla coscienza.

Non è vero che vince sempre il più forte

Se non hai quel tipo di coscienza non puoi raccontare quelle storie, perché non le vivi sulla tua pelle, quindi non sei capa-ce di riconoscerle.

Io ho avuto una fortuna più grande, nel senso che le persone con cui sono venuto in contatto in quella lotta, volevano delle immagini diverse.

Allora questo incontro ha fatto in modo che la lotta per la casa fosse raccontata in un modo che dura tuttora.

Questa cosa qui mi piace molto, che non è vero che nell’immagine, quindi nel-la memoria, vinca il più forte, non è vero che vince il più ricco.

Mi chiedo ogni tanto che fine hanno fat-to le immagini che ruggivano sul Corrieredella Sera, su Epoca, sulle grandi riviste e sui grandi giornali… sono state completa-mente dimenticate, non c’è nessuno che leriproponga.

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Perché? Perché ne hanno vergogna, per-ché sono immagini vergognose, in cui si vedono gli umili, gli ultimi, per usare que-ste categorie, rappresentati come brutti, sporchi e cattivi.

L’immagine cambiò, perché forse per laprima volta i movimenti cercarono e pro-dussero le loro immagini. Il rapporto tra movimenti e immagini è molto delicato, perché il movimento vive se ha le sue im-magini, muore se non le ha.

Le primavere arabe sono finite anche perché non avevano prodotto un modo di-verso di rappresentarsi e di rappresentare il mondo.

Il movimento per la pace da noi è mortoperché non ha avuto delle immagini capa-ci di perpetuarlo.

Come il movimento di Genova, che si è impiccato con le sue stesse immagini, per-ché con un atto di barbarie, di brutalità, havoluto dimenticare che l’immagine non è la rappresentazione passiva di quello che accade, e non è niente se non è capace di

mostrare il contesto, le istante, le motiva-zioni di quelli che cercano quelle immagi-ni.

Se le immagini non contengono le moti-vazioni, si limitano a rappresentare la realtà, gli avvenimenti, così come accado-no, senza chiedersi nemmeno perché, sono delle immagini che non fanno altro che criminalizzare quelli che vogliono in-frangere le regole che vigono in quel pe-riodo, che vogliono infrangere uno stato di cose soffocante.

Criminalizzano chi vuole fare irromperenelle vite e nelle storie di ognuno di noi degli ideali nuovi.

L'immagine che si chiede perché

Differentemente dagli anni 70, oggi i movimenti si auto rappresentano ma si rappresentano male. Perché farsi delle brutte foto?

Nelle aule di tribunale questo appare. I movimenti hanno perso la loro cultura.

I movimenti hanno prodotto [negli anni70, ndr] dei grandi avvocati, che capivanoi movimenti, che hanno fatto delle splen-dide difese, che andavano al di la del sin-golo episodio, che erano capaci di far comparire le motivazioni più ampie, il contesto più ampio.

L'immagine che racconta tutto

Così anche le immagini. Molte mie im-magini sono servite a difesa in tribunale proprio perché facevano balenare la quali-tà umana delle persone. Erano capaci di fare vedere che la signora Camilla che si opponeva alla forza pubblica, che rigetta-va i candelotti che la forza pubblica getta-va su di lei e le sue amiche, aveva dormitoper settimane con i suoi bambini in mac-china. Nell’immagine si vedeva, si vedevadai volti delle persone, si vedeva dalle linee dei corpi, che la signora Camilla nonera abituata a quel genere di lotta, eppure la affrontava per amore dei propri figli.

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“Nelle immaginidel fotografo

già compaionodelle domande”

Bisogna dire che i movimenti di oggi

sono incapaci di difendersi in tribunale, per esempio solo nella difesa in cassazio-ne dei movimenti di Genova, gli avvocati sono arrivati a concepire che i loro assisti-ti venivano condannati per brutte immagi-ni, molto più che per quello che potevano avere o non avere fatto.

Cito a braccio qualche brano dell’ultimaarringa, del difensore, che aveva studiato, ma troppo tardi, e disse “voi condannate delle persone per delle immagini di cui voi scrivete la didascalia, voi condannate delle persone per singoli istanti legati as-sieme dalla vostra didascalia, dalle vostre parole”.

Ecco, si era reso conto troppo tardi, l’avvocato, che a lui mancavano delle im-magini capaci di avere la nostra didasca-lia, che non può essere scritta con le paro-le, ma si deve vedere nelle immagini.

I movimenti e gli avvocati non avevano studiato, non avevano studiato la storia, perché certe immagini, i vinti come noi, i miserabili come noi, se le sono sempre cercate, e se le sono sempre fatte.

I movimenti stanno morendo perché non hanno questa istanza culturale, una istanza di diversità, una istanza che non siaccontenta della cultura che già esiste, cheè di altri, ed è una legge della storia che un gruppo umano o si fa la propria cultu-ra, quindi le proprie immagini, o viene in-globato e calpestato da altri gruppi umani più provveduti.

Stare insieme senza gerarchie

Infatti Genova ha segnato l’inizio della fine dei movimenti.

Quello che è capitato a Genova è che le forze armate di un popolo si sono scaglia-te su quello stesso popolo, e per un giornosolo è capitato quello che fu nella Spagna di Franco, grazie al cielo per un giorno solo, due, tre… Perché si sono scagliati?

Guardiamo un po’ chi ha guadagnato e chi ha perso a Genova.

A Genova abbiamo perso noi, perché unmovimento che si era sviluppato ed era cresciuto enormemente [da Seattle in poi,ndr] avrebbe potuto cancellare alcuni modi di organizzazione, avrebbe potuto cancellare partiti, sindacati, perché aveva-mo un modo di stare insieme che - come qualcuno ha scritto - dalle monache ai punkabbestia, faceva a meno di organiz-zazioni gerarchiche basate sull’obbedien-za.

Allora questo movimento enorme, se avesse preso piede, avrebbe davvero cam-biato il paese, oserei dire il mondo.

Allora è successo che questo popolo, con la violenza di qualche giorno, col san-gue, con la morte, è stato riportato nell’alveo. Chi ha guadagnato? I partiti e isindacati.

Se noi guardiamo alla storia dopo, ve-diamo delle ricompense, vediamo dei gua-dagni tangibili, presidenze delle camere.

E che senza Genova non ci sarebbero state.

E il dibattito su violenza e non violenza fu grottesco, come chiedere a una donna che ha ricevuto violenza e oltraggio, di dissociarsi dall’oltraggio.

I violentati a Genova siamo stati noi, e ci è stato chiesto di dissociarci, di con-dannare la violenza: grottesco.

Ma chi ce lo ha chiesto? Persone che hanno avuto delle ricompense tangibili.

A questo punto mi chiedo un fotografo

quanto deve capirne di politica, e quanto

la fotografia può cambiare la politica.

Io penso che un fotografo debba cercaredi capire, forse non capirà, ma nelle sue immagini già appariranno delle domande.

Sperando che chi guarderà quelle im-magini cercherà anche lui di capire, con lasua testa. E questo è importante per un fotografo e per chi guarda le immagini: il tentativo continuo di guardare con i propriocchi, pensare con la propria testa, e di sentire col proprio cuore.

L'uomo come dev'essere: simile a Dio

Prima gli operai erano rappresentati come brutti e cattivi, tu invece hai rappre-sentato la bellezza che c’è in tutta l’uma-nità.

C’è una casa editrice del nostro Paese che in una pubblicazione, ha mostrato come al cambiare della storia cambiasserole immagini.

C’era il capitolo della prima guerra mondiale e gli uomini del periodo, per esempio gli operai, venivano visti come un’appendice dei cannoni, dei proiettili dei cannoni che costruivano.

E c’era poi un altro capitolo, come cam-biò l’immagine coi movimenti.

Allora sembra incredibile che noi non cirendiamo nemmeno conto del ruolo che abbiamo avuto nella storia, che è stato an-che quello di far cambiare l’immagine dell’uomo, il modo di vedere la persona.

La persona con i movimenti ha acqui-stato valore al di la del suo ruolo, la per-sona è stata molto più importante del ruo-lo che era stata chiamata a coprire.

Per usare le parole delle antiche scrittu-re, finalmente proprio col nostro lavoro, sui giornali è apparsa una immagine dell’uomo così come deve essere, simile aDio.

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Eppure oggi c’è una spettacolarizzazio-ne del dolore. La fotografia si sta sba-gliando?

Nella storia esistono delle splendide im-magini di dolore, basta pensare alle pietà del rinascimento, del medioevo, quelle delle nostre chiese, dei nostri musei, comesi fa a dire che spettacolarizzavano il do-lore?

Quelle immagini volevano vincere il dolore, volevano vincere la morte. Io sonoper questo tipo di immagine.

L'amicizia con “I Siciliani”

Parlaci della tua amicizia con I Siciliani.

I Siciliani sono anch’io, è una complici-tà di nascita.

La mia amicizia con I Siciliani credo durerà per sempre, perché siamo legati da un intreccio di vite.

Siamo uniti da episodi tragici, vissuti, abbiamo pianto insieme e abbiamo cerca-to anche di vivere insieme.

E abbiamo visto quanto sia difficile por-tare avanti la ricerca di indipendenza, di una cultura diversa, che potesse opporsi non solo alla mafia dei quartieri, ma so-prattutto alla mafia che nel nostro paese ha vinto, quella che non chiede più alle persone solo il proprio lavoro, ma chiede loro una adesione completa.

Qualcuno un po’ più anziano di noi ha portato avanti questo tentativo, e l’ha pa-gato molto molto caro. Siamo legati anchedall’affetto che tutti noi abbiamo portato aquel tipo di persona.

L'immagine forte delle donne

Spesso rappresenti le donne, e lo fai con un’immagine molto positiva, forte, padrone del loro destino e desiderose di cambiare il mondo.

Mi sono trovato una volta in un piccolo paese che aveva una sola bottega che ven-deva di tutto, dalle aspirine alle batterie, e la sera era l’unico ritrovo.

E anche io andai in questa piccolissima bottega.

Ricordo gli uomini, vennero a parlare con me che non ero del paese, furono gen-tili, e la prima domanda che mi fecero fu: ‘come sta il ginocchio di Gullit?’

Gullit era un giocatore di quegli anni. Non mi chiesero del mio paese, della

mia famiglia, nulla.Le donne, invece, mi chiesero se qual-

cuno quella sera in qualche altro paese mi stava aspettando, come stava la mia fami-glia, se avevo dei figli, se avevo una mo-glie.

Ecco, erano delle domande in cui si pa-ragonavano le vite, mentre in quelle degli uomini questo non c’era.

Se guardiamo alla storia delle immagi-ni, anche agli episodi difficili, brutti, dellanostra storia, vediamo che gli uomini sono i primi a perdere la propria cultura, i primi a smarrirsi, e come invece le donne e i bambini si accorgono per primi che la cultura va mantenuta.

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“Un maestro è chiti dà il coraggiodella tua diversità”

Noi uomini stiamo perdendo il contatto

con la storia e con gli scopi della vita.Mi capitò, sempre per lavoro, di andare

in un paese dell’Africa in cui si erano rottii legami familiari.

Gli uomini giravano insieme in bande, quando servivano delle donne le rapivano,quando aspettavano dei figli le abbando-navano, e loro dormivano tra uomini con le loro armi. Le famiglie si erano rotte, i vecchi morivano. E’ una cosa che non avevo mai visto.

Anche i popoli più crudeli e le bande più feroci, hanno sempre badato ai propri vecchi e ai propri bambini.

E anche gli uomini più tremendi hanno sempre badato alle madri dei loro bambi-ni, alle loro mogli, hanno sempre avuto degli affetti, dei legami.

Invece, ad esempio, nella Somalia di una ventina di anni fa tutto questo si era perduto. Ho rivisto quegli stessi segni di mostruosità collettiva in Bosnia.

Le vittime e i carnefici

Ricollegandosi a quello che hai detto, che una volta gli uomini difendevano le proprie donne, oggi un telegiornale su due ci racconta la storia di una donna as-sassinata. Eppure le fotografie spesso lo raccontano proprio con immagini di don-ne che hanno subito una violenza.

Anche qui bisogna avere come stella polare le belle immagini e le brutte imma-gini.

Andiamo ad indagare il passato, nelle chiese, nei nostri musei, vediamo che que-sto tema è sempre stato affrontato, e comeveniva chiamata l’attenzione e la parteci-pazione verso la donna che subiva oltrag-gio. Ma non soltanto nelle chiese, se noi vediamo cos’è rimasto di antichi popoli, vediamo che gli uomini che lavoravano con le immagini si sentivano molto più fi-gli delle donne che subivano oltraggio, magari in guerra, che di chi le aveva ol-traggiate.

Anche quando Cesare si compiaceva della virilità dei suoi uomini che stupra-vano le donne di Alesia, una città della Gallia, gli uomini che celebravano le ge-sta dell’esercito, quindi chi lavorava il marmo, chi lavorava la pietra, le rappre-sentavano in modo da chiamare l’atten-zione e l’amore degli spettatori sulle vitti-me più che sui carnefici.

La fotografia può seguire il sensaziona-lismo, senza indagare il prima e il dopo. Qual è l’importanza della lentezza nella fotografia?

Come ho detto penso che un’immagine debba contenere in sé il prima e il dopo.

Anche se il dopo è solo sperato o atteso,anche se il fotografo sbaglierà deve inda-gare, aspettare, sperare, auspicare che il futuro sia diverso dal male che vede nel presente.

“Bisogna studiare tutta la vita”

Il fotografo può fare a meno dello stru-mento che una buona cultura può dargli?Una volta si faceva bottega, si andava daimaestri…

La cultura non basta mai, lo studio non basta mai, e bisogna che si studi per tutta la vita.

Io ho passato i 70 anni, e se cerco un senso alla mia vita, al perché ho vissuto inun certo modo, debbo dire per educarmi, equesta educazione continua tutt’ora.

Certe risposte non si possono trovare nelle università, Io i miei maestri me li sono cercati, ognuno deve cercare i pro-pri, altri che hanno intrapreso quel percor-so prima di lui.

Dovere del maestro è capire le esigenze dei propri allievi, capirne le diversità, e spronarli ad esplicitare quella critica.

Un maestro è chi ti dà il coraggio della tua diversità.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 54– pag. 54

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KaNJaNo & car o gubi osag autor d scaricabi erokuro aKu mP

nicola. r–esistenza precaria

the Holy Bileno alla guerra,no al nucleare

La mia terra la difendo

Un libro per scoprire che non esiste un “nucleare civile” senza applicazio-

ni militari derivate, non esiste “energia atomica pulita” senza rischi inaccettabili, non esistono “armi sicure” all’uranio impoveri-to senza vittime di guerra.Il figlio di una sopravvissuta alle radiazioni di Nagasaki ha tra-sformato in una appassionata denuncia a fumetti la cronaca degli incidenti alle centrali nucle-ari giapponesi e statunitensi, che sono stati nascosti da un velo di silenzio. Nana Kobato, studentessa delle medie, si affaccia sul “lato oscuro del nucleare”, e scopre i pericoli delle centrali atomiche, gli effetti dei proiettili all’uranio impoveri-to, le devastazioni ambientali che uccidono adulti e bambini. In un racconto a fumetti chiaro e docu-mentato, Rokuro haku descrive gli effetti delle guerre moderne sull’uomo e sull’ambiente, e met-te a nudo i poteri occulti che so-stengono l’energia nucleare.

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ISBN 9788897194002

Il libro degli autori di Scarica-Bile, il “pdf satirico di cattivo gusto” che ha ridefinito su

internet la soglia dell’indecenza con 32 numeri di puro genio e follia, centinaia di pagine maledu-cate, migliaia di lettori incoscienti.Da oggi lo spirito del magazine più scorretto d’Italia rivive nel li-bro “The holy Bile”, una raccolta differenziata di scritti e fumetti inediti su qualunquismo, castità, religione e sondini terapeutici.Un concentrato purissimo di anticlericalismo, blasfemia, co-profagia, incesto, morte, pedofilia, prostituzione, sessismo, sodomia, violenza e volgarità gratuite. In breve, uno specchio perfetto dell’Italia moderna, per chi non ha paura di guardare in faccia la realtà con le lenti deformanti del-la satira.Testi e disegni di Daniele Fabbri, Pietro Errante, Jonathan Grass, Tabagista, MelissaP2, Vladimir Ste-panovic Bakunin, Eddie Settem-brini, Blicero, G., Ste, Perrotta, Marco Tonus, Mario Gaudio, Fla-viano Armentaro, Maurizio Bo-scarol, Mario Natangelo, Alessio Spataro, Andy Ventura.

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ISBN 9788897194026

Certi fumetti non possono farli i radical chic col culo parato o gli intellettuali

da salotto. Ci voleva un lavora-tore emigrato come Marco “MP” Pinna, che si è bruciato due set-timane di ferie per partorire la saga di Nicola, l’antieroe in tuta blu del terzo millennio. Un mondo precario dove Nicola lotta per salvare la sua fabbrica dalla chiusura, e scopre i trucchi più loschi con cui i padroni frega-no le classi medio–basse.Più spericolato di Batman, più sfigato di Fantozzi, più ribelle di Spartacus e più solo di Ulisse: Nicola è il simbolo della nostra voglia di resistere alle ingiustizie. Contro di lui un padrone senza scrupoli e una famiglia senza ver-gogna, incarognita dalle mode più devastanti del momento.Uno spietato “reality show” a fumetti, un micromanuale di eco-nomia finanziaria, un prontuario di autodifesa sindacale ma so-prattutto lo sfogo di satira rab-biosa di un “artista–operaio”.Ottanta pagine di sopravvivenza proletaria: astenersi perditempo.

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ISBN 9788897194019

La storia di Giuseppe Gatì, 22 anni, pastore per vocazione, produttore di formaggi per

mestiere, attivista antimafia per passione.Il suo volto è salito agli onori delle cronache nel dicembre 2008 per la contestazione al “pregiudicato Vittorio Sgarbi”, che ha scosso la città di Agrigento al grido di “Viva Caselli! Viva il pool antimafia!”Con l’aiuto degli amici e dei fa-miliari di Giuseppe, Gubi e Kanja-no hanno scoperto gli scritti, le esperienze e il grande amore per la terra di Sicilia di questo ragazzo, che ha lasciato una ere-dità culturale preziosa prima di morire a 22 anni per un banale incidente sul lavoro.Un racconto a fumetti che non cede alle tentazioni del sentimen-talismo e della commemorazione, per restituire al lettore tutta la bel-lezza di una intensa storia di vita.

www.mamma.am/giuseppe

ISBN 9788897194033

I Sicili iI Sicilianigiov nigiovani p – pag. 56

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Fotografa

TANO D'AMICO Immagini dal basso

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 57 – pag. 57

Tano D’Amico, il fotografo giornalista che più ha raccontato la storia dei

movimenti dagli anni ’60 in poi e le storie sociali che caratterizzano la storia

della “società reale” italiana. Tano, con questi scatti inediti, ci narra le lotte per

“il diritto alla casa” nella città di Roma, un lavoro che ha svolto dall’ottobre

2013 fno ad oggi.

Il popolo delle borgate romane che vive lungo le strade consolari si organizza

per protestare contro le istituzioni illegali e per ottenere il sacrosanto diritto di

avere una casa.

Questo popolo si è contaminato con altre razze, con altre religioni e nei tanti

colori dell’arcobaleno. Organizza presidi, pranzi collettivi, assemblee dove si

mescolano le tante lingue. Le fotografe che vengono fuori ci regalano delle

“immagini dal basso” che raccontano la disobbedienza civile, l’opposizione alla

“forza armata dello Stato” per il diritto alla casa, per il diritto alla dignità.

Così vediamo le tende che “occupano” il centro di Roma, le mani che fermano i

blindati, la resistenza ai reparti antisommossa della polizia.

Lo stile di Tano è questo: raccontare, così com’è accaduto in passato, ciò che

accade fra la gente che pratica una politica dal basso.Giovanni Caruso

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Tano D'Amico: immagini dal bassodi giro”

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Tano D'Amico: immagini dal bassodi giro”

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 59 – pag. 59

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Tano D'Amico: immagini dal bassodi giro”

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 60 – pag. 60

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Tano D'Amico: immagini dal bassodi giro”

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 61 – pag. 61

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Tano D'Amico: immagini dal bassodi giro”

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 62 – pag. 62

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Tano D'Amico: immagini dal bassodi giro”

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 63 – pag. 63

Tano D’Amico ci ha fatto una

grande regalo, il 27 settembre

ha chiuso, con un seminario

organizzato dalle redazioni de

I Siciliani giovani e de I Cordai

al GAPA, il corso di fotografa

giornalistica sociale,

trasmettendoci l’idea di una

fotografa etica, una fotografa

“politica” e soprattutto

insegnandoci come non si

possono realizzare immagini

senza studiare i fenomeni

sociali.

Vogliamo raccontare con dei

frammenti d’immagini anche

quel giorno, attraverso le foto

di Mara Trovato.

Grazie TanoGiovanni Caruso

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Tano D'Amico: immagini dal bassodi giro”

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 64 – pag. 64

Tano D'Amico al seminario per il corso di fotografia giornalistica sociale,

foto Mara Trovato

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Pianeta

Gli "oggetti intelligenti"made in Bitcoin ARTHUR CLARKE

Ibm userà la tecnologiadella blockchain Bit-coin per il suo futuristi-co "Internet of Things" di Fabio Vita www.bitcoinquotidiano.com

"Ogni tecnologia sufficientemente avanzata

è indistinguibile dalla magia" (Clarke, 1958)

Combinando la tecnologia della blockchain Bitcoin con BitTorrent e un protocollo di messaggistica chiamato Telehash si ottiene un'infrastruttura distribuita che alcuni ricercatori Ibm pensano sia ideale per il loro progetto "Internet of things".

Il sistema proposto da Ibm si chiama Adept e utilizzerà tre diverse tecnologie per risolvere sia questioni tecniche che economiche per "l'internet delle cose". Verrà rilasciato con licenza open-source.

In un lungo podcast su Gigaom, Paul Brody - vice presidente di Ibm e a capo del dipartimento per "mobile e Internet of Things" nel nord america - dice che "il progetto blockchain a cui Ibm sta lavorando con Samsung porta le due compagnie a guardare in profondità su come questa tecnologia può funzionare nel mondo reale".

Nell'intervista di pochi giorni fa a CoinDesk rivela che l'obiettivo è di avere un prototipo hardware funzionante già l'anno prossimo.

Riconoscere tutti i dispositivi

"Il mio smartwatch - spiega Brody- ha un "contratto di transazione" con la mia porta per sbloccarla. La transazione viene rilanciata nella blockchain così che tutti i dispositivi, che io possiedo, nella mia blockchain, mi riconoscono e permettono al mio orologio di aprire ogni porta".

Quindi Ibm, una delle cinque principali aziende tecnologiche al mondo, e Samsung, la più grande compagnia tecnologica, stanno lavorando a un prodotto in tempo per il prossimo Consumer Electronic Show di gennaio.

Brody aggiunge che è possibile che centinaia di miliardi di dispositivi possanoun giorno essere collegati in una singola blockchain o una rete di blockchain, comunicanti fra loro mediante operazioni automatizzate. Lui immagina una ecosistema di entrambi i generi, sia centralizzati che decentralizzati (secondo le esigenze di sicurezza), in ultima analisi spingendo un sistema automatizzato intelligente ad alti livelli mai visti prima.

Il cloud non ha più senso

Ma di che tratta quest'internet delle cose? E perchè la blockchain è più efficace delle altre soluzioni?

Il primo motivo è di natura economica. Per Ibm, un "internet delle cose" come pletora di dispositivi che parlano attraverso il cloud non ha molto senso.

Ci sono troppi costi fissi operando su piattaforma cloud, specialmente per dispositivi che durano un decennio o più nelle case delle persone. Costruire un

sistema su cloud per supportare la lavastoviglie, quando è evidente che non ci siano molti dispositivi che hanno bisognodi comunicare con la lavastoviglie.

Paul Brody èscettico sulmodello "vendere idati delle persone"come sistema persostere i ricavi diquesti servizi perdiversi anni, cosìsta cercando dicostruire unapiattaforma chemantiene l'intelli-genza a livello deldispositivo (eforseun hub su questa premessa) e che possa operare senza la costante attenzione e sopravvivenza del servizio da parte del produttore.

Modelli non invasivi

Il secondo motivo per utilizzare la tecnologia della blockchain Bitcoin, secondo Ibm, consiste in alcune idee su come "questa architettura potrebbe cambiare i modelli di business per l'internet delle cose". Brody è convinto che la vendita di dati non raggiungerà mailivelli significativi, soprattutto perchè i sensori saranno così a buon mercato. Se una società decide di volere i dati, non è terribilmente difficile mettere un sensore nel mercato e costruire un programma in modo che i consumatori vorranno usarlo per condividere i loro dati.

(Tra gli esempi, un sensore da inserire nel manico di una racchetta da tennis che Sony sta sviluppando, al costo previsto di 200 dollari; oppure i servizi di salute e fitness di Google e Apple: Android Fit or HealthKit)

Ma con questa architettura e l'uso della blockchain, è possibile creare nuovi di modelli di business per condividere in ogni situazione non solo dati. I dispositivi potrebbero arrivare a condividere potenza computazionale, o larghezza di banda, o ancora energia elettrica tramite le istruzio-ni impartite via blockchain.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 65– pag. 65

La moneta senza bancheTrend, tecnologia, applicazioni, mercati

Tutto sul bitcoin, in tempo reale

LINKhttps://gigaom.com/2014/09/09/check-out-ibms-proposal-for-an-internet-of-things-architecture-using-bitcoins-block-chain-tech/http://fortune.com/2014/09/10/term-sheet-wed-sept-10/http://two-bit-idiot.tumblr.com/post/97258629244/adept-ibm-samsung-bitcoinhttp://www.coindesk.com/ibm-executive-block-chain-internet-of-things/

https://gigaom.com/2014/08/25/we-will-drown-in-sensors-before-we-ever-build-a-true-internet-of- things/http://www.smarttennissensor.sony.net/NA/https://www.ibm.com/developerworks/mobile/iot/

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Storia

Peppala cannonieraPrima antiborbonica, poi antiproletaria...

di Elio Camilleri

Molti conoscono Giuseppa Bologna-ra, detta Peppa la cannoniera, per il co-raggio dimostrato nelle giornate della liberazione di Catania dalle truppe bor-boniche, pochi, forse, sanno cosa accad-de appena pochi giorni dopo dalle partidi Biancavilla ed Adrano e tutto ciò che le capitò di fare e di vivere nei mesi e negli anni della sua vita.

Con i patrioti

Non era bella, le fattezze erano piutto-sto mascoline e aveva il viso butterato dal vaiolo; era così Giuseppa Bolognara, nata a Barcellona Pozzo di Gotto, ma catanese di adozione per avere legato la sua esi-stenza alla storia della città etnea.

Garibaldi era arrivato in Sicilia da una ventina di giorni e la Sicilia era un unico, totale fermento: gli insorti volevano a cac-ciare i borbonici da Catania e non contavaniente se ancora erano pochi e male orga-nizzati perché era l’aria che si respirava che moltiplicava le forze e preparava la vittoria.

Era questa l’aria che respirò Peppa quando a piazza Ogninella, il 31 maggio 1860, sparò una cannonata sulle truppe del generale Clary e quando riuscì ad im-padronirsi di un cannone che i borbonici in fuga avevano lasciato sulla via.

Peppa lanciò sul cannone una fune, pro-prio come fanno i cow boy per catturare “al lazo” i cavalli, lo tirò a sé restando al riparo dal fuoco nemico, lo sistemò e lo puntò contro i soldati.

Li attirò con uno strattagemma: sparse sul cannone della polvere e simulò un colpo fallito, a quel punto i nemici si lanciarono per riconquistare il “pezzo”, ma questa volta Peppa diede il giusto fuoco alle polveri causando gravi perdite.

Contro i contadini

Da Catania a Biancavilla ci sono pochi chilometri, eppure bastano per collocare Peppa in una nuova dimensione.

In questa sede bisogna spiegare ciò che lei stessa in quei giorni non riuscì a cogliere e cioè che la presenzagaribaldina in Sicilia poteva esseree non fu un’autentica lotta di li-berazione; certo lo fu “po-liticamente” perché i Borbone fu-rono cacciati, ma non lo fu né so-cialmente, né economicamente.

Così i contadini rimasero senzale terre demaniali, mentre borghesie aristocratici riuscirono addiritturaa portare i garibaldini sulle loroposizioni e mantenere, quindi, i loro privilegi di classe dirigente.

Peppa non capì nulla e si trovò, a Bian-cavilla, ad inseguire, catturare e portare davanti al plotone d’esecuzione quei pa-trioti che erano stati con lei a Catania ap-pena pochi giorni prima a cacciare i bor-bonici dalla città.

Furono catturati e fucilati, il 18 giugno, l’artigiano Furnari, detto Legno Torto e altri otto patrioti tra cui una donna, Vin-cenza Vicceri che si era particolarmente distinta nella lotta di classe contro i pro-prietari terrieri.

Nella guardia nazionale

La contraddizione si consumò in modo completo e definitivo quando Peppa entrò nella Guardia nazionale, quando si prestò alla dirigenza aristocratico-borghese con-tro poveri e morti di fame: a Catania, dal-le parti del collegio Cutelli, riuscì a scova-re sotto un tavolo in una bottega di sarto-ria un malavitoso, accusato sommaria-mente di omicidio. Lo immobilizzò e lo fece legare e lo consegnò al plotone di esecuzione per la fucilazione.

Si guadagnò, così, la riconoscenza dellaguardia nazionale e del Governo che la ri-compensò con un mensile di 19 ducati, poi trasformato in una “una tantum” di 216 ducati e fu anche decorata con la me-daglia d’argento al valor militare.

Come si sa la storia non è soltanto conoscenza dei fatti, ma anche memoria , giudizio e compara-zione delle situazio-ni, dei problemi ed anche delle storie personali. E allora, solo per una rifles-sione, va detto che

altre patriote e ribelli non ricevettero alcu-na ricompensa.

Peppa, comunque, non ebbe neppure la sorte di una vecchiaia serena: fino al 1876restò a Catania, la si vedeva per le osterie vestita da uomo a bere e a fumare, poi tor-nò a Messina e cadde nella rete degli usu-rai a causa dei frequenti prestiti per soste-nere le sempre più pesanti spese mediche. Fu ospite, accolta gratuitamente per spiri-to di carità, dalla proprietaria dell’albergo Dogali in via Bocca Barile, 2 e quando si aggravò la portarono in ospedale dove sa-rebbe morta il 20 settembre 1900.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 66– pag. 66

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Storie

“Ciao, sonoKathy”

dajackdaniel.blogspot.it/

“Ciao, sono Kathy, la tua assistente virtuale che ti illustrerà il funziona-mento di EasyJob, la nuova procedurainformatica che permetterà di svolgereil tuo lavoro in minor tempo e con mi-nor fatica. Pronto per cominciare?

(clicca sì per continuare)

Come sai, il tuo lavoro sino ad oggi consisteva nel raccogliere dati, elaborar-li, sintetizzarli in una relazione apposita. Lavoro piuttosto noioso, non è vero?

(clicca sì per continuare)

Non sarebbe meglio occupare il tuo tempo in attività più creative? Leggere li-bri, guardare film, ascoltare musica, cu-rare il proprio corpo e il proprio benesse-re praticando sport e attività fisica?

(clicca sì per continuare)

Non pensi che anche la tua famiglia e ituoi cari potrebbero trarre enorme giova-mento se tu ti occupassi di attività più creative e gratificanti? Non pensi che la tua realizzazione migliorerebbe la qualitàdella vita di coloro che ti circondano?

(clicca sì per continuare)

Molto bene. Ho una splendida notizia per te. Da ora in poi non sarai più co-stretto a riempire tabelle, a scaricare dati e a dedicare ore e ore a lavori noiosi e ri-petitivi. Sei contento?

(clicca MOLTO! per continuare)

Clicca, clicca!

Da oggi, infatti, grazie a EasyJob, tutti questi lavori saranno svolti in automaticodai Sistemi. Le tabelle che impiegavi ore a riempire sono state linkate nelle setti-mane scorse alle banche dati sorgente. PointData selezionerà i dati rilevanti, escludendo gli errori e le eccezioni, e conessi popolerà le tabelle.

Successivamente IntelligentAnalyzer provvederà a individuare i cluster più si-gnificativi e SmartPresentation li utiliz-zerà per redigere il rapporto finale. Non èmeraviglioso?

(clicca sì per continuare)

(sei pregato di cliccare sì per conti-nuare)

(la nuova pagina verrà caricata tra 30 secondi)

L’Azienda ha deciso, per rispetto della tua Figura Professionale, di passare in produzione EasyJob solo fra due settima-ne, a partire dal primo del prossimo mese, per darti la possibilità di maturare un’ulteriore mensilità piena. E’ stato un gesto di grande considerazione, non tro-vi?

(la nuova pagina verrà caricata tra 30secondi)

In base alle recenti riforme in campo lavorativo, avrai diritto a molti mesi di retribuzione garantita, oltre al Trattamen-to di Fine Rapporto sin qui maturato, chepotrai utilizzare per acquistare molti librie per visitare moltissimi musei. Non è eccitante?

(la nuova pagina verrà caricata tra 30secondi

La procedura ByeBye

Inoltre, nei prossimi 19 anni e sette mesi che, secondo le attuali normative, ti mancano per conseguire l’età pensiona-bile, avrai modo di raccogliere le più sti-molanti sfide che ti verranno dal mondo lavorativo. Potrai cambiare settore di at-tività, lavoro o interessi senza essere co-stretto alla routine del posto fisso e assi-curato. Ti regaliamo, altrove, una vita sti-molante e ricca di sorprese. Non è neces-sario ringraziarci: dare il massimo ai no-stri collaboratori è una mission aziendalerecentemente ribadita dal Ceo.

(Tra 90 secondi sarai reindirizzato alla procedura ByeBye che ti darà pre-ziose informazioni su come gestire al meglio gli adempimenti burocratici indi-spensabili per la definizione di Fine Rapporto. Ciao, spero di esserti stata utile.)

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“L'assistente virtuale di EasyJob, il nuovo modo di lavorare” di Jack Daniel

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Politica/ Il Jobs Act

“Ve lo do ioil lavoro”Renzi “rottama” e i la-voratori scendono in piazza. Non hanno voglia di essere rottamati pure loro. “La crisi la deve pagare chi ci ha guadagnato”. Giusto. Ma dal dire al fare...

di Riccardo De Gennaro www.ilreportage.eu

Il cosiddetto “Jobs Act” si propone in

primo luogo di “generare nuova occu-pazione, in particolare giovanile”. Il te-sto, tuttavia, oltre a essere assai vago, deve ancora passare al vaglio della Ca-mera e successivamente si dovranno at-tendere i decreti attuativi previsti per laprima metà del prossimo anno.

Allo stato delle cose il provvedimento non solo non appare efficace, ma consiste in uno scambio che potrebbe rivelarsi for-temente ineguale.

Da un lato, più libertà di licenziare, mantenendo il reintegro previsto dall’arti-colo diciotto soltanto nel caso di espulsio-ni discriminatorie;

dall’altro uno “sfoltimento” delle ti-pologie contrattuali, che dal pac-chetto Treu alla riforma Fornero,passando per la legge Biagi, sonoaumentate a dismisura, come ha ri-conosciuto anche il ministro del La-voro Poletti, il quale ha sottolineatoche oggi si assume con contratto atempo indeterminato soltanto nel 17 per cento dei casi.

L’idea del governo Renzi è di semplifi-care la foresta contrattuale, eliminando – pare – i contratti a progetto e introducen-do il “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio” con “l’obiettivo di farne la normale modalità”.

Quanto ai contratti a termine, verrebbe stabilito un tetto di 36 mesi complessivi, con un massimo di otto proroghe e una quota non superiore al 20 per cento dell’organico.

Totale facoltà di licenziare

Il problema è che il contratto a tempo indeterminato di cui sopra risulta minato in partenza: dalla pressoché totale facoltà di licenziare in qualunque momento (il massimo della flessibilità) e dalla compre-senza di altre forme contrattuali (il con-tratto unico è stato escluso), che seppur ri-dotte di numero continueranno ad essere –nonostante la promessa di sgravi fiscali

per le assunzioni a tempo indeterminato – le più appetite dal datore di lavoro, come acca-duto finora.

Non solo: gli stessi datori di la-voro, avranno due armi in più:

1) la possibilità di spostare il dipendente da una mansione a un’altra,quindi di demansionarlo;

2) il ricorso alle nuove tecnologie per lasorveglianza e il telelavoro.

Il lavoratore non avrà quindi maggiori tutele, ma meno tutele.

Il lavoratore avrà meno tutele

Il governo punta anche a favorire le im-prese che stipuleranno contratti di solida-rietà attraverso la riduzione dei contributi,ma i contratti di solidarietà si fanno con i lavoratori che già ci sono, non certo con l’assunzione di nuovi.

Come sarà possibile, dunque, raggiun-gere l’obiettivo di generare nuova occupa-zione? Nel frattempo, il provvedimento sul mercato del lavoro va avanti pressochéin bianco e a colpi di fiducia poiché, dice ancora Poletti, “abbiamo un urgente biso-gno di concludere il percorso”?

Il primo sciopero contro Renzi

Le opinioni contrarie non sono gradite al “mandante” (leggasi Merkel ed Fmi, che hanno prontamente espresso il loro appoggio alla riforma). Neppure quelle in-terne della minoranza del Pd, che ad ogni modo abbaia molto ma non morde mai.

La sola opposizione è quella della Cgil, che – dopo la manifestazione del 25 otto-bre a Roma – ha preannunciato uno scio-pero generale. Il primo contro Renzi. E molto probabilmente non l’ultimo.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 68– pag. 68

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Palermo/ Arriva “booq”

Biblioteca Officinaoccupata di quartiereUna pratica di disobbe-dienza civile per com-battere l'abbandono delpatrimonio pubblico e la disgregazione sociale

di Giovanni Abbagnato

Nel centro storico di Palermo, a due passi dalla storica Piazza Marina, al vi-colo della neve, un gruppo di persone, di diversa età e provenienza, ha deciso di occupare uno dei tanti locali di pro-prietà pubblica della zona, da tempo consegnati al degrado.

Questa iniziativa disobbediente nasce per rispondere all'esigenza, sempre più avvertita, di elaborazione culturale e di aggregazione sociale autonoma in una cit-tà sempre più abbandonata all'incuria, alladesolazione e alla speculazione.

Per rendere agibile il locale occupato tanta gente si è impegnata in un'opera di autorecupero, completamente autofinan-ziata, che ha consentito di aprire una bi-blioteca di quartiere di oltre 7000 volumi, raccolti in anni di impegno in strada, e dell'avvio di una officina del riuso per ri-pensare il rapporto con gli oggetti, ripa-randoli e conservandoli per condividerli.

Uno spazio di coesione sociale

Particolarmente lucida lapresentazione di booq da parte dicoloro che lo hanno voluto: “Booqnon vuole offrire un servizio alla città:vuole essere spazio di condivisione apartire dal quale costruire una cittàdiversa. booq vuole essere uno spaziodi resistenza: vuole contribuire a crea-re connessioni tra persone, libri, e idee, restituendo a questa città un luogo altri-menti inutilizzato. Vuole essere un luogo per i libri, uno spazio di socialità, una saladi lettura, uno spazio di coesione sociale, un luogo di studio individuale e collettivo,uno spazio in cui scambiare e far rivivere oggetti, idee, desideri”.

Ma booq è anche l'ultimo prodotto di una storia antica nella città di Palermo cheha sollevato nel tempo, con le sensibilità socio-politiche delle varie fasi attraversatedai movimenti cittadini, tutte le storie del-la marginalità culturale e sociale.

Casa, lavoro, educazione

I bisogni fondamentali della gente comecasa, lavoro, educazione, integrazione so-ciale restano insuperate emergenze socialila cui rivendicazione può anche attenuarsisotto la fatica dei tempi, ma per poi riaf-fiorare periodicamente come un fiume carsico mai del tutto domo e che non si rassegna a non scorrere per essere del tut-to stagnante.

Booq, nell'idea dei suoi promotori, è una risposta alla rassegna-zione di chi pensa che nulla può lasciare traccia in una città che defini-

scono “a misura di nessuno”.Per parlare di tempi più recenti, booq

segue l'esperienza dei movimenti che ha operato vertenze ed elaborazione su nuo-ve forme di uso di beni collettivi e che ha supplito all'assenza di politiche di accoglienza e di lotta all'emarginazione.

Booq ha anche nella sua eredità più re-cente la lotta per la riapertura dei Cantieri culturali della Zisa e, più in generale, del-la resistenza alla desertificazione socio-culturale imposta nel decennio dell'ex Sindaco Cammarata.

Ma booq vuole anche essere un luogo libero da qualsiasi condizionamento che vigila e denunzia anche l’inadeguatezza dell'attuale Governo della città che pensa di potere vivere della rendita, al momento immeritata, delle tante speranze riposte dalarghe fasce di cittadini su una nuova sta-gione di primavera politica ed ammini-strativa.

Booq vuole essere tutto questo e, forse, anche di più perché, probabilmente, Paler-mo è una città mai del tutto pervasa e pa-ralizzata dalla rassegnazione.

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Italiani

MammaliturchiImmigrati: propaganda e realtà

Lo sbarco infinito, gli scafisti, i pregiudizi, il lavoro che non c’è, gli incassi per chi li acco-glie e manodopera a 15euro al giorno

di Salvo Vitale Vengono dal mare stipati su barconi che a stento stanno a galla. Pagano da mille a 3000 euro pur di trovare un po-sto sulle carrette del mare, procurate da scafisti senza scrupoli.

Il racket del traffico di esseri umani non ha bisogno di essere siciliano, per es-sere definito mafioso.

Secondo il solito balletto delle cifre cui ci hanno abituato in Italia, c’è chi dice chequest’anno ne siano arrivati 80.000, chi 120.000, chi spara cifre più grosse, chi gioca brutto sulla loro pelle, presagendo invasioni, la fine della nostra identità di europei e occidentali, che diventeremmo schiavi dei nuovi barbari, fregiati, per di più, dalle bandiere dell’Islam, da quelle diBudda, da quelle di Confucio.

Anche sui morti a mare nell’immensa tomba del Mediterraneo, le cifre sono in-certe e ci si orienta sui 4.000. C’è chi pa-venta furti, diffusioni di malattie infettive,tipo Ebola, Aids, Tbc e altri misteriosi vi-rus, chi rifiuta di far frequentare la scuola al proprio figlio, se è seduto accanto a un negretto, portatore, secondo la fervida im-maginazione di leghisti nordici e razzisti

nostrani, di pidocchi, pulci, cimici, piatto-le, acari, zecche e quant’altro di quel che, sino agli anni 80 circolava nelle nostre case, fino a quando non è stato debellato col micidiale DDT e altri insetticidi, oltre che con un diverso rapporto con l’igiene.

Si dice che il 40 per cento di essi siano siriani, o comunque, provenienti da zone di guerra: in tal caso, per condizione uma-nitaria, l’ospitalità è d’obbligo.

E l’altro 60%? Si dice che si avventu-rino in mare perché sanno di poter contaresull’aiuto della marina italiana, mentre le navi di altra nazionalità li lascerebbero af-fondare senza alcuna pietà.

La violenza della propaganda razzista

Il governo italiano, per alleggerire la violenza della propaganda razzista, tenta di schermirsi dicendo che la colpa è dell’Europa che non interviene e non si vuole fare carico del problema, ma che egli continua a intervenire tramite l’opera-zione Mare Nostrum, che tuttavia non è stata rifinanziata per l’anno prossimo.

Gli altri governi europei rispondono di avere raggiunto il punto di saturazione di extracomunitari, che, con cifre alla mano, supererebbe, almeno di dieci volte quello dei presenti in Italia e ribattono afferman-do che all’Italia sono già state date ingentirisorse per far fronte al problema.

Di fatto gran parte di coloro che arriva-no dal mare sono stipati in centri d’acco-glienza, molto simili ai lager nazisti, prati-camente delle prigioni in cui soggiornano sino a quando non sono distribuiti su strutture di ricezione presenti in tutto il territorio nazionale, ma particolarmente nel sud Italia, in attesa, prima della loro identificazione, poi del rilascio del per-messo di soggiorno.

Il soggiorno in queste strutture è pagato,a chi accoglie i profughi, 40 euro al gior-no, 80 euro per i minori, versati in parte dalla Prefettura, in parte dai comuni ospi-tanti, mentre agli “internati” viene dato un“obolo” di 2 euro e venti centesimi.

Chi prende i soldi “per gli immigrati”

Spesso le comunità d’accoglienza sono rifornite di vestiario, scarpe e altri generi di sopravvivenza.

I tempi per il rilascio del sospirato per-messo sono lunghi perché, da quel che si sa, le prefetture riescono ad evadere quat-tro-cinque casi al giorno: è inevitabile chiedere quanti sono e che cosa fanno questi impiegati nel resto della giornata.

Non c’è dubbio comunque che la consi-stente paga invogli chi dispone di locali idonei o resi tali, a metterli a disposizione.

Poco tempo fa ha suscitato indignazio-ne, sdegno e scalpore la proposta di offri-re 900 euro al mese ad ogni famiglia di-sponibile ad ospitare un profugo.

Ma, superato lo stupore del primo mi-nuto, c’è da considerare che, rispetto ai 1200 euro al mese che riceve il gestore della comunità per ogni ricoverato, si ri-sparmierebbero 300 euro e i profughi go-drebbero di condizioni di gran lunga più favorevoli, rispetto a quelle in cui sono te-nuti e stipati.

Da tutto ciò nascono malumori, mugu-gni, ribellioni, indignazioni, intolleranze ealtre gravi conseguenze.

La prima lamentela nasce dal malinteso che i 40 euro al giorno siano dati ai clan-destini e non ai titolari delle strutture d’accoglienza.

Quindi si tratta di denaro che resta nelletasche di alcuni Italiani: i soliti arrabbiati dicono che è sottratto dalle tasche di altri italiani, cioè di quelli che pagano le tasse, ma in realtà buona parte proviene da fondieuropei.

E’ pensabile, anzi è certo, che qualsiasi disoccupato “italiano” che non ha una lira in tasca e cerca disperatamente un la-voro per sopravvivere, accetterebbe, non tanto di essere mantenuto, ma anche di la-vorare per quella cifra. Non parliamo di coloro che, per cercare lavoro, vanno all’estero, anche se non su un barcone.

Ma un italiano non viene da zone di guerra.

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“Se non state attentii mass media vi farannoodiare le persone oppressee amare quelle cheopprimono”

“Sono loro i colpevoli!”

Addirittura si potrebbe ipotizzare che, se i 40 euro giornalieri, più 2,20 centesi-mi, fossero dati ai clandestini vaganti, questi potrebbero addirittura accantonarneuna parte, perché, a conti fatti, nella na-zione che li ospita, si può vivere anche con molto di meno. E avendo come sfa-marsi e sopravvivere, alcuni momenti di delinquenza comune, verrebbero meno.

Ma la riflessione è solo ipotizzabile, non realistica, dal momento che c’è in Ita-lia, in tutta la stampa e nell’opinione co-mune che essa riesce a mobilitare, l’impo-stazione, non solo la tendenza, a ritenere responsabili di tutti gli atti di delinquenza,o della maggior parte di essi, gli extraco-munitari, i nomadi-zingari e, comunque tutti quelli che hanno un’etnia diversa.

E’ successo troppe volte che, quando i responsabili di delitti sono italiani, la noti-zia passa tra le secondarie, quando sono stranieri i titoli sono amplificati: è l’anti-co pregiudizio secondo cui gli stranieri sono sempre più colpevoli degli indigeni, sia perché gli indigeni si ritengono sempremigliori degli stranieri, sia perché, com-mettendo un delitto, si dimostrano ingrati rispetto al paese che li accoglie.

“Ci tolgono lavoro!”

E poi c’è l’ultima feroce e ipocrita ac-cusa: gli stranieri tolgono lavoro ai locali, i quali sono costretti ad andare via.

Il problema è serio: esistono stranieri che, come facevano gli Italiani emigrati inAmerica ai primi del Novecento, fanno tutta una serie di lavori che ormai gli Ita-liani non fanno più: lavori umili, manua-li, che richiedono sacrificio, accettazione passiva di regole spesso disumane, ridu-zione in una condizione di schiavitù de-gna d’altri tempi: badanti 24 ore, camerie-re, serve, manovalanza varia per lavori agricoli e industriali molto pesanti, paga irrisoria rispetto alle quotazioni di lavoro della piazza, lavoro nero e nessuna norma di sicurezza.

Ma è anche vero che l’offerta di mano d’opera a costi irrisori rompe la piazza e ilbracciante abituato a guadagnare cinquan-ta euro al giorno (più altri trenta euro di contributi, quando c’è la “messa in regola”, ) non può competere con chi si accontenta di trenta-quaranta euro.

Il mercato sotterraneo

Va calcolato anche che esiste un circui-to che riprende quasi interamente questo denaro attraverso la quota trattenuta dal “caporale” che offre e organizza il lavoro,gli spostamenti, il cibo, il posto in cui dor-mire e, persino il vestiario.

L’abbondanza di stranieri parcheggiati in strutture d’accoglienza, (a Partinico e dintorni se ne contano circa trecento), ha creato un ulteriore abbassamento dei costidel lavoro, al punto che si è creato una sorta di mercato sotterraneo di manodope-ra addirittura a 15 euro per una giornata dilavoro, purchè si assicuri il pasto.

Addirittura, coloro che usufruiscono di questa manodopera a buon mercato sono diffidati, da chi si incarica di segnalarli, dall’aumentare la tariffa, per non rompere la piazza. Non sembra che siano diffuse dappertutto condizioni di caporalato forzato o racket del mercato del lavoro.

Per quanto consta molti immigrati non si dispiacciono di questa condizione di sfruttamento: pare che accettino volentieril’offerta di qualsiasi lavoro, pur di non re-stare immobili e inutili anche a se stessi.

Ce n’è abbastanza per creare una sorta di muro con questa gente che vende tutto, fugge ed è disposta a rischiare la vita pro-pria e della propria famiglia nell’illusione di un avvenire migliore. Ottenuto il per- messo di soggiorno e spesso anche senza di questo, spariscono e vanno a cercare di sopravvivere nel resto d’Europa.

Un discorso a parte meritano i cinesi, che arrivano senza problemi, con le taschegonfie di soldi, aprono negozi, dispongo-no di rifornimenti di merce, ottengono le licenze, addirittura offrono lavoro, assu-mendo commesse.

Troppo presto ancora per dire se, sotto atutto questo, non ci sia un racket mafioso di controllo delle attività.

L’Italia è arrivata molto tardi a fare i conti con la multietnicità, diversamente daaltre nazioni europee, che una volta ave-vano imperi coloniali, e che hanno da tempo imparato a convivere con questa gente, ormai cittadina a pieno titolo dellanazione che li ospita.

Guerre fra poveri: chi le alimenta

Tra gli Italiani c’è invece chi si augura che tutti i barconi carichi possano naufra-gare, chi chiede che gli sbarcati possano essere rimandati nei paesi d’origine, chi vorrebbe che questa gente imparasse ad usare le armi per difendere la propria casae le proprie idee, cioè si rendesse protago-nista del proprio futuro senza sperare di potere contentarsi delle briciole degli altri.

Insomma, siamo in presenza di guerre tra i poveri, di indegne speculazioni poli-tiche che tentano di scaricare su gente de-bole e indifesa le colpe e le responsabilitàdi anni di malgoverno e gli effetti della corruzione. “Se non state attenti i mass media vi faranno odiare le persone op-presse e amare quelle che opprimono”, disse Malcom X.

Siamo ancora il settimo paese più ricco del mondo e, rispetto ai luoghi da dove proviene questa gente, le nostre condizio-ni di vivibilità sono di gran lunga miglio-ri, ma va preso atto che ormai , anche da noi, c’è ben poco da spolpare, “non c’è più trippa per gatti”.

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Mafia nelle aree settentrionali

Rapporto CrossChi, come e doveUn supporto scientificoper lo studio della criminalità organizzata

di Samuele Motta e Carmela Racioppi www.stampoantimafioso.it

Dal 29 settembre sul sito dell’Osser-

vatorio sulla Criminalità Organizzata dell’Università di Milano è disponibile il “Primo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali”, un’importante re-lazione commissionata dalla Presidenzadella Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno mafioso.

L’Osservatorio, composto da alcuni ri-cercatori guidati dal professor Nando dal-la Chiesa, è stato istituito nel 2013 con l’obiettivo di raccogliere in un unico cen-tro scientifico le competenze e le energie formatesi nell’ambito delle molte espe-rienze didattiche e di ricerca condotte presso l’ateneo milanese.

Il rapporto costituisce il frutto di un la-voro di ricerca e analisi in cui il gruppo si è avvalso di una pluralità qualificata di fonti di informazione: dai documenti uffi-ciali, come quelli giudiziari o prodotti da strutture investigative, alle intense e diffe-renti esperienze di impegno e di studio in materia, al ricco patrimonio di conoscenzeaccumulato attraverso seminari e tesi di laurea sul fenomeno mafioso nelle comu-nità settentrionali, alla ricca rete di rela-zioni costruita con amministrazioni comu-nali, strutture investigative, università, realtà associative.

Proprio data la varietà di fonti, il gruppo di ricerca ha utilizzato e mediato fra una molteplicità di prospettive e metodologie affermatasi nel confronto scientifico, istituzionale e civile.

“Un alfabeto per la lettura del Nord”

Il gruppo di ricerca si è confrontato con difficoltà importanti. Problemi di ordine metodologico innanzitutto: ad esempio unbasso numero di beni confiscati può espri-mere, anziché una modesta presenza di organizzazioni mafiose, anche una caren-za di iniziative di contrasto delle stesse. Insecondo luogo un’ incertezza derivante dalle sentenze della magistratura con rife-rimento alla contestabilità del reato di cui al 416 bis, nelle aree settentrionali: questaincertezza deriva dall’acerba formazione all’analisi e alla comprensione del feno-meno, oltre che del pregiudizio, che segnanel loro complesso le classi dirigenti set-tentrionali, secondo cui le organizzazioni mafiose al nord non avrebbero insedia-menti veri e propri e comunque non com-metterebbero al nord gli stessi reati com-messi nelle regioni di origine.

Nonostante queste difficoltà, la relazio-ne riesce ad offrire “una specie di alfabetoper la lettura della realtà settentrionale”. Il suo obiettivo dichiarato è “proporre unamappa articolata dell’aggressività del fe-nomeno mafioso nelle regioni e provincie del nord”, fornendo una chiave di lettura complessiva delle dinamiche in corso e suggerendo, al contempo, le probabili li-nee evolutive della presenza mafiosa sul territorio settentrionale.

La tesi di fondo, che rappresenta il maggiore riferimento teorico del rapporto,è quella che presenta il ruolo decisivo gio-cato dai piccoli comuni nell’evoluzione della vicenda mafiosa al nord.

“Mentre gran parte dell’opinione pub-blica è incline a pensare che il trasferi-mento dei clan al nord sia guidato dalle opportunità di impiego dei capitali di pro-venienza illecita nella Borsa e nella finan-za (…), in realtà la diffusione del fenome-no mafioso avviene soprattutto attraverso il fittissimo reticolo dei comuni di dimensioni minori, che vanno considerati

nel loro insieme come il vero patrimonio attuale dei gruppi e degli interessi mafiosi”.

È proprio in questi piccoli comuni infatti che si costruisce quella capacità di controllo del territorio, di condizionamento delle pubbliche amministrazioni locali, di conseguimento di posizioni di monopolio nei settori basilari dell’economia, a partire dal movimento terra, che sono così importantiper i clan. Qui è possibile costruire, grazieai movimenti migratori, estese e solide reti di lealtà fondate sul vincolo di corregionalità, o meglio di compaesanità, molto spesso rafforzate da legami di parentela di vario grado e natura. Inoltre l’inesistenza o la debole presenza di presidi delle forze dell’ordine in alcuni di questi comuni garantisce ai gruppi criminali armati una facilità di esercizio de facto di una sorta di “giurisdizione parallela”; senza contare che qualsiasi azione dei clan che sia legata alle vicende dei comuni minori è per lo più ignorato dalla grande stampa e dalle stesse istituzioni politiche nazionali.

Fondamentale è poi la possibilità, nei centri minori, di facile accesso alle amministrazioni locali; infatti grazie alla disponibilità di un piccolo numero di preferenze si può controllare un intero comune specie in contesti in cui il ricorso alla preferenza è poco diffuso tra gli elettori (come al nord).

Dopo aver esposto in apertura le princi-pali mappe generali della presenza mafio-sa, la relazione prosegue con analisi delle singole regioni seguendo l’ordine decre-scente “dell’indice di presenza mafiosa”, così come viene definito dal gruppo di ri-cerca: Lombardia, Piemonte- Val d’Aosta,Liguria, Emilia Romagna e Triveneto. E dopo una descrizione e una valutazione d’insieme, ogni regione viene anche ulte-riormente scomposta per provincie, spin-gendo l’analisi ancora più in profondità.

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“Centri eperiferie

dellemafie”

Infatti è sempre incisiva e decisiva in una lotta la maggior conoscenza possibile dell’avversario che si intende combattere.

In questo ambito si deve notare, in par-ticolare, come il luogo della massima con-centrazione conosciuta di “locali” di ‘ndrangheta coincida con l’area comples-siva delle province di Milano e Monza-Brianza, ossia con un’area che presenta una densità demografica di dieci volte maggiore alla media nazionale.

Questo perché l’elevata densità demo-grafica si associa di norma a fitti processi migratori, ma consente anche una mag-giore possibilità di mimetizzazione socia-le e più favorevoli opportunità di costru-zione di relazioni sociali e professionali anonime, che travalichino i confini dei singoli comuni. Inoltre un’alta concentra-zione di abitanti si associa anche ad una elevata percentuale di cementificazione del territorio; un processo che implica unaesaltazione delle opportunità di inseri-mento delle imprese mafiose.

Il caso Imperia

Particolarmente interessante appare an-che il caso della provincia di Imperia in cui l’indice di presenza mafiosa raggiungeil livello più alto di tutta la Liguria. In quest’ area, infatti, sono presenti impor-tanti famiglie ‘ndranghetiste ben inserite nel tessuto sociale. Ed inoltre tutti gli in-dicatori rilevati dal gruppo di ricerca di-pingono un quadro alquanto allarmante sfatando così l’immagine di una Liguria come isola felice.

La formula del successo sembra essere quindi “piccoli comuni-alta densità demo-grafica”.

Però l’analisi del gruppo di ricerca dell’Osservatorio coglie un’altra possibili-tà: ossia la presenza in aree con caratteri-stiche opposte: cioè a densità demograficapiù bassa della media nazionale. Questo perché “i comuni che si situano in aree scarsamente popolate sono più facilmente controllabili, si trovano nella situazione diisolamento prediletta dai clan anche nella madrepatria, si sottraggono ai movimenti di opinione che possono comunque for-marsi in quelli che finiscono per essere oggi grandi agglomerati metropolitani. Consentono cioè avanzate più invisibili e impunite e in essi si produce più veloce-mente una condizione di assuefazione e diomertà ambientale. Dinamiche di questo tipo si segnalano ad esempio nelle provin-cie di Pavia, di Bergamo e di Brescia.

Il rapporto fornisce alcune ragioni di ri-flessione sul piano strategico e altrettanti stimoli sul piano operativo. In primis che il fenomeno mafioso appare nel nord in crescita costante, sia pure muovendo da punti di partenza e da gradi di radicamen-to piuttosto diversificati e che tale dinami-ca espansiva appare favorita da processi di sottovalutazione e di rimozione che coinvolgono di norma la maggior parte dei protagonisti della vita pubblica.

Solo da pochissimi anni, e solo in alcu-ni casi specifici, si sta infatti registrando una risposta degli enti locali sul piano del-la elaborazione di nuove regole e di pro-getti formativi mirati.

Questo deriva dal fatto che “sottovaluta-zione e rimozione si intrecciano con un al-larmante deficit di co-noscenze”; anche, tal-volta, con riferimento alle forze dell’ordine.

Un altro problema è la visione e organizzazione d’insieme del controllo del territorio: i paesi, anziché essere “periferia”, dimostrano spesso di essere il cuore della questione mafiosa.

Un terzo tema individuato è quello di una notevole flessibilità, al nord ma non solo, del modus operandi dei gruppi cri-minali; questi possono avvantaggiarsi “dell’alta o della bassa densità demografi-ca, della abbondanza di risorse o della cri-si (usura, gioco d’azzardo), dei servizi so-ciali evoluti o del degrado urbano, del ser-vizio pubblico o dell’economia privata; e oltre a ciò presentano un’alta spregiudica-tezza nella scelta della propria rappresen-tanza politica, senza predilezioni a priori per l’uno o l’altro schieramento”. Contan-do anche su un intenso ricambio genera-zionale, che però non perde di vista i va-lori criminali fondamentali. Il dinamismo mafioso impone insomma un più alto di-namismo istituzionale.

Consensi tuttavia limitati

Un’ultima annotazione può invece esse-re un po’ rassicurante: “le organizzazioni mafiose, pur influenti sulla vita pubblica ecapaci di interferire con il momento elet-torale, non sembrano tuttavia disporre di amplissimi “pacchetti” di consensi” e pre-sentano “una difficoltà visibile a conse-guire successi laddove si propongano di agire su teatri più ampi, dalle elezioni re-gionali a quelle europee, come anche a in-vestire su una larga cerchia di candidati”.

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Liguria

E' arrivatala 'ndranghetaImperia: al processo “La Svolta” le cosche nel ponente ligure

di Luca Traverso www.stampoantimafioso.it

Il processo “La Svolta”, a Imperia, ha

accertato la presenza delle cosche cala-bresi nel ponente ligure.

L’indagine condotta dalla D.D.A. di Ge-nova, ed in particolare dal pm Giovanni Arena, ha ricostruito il contesto mafioso che ha portato allo scioglimento dei comu-ni di Bordighera e Ventimiglia, documen-tando una serie di episodi delittuosi (mi-nacce, estorsioni, traffico di droga, deten-zione di armi) e la fitta rete di rapporti col-lusivi che legano esponenti dei clan alla politica locale. La Svolta costituisce l’ulti-mo atto di un’offensiva giudiziaria che erainiziata intorno al 2000, con il primo filo-ne “Maglio” archiviato per infondatezza della notizia di reato. Poi nel, luglio 2010, su ordine dei giudici calabresi sono stati arrestati a Genova il verduraio Domenico Gangemi e l’imprenditore edile DomenicoBelcastro, tratti a giudizio nel noto proces-so “Crimine”. La magistratura ha così stretto il cerchio intorno agli uomini che circondavano Gangemi, il cui negozio “Il regno della frutta”, in Piazza Giusti, quar-tiere S. Fruttuoso, era un crocevia di poli-tici e compaesani.

Era iniziato il processo Maglio 3, che havisto imputati in rito abbreviato dieci sog-getti (più altri due in ordinario). La procu-ra distrettuale ha individuato la presenza di almeno 4 locali (Sarzana, Lavagna, Ge-nova, Ventimiglia), cui si affianca una ca-mera di compensazione (situata sempre nella cittadina del ponente), che estende lapropria giurisdizione al Basso Piemonte. Grazie all’ampio utilizzo di intercettazionitelefoniche sono stati accertati riunioni e riti di affiliazione. In particolare, si è rico-struito il summit avvenuto a Lavagna, all’Hotel Ambra, di Paolo Nucera, di Con-dofuri (RC).

“Una bella ndranghetella...”

Era il 16 marzo 2010: in macchina, sullavia del ritorno, un’ambientale capta la conversazione tra Mimmo Gangemi e Ar-cangelo Condidorio: «Una bella ‘ndran-ghetella te la sei fatta, dài… ’na scialata con il tuo compare».L’indagine si è soffer-mata compiutamente sui rapporti tra pre-sunti ‘ndranghetisti e politica locale: si sono accesi i riflettori in particolare sulle Regionali del 2010, che hanno visto un si-curo inquinamento del voto. Aldo Praticò (che non viene eletto) e Alessio Saso (con-sigliere regionale tuttora in carica) vengo-no indagati per corruzione elettorale ag-gravata. Le intercettazioni dimostrano l’accordo sul voto. Sono pure documentativari incontri, spesso nel “frutta e verdura” di Gangemi. Si è affermato che il vulnus dell’indagine risiedesse nella mancata contestazione di singoli reati-fine (presentiinvece nell’inchiesta sorella “La Svolta”).

I precedenti penali degli imputati testi-moniavano una lunga militanza criminale e uno di loro, Onofrio Garcea, mentre Ma-glio 3 era in corso, è stato condannato a 9 anni per usura aggravata proprio dal meto-do mafioso. Ma per il GUP Silvia Carpani-ni il reato non c’era, mancando l' intimida-zione, l'assoggettamento e l'omertà, che costituiscono i requisiti imprescindibili dell’associazione mafiosa.

Dal contesto «si evince non certo l’estraneità degli imputati, o quanto meno della maggior parte di essi, alla ‘ndranghe-ta, giacché è indiscutibile che di ‘ndran-gheta in molti casi si parli»; tuttavia il giu-dice perviene alla «impossibilità di affer-mare, con il necessario grado di certezza che si impone nella fase di giudizio di me-rito, che questo “essere” ‘ndranghetisti si concretizzi anche nel “fare” gli ‘ndranghe-tisti e, prima ancora, da un punto di vista logico, oltre che giuridico, che la ‘ndran-gheta che oggi è in Liguria e di cui gli at-tuali imputati sarebbero i massimi espo-nenti abbia assunto i connotati che le sono propri nella terra di origine e realizzi, quindi, un’associazione criminale ricondu-cibile all’art. 416 bis c.p.».‘ndrangheta in Liguria, primo rapporto di CROSS.

La ‘ndrangheta c’è dunque, ma non fa la‘ndrangheta. Eppure viene dimostrato an-che lo stretto collegamento dei gruppi atti-vi in Liguria con “Mamma” Calabria. Vie-ne intercettato un incontro all’agrumeto di Rosarno (14 agosto 2009) tra il boss ligureGangemi (condannato intanto a 19 anni e 6 mesi in ordinario) e don Micu Oppedi-sano (condannato a 10 anni in abbreviato).Mimmo afferma: «Siamo tutti una cosa, pare che la Liguria è ‘ndranghetista. Quel che c’era qui, lo abbiamo portato lì».

I due parlano diffusamente dei vari gradi(Santista, Vangelo, Quartino, Trequartino, Padrino); di giuramento, di «stella sulla spalla destra», di bacio in fronte, simboli eriti palesemente afferenti all’universo ‘ndranghetista. Ma nulla sembra scalfire leconvinzioni dell’organo giudicante; lapi-daria è la conclusione: «Essere ‘ndranghe-tista, soprattutto al di fuori della Calabria dove realmente la ‘ndrangheta permea ogni aspetto della vita sociale ed economi-ca, non vuol dire necessariamente, in as-senza di concrete dimostrazioni in fatto, fare l’ndranghetista, contribuendo al per-seguimento delle finalità criminali del so-dalizio, il che presuppone, come si è detto,la concreta verifica del reale inserimento organico, dell’operatività del singolo soda-le e della sua messa a disposizione per il perseguimento dei fini e con le modalità propri dell’associazione mafiosa e, quindi,nella piena consapevolezza di detti fini e modalità che devono entrare nella sfera della sua rappresentazione volitiva».

I dieci imputati vengono dunque assolti perché il fatto non sussiste, ai sensi dell’art. 530, capoverso, c.p.p., che si uti-lizza quando la prova «manca, è insuffi-ciente o contraddittoria».La Procura Gene-rale, nel presentare l’atto di impugnazione,ha contestato duramente la decisione di primo grado, in virtù della quale sarebbe lecito «costituire, promuovere o apparte-nere a locali di ‘ndrangheta […] consente[ndo] a questa associazione […] di estendere la propria presenza nel Nord Italia, così potenziando le proprie strutturee capacità operative».

http://www.cross.unimi.it/primo-rapporto-trimestrale-

aree-settentrionali/

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Bologna

Black MonkeyLa cosca emilianaRiparte a Bologna uno dei processi più impor-tanti sull'intreccio tra criminalità organizzata e gioco d'azzardo: alla sbarra il boss Nicola Femia

di Valeria Grimaldi www.diecieventicinque.it

Continua a Bologna il processo deno-minato Black Monkey, che vede impu-tato il presunto boss Nicola Femia (det-to Rocco) accusato di aver costruito e gestito una rete di slot machine e siti on-line di gioco d'azzardo illegale, con base in Emilia-Romagna e ramificazio-ne in altre 11 regioni italiane, e un paio di Paesi esteri (in particolare, Inghilter-ra e Romania).

Nella decima udienza s'è ripreso quantoera stato interrotto prima della pausa esti-va: l'esame da parte della pubblica accusa di numerosi soggetti che possono riporta-re informazioni utili per delineare il qua-dro dell'intera vicenda. In particolare sonostati ascoltati come testi alcuni apparte-nenti alle forze dell'ordine, nello specificodella Guardia di Finanza, che tra il 2010 eil 2011 partieciparono ad operazioni di ispezione e controllo a Bologna e provin-cia, nei confronti di alcuni locali che pre-sentavano numerose postazioni di gioco d'azzardo on-line e slot machine: uno a Maranello (provincia di Modena), uno a Pieve di Cento (provincia di Ferrara), e uno a Bologna.

“Associazioni sportive”

Tutti e tre i locali sottoposti aicontrolli (quasi sempre gestiti dacittadini di nazionalità cinese), sidichiaravano come associazionisportive dilettantistiche o circoli ri-creativi: nessuno, però, presentava inulla osta che autorizzano l'utilizzosia delle slot machine, sia dei siti digioco d'azzardo, e che vengono emessi dall'AAMS (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli).

Il quadro che emerge dalle dichiarazionirese appare quasi sempre lo stesso, salvo qualche piccola diversità nelle modalità digestione: gli agenti arrivati sul posto si trovavano di fronte una sala, accanto al bar, dove erano dislocati numerosi perso-nal computer per l'accesso ai siti di gioco. Tutti questi computer erano collegati fra loro, e allo stesso tempo, ad un altro com-puter dietro il bancone, ad uso esclusivo del gestore dell'esercizio.

Questo computer isolato fungeva da server principale per il funzionamento de-gli altri computer e per permettere ai clienti di poter giocare d'azzardo on-line: infatti su richiesta del cliente, a seconda dei casi, il gestore forniva un foglio con user name e password già pronti (per es-sere digitati sul computer); oppure su del-le smart card già inserite nei computer, sempre a richiesta del cliente, veniva cari-cata la somma di denaro per poter giocare e scommettere. Accanto al "server princi-pale", o in un file contenuto nello stesso, veniva ritrovato un registro contabile che segnava gli username e le password già utilizzate (nella stessa giornata o in perio-di precedenti) con le voci dei relativi in-cassi economici.

Mancando l'autorizzazione dell'AAMS relativa a quello specifico sito (in quasi tutti i casi viene riscontrato il sito di giocod'azzardo "dollaro-pk"), i computer utilizzati per le scommesse non avevano

accesso libero alla rete:era sempre necessario richiedere al gestore, o al cassiere, username e password, oppure la ri-carica della smart card già presente nell'appa-recchio.

Normalmente le piat-taforme di giochi

d'azzardo on-line legalizzate dall'Agenzia,sono accessibili da qualsiasi postazione (con la previsione di un meccanismo per verificare la maggiore età del giocatore): èquesto il modo in cui è possibile ritraccia-re i movimenti di denaro delle macchinet-te e dei siti da parte dei monopoli di stato.Cosa che non poteva avvenire nel mo-mento in cui mancavano le autorizzazioni statali: provando a digitare lo stesso indi-rizzo web da un altro computer "libero", non si sarebbe potuto accedervi. Per aggi-rare il blocco (se mancano le autorizzazio-ni i siti vengono oscurati/bloccati già a partire dall'accesso) basta, come riporta uno dei testimoni, modificare l'estensione del sito: da .it a .com. E il gioco è fatto.

Il gioco d'azzardo on-line

Altra apparecchiatura presente nei localiera il c.d. "totem": il totem, normalmente, permette, tramite l'inserimento di una smart card personale, di acquistare varie tipologie di gadget su siti di shopping on-line; nel caso specifico, invece, le appa-recchiature venivano utilizzate per la rac-colta di scommesse (tramite giochi come bacarà, black jack, roulette e così via).

Per questa finalità, veniva inserita diret-tamente dal cassiere del locale una schedaprepagata: in questo modo la schermata del totem passava dal sito di compere al sito di gioco d'azzardo on-line; e una voltasottratta, tornava automaticamente al sito d'origine di shopping.

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'Ndrangheta/ “Il Patriarca”

Un famosissimosconosciuto'Ntoni Gambazza per trent'anni fu uno dei capi, e forse il capo, della 'ndrangheta cala- brese. Eppure pochi conoscono il suo nome

di Andrea Zolea www.wikimafia.it

Perché “sconosciuto”?

Ormai è nota la potenza economica, espansiva e decisionale della mafia cala-brese. Eventi come la strage di Duisburg del 2007 o le eclatanti operazioni avvenu-te nel Nord-Italia nel biennio 2010-2011 hanno consentito di scoprire la ‘ndranghe-ta. Perché, nonostante ciò, non si è mai af-frontato il tema ‘ndrangheta e Calabria a dovere? Ancora oggi, con difficoltà si rie-sce a comprendere quanto sia importante per le strategie organizzative il territorio d’origine della ‘ndrangheta.

All’interno della sola provincia di Reg-gio Calabria ci sono stati sindaci accusati di aver dato fuoco agli uffici comunali chegovernavano, faide in cui dei bambini sono stati uccisi e successivamente sfre-giati, lunghe stagioni in cui si sequestra-vano persone di ogni età, due guerre di mafia che hanno causato circa 1.000 mortied infine, recentemente sono stati scopertinotevoli quantitativi di rifiuti tossici che hanno causato in alcune aree un’impenna-ta di patologie tumorali.

Di molte delle vittime, in Calabria, non c'è memoria: perché?

La ‘ndrangheta è l’organizzazione ma-fiosa egemone in Italia: perché allora le Procure e le forze dell’ordine in Calabria sono sotto organico?

Le conclusioni vanno in un’unica dire-zione: non c’è e non c’è stata la volontà politica di contrastare la ‘ndrangheta. In questo contesto di isolamento, molti dei boss della mafia calabrese che dovrebberoessere “popolari” come Riina, Provenzanoo Cutolo sono sconosciuti. Nel settembre 2014 è uscito Il Patriarca, il primo libro che tratta la biografia di un boss della ‘ndrangheta.

“Il Patriarca” di Andrea Galli

Andrea Galli in “Il Patriarca’’ (Bur edi-zioni) racconta la storia di Antonio Pelle detto Gambazza, reputato l’ex Capo-Cri-mine della 'ndrangheta (la carica più alta dell'organizzazione). Pelle, originario di San Luca è morto nel 2009 77 anni.

Secondo le analisi degli investigatori, ha stretto alleanze con potenti capi mafia, è stato uno dei protagonisti della faida di San Luca ed ha trafficato grandi carichi per l’esportazione di droga. Chi è real-mente Antonio Pelle? Colui che ha retto i fili della mafia calabrese, oppure un one-sto figlio di pastori originari di San Luca?I suoi familiari e il suo avvocato avallano la seconda ipotesi.

Comunque,Antonio Pelle èstato difesodall’ufficio lega-le di GiovanniLeone e il 24 lu-glio 1981 ha ot-tenuto la grazia:a firmare il de-creto è statol'alloraPresidente dellaRepubblica San-dro Pertini.

L'inchiesta di Andrea Galli, tra le altre rivelazioni, identifica la consacrazione di Antonio Pelle alla carica di Capo-Crimineproprio nel '95, contestualmente all'omici-dio ancora irrisolto di Giuseppe Nirta, re-putato fino allora il primo rappresentante della mafia calabrese.

''E' indubbio che Pelle si prestò alla 'ndrangheta - scrive in quarta di copertina Nicola Gratteri, Procuratore aggiunto del-la Dda di Reggio - ma è ugualmente vero che se ne servì. Antonio Pelle diventò Capo-Crimine, un ruolo che potremmo paragonare a una sorta di Presidente della Repubblica delle cosche ''.

L'intervista a Galli

- Come si è sviluppata l’ipotesi di fareun libro su Antonio Pelle “Gambazza”?

“Il mio primo libro, “Cacciatori di ma-fiosi”, è uscito nel 2012. Ho iniziato a elaborarlo nel 2010. Tratta quasi esclusi-vamente delle funzioni delle forze dell’ordine nell’arresto dei latitanti. Già per il mio primo libro ho frequentato la Calabria e la zona della Locride, avvici-nandomi al tema della ‘ndrangheta. Vole-vo conoscere di più dei personaggi chiavedell’organizzazione. Subito dopo la stragedi Duisburg, inerente alla duratura faida diSan Luca, mi rimase impresso un articolo

sull’Espresso di Fabrizio Gatti,che metteva in risalto la figura di Antonio Pelle. Chiedendo ingiro, ho sempre avuto risposte non soddisfacenti. Mi incuriosìmolto il fatto che non si sapevamolto di lui. La ricerca è du-rata due anni, gran parte del materiale l’ho raccolto in Calabria. L’inchiesta sul pe-riodo iniziale della sua vita, dagli anni ’30 fino agli anni ’50 l’ho fatta interamente sul

territorio di San Luca.”

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“Lo difendevaLo studio

di Leone”

- Ha incontrato ostacoli nella realiz-

zazione dell’inchiesta?

“L’inchiesta l’ho fatta a intermittenza perché raccogliere materiale non è stato facile. Ho girato tutti i paesi della provin-cia di Reggio Calabria, ho cercato mate-riale negli Archivi di Stato e nelle Procuredi Reggio Calabria e Locri e sono stato in moltissime caserme dei Carabinieri, vuoi itraslochi o le alluvioni degli anni ’50 e ’70, casualmente o volontariamente si sono perse molte pratiche. Lui è stato de-tenuto presso il carcere dell’isola di Pia-nosa: perfino lì non ho trovato materiale sulla sua condotta nel periodo detentivo. La ricerca sul territorio è stata tortuosa, nonostante ciò, vorrei cercare di abbatterelo stereotipo secondo il quale se vai a San Luca ti sparano, con i sanluchesi ci puoi parlare tranquillamente, si chiudono quan-do parli di ‘ndrangheta o di vicende giudi-ziarie di una determinata famiglia o perso-naggio. Il paese in cui è più difficile ope-rare anche per gli investigatori è senz’altro Platì, quando entri in quel terri-torio, è come se entrassi in un fortino, nonhai la libertà d’azione, senti di essere os-servato.”

- Antonio Pelle è morto nel novembre del 2009, secondo quanto riportato all’interno dell’Operazione Crimine del2010 lui era l’ex Capo-Crimine della mafia calabrese, la carica più alta dell’organizzazione. Qual è stato il per-corso criminale del Patriarca?

“Antonio Pelle nacque il 1° marzo 1932a San Luca, suo padre era un pastore, non era affiliato.

“Gambazza” non è mai andato a scuola perché a San Luca non ce n’erano. Lo spartiacque della carriera criminale di An-tonio Pelle fu l’omicidio di Sebastiano Pizzata nel 1961, per conto dell’onorata società. Andò in caserma ad ammettere il delitto, i carabinieri e i magistrati non gli credettero perché mancavano riscontri.

Ho parlato con il Procuratore Aggiunto della Dda di Reggio Calabria Nicola Gratteri e condivido quanto mi ha detto ‘’ E’ indubbio che Pelle si prestò alla ‘ndrangheta ma è ugualmente vero che se ne servì. Quello fu il primo passo di un’incredibile scalata che lo portò a diventare Capo-Crimine. Antonio Pelle ebbe cinque figli, e costruìdelle sinergie attraverso i loro matrimoni. Operava a stretto contatto con il compaesano Sebastiano Romeo ‘U Staccu e Giuseppe Morabito ‘U tiradrittu di Africo.

Dai diversi fronti con cui sono entrato in contatto, hanno evidenziato il grande carisma. Gli investigatori con i quali ho parlato, che hanno avuto a che fare con Pelle, sostengono che raramente hanno vi-sto una forma di rispetto così alta come quella mostrata dalla famiglia nei suoi confronti. Stavano in silenzio perché do-veva parlare lui. Sempre secondo le mie testimonianze, Antonio Pelle diventò Capo-Crimine dopo l’omicidio di Giusep-pe Nirta, avvenuto il 19 marzo 1995. Un omicidio ancora avvolto nel mistero.

I familiari negano ogni tipo di coinvolgimento nella ‘ndrangheta, e non esiste una sentenza che dica che Antonio Pelle sia stato Capo-Crimine. L’unica condanna definitiva l’ha avuta per trafficodi sostante stupefacenti.”

- Nel 1981 Antonio Pelle ottenne la grazia...

“La grazia venne firmata il 24 luglio 1981 dall’allora Presidente della Repub-blica Sandro Pertini, ma probabilmente la pratica della grazia venne istruita da uno dei predecessori di Pertini, si trattò sem-plicemente di un foglio da firmare.

Questo fatto, sempre secondo l’accusa, sembrò l’emblema della capacità della ‘ndrangheta di arrivare ad un grandissimo risultato quale la grazia, che è un lavoro nel corso del tempo, fatto da più persone nei posti giusti.

Dopo il lungo percorso ti trovi il granderisultato, è singolare che una figura come quella di Antonio Pelle, che è figlio di un pastore, che non è mai andato a scuola e non ha mai avuto un lavoro, che all’inizio della sua attività criminale aveva risorse economiche limitate, finisca per farsi difendere dallo studio legale di Giovanni Leone.

Si avvicina a Leone perché questi avevagià difeso don Mico Tripodo. La domandasorge spontanea: da dove li ha presi i soldiper farsi difendere dallo studio di Leone? Come fai ad avvicinare uno come Leone se parti da queste origini?”

Una storia frammentata

Dall’inchiesta di Andrea Galli chiara-mente emerge come sia frammentata la storia di Antonio Pelle e della ‘ndranghetain Calabria. Sono troppi i pezzi mancanti.

Per provare a pareggiare la partita infor-mativa sulla 'ndrangheta sconosciuta ser-virebbero molti più giornalisti e ricercato-ri specializzati sul tema. In quarta di co-pertina del libro c'è una frase di Eduardo De Filippo ‘’i fantasmi non esistono…Li creiamo noi’’.

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Marsala

“Dove sta il Tribunale?”“Al Pasticcio”Stanze poco illuminate,pilastri fuori posto, aule per le udienze malrealizzate, errori nel progetto. Il nuovo, fa-raonico, Tribunale di Marsala è pronto, ma non è adatto per le udienze. Nessuno vuo-le dare l'ok al trasferi-mento. La struttura è costata 13 milioni di euro

di Francesco Appari e Giacomo Di Girolamo www.marsala.it

E pensare che era venuto pure il Mi-nistro della Giustizia, Angelino Alfano, a inaugurare il cantiere. In realtà i la-vori erano già cominciati, ma lui ha co-munque voluto posare la prima pietra. Una cerimonia solenne, per il nuovo pa-lazzo di Giustizia di Marsala. E un rin-fresco costato 20 mila euro, era il 25 lu-glio 2008.

Oggi, invece, c’è aria di pasticcio all’italiana al nuovo palazzo di giustizia diMarsala. Sei anni di lavori, 13 milioni di euro. Avvocati, cancellieri, giudici, e tuttoun circondario che aspetta di trasferirsi.

Nuovo di zecca, ma già inadeguato

Ma il tribunale, nuovo di zecca, non è pienamente adeguato ad ospitare un tribu-nale. E questo il paradosso della nuova e imponente struttura di via del Fante. Scar-sa illuminazione, molte stanze senza fine-stre, aule inadatte per tenere le udienze, con pilastri al centro ad ostacolare il “con-trollo” necessario e la visuale di pubblico e addetti ai lavori.

Da anni tutti chiedevano una nuova struttura, perchè il tribunale di piazza Borsellino (originariamente una scuola) è vecchio e troppo piccolo per ospitare udienze, archivi, cancellerie, e la Procura della Repubblica. Troppo piccolo e anche qualche problema di sicurezza, per una struttura in cui si svolgono delicati pro-cessi come quelli ai fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro e alla mafia del Belice. Dove vengono condotte predispo-ste delicate inchieste dalla Procura. Addi-rittura, il giorno del suo insediamento, il presidente del Tribunale, Gioacchino Na-toli, rimase bloccato in ascensore. Quasi un presagio.

L'iter comincia nel 2007

C’è bisogno di un nuovo tribunale, più grande, all’avanguardia per un circonda-rio come quello di Marsala che copre tuttala zona del Belice, mezza provincia, fino ad arrivare a Castelvetrano. Nel 2007 co-mincia l’iter, si individua l’area dove far nascere il nuovo palazzo di giustizia. Un area di 14 mila metri quadrati tra via del Fante e corso Gramsci, poco distante dall’attuale palazzo di giustizia. Ora il tri-bunale è quasi pronto. Mancano alcune ri-finiture. E in un paio di mesi ci si potreb-be trasferire tutti là.

Sia la Procura della Repubblica che il Tribunale. Ma c’è qualcosa che non va.

Perchè mentre la parte della struttura destinata alla procura risponde alle esi-genze dell’ufficio, è pronta e ci si potreb-be trasferire subito, dove dovrebbe inse-diarsi il tribunale invece, con le aule per le udienze penali e civili, la cancelleria e tutto il resto, ci sono tutta una serie di pecche progettuali.

Errori grossolani al progetto

Errori grossolani al progetto che non sono stati corretti in tempo utile. Come le aule di udienza che sono poco illuminate e al centro hanno dei pilastri.

Il problema sorge soprattutto per le udienze dei processi penali. I pilastri al centro di aula sono contro qualsiasi crite-rio su come sono fatte le aule di tribunale,luoghi in cui, di norma i giudici dal preto-rio devono avere contezza di ogni movi-mento in aula. Per non parlare di stanze - destinate ai giudici - in cui non ci sono fi-nestre.

Tutti questi pasticci non sono piaciuti alpresidente del Tribunale, Gioacchino Na-toli, che non se la sente di trasferire tutti gli uffici e le attività al nuovo palazzo di Giustizia.

Prima di lui, l’ex presidente del Tribu-nale, Mario D’Angelo, vedendo i pasticci combinati, non aveva dato il nulla osta al progetto. Le aule in sostanza non sono funzionali all’utilizzo previsto.

Adesso si sta pensando a un trasferi-mento parziale che riguarderebbe la Pro-cura, gli archivi, l’ufficio del Gip, e qual-che cancelleria. “Un trasferimento totale genererebbe grossi problemi, anche in termini di sicurezza” ci dicono i pochi chehanno visto da dentro la nuova struttura.

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“Per farele modifiche

bisognerebbespenderemilioni”

Il resto? Rimarrebbe al vecchio edificio,

in attesa che vengano sistemate le cose. Gli addetti ai lavori sostengono che si po-trebbe risolvere tutto con qualche decina di migliaia di euro, autorizzati dal Mini-stero della Giustizia, destinando l’aula ad altri scopi e attrezzare un’altra parte per i processi penali collegiali.

“Troppo tardi per intervenire”

C’è da dire anche che quando Natoli si accorse che nel progetto c’era qualcosa che non andava, gli era stato detto che era troppo tardi e troppo costoso apportare delle modifiche.

Il risultato è un tribunale gigante, una struttura importante, ma a mezzo servizio,quasi pronto, non adatto ad essere usato come tribunale, per tenere le udienze, frutto di pasticci e mancati controlli di chidoveva controllare. E un pacco di soldi spesi.

Oltre 13 milioni e 500 mila euro finan-ziati, di cui 10,7 milioni messi dal Mini-stero della Giustizia e 2,8 milioni dal Co-mune di Marsala.

Un progetto messo nero su bianco dall'Ufficio Territorio ed Ambiente del Comune e realizzato da un'A.T.I. compo-sta Iride , e dall'Itaca, Airtemp Division e Co.ri.mar.. La direzione dei lavori, nel 2008, è stata affidata a una R.T.I. formata da Politecnica Ingegneria ed Architettura Soc. Coop. a.r.l.(c.g.), con Well Tech s.r.l. e con Houses & Lands Engineering s.r.l., con sede legale a Modena per circa 375 mila euro. Tra i compiti della direzione dei lavori, si legge nel capitolato d’appal-to, c’è “curare che i lavori siano eseguiti aregola d’arte ed in conformità al progetto esecutivo ed al contratto”.

Già, a regola d'arte. Di casi come que-sti, con lavori costati milioni di euro e chepoi risultano pasticciati, la Corte dei conti ne ha trattati parecchi negli ultimi anni. Il controllo dei giudici contabili è sempre molto intenso sulle opere pubbliche. Con-trolli che poi potrebbero sfociare in danni erariali enormi. E poi chi paga?

Quello di Marsala è un caso unico. In cui c’è un tribunale pronto, nuovo di zec-ca ma che non può essere utilizzato. Men-tre in tutta Italia, i palazzi di Giustizia sono in condizioni pessime.

Con ritardi sull’innovazione, la sicurez-za, e problemi strutturali. C’è il caso di Trapani ad esempio, dove ad aprile è crol-lata una parte del soffitto del Tribunale.

Effetto domino: anche una scuola...

Ha, poi, un effetto domino l’inghippo del nuovo tribunale. Perchè non sono sol-tanto gli addetti ai lavori ad aspettare l’apertura del nuovo palazzo di Giustizia di Marsala. Ci sono anche dei ragazzi, sono gli studenti dell’Istituto tecnico com-merciale che da quarantanni si trova in una struttura non a norma, per la quale l’ex Provincia paga 300 mila euro di affit-to l’anno. Aule piccole, corridoi stretti, e amianto qua e là.

Adesso gli studenti hanno fatto una pro-posta, al commissario straordinario della Provincia Antonio Ingroia: “Ci trasferia-mo al vecchio Tribunale, visto che era sta-to pensato come scuola, quando questo si trasferirà nella nuova struttura”.

Poveri ragazzi, aspettano da qua-rant'anni una scuola nuova, trovano la so-luzione, ma è tutto bloccato da un pastic-cio tipicamente siciliano.

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Catania/ Arriva il PUA

La madre di tuttele cementificazioniProgetto “utile allo sviluppo” o gigantesca speculazione edilizia?

di Giolì Vindigni Il PUA (Piano Urbanistico Attuativo)

Catania Sud è il proseguimento del Pat-to Territoriale Catania Sud promosso dal Comune nel 1996, dall'amministra-zione Bianco, i cui primi interventi han-no interessato la zona del centro storico e il litorale della Playa. Con il Patto territoriale sono state realizzate nella zona della Playa: tre strutture ricettive e un Palazzo del Ghiaccio.

La delibera fu predisposta e approvata nel 2002, vicesindaco Raffaele Lombardo,dopo la riperimetrazione dell’Oasi del Si-meto, decretata dall’allora assessore al Territorio e Ambiente Bartolo Pellegrino, prima delle sue vicissitudini giudiziarie e pubblicata nella Gurs del 24/05/2002.

Il P.U.A. comprende una vasta area di circa 5,300 Ha, che dal porto si estende nella zona sud della città attraverso tutto illitorale della Plaia e raggiunge i confini dell’area di sviluppo industriale.

Il Progetto che si è aggiudicato la realiz-zazione del PUA, l’unico presentato, è sta-to quello della società “Stella Polare”: esso è stato approvato (con una cementifi-cazione superiore a quella prevista nel 2009) ad aprile, in piena campagna eletto-rale, come ultimo atto del consiglio comu-nale uscente. Prevede un’area espositiva, un acquario, un centro congressuale da 11.860 mq, un centro commerciale, un centro fitness, un polo-intrattenimento conpista go-kart, laser games e bowling, puntidi ristoro, un cine multisala da oltre 2000 posti, e una vasta area riservata a strutture ricettive. E poi ancora strade, parcheggi multipiano e altre gettate di cemento.

Sempre sui terreni di Ciancio...

Le maggiori forze politiche, i costrutto-ri, gli speculatori, i sindacati, il quotidianolocale di proprietà dell’editore Mario Ciancio - proprietario di gran parte dei terreni in cui insiste il Pua - spingono per la realizzazione del Piano sostenendo che porterà lavoro e sviluppo.

Ma dopo 15 anni si può dire con certez-za che le opere realizzate nella zona Sud nell’ambito del Patto Territoriale non han-no inciso assolutamente sullo sviluppo economico di Catania.

Strutture scarsamente utilizzate

Le strutture ricettive sono scarsamente utilizzate, sorgono in una zona che non è servita adeguatamente dai trasporti pubbli-ci e non hanno accesso diretto al mare: usufruiscono della spiaggia solo tramite convenzioni con gli stabilimenti balneari.

La sentenza n° 139/14 del 18.08.2014 che condanna in primo grado Raffaele Lombardo per concorso esterno in associazione mafiosa, evidenzia, tra l’altro, che la realizzazione del Pua è partedi un “modus operandi ampiamente col-laudato” che prevede “l’acquisto di aree a destinazione agricola di rilevante estensio-ne, della successiva presentazione di pro-getti per la realizzazione di parchi com-merciali e di zone residenziali e della con-testuale approvazione delle necessarie va-rianti urbanistiche, con il conseguente, esponenziale incremento del valore di mercato dei terreni acquistati”.

Il “modello operativo” sotto accusa

Il Giudice continua ponendo l’accento “sulla reiterazione di tale modello operati-vo in ben quattro occasioni”, “a tali pro-gettazioni deve altresì aggiungersi quella per la realizzazione” di varie “strutture po-lifunzionali nella zona della Plaja ad operadella società Stella Polare...”.

Progettazione infine da realizzarsi, an-cora una volta, sui terreni del Ciancio che originariamente avevano un’altra destina-zione urbanistica.”

Anche per ciò il Giudice dispone la tra-smissione degli atti alla Procura della Re-pubblica di Catania con riferimento a Ciancio Sanfilippo Mario per le determi-nazioni di competenza.

Il Pua insomma - come da tempo era chiaro - non è un progetto utile allo sviluppo e agli interessi collettivi, ma una speculazione finanziaria ed edilizia a vantaggio di privati.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 80– pag. 80

Una denuncia di Claudio FavaGLI IMPRENDITORI, I POLITICI E GLI AFFARI DEGLI ERCOLANOSecondo la prefettura di Catania, la “Sud Trasporti” di Angelo Ercolano, cugino e nipote dei boss una delle più sanguinarie cosche catanesi, avrebbe i requisiti per far parte della “white list” per gli appalti, pur essendo stata colpita - pochi mesi fa - da un sequestro preventivo della Procura per un giro di false fatturazioni da cinque milioni. “L’episodio – ha denunciato il vicepresidente della Commissione antimafia Claudio Fava, di recente minacciato di morte proprio dalla cosca Ercolano - ricorda nella sua gravità la recente decisione, per fortuna revocata, di togliere dal regime del 41 bis il cugino di Angelo, il capomafia Aldo Ercolano, nonostante la DIA continui a ritenerlo il reggente della cosca mafiosa dei Santapaola. Sembra che una parte delle istituzioni imprenditoriali e politiche di Catania continui a manifestare una intollerabile e incomprensibile subalternità nei confronti della famiglia Ercolano che ha segnato nel sangue, è bene non dimenticarlo, la storia di Cosa Nostra in quella città”.

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SOCIETA'

'

Morte di unoperaio

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 81– pag. 81

Salvatore La Fata lavorava dall'età di quindici anni. Quando ha perso il lavoro non si è rassegnato: ha messo su una bancarella e ha cercato di guadagnarsi da vivere onestamente con quella. Arrivano i vigili e gli sequestrano tutto. Lui non resiste a questa ennesima sconfitta: la sua protesta finale è darsi fuoco. Muore dopo undici giorni d'agonia

testo e foto di Francesco Nicosia

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“Lavorava fin da ragazzocon le gru e le motopale”

“Ce l'aveva nel sangue… Salvatore sa-peva fare bene il suo lavoro. Fin dall’età di quindici anni aveva avuto a che fare con la terra e si è messo subito a lavorareal movimento terra, con le gru e le moto-pale”.

Inizia così il racconto di Vincenzo La Fata e di Tony Poli, rispettivamente fratel-lo e cognato di Salvatore La Fata, l’uomo morto il 30 settembre, dopo undici giorni di agonia a causa delle terribili ustioni in tutto il corpo.

“Senza regolare licenza”

Salvatore La Fata si è dato fuoco il 19 settembre in Piazza Risorgimento a Cata-nia, in seguito al sequestro da parte dei vi-gili urbani della sua bancarella di frutta e verdura, che vendeva senza regolare li-cenza.

Vincenzo e Tony raccontano del passatodi Salvatore come operaio edile. “Nel suo lavoro era molto richiesto e, in passato,

spesso riceveva offerte che lo portavano acambiare azienda e datore di lavoro”.

Nonostante la crisi e la perdita del lavo-ro si è dato da fare per potere trovare “qualcosa” di dignitoso, anche svolgendo mansioni che non gli erano familiari.

“È riuscito anche a fare il muratore e l’idraulico, ma nulla che gli potesse dare una garanzia economica ed una soddisfa-zione personale in ambito professionale” racconta il fratello Vincenzo.

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“Presto imbiancheremola camera dei ragazzi”

Ce l’aveva nel sangue. Lui era un ope-raio edile, uno che era abituato al lavoro duro, che non si era mai tirato indietro, non si era mai fatto scoraggiare dalle dif-ficoltà della vita.

Neanche quando alla fine decise di apri-re la sua attività di venditore ambulante, nonostante tutto non aveva ancora rinun-ciato ai suoi progetti.

Fino al giorno prima aveva detto al fi-glio: “Appena arriva la cassa edile ti compro dei vestiti” e alla moglie “Presto

imbiancheremo la stanza dei ragazzi”. Aveva esortato il cognato Tony a cercare un garage per depositare la merce.

Una morsa che toglie il respiro

Nonostante fosse abituato a combattere nelle difficoltà era consapevole di vivere nell’ansia legata ad una precarietà oramai diffusa in tutto il Paese, ma che al Sud stringe in una morsa che toglie il respiro a

chi non vuole scendere a patti con illegali-tà e lavoro nero.

La cosa che fa arrabbiare Vincenzo e Tony è la mancanza di coerenza da parte delle istituzioni nel combattere l’illegalità.

“Dov’era lo Stato quando si scoprì che l’imprenditore che licenziò Salvatore, nonaveva versato i contributi per la cassa edile. È rimasto impunito. Attualmente c’è una causa in corso e chissà quanti anni si dovranno aspettare per avere giu-stizia”.

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“Perché non cercare invecechi nell' illegalità ci sguazzae si arricchisce?”

“E ora come faccio?”

La foto di Salvatore su quel tavolino delbar sembra farci compagnia.

“Non riesco ad immaginare cosa gli siapassato per la testa in quei momenti” diceTony . “Avrà pensato - ed ora come faccio a pagare il verbale ? Come farò adandare avanti ?”.

“Ma dov’è adesso la giustizia? - ag-giunge - Salvatore era in preda alla di-sperazione per ciò che gli stava accaden-

do in quel momento, aveva urlato a gran voce che si sarebbe dato fuoco ed il vigileche stava procedendo al sequestro gli dis-se: ”Si, ma spostati più in là”.

Non so cosa gli sia passato per la testa in quel momento. In preda alla dispera-zione è stato istigato al suicidio, si è dato fuoco davanti a tutta una piazza piena di gente e di curiosi.

È davvero impressionante quanto sia stato insensibile il vigile nei confronti di Salvatore, fa venire i brividi per la totale

assenza di umanità che questo individuo ha dimostrato di avere”.

“Ma perché proprio lui?”

“Perché Salvatore? - dice Vincenzo ora - Perché proprio lui? Perché non andava-no a cercare e punire chi veramente nell’illegalità ci sguazza e ci si arricchi-sce senza scrupoli?”

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“Autorità sorde e ciechedi fronte a una città disperata”

“Fatevi avanti e raccontate”

I poteri forti dell’illegalità la faranno sempre franca, fino a quando le Istituzioniconcentreranno le loro attenzioni verso quell’illegalità spicciola, fatta di gente checerca solo di sopravvivere.

Si combatte l’abusivismo di strada, il povero operaio edile, oramai disoccupato,divenuto venditore ambulante.

Non c’è spazio per quei pochi e cono-sciuti personaggi che invece hanno tra-sformato la nostra città in una terra orien-tata al forte e diffuso concetto di stato so-ciale inesistente.

La famiglia La Fata adesso cerca solo diandare avanti. Vuole la verità, su come siano andati realmente i fatti. Vorrebbe che i cittadini, che sanno ed hanno visto, si facciano avanti e raccontino tutto. Vor-rebbe che nessun altro Salvatore La Fata muoia per colpa di istituzioni sorde e cie-che di fronte ad una città che urla ed in-fiamma la propria disperazione

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Catania/ Insegnanti e studenti

“Scuola pubblica, FOTO DI FABIO D'URSO

nostra scuola”Ottobre: ripartono le lotte in difesa della scuola

di Domenico Stimolo Anche a Catania il 10 ottobre c'è stato

lo sciopero generale delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola, insegnanti e delle strutture tecniche, contro la “ri-strutturazione” - denominata fantasma-goricamente “buona scuola” - proget-tata dal governo Renzi.

Per l'iniziativa, organizzata dai Cobas, Cub e altre organizzazioni sindacali di base, supportata da diversi movimenti stu-denteschi, si sono svolti oltre ottanta corteinelle città italiane, con la presenza di circa100.000 partecipanti.

Un dato è certo. Nel corso del tempo la scuola pubblica italiana è stata fortemente immiserita e ridimensionata. La situazioneviene bene evidenziata dai dati contenuti nell’ultimo Rapporto dell’OCSE “ Uno sguardo sull’Istruzione 2014”.

Sulla spesa pubblica nelle strutture sco-lastiche nel periodo 2000 -2011, a fronte di un incremento medio del 38% nei paesi Ocse, in Italia si è registrato un calo del 3%, con un decremento del 5% sugli inve-stimenti. In particolare le conseguenze sono ben visibili nelle aree del Mezzogior-no: strutture fatiscenti, classi sempre più numerose, mancanza di adeguate risorse economiche, ecc.

L’abbandono scolastico è l’aspetto più drammatico. Il livello d’istruzione dei gio-vani del sud Italia regredisce in maniera sempre più grande dalle condizioni medie in essere nel centro-nord e in Europa. Dal-le ultime indagini emerge che la quantità dei ragazzi inferiori ai 16 anni che lascia-no la scuola è altissimo in Sicilia e in Sar-degna, pari al 24,8%. Gli abbandoni in Campania e Puglia sono rispettivamente del 21,8 e del 19.7%. La media nazionale è del 17,6, quella europea del 13%.

Sta calando il tasso d'istruzione

A questo si aggiunge la qualità della preparazione/apprendimento degli studen-ti. Il valore medio nazionale di discosta si-gnificativamente al negativo dallo stato europeo. Nel contesto nazionale, come emerge dagli indici redatti dall’Ocse, i pa-rametri in esame si abbassano in maniera drastica nelle regioni del sud.

Molti giovani, specie nelle aree popolaried emarginate delle grandi aree urbane, vengono lasciati nelle mani delle bande della criminalità organizzata. Siamo torna-ti indietro in maniera dirompente. Il tasso d’istruzione, nella quantità e nella qualità, è il parametro prioritario che misura lo sviluppo civile e democratico di ogni col-lettività organizzata in Stato.

Il Piano Renzi mette avanti il “carro senza i buoi”. La dichiarata assunzione di 150.000 precari, da realizzare entro il 2015, risulta priva dei necessari stanzia-menti economici. Una cifra rilevante, sti-mata tra i 3-4 miliardi, che non è stata in-serita nella Finanziaria. L’unico aspetto certo è l’ulteriore blocco del rinnovo con-trattuale (di tutto il comparto pubblico) e la cancellazione degli scatti di anzianità. Stando ai progetti delle 136 pagine del piano il tutto viene “equilibrato” con l’espulsione di diverse decine di migliaia di precari che non sono iscritti nella GAE (Graduatoria ad esaurimento).

Inoltre, si vorrebbe esaltare la forma-zione di scuole-aziende. Il preside avrebbeil ruolo di unico ed esclusivo decisore: as-sumendo e licenziando, decidendo sulle carriere e sugli stipendi con la “miracolo-sa” bacchetta-guida di un indeterminabile “merito”, innescando una dannosa concor-renzialità tra i docenti e tra il personale tecnico, supportate da valutazioni in stile quiz; gli scatti di “merito” sostituirebbero gli scatti di anzianità; l’obbligo, inoltre, di 200 ore per gli studenti delle scuole tecni-che e professionali di svolgere “apprendi-stato- stage” (gratuitamente) nei luoghi di lavoro. Svilendo ed umiliando, infine, la missione pubblica della scuola, richieden-do contributi ai privati (aziende ed altro) e ai genitori degli studenti.

L’impronta ideologica prevalente, in li-nea con il tentativo di manipolazione di al-cuni importanti articoli della Legge dello Statuto dei Lavoratori, a partire dall’art. 18 sui licenziamenti senza giusta causa, è caratterizzata da un violento attacco alla stessa esistenza delle organizzazioni sindacali dei lavoratori.

Il corteo a Catania

A Catania, il corteo lungo, fitto ed ener-gico, in difesa della scuola pubblica e del-la Costituzione che assegna un ruolo fon-damentale all’istruzione, aperto dallo stri-scione dei Cobas “ NO alla scuola-azien-da”, ha visto la presenza di circa 1500 par-tecipanti. Da piazza Roma, luogo del con-centramento, per alcune ore ha attraversa-to il centro cittadino. Diverse centinaia gliinsegnati e i precari. Moltissimi gli studen-ti, ragazzi e ragazze, combattivi e “vario-pinti”, delle principali scuole cittadine, coinvolti dall’Unione degli studenti e dal gruppo Kaos.

Durante la manifestazione è stato larga-mente diffuso il testo dell’Appello in me-moria di Salvatore La Fata, che ha avuto numerose adesioni, di singoli cittadini, as-sociazioni, strutture sociali e politiche.

Un significativo gruppo di persone, uo-mini e donne, ha partecipato al corteo die-tro allo striscione che con lo slogan “Sciopero generale. Verità e Giustizia per Salvatore” che ricordava alla città l’estre-mo sacrificio del lavoratore edile disoccu-pato immolatosi il 19 settembre in piazza Risorgimento.

Alla fine della manifestazione, in piazzaUniversità, nell’assemblea all’interno del Rettorato, è intervenuto un fratello di Salvatore - presenti alcuni familiari - evidenziando l’ immane tragedia con parole forti e commoventi. Una tragedia civile e sociale che è di ciascuno di noi.

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Movimenti

Vivere #contromafieQuattro giorni insieme coi ragazzi di Libera a organizzare e discutere l'antimafia dei fatti: cro-nache da un'altra Italia

di Sara Spartà www.liberainformazione.org

Raccontare Contromafie a parole è un’operazione difficile. Raccontarla so-prattutto a chi non c’era o a chi non c’è mai stato.

Eppure è un'operazione necessaria, che potrà essere fatta solo nel corso di questi anni a venire attraverso il lavoro concreto, perché quello che viene chiamato in causa non è più o non è solo il “fare antimafia” ma è anche e soprattutto l’azione e la reazione del cittadino nei confronti di tuttociò che lo circonda, della società.

I quattro giorni di Roma, che Libera ha ormai incoronato come gli Stati Generali dell’Antimafia, arrivano dopo ben cinque anni alla loro terza edizione.

Confronto/ incontro

Contromafie è un luogo di incontro e di confronto tra persone che da anni sono im-pegnate in progetti di informazione e for-mazione culturale, di supporto e di assi-stenza ai familiari vittime di mafie.

È un luogo di proposta e di azione in cuiognuno porta la propria esperienza e la mette al servizio dell’altro, da rappresen-tanti delle istituzioni del Sud America ai sindaci delle periferie d’Italia.

È un luogo di riflessione in cui si guardaal futuro ma partendo dagli errori del pas-sato, sentendo come responsabilità morale e personale tutto ciò che non ha funzionatofino a oggi nel Paese, perché la cattiva po-litica non possa essere neanche in minima parte imputabile a una cattiva cittadinanza.

Contromafie è un luogo di libertà, come ha sottolineato Don Luigi Ciotti, in cui ognuno porta la ricchezza del proprio cre-do religioso, delle proprie idee e scelte, con il dovere dell’umiltà.

Iniziato il 23 ottobre con quasi 300 gio-vani che a Corviale a Roma hanno portato assieme ai loro sacchi a pelo, i sorrisi, la forza e l’arcobaleno di Libera.

Ragazzi e ragazze che da soli o in picco-li gruppi hanno creato delle alternative nei loro territori, nelle Parrocchie e nelle Uni-versità, che conoscono le realtà dei beni confiscati alle mafie per il loro lavoro du-rante i campi estivi che continuano a colti-vare attraverso lo studio e la ricerca.

“Una giovane Libera”

Si apre con le loro domande, le loro os-servazioni lucide e le loro richieste.

“Per trovare la gioia di far nascere le cose e non subirle” attraverso una parteci-pazione organizzata, intelligente, viva.

“Non vogliamo una Libera dei giovani ma una giovane Libera” chiede Turi Be-nintende di Libera Sicilia, che sappia esse-re discente oggi per poter essere alla guidadomani.

E poi una miriade di ore spese nell’ Au-ditorium di via della Conciliazione, ore di attenzione profonda e silenziosa partecipa-zione, dalla mattina al pomeriggio di ve-nerdì ad ascoltare le esperienze di vita, le denunce e la sofferenza di chi ha visto mancare i propri cari affrontando l’omertà delle persone, la solitudine e l’ingiustizia “con la consapevolezza che la giustizia la devi chiedere”, perché non viene da sé, come racconta Daniela Marcone.

Ore spese a raccontare di giornalismo quello temuto più della magistratura, per-ché toglie potere alle cosche mafiose sve-gliando le coscienze e creando varchi di consapevolezza. Il potere della parola, di quella scritta sopra un tweet per il quale oggi si muore, in Sudamerica, a vent'anni. Come i quarantatrè ragazzi spariti in Mes-sico perché manifestavano per la libertà.

Lettera dal Sudamerica

Don Luigi Ciotti legge una lettera che arriva da quei posti, parla di un ragazzo che è stato torturato e al quale hanno strappato via la pelle e gli occhi, era indi-rizzata a quell’Auditorium che seguivano grazie ad internet dall’altra parte del mon-do. Per dire basta, alle mafie e alla violen-za in ogni luogo.

E poi ancora la testimonianza di vite mi-granti e di una Giusy Nicolini che sfora il tempo per gli interventi e incarta la scalet-ta, ma non importa a nessuno, e ha ragionequando dice che “agitare le paure, anche quella è fare politica sporca”.

Buone prassi, trasparenza e contrasto alla corruzione, punti essenziali della nuo-va Carta di Avviso Pubblico, frutto di que-sta tre giorni, che unisce gli enti locali che vogliono impegnarsi al di là delle prescri-zioni di legge e colmare il distacco con i cittadini. Queste tematiche raccolte in sei vaste aree sono state oggetto dei lavori di sabato, che ha visto tutti secondo il pro-prio lavoro e i propri interessi approfondi-re tantissimi argomenti confluiti nel Mani-festo di Contromafie 2014.

I dieci punti essenziali che verranno por-tati in Parlamento e condivisi dalla presi-dente della Camera Laura Boldrini sono:il reddito di cittadinanza, il riutilizzo dei beni confiscati per la creazione di un nuo-vo Welfare e il potenziamento del ruolo dell’Agenzia Nazionale per i beni seque-strati e confiscati, la formazione continua del cittadino, la difesa del ruolo dell’infor-mazione, la repressione dei legai tra mafia e politica, investire su mezzi innovativi di contrasto alle mafie, introdurre i reati am-bientali ed infine istituire il 21 Marzo come giornata Nazionale della memoria e dell’impegno.

Questi gli impegni di cui ognuno è chia-mato ad essere “testimone, con lo stesso coraggio, la stessa coerenza, la stessa cor-responsabilità di chi da testimone di giu-stizia denuncia mafiosi estorsori e corrotti,di chi insegna quant'è preziosa la libertà”.

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IL FILO

Il boss, il capitano,i “veri uomini” e Sciasciadi Giuseppe Fava

Ci sono diversi modi di scrivere sulla mafia, quag giù in Sicilia.

Combatterla aperta-mente, o farne un sotti-le gioco intellettuale...

[…] Sciascia è convinto che la mafia siaun sottile gioco di cervello. La condizioneumana non è influente: la povertà, l'igno-ranza, il dolore non entrano nel gioco. Il mafioso è tale per composizione storica dielementi: psicologia, tradizioni, contrap-posizioni d'interesse. In tutti i libri di Sciascia la violenza degli uomini è mossa soltanto dal fatto di essere già all'inizio personaggi definiti.

In nessuno di tali personaggi, dietro la violenza, ci sono mai la sofferenza socialedell'uomo, il dolore dell'individuo, la sua disperazione di potere altrimenti modifi-care il destino, e cioè gli antichi ed immu-tati dolori del Sud: miseria, solitudine, ignoranza.

I personaggi entrano in scena e sono giàdisegnati, con tutti i loro abiti indosso, ognuno deve recitare la sua parte già scrit-ta, senza mai spiegare il perché, essi sono il buono, il cattivo, l'uccisore, il testimo-ne, la vittima, senza mai dare spiegazione,com'è accaduto: per quale dolore, ribellio-ne o inganno quel tale sia nel ruolo di as-sassino e l'altro in quello della vittima. Può accadere che ci sia thrilling, poiché Sciascia ha anche questa geniale perfidia letteraria di utilizzare il mistero, per cui tunon capisci ancora chi sia il giusto o l'ingiusto, l'assassino o la vittima, ma al momento in cui il thrilling si risolve, tu ti rendi conto che quel giusto era giusto fin dall'inizio, e così anche l'ingiusto, l'assas-sino e la vittima, sei tu mediocre a non averlo capito prima.

E' come se Sciascia entrasse nel teatro in cui si recita l'essere siciliani a spettaco-lo già cominciato e volesse interpretare i protagonisti solo per quello che dicono. Il resto, il passato, il già detto e già avvenu-to non influisce. E' ombra. L'intuizione di-venta più difficile. Il gioco intellettuale più affascinante.

“Talvolta la ragione chiude gli occhi...”

[…] Sciascia non è simpatico. Talvolta è affascinante, ma chiunque lo sente di-verso, in una sua astrazione intellettuale, dove gli altri uomini non possono penetra-re, ma restare in attesa di capire. Sciascia non è mai d'accordo con alcuno. E' vero, cita verità enunciate da altri, battute, frasi,ma costoro sono morti.

Uno dei tratti ammirabili di Sciascia è infatti la straordinaria forza mentale, l'infallibile rigore logico, con il quale an-zitutto egli riesce sempre, quasi sempre, a dominare se stesso, riconducendo ogni atto, parola, pensiero, soluzione a quel perfetto personaggio morale che egli ha studiato e costruito di se stesso. Senza mai, quasi mai, una fragilità, un cedimen-to, per quelle forze antiche e misteriose della sua natura siciliana, per quelle vio-lenze viste, pagate e fatalmente adottate negli anni dell'infanzia e adolescenza. La ragione, cioè la forza mentale di Sciascia è tale, ed anche tale la sua sicurezza nella sua stessa intelligenza, che egli conduce ilgioco fino al limite intellettuale, basta unaincrinatura e la ragione diventa delirio. Questo è genio.

Talvolta (ma è un lampo, per un attimo, davvero appena un lampo) la ragione chiude gli occhi sfinita, e vien fuori don Mariano Arena de "Il giorno della civetta", abietto persecutore della povera gente e mandante di dieci assassinii, il

quale spiega all'ebete capitanoBellodi la classificazione de-gli esseri viventi: uomini, mezzi uomini, ominicchi, pi-glianculo e quacquaracquà. E il capitano Bellodi pensa: don Mariano Arena è un uomo!

(Da “Alien Sciascia”, I Siciiani,

maggio 1983)

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____________________________________La Fondazione FavaLa fondazione nasce nel 2002 per mantenere vivi la memoria e l’esempio di Giuseppe Fava, con la raccolta e l’archiviazione di tutti i suoi scritti, la ripubblicazione dei suoi principali libri, l'educazione antimafia nelle scuole, la promo-zione di attività culturali che coinvolgano i gio-vani sollecitandoli a raccontare Il sito permette la consultazione gra tuita di tutti gli articoli di Giuseppe Fava sui Siciliani. Per consultare gli archivi fotografi co e teatrale, o altri testi, o acquistare i libri della Fondazio-ne, scrivere a [email protected] [email protected]____________________________________

Il sito “I Siciliani di Giuseppe Fava”Pubblica tesi su Giuseppe Fava e i Siciliani, da quelle di Luca Salici e Rocco Rossitto, che ne sono i curatori. E' un archivio, anzi un deposito operativo, della prima generazione dei Siciliani.

Senza retorica, senza celebra zioni,semplicemente uno strumento di lavoro. Serio, concreto e utile: nel nostro stile.

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I SicilianiI Sicilianigiovani giovani Rivista di politica, attualità e cultura

Con: Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Giovanni Caruso, Giovanni Abbagnato, Francesco Appari, Gaetano Alessi, Loren-zo Baldo, Antonella Beccaria, Valerio Berra, Nando Benigno, Mauro Biani, Lello Bonaccorso, Giorgio Bongiovanni, Paolo Brogi, Luciano Bruno, Anna Bucca, Elio Camilleri, Giulio Ca-valli, Arnaldo Capezzuto, Ester Castano, Salvo Catalano, Car-melo Catania, Giulio Cavalli, Antonio Cimino, Giancarla Codri-gnani, Dario Costantino, Irene Costantino, Tano D’Amico, Fabio D'Urso, Jack Daniel, Riccardo De Gennaro, Giacomo DiGirolamo, Alessio Di Florio, Tito Gandini, Rosa Maria Di Nata-le, Francesco Feola, Norma Ferrara, Pino Finocchiaro, Paolo Fior, Enrica Frasca, Renato Galasso, Rino Giacalone, Marcella Giamusso, Giuseppe Giustolisi, Valeria Grimaldi, Carlo Gubito-sa, Sebastiano Gulisano, Bruna Iacopino, Massimiliano Nicosia,Max Guglielmino, Diego Gutkowski, Bruna Iacopino, Marghe-rita Ingoglia, Kanjano, Gaetano Liardo, Sabina Longhitano, Luca Salici, Mattia Maestri, Michela Mancini, Sara Manisera, Antonio Mazzeo, Martina Mazzeo, Emanuele Midoli, Luciano Mirone, Pino Maniaci, Loris Mazzetti, Francesco Moiraghi, At-tilio Occhipinti, Salvo Ognibene, Antonello Oliva, Riccardo Orioles, Maurizio Parisi, Salvo Perrotta, Giulio Petrelli, Aaron Pettinari, Giuseppe Pipitone, Domenico Pisciotta, Antonio Roc-cuzzo, Alessandro Romeo, Vincenzo Rosa, Roberto Rossi, Luca Rossomando, Francesco Ruta, Giorgio Ruta, Daniela Sammito, Vittoria Smaldone, Mario Spada, Sara Spartà, Giuseppe Spina, Miriana Squillaci, Giuseppe Teri, Marilena Teri, Adriana Varria-le, Fabio Vita, Salvo Vitale, Chiara Zappalà, Andrea Zolea

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I Siciliani giovani/ Reg.Trib.Catania n.23/2011 del 20/09/2011 / d.responsabile riccardo orioles

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GiambattistaScidà e GianCarlo Casellisono stati frai primissimipromotori dellarinascita dei Siciliani.

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Lo spirito di ungiornale"Un giornalismo fatto diverità impedisce moltecorruzioni, frena laviolenza e la criminalità,accelera le operepubbliche indispensabili.pretende il funzionamentodei servizi sociali. tienecontinuamente allerta leforze dell'ordine, sollecitala costante attenzionedella giustizia, impone aipolitici il buon governo".Giuseppe Fava

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libertà

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I Siciliani giovani ­ rivista di politica, attualità e culturafatta da: Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Antonio Roccuzzo,Giovanni Caruso, Margherita Ingoglia, Norma Ferrara, MichelaMancini, Sara Spartà, Francesco Feola, Luca Rossomando, LorenzoBaldo, Aaron Pettinari. Salvo Ognibene, Beniamino Piscopo, GiulioCavalli, Paolo Fior, Arnaldo Capezzuto, Pino Finocchiaro, LucianoMirone, Rino Giacalone, Ester Castano, Antonio Mazzeo, Carmelo

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Cronache

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Gli ebookdei SicilianiI Siciliani giovani sono stati fra i primissimi in Italia adadottare le tecnologie Issuu, a usare tecniche diimpaginazione alternative, a trasferire in rete e su Pdf iprodotti giornalistici tradizionali. Niente di strano,perché già trent'anni fa i Siciliani di Giuseppe Favafurono fra i primi in Italia ad adottare ­ ad esempio ­ lafotocomposizione fin dal desk redazionale.Gli ebook dei Siciliani giovani, che affiancano ilgiornale, si collocano su questa strada ed affrontanocon competenza e fiducia il nuovo mercato editoriale(tablet, smartphone, ecc.), che fra i primi in Italia hannosaputo individuare.

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dalla vita com'è

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Ai lettori 1984Caro lettore, sono in tanti, oggi, ad accusare la Siciliadi essere mafiosa: noi, che combattiamo la mafia inprima fila, diciamo invece che essa è una terra ricca ditradizioni, storia, civiltà e cultura, tiranneggiata dallamafia ma non rassegnata ad essa. Questo, però,bisogna dimostrarlo con i fatti: è un preciso dovere ditutti noi siciliani, prima che di chiunque altro; di frontead esso noi non ci siamo tirati indietro.Se sei siciliano, ti chiediamo francamente di aiutarci,non con le parole ma coi fatti. Abbiamo bisogno dilettori, di abbonamenti, di solidarietà. Perciò tiabbiamo mandato questa lettera: tu sai che dietro diessa non ci sono oscure manovre e misteriosi centri dipotere, ma semplicemente dei siciliani che lottano perla loro terra. Se non sei siciliano, siamo del tuo stessoPaese: la mafia, che oggi attacca noi, domanitravolgerà anche te.Abbiamo bisogno di sostegno, le nostre sole forze nonbastano. Perciò chiediamo la solidarietà di tutti isiciliani onesti e di tutti coloro che vogliono lottareinsieme a loro. Se non l'avremo, andremo avanti lostesso: ma sarà tutto più difficile. I SicilianiAi lettori 2012

Quando abbiamo deciso di continuare il percorso,mai interrotto, dei Siciliani, pensavamo che questaavventura doveva essere di tutti voi. Voi che ci aveteletto, approvato o criticato e che avete condiviso connoi un giornalismo di verità, un giornalismo giovanesulle orme di Giuseppe Fava.

In questi primi otto mesi, altrettanti numeri deiSiciliani giovani sono usciti in rete e i risultati cilasciano soddisfatti, al punto di decidere di uscire entrol'anno anche su carta e nel formato che fuoriginariamente dei Siciliani.

Ci siamo inoltre costituiti in una associazioneculturale "I Siciliani giovani", che accoglierà tutti icomponenti delle varie redazioni e testate sparse danord a sud, e chi vorrà affiancarli.

Pensiamo che questo percorso collettivo vadasostenuto economicamente partendo dal basso,partendo da voi. Basterà contribuire con quello chepotrete, utilizzando i mezzi che vi proporremo nelnostro sito.

Tutto sarà trasparente e rendicontato, e per esserecoerenti col nostro percorso abbiamo deciso diappoggiarci alla "Banca Etica Popolare", che con i suoiprincipi di economia equa e sostenibile ci garantiscetrasparenza e legalità.

I Siciliani giovani

I Sicilianigiovani

www.isiciliani.it Una pagina dei Siciliani del 1993

Nel 1986, e di nuovo nel 1996, i Sicilianidovettero chiudere per mancanza dipubblicità, nonostante il successo dipubblico e il buon andamento dellevendite. I redattori lavoravano gratis, magli imprenditori non sostennero in alcuna

maniera il giornale che pure si batteva per liberare ancheloro dalla stretta mafiosa.Non è una pagina onorevole, nella storia dell'imprenditoriasiciliana.

Chi sostiene i Siciliani

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I Siciliani giovani è un giornale, è un pezzo di storia,ma è anche diciotto testate di base - da Milano aModica, da Catania a Roma, da Napoli a Bologna, aTrapani, a Palermo - che hanno deciso di lavorareinsieme per costituire una rete.

Non solo inchieste e denunce, ma anche il raccontoquotidiano di un Paese giovane, fatto da giovani, vissuto inprima persona dai protagonisti dell'Italia di domani. Fuori daipalazzi. In rete, e per le strade.

facciamorete!In rete, e per le strade

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1983-2013Trent’annidi libertà

“Un giornalismo fatto di veritàimpedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminali-tà, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo” Giuseppe Fava

In rete e per le strade“I Siciliani giovani” sono una rete di testate di base, da Milano a Modica, da Catania a Roma, da Bologna a Napoli. Il racconto quotidiano di un paese giovane, fatto da giovani, vissuto. Fuori dai palazzi. In rete, e per le strade.

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