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I quaderni di Terra Mia 2

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Hanno collaborato per lo svolgimento dell’attività 2004 e per questo numero:L’Amministrazione civica e i funzionari degli Assessorati Cultura e Turismo, la Biblioteca Civica, il Corsac, l’Istituto Stataled’Arte “F. Faccio”, la società ASA, e: Giacomo Antonietto, Giacomo Antoniono, Luigi Baratono, Elisabetta Ballurio Teit,Maurizio Bertodatto, Elena Bertolino, Michele Canzio, Daniele Checchi, Mariano Cristellotti, Alessio Canale Clapetto, EmilioChampagne, Giovanni Battista Colli, Carlo Demarchi, Sergio D’Emilia, Ivo Fadda, Roberto Favero, Emidio Filipponi, WalterGianola, Gino Giorda, Mario Guglielmetti, Paola, Felicina e Fiorenza Luotto, Renzo Mabrito, Nico Mantelli, Angelo Marandola,Giacomo Mascheroni, Giuseppe Merlo, Aldo e Luca Moretto, Pierangelo Piana, Vincenzo Salvetti, Piera Siletto, Andrea Tinetti,Alida Tira, Piero Ruffatto Tola, Paolo Tarella. Valentino Truffa Giachet. I soci inserzionisti.La foto di copertina è di Walter Gianola.

Gli articoli pubblicati nel presente quaderno sono di esclusiva responsabilità degli autori.

Finito di stampare nel mese di Novembre 2004 presso laTipografia Baima - Ronchetti & C. s.n.c. - Castellamonte (To)

Il quaderno è distribuito gratuitamente ai soci.

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Sono particolarmente lieto di presentare su invito dell’amico e presi-dente Giacomo Mascheroni questo secondo Quaderno di Terra Mia, te-stimonianza tangibile dell’impegno di tanti soci.

Questo nuovo quaderno è una finestra aperta sull’immenso panoramadi un passato altrimenti destinato all’oblio o alla conoscenza di pochiappassionati.

Un grazie sentito pertanto a quanti hanno lavorato con entusiasticoimpegno alla sua realizzazione nella speranza che il loro lavoro stimoli lacuriosità soprattutto dei giovani e il desiderio di collaborazione di moltialtri.

Angelo MarandolaPresidente Onorario

Castellamonte, Novembre 2004

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La pieve romanica di Vespiollain Baldissero Canavese

GIACOMO MASCHERONI

“La pieve sorge ancora solitaria nello stesso sitoin cui sorgeva anticamente sul bordo della stradache, dipartendosi dalla provinciale Ivrea-Castellamonte, tende a Campo e Muriaglio” (Pie-ro Venesia)*.

Dalle “Notizie storiche della Parrocchia diBaldissero”, un opuscolo edito nel 1912 dalpievano don Domenico Giovanni Naretto, ripren-diamo testualmente “...dagli atti della Curia diIvrea, Vespiolla era parrocchia plebana* fin dal1122 in cui eravi Pievano don Bon Giovanni”(Bongiovanni per il Venesia).

Era una delle prime dieci pievanie della dioce-si di Ivrea e non consta, come taluni hanno soste-nuto nel passato, e lo dimostreremo più avanti, siastata una parrocchia smembrata da altra Chiesa,tanto è vero, scrive il canonico Saroglia*, che ilpievano di Baldissero era denominato Vicarius Ep.Ad plebem.

Anche dal registro della decima papale, ordi-nata dal beato Urbano V nell’anno 1368, risultache la Chiesa di Santa Maria di Vespiolla era “par-rocchia matrice” dalla quale dipendevano le par-rocchie di Ungiano di Castellamonte (in regioneBelvedere della frazione Spineto), di Campo,

Muriaglio, Cintano, Luvinengo (Borgiallo), Saltoe Priacco: un territorio vasto che comprendeva,oltre la Valle Sacra, anche gli antichi villaggi diSalto e Priacco situati in riva sinistra dell’Orco,incredibilmente decentrati rispetto a Vespiolla.

“In seguito, probabilmente quandoCastellamonte portò la parrocchia nel centro delpaese, Vespiolla cessò d’essere chiesa matrice, ri-tenendo il titolo di pievania”

Difficile, invece, stabilire con esattezza il nomeoriginario di questa antica pieve anche se nei do-cumenti scritti in latino e custoditi presso la curiadi Ivrea figura sempre come Vespiola, con una “l”,mentre nei documenti successivi, redatti in italia-no, viene correntemente citata come Vespiolla; rarala denominazione Vespeola riportata dal Venesia.Noi siamo propensi a chiamarla con l’antica deno-minazione latina di “Vespiola”, come è rimasta neldialetto locale che si pronuncia “Vespiula”, in cuila lettera “o” in piemontese, viene pronunciatacome “u”.

La strutturaIn origine esisteva solo la cappella, aperta ver-

so la strada, con semplice pronao in legno.La struttura muraria dell’antica cappella è mi-

sta: costruita con ciottoli e mattoni, legati con maltadi calce e sabbia grossolana.

Difficile datare con precisione il periodo in cuivenne eretto questo antico edificio religioso.

Certamente assai prima del 1100 come talunoha scritto. Infatti, dalle ricerche condotte da L.Bovo, A. Lupano,, F. Quercia, G. Bertotti e altri,sugli affreschi del vescovado di Ivrea*, risulta che

La costruzione della cappellasarebbe antecedente all’anno 1000ed è stata una delle prime diecipievanie della Diocesi di Ivrea,nonchè parrocchia matrice

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l’antica chiesa di Salto, di cui si conserva ancorala struttura romanica del campanile, risalirebbe al-l’anno 1000. Di conseguenza, essendo questa chie-sa compresa tra quelle poste sotto la giurisdizionedella “chiesa matrice” di Vespiolla, quest’ultimadovrebbe essere stata costruita ancora prima del-l’anno 1000.

Il luogo prescelto dagli abitanti del tempo pererigere questa cappella, anche ai tempi nostridecentrato rispetto ai centri abitati della zona, hadato luogo alle più varie e, talvolta, fantasiose in-terpretazioni.

Alcuni sostengono che il sito sarebbe stato scel-to in quanto sede di una preesistente ara sacrifica-le pagana; altri, più verosimilmente, ritengono chela cappella sia stata costruita sopra un sitosepolcrale risalente al periodo romano, come di-mostrerebbero i resti di mattoni ed embrici che sitrovano, ancora ai nostri giorni, in tutta la zona.Secondo Piero Ramella, sarebbero state trovate ste-le sepolcrali risalenti alla fine del I sec. a.C.

Accanto alla Chiesa, sempre secondo donNaretto, vi sarebbe stata una casa con “stanza dafuoco” e, al di sopra, un’altra stanza (in seguito

crollate) ad uso del chierico beneficiato, al qualeerano affidate le mansioni di custodia della pievee del suono della campana.

Se ne deduce che la Chiesa parrocchiale - quiaest campestris -, cioè isolata in aperta campagna,non era abitata dal pievano il quale, come il giàcitato don Giacomo, domiciliava nel centro diBaldissero.

Quindi l’antica parrocchia di Baldissero sareb-be sempre stata affidata alla custodia di un chieri-co beneficiato, che veniva investito e dotato di unbeneficio detto “clericatura”, distinto però da quellodella pievania.

Dagli atti della Curia si legge infatti che nel1310 detta “clericatura” è conferita a Filippo de’Furno di Scarmagno, in seguito alla morte diUbertino, figlio di Barberio di Bairo.

Nel 1349 al dimissionario Martino Bizzarro diBaldissero succede il Chierico Giovannino de’Merlo di Lessolo, ed il Pievano locale, don Ivreto,è incaricato dal Vescovo mons. Giacomo de’Francisco di “metterlo in possesso”.

L’ultimo custode fu Giovanni Maria Soni diVolpiano, deceduto nel 1749.

La chiesa di Vespiolla a Baldissero Canavese.Nel fabbricato in pietra retrostantesono stati restaurati gli affreschi

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La decadenzaNel 1328 il pievano don Giacomo, già cappel-

lano di Brosso, notifica ai suoi Superiori che, sel’edificio della Chiesa è ancora in condizioni di-screte, la canonica è ormai ridotta in condizionipessime; mentre il teste Giacomino di Nicolinogiudica ambedue gli edifici bisognosi di urgentiinterventi di manutenzione. D’altro canto ormai datempo, come abbiamo visto, il pievano non risie-deva in Vespiolla, pur celebrandovi regolarmente iriti religiosi.

Anche la dotazione liturgica non era delle mi-gliori (mancava, tra l’altro, il calice d’argento perla celebrazione della Messa), e il beneficio dellapieve stessa era ridotto all’osso, oltre ad essere ilpiù basso, se non il più misero, rispetto a quellidelle altre pievanie del Canavese.

Nella chiesa di S. Maria di Vespiolla le funzio-ni parrocchiali si svolsero regolarmente fino all’an-no 1396, quando i monaci Benedettini dellaNovalesa rinunciarono alla loro Chiesa, detta di S.Martino in Cella, in favore del Parroco pro temporedell’antica pieve matrice di Vespiolla.

Il culto di S. Maria di VespiollaIl culto alla Vergine Maria alla quale è dedicata

la cappella risale probabilmente sino dalla sua co-struzione, tanto è vero che Don Naretto, non for-nendo alcuna precisazione in merito, la da comescontata.

Sino a memoria d’uomo, e ancora oggi, la de-vozione alla Madonna di Vespiolla è sempre stataviva e solennemente celebrata il mese di maggio(giorno ricorrente della festa dell’Ascensione), ela statua lignea della Madonna portata in proces-sione. La statua, donata il 20 aprile 1536 dal devo-to Stefano Grosso, non meglio identificato, misu-ra 52 cm di altezza, ed è conservata presso la dio-cesi di Ivrea.

Tuttavia negli Acta visitationis conservati inCuria, nei quali è documentata la visita minuziosacompiuta nel decennio 1742-1752 dal vescovo diIvrea mons. Michele Vittorio De Villa dei luoghi

di culto (chiese e cappelle) canonicamente erettied in essi descritti, si legge: Visitatio capellaeBeatae Mariae Virginis Gratiarum, in regione dictadi Vespiola, 1750, 8 ottobre.

Dal documento risulta chiaramente come, inquel periodo e chissà quanti anni prima, in Vespiolasi celebrava il culto della Madonna delle Grazieche ricorre il 13 Agosto.

Le chiese di S. Martino Questi avvenimenti ci inducono ad aprire una

parentesi per chiarire l’errore in cui sono occorsialcuni storici sulla dislocazione delle numerosechiese della zona dedicate a S. Martino. In parti-colare citiamo ancora il caso del canonico Sarogliail quale sosteneva, che l’antica parrocchia di S.Maria di Vespiolla fosse stata smembrata dallapievania di S. Martino di Perosa.

E’ invece un dato certo che, già nel secoloundecimo, alla Chiesa di Vespiolla eranocanonicamente unite le cappelle di San Martino inCella, detta anche di Genizasco, e di San Michelein Castello o di Castro (situata entro il castello chedomina Baldissero) quindi, chiesa “plebana”* ochiesa “matrice”*, del territorio di Baldissero, congiurisdizione su altre chiese.

La chiesa di S. Martino in Cella sorgeva doveoggi è situato il cimitero di Baldissero, lungo laprovinciale Ivrea-Castellamonte da cui diparte, inlocalità Pramonico, la strada per Bairo, Torre eAgliè. Fondata dai monaci Benedettini del Mona-stero della Novalesa, il Vescovo di Ivrea Guidoneconcesse a detto Monastero il permesso di questua.L’atto venne sottoscritto dal già nominato pievanoBon Giovanni e, con una croce, dal sacristaGandulfino e dal chierico Martino.

E’ probabile che alla Cella fosse annesso unedificio per i monaci.

Nel 1396 il Monastero di Novalesa cedette ibeni spirituali e materiali al pievano del tempoVercellino. Questi, stando le cattive condizionidella pieve di Vespiolla, già denunciate nel 1329da don Giacomo, oltre che alla sua ubicazione

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decentrata in aperta campagna, vi trasferisce buo-na parte delle funzioni parrocchiali ad eccezionedelle solennità maggiori. Si chiarisce così l’erroredi alcuni storici che hanno confuso la pieve di S.Martino in Cella con la pieve di S. Martino diPerosa (l’attuale S. Martino Canavese), a meno chenon sia stato un errore di trascrizione compiuto daun amanuense della Curia.

Probabilmente verso la fine del secolo XIV, oall’inizio del secolo XV, nel centro del paese diBaldissero, sorge un nuovo edificio religioso - an-ch’esso dedicato a S. Martino Vescovo - adeguatoalle necessità della popolazione, che diventa lanuova chiesa parrocchiale.

Di conseguenza, la Cella, viene gradualmenteabbandonata e, andata in rovina, abbattuta alla finedel secolo XVIII.

Il sito, successivamente utilizzato per costruir-vi il cimitero del paese, è ricordato da un pilonevotivo e, in particolare, dal toponimo “Pramonico”che si ritiene derivi dal latino Pratus monacorum:inequivocabile riferimento alla possibile presenzadi un “prato dei monaci” pertinente al convento.

Inoltre, scrive il Cabotto, l’atto di concessionedella Cella di S. Martino sarebbe stato stilato infracapellam castri Baldisseri, (la cappella di S. Mi-chele in Castello).

Le vicende della chiesa di BaldisseroLa chiesa parrocchiale, che era stata costruita

attorno al 1500 nel centro del paese, resse per cir-ca tre secoli. Alla sua demolizione seguì, alcunianni più tardi anche quella del campanile che, nel-l’affresco scoperto in vescovado in cui è rappre-sentato il territorio della diocesi, figura già rinfor-zato alla base.

L’attivissimo pievano don Pietro Allaira detteinizio alla costruzione dell’attuale chiesa parroc-chiale che, dopo circa un anno, (10 novembre 1816)venne consacrata dal Vescovo di Ivrea Grimaldi,dedicata al S S. Nome di Maria ed a S. MartinoVescovo. L’attuale campanile venne costruito suc-cessivamente su una porzione di terreno della pri-

ma chiesa parrocchiale demolita.La Visitatio Baldisserii di mons De Villa, ebbe

luogo nei giorni 8-9 ottobre del 1750, come risultadagli Acta Visitationis:Episcopus...introductus fuitin ecclesiam...sub titulo Sancti Martini Episcopi...

Sempre l’8 ottobre 1750, il Vescovo, dopo ilsopralluogo alla chiesa di Vespiolla, visitò anchela capella Sancti Michaelis Archangelis in castroloci sitae, cioè la cappella situata nel castello.

Le precarie condizioni degli affreschiDobbiamo innanzitutto precisare che, nel com-

plesso, gli affreschi dell’antica cappella si presen-tavano oltre che ricoperti in parte da uno spessostrato d’intonaco, in un cattivo stato di conserva-zione a causa di numerosi fenomeni di degrado,

Particolare dell’affresco: Madonna che allatta

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quali umidità proveniente dal terreno, distacchidell’intonaco dovuti a vecchie infiltrazioni di ac-qua dal tetto e ad antichi dissesti strutturali.

Ad aggravare la già precaria situazione, spiegaMariano Cristellotti - restauratore responsabile deldifficile e complesso intervento - la “pellicola pit-torica” dell’intero ciclo risultava in parte sollevatae coperta da formazioni saline cristallizzate.

Quindi, prima di dare inizio all’intervento, èstato necessario mettere a punto la più correttametodologia possibile di restauro mediante le ana-lisi di micro campioni dei colori e dei sali cristal-lizzati che sono state effettuate presso il laborato-rio del dott. Stefano Volpin, noto esperto padova-no nella diagnostica delle cause di degrado di ope-re d’arte.

I risultati delle indagini microchimiche hannoaltresì permesso di fare alcune scoperte sui coloriutilizzati dallo sconosciuto artista.

Il dettaglio degli affreschi Sulla parete semicircolare dell’abside dell’an-

tica cappella sono rappresentati, da sinistra a de-stra di chi guarda, i dodici apostoli e sanBartolomeo mentre al centro della volta, racchiu-so nella classica mandorla, è rappresentata ala fi-gura di Dio padre con ai lati i simboli dei quattroevangelisti. Nel registro inferiore la rappresenta-zione di un velario bipartito conclude la decora-zione interna.

Tutto questo ciclo di affreschi è, purtroppo, seminascosto dal monumentale altare (costruito in tempirelativamente recenti): un manufatto sproporzio-nato per le dimensioni della chiesa il quale, se ve-nisse rimosso, permetterebbe una letturaarchitettonica e delle decorazioni molto più equi-librata. Una approfondita indagine ha anche per-messo di individuare una piccola finestra tampo-nata, che è stata riaperta.

E’ stato invece completamente scoperto e re-staurato il ciclo di affreschi dell’arco santo sul qualeè ora visibile una stupenda Annunciazione, la rap-presentazione della Madonna che allatta e, più inalto, un Angelo annunziante Ave Maria plena gratiadominus. In fine, in basso a destra, la sorprendentefigura di un beato con armi ed insegne nobiliari.

A tale proposito ci si è subito posti il perchédell’inserimento tra Angeli e Madonne, di un ar-migero.

L’enigma è stato chiarito, dopo un’attenta ana-lisi iconografica, dal direttore scientifico della So-printendenza ai Beni Artistici e Storici del Piemon-te, Carlo Bertolotto, che identificava la figura delsoldato nientemeno che in Bernardo, margravio diBaden, deceduto a Moncalieri in odore di santità.A conferma di questo importante individuazione èstato il successivo ritrovamento in corso di restau-ro, sopra la sua effigie, della scritta in gotico BeatusBernardus.

Particolare dell’affresco: l’angelo annunziante

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La scoperta degli affreschi A questo punto merita raccontare, in sintesi, come si sarebbe giunti alla scoperta degli affreschi di

S. Maria in Vespiolla. Attorno agli anni ’70 alcuni laureandi in architettura furono accompagnati allacappella, per un sopralluogo, da un’esperto. Questi, mentre illustrava le caratteristiche architettonichedell’antica pieve, ebbe la felice intuizione di scalfire una piccola parte di intonaco dell’arco santo.

Con immaginabile sorpresa apparve un affresco! Erano stati scoperti gli stupendi affreschi dellapieve di Vespiola! Purtroppo, sino ad oggi, non si conosce l’autore di questa importante opera d’arte,anche se taluni ne attribuiscono la paternità a Giacomino di Ivrea.

Particolare dell’affresco: l’Annuncio

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L’inizio dei lavori ed alcuni dati tecniciSolo nel 2000 viene dato il via alla prima fase

di recupero degli affreschi che apparivano, comegià detto, in condizioni critiche di restauro,pressochè impossibili da decifrare cosa rappresen-tassero.

L’avvio del recupero è stato possibile grazieall’impegno instancabile del geometra Ivo Fadda,Presidente del “Comitato dell’antica Chiesa diVespiolla”, sostenuto dalle generose offerte dellaRegione Piemonte, della popolazione e dai contri-buti del Comune di Baldissero.

A questo punto riteniamo interessante fornireal lettore, per sommi capi, la tecnica della pitturaad affresco, che sicuramente lo sconosciuto pitto-re di Vespiolla doveva conoscere perfettamente.

Di buon mattino veniva stesa, sopra la super-ficie muraria, una malta di grassello di calce sta-gionata e sabbia fine. A parte si preparavano icolori sciolti in sola acqua e, con questi, si comin-ciava a dipingere. Bisognava essere precisi e ve-

loci poiché si poteva lavorare fino a che l’intona-co era sufficientemente umido e sino a quando viera luce. A volte il pittore, per facilitare l’esecu-zione del lavoro, preparava dei bozzetti che ripor-tava sull’intonaco umido con la tecnica dello“spolvero” oppure mediante l’incisione detta a“chiodo”.

Così, ogni giorno, si eseguiva un nuovo pezzodi dipinto fino a quando l’opera non veniva com-pletata. Questa peculiarità ha consentito di con-tare i giorni impiegati dall’artista per l’esecuzio-ne dell’intero ciclo pittorico attraverso quelle chein termini tecnici si chiamano “giunte di giorna-ta”. Fino ad ora, a Vespiola, ne sono state indivi-duate una decina.

Alcuni giudizi sugli affreschiSempre secondo il restauratore Mariano

Cristellotti: “La scoperta degli affreschi di S. Mariadi Vespiola è di valore rilevante. Si tratta di un’operad’arte tardo quattrocentesca, di buona fattura, che ri-chiama in parte aspetti della pittura fiamminga.

Particolare dell’affresco:Dio che indica la SS. Trinità (mano destra)

e soffia creando il mondo (mano sinistra)

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Sicuramente varrebbe la pena che , da parte diesperti, venissero approfondite le conoscenze suquesto ciclo pittorico e sul suo ancora misteriosoesecutore.

L’intervento di restauro, condotto con rigorescientifico, ha permesso il recupero di aspetticromatici di notevole intensità e forza espressiva.Sono ricomparsi i delicati visi della Madonna edell’arcangelo Gabriele, e quelli dolci seppur se-veri degli apostoli. Tutto lascia presagire che, altermine del restauro, potremo ammirare l’operanella sua primitiva bellezza”.

Cosa resta da fare - Le possibili scoperteIn primo luogo, con gli auspicati prossimi

finanziamenti, dovrà essere portato a termine ilrestauro del “velario” e del “catino” della pieve.

Poi sarebbe necessario, con l’autorizzazionedella Soprintendenza, progettare un sistema, na-scosto alla vista, di sostegno della volta della cap-pella al fine di eliminare l’ingombrante altare digraniglia il quale, ripetiamo, toglie al visitatore lavisione complessiva degli affreschi.

Con l’abbattimento dell’altare si dovrà ancheprovvedere alla sostituzione del pavimento in ce-mento e, nel contempo, condurre una prospezionedel sottosuolo: non è da escludere infatti che, aduna certa profondità, si possano trovare resti disepolture romaniche, come di reperti archeologicipiù antichi, che potrebbero fornire indicazioni , senon proprio la datazione precisa, sulle origini del-la pieve di Vespiolla.

Il Beato BernardoIl “ritratto” più antico si trova a Moncalieri: una

tavola votiva donata dai suoi fratelli attorno al 1475in cui Bernardo è rappresentato in veste di solda-to, con la scritta “ Bon Bernhart”, cioè “buonBernardo”.

Una seconda tavola votiva del Beato, datata1480, è conservata presso il museo del nuovo ca-stello di Baden Baden, mentre antiche statue dellostesso sono conservate nel convento di Lichtethaee nella cattedrale di Breisach.

Con il mutare delle situazioni politiche e, inparticolare, a causa dello scisma protestante, il ri-cordo di Bernardo sembrò scemare; invece siripropose, inopinato, con l’approssimarsi delle ordeottomane le quali, raggiunta l’Ungheria, sembra-vano marciare su Vienna. Infatti, i quadri dell’epocalo raffigurano in veste di soldato.

In tal guisa il Nostro compare, non senza sor-presa, sull’affresco dell’arcone della pievania diVespiolla, segno che la sua fama aveva raggiuntoanche le nostre contrade, e rendendo cosìaccertabile la data dell’esecuzione degli affreschiche si presume siano stati realizzati anni prima delloscadere del 400.

Il tempo trascorre non la memoria di Bernardo;tanto è vero che, nel 1769, viene beatificato e. con

Particolare dell’affresco:il vitello simbolo dell’Evangelista Luca

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questo riconoscimento della Chiesa, anche gli ar-tisti hanno motivo di raffigurarlo assunto trionfal-mente in Paradiso tra i Santi, nelle numerose ico-ne, statue, e monumenti. che possiamo ancora am-mirare a Moncalieri, come a Baden ed a Rastatt,tanto per citare i centri di maggiore culto del Bea-to.

Chi è BernardoNasce verso il 1428 o il 1429 nel castello di

Hohenbaden, in Germania, da genitori imparentaticon gli Asburgo e Margravi (una sorta di marche-si) di Baden. Giovanissimo, segue il padre Giaco-mo I nelle trattative di pace tra le città contendentidi mezza Europa, e partecipa anche ad alcuni com-battimenti. Con gli anni emerge sempre più la sua

personalità di uomo profondamente religioso e dipaciere di opposte fazioni.

Svolge quindi innumerevoli missioni presso lepiù importanti corti imperiali e governi dell’epo-ca, pur avendo ceduto al fratello maggiore Carlotutti i suoi benefici. Nel 1458 viene chiamato dallaRepubblica di Genova per trattare l’alleanza conVenezia contro i turchi. Purtroppo nella città ligureinfuriava la peste e le trattative non vengono nep-pure iniziate.

Santo a furor di popoloMalauguratamente anche Bernardo viene col-

pito dalla pestilenza. Riprende il viaggio di ritornoa Baden ma, giunto a Moncalieri, muore. Era il 15luglio del 1458. Il rimpianto è generale tanto che i

Particolare dell’affresco

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funerali dello sventurato Bernardo si svolgono conun incredibile concorso di popolo che, la guarigio-ne di un infermo nel corso delle esequie ne decretala santità, ipso facto, a furor di popolo.

Nel 1502 il Consiglio della Comunità diMoncalieri lo elegge patrono della città. Solo nel1728 la Chiesa lo proclamerà Beato, mentre neisecoli che seguono il ricordo di Bernardo di Badensi mantiene vivo e attuale, sia in Germania (so-prattutto a Baden e Rastatt) che a Moncalieri attra-verso le sue effigi, i monumenti e le ricorrentimanifestazioni religiose.

Curiosità tratte dal Liber decimarum“Un elemento che, a prima vista, potrebbe sem-

brare utile per stabilire l’antichità di una sedeplebana - scrive Giorgio Cracco*- è la presenzanel suo sito di ritrovamenti di età romana. Nelladiocesi di Ivrea tale circostanza si verifica a Setti-mo Vittone, Azeglio, Brosso, Vespiolla, Lugnacco,

e Doblazio. La rete delle pievi e delle chiese mino-ri ad esse afferenti, con tutta probabilità è da rite-nere fosse ancora in formazione nel corso dei se-coli VIII e IX, e che essa abbia subìto modificazioniaccompagnando le oscillazioni dovute a fattori diordine economico, demografico e politico”.

Nel secolo XIV le chiese diocesane articolatesecondo la struttura plebana e desunte dal capitoloLiber decimarum dello stesso Autore, erano: quel-le di Settimo Vittone, con 9 chiese comprese entroil suo territorio; di Azeglio, con 11 chiese e 2 cap-pelle; di Uliaco, con una chiesa; di Brosso, senzaalcuna chiesa; di Lugnacco, con 8 chiese; diVespiola (ossia Baldissero), con 7 chiese; diDoblazio di Pont, con 8 chiese; di Rivarolo, con13 chiese; di Ozegna, con 5 chiese; di S. MartinoCanavese, con 7 chiese; di Candia, con 8 chiese;di Vische, con 8 chiese e una cappella; diRondissone, senza chiese; di San Sebastiano Po,con 8 chiese e una cappella.

Particolare dell’affresco: altri Apostoli

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GLOSSARIO*Abside: parte retrostante l’altare dove in epoca più tarda

viene stabilito il coro.Margravio: marchese tedesco; nel periodo feudale. Mar-

chese - conte di una marca, cioè di una regione di confinedell’impero Carolingio. Il titolo nobiliare fra quello di Contee quello di Duca. (Dizionario De Agostini).

Matrice (chiesa): chiesa madre da cui originano altrechiese di minor importanza.

Pievano: prete titolare di una pieve; sec. Latino medioe-vale, plebanum.

Pievanìa: carica, ministero del pievano.Pieve: dal latino Plebem, parrocchia di campagna; anche

edifici componenti la chiesa stessa; (una pieve romanica).Plebana (chiesa - sede): proprietà appartenente a una

pieve.Presbìtero: nella Chiesa delle origini, ciascuno degli an-

ziani incaricati di governare la comunità cristiana; in seguito,sacerdote, prete. Dal tardo latrino presbyterum “prete”, e dalgreco presbyteros, “più vecchio”.

Presbitèrio: la parte della chiesa riservata all’altare edallo svolgimento dei riti sacri.

Rettore: sacerdote responsabile di una chiesa non par-rocchiale.

BIBLIOGRAFIA*Cracco Giorgio, Storia della Chiesa di Ivrea dalle origini

al sec. XV, 1998Saroglia, Eporedia sacra, Ivrea 1Ramella Piero, Civiltà del Canavese, 1977Venesia Piero, Medio Evo in Canavese, 1989Vignolo I. - Ravera G., Il Liber Decimarum della Diocesi

di Ivrea (1368-1370), Roma 1970AA.VV. Il salone degli affreschi del palazzo vescovile di

Ivrea. Ferrero editore, 1997

Schede di alcune località tratte dal volume “ Il salone de-gli affreschi nel palazzo vescovile di Ivrea”, Ferrero editorein Ivrea, 1997- redatte da Guglielmo Berattino, GiovanniBertotti, Liliana Bovo, Franco Quaccia

Borgiallo (pag. 84). “L’antica chiesa citata per la primavolta nel 1329 era già dedicata a S.Nicola e sorgeva nel sitoattuale considerato come località ben precisa con il nome diLusinengo.

(pag. 45) ...”.visitatio Burgalli,1750, 27 settembre - 1 ot-tobre -...ecclesiam parochialem...sub titulo Sancti NicolaiPontificis et Confessoris...”

Priacco (pag. 154): “L’antica chiesa era probabilmentededicata a Sant’Agostino come si legge nella visita Pastoraledel 1329....Del primo edificio rimane il campanile con ele-menti romanici...”

Salto. (pag. 168): “La tradizione vuole fosse già funzio-nale verso l’anno 1000, epoca della quale resta il campanileromanico...ed apparteneva giuridicamente nel 1329 allaPievania di Vespiola; in tale anno la chiesa è in buone condi-zioni mentre l’attrezzatura liturgica è scadente”.

Pratoparetto: Preparetto fraz. di Castellamonte(Castrimontis), “...visitatio 1750, 19 agost,. in regione dictaSancti Petri de Alcantara...”

Ha collaborato e si ringrazia vivamente: Ivan Fadda,Presidente del Comitato antica Pieve di Vespiolla.Le fotografie sono di Nico Mantelli e Angelo Nora.

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Penso infatti sia stato l’intervento della Fortu-na (o del Beato Bernardo) a farmi capitare tra lemani un vero pezzo da collezione: “La corte santi-ficata dalla vita, e dalle virtù del B. BERNARDOMARCHESE DI BADEN Protettore della Città diMoncalieri, descritte dal Prefetto Giuseppe Anto-nio Mombello Patrizio della medesima, Accade-mico Innominato di Brà, e consacrate alla Reginadel Cielo” stampato “in Torino 1751 Per GiuseppeMaria Ghiringhello Stampatore del Real Collegiodi Savoja. Con licenza de’ Superiori”.

L’importanza di questo testo, non sta tanto nelcarattere letterario dell’opera o nella fama dell’au-tore, ma nel fatto che tralasciando le notemeramente agiografiche o di captatio benevolentiaenei confronti di casa Savoia, possiamo ricavaredelle utilissime informazioni su tre distinti campi.Primo: la vita del marchese Bernardo di Baden.Secondo: la “Notizia istorica della città diMoncalieri, e del Borgo di Testona”, la storia dellacittà di Moncalieri dalla fondazione al 1750, cor-redata dalle annotazioni a margine di tutti i docu-menti utilizzati per stilarla (di alcuni di essi se neera completamente persa memoria!). Terzo: unadescrizione particolareggiata degli edifici di culto

e delle confraternite religiose esistenti inMoncalieri fino al 17501 .

La struttura dell’opera ha un’impostazione clas-sica. Si apre infatti con una dedica allaMadonna“…Sogliono gli Scrittori dedicare i loroLibri ai Grandi del Mondo, per godere d’uno splen-dido patrocinio: ed io a voi consagro, o REGINADEL CIELO, questo picciol Volume, supplicando-vi della vostra adorabile protezione..” .

Segue una nota de “l’AUTORE A CHI LEG-GE”, dove l’autore ci spiega il perché di quest’ope-ra ed il suo modus operandi per realizzarla: “Nonv’ha città battezzata che non si pregi di celebrarealcun Santo... La Città di Moncalieri si gloria delBeato Bernardo di Baden…che Provvidenza Divi-na dispose morisse tra le sue stesse mura”, “ ..Evviun picciolo, ed antico compendio della sua santis-sima vita, ma troppo angusto al suo merito, ed alpubblico zelo. Quindi la divota Città sempre in-tenta a dilatarne le glorie, avendo determinato difarla ricomporre più ampliamente, e colla giuntadi quelle maggiori notizie, che dalle Storie, e da-gli Archivj aver si potessero, mi ha prescelto al-l’impresa… Ecco pertanto, o cortese Lettore, la dilui Vita fedelmente descritta con più di fondatezza,che d’eloquenza, ed aggiuntovi un breve raggua-glio della diletta Città, ch’egli protegge dal Cie-lo.”

Ma solo analizzando le ultime righe di questaintroduzione, capiamo il vero assetto del testo, cherisulta ricalcare in pieno il canovaccio delleagiografie, cioè della descrizione della vita deiSanti, attraverso la descrizione di fatti (pseudo-parabole) e soprattutto l’utilizzo di testi di filoso-

Il Beato Bernardomarchese di Baden

IVAN MIOLA

Ma chi era Bernardo di Baden?Se è vero che Fortuna audaces

iuvat - la Fortuna aiuta gli audaci -qualche volta aiuta anche i ricer-catori di libri antichi

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fia religiosa e dottrina morale. Infatti l’autore scri-ve: ”Confesso d’avere con digressioni, ed episodi,forse troppo traviato dalle regole della Storia, mane spero il tuo benigno compatimento (o lettore,nda), anzi la tua amorevole approvazione in gra-zia dell’argomento, e del fine, che fu di accrescerecolle ragioni, e colle autorità il vigore agli esem-pi. Leggili per tanto con animo d’imitarli….”.

Il nostro autore, il Prefetto Mombello, dopo averavvertito il lettore che la santità ovunque si trovi èdegna di ammirazione, ma lo è ancor più quandotrionfa in mezzo alle tentazioni delle Corti e allemondane grandezze, incomincia a parlarci dei na-tali di Bernardo di Baden.

Mi permetto qui una digressione ed un’analisisull’autore.

Il Mombello dimostra di essere uno che sa faremolto bene il suo mestiere. Deve infatti scrivere lamirabile vita di un santo ma non deve dimenticarsiche a pagare il suo lavoro è la città di Moncalieri esoprattutto Casa Savoia.

Ed eccolo allora sviluppare un eccezionale la-voro di adulazioni più o meno velate. In un’epocain cui, forse anche più di oggi, una famiglia nobilevaleva per quanti più personaggi illustri potevavantare tra diplomatici, militari, uomini del clero esoprattutto…santi (i famosi santi in paradiso… chehanno tutt’oggi un discreto valore!); il nostro au-tore si lancia in spericolate genealogie per dimo-strare apparentamenti di Casa Savoia con la Fami-glia Imperiale, del nostro Marchese di Baden conla Famiglia Imperiale ed con un Santo di gran pesocome San Bernardo di Chiaravalle, senza tralascia-re di glorificare qua e là qualche personaggio diCasa Savoia o di Santa Madre Chiesa.2

Ma procediamo con ordine.Il Beato Bernardo “Nacque sotto il cielo di Ger-

mania l’anno dell’umana salute 1438. Apprestoglila culla la fortunata città di Baden, Metropoli delsuo antico e nobile Marchesato, che stendesi alladestra del Reno. …fu nommato Bernardo, comedenominavasi l’Avo suo Paterno…quel Santissi-mo Abate di Chiaravalle. Cò suoi gloriosi Natali

illustrò que’ tempi, ne’ quali in Occidente l’Au-striaco Alberto cinse l’Imperiale Corona, e dura-va tuttavia il Concilio di Basilea, il quale sollevòal Pontificato col nome di Felice V il celebreAmedeo VIII, Duca di Savoia per calmare la Chiesadal lungo Scisma agitata.”

“I genitori del Beato furono Giacomo Marche-se di Baden, e Catterina figlia di Carlo I Duca diLorena. Quegli (il Duca di Lorena, nda) potevacontare nel suo lignaggio una lunga serie di guer-rieri, tra cui Goffredo di Buglione Conquistatore,e poi Re di Gerusalemme…” mentre “…la stirpedi Baden, tra le più antiche di Germania, ha lasua antichissima Origine dalli Duchi di Zeringhene Principi d’Alsazia, da cui l’Augustissima Casad’Austria trae i sublimi Natali…”

Districandoci tra i nodosi rami di alberigenealogici di mezza nobiltà europea, scopriamoche Bernardo ebbe quattro fratelli: ”Carlo, chesuccessore al Marchesato isposò Catterina d’Au-stria sorella di Federico III Imperatore; GiovanniVescovo di Treviri Elettore del Sacro Impero; Gior-gio Vescovo di Metz e Marco Vescovo di Argenti-na” ed una sorella “isposata con il Marchese diBrandeburgo”. Pareva brutto non dirlo, ed eccoallora che il nostro Autore ci informa che, un Badensposa “Cristina figlia del Serenissimo PrincipeTommaso di Savoia, che nell’anno 1683 ebbe cosìgran parte nella liberazione di Vienna assediatadall’Ottomano…”.

Dopo aver scritto una trentina di pagine di filo-sofia morale ed esempi di beatitudine legati al vec-chio Testamento, il Mombello, ricomincia a scri-vere qualcosa di più interessante per i nostri fini:

“Il secolo decimoquinto può gloriarsi d’averdato al Mondo Cattolico due perfetti esemplari diquesta sublime virtù (quella di donare ai poverelli),uno nel nostro Bernardo che illustrò le Corti dellaGermania, e l’altro nel Beato Amedeo, che santi-ficò il trono della Savoja. Ambedue furono grandilimosinieri, e Padri de’ Poveri, degni perciò d’es-sere imitati da’ Poveri e venerati da’ Popoli.”

Alla morte del padre, il Marchese Giacomo di

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Baden, avvenuta nel 1453, “pervenne la migliorparte dè Stati Paterni al nostro Bernardo, che giàuscito dalla pubertà gli toccò la libera ammini-strazione, e il governo. Ma egli dopo un breve go-verno, ma santo (non avevamo dubbi!, nda), aven-do sperimentato quanto la cura degli Stati lo di-stogliesse dalla dolce contemplazione delle cosecelesti, deliberò di lasciare la sollecitudine a Car-lo suo fratello..”. Però, nonostante avesse votatola sua vita ai poveri ed alla preghiera, scopriamoche “Non solamente il Beato Bernardo fu un otti-mo Principe nella propria Corte; ma insieme fuun savio Cortigiano, e Ministro in quella dell’Im-peratore Federigo III, appresso cui dimorando inErlingen, vi si trattenne. Era grandemente amatoda questo Monarca per l’attinenza del sangue emolto più per la virtù,…., il suo zelo era unica-mente indirizzato alla gloria di Dio, e della Catto-

lica Fede: onde soleva biasimare con grand’ener-gia le guerre intestine, che allora versavano tantosangue Cristiano in Europa, le cui armi dicevadoversi impiegare contro i progressidell’Ottomano, che espugnata Costantinopoli, mi-nacciava d’invadere l’Ungheria”. Pare quindi chefu proprio il Beato di Baden a proporre all’Impe-ratore di creare una sacra lega, la Dieta diFrancoforte, di cui “Federigo divenne ilCondottiero”.

Per quel che riguarda la vita privata di Bernardodi Baden, il nostro autore ci informa che, il Santofece voto di celibato, anche se con il suo bellissi-mo aspetto, la nobiltà dei modi e le ricchezze nonavrebbe avuto alcuna fatica a trovare una mogliedegna del suo lignaggio. Anzi: “I suoi Genitoril’avevano destinato fino da teneri anni in matri-monio con Maddalena figlia di Carlo VII, Re di

Il geom. Fadda illustra ai visitatori gli affreschidell’antica pieve (foto W. Gianola)

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Francia, ed essendosi poscia stabiliti gli sponsali,altro non vi rimaneva che celebrare le nozze conla Regale Donzella, di virtù e di bellezzaegregiamente dotata, la cui sorella primogenitaViolante trovatasi già legata in matrimonio conAmedeo IX Duca di Savoja …… Ma egli rinunziòal matrimonio per amore della virginità e si con-sacrò alla Regina del Cielo.”

Parco nel mangiare (sovente praticava il digiu-no), vestiva con indumenti non raffinati, praticavala mortificazione del corpo e dello spirito e nonperdeva occasione per raccogliersi in preghiera.“...per dare un qualche maggior saggio del suoamore verso Dio sospirava di morire per la suaFede; ed incoronare il suo zelo con il martirio.Volentieri avrebbe offerta la cervice alle scimitarredei Barbari, per ristabilire il Vangelo nell’Imperod’Oriente. Egli fu Martire, anche se non isparse ilsangue, versò copiosi sudori per l’amor di Fede”.

“La Corte del nostro Marchese era tutta ri-splendente nelle Sante Virtù, perché santificata daisuoi esempi, e da’ suoi documenti. Chi non volevaimitarlo era necessitato a fuggirlo.”

“Nell’anno 1453 Maometto II, prevalendosi del-le discordie del Cristianesimo, assalita con un forteesercito la città di Costantinopoli, ed espugnatalacon la morte infelice dell’Imperatore Paleologo,fè là trionfare il Corano… Non contento il sacrilegousurpatore di una si grande conquista, affrettava iprogressi in Europa, minacciando di soggiogarel’Impero di Occidente, e di recarvi il totale ster-minio della Cattolica Fede…Reggeva allora ilPontificato Romano Calisto III, e Federigo regge-va l’Impero Occidentale, li quali, per ritorre lapreda a quel Barbaro, ed opporsi a maggiori avan-zamenti, disegnavano di convocare di nuovo unapoderosa Crociata di tutte l’Armi Cristiane, piùvolte intrapresa, e sempre interrotta da intestinediscordie e mondane politiche”. Per questo scopobisognava spedire per le Corti d’Europa qualcheinsigne personaggio, che, dotato di zelo, acume ebuona diplomazia, potesse ripianare i dissapori edi disaccordi sorti tra i vari principi e riuscire nel-

l’impresa di creare una lega crociata. “Federigo,dopo aver esaminati i talenti di varj Personaggipiù riguardevoli, non trovò soggetto più degno delnostro savio e pio marchese di Baden, di cui avevasperimentata già la fama ed il consiglio”, conces-se quindi il titolo e la dignità di “Presidente Impe-riale” al Beato Bernardo e lo mandò quale suomesso nelle Corti. “Viaggiò per le vaste Provinciedell’Allemagna…..rivolto indi il cammino verso gliAllobrogi, si portò alla Corte di Ludovico Duca diSavoja, dal cui zelo e valore si prometteva un po-tente aiuto,…...a cui così parlò:…..Voi, che sovraogni altro foste beatificato da Dio, più di ogni al-tro siete obbligato ad opporvi al temerario ardi-mento. V’impegna all’impresa quella candida Cro-ce, che alzata per vostra insegna; la sagratissimaSindone, a voi concessa in dono dal Cielo, l’insi-gne miracolo dell’Eucaristia che poc’anzi illustròla vostra augusta Città di Torino (si riferisce almiracolo avvenuto il 6 giugno 1453 a Torino, quan-do un’Ostia consacrata, esce dalla pisside in cuiera custodita, che si trovava sul dorso di un muloinsieme ad altri oggetti sacri saccheggiati e si librain aria, “sfavillando come un sole”, fino a quandoil Vescovo di Torino non la prende tra le mani e laporta nella Chiesa di San Giovanni).

“…ed il Duca persuaso dalle ragioni, e dalmerito dell’impresa, gli promise un forte aiuto d’ar-mi e di danari, coll’intervento della medesima SuaPersona in quella spedizione militare.”

“Trattenuto parecchi giorni in Ciamberì allaCorte del Duca, finalmente il nostro Beato dal me-desimo congedassi. Scese le Alpi per portarsi aRoma, e trattare col Pontefice e cò Principi del-l’Italia l’importante negozio della Crociata. Giuntonella famosa, ed antica Città di Torino si fermò inessa alcuni giorni a visitare le Chiese, e venerarele Sacre Reliquie. Intradossi poscia con la suaCorte a Moncalieri, inspirato da Dio di trattener-si ivi alcun spazio di tempo. Arrivato nel Lugliodell’anno 1458, volle ricoverarsi nel Convento diSan Franceso, per attendere agli esercizi dello spi-rito”. Terminati i giorni destinati a quel Sacro Ri-

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tiro, determinò di proseguire il suo viaggio, ben-ché il caldo fosse insopportabile…Ma gli fu rive-lata da Dio la sua morte imminente”. “…fu assali-to da una cocentissima febbre cagionatagli da lun-ghi disagi, dal bollore della stagione, e molto piùdalla violenza d’amore, con cui la sua bell’Animaanelava d’unirsi eternamente a Dio . L’infermitàil ridusse in pochi giorni al termine della vitalecarriera fra tormenti di penosissimo male. Trascor-se i suoi ultimi momenti in preghiera e “ spirò ne’baci del crocefisso e l’Anima Sua qual innocenteColomba volossene al Cielo, il giorno quinto de-cimo di Luglio dell’anno 1458”.

“Appena spirato il nostro Beato cominciò a

splendere…divenne luminoso il suo volto, e fra-grante il suo corpo. All’annunzio della sua morte,al grido delle sue virtù affollassi il popolo per ve-nerare la sua spoglia mortale…Fu portato il suoCadavero colla dovuta pompa funebre e con nu-meroso seguito di Patrizij e di popolo alla Chiesaparrocchiale dell’Insigne Collegiata di Santa Ma-ria, ed ivi furono celebrate solennissime esequie”.“Varj storpi ed infermi incurabili, nel toccare ilsuo feretro subito furono risanati.”

“La piissima Duchessa Violante di Savoja,adoprassi efficacemente appresso Papa Sisto IVaffine di promuovere la beatificazione ed il culto.Da quelle e altre suppliche mosso detto Pontefice

Il Santo Guerriero , presente nella Cappella già anticaPieve di S. Maria di Vespiolla, prima del restauro

Il Santo Guerriero restaurato

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ordinòche se ne formasse il processo informativocon ispedirne due Bolle, una delli 23 Dicembre1478 diretta al Vescovo di Agosta, e l’altra delli 7Agosto dell’anno seguente diretta al Vescovo diIvrea. In seguito a queste fu poscia il nostroBernardo ascritto nel Catalogo dè Beati l’anno1480, quindi fu scelto per singolar Protettore del-la Città di Moncalieri.

Segue un elenco di fatti miracolosi, molte voltecon tanto di data dell’avvenimento e nome e co-gnome del miracolato3 , che non sto a riportare per

ragioni di spazio, mi limiterò quindi ai due piùeclatanti. “Infieriva nell’anno 1599 nella Città diTorino il contagio; alcuni malvagi, chiamati vol-garmente Monati, determinarono di infettarne conesso la Città di Moncalieri. Ivi giunti nel volerpassare il Ponte del fiume Po, furono minacciati erespinti da un bellissimo Giovine assiso su d’unbianco Cavallo ivi fermato come di guardia. Il be-nefico difensore fu riconosciuto che egli era il Be-ato Bernardo per la somiglianza che aveva cò suoiritratti”.

La seconda si riferisce all’assedio di Torino del1706, quando “il Generale dell’Arme Francesi,non fece procedere l’esecuzione ordinata del sac-cheggio e dell’incendio della Città (di Moncalieri),perché ne venne distolto dalla forza invisibile delBeato, il quale si oppose a tutti i tentativi dell’Ini-mico per difesa della Sua Città”.

Spero con queste mie righe di non avervi anno-iato, ma di aver contribuito a dare uno spessore edun po’ di vita, ad un bellissimo volto della Chiesadella Vespiolla.

Note

1 Mi riservo di affrontare questi ultimi due argomenti a parte,essendo questa ricerca incentrata sulla figura di Bernardo di Baden.

2 Per meglio farvi “gustare” la tessitura di elogi del nostro auto-re, ho sottolineato tutte le volte in cui nel testo comparivano riferi-menti a personaggi famosi o membri di Casa Savoia.

3 L’elenco dei nomi è a disposizione di chiunque voglia cimen-tarsi su una ricerca dei vecchi cognomi della Città di Moncalieri edelle zone limitrofe.

Le fotografie sono di Angelo Nora.

Il Santo Guerriero: particolare

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L’iniziativa in corso alla ex Pagliero è l’eventopiù concreto, ma un po’ in tutti gli ambienti co-mincia a maturare l’idea di guardare al passato noncome una cosa da conservare come ricordo, ma davalorizzare come risorsa per progettare il futuro.

In ogni settore, chi può esibire una lunga e con-solidata tradizione la valorizza, la tutela, la usacome testimonianza di antichi saperi che dannovalore aggiunto a quelli attuali.

Chi di noi non ha ceduto al desiderio di com-prare un vetro di Murano, una ceramica diCapodimonte magari da quattro lire, pardon euro?L’abbiamo comprata perché più che l’oggetto, ab-biamo acquistato una tradizione, un pezzo di sto-ria.

In questi casi la tradizione è la base che regge ealimenta l’attualità e garantisce il futuro.

Tornando a paragoni più modesti e alla nostradimensione, possiamo affermare che vi sono città,paesi, territori, che non avendo storia hanno do-vuto inventarsela o enfatizzarla a dismisura.

Recuperare la tradizioneper progettare il futuro

EMILIO CHAMPAGNE

Noi questa storia, questa tradizione l’abbiamo,ma abbiamo fatto poco, troppo poco per una cittàche ha l’ambizione di fregiarsi del titolo di “Cittàdella ceramica”. Abbiamo distrutto le fabbriche,atterrato ciminiere, disperso prodotti e saperi.

Attualmente non siamo neppure in grado didocumentarla in maniera organica la nostra tradi-zione.

Dalle nostre fabbriche sono usciti manufatti chehanno avuto vari impieghi dall’abbellimento e ri-scaldamento delle Regge e dimore principesche,al rivestimento delle grandi caldaie dei traslatlanticie delle navi della marina militare turca, tanto percitare una curiosità.

I laboratori artigiani e artistici hanno creato unainnumerevole serie di prodotti, dei quali abbiamoperso memoria: dagli oggetti più umili di uso quo-tidiano a quelli artistici che impreziosiscono lecollezioni private.

Oggi noi non conosciamo nemmeno quanti tipidi prodotti ed oggetti la fantasia creativa dei nostriterraglieri abbiano saputo ricavare da quella sem-plice terra rossa con la quale sono formate le no-stre colline.

Non bisogna poi dimenticare le migliaia di la-voratori che negli stabilimenti hanno lavorato du-ramente, anche a rischio della loro salute (la silicosiera una malattia endemica da queste parti, certefabbriche hanno prodotto più silicotici che pensio-nati); operai che hanno lavorato in un periodo sto-rico, nel quale la competitività non era basata sul-lo sviluppo tecnologico, bensì sull’abilità e resi-stenza fisica dei lavoratori, che nonostante le fati-che e privazioni hanno dato vita ad un movimento

In questi anni difficili per la ce-ramica castellamontese, nei qualianche l’ormai istituzionalizzataMostra della Ceramica rischia diarenarsi nelle secche del grandemare dell’indifferenza si torna aparlare di recupero della tradizio-ne

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cooperativo e rivendicativo che ha fatto storia.Basti ricordare la fondazione della Società Ope-

raia nel 1849, la seconda in Italia; i molti edificiche ancora attualmente ospitano le società operaiee di mutuo soccorso; la fondazione di Banca e Te-atro a carattere sociale; le lotte operaie di inizio‘900, con le quali i terraglieri di Castellamonte,furono tra i primi a conquistare le 8 ore lavorative.

I lavoratori, gli imprenditori, gli artigiani, gli

artisti, verso di loro abbiamo tutti un debito di ri-conoscenza. Grazie alla loro opera, al loro inge-gno, al loro sacrificio Castellamonte è cresciuta e iriverberi positivi della tradizione di quell’epoca lidobbiamo conservare e valorizzare affinchè abbia-no benefici effetti sulle attività del presente.

Se in 44 anni di Mostre della Ceramica si fosseimpiegato nella valorizzazione della tradizione,anche in minima percentuale, il consistente flusso

Ingresso dell’ex Fabbrica Pagliero(foto arch. Emilio Champagne)

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di finanziamenti arrivati, oggi avremmo un patri-monio storico notevole da esibire.

Invece, se analizziamo con l’occhio dello stori-co i 44 anni di Mostre vediamo che la maggior partedelle sostanze è andata in allestimenti e cose varie.Della spesa ceramica ben poco rimane e corriamoanche il rischio di veder appannato il nome dellaceramica di Castellamonte costruito un po’ su basiartificiose, ma comunque faticosamente conquista-to.

Lo so, è facile elencare le occasioni perse, enon è questo il discorso che mi interessa, bisognaguardare al futuro, ma costruirlo su basi solide,vere, autentiche, che rispettino e valorizzino le tra-dizioni del territorio.

Molto si può ancora fare. Una nota positiva èche vi sono uomini che grazie alla loro sensibilitàhanno saputo conservare molti documenti o im-magini o oggetti che altrimenti sarebbero andatiirrimediabilmente perduti. Uno di questi è GinoGiorda che con il suo appassionato lavoro di sto-rico e senza aiuti particolari ha saputo creare una

personale raccolta di documentazione a cui tuttiricorrono: “istituzioni “ e “addetti ai lavori” com-presi, salvo poi magari dimenticarsene il giornodopo.

Ma anche tanti altri cittadini, hanno conservatogelosamente nelle loro case gli oggetti creati aCastellamonte e ci si stupisce della quantità e va-rietà.

Certo è oggi un patrimonio disperso e non frui-bile collettivamente, ma sarebbe un primo passocon la disponibilità degli interessati, la creazionedi un archivio con apposite schede descrittive efotografiche, in modo da avere una catalogazioneproduttiva e artistica che da una parte crei mate-riale di studio utile alla salvaguardia della tradi-zione (senza considerare la possibilità di crearedelle esposizioni) e dall’altra fornisca spunti e op-portunità agli artigiani del settore.

Sicuramente non è semplice nè tanto menorealizzabile in breve tempo. Ma dopo tanto tempoperduto bisognerà pur cominciare!

Vi è poi la grande opportunità del restauro del-

Ex Fabbrica Pagliero:cortile interno, particolare del porticato(foto arch. Emilio Champagne)

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l’ex stabilimento ceramico Pagliero.Questa iniziativa, che si è finalmente

concretizzata dopo anni di discussioni e di proget-ti non andati in porto, sembra adesso avviata nelladirezione giusta del recupero e valorizzazione del-la tradizione ceramica.

I lavori fin qui svolti, sono stati di carattereconservativo, e rispettosi della peculiarità dell’edi-ficio e sembra che il progetto continui con questeprerogative fino al completo recupero della strut-tura.

Questo è molto importante e se ciò avverrà saràsicuramente un bene per tutti.

Io non conosco i dettagli del progetto, nè tantomeno gli intendimenti della proprietà, ma vogliofare una riflessione estemporanea su come ne ve-drei l’utilizzo e come mi auguro venga portata atermine l’iniziativa.

La cosa principale è che vengano rispettate lepeculiarità del luogo: vi è una parte produttiva,quasi intatta con ruota a pale per l’energia idrauli-ca, macchinari, forni e attrezzi vari.

Questi luoghi si prestano ottimamente per l’al-lestimento di un percorso didattico museale, cheillustri l’attività produttiva e ricrei l’atmosfera del-l’antica fabbrica.

Interessante sarebbe anche affiancare al percor-so didattico un luogo dove siano ospitati i prodottidella fabbrica e non solo della Pagliero, ma dellaceramica antica di Castellamonte in modo che ilvisitatore oltre alle tecniche produttive abbiaun’idea di ciò che la tradizione ceramica ha pro-dotto a Castellamonte. Poi, attività di ricerca e do-cumentazione, didattica e cultura.

Attorno a questo nucleo le attività artigianaliattuali, ambienti produttivi, espositivi e di vendi-ta.

La fabbrica dovrebbe diventare un monumentoalla ceramica, ma anche al lavoro dell’uomo.

Questa parte museale o della tradizione, unitaal fascino del luogo e alle bellezze dell’architettu-ra dovrebbe essere un punto di forza, l’idea trai-nante che permetta di attrarre visitatori.

Per convincere le persone a venire aCastellamonte in tutti i periodi dell’anno, bisognaoffrire qualcosa di concreto “da vedere” qualcosache sia apprezzato dal visitatore medio, senza lanecessità di essere un esperto, ma interessi gli stu-denti come il pensionato, l’amante della ceramicacome il semplice turista domenicale.

La ex Pagliero ha queste potenzialità e altreancora. Per sfruttarle appieno bisognerà vederequali intenzioni ha la proprietà, perché in ultimaanalisi ad essa compete la decisione, però anche ilComune e le istituzioni in genere possono avereun ruolo importante.

E’ necessario però, che si crei un clima di col-laborazione, di fiducia che tutti i soggetti interes-sati individuino un obbiettivo comune e lavorinoper la sua realizzazione.

Soc. An. Ceramica Castellamonte, ex Sacer

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Se si vuole salvare quel che resta della tradi-zione ceramica occorre l’impegno di tutti, in primisdi chi ha o è in grado di trovare i capitali necessarie poi esperti del settore, studiosi, appassionati, cit-tadini.

Durante una visita alla ex Pagliero, in occasio-ne della mostra dell’Associazione Ceramisti, unanziano operaio che ha lavorato 40 anni nel setto-re, mi indicava i mattoni delle volte e in base alcolore, ai grani di quarzo presenti nell’impasto mielencava le cave dalle quali veniva l’argilla servitaper la costruzione.

Ecco, anche quell’operaio può portare un con-tributo importante.

Sabato 4 settembre 2004 la ex Pagliero ha ospi-tato la mostra dell’Associazione Artisti della Ce-ramica. Il taglio del nastro inaugurale rappresentaper l’ex Pagliero l’inizio di un nuovo ciclo di vita,non il compimento dell’opera.

Il nastro tagliato, deve essere il nastro di par-tenza per un progetto, nel quale abbia parte predo-minante il recupero della tradizione. Se sarà così,tutti dobbiamo augurarci che vada a compimentonell’interesse della ceramica e di Castellamonte.

In basso, Soc. An Ceramica: campionario

Soc. An. Ceramica, costruzione forno a tunnel

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Con ogni probabilità la ricorderebbe perché, no-nostante sia una delle più antiche, è una delle po-che ancora in piedi, oppure perché almeno uncastellamontese su due aveva qualche parente oconoscente che vi lavorava o più semplicementeperché Pagliero è stato sinonimo di stufe diCastellamonte e tale nome, oltre ad indicare un pro-dotto, distingueva una dinastia di imprenditori ca-ratterizzata da una straordinaria lungimiranza emodernità di mercato.

La manifattura venne fondata nel 1814 da En-rico Pagliero in regione Morlino a Spineto.

La decisione di realizzare una grande strutturasegnava la fine di una mentalità artigianale che ave-va permeato tutto il ‘700 e indicava l’avvento diuna nuova era figlia di quella rivoluzione industria-le che nell’800 portò allo sviluppo della automa-zione e della produzione di massa.

Ciò nonostante i prodotti Pagliero, anche se re-alizzati a livello industriale, associavano alle ca-ratteristiche di praticità e quotidianità (peculiari del‘700) un elevato gusto estetico ed artistico che sirifletteva sia nei manufatti più comuni che nei pezzipiù pregiati.

Lo stabilimentoPagliero

MAURIZIO BERTODATTO

Si può dire, infatti, che Enrico Pagliero fu ilprimo ceramista castellamontese a capire la neces-sità di dover abbandonare quelle forme rozze equotidiane, che avevano caratterizzato le cerami-che del nostro paese sino ad allora, ricercando in-vece un elevato grado di raffinatezza artistica inqualunque oggetto venisse prodotto.

Così lo stesso Bertolotti, ricordando EnricoPagliero, asseriva: “..Il signor Enrico Pagliero,intelligente artista, si può affermare che fu poiquegli che ingentilì tale industria rendendola piùadatta e utile.”

Lo stabilimento di Spineto si presentava comeun enorme caseggiato a pianta quadrata con un latoadiacente ad un corso d’acqua che, a partire dal1854, veniva impiegato per far muovere una ruotaidraulica, la cui forza motrice azionava le macineper l’argilla, i molini a tamburo usati per triturarele vernici, una trafila per tubi ed un montacarichi.

Nel 1880 la ditta “Enrico Pagliero” contavacirca trenta operai.

Nel 1830, adiacente alla fabbrica, venne realiz-zata l’abitazione privata dei Pagliero: una magni-fica villa con parco, abbellita da decori in terra rossae ceramiche policrome tanto notevoli da far com-parire l’edificio su una cartolina dell’epoca.

Assieme alla ditta “Buscaglione”, i Paglierovantavano la produzione più completa e varia. Sinoai primi del novecento produssero principalmenteprodotti per fumisteria (stufe, franklini, caminetti,comignoli, colonne fumarie) stoviglie per cucina,limbici, statue, fregi architettonici ,ornati per giar-dini ,vasi, mattoni refrattari e prodotti in grès, tubi,sifoni, vaschette e prodotti per la chimica.

Se si domandasse a qualcheanziano castellamontese di ricorda-re una delle tante fabbriche cera-miche che hanno reso glorioso ilnome della nostra città, senza dub-bio citerebbe la ditta Pagliero

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Dopo il 1907 circa la produzione venneimprontata quasi esclusivamente sui prodotti perfumisteria, campo nel quale primeggiò a livellonazionale e internazionale.

Alla morte di Enrico Pagliero l’azienda venneereditata da suo figlio Michele, che ne cambiò ladenominazione sociale in ditta “Pagliero Michelefu Enrico”, marchio ripetuto nei manifesti dell’epo-ca con il quale si fregiarono alcune tra le più bellestufe castellamontesi.

Le stufe Pagliero coprivano un’intera nicchiadi mercato partendo dai modelli più semplici edeconomici in cotto naturale sino alle stufe tipo lus-so, finemente decorate e maiolicate con i tipicicolori caramello,verde o bianco, e con finiture inottone. Il loro prezzo di vendita andava dalle cin-que alle cinquantasette lire a seconda del modello.Anche i caminetti erano divisi in modelli econo-mici e modelli lusso con prezzi che andavano dal-le sette alle sedici lire per le versioni più semplicie dalle tredici alle trenta lire per quelle piùprestigiose (i prezzi si riferiscono ai primi anni delnovecento). Intorno al 1915 i prezzi verranno qua-

si raddoppiati causa il conflitto bellico e lo scar-seggiare delle risorse.

Nella prima metà del XX secolo alla produzio-ne di caloriferi classici si affianca quella dicaloriferi elettrici per i quali la ditta fornisce sol-tanto il rivestimento ceramico e non la parte elet-trica.

Michele ebbe due figli, Romualdo e Terenzio.Sarà quest’ultimo a succedere al padre ed a conti-nuarne l’attività imprenditoriale.

Nel 1905 la denominazione sociale della dittavenne convertita in “Fratelli Pagliero e Compa-gnia” con l’ingresso dell’ing. Magnaldi e dell’ing.Bonelli come soci partecipanti alla gestione delladitta e con responsabilità illimitata. Il valore dellostabilimento era stimato in lire quindicimila.

Tra il 1906 e il 1909 la ditta aveva rapporti com-merciali con diverse città italiane tra cui Torino,Genova, Vicenza, Venezia, Aosta, Firenze, Napolinonché con la Svizzera.

Tra i maggiori clienti della ditta Pagliero van-no ricordati la Farmacia Militare di Torino, il Ge-nio Militare Italiano, l’Impresa di Navigazione

Carta intestata della DittaPagliero Michele fu Enrico

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Lago Maggiore e lago di Garda, la Ditta E. Bredadi Milano e le Ferrovie dello Stato.

Il nome sociale venne poi ulteriormente trasfor-mato in “Industria Piemontese del Grès ing.Bonelli– Pagliero e C.”, tuttavia le locandine pubblicita-rie rimasero sempre quelle intestate “ PaglieroMichele fu Enrico”.

Nel 1912 troviamo Terenzio Pagliero come azio-nista dell’ A.R.S. (Anonima Refrattari e Stoviglie)e nel 1914 risulta anche essere titolare di un pro-prio stabilimento ceramico denominato “Stabili-mento Ceramico Pagliero Terenzio & R.” semprein frazione Spineto. La ditta aveva cave di sua pro-prietà in regione Vadrimes a Onghiano nonché idiritti di escavazione di quelle situate in regioneMariano e Craversa. Più avanti acquisì cave anchein regione Chiria, Benasso e Vivario.

Nel 1922 la ditta Pagliero impiegava quarantottooperai stabili e dieci operai provvisori.

Nel 1924 il numero passò a sessantadue operai,

La villa dei Pagliero, adiacente allo stabilimento,in una cartolina d’epoca

che lavoravano otto ore giornaliere (lo stipendiomedio giornaliero variava dalle 18 alle 20 lire pergli operai specializzati e tra le 10 e le 17 per i ma-novali).

Mediamente in un anno venivano lavorati19.600 quintali di argilla, 180 di quarzo e due quin-tali di biossido di manganese (impiegato per i ca-ratteristici smalti color caramello).

Nel 1938 lo stabilimento si dotava di un moto-re idraulico da dieci Cavalli e dieci motori elettricicon una potenza complessiva di sessanta CV.

Da Terenzio Pagliero il timone dell’aziendapassò nelle mani del figlio Michele (dettoMicheluccio) che guiderà la ditta sino alla chiusu-ra avvenuta nel 1958.

Il declino aziendale incominciò verso la metàdegli anni quaranta causato principalmente dallacrisi finanziaria dovute alla guerra e allo scarseg-giare di manodopera specializzata che nel periodopost-bellico venne attratta dalle nuove industrie re-

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gionali (FIAT e Olivetti) garanti di un sicuro sti-pendio e di un posto di lavoro più stabile. Inoltrel’ingresso sul mercato di materiali quali prodottiin alluminio, ghisa e plastica che sostituirono imanufatti di argilla di uso comune e determinaro-no il definitivo collasso delle imprese ceramiche.

Nel 1964 morì Michele e nel 1966 il padreTerenzio. Con loro finì la dinastia imprenditorialedei Pagliero. L‘impianto venne affittato, con il mar-chio e i modelli originali ad alcuni imprenditorilocali con denominazione “Ceramiche PaglieroMichele” di Camerlo rag. Leo & F.lli sino ad esse-re poi quasi abbandonato a fine secolo.

Ora, grazie all’acquisto dello stabile da partedel sig. Daniele Chechi e alla sua ristrutturazione,è possibile riammirare un luogo dll’illustre passa-to e immergersi in un sito in cui il tempo sembraessersi fermato ai primi del ‘900.

A conclusione di queste poche righe mi parecomunque doveroso ricordare tutti quegli operai

Stufa Ardor n. 0(prodotta dalla ditta Pagliero)

Dim. 80x37x32Capacità di riscaldamento mc. 90-110

Stufa Ardor n. 2 con forno di cottura(prodotta dalla ditta Pagliero)Dim. cm. 100x48x39Capacità di riscaldamento mc. 200-250

(modellatori, stampisti, decoratori, etc.) che han-no reso famosa la ditta Pagliero, il cui silenziosolavoro sembra echeggiare ancora oggi tra le muradello stabilimento.

I loro nomi sono oramai caduti neldimenticatoio. Appaiono saltuariamente sotto for-ma di iniziali incise sulle madreforme o sotto i tas-selli di vecchi stampi, oppure riaffiorano in qual-che pezzo rotto dell’epoca, segretamente custoditinel suo interno, ci ricordano il loro passaggio dianonimi e semplici operai, che tali rimasero tran-ne in rare e fortunate eccezioni .

Bibliografia

Archivio privato.Cocci di Informazione - Associazione Artisti della Cera-

mica in CastellamonteL’industria della ceramica di Castellamonte fra ‘800 e

‘900 - G. Antoniono.Catalogo della Ditta.

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Tornandoalla fornace

ROBERTO CASTELLANO

Nacque così, da un momento di entusiasmo eda pura follia, l’idea di realizzare una mostra dellaAssociazione degli artisti della ceramica.

Credo ci sia voluta molta incoscienza nel pen-sare che, in un mese di tempo, si potesse organiz-zare, gestire e allestire una mostra di livello, so-prattutto considerando che nel mese di agosto tuttipensano alle proprie ferie, tranne gli ardimentosiceramisti che si sono votati a questo progetto dallemille incognite, e oltre al problema del reperire imateriali, dovevano fare i conti con il limitatissi-mo budget che l’Associazione aveva a disposizio-ne.

Due erano gli obiettivi che ci prefissavamo: lamostra doveva rappresentare l’Associazione comel’insieme delle proposte dei soci dove l’artista dilivello fosse allo stesso piano del giovane alle pri-

me esperienze. Cìò che doveva scaturire era il con-cetto stesso di Associazione di persone che utiliz-zano l’argilla come mezzo espressivo. Il risultatoè un complesso di personalità, di stili e tecnicheeterogenei che però contraddistinguono la molte-plicità della produzione ceramica ponendo la di-versità come un valore e il confronto come unostimolo alla ricerca e all’innovazione.

Il secondo si esplica nel titolo scelto per questamanifestazione: “TORNANDO ALLA FORNA-CE” ha un valore fortemente evocativo, il nostrointento era quello di realizzare un collegamentotra la mostra e il luogo, l’invito è quello diriappropriarsi del luogo che nel passato apparte-neva alla vita di tanti castellamontesi che qui lavo-ravano e che oggi possono ritornare per farlo rivi-vere anche in altre forme. Da qui l’idea di coinvol-gere il maggior numero di associazioni, enti e pri-vati che volessero intervenire e proporre progettiper fare nascere un centro di aggregazione socio-culturale.

Ad un mese ormai dall’apertura possiamo direcon estrema soddisfazione che entrambi gliobbiettivi sono stati raggiunti, malgrado la scarsapromozione che si è potuta fare per ragioni econo-miche, l’affluenza di pubblico è costante e interes-sata, nel libro delle presenze le note di apprezza-mento sono tantissime sia per l’opera diristrutturazione che per la mostra, tutto ciò ci gra-tifica e ci conferma che non ci sbagliavamo quan-do pensavamo che in fondo questo luogo può di-ventare il cuore della nostra città.

La prima volta che feci ilsopraluogo nei locali ristrutturatidella ex ceramiche Pagliero insiemeal titolare dello stabilimento Danie-le Chechi, rimasi impressionato dal-la bellezza del luogo e immediata-mente pensammo che per l’inaugu-razione del sito ristrutturato si do-veva fare qualcosa di importante

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Michelangelo Rolando,l’uomo e l’artista

GINO PERETTO

Alto di statura, capo eretto, pizzo biondo-rossiccio, seduto negli angoli più caratteristici del-la nostra contrada per ritrarne sulla tela gli aspet-ti, oppure con la chitarra a tracolla, o ancora in-tento a modellare la creta di Filia, cosi lo ricor-dano molti castellamontesi, ma per chi gli fu vici-no Michelangelo Rolando fu qualcosa di più di unqualsiasi personaggio caratteristico del1a nostracittadina.

Poiché ogni uomo è costantemente preoccupa-to per i problemi quotidiani della vita, sovente non

si accorge di chi gli è vicino, spesso pecca di tra-scuratezza verso un amico, anche se questo possaessere un artista di indubbio valore. A cinquant’annidalla sua scomparsa la rievocazione del1a sua fi-gura fatta da un amico e da un confidente anche sepiù giovane di anni, non vuole essere una biogra-fia, né una valutazione critica dell’artista, ma sola-mente un ricordo affettuoso per chi ha lasciato die-tro di sé un tangibile segno in coloro che gli furo-no particolarmente vicini.

Fu scultore e pittore di indubbio talento e dispiccata personalità, con una estrosità senza pari,propria, solo agli uomini di genio. Egli fu semprerestio a cercare la pubblicità, a scendere a compro-messi, a mendicare grazie e compiacimenti da par-te dei critici.

Amava come pochi la nostra Castellamonte equi, fin da ragazzo si appassionò alla modellazioneartistica della nostra argilla e poi alla pittura e atutte quelle forme che l’arte sa esprimere; pochisanno che, sempre come autodidatta, studiò il fran-cese, lo spagnolo e il tedesco, che sapeva parlarein modo soddisfacente. Chi lo stimò come artista esoprattutto come uomo, ancora oggi prova un sen-so di smarrimento, di angoscia al pensiero dellasua scomparsa tragica e repentina.

Egli amava i giovani che con umiltà apprezza-vano la sua maestria e questo amore lo dimostravasoltanto nel chiamarli “allievi ”; il resto poi eratutto intuitivo e sottinteso, perché non era affattoavvezzò a perdersi in parole inutili, pur semprepronto però in qualsiasi occasione a impartire unalezione, a dimostrazione di quale profondo osser-vatore della natura egli fosse, poiché in ogni occa-

Nel cinquantesimo anniversariodalla morte, “Terra Mia” ricorda lafigura dell’artista castellamontese,riproponendo l’articolo di GinoPeretto che tratteggia l’uomo e quel-lo del prof. Aldo Moretto che descri-ve la sua arte, apparsi sul giornaledella “Pro-Loco” nel 1974.

Inoltre è in corso uno studio daparte di Romolo Scavini e EmilioChampagne, sul carteggio intercor-so tra Michelangelo Rolando e l’ami-co fotografo e pubblicista CelesteFerdinando Scavini di Rivarolo

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sione sapeva trovare il nesso fra le cose più umili etrascurate e con immediatezza le elevava intrasposizioni poetiche e in creazioni artistiche.

Fu apprezzato modellista presso le industrielocali della ceramica quando queste mandavanoancora qualche bagliore di una gloriosa tradizio-ne. Il suo talento maggiore come del resto egli sicompiaceva di confermare, si manifestava nellesculture; nel modellare magistralmente la creta egliesternava l’amore per la nostra terra.

Nacquero così bozzetti, figure, e caricature dipersone e cose; amo ricordare tra i suoi capolavoridi carattere ceramistico il “Monello del Chiusella”e quello che viene considerato comunemente il suocapolavoro e cioè “ La mummia peruviana ”; mol-to riuscito è pure un suo autoritratto in terracotta.

Tranne qualche rara eccezione, la sua vena ar-tistica si tenne legata al paesaggio del Canavese,che segnava i confini del suo ambito di lavoro.

Notoriamente sprezzante del denaro, attorno acui l’umanità ha sempre eretto altari, si acconten-tava di quel tanto che fosse necessario per far frontealle necessità della vita, sempre pronto più a dareche a ricevere: in questo modo le su opere veniva-no cedute per pochi soldi, oppure donate con gioiacome se fossero semplici fiori a chi aveva dimo-strato di comprenderle e di apprezzarle.

Amante della musica, suonava anche diversistrumenti; ancora oggi la figlia conserva, tra i ri-cordi più cari delle sue opere, il violino e la chitar-ra, silenziose dal momento in cui le sue mani nonle fecero vibrare per l’ultima volta vent’anni fa.

Egli ebbe pochi amici, la maggioranza dei qua-li giovani come me, i quali non ebbero la forzamorale di farlo desistere da quel proposito matura-to e sovente dichiarato di porre la parola fine allasua esistenza; non le nostre esortazioni, non l’ospi-talità sincera di molti di noi, tra i quali ricordo ilconcittadino Virgilio Torizzano, valsero a disto-glierlo dai suoi disperati propositi.

Egli fu anche amico e ammiratore dello scritto-re Michelangelo Giorda, presso la casa del qualesi recava spesso in vetta alla Crosa. A questa ami-

cizia si deve se “La storia di Castellamonte” delGiorda per insistenza dello stesso Rolando e perl’interessamento di un altro grande amico CarloTrabucco, fu data alle stampe, vincendo le rilut-tanze dell’Autore e presentata, a cura della “Pro-Loco”, in concomitanza con l’inaugurazione dellapersonale artistica del Rolando, presso la vecchiapalestra comunale di piazza della Repubblica.

Amo ricordare di allora il discorso inauguraledell’avv.Trabucco, il quale commentava arguta-mente come Castellamonte avesse la fortuna diavere non uno, ma due “Michelangeli”.

L’appendice del volume del Giorda riporta ivocaboli più comuni del gergo furbesco dei mura-tori castellamontesi, risalente al 1700-1800 e co-stituente il cosidetto “patel”: le ricerche dello stu-dioso furono agevolate dall’opera del Rolando, ilquale sovente, si esprimeva in tale, per molti in-comprensibile, linguaggio.

Michelangelo Rolando ritrattodal fotografo rivarolese C. F. Scavini

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Le opere del Rolando esposte pubblicamenteper la prima volta a Castellamonte nella mostraorganizzata dalla Pro Loco nel 1953, ottennero ilpiù lusinghiero successo di critica e di vendita,confermando così la validità artistica ormai affer-mata. Unitamente alle sculture di alto livello, lasua pittura confermava nelle tinte di una tavolozzamorbida e dolce, la tenace forza di un maturo sta-to d’animo con la rappresentazione di alberi seco-lari e casolari modesti, disperatamente aggrappatialla nostra terra.

Altro amico caro del Rolando fu lo scrittore Ce-leste Ferdinando Scavini di Rivarolo, il quale, visi-tava spesso la casa dell’artista a Castellamonte nelvicolo Gregorio del rione San Grato.

L’unica volta che il Rolando lasciòCastellamonte fu nel 1953, in seguito ad una pro-posta; egli emigrò a Marsiglia dove lavorò pressole “Ceramiques artistiques ”, ma il richiamo e lesperanze sempre deluse della sua terra lo riporta-rono presto tra di noi.

Egli parlava spesso con i giovani della morte,

la quale, come accadde per Socrate, avrebbe do-vuto venire al momento opportuno. A nulla valse-ro le parole di coloro che lo stimavano e che cerca-vano di dissuaderlo dall’insano proposito; ancoraalla vigilia della sua dipartita era stato con essi allacasa Glarey per un incontro coi pennelli e nulladava a presagire che la data fissata fosse tanto vi-cina.

Egli forse conobbe la grandezza di una esalta-zione artistica che non è percepibile al volgo ilquale la scambia per stranezza, ma come tutti, ebbemomenti che sfociano in sfiducia e scoraggiamen-to e, per qualcuno più sensibile, nella tragedia.

Perché giunse a tanto? Ogni indagine sarebbearbitrio; forse la colpa fu dei tempi, non maturi peraccogliere il suo pensiero di uomo veramente libe-ro; forse la causa fu l’indifferenza del prossimo inun mondo che non lo capiva.

Certamente la sua indole libera e a volte ribellea tutto quello che è conformismo precedette il suotempo e quel tempo che ci pare immemorabile vuoldire appena vent’anni fà.

Michelangelo Rolando: busto in terracottaraffigurante l’amico C. F. Scavini

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Il ricordo della figura austera di MichelangeloRolando, sùbito si lega dentro di noi al Canavese.Una fedeltà ai luoghi, nel cambiare delle stagioni:in un orizzonte familiare, conosciuto da sempre.Contatti e discorsi con la gente comune, di prefe-renza quella che lavora la terra: ne derivava unconversare sentenzioso, partecipe dei casi umani,ma spesso triste come l’apologo del cane randagioin una strada solitaria, lunga da percorrere e senzameta, che in lui assumeva una significazione esi-stenziale - occorrerebbe per recuperarne l’infinitatristezza - risentire la sua voce, padrona di unaantica parlata dialettale. Di Lui resta la sua inter-pretazione paesaggistica del Canavese: sofferta oserena, incombente per freddo e neve sporca o di-stesa’ in fioriture e in un verde prativo, silenziosao clamorosa pei colori dell’estate. Ricordo la com-mozione che molti provarono visitando la retro-spettiva a lui dedicata nella Casa della Musica: si

L’arte e lo stile diMichelangelo Rolando

ALDO MORETTO

riconoscevano svolte di sentieri, campagne, grup-pi di case, resi memorabili dal taglio composito,dalla giustezza della luce.

Nei suoi quadri c’è l’aria, c’è il vento. Lui cheamava dipingere all’aperto, libero.

Se dovessi scegliere, proporrei l’immagine dellebetulle: la loro leggera, mossa trepidazione, che sirisolve in chiarore immateriale.

Quelle betulle così frequenti in Canavese, tan-to che il loro incontro è usuale, ma che ora, se vi-ste attraverso la sua pittura, approdano ad una co-gnizione più profonda del paesaggio. E’ stato me-ritorio questo suo impegno di farci capire l’am-biente in cui ci è toccato vivere.

L’uomo ha sempre delle radici: da non rifiu-tare, per non cadere in una condizione estraniata.Con tutto il peso di sofferenze che spesso portanonel loro travaglio, le forme dell’arte riescono a tra-mandare il significato di una continuità.

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Terra Mia Lettera autografa di Michelangelo Rolando scritta inpiemontese indirizzata all’amico C. F. Scavini

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Il giubileo sacerdotale del sociodon Vincenzo Salvetti

MICHELE CANZIO

Il 27 giugno dell’estate scorsa è stato un gior-no particolarmente importante per la Comunità Par-rocchiale di Castellamonte.

Ha segnato il Giubileo d’Oro sacerdotaledell’Arciprete Don Vincenzo Salvetti, che alcunigiorni prima il Sindaco della città gli aveva confe-rito la nomina di “cittadino onorario”. A Lui vatutto il nostro rispetto e affetto per tanti meriti emotivi, non ultimo quello di averlo “consocio” eimportante collaboratore in “Terra Mia”. Ci sem-bra pertanto ovvio, nonché dovuto, riportare l’av-venimento nel nostro Quaderno Numero 2, noncerto per la cronaca, ormai passata da mesi, quan-to per poter ricordare insieme una giornata felice,piena di sentimenti ed emozioni, da quelle intimedel festeggiato a quelle corali dei partecipanti airiti e al pranzo.

Su “Terra Mia”, reso il meritato e dovuto omag-gio al prete, al pastore di anime, vogliamo parlaredi un altro aspetto dell’opera di Don Vincenzo intutti i suoi anni a Castellamonte: il restauro e laconservazione di un numero incredibile di benidella Chiesa, e dei valori che essi rappresentanoper tutti noi che qui viviamo.

Al suo arrivo come Arciprete, oltre vent’annifa, trovò una situazione a dir poco preoccupante:le Mura Antonelliane in stato precario, pericoloseper cadute di pietre e mattoni, specie per il

sottostante accesso pedonale all’oratorio, sulla lorosommità fioritura d’erbe e perfino piccole piante,le cui radici aggravavano il progressivo sgretola-mento causato dagli agenti atmosferici; la stessaChiesa Parrocchiale in stato pietoso, dal tetto congravi problemi alle pareti interne umide e corrose,con colori sbiaditi e ormai coperti da decenni dipolvere, ai numerosi arredi e quadri in bisogno direstauro, come la pregevole Via Crucis nel suocomplesso, gli oggetti sacri e così via, per finirealle vetrate.

Vogliamo aggiungervi la chiesa di San Rocco eil suo tetto già parzialmente crollato, chiusa al cul-to e avviata a divenire rudere, e poi San Grato, lachiesa di Preparetto, Sant’Antonio, e ancora altrecappelle e l’elenco potrebbe continuare...

Un uomo di fronte a tanti problemi dunque, epochi soldi per dirla in modo schietto, e con tutti icompiti del parroco. Per fortuna poteva far affida-mento sulla collaborazione che gli veniva da DonSandro Giovannone che, pur gravato dagli impe-gni in Valle Sacra, riusciva ad affiancarlo in molteincombenze.

Don Vincenzo aveva già fatto un’esperienzasimile nel suo incarico precedente come parrocodi Quagliuzzo, dove da solo e sempre senza soldiera riuscito ad edificare la nuova chiesa, raccoglien-do l’affetto e la gratitudine dei parrocchiani, cheinfatti hanno partecipato numerosi e con doni allafesta del suo Giubileo. Il nostro Arciprete non hamai preteso di saper fare miracoli, però bisognaammettere che ci si è avvicinato molto se solo siconsidera il numero delle sue realizzazioni e il de-naro reperito per il loro compimento!

Il restauro e la conservazione deibeni artistici e architettonici dellachiesa locale

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Ci è riuscito con la perseveranza e la fede, con-vinto della bontà delle sue iniziative, del valoreche rappresentavano per se stesse e per la nostracomunità, e per aver saputo comunicare e convin-cere di questo suo obiettivo quelle Istituzioni,quegli Enti, quelle persone che ne avrebbero per-messo l’effettuazione. Ecco il miracolo.

Ed ora alcuni interessanti dettagli, a futura me-moria.

Il restauro e la messa in sicurezza delle MuraAntonelliane ha certamente rappresentato l’impe-gno più gravoso: circa 3 anni di lavoro con il con-tributo fondamentale della Regione Piemonte (As-sessorato alla Cultura, Ufficio Beni Ambientali) edella Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, equi un grazie speciale va al Dr. Giovando, alloraDirettore Generale della CRT, per il suo appassio-nato supporto.

Il lavoro, per un importo superiore ai 250 milaEuro (mezzo miliardo del vecchio conio) è statoeffettuato su progetto e direzione dell’ArchitettoPalmina Nicola che, per il ripristino dei mattoni si

è avvalsa della tecnica detta “cuci-scuci”, defini-zione che ricorda sarti e ricamatrici.

La sommità è stata abbassata di circa mezzometro tramite “raschiamento” per risanare i danni,poi ricoperta di manto impermeabile, e per finiresi sono riposizionate le pietre a vista per renderedi nuovo l’effetto di “opera incompiuta”.

Vale la pena di ricordare che il tutto è avvenutosenza alcun onere per il Comune, solo con lesponsorizzazioni suddette, fondi propri e altre ge-nerose contribuzioni di privati.

La Chiesa Parrocchiale occupa degnamente ilsecondo posto, in termini di impegno economicoovviamente, su questi temi non c’è classifica. Ri-cordiamo tutti lo stupore al rivederla così bella altermine degli impegnativi lavori, ci eravamo di-menticati ormai di com’era viva, i colori brillanti,le vetrate luminose.

Don Vincenzo Salvetti

Le impalcature all’interno della chiesa durantei lavori di restauro della volta

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E nella chiesa sono nati i “tesoretti”, due perora, piccole ma significative raccolte museali dioggetti, drappi, arredi, quadri. Come dice Don Vin-cenzo, essi rappresentano “La Presenza del Passa-to”, significativo omaggio ai valori che ci trasmet-tono. In collaborazione con il CESMA – Scuola diRestauro, ecco il prezioso ripristino della ViaCrucis, una serie di dipinti e cornici di gran fatturae pregio, e ancora alcuni quadri del ‘700 e ‘800

che arricchiscono il panorama culturale della chie-sa.

Molto bello il recente arricchimento “storico”che si può osservare sulla parete di sinistra, subitodopo la porta di comunicazione con la canonica:una serie di riproduzioni dei disegni originalidell’Antonelli, dalla pianta della chiesa, alle variesezioni e alle soluzioni proposte per la cupola, frut-to delle ricerche del nostro socio Antoniono, e del

Lavori in corso sulle Mura AntonellianeIn basso, una prezioso frontale di altare del’700

Restauri in corso nella cappella di San Bernardo

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recente dono che Terra Mia, per mano del suo Pre-sidente Mascheroni, ha consegnato a Don Vincen-zo durante la cerimonia del Giubileo: l’opera rea-lizzata dall’Architetto Luca Moretto, illustra lapianta originale dell’antica chiesa parrocchialerisalente al 1200, come rilevata al momento delsuo abbattimento per far posto al progettodell’Antonelli.

Ed ecco la serie dedicata alle chiese e cappelledel capoluogo e del circondario. San Rocco meritail primo posto per l’impegno e l’onere richiesto,dato lo stato di deperimento, oggi restituita al cul-to, restaurata anche nelle sue parti esterne, impor-tanti per le terracotte (una, molto pregevole, è sta-ta messa in esposizione in uno dei due “tesoretti”

Sedia lignea da coro databile XVI sec.

citati) che le adornano, risalenti al ‘700, ma nondimentichiamo i lavori significativi per le cappel-le di San Grato e Preparetto e per la chiesa di Sant’Antonio. Ultima fatica di Don Vincenzo, almenoper ora, è il progetto di restauro radicale di SanBernardo, curato in collaborazione con l’Architet-to Palmina Nicola, e presentato la scorsa estate allaFondazione San Paolo per concorrere ai contributiprevisti per queste opere conservative.

Credo che l’opera di Don Vincenzo Salvetti,nell’ottica e per le finalità di Terra Mia, sia statadel massimo rilievo per i valori che trasmette, perl’esempio che dà a noi tutti su quanto si possa farese si ha fede, volontà e convinzione, e con qualirisultati. Grazie Don Vincenzo!

Chiesa di san Rocco:grande vaso in terracotta del ‘700

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Castellamonte, capitaledel metallo duro

GIACOMO MASCHERONI

Premessa

Ho nutrito per molto tempo l’intimo deside-rio di raccontare le vicende della Società Adamasdi Castellamonte, azienda innovatrice rispettoalle tradizionali attività industriali locali (refrat-tari, concerie e lanificio, tutte scomparse) e so-prattutto di elevato contenuto tecnologico e dinotevole valore aggiunto della sua produzione:il “metallo duro”, commercializzato come Vidia,utilizzato nei più disparati settori, che richie-devano una elevata resistenza all’usura, ma so-prattutto nelle lavorazioni meccaniche ditornitura, fresatura…

La pubblicazione di questo secondo numerodei “Quaderni” di Terra Mia mi ha indotto adabbreviare i tempi della ricerca. Sono stato for-tunato. Ho subito trovato l’articolo di Carlo

Demarchi, che aveva trattato da par suo l’ar-gomento in questione sul periodico parrocchia-le “Castellamonte, Oggi” nell’edizione natali-zia del 1987.

Poi, parlandone casualmente con PaoloTarella, ho trovato una “miniera” di documen-ti grazie a sua moglie Piera, che ha sempre man-tenuto buoni rapporti con la prof. FiorenzaLuotto e la sorella prof. Paola, pronipoti del fon-datore dell’Adamas. I suoi zii, Giuseppe eMariuccia Siletto, infatti, frequentarono peranni l’abitazione dell’ing. Brezzi e del nipotePaolo Luotto, suo erede, essendo, rispettivamen-te, giardiniere e domestica di fiducia.

La signora FiorenzaLuotto, che abita aRoma, ha apprezzato l’iniziativa ed ha raccol-to, tra i tanti documenti in suo possesso, quelliche ha ritenuti più significativi e inediti da rac-contare, sul “Quaderno”, ed inerenti allaeclettica ed intensa attività professionale dellozio Giuseppe Brezzi, che, ormai, pochicastellamontesi ricordano.

Ho riassunto detta documentazione intrec-ciandola con il saggio di Carlo Demarchi. Altri,si è invece assunto l’onere di riportare alla me-moria la vicenda eroica del tenente pilota An-drea Brezzi, figlio unico del fondatoredell’Adamas. (g.m)

La storia dell’Adamas e del suofondatore Giuseppe Brezzi.

Dallo “storico” VIDIA agli avan-zati Sinterizzati Ceramici dellaSINTERLOY SpA e dellaWOLFRAMCARB SpA

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Biografia dell’Ing. Giuseppe BrezziL’ing. Giuseppe Brezzi era nato in Alessandria

il 2 Aprile 1878, figlio dell’avv. Andrea Brezzi edi Clementina Pernigotti. Laureatosi in ingegneriamineraria all’Università di Torino nel 1903, si di-stinse subito nell’ambito delle numerose esperien-ze professionali che lo videro protagonista con in-carichi direzionali. Fu direttore di reparto nelle mi-niere di piombo argentifero del bacinodell’Iglesiente (Sardegna), passando quindi a diri-gere la miniera di rame di Ollomont (Aosta) ed inseguito la direzione tecnica della ditta GiuseppeBorsalino e F.llo di Alessandria.

Nel 1910 fu assunto dalla società “Gio. Ansaldoe C”, proprio negli anni in cui la ditta, di cui eranoproprietari i Fratelli Pio e Mario Perrone, indiriz-zò gli investimenti in modo massiccio nel settoreminerario, che culminarono nel 1915 con l’acqui-sto della miniera di “ magnetite” di Cogne in Valled’Aosta.

Nel 1915 fu tra i fondatori della gloriosa socie-tà sportiva Alessandria U. S. Nello stesso anno,allo scoppio del primo conflitto mondiale, Brezzi,pur essendo riformato per una grave frattura al brac-cio, si arruolò volontario nell’aviazione quale os-servatore ed ispettore di squadriglia compiendovarie e pericolose azioni di guerra. Ebbe così mododi accumulare una vasta esperienza tecnica anchenel campo aeronautico. L’ing. Brezzi ebbe altresìil merito di intuire l’enorme portata che avrebbeassunto “l’arma d’Aviazione” ed egualmente qua-li fossero le innovazioni tecniche da apportare ur-gentemente ai velivoli allora in uso al fine di mi-gliorare la loro potenza.

“La guerra, si legge sulla Stampa Sportiva deL’Illustrazione d’Italia del tempo, lo aveva desti-nato alla direzione tecnica dell’aviazione militaree lo collocò fra il primissimo nucleo di ufficialitecnici che provvidero alla riorganizzazione del-l’aviazione del tempo. Chi non ha vissuto i primitempi della nostra aviazione, non può neppure im-maginare con quale fervore e volontà questo pri-mo nucleo di ufficiali dette iniziò all’attività. Essi

avviarono le prime fucine mentre sorgevano i ca-pannoni, si costruivano nuovi motori e si allesti-vano le prime linee di montaggio. (…). Erano lelunghe veglie ai banchi di prova, le ricerche e leprove di laboratorio ed a tavolino, ma anche le lot-te strenue contro la mancanza dei materiali, controla diffidenza verso quello che sembrava un sognoseppur radioso….Pochi ressero a quella tensionetanto snervante, molti cedettero allo sconforto. Nonfu così per Brezzi che, tra le altre grandibenemerenze, gli valse come titolo d’onore quellodi aver sempre tenacemente creduto e meritò iltrionfo della nuova aviazione italiana”.

I fratelli Perrone compresero la volontà ferreae l’attivismo dell’uomo e gli fu dato di tradurre inatto il sogno troppo a lungo accarezzato.

Nel dicembre 1916 gli fu affidata la costruzio-ne dell’impianto dei nuovi cantieri aeronauticiAnsaldo di Genova. In pochi mesi realizzò il can-tiere di Cornigliano e nel ’17 quello di Borzoli mare(Ge) per la produzione in serie dello S.V.A.

Si trattava di un velivolo da combattimento co-struito antecedentemente dai tecnici dell’Aviazio-

L’ing. Brezzi

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ne militare, gli ufficiali Savoia e Verduzzo, che lochiamarono con le loro iniziali. In seguito il grup-po facente capo all’’ing. Brezzi lo trasformò radi-calmente. Nel 1919 l’Aeronautica Ansaldo si tra-sferì a Torino nei cantieri Pomilio e, in seguito,presso il nuovo stabilimento, dotato di un campodi volo, in C.so Peschiera. L’ing. Brezzi ebbe al-tresì il merito di aver voluto con se Mario Stoppani,come collaboratore e metteur au point, vivendo conquesti le più belle lotte nelle prove rischiose dicollaudo, nelle manifestazioni sportive e, primaancora, nelle ricognizioni di guerra. Intanto nellefabbriche Ansaldo Aeronautica proseguiva la pro-duzione di aeroplani sempre più sofisticati che,dopo il conflitto mondiale, erano in buona partedestinati all’esportazione.

Brezzi concepì anche l’apparecchio “A” da cac-cia di grande maneggevolezza, che i piloti chia-marono “Balilla” In seguito ideò l’A 5, con il qua-le Stoppani compì il volo Torino-Madrid-Genova-Roma e,successivamente, l’A 300 con motore FiatA 12. Con esso furono trasvolate le capitali d’Eu-ropa (29 Settembre 1919). Con la crescente costru-zione di aerei, si formò anche un sempre più nutri-to gruppo di piloti di grande ardimento quali Nata-le Palli, Orsini, Palma di Cesnola, Locatelli,Masprono e Ferrarini (per citarne alcuni) che com-pirono azioni di guerra passate alla storia, al paridi lunghi raids con o senza scalo, divenuti famosiin tutto il mondo. Il Gruppo formato da alcuni diquesti piloti dette vita alla formazione aerea detta“Serenissima” comandata da Gabriele d’Annun-zio, che aveva compreso appieno le potenzialitàdei nuovi velivoli biposto studiati da Brezzi “in-gegnere di molti ingegni”, che aveva compiuto ilprodigio di trasformare le ali degli apparecchi con-sentendo loro una più larga potenza di volo. Nac-que così il sodalizio tecnico-ideologico D’Annun-zio-Brezzi.

Lo S.V.A. compì in guerra il “raid” su Viennacon Gabriele D’Annunzio, l’intrepido Natale Palli,insieme ad Arturo Ferrarsi e tanti altri; venne uti-lizzato per il raid Roma Tokio, come per altre, in-

numerevoli imprese che resero famosa l’aviazioneitaliana in tutto il mondo. Anche l’ing Brezzi, nelperiodo in cui diresse l’Aeronautica Ansaldo, ebbeal suo attivo 18 mila chilometri di volo, compresal’impresa sulle capitali europee.

Tuttavia, tra il 1920/21 l’Ansaldo entrò in cri-si. Furono questi anni decisivi per la vita profes-sionale di Giuseppe Brezzi al quale, in virtù dellesue competenze di ingegnere minerario fu affidatala direzione degli impianti minerari di “magnetite”di Cogne, che i fratelli Perrone, con l’aiuto dellaBanca Italiana di Sconto, avevano acquistato nel1915.

Dal 1921 al 1923 Brezzi si trovò solo alla gui-da del complesso minerario valdostano a causa delfallimento della banca, che coinvolse anche

L’ing. Brezzi in divisa da ufficiale dell’Areonautica

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Terra Mia Manifesto del raid “Roma - Tokio”senza cambio di aereo

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Novembre 2004D’Annunzio, che nel 1918 ha progettato e compiuto il volosu Vienna, assieme all’ing. Brezzi che ha costruito l’aereo

S.V.A. e l’aviatore Palli che lo ha guidato

In basso: l’attestato del raid Roma-Tokio con la firma deitrasvolatori, dedicata all’ing. Brezzi

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Terra Mia “Semper Adamas”, il logo della primasquadriglia navale di G. D’Annunzioda cui è stato tratto il nome della societàfondata a Castellamonte dal Sen. Brezzi

l’Ansaldo. Il modo intelligente ed esperto con cuiegli lo aveva guidato gli valse il riconoscimentodella Commissione ministeriale convocata dal capodel governo Mussolini nel gennaio del 1923.

Detta Commissione costituì la nuova societàAnsaldo-Cogne, alla cui guida fu designato Giu-seppe Brezzi. Successivamente la nuova societàacquisì anche le miniere di antracite della Thuile,

che saranno sfruttate intensivamente negli anni trail 1930 e il ’35.

Nel 1927 lo Stato, che era intervenuto in modoincisivo nel settore industriale italiano a causa dellagrave crisi che l’aveva colpito, acquistò l’interopacchetto azionario dell’Ansaldo-Cogne, (1929)trasformandola in “Società Anonima NazionaleAosta”, ma lasciando nei posti direttivi gli stessi

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La dedica a Brezzi dello stormo “La Serenissima”che lanciò i manifestini su Vienna

Attestato di riconoscenza di Gabriele D’Annunzioall’ing. Brezzi

Sotto: manifesti tricolori in italianoe tedesco lanciati su Vienna

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Terra Mia Il Sen Giuseppe Brezzicon Mariucia Siletto (1942-43)

uomini che sino allora l’avevano diretta. L’ing.Brezzi fu così riconfermato nel ruolo di direttoregenerale.

Gli impianti minerari, secondo la cronaca deltempo, furono visitati nel 1929 da Benito Mussoliniinsieme alla ferrovia Aosta Prè-St-Didier, di gran-de importanza commerciale per l’alta Valle e dicui Brezzi fu promotore e artefice.

Tutto ciò sancì il suo definitivo inserimentonella vita politico-sociale del regime tanto che, conRegio Decreto del 26 febbraio 1929, fu nominatoSenatore

Alla fine della seconda guerra mondiale l’ing.Brezzi decadde dagli incarichi politici e industria-li e si dedicò all’ADAMAS di Castellamonte, cheaveva fondato nel 1935.

L’ing. Giuseppe Brezzi morì a Torino il 19 ago-sto 1958.

La vicenda dell’ADAMASSiamo nel 1935, all’Aeritalia di Torino, già Ae-

ronautica Ansaldo e prima ancora Pomilio, si fab-bricavano aerei. Amministratore della società -scrive Carlo De Marchi* nel già citato articolo -era l’ing. Giuseppe Brezzi, Senatore del Regno.

Progettista capo dell’azienda aeronautica to-

rinese era il famoso Ing. Gabrielli, scomparso nel1987 ed assurto all’onore delle cronache per averprogettato oltre 140 tipi di aerei; mentre AugustoGeminiani era capo del reparto ad alta tecnologiadove si fabbricavano le ali dei velivoli (ricavan-dole in un solo pezzo da un blocco di alluminio).

I rapporti della Pomilio con la Krupp tedescaerano molto intensi (non si dimentichi che si era apochi anni dal secondo conflitto mondiale).

L’ing. Brezzi, in società con il colosso indu-striale tedesco, che era all’avanguardia nella pro-duzione di un metallo duro detto VIDIA, decise diaprire uno stabilimento a Castellamonte: nascel’ADAMAS.

Lo stabilimento doveva essere costruito a PontCanavese poco distante dalla stazione ferroviariasenonchè mentre il senatore stava per sottoscrive-re l’atto di acquisto dei terreni sentì il battere delmaglio di un’officina poco distante ed il conseguen-te tremolio del terreno (fatto assai grave per un’in-dustria di alta precisione) ed il contratto andò infumo. Scelse in fine una vasta area dislocata an-ch’essa nei pressi della stazione ferroviaria diCastellamonte.

Il nome ADAMAS è stato probabilmente sug-gerito da Gabriele D’Annunzio, che lo aveva ri-

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Novembre 2004I funerali dell’Ing. Brezzi:in primo piano la moglie Felicina Cinelli

al braccio di paolo Luotto; dietro, con l’ombrello,Titti Luotto, moglie di Paolo Luotto

portato sui velivoli della prima squadriglia navaledi cui era il Comandante. La parola deriva dal gre-co “αδαμασ” che significa “acciaio, diamante”propriamente “che non (a) .si può domare (damân),appunto come le polveri di metallo duro.

Brezzi assume come direttore di fiduciaAugusto Geminiani, fra le accesissime protestedell’ing. Gabrielli che non intendeva cederglielo.

L’Adamas si sviluppa e diventa famosa nel suocampo e svolge un’intensa attività produttiva finoal 1958 quando muore il Senatore Brezzi. L’azien-da, dopo alterne vicende proseguirà l’attività finoal 1976, anno in cui chiuse definitivamente i bat-tenti.

Apriamo una parentesi su alcuni episodi di vitaquotidiana dei coniugi Brezzi quando abitavanonella villa di Castellamonte, come ci sono stati rac-contati dai fratelli Giuseppe e Mariuccia Siletto,

due ottuagenari simpatici quanto arzilli e lucidi dimente, che per oltre trent’anni furono persone difiducia , nei rispettivi ruoli di giardiniere e di don-na di fiducia di casa Brezzi.

Com’era in famiglia il Senatore Brezzi ?Una persona splendida. Quando arrivava a casa,

sempre compito e curato nei minimi particolari,dava un senso di soggezione. Ma non appena sirilassava abbandonati i ruoli di ingegnere e di se-natore, diventava una persona comune.

Con noi non faceva discorsi difficili ed avevaun modo di comportarsi che non creava imbaraz-zo. Ci intratteneva parlando dei nostri problemi edi quelli riguardanti la casa. Cercava anche la quietee l’isolamento godendo di tutto ciò che lo circon-dava, come i fiori del giardino e, fatte salve quat-tro chiacchere con i vicini, si immergeva nella let-tura di libri.

E la Signora Felicina sua consorte?Era una signora di grande semplicità, che ricor-

do sempre con profondo affetto, rispondeMariuccia Siletto:la signora Felicina eralegatissima a suo marito e ne era contraccambiatacostantemente.

Il loro era stato un matrimonio d’amore (cosache a noi giovani faceva sognare). Il senatore ave-va seguito il cuore! Ricordo anche altri particolari.

Durante il giorno la signora seguiva il persona-le di servizio comportandosi con gentilezza e, comesi direbbe oggi, alla “pari” oppure giocava alcunepartite di carte con le amiche che, di tanto in tanto,le facevano visita.

Un altro fatto di rilievo che non dimenticheròfin che vivo, fu quando,una sera, durante l’ora dicena, la padrona di casa venne a chiamarmi (stavocenando in cucina con il personale) per invitarmialla sua tavola con il senatore. La richiesta mi im-barazzò notevolmente ed arrossii.

Lei, comprendendo il mio imbarazzo, con unlargo sorriso mi disse: non ti preoccupare, vieni,tanto questa sera non ci sono ospiti e siamo soli.

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Terra Mia Il Sen Brezzi con la consorteFelicina e la sorella (al centro)

Cosa avvenne in casa Brezzi quando giunsela terribile notizia della perdita dell’unico fi-glio Andrea?

Per questa famiglia furono momenti diindescrivibile e di infinito dolore: una ferita chenei loro cuori non si è più rimarginata.

La casa era stata costruita proprio per il lorofiglio Andrea. A lui piaceva il Canavese ed il sena-tore la realizzò a Castellamonte (dove aveva im-piantato anche l’azienda) non appena ebbe il pos-sesso di un terreno in regione Montebello, che gliera stato ceduto dal dott. De Rossi, proprietario diquasi tutta la collina, che comprendeva anche unacascina, ed era in conduzione della famiglia Siletto.

Per i Brezzi divenne sempre più straziante abi-tare in quella casa dopo la morte del figlio Andrea;in essa piombò una ombra perenne di tristezza e sene impossessò la solitudine.

Per parecchio tempo, tuttavia, barlumi di spe-ranza, e momenti di euforia subentravano allo sco-ramento dei signori Brezzi; erano i rari giorni incui giungevano notizie di un probabile ritrovamentodel corpo o del sito in cui era caduto il loro An-drea.

Erano, purtroppo, notizie che pervenivano tal-

volta da persone in buona fede, ma per lo più dasciacalli. Puntualmente, infatti, giungevano lesmentite da parte delle autorità.

Il “metallo duro”Riprendiamo quanto ha scritto Carlo Demarchi

sulle vicende dell’Adamas e, in particolare, perdescrivere il prodotto di eccellenza che, sino allachiusura dell’attività, era conosciuto sotto il nomedi VIDIA e che, col trascorrere degli anni, si eraimposto sul mercato per qualità e per i suoi molte-plici aspetti di utilizzo.

Per inciso ricordiamo che il termine Vidia è si-nonimo di: Wie Diamant, che in tedesco significa“come il diamante”

Si tratta di una miscela di polveri micronizzatecostituite di diversi carburi (di tungsteno, titanio,tantalio, ecc.) cementati dal cobalto. La miscelaviene sottoposta a pressioni elevate, dell’ordine di15 Kg/millimetro quadro in una solida matrice diacciaio con la sagoma del pezzo da realizzare. Losbozzato, ancora “crudo” viene successivamente“sinterizzato” per poi essere rifinito e messo a puntomeccanicamente.

La “sinterizzazione” consiste nell’introduzio-

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Novembre 2004Una veduta degli anni ‘40 dell’Adamas,l’attuale Wolframcarb

ne dei pezzi ottenuti dalla pressatura in forni sottovuoto ed in atmosfera controllata di idrogeno eazoto dove, portati a temperature tra i 1300 ed i1600 gradi, si riducono di volume diventando peròdi notevole durezza assai prossima al diamante.

Un dato interessante, quanto sorprendente, ri-guarda il notevole costo delle materie prime utiliz-zate per questa lavorazione, che, allo stato, puòraggiungere quotazioni che si aggirano attorno ai50 euro al chilogrammo.

Altro elemento di rilievo riguarda il peso spe-cifico di questi materiali che, tanto per darneun’idea supera quello del piombo.

Da questi pochi elementi si comprende come laproduzione di metallo duro richieda investimentiassai elevati non solo in materie prime, ma soprat-tutto in macchinari sofisticati per la realizzazionedegli stampi e la trasformazione delle polveri.

Conseguentemente è indispensabile l’impiegodi manodopera altamente specializzata.

Paolo LuottoDopo la morte di Giuseppe Brezzi, la proprietà

e la gestione dell’Adamas, secondo le volontà del

Fondatore e di sua moglie Felicina Cinelli, sonoereditate dal nipote Paolo Luotto. che era figliodella sorella di Brezzi, Eugenia. Paolo Luotto ave-va già lavorato con lo zio nei cantieri Ansaldo enel 1923, a 24 anni, viene nominato vicedirettoredei cantieri Ansaldo di Torino.

La fiducia e la stima tra zio e nipote si conser-varono negli anni. Nel 1959, dopo la scomparsadello zio, Paolo Luotto viene a vivere aCastellamonte nella casa del Montebello.

Luotto era allora direttore generale della pro-duzione degli stabilimenti Magneti Marelli e re-sponsabile della contabilità industriale, la nuovaforma di gestione amministrativa delle aziende, cheera stata introdotta in quegli anni. Luotto trasfor-mò gradualmente anche la gestione amministrati-va dell’Adamas con questo nuovo sistema conta-bile e, per quanto riguarda gli aspetti tecnici, siaccordò con la ditta inglese Murex, un partner ingrado di fornire tecnologia per un prodotto di quali-tà, che era frutto di ricerche allora molto avanzate.

Nel 1972 (o 1973) all’atto della cessione perlimiti di età di Luotto, l’Adamas si trovava in con-dizioni concorrenziali rispetto al mercato.

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Veduta parziale dell’attuale stabilimento Sinterloy

SINTERLOYRitorniamo al 1959, prosegue Demarchi. Ad un

anno dalla morte del fondatore, forse perché lanuova gestione non gli era più congeniale, AugustoGeminiani, che aveva accumulata una grande espe-rienza nel settore, lasciava l’ADAMAS e fondava,con sei collaboratori, la SINTERLOY s.p.a, nellostesso luogo dove si trova ancora oggi.

Dire della tenacia e dei sacrifici di questo per-sonaggio è dire cosa che fa gioire tutti quelli che,in tempi di imperante lassismo apprezzano ancoraqueste virtù.

Sangue romagnolo nelle vene, superando enor-mi difficoltà tecniche ed economiche, riesce a darevita ad un’azienda che sa farsi onore e sa teneredietro ai progressi tecnologici sempre più rapidi.

Nella neonata azienda si lavorava, come anco-ra oggi, mediante processi fisico-chimici disinterizzazione ad alta precisione, dove le tolleran-ze dei prodotti si misurano a millesimi di millime-tro con una tecnica che Augusto Geminiani ha in-segnato ai figli ed ai loro collaboratori di cui funon soltanto guida, ma anche esempio di tenacia edi umanità.

Quando il sig. Augusto, per raggiunti limiti dietà, ma non certo per cattiva volontà, decise di la-sciare ad altri la responsabilità della fabbrica, glisubentrarono i due figli gemelli Andrea e Giusep-pe, che, rispettivamente nel settore tecnico e com-

merciale, hanno seguito l’evoluzione dei tempi,dotando l’azienda di macchinari di alta tecnologiae delle più moderne strategie di vendita per unmercato internazionale in cui la serietà e l’altaspecializzazione sono le migliori credenziali diun’azienda.

In questi ultimi decenni la concorrenza nel set-tore si è sempre più dimostrata aggressiva. Vi sonocolossi internazionali come la “Sandwik-Coromant” o la “Seco-Tools” ed altre ancora ma,soprattutto, ci sono le crisi ricorrenti dell’industriaitaliana.

Chiedo ai fratelli Geminiani con quali mezzi sipossa far fronte a questi problemi ed essi mi fannosorridendo il paragone dell’elefante, che sprigio-na una forza enorme ma è lento nei movimenti,mentre la piccola o media azienda può adattarsiprontamente e soddisfare in tempi rapidi le richie-ste dei clienti, anche se esse riguardano un singoloparticolare.

Oggi l’attività della Sinterloy, a differenza delpassato, si estende dal settore degli attrezzi per ladeformazione a freddo, a semicaldo ed a caldo, aquella dei particolari antiusura.

Il moderno stabilimento di via Bairo si estendesu 3000 metri quadrati di superficie e vi lavoranocirca quaranta persone altamente qualificate.

Augusto Geminiani, fondatore della Sinterloy

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Novembre 2004Baldissero Canavese, 1973.da sinistra: Giovanni Michela, Claudio

e Angelo Maddio, Emy Colombatto (segretaria)

I clienti della SINTERLOY sono primarieaziende italiane e di tutta Europa, delle Americhe,dell’ Africa, della Cina Popolare e del Giappone.

La continuità della Società si configura nel fi-glio di Giuseppe, il neo ingegnere Augusto, cheporta il nome del nonno e di buon auspicio per ilfuturo dell’azienda.

WOLFRAMCARBL’altra azienda del settore del metallo duro a

Castellamonte, prosegue Carlo Demarchi, è laWolframcarb. S.p.A.

La sua storia è un poco più recente ma altret-tanto singolare. Angelo Maddio, ex tecnicodell’ADAMAS, Marino Bonfiglio e Giovanni Mi-chela, rispettivamente tecnici della Sinterloy e dellaEaton Livia di Rivarolo, sono tre amici che si tro-vano alla sera al bar.

Ambiziosi quanto basta, vogliono uscire dallalogica dello stipendio fisso e decidono di mettersiin proprio. Hanno esperienza che li fa integrare avicenda e così, nel 1969, affittato un piccolo labo-ratorio di ceramisti, ne smantellano il grosso edinutile forno, si fabbricano da soli una pressa, untornio, una taglierina ed un forno, ed iniziano laloro avventura a Baldissero Canavese.

In principio le difficoltà, soprattutto economi-che, sono enormi. Costretti a trasformarsi in mura-tori, carpentieri, imbianchini ed elettricisti.

I primi lavori sono proprio di tipo artigianale:costruiscono pezzi singoli su disegno per la primaclientela solo torinese. Nel 1970 assumono il pri-mo dipendente e saggiano con successo i mercatidella Lombardia e del Veneto. Nel 1972 muoreBonfiglio in un incidente, dando un grave colpoall’azienda nascente. Ma la volontà di sfondare ètanta; i dipendenti diventano quattro, il prodotto èbuono ed il mercato si allarga.

Nel 1977 il grande balzo: l’idea ambiziosa, oforse pazza, di comprare la casa madre. Difatti ac-quisiscono tutta la proprietà Adamas, che avevachiuso i battenti l’anno precedente e si installanogià con 25 dipendenti. Devono, tra l’altro, com-

pletamente ristrutturare 12.000 metri quadrati dicapannoni e lo fanno con la volontà che deriva dallacoscienza di essere all’altezza. Da qui iniziano lascalata ai mercati esteri.

Negli ultimi anni una nuova forza propulsivagiunge sulla scena a dare vigore e volto modernoall’azienda. È il figlio di Angelo Maddio, Claudio(oggi Amministratore delegato) che, parlando lelingue estere necessarie, si butta sui mercati inter-nazionali, riuscendo a sfondare con piglio veramen-te manageriale. Circola negli ambienti specializ-zati un ponderoso volume da lui scritto che reca iltitolo “La fabbricazione del metallo duro e le sueapplicazioni”.

La WOLFRAMCARB, con un centinaio di di-pendenti, è così riuscita a creare una grande orga-nizzazione commerciale con depositi ed agentisparsi sull’intero territorio nazionale ed estero.Vende, infatti, i propri prodotti oltre che in tutti iPaesi dell’Europa, in Sud Africa, in tutte le

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Terra Mia Il primo laboratorio di Baldissero Canavesedella Wolframcarb

Americhe, in Cina, in Indonesia, in Giappone, inCorea; in sostanza i prodotti Wolframcarb raggiun-gono ormai ben 86 Paesi.

Complessivamente l’occupazione nelle azien-de del “metallo duro”, compreso l’indotto, ha or-mai superato le duecento unità e, nel contempo, èdiventato il settore industriale più importante diCastellamonte ed il traino della sua economia.

M.O. Andrea BrezziAnche per ragioni anagrafiche, il numero dei

castellamontesi che ancor sanno collegare il nomedi Andrea Brezzi, Medaglia d’Oro al Valor Milita-re, con la sua figura e la sua famiglia, e ciò nono-stante l’intitolazione dell’omonima via, sta sem-pre più diminuendo, sebbene nel corso del secoloappena concluso il binomio Brezzi – Adamas ri-scuotesse una notorietà ben più che locale e le gestaaviatorie di Andrea gli avessero meritato il massi-mo riconoscimento alla memoria.

In queste righe non avremo la possibilità di svi-luppare un discorso sulla portata della presenza inCastellamonte d’un’industria quale l’Adamas, asostegno dello sviluppo economico del territorio,basti accennare che non fu indifferente e che trovòl’auspicato seguito e i dovuti riscontri, cerchere-mo invece, rileggendo documenti dell’epoca, diricordare la figura d’Andrea, caduto nei cieli diGrecia il 21 dicembre 1940.

Figlio di Giuseppe Brezzi, senatore del Regnoe, parole del Vate italico, “Ingegnere di molti inge-gni” per aver contribuito sensibilmente nel corsodel I° conflitto mondiale allo sviluppo dell’ ArmaAeronautica (basti pensare al volo su Vienna),Andrea nacque a Ollomont (Aosta) il 31 luglio1910.

Di lui leggiamo :“Nella sua giovinezza arden-te, nel suo animo aperto ad ogni impresa bella eutile si è maturato lo spirito dei pionieri e deglieroi….dotato d’una non comune cultura anche nel

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Novembre 2004Il pluridecorato Ten, Andrea Brezzi: morì in Greciail 21 dicembre del 1940, sul suo aereo in fiamme,

tentando un atterraggio disperato nei pressidel costone di Mali Liofiz sulla Vojussa

campo delle lettere e della storia, conoscitore divarie lingue, appassionato per tutte le applicazionimeccaniche, particolarmente incline agli studimatematici e scientifici, laureato in Fisica pura ein Matematica pura, noto e apprezzato dalla gran-de Casa germanica Krupp di Essen, egli ha già rag-giunto il ruolo di attivo collaboratore in una nuo-vissima industria metallurgica (l’Adamas era statafondata dal padre nel 1935)…appassionato sporti-vo e fra i migliori negli sport atletici, nello sci enelle gare di salto; naturalmente anche lo sportautomobilistico non mancò di esercitare il suo gran-de fascino su di lui, ed eccolo corridore fra i priminella categoria dilettanti nelle ultime competizio-ni del motore… vinse, all’ultimo Circuito diTripoli, la magica gara internazionale.

L’entrata in guerra dell’Italia lo trova ad assol-vere compiti così strettamente legati alla difesa, edi carattere così personale nel campo tecnico, daessere incluso tra gli esonerati. Ma senz’altro ri-nunciando all’esonero, veste la tuta dell’aviatorecome tenente di complemento pilota da caccia inservizio, prima ancora della dichiarazione di guer-ra. Ed eccolo alle azioni contro la Francia, dallequali rientrò più volte con l’apparecchio gravemen-te colpito. A sua domanda, viene inviato in Ger-mania per l’allenamento sull’apparecchio Stuka,sul quale compì una veramente gloriosa campagnadalle basi siciliane su Malta e su navi della flottainglese.

La medaglia d’argento sul campo, conferitaglinel settembre ’40 testimonia il suo valore, il suoeroismo nell’epica azione su Malta, ove trovò lamorte il suo compagno mitragliere, mentre dueapparecchi da caccia nemici, di alta velocità e po-tente armamento venivano da lui abbattuti.

Trasferito successivamente al campo di Lecce,svolgeva una mirabile attività sul fronte greco, se-gnando episodi di grande valore e di rara tecnicaaeronautica.

Sulla fine del 1940 i bravi Picchiatelli cono-scevano ormai il nemico… sapevano dove sareb-bero piombati inattesi e dove sarebbero stati ac-

colti dal tiro rabbioso. Ma il pericolo più serio erarappresentato sempre da una postazione della val-lata della Voiussa, dove era installata una batteriamalandrina. Sparava benissimo, doveva essere unimpianto moderno a sistemazione elettrica di tipoinglese. Il mattino del 21 dicembre il MarescialloScarpini decollava deciso a farla finita con quellamaledetta batteria. Invece, a mezzogiorno, una tri-ste notizia raggiungeva il nostro Andrea: Scarpiniabbattuto.

Mezz’ora dopo una formazione di seiPicchiatelli decollava verso la Valle della Voiussa,guidata dal Ten. Brezzi, a vendicare, secondo il lin-guaggio militare, l’amico caduto. Raggiunsero laVoiussa dove la moritura sparava maledettamente,come se presentisse l’imminenza della sua fine. Findalla prima picchiata una bomba da cinquecentocentrò in pieno la batteria facendola saltare in aria:era il regalo di Andrea.

Dopo quella, altre cinque da cinquecento e unadozzina da cento ridussero in frantumi lamalcapitata. Indi, abbassatisi fino a cento metri dalsuolo, gli audaci mitragliarono. Stavano

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ricomponendosi in formazione per il ritorno quan-do un gregario vide che l’apparecchio del suo capopattuglia lasciava sfuggire delle fiamme. Una pal-lottola di mitragliatrice aveva scalfita la tubazionedella benzina e il liquido, gocciolando dalla gam-ba di forza del carrello, veniva a incendiarsi sultubo di scappamento surriscaldato.

“Bruci, Bruci!” gli gridò più volte all’interfono,ma lui non sentiva, il Maresciallo Acerbi , con l’ap-parecchio gli si portò avanti, diede una scrollatined’ali per attirare la sua attenzione e, vistolo in vol-to, gli fece intendere con segni il pericolo, accen-nandogli di buttarsi col paracadute.

Il Tenente comprese; slacciò le bretelle, aprì glisportelli, ma non si buttò, sperava ancora d’arriva-re in salvo. Ma, prima di lasciare il cielo greco, neipressi del costone di Mali Liofiz sulla Voiussa, ten-tando un atterraggio disperato, s’infrangeva al suo-lo avvolto in una grande fiammata. Era il pomerig-gio del 21 dicembre 1940.

La motivazioneValentissimo pilota da caccia e da bombarda-

mento in picchiata, primo in ogni più rischiosa

impresa, combattente entusiasta e generoso, attac-cava ripetutamente con micidiale sicurezza, nelcorso di numerosi ed aspri combattimenti i nemicidella Patria nel cielo d’Africa.

Sul fronte greco, partito volontario per una ar-dita missione che era già costata il sacrificio di unaltro valoroso pilota, portava il suo velivolo fino apochi metri dal suolo e si avventava con estremadecisione sul nemico, mitragliandolo.

Sottoposto alla violentissima reazione dell’av-versario che provocava un principio di incendioal suo velivolo, e, accortosi che il tiro del nemicosi concentrava sull’apparecchio del gregario, consublime cameratismo si lanciava ancora una vol-ta sulle batterie nemiche annientandole con le ul-time raffiche delle sue armi.

Riportatosi in quota noncurante dei disperaticenni dei gregari di affidarsi al paracadute, si di-rigeva, per non darsi prigioniero, verso le lineenazionali ma, nel disperato tentativo di conserva-re se stesso e il velivolo alla Patria per altri ci-menti, in un difficile atterraggio, l’apparecchio siinfrangeva al suolo incendiandosi.

(Cielo d’Albania, 12 ottobre – 21 dicembre 1940)

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E’ un caratteristico palazzo edificato nella se-conda metà dell’800, in stile gotico, contaminatoda motivi orientali, con rivestimento in cotto.

Qualche persona attempata e lo stesso Perottila ricordano ancora come “la cà del consulBertinat”, di questo castellamontese nel Canavese,ma soprattutto nel suo borgo natio non è rimastoaltro

Contemporaneo di numerosi protagonisti del Ri-sorgimento italiano, da cui era stimato e conosciu-

Giuseppe Bertinatti, ambasciatoree patriota castellamontese

GIACOMO ANTONIONO

to, Giuseppe Bertinatti non ebbe però la loro stes-sa fama e fortuna, egli venne ben presto dimenti-cato insieme alla sua opera.

La dimenticanza totale e persistente nel tempo,fu quasi sicuramente dovuta a questioni politiche,che in quegli anni non le furono particolarmentefavorevoli, anzi lo costrinsero a lasciare il suo Pa-ese, facendo carriera in diplomazia.

Giuseppe Bertinatti nacque a Castellamonte il25 luglio 1808 da Ubertino e da Caterina Nigro.Compiuti ad Ivrea i primi studi fu costretto, per lascomparsa del padre, a recarsi a Torino ad imparti-re lezioni private. Sorretto dalla protezione delconte Giuseppe Vagnone poté entrare nel semina-rio arcivescovile di Torino. A 20 anni diede provadel suo brillante ingegno pubblicando nel 1828 unacantica “La Grecia e la flotta alleata ossia la bat-taglia di Navarrino” che la “Rivista letteraria” diquel tempo definì “…parto di ingegno robusto, abi-tuato a pensare sanamente e capace di esprimerecon forza e precisione le concezioni fatte…” .

Fu in quegli anni che il Bertinatti conobbe efrequentò Vincenzo Gioberti, aggregato per la teo-logia all’Università di Torino subendone presto ilfascino e l’influenza e stringendo intorno a lui uncircolo intellettuale per scambiare idee, disquisiredi letteratura, di filosofia e di politica, sognare rin-novamenti, presagire tempi migliori.

Nelle conversazioni politiche si discuteva sullavia migliore per la soluzione del problema nazio-nale e quando nelle riunioni cominciarono a pene-trare clandestinamente i primi fascicoli della Gio-vane Italia, si fecero vivi i dibattiti sul programmad’azione di Mazzini.

Giuseppe Bertinatti patriota,giurista e ambasciatore; aCastellamonte ed in Canavese visono rimaste pochissime tracce diquesto importante personaggio,una citazione di Giuseppe Perottinel suo libro “Castellamonte e lasua storia” e nel volume“Castellamonte ieri” edito nel 1979a cura della Amministrazione Co-munale di Castellamonte in cui vitroviamo la fotografia della sua abi-tazione ubicata sulla destra di viaMassimo d’Azeglio, in prossimitàdella chiesa di San Rocco

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Ma fin dal 1831 Gioberti, preparato dal falli-mento dei moti, pensava, come il 23 dicembre 1831scriveva al Verga, che la via dell’operare fosse al-lora chiusa agli Italiani non ancora avvezzi a pen-sare. Perciò fra i frequentatori del circologiobertiano, pur essi infiammati dagli stessi idealidella Giovane Italia, prevalse l’opinione che il tem-po per l’azione fosse prematuro.

Malgrado il carattere innocuo, tali riunioni nonpassarono inosservate ai conservatori ed a quellaparte del clero più avversa a qualsiasi mutamento.

Gioberti, Bertinatti ed i loro compagni furonotenuti d’occhio ed oggetto di sospetti, d’accuse, dicalunnie. Fra le prime vittime vi fu il Bertinattiche, conseguita la laurea in teologia nel 1832, peralcune opinioni scolastiche liberamente sostenutedavanti all’abate Bossuet in visita al seminario to-rinese, mal interpretate e peggio riferite all’arci-vescovo di Torino, fu costretto a lasciare il colle-gio ecclesiastico ed abbandonare l’abito talare.

Laureato in legge nel 1833, aveva appena ini-ziata la pratica forense quando, sventate le tramerivoluzionarie del 1833, Gioberti fu incarcerato esottoposto a processo. Anche il nome del Bertinattisaltò fuori negli interrogatori dei compromessi.Antonio Alberti, sottotenente nella brigata Casale,accennò nei suoi interrogatori, alle insistenze edalle lusinghe del Bertinatti per indurlo a frequen-tare le riunioni giobertiane.

Sospettando il vento infido, il Bertinatti, persfuggire a molestie, consigliato da Amedeo Peyron,si rifugiò nel suo paese natio di Castellamonte, ri-manendovi nascosto per quattro mesi. Passata labufera, ricomparve a Torino riprendendo la prati-ca forense nello studio dell’avv. Celso Gallengaed iniziando poi l’esercizio della professione conl’avvocato Bigini.

Fu allora, nel 1834, che cominciò a tenere cor-rispondenza con Gioberti costretto, dopo la libera-zione dal carcere, a prendere la via dell’esilio.

La prima lettera del Bertinatti porta la data del14 aprile 1834, mancano purtroppo fino al 1842quelle corrispondenti di Gioberti.

Fin dalle prime lettere in cui lo informa sui li-bri che escono e su amici comuni, il Bertinatti nondissimula il suo disagio per la vita monotona, al-l’antica a cui è costretto e per la nostalgia dell’ami-co.

Nell’ottobre del 1835, lo ritroviamo a Parigi ascaltrirsi negli studi giuridici a cui si sentiva parti-colarmente disposto. Varcate le Alpi, con un sensod’ammirazione per la Francia, sente presto amaradelusione per la superficialità della cultura e per lainconsistenza della politica democratica e rivela alGioberti con arguzia di spirito quel misogallismoche era comune ad esuli italiani di quel tempo, re-sidenti a Parigi.

Raccomandato da Carlo Botta frequenta le le-zioni di diritto costituzionale di Pellegrino Rossialla facoltà di legge di Parigi e collabora con JeanMarie Pardessus, professore di diritto commercia-le, nella compilazione della “Collection des loismaritimes anterieures au XVIII siècle” , facendotraduzioni di manoscritti italiani.

Nel 1837 il Bertinatti ritorna a Torino, ma sem-pre più infervorato dagli ideali giobertiani nel 1839è di nuovo a Parigi. Di là segue con ammirazionesempre crescente i frutti delle meditazionigiobertiane. La “teoria del sovrannaturale” è dalui considerata un portento di logica ed opera dital valore da rendere l’autore degno d’un posto frai migliori ed i più profondi pensatori italiani ac-canto al Vico.

Con lo scopo di tradurre in francese l’ Introdu-zione alla filosofia raggiunge nel 1842 in Belgio ilGioberti che riesce ad impiegarlo come correttorenella tipografia Meline. Traduce invece il Bello acui premette una prefazione dottrinale di cui lo stes-so Gioberti è costretto a sopprimere i tratti piùelogiativi per non cadere, come scrive al Seggiaro,il 18 agosto 1843, nel ridicolo.

Nelle sue lettere agli amici, Gioberti loda l’at-tività grande del Bertinatti e le rare qualità che gliaccordano nel Belgio affetto e stima.

Dei molti brani di lettere che potremmo citare,riportiamo solo quanto egli, il 25 novembre 1844,

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scriveva a Pietro Olivero che gli aveva proposto difar parte della istituenda Accademia o UniversitàTicinese: “…..si trova qui da due anni l’avvocatoBertinatti, mio paesano e antico amico, giovanenel fior dell’età, versatissimo nelle scienze socia-li, pieno di ardore e di attività per gli studi, disce-

polo di Pellegrino Rossi nell’economia pubblica,intrinseco del conte Arrivabene, già noto al pub-blico per alcuni articoli stampati nei giornali, eciò che non meno importa, amatore dei progressicivili, uomo del nostro secolo e non del medio evo,ma nel tempo medesimo prudente e assennato. Se

Casa dell’ambasciatore Bertinattirecentemente restaurata (foto W. Gianola)

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egli potesse ottenere costì un posto d’insegnamentoo per l’economia politica o per il diritto pubblicoo per altro ramo delle scienze sociali, se ne ter-rebbe fortunatissimo: ed io spero che l’Accade-mia ne sarebbe contenta….”

Ma, malgrado le lodi che gli prodigava, Giobertiqua e là pare alquanto infastidito dell’entusiasmoche il Bertinatti sente per lui: scrivendo al Massarilo prega più volte ad interporsi perché il Bertinattimoderi le sue espressioni. Tanto attaccamento pro-curano al Bertinatti gelosie e calunnie a cui ilGioberti non dà credito: il Baracco, per esempio,lo dipinge come uno scroccone, un ozioso ed insi-nua al Gioberti che è stato mandato dalla polizianel Belgio accanto a lui solo per spiarlo.

Fatto sta che dal contesto di tutte le nostre let-tere risulta in modo lampante la dedizione com-pleta del Bertinatti a Gioberti, dedizione che sottovari aspetti ci rammenta quella del Pinelli. Egli glitraduce le opere, le divulga in articoli e chiose suigiornali belgi e francesi, lo porta ai sette cieli nellesue conversazioni, cura la stampa dei lavori e neagevola lo smercio.

Il Bertinatti è informatore minuto, consiglieresagace, animatore fervido. Egli comunica aGioberti tutte le notizie che lo riguardano e che lointeressano, riferisce fedelmente tutti i giudizi chesi danno su di lui. Al Bertinatti si devono special-mente le pratiche presso il Meline della ristampadi quei Prolegomeni di cui egli intuisce il signifi-cato e la potenza, pronosticando che la formulaideale che li ispirava sarebbe diventata una realtàper l’Italia.

In Gioberti il pensiero speculativo aderendo allavita ed assumendo un valore pratico e politico èdiventato vocazione civile. E la passione italica chelo infiamma si comunica al Bertinatti il quale ani-ma l’amico a perseverare nella nobile sua missio-ne di rimuovere la coscienza civile e religiosa de-gli italiani ed a tenere nelle mani la direzione delmovimento riformatore da lui ispirato.

Egli nel seguire e nel commentare le polemi-che sollevate dalla comparsa dei Prolegomeni e del

Gesuita Moderno addita il gesuitismo come unodegli ostacoli maggiori al progresso civile e confinissima arguzia e con sode argomentazioni locombatte consigliando a Gioberti la massima in-transigenza.

Quando nel settembre del 1847 il Bertinatti fauna rapida corsa in Italia tutta fremente forniscecon grande fervore a Gioberti le richieste notizieitaliche compiacendosi di annunziagli che a Firen-ze si inneggia festosamente al suo nome e che aRoma Pio IX gli ha parlato di lui con affetto e loha benedetto.

Il 1848 è un trionfo giobertiano. Bertinatti pen-sa che solo la gloria di Washington è degna di es-sere paragonata a quella che Gioberti si è ormaiconquistata. Incalzano gli avvenimenti che ilBertinatti da Bruxelles segue con larga visionepolitica

Il suo orientamento è pienamente consono alprogramma di Gioberti che, consapevole della mis-sione storica del Piemonte e della necessità di co-stituire un forte stato italiano, guarda al regnosubalpino come quello attorno al quale gli altri statiitaliani possono raccogliersi e pone come un pri-mo punto fermo un Regno dell’Alta Italia sotto lamonarchia costituzionale di Carlo Alberto accet-tando, è vero, il principio di un’egemonia subalpinama per conciliarla con la conservazione e con gliinteressi degli altri stati italiani, uno Stato nuovoinsomma, con carattere nazionale, uno Stato fede-rale.

Insiste Bertinatti sulla necessità della procla-mazione di Carlo Alberto a Re dell’Italia setten-trionale con invito ai lombardo-veneti di discuterein un’assemblea nazionale le condizioni dell’unio-ne. Il piano politico che Bertinatti comunica aGioberti è fondato sulla Confederazione italica:l’Italia settentrionale soggetta a Carlo Alberto equesta con altri principi italiani soggetta ad un’Al-ta Dieta con ampi poteri. Per il Bertinatti una Con-federazione simile avrebbe attutito dissensi e vel-leità municipali, tutto subordinando ad un concet-to superiore di un’Italia federata.

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Intanto con la patria risorta e con Gioberti aral-do attraverso l’Italia delle aspirazioni nazionali siaccende nel Bertinatti il desiderio di riscaldarsi an-che lui al sole patrio. Da oltre un decennio eglivive all’estero faticosamente coi modesti proventidella penna, collaboratore anonimo di riviste e gior-nali. Egli aspira ad un impiego stabile in Italia, ouna cattedra universitaria, o altro ufficio pubblicoadatto alle sue inclinazioni ed agli studi.

Gli era stato offerto un posto in diplomazia pri-ma dal Ricci poi dal Pareto ma preferiva il rimpa-trio. Ma le delusioni politiche per il fallimento dellaguerra federale e soprattutto il dolore per l’assas-sinio del venerato maestro Pellegrino Rossi (no-vembre 1848, primo ministro pontificio), gli fan-no mutare proposito. Perciò quando Gioberti saleal potere gli esprime il desiderio di iniziare la car-riera diplomatica ed è esaudito con la nomina adapplicato alla Legazione di Bruxelles, poi a Segre-tario di 1° classe a Berna.

Giunto in sede ai primi di marzo, manda di colàa Gioberti i suoi apprezzamenti sulla situazione po-litica del momento. Alla vigilia di Novara (22-23marzo 1849) gli scrive per approvare l’attitudinedi lui nettamente antidemagogica presa dopo lacaduta dal ministero per il fallito progetto dell’in-tervento in Toscana ed ispirata al rispetto dell’or-dine e della legalità necessari per il trionfo dellacausa nazionale; egli vorrebbe vedere Gioberti cen-tro e capo di un partito conservatore in modo daattrarre nell’orbita delle sue idee politiche e nazio-nali anche i codini.

E’ un programma moderato che egli propugna,forte dell’esperienza acquistata in paese libero,sotto la stampa libera, dove tutte le passioni politi-che potevano sbrigliarsi in ogni direzione. Peròdissente dal Gioberti per la violenza degli attacchimossi nel Proemio al Saggiatore contro Mazzinida lui proclamato il peggior nemico d’Italia; pensainvece che si debba lasciare sfogo anche a tale cor-rente che avrebbe potuto dare combattenti alla cau-sa nazionale.

Dopo Novara persuaso che Gioberti, tornato al

Ministero, avrebbe avuto parte preponderante nel-la politica estera lo consiglia a temporeggiare, atirare in lungo i negoziati per la pace, spingendoFrancia ed Inghilterra, interessate all’equilibrio, adintervenire per strappare più miti condizioni dipace. Erano queste del resto anche le idee diGioberti nell’entrare nel Ministero: dimostrare chel’Italia era una garanzia d’ordine, agitare davantialla diplomazia lo spauracchio di una pace igno-miniosa che nocendo al prestigio del Piemonteavrebbe travolto la monarchia con la pericolosaestensione dei moti popolari.

Dalla corrispondenza diplomatica della legazio-ne sarda a Berna, l’opera del Bertinatti risulta atti-vissima. La maggior parte dei dispacci sono da luiscritti ma firmati dal Farina che si vale assai delladi lui speciale competenza in diritto, e ciò onesta-mente riconoscerà nelle sue lettere a Gioberti diquel tempo.

Nell’ottobre del 1849 scoppia un piccolo colpodi fulmine nella legazione sarda in Svizzera: il Fa-rina è richiamato, il Bertinatti è messo a disposi-zione e l’altro segretario di legazione, il Valerio ètrasferito negli Stati Uniti. I provvedimenti sonogiustificati con la necessità di mettere il personaledella legazione in maggior armonia con le esigen-ze del momento.

Nelle sue lettere a Gioberti su tali richiami, ilBertinatti lascia trasparire tutta la sua amarezza.Per quanto il dolore gli faccia velo è sorprendenteche egli passi così il segno abbandonandosi a giu-dizi assai mordenti contro il Farina di cui nelle pri-me informazioni esaltava la bontà e la bravura.

Le sue pretese che il Farina, capo responsabiledella legazione, non dovesse modificare i suoi pro-getti di dispacci e non dovesse impedire di scrive-re direttamente al governo sono poco persuasive.Così è ingiusta l’accusa che muove al Farina diaverlo derubato.

In un suo dispaccio del 18 maggio 1849 alD’Azeglio, il Farina lamenta di percepire solo12.000 lire invece delle 20.000 lire regolamentari,strettamente necessarie per la dignità della lega-

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zione, ma si dichiara disposto a fare qualunquesacrificio personale per il bene del paese.

Ben altro giudizio dava del Bertinatti il Farinascrivendo a Gioberti che quell’eccellente uomo nonaveva fatto in tutto il tempo che era stato in servi-zio il più piccolo scarto che potesse autorizzaretale determinazione e per dottrina ne erano pochialla Legazione che gli potevano stare a fronte.

Coi primi del 1850 il Bertinatti è mandato con-sigliere di legazione a Berlino, ma il 3 maggio èrichiamato a Torino per affidagli la reggenza della2° Divisione del Ministero degli Esteri con l’inca-rico speciale di dirigere, in un momento delicatis-simo, la corrispondenza tra il Piemonte e la SantaSede. Egli adempie il suo ufficio con “devozione,con zelo e con intelligenza” come riconosce ilD’Azeglio in una lettera di nomina a consiglieredi legazione (16 gennaio 1852) che il Bertinatti siaffretta di comunicare a Gioberti.

La corrispondenza Bertinatti – Gioberti si man-tiene sempre viva ed affettuosa a prova di un’ami-cizia che non illanguidisce mai. Bertinatti rivelapersino all’amico documenti d’ufficio che lo riguar-dano.

Sempre incrollabile è la fiducia in lui e nellagrande influenza del poderoso ingegno. Egli è sem-pre pronto e vigile nel difenderlo contro le malelingue sparlanti.

Esalta i nuovi scritti che escono dalla pennainfaticabile dello scrittore e definisce opera mira-bilissima quel “Rinnovamento” che bollando conacredine gli errori del passato guarda con tenacefede al futuro e si compiace nel riferire il giudizioespresso da Vittorio Emanuele II a cui, malgradogli attacchi personali, il libro piace per le molteverità che proclama.

Le ultime lettere riguardano specialmente le po-lemiche nate dai crudi giudizi nel Rinnovamento.Il Bertinatti spiega la sua opera moderatrice. Trale righe della sua corrispondenza si intuisce che

egli non approva del tutto la violenza degli attac-chi specialmente contro Dabormida. E propone unComitato di ragguardevoli persone di vario coloreperché esamini l’autenticità dei documenti sui qualisi fondano le accuse giobertiane.

Quando muore il Pinelli egli si adopera per sfa-tare la voce assai diffusa che la morte di lui siadovuta all’amarezza provata per gli attacchigiobertiani ed è fra i primi a lodare il sacrificiogeneroso che Gioberti fa dell’ Ultima replica.

Il 12 ottobre il Bertinatti diffondeva ancora achi le chiedeva notizie sulla salute, sul buon umo-re e sulla attività di Gioberti: quattro giorni dopoGioberti moriva in terra d’esilio (Parigi 1852).

Giuseppe Bertinatti rimane al ministero degliesteri sino alla fine del 1854. Poi nominato il 21dicembre 1854 incaricato d’affari agli Stati Uniti eConsole Generale a New York. Solo nel settembredel 1855 raggiunge la sua sede.

Il 27 febbraio 1861 il Bertinatti è promosso mi-nistro residente, nel 1862 è invitato ad essere giu-dice ed arbitro tra gli Stati Uniti e la repubblica diCosta Rica. Il 26 giugno 1864 ha la nomina di in-viato straordinario e ministro plenipotenziario.

Rimpatriato nel 1866 è poi inviato a rappresen-tare l’Italia a Costantinopoli dove si rende altamen-te benemerito per l’istituzione di scuole italiane.

Nel 1870 è trasferito all’Aja, dove chiude, inattività di servizio, il 14 luglio 1881 la sua vitaterrena, degna di essere ricordata per l’amiciziastretta e devota che lo legò a Vincenzo Gioberti,per la sua operosità scientifica, per i grandi serviziresi in diplomazia al bene del suo Paese.

L’oblio in cui cadde questo personaggio lo sipuò ancora spiegare, in parte, con il fatto che eglioperò quasi sempre all’estero, lontano dalla suaterra natia e sia anche perché la politica giobertianada lui seguita era decaduta con la sconfitta del 1848-1849. Sconfitta che però non era stata vana, in quan-to aveva gettato le basi per la riscossa italiana.

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Costantino Nigra: il mistero dellascomparsa dei “Ricordi Diplomatici”

ROBERTO FAVERO

Questi Ricordi avrebbero oggi un’inestimabilevalore storico in quanto ci illuminerebbero su tuttii retroscena del disegno Cavouriano dell’Unifica-zione, con i suoi piccanti episodi, le animate trat-tative, i compromessi storici, le accese discussionie via via tutti i motivi piccoli e grandi che giustifi-carono delle decisioni importanti di politica esterae di alleanze.

Costantino Nigra non solo fu l’artefice dell’al-leanza con la Francia in occasione della 2° guerradi Indipendenza, ma fu Ambasciatore a

Pietroburgo, a Londra e poi a Vienna operando nelcuore di tutte le Diplomazie, che contavano in Eu-ropa, dalla metà alla fine del secolo scorso guada-gnandosi probabilmente i galloni di più GrandeAmbasciatore della storia della Diplomazia Italia-na di tutti i tempi.

Questo mistero esiste da circa il 1910, tre annidopo la sua morte avvenuta a Rapallo nel 1907,anno in cui qualcuno, sapendo dell’esistenza diquesti scritti, li andò cercando per poterli pubbli-care in Italia ed anche all’estero.

Le ricerche non proseguirono più di tanto inquanto una delle testimonianze più immediate ecioè quella del Domestico di Nigra, tale AntonLehner, austriaco di origine e, dopo il decesso delNigra, domiciliato al n. 4 di Krotenthallergstrassein Vienna, pareva non lasciasse speranze.

Interpellato da un parente del Nigra sull’esisten-za di un testamento e delle memorie storiche,Antoine (così lo chiamava Nigra, alla francese)infatti, in un italiano stentato, così rispondeva periscritto il 3 Febbraio 1910:

“ Ricevetti la sua lettera e mi dispiace di nonpoter dare notizie precise delle sue domande per-ché come Lei sa S.E. era molto chiuso anche versodi me non mi ha mai parlato né della famiglia nédel suo testamento. Ma Le posso consigliare di ri-volgersi al Sig. Cav. Avv. Guidoboni in Roma for-se lui saprà qualche cosa, essendo stato gli ultimitempi sempre insieme con S.E. altri amici o notaionon so nominare perché come credo io S.E. non haparlato con nessuno degli suoi affari: ma può dar-si che mi sbaglio.

Secondo la mia opinione le memorie di S.E. non

Sono molti gli appassionati estudiosi che vorrebbero una rispo-sta al quesito della scomparsa dei“Ricordi Diplomatici”, cheCostantino Nigra scrisse e mise apunto negli ultimi anni della pro-pria lunga vita (morì infatti a 79anni compiuti circa 100 anni fa) perdocumentare fatti ed avvenimentidella sua straordinaria attività diDiplomatico, Ambasciatore e Mi-nistro Plenipotenziario che lo ave-va visto primattore in tutta la Sto-ria Italiana del Risorgimento

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esistano più credo che sono state straciate e bru-ciate, perché un anno prima che sia morto S.E., aVenezia (dove Nigra aveva una splendida casa sulCanal Grande ndr) mi ha dato molte molte carteda bruciare. Di quest’affari sa anche il signor Avv.di Roma, e perciò credo che non esista più nientedel grand’uomo…….”

Interpellato a suo tempo, l’avvocato Guidoboni,segretario personale di Nigra, sostenne invece chead essere bruciati furono soltanto dei documentidi corredo dei Ricordi, cioè appunti, lettere, pro-memoria, le brutte-copie ed altro di natura assairiservata che erano serviti a Nigra per redigere ilproprio documento.

Per molto tempo però, e a questa tesi aderironoanche molti amici del Nigra, fu dato credito cheegli potesse aver distrutto effettivamente quell’ope-ra, temendo i riflessi eccessivamente indiscreti cheessa avrebbe portato su persone ed avvenimentiancora troppo vicini nel tempo.

Lo testimonia lo storico D’Ancona quando, nei“ Ricordi storici del Risorgimento Italiano” pub-blicato da Sansoni nel 1913, scrive: “… ch’egliaveva veramente scritto le sue Memorie, delle qualianzi aveva pubblicato un importante capitolo nel-la Nuova Antologia, e altri taluno ne aveva letti.Dopo però la sua morte nulla di esse si trovò, oche le confidasse a qualche amico, coll’obbligo ditacere fino al momento, opportuno e designato,della loro pubblicazione; o che, piuttosto, in unmomento di fisiche sofferenze e di morale sfidu-cia, come spesso gli accadeva, le gettasse sdegno-so sul fuoco, con grave danno del suo nome e del-la storia”.

Questa tesi si basava su alcune affermazionifatte da Nigra nel 1897 circa i suoi dubbi se pub-blicare o meno le memorie a seguito delle polemi-che suscitate sui giornali francesi da un suo sag-gio, riguardante l’anno 1870 e lo scoppio dellaguerra franco-prussiana, pubblicato nel 1895 sullarivista Nuova Antologia, ed anche a qualche ap-punto vergato sulle cartelle, che contenevano noteed originali per la stesura della versione definitiva

delle memorie, venute in possesso del senatoreCesare Maria De Vecchi di Val Cismon (che ne dàtestimonianza in un articolo su Nuova Antologiapubblicato nel gennaio del 1934).

Questa tesi fu confutata, con dottezza e ampiez-za di argomentazioni da Delfino Orsi, giornalistadella Gazzetta del Popolo di Torino e coautore, conNigra, della Raccolta delle Sacre Rappresentazio-ni in Canavese, pubblicate dall’Editore Roux aTorino nel 1897.

In un articolo pubblicato su Nuova Antologianel 1928, in occasione del centenario della nascitadel Nigra, Delfino Orsi sostiene tre argomentazioni:

a) la prima (facilmente dimostrabile) è cheNigra abbandonò quell’idea proseguendo nella ste-sura e limatura dell’opera e dichiarando, anche ininterviste alla stampa, che le memorie erano statecompletate ma che però sarebbero state pubblicatesolo dopo la sua morte: “…Credo che io non pub-blicherò queste memorie; saranno conosciute dopola mia morte; molti odi e molti amori saranno al-lora nella tomba, e la verità, che pure è necessa-rio sia conosciuta e registrata nella storia – nonfarà più paura.”

b) la seconda riguarda la meticolosità e la pre-cisione con cui operava il Nigra, cosa che esclude-va la possibilità che dopo un lavoro attento, duratomoltissimi anni, perfezionato con enormi sforzi,un manoscritto di importanza storica potesse venirdistrutto in un momento di sconforto.

c) la terza riguarda un presunto nesso tra la spa-rizione delle memorie e del testamento, che ci pareperò di scarsa importanza ai fini dell’argomentotrattato.

Delfino Orsi ci dà altre informazioni fondamen-tali per l’eventuale ricerca del documento: ci diceche era costituito di un grosso fascicolo di carte,suddiviso in capitoli e contenuto in un forzierino.

Nel 1903 Delfino Orsi poteva annunciare sullaGazzetta del Popolo, coll’assenso del Nigra, che i“Ricordi Diplomatici” erano condotti a termine eche erano stati riveduti, limati e copiati col più ri-goroso scrupolo storico; un capitolo, quello della

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visita di Vittorio Emanuele II a Parigi e Londranell’autunno del 1855, veniva anche pubblicatonell’occasione.

Nel 1905, in un intervista del giornalista Gia-como Capon su di un quotidiano romano, alla do-

manda se era vero che aveva scritto le sue memo-rie Nigra risponde: “E’ vero, ma c’è ancora tempoa farle conoscere. Gli avvenimenti a cui ho presoparte sono ancora troppo vicini. Non sono ancoramaturi a certe verità. Ne ho pubblicato un brano

Acquerello donato e autografato dallenobildonne di Vienna a Costantino Nigra.

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solo, quello che riguarda la pretesa ingratitudinedell’Italia nel 1870 (nei confronti della Franciandr). Ho raccontato perché i trattati negoziati daNapoleone III con l’Austria e con l’Italia non fu-rono mai firmati. Spiegai come il segreto non erastato mantenuto, e che era stato rivelato aPietroburgo.

La Russia allora fece sapere al Gabinetto diVienna che se mai l’Austria prendesse le armi infavore della Francia, essa sarebbe decisa ad al-zarle in favore della Prussia.

Il De Beust (ambasciatore d’Austria ndr) fu spa-ventato da questa minaccia, e non si parlò più deltrattato. Restata sola, l’Italia non poteva più gio-care, inutilmente, la sua esistenza. Questo fatto iolo appoggiava in modo incontestabile con docu-menti, lettere, dispacci ufficiali. Ma di già a Pari-gi incominciavano a balenare quelle speranze chesi realizzarono più tardi di un’alleanza con la Rus-sia. La mia narrazione fu smentita.

Con un insieme – che fu ammirabile di patriot-tica disciplina – fu data a tutta la stampa la parolad’ordine di smentire quell’intervento, fatale per laFrancia, della futura sua alleanza; e i giornali diParigi, tutta la stampa dei dipartimenti, riprodus-sero quella smentita e da quell’Agenzia che invia iritagli dei giornali a chi le è abbonato, ne ricevettia fasci, ma la storia non si può cambiare. Ed eccoperché qualsiasi pubblicazione dei miei ricordi, sa-rebbe ancora prematura e forse pericolosa. Oc-corre molto tempo per far uscire la verità dal poz-zo tutta ignuda………”

Un’altra testimonianza importante, che suffragala tesi della non distruzione delle memorie, ci vie-ne da Lelio Bonin-Longare, per alcuni anni segre-tario di Nigra all’Ambasciata di Vienna, che cosìscrive su Nuova Antologia nel 1933:

“…Costantino Nigra era in tutto e per tutto ilcontrario di ciò che con vocabolo moderno si usachiamare un esibizionista. In lui nessuna vanità:

Funerali di Costantino Nigra

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egli aveva tutta l’aristocratica modestia dei fortiingegni, e mai si udiva da lui una parola di vantopersonale.

Il riserbo nel quale egli si chiudeva quando glisi domandava di parlare di se stesso, era in pienaarmonia con quella sua rara qualità. Ma egli erain pari tempo troppo consapevole della gran parteavuta nella liberazione della patria per non desi-derare di precisarla egli stesso alle età future ri-servando alla sua penna quanto negava nella suaconversazione. Nessuno del resto dubita oggi piùche quelle memorie siano state scritte.

Ricordo che appresi la morte di Nigra alla Con-sulta dove mi trovavo per alcuni giorni ad assol-vere un incarico del mio ufficio, e che udii da tuttii dirigenti del Ministero, compreso il Ministro cheera allora l’on. Tittoni, narrare e deplorare cheegli avesse lasciato ai suoi eredi la precisa dispo-sizione di distruggere le sue memorie.

Non pochi si auguravano che gli eredi disob-bedissero. Se ciò non fosse avvenuto, se veramen-te le memorie fossero state distrutte, si sarebbespenta una gran luce sopra il periodo più impor-tante del nostro primo Risorgimento. Nigra è mor-to da ormai 23 anni, e il silenzio si è fatto intornoa quell’argomento: io voglio credere che anzichédistruggerle egli abbia ordinato che le sue memo-rie abbiano ad essere tenute segrete per un lungoperiodo di tempo non ancora trascorso. Se cosìavesse fatto, se egli avesse differito la pubblica-zione a un momento in cui, scomparse le personee i loro immediati discendenti, i giudizi che le con-cernono possono essere divulgati senza pericoli esenza indiscrezione, questa precauzione farebbe alNigra grande onore perché sarebbe una prova dipiù della sua mancanza d’ogni meschino amorproprio e del suo alto rispetto dei delicati uffici dalui tenuti.

A chi si accinge a redigere in extenso le pro-prie memorie mosso non dal desiderio di fare ilproprio panegirico, ma da quello assai più nobiledi allestire un’ampia e sicura documentazione del-l’epoca da lui vissuta, narrando con piena since-

rità gli avvenimenti e giudicando con non minorelibertà le persone, si impone innanzitutto un dove-re, specialmente se lo scrittore ha coperto delicatiuffici di Stato, il dovere di non scrivere per i suoicontemporanei né tampoco per la posterità più vi-cina, ma per il tempo in cui intorno ai fatti e agliuomini narrati si siano spente le passioni e quellie questi siano entrati nel sereno dominio della sto-ria. Solo allora la pubblicazione sincera, integra-le, può farsi senza pericolo e non si presenta piùla necessità di reticenze o di adattamenti: solo al-lora la verità può apparire senza artifizi e senzaveli”.

Partiamo quindi dal presupposto che questi Ri-cordi esistessero nel momento della morte del Nigrae da altre testimonianze, scritte dai giornali del-l’epoca (vedi La Stampa del 2 luglio 1907), pos-siamo anche dedurre che il Nigra le avesse affida-te al figlio Lionello quale unico erede naturale.

Qui il discorso diventa più difficile in quanto letracce del documento si perdono completamente,quasi certamente a causa della morte improvvisa(per infarto) del figlio che avviene circa un annodopo quella del padre e precisamente nell’ottobredel 1908.

Eredita tutto, beni e titolo nobiliare, la nuora diNigra, Teresa Marten Perolin la quale è di originicontadine e poco incline a valutare ricchezze sto-rico documentative, tanto da non preoccuparsi mi-nimamente di rintracciare un documento così im-portante che evidentemente non è più a portata dimano.

Era stato forse nascosto dal marito Lionello oaffidato a qualche persona di fiducia, senza cheTeresa ne sapesse qualcosa ?

Su questa domanda si possono articolare mol-teplici congetture.

Intanto è facile affermare che il documento nonè uscito dalla cerchia ristretta della famiglia o de-gli amici fidati in quanto, se così fosse, qualcunolo avrebbe pubblicato successivamente.

Poi possiamo forse escludere che sia stato de-positato presso un Notaio od un Archivio in Italia,

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con la clausola della non pubblicazione prima chesiano trascorsi un certo numero di anni (ne sonopassati oramai oltre 93 e il documento non è maicomparso !!!). Se ne può dedurre quindi, oltre al-l’ipotesi della distruzione, che il documento siastato occultato da qualche parte nel paese dove vi-veva il figlio di Nigra Lionello e cioè VillaCastelnuovo, oppure affidato o prestato tempora-neamente ad una persona di fiducia.

Le ipotesi sono cinque:1. Nella tomba di famiglia (i funerali a Villa

furono svolti in forma privata: la natura balzanadel figlio potrebbe far pensare ad un simile occul-tamento invece della distruzione dei documenti)

2. Nella villa (murati in qualche recondito na-scondiglio)

3. Nella soffitta di casa di qualche parente pros-simo (dicono che le soffitte di quel paese restanointoccate per decenni e decenni)

4. Al giornalista austriaco Sigmund Munz che,pochi mesi dopo la morte, ne fa richiesta ufficialeal figlio Lionello allo scopo di effettuarne la tra-duzione e pubblicarle poi in Austria (l’improvvisa

scomparsa di Lionello un anno dopo il padre puòaver fatto perdere le tracce dei documenti agli ere-di: allora non esisteva la possibilità di fare copiedei documenti) (ndr).

5. A qualche fiduciario, sconosciuto, in Italia(Venezia?, Roma?, Torino?) od all’estero (Parigi?,Vienna?)

Ma l’interrogativo potrebbe ulteriormente am-pliarsi se qualche lettore di questo giornale potes-se aggiungere del suo, comunicare notizie e infor-mazioni che possano aiutare a chiariredefinitivamente questo dilemma, ed aiutare la sto-ria a completare un capitolo del tutto interessantesotto gli aspetti storici e documentativi di un bra-no della storia d’Italia che ancora oggi avvince eaffascina.

Se qualcuno ha qualcosa da dire al riguardo sifaccia avanti !

Nel 2007 cade il centenario della morte di que-sto Grande: pubblicare i Ricordi sarebbe un modoveramente degno di celebrarne la memoria e di re-staurarne la figura nello scenario del nostro Risor-gimento.

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L’attività di ricerca e di docu-mentazione di “Terra Mia”

Interessanti documenti della sto-ria di Castellamonte acquisiti gra-zie alla collaborazione di ricerca-tori canavesani.

Tra le attività più importanti della nostra Asso-ciazione, vi è quella che riguarda la storia dellanostra comunità castellamontese. Gli archivi pub-blici o privati, sono delle vere miniere di notizieper gran parte ancora inesplorate.

Ma gli archivi non contengono tutto: solo unapiccola parte dei documenti cartacei, che nel corsodei secoli la comunità ha prodotto è stata catalogatae conservata e sono perlopiù atti ufficiali.

Tutto il resto è andato distrutto o disperso perle più svariate ragioni.

Succede così, che anche negli archivi discreta-mente forniti come quello comunale, si può trova-re dei “buchi” ossia dei documenti mancanti cheinterrompono la catena degli avvenimenti o ren-dono difficile e incompleta la comprensione di undato periodo o avvenimento.

La domanda quindi potrebbe essere: è ancorapossibile ritrovare documenti antichi riguardantiCastellamonte utili ad una maggiore comprensio-ne della nostra storia? e dove si possono trovare?La risposta è sicuramente sì!

Oltre a gli archivi pubblici e privati di altre cit-tà, un ruolo importante lo svolgono i collezionistie i mercatini di antiquariato che sempre più nume-rosi si svolgono nelle città.

Personalmente è capitato di trovare delle inedi-

EMILIO CHAMPAGNE

te cartoline illustrate della Castellamonte di inizio‘900 a Nizza, in Francia e ciò non deve stupire inquanto le cartoline erano inviate ai parenti immi-grati, quindi è più “facile” trovarle in altre provin-cie o all’estero che in Canavese.

Un altro esempio sono dei bellissimi filmati,degli anni 50 del secolo scorso, riguardantiCastellamonte, recuperati da Franco Franceschinoaddirittura negli Stati Uniti e messoci a disposi-zione.

Non bisogna poi farsi ingannare dall’apparen-za: ai fini della ricostruzione di un determinatoperiodo storico o di un personaggio o di un avve-nimento, spesso è più importante un foglio di ap-punti che una preziosa pergamena.

Mentre il collezionista ricerca il “pezzo” ba-dando al suo valore intrinseco e ne brama il pos-sesso, al ricercatore di storia locale interessa il con-tenuto, quello che il documento dice, perché ogniscritto ci racconta una storia che il redattore a vo-luto tramandarci per farci capire, quindi basta an-che una fococopia, ma è importante radunare ildocumento nel luogo dove è stato prodotto o nelcontesto storico al quale appartiene.

Tra i ricercatori di storia canavesana vi è unagrande passione che li unisce e la consapevolezzadi quanto prima esposto, fa si che la collaborazio-ne, la segnalazione, l’indicazione giusta producail risultato, che una piccola tessera del grande mo-saico della storia vada al suo posto contribuendo achiarificare l’immagine complessiva.

L’impegno avuto come Associazione nel cam-po della ricerca ha dato i primi importanti frutti inquesto settore, acquisendo importanti e inediti do-

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cumenti, utili alla migliore comprensione della sto-ria di Castellamonte. Elenchiamo qui di seguito ipiù importanti, dandone una descrizione somma-ria e rimandando alla prossima occasione una ac-curata descrizione, dopo che saranno attentamentestudiati.

Libro dei verbali della confraternita del San-tissimo Sacramento (Corpus Domini).

Questa influentissima confraternitacastellamontese la ritroviamo spesso citata nellastoria della città, in quanto assieme e spesso inconcorrenza con la confraternita di S.Francesco e

Libro dei verbali della confraternitadel santissimo Sacramento

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S.Marta aveva un ruolo primario nella vita del pa-ese.

Collettava donazioni e elemosine per scopi cheandavano dal sostegno della religione all’aiuto aibisognosi.

Vantava fra i suoi adepti molti maggiorenti delpaese, era dotata di casa propria e di un ricco patri-monio, era inoltre depositaria dell’archivio comu-nale.

Grazie alla collaborazione e interessamentopersonale di Lino Fogliasso è stato ritrovato e ac-quistato, da Walter Gianola a Cherasco, il libromastro della confraternita nel quale dall’inizio del1600 fino alla soppressione avvenuta ai primi del1800 in seguito al decreto di Napoleone Bonaparte,sono riportate le regole, gli statuti, gli atti ufficialidella congregazione.

L’importante documento interamente mano-scritto riporta numerose firme autografe di perso-nalità cittadine.

Libro manoscritto della Società Fabbri Fer-rai, Serraglieri e Maniscalchi di Castellamonte.

L’originale, di proprietà di Mimma Barengo èstato dalla stessa messo cortesemente a disposi-zione e fotocopiato.

Riporta lo statuto e la vita associativa dellaSocietà dal 1866 anno della sua fondazione al 1899anno della cessata attività o confluenza in altraSocietà.

Testo manoscritto del discorso tenuto dal di-rettore didattico Federico Leone. In occasionedell’inaugurazione dell’edificio scolastico diS.Antonio di Castellamonte nel 1888.

Di proprietà del Dott. Silvio Gozzano assesso-re del comune di Aglie, ci è stato donato. Il docu-mento in originale, è costituito di quattro paginecon testo autografo del direttore Leone è un’inte-ressante testimonianza del pensiero pedagogicodell’epoca. Scritto con una bella e comprensibilecalligrafia riporta interessanti notizie ed eruditecitazioni.

Ringraziamo ancora Silvio Gozzano per il belgesto.

Atto costitutivo e statuto della Società Ope-raia femminile di Castellamonte e rendicontoper l’anno 1905 della Società operaia femmini-le di Cuorgnè.

I documenti, che aiutano a capire l’importantevita associativa, che si sviluppo a cavallo dell’800- ‘900 in Castellamonte e Canavese, sono stati for-niti in copie, e lo statuto della società femminile inoriginale, dal castellamontese Gianni Marconi cheringraziamo.

Quinternetto del sale dell’anno 1788 riferitoa Castellamonte,

Il registro formato da 42 pagine è un importan-

Pagina autografa del direttore didattico Federico Leoneriportante il discorso di inugurazione dela Scuola Elemen-

tare di S. Antonio, anno 1888

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te documento dal quale si potrà ricavare molte no-tizie sulla Castellamonte del 1700.

Esso riporta, tra l’altro, i nomi di tutte le fami-glie della città ripartite per rioni, borgate, e frazio-ni; le quote di sale ad esse assegnate, e l’uso che sene faceva, l’elenco dei poveri e inabili ecc. ecc.

Il manoscritto è stato fornito in copia da LinoFogliasso nostro prezioso collaboratore assieme aun altro documento originale di quattro pagine ri-guardante la cura delle malattie redatto dal dottoree chirurgo castellamontese Antonio Gallenga delregio ateneo di Genova.

Progetto della costruzione di una strada col-legante Castellamonte e Salassa e un ponte sul-l’Orco in località Trinità e Rivarotta redatto nel1934 dalla ditta E. Gibellino Marchetto.

Interessante e voluminosa documentazione con-tenente gli studi effettuati per la realizzazione del-l’opera, in realta mai avvenuta, ma di grande im-portanza documentaristica.

Relazioni, disegni, e importanti dati idrologiciriguardanti la portata dell’Orco nel corso degli annicompongono l’importante progetto.

L’interessante documentazione ci è stata dona-ta in originale da Francesco Gibellino che ringra-ziamo vivamente.

Questo è quanto ci è pervenuto, e non è poco, edimostra se ce ne fosse ancora bisogno, che se sifanno le cose seriamente la collaborazione nonmanca e questa è la migliore gratificazione che ilnostro lavoro e la nostra Associazione possonoavere.

Da parte nostra faremo tutto il possibile, pervalorizzare al massimo queste risorse culturaliaffinchè contribuiscano alla ricostruzione del no-stro passato.

In alto, documento riguardante Antonio Gallenca.In basso, frontespizio dello Statuto della Società femminiledi Mutuo Soccorso di Castellamonte

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Carteggio ineditodi Piero Martinetti

I dieci scritti che lo compongono sono brevimessaggi manoscritti su fogli o nel retro di bigliet-ti da visita, di cui solo due riportano la data 1940;si può peraltro affermare con quasi sicurezza, cheriguardino l’ultimo periodo della vita del filosofoe cioè 1940-1943. L’ultimo manoscritto è la co-municazione che la sorella Teresa fa al Dott. For-ma dell’avvenuto decesso del fratello Piero ed èdatata Spineto 3 marzo 1943.

Il carteggio è pervenuto ai Verretto per via ere-

EMILIO CHAMPAGNE

ditaria essendo il Dott. Carlo Forma loro pro zio.La farmacia Forma era situata ad inizio ‘900 nellaattuale piazza Matteotti dove attualmente si trovala pasticceria Cerutto. Successivamente venne tra-sferita nell’attuale via Costantino Nigra in luogodella oreficeria Allaria, e li si trovava quando erafrequentata dal Martinetti.

I documenti sono piccole note di vita e di in-combenze quotidiane, dai quali traspaiono già gliacciacchi della salute e , sembrerebbe, le non flo-ride condizioni economiche. Interessante è l’ulti-mo documento scritto dalla sorella Teresa con ilquale comunica in via riservata il decesso del prof.Piero e la decisione di darne notizia ufficiale a fu-nerali avvenuti.

Questo fa pensare che oltre lo stile formale eossequioso che troviamo nelle lettere vi fosse unrapporto di amicizia e stima reciproca.

Questi documenti, che nulla aggiungono e nul-la tolgono alla biografia personale del Martinetti,ma ne umanizzano il personaggio, restituendoci unuomo alle prese con le piccole incombenze dellavita quotidiana. Ci auguriamo che tutto ciò sia uti-le, agli studiosi del Martinetti, per comprenderemeglio la sua figura di uomo.

Grazie alla collaborazione diLuigi Verretto Perussono e del fra-tello Giovanni, che hanno messocortesemente a disposizione i loroarchivi, pubblichiamo questo car-teggio inedito tra il Martinetti e ildott. Carlo Forma titolare per mol-ti anni di una farmacia aCastellamonte

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Terra Mia Arch. Giovanni VerrettoPerussono

Senza data

Caro Dottore le sarò grato seella vorrà trattenermi l’im-porto di quanto le devo perla fornitura medicinali etc.:più quanto le debbo inoltreper la provvista di dolcifican-te che non so a quanto am-monta e per il quale le sonosempre gratissimo.Di questi giorni passerò daLei per saldare il mio debi-to. Intanto la ringrazio viva-mente di tutto e la prego digradire ….Alla signora i miei più…

Senza data

Caro Dottore,ieri congedandomi ho commesso una maiuscola dimenti-canza: mi sono dimenticato di soddisfare il mio debito ecioè di versarle in primo luogo l’importo dei tre K, cheElla sa. Può darsi che a questo importo vi sia da aggiunge-re altro: in tal caso ripari Ella alla mia mancanza.E vi aggiunga trattenendo l’importo, il prezzo di tre pur-ganti Gazzani [..] (….le istruzioni relative).Mi scusi tanto, presenti alla signora i miei rinnovati osse-qui e gradisca i miei saluti. Suo P. Martinetti

FRONTE

RETRO

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Novembre 2004

29. VI. 40

Gentilissima signora,ho trovato nelle mie vecchiecorrispondenze due franco-bolli dell’ex stato libero diDanzica che sono o divente-ranno, io penso una rarità, adogni buon fine li mando a leiper la sua raccolta, colgo l’oc-casione per raccomandarle la(convenzione) dell’Hitler cheè qui introvabile e che dopogli eventi recenti lo divente-rà ancor più.Con i più devoti ossequi

Dott. P. Martinetti

Arch. Luigi VerrettoPerussono

14. VIII. 40

Gentilissimo dottore,mando secondo l’intesa aritornare quel libro chedesidero portare domania Torino ad un mio ami-co. Spero che la sua si-gnora si sia ripresa e sitrovi in condizioni mi-gliori; voglio presentarlei miei ossequi:

Cordialmentesuo serDott. P. Martinetti

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Terra Mia Arch. Luigi Verretto Perussono

Castellamonte 7. VI. 41

Le mando la risposta cheho avuto dal Vaticano perla maestra Morozzo.Dal Portogallo non mi han-no risposto: ma spero chedall’una parte o dall’altraqualche notizia arriverà.Ossequi a suo marito e tan-te cose cordiali a Lei.Suo

P. Martinetti

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Novembre 2004Arch. Luigi Verretto Perussono

Caro amico, verrei giù io oggi volentieri a vederla, ma siccome sto soltanto così così, mi permetto discriverle. In primo luogo mi permetta di mandare alla sua gentilissima signora i più cordiali saluti. Mipermetta in secondo luogo di pregarla di mandarmi, con tutto il comodo suo, la nota di ciò che le debboda tanto tempo: includendovi anche il prezzo dello zucchero ectc.Ella mi farà mandandomi queste note una vera gentilezza.Compiacciomi anche farmi avere anche un flacone del solito liquore antiastenico, comprendendone ilprezzo nell’insieme. Voglia gradire intanto i miei più cordiali saluti e mi abbia suo P. Martinetti

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Terra Mia Arch. Luigi Verretto Perussono

Caro Dottore le unisco la lettera di Lorenzo che annunziò la spedizione del libro che le ho menzionatol’altro ieri e di cui solo oggi ho ritrovato l’annunzio speditami da Lorenzo. Purtroppo ho sentito qui chele malattie tornano ad infierire tra le galline: mi spedisca quindi di nuovo la ricetta specifica contro lamalattia.E Dio guardi e protegga Lei e noi in questi tempi orrendi! Molti ossequi alla sua gentile signora.P.S. Tenga conto lei del mio nuovo debito

Suo P. Martinetti

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Caro Dottore,spero sempre di poter venire inpersona a salutarla: ma dovrò an-cora rimandare di qualche gior-no. Gradisca perciò per ora imiei saluti. Mille rispetti alla si-gnora.

Suo (...) D. Piero Martinetti

Bigliatto da visita scritto sul retro.Arch. Luigi Verretto Perussono

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Terra Mia Arch. Luigi Verretto Perussono

Gentilissimo signore, gra-zie cordiali della sua gen-tilezza di questi giorni, ap-pena potrò, verrò a rinno-varle personalmente i mieiringraziamenti.

Con cordiali ossequi (…) D. P. M.

Spineto 3 marzo 1943

Egregio Dottor Forma,unitamente a mio fratello avv.to Lorenzo ho il volere di comunicarle il decesso di nostro fratello professorPiero. L’annuncio verrà pubblicato solo dopo i funerali.

DevotaTeresa Martinetti

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Documenti:S. Elisabetta

CLAUDIO GHELLA

Nuovi documenti sul sito di S.Elisabetta riguardanti la prima cap-pella lì costruita

Abbiamo individuato una piccola serie di do-cumenti di importante valore storico per la cappel-la della Visitazione di S. Elisabetta.

Sono redatti a mano in “volgare” e in parte inlatino, mentre la leggibilità dei testi è scarsa perl’usura del tempo.

Purtroppo sia per la particolare calligrafia cheper la difficile logica con cui si intendeva lo scri-vere in quelle epoche, ritengo inutile tentarne unatraduzione “interpretativa” ma mi pare più logicoeseguirne una letterale.

Infatti anche il “latino“ è intuitivo e assoluta-mente interpretativo. Scelgo di lasciare tra vuoteparentesi quelle parole o frasi di difficile lettera.

Chiunque ne intuisse il senso, è vivamente pre-gato di contattarci.

Negli scritti emergono finalmente le date esat-te della costruzione e inaugurazione della primapiccola cappella sulla collina, oggi comunementechiamata S. Elisabetta, che è del 1708 ed è in pra-tica l’attuale casetta che si vede alla destra del San-tuario (che è del 1796).

Negli scritti vi sono, altre interessanti notizie,come miracoli e nomi di personaggi dell’epoca.

Traduzioni dal volgare: Claudio Ghella (To)Traduzioni dal Latino: Prof.sa Silvana Bergamini (Rivarossa To)

Scritture appartenentiAlla capella sotto il titolodella Visitazione dellaBeatissima Vergine Mariaerretta ne Monti di Colleretto,e nella regione di Crosiglietto

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DAL TESTO ORIGINALE RIPRODOTTO A LATO.In questo primo scritto il curato di Colleretto e Borgiallo Don Giobatta Gallo prende atto, che sarà

costruita una cappella e ci informa che sarà tenuto un diario dove elencare una serie di fatti inerenti al suofuturo.

Siamo al 28 Maggio 1707Nota - La cappella da costruirsi, non è l’attuale Chiesa, ma quella ormai “invisibile” piu piccola che

è l’attuale edificio al lato destro della facciata dell’attuale chiesa spostata di circa 10/15 metri (oggiadibita ad abitazione).

Siamo inoltre in molti a pensare che tale prima cappella sia stata edificata su una struttura molto piùantica.

Ricordiamo che i quella zona sono state trovate incisioni su roccia riconducibili almeno al periodoGallo/Romano (I Sec A.C. - IV Sec. D.C) precisi segnali di formazioni di “coppelle” e alcuni repertifittili e parte di monile in bronzo del precedente periodo celtico.

Trascrizione

Libro della Costruzione ed edificazionedella Capella della beatis/ma Vergineimmacolata sotto il titolo dellavisitazione della medesima Mariasempre Vergine, qual cade,alli due delmese di Luglio, posta nella montagna finidi Colleretto ed altre terre, luogo detto il monte dicrosilietto, nel qual libro si descrivanole messe, che annualmente si celebranoin detta Capella, et quante persone siconfessano, e si communichano nel giornodi detta festa, con marchar anche leellemosine che si racogliono da Priorideputati, e le grazie, che ha concesso econcederà a suoi devoti quella Vergine, che maiperde di vista quelli che degnamente siRaccomandano a Lei li 28 maggio 1707

Gio Batta Gallo Curato diColleretto e Borgiallo

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Novembre 2004S. Elisabetta: documenti

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NOTE: Il foglio riprodotto a lato e regolato da tre date molto importanti: la prima e il 29 agosto 1707come inizio della costruzione della piccola cappella, la seconda parte si data invece 8 Maggio 1708 datache festeggia l’apparizione dell’Arcangelo San Michele e la chiesetta viene inaugurata con la benedizio-ne e la prima messa dopo circa 8 mesi e più di lavoro (vedi relazione completa nel successivo foglio), laterza è quando avviene la prima ricorrenza e festa della Visitazione.

Trascrizione

1707 ed a 29 Agosto si è cominciato la fabrica dellaCapella della Madonna della Visitazione nellaMontagna su la sommita del monte di Crosiglietto.1708 e nel giorno di martedì sotto li otto del mesedi maggio, nel qual correva la festa dellaapparizione dell’Arcangelo S. Micelleè stata detta capella da me benedettae cellebrata la S. Messa con assistenza dimolti Religiosi e Chierici, quali ReligiosiCellebrarono anchoressi. Nel giorno poidella Visitazione, qual cade alli due del mesedi Luglio gli concorsero sei Confessori, condue altri pretti con Chierici, quali confessoriConfessarono tre cento e più personeessendovi dal Sommo Pontefice concessaIndulgenza plenaria, con la remissionedi tutti li peccati, come anche dall’IllustrissimoReverendissimo, sig Vicario CapitolareRambaudi 1a facoltà d’assolvere di suoi(...) riservati per quel giorno solamente

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NOTE: E’ la relazione dell’inaugurazione benedizione e Messa della piccola cappella

è l’8 Maggio 1708

Relazione di santa festa con visita

L’anno del Signore Corrente mille sette cento otto, e all’otto del mesedi maggio nelle fini di Colleretto, montagne d’esso luogho, e regioneCrosillietto ayanti lillust.mo Rever.mo signor D Gio Batta GalloCuratto di cotesto luogho di Colleretto, Borgiallo e Chiesanuovain questa parte specialmente Deputatto dall’ Ill.mo e Rever.moSig. Vicario Generale Capitolare della diocesi d’Invrea come persue lettere delli venti uno scorso aprile corrente anno indebita forma speditte, sigilatte con (componenti) sonocomparsiLi nobb: Theodoro Carlevatto di citato luogo di Colleretto di Castelnuovoet Francesco Querio di Borgiallo, quali a nome anche di moltialtri Particolari delli medesimi luoghi rappresentano a (sua signoria)delegatto, che havendo a mezzo d’elemosine fatto costruireuna capella nelli monti di cotesti luoghi, e (salendi) Castelnuovoe regione di crosillietto a commodita della S. Messa (riunirne)ne giorni (festivi) alli particolari che in essi monti al governo deli loro bestiami, et a far luoro lavori fanno luoro dimoranell’estatte, e cio con permisione dell’Ill.mo e ReverendissimoSig. Vicario Capitolare della Diocesi D’Ivrea (Rambaudi) (...)di tal permichione ne contano lettere in debita forma spedittesigilatte, e Rev.mo (Componeus Secretarius) delli (venti) luglio 1707hora non restando ch’adempimento del luoro intento, altroche di benedire detta Capella a cio in essa si puossa celebrarela santa messa, presentano cio anche quindi la Sovra(delegatta) Delegazione in (...) di ill.mo e Rev.mospeditta a cio si trasferisca in essa Capella Dedicatta inhonore della Visitazione di Maria sempre Vergine la cuifesta cade alli due luglio posta e situatta nella sud.tta reggionedi Crosilietto e ivi concedere le debite (des.li) del statto dessaCapella, (supeletili) in essa provedutti, e necessari al CultoDivino, indi proseguirsi alla Benedizione d’essa Capellasecondo disposizioni li Sani Canoni,e dispone detta pia

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NOTE: A seguito del precedente testo troviamo descritta sia esternamente che internamente la piccolaCappella con l’arredo e un dipinto non meglio identificato.

Delegazione, indi celebrarsi in essa capella la S. Messa, etDel (...) concedersi li l’opportune (Deleghe)

Che subito (...) Ill.mo et Rev;mo (...) sig. Curatto Delegatovista la sovra dessignatta Delegazione in suo (...) fattaqual con ogni riverenza quella nicessita, s’e oferto pronto difare quel tanto in esso viene prescritto, e inseguendo larichiesta fatali da sudetti Particolari, et hanno (...)indetti monti di Colleretto, e regione di Crosillietto,ove giunto, s’èritrovatto savra una sommita rilevatta edificatta in fissoben proprio di novo una Capella, (...) di dentroresta di longezza di piedi quindici, e di largezza di piedidodici (...) e stabilitta con la porta riguardanteal mezzo giorno verso Colleretto, et due fenestrelle a latto didetta porta, quali hanno la debita clausura indi entratti inessa si concedono (Persimoniali) si come dover la muragliadi dietree dirimpetto detta porta ritrovagli un altare (proporzionato)con suo marciapiede di boscho, et sovra detto altare (ritrovagli)un quadro, ove e dipinta Maria Vergine con il suo Santissimofigliolo in Brachio, et da una parte d’esso S. Domenico, etdall’altra S: Monacha Decentemente ornatta, et sovra lamonacha in atto proprio (...) pure decentementecoperta, come anche detta mensa con tre tovaglie e Paliodecenti: Stavendo anche detto altare quattro candelieri(e Toelette) facendo anche detta Capella, come a tal efettoprovista d’un Calice Doratto con sua coppa d’argentocome anche la Patenna, come anche una pianetta novadi vari colori, e fatta di setta con sua stola, e manipolo,camice, misale novo”et altre parti servire e necessariealla celebrazione della S: Messa, quindi tutte cose e supelettili.Detti Comparenti hanno dechiaratto, e dechiarano essereproprii e destinatti a Devoti Elemosinieri alla medema

** Piedi quindici (piede piemontese cm: 52,47) metri 7,87 per piedi dodici metri 6,29

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Capella, Al che ateso il med.mo signor Delegatto esserestatta detta Capella costruitta recando la permissionesudetta, e provista come sovra di tutti il necessarioha mandato e manda la medema (benedizione secondo)viene prescritto da sani canoni, indi celebrarsi la santamessa, come tal effetto quella il medemo Sig. Delegatoha benedetto con le regole, e beneditione propria,prescritta da medemi sani canoni con asistentiadi molti Religgiosi, e chierici, il che fatta, s’e in essaCapella detto sig. Delegatto celebratta la detta S. Messaindi da altri Sig. Religiosi mandando notizie didetto cio in dipendenza di sua delegazione concedersil’opportune (...)Le quali gli ill.mi e un Rev.do Sig. Curato Delegato ha concepitoet a Ii presenti concede pubbliche (...) mandando a me(...) Gio. Giacomo (Reano) LeoneDel presente luogho di Colleretto queste ricevere,(...)a tal effetto queste ho ricevute e ricevo in dette mani.

Gio Batta Gallo Curato di Borgiallo Delegato

G. Leone Reano

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NOTE: In questo foglio si completano i dati del 1708 e si danno informazioni per il 1709 - 1710 - 1711e 1712 con la descrizione di un miracolo avvenuto in quel periodo.

Nel corso dell’estate dal sig D. Buffo, et Sig SebastianoBracco ambi di Sale, et altri si sono celebratteMesse quaranta circa ne giorni festivi e ferialiE la maggior parte de Particolari sono concorsiNell’ellemosina delle messe, qual ellemosina eraDi lire una, so’Idi cinque, (oltre io) il luogo (viaggio?)

E nell’anno 1709 s’e raccolto dell’ellemosine da FrancescoQuerio et theodoro Carlevato priori - 34 soldi -et Cellebratto dal sig. D. Collo di Sintano messe trenta, etDodici da altri religiosi, cosi esservi ComunicatiNel giorno di detta festa trecentoventi persone.

1710 li priori hanno raccolto liure - 34 -et si e Cellebrato dal sig D: Antonio Sartoris, et altrimesse quarante, e piu, et si e Communicato nel giornodi detta (festivita) trecento e quaranta personeet li propri non hanno tralasciato il conto.

1711 le Messe si sono cellebrate da diversi Sacerdoti et si sonocommunicatti tre cento e 5priori Bernardino Sassoe et Giobatta Musso hanno raccoltoliure venti e nell’anno1712 si sono communicatti numero seicento circa con assistenzadi dodici preti1712 nel giorno della Sant.ma festivita, una figlia di Antonio Sartorisdi Collerettod’ etta d’ Anni rei ciecha da molto tempo e avendo condottaalla cappellacon qualche votto fatto da suoi Genitori ha ottenuto la Sanitacon haverrecuperato intieramente la vista per la intercessione dellaS.ma Vergine

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NOTE: In questo foglio si parla di “due miracoli” avvenuti a partire dall’anno 1709

Le grazie che hanno ricevuto dalla madonna S.maDella Visitazione li suoi devoti, sono le (...)1709Loirna Gio marciando del Borgiallo nell’estateNon ricordandosi del giorno udi la santa messaa quella Capella posta nella montagna sopra espressae poi ando ad una sua possessione, monto sopra unapianta di Ceresa appoggiandosi ad un tronco,venne a mancargli il tronco, fu precipitato albasso, invocando la Beat.ma Vergine dellaVisitazione resto nel fondo della pianta trattenuto

NOTE: Nel foglio segue elenco di personaggi e relativi miracoli presumibilmente negli anni a seguirefino al 1727

Giuseppe Roletto essendo hidropico disperato da medici fece vottoDi fare qualche piccola fabrica alla S.ma Capela subito ottenne la SanitaLa Sig.ra Contessa Sanmartino che non si poteva movere innessun modo fece votto d*andare il giorno della Visitazione alla montagnaottenne la Sanita.Il Sig, Francesco Accampo di Sintano, qual haveva un figliod’etta d’Anni sette con male di (panza) e stimato da mediciper morto fec+otto di portar un Botto di vino il giorno,della festa della Visitazione per li religiosi che intervenivanoalla fontione subito miglioro e fu sanatto.Gio Francesco Renesto oppresso da febre maligna con(panza) giudicato morto da medici fece votto di portaralla montagna il giorno della festa della Visitazioneun Botto di vino a Beneficio de Religiosi ottenne labramata salute, e quel che e piu, considerabile si e chedetto Regesto non adempi al suo votto sentendosinon esso obligato, passata detta fasta ritorno nellamedesima infermita (...) il polmone conpochissima speranza di vitta rinovo il votto, e dice chese la Santissima Vergine faceva la gratia di recuperarla salute voleva dare il giorno della festa mezza brenta divino a religiosi che interveranno alla detta Chiesasubito fu guarito

da un tronco senza lesione alcuna, e questol’atribui esser un miracolo, perche il caso eramortale.Domenico Somato stava ad un luogo chiamatoBaratonia havendo sua moglie con un malequasi incurabile, fece votto chavendo intesoche si era edificata la S.ma Capella di provederladun mantile sottile subito recuperò la SanitàMolti altri infermi che si sono raccomandati alla S.maCapella hanno ottenuto la Sanità.

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NOTE: Ultimo miracolo descritto (del 1727)

Gio Francesco Gallo essendosene muto orbo per molto tempoet unjjorno fece votto di portare alla maddona della Visitazionesuoi occhi d’argento et in un istante si trovo liberocome mai havette hauto male alcuno.

NOTA: Pagina in latino del 1750 con alcune precisazioni.

Decreti della visita pastorale della Parrocchia della località Colleretto, Borgiallo e luoghi che prendono nomedalla Chiesa circa il giorno ( ) 1750

Per la Cappella dedicata alla Visitazione della Beata Maria Vergine costruita nella zona detta del Crosilietto.Si provveda ad un nuovo messale, o almeno si aggiunga il Canone al messale che si ha, nel giro di due mesi aspese dei Patroni.Si restauri e si rivesta (di marmo) l’altare nel giro di sei mesi a spese dei Patroni.Per tutte le CappelleSi provvedano tutti gli altari di drappi di tela onde ricoprire la mensa degli altari dopo la celebrazione dellamessa; e venga portata sotto i pallii (una veste) di tela di lino bianca.

Decreta Visitationis Pastoralis Parochiae Locorum Colleretti Burgalli,et Ecclesiaenome sub die.... 1750

Pro Capella sub tit. Visitationis B.M.V. constructae In Regione dicta del Crosilietto.

Provideatur de novo missali, aut saltem missali, quae habet, annectatur Canon infra bimestre expensisPatronorum.Rrestauretur et incrustetur altare intra sex menses expensis eorundem Patronorum.

Pro Capellis omnibus

Altaria omnia provideantur de tela stragula, ad cooperiendam mensam AItariis post celebrationem missae-, et submittatur Palliis tela lintea alba.

(Oriella) moglie di Pietro Masse di chiesa nuova oppressada lunga infermita abbandonata da medici per non poterritrovare rimedio al suo male, intese che si fabbricavauna capella nella montagna fece votto di far celebrarein quella chiesa una messa ad honor di quella santàche si venerava ottenne subito la salute.

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Quando si intraprende una ricerca su un deter-minato periodo storico, le fonti a disposizione sonoquelle classiche degli archivi comunali, parrocchia-li o privati. Vi sono poi, se non si va troppo indie-tro nel tempo i giornali.

Tutte queste fonti, indubbiamente importanti edalle quali non si può prescindere, hanno però illimite dell’ufficialità. Sono state cioè pensate eredatte per tramandare un pensiero, una decisione,un evento dal quale è difficile cogliere le sfuma-ture e lo stato dell’ambiente sociale che lo ha pro-dotto. Quando è possibile, sono le testimonianze,le tradizioni verbali o i diari ed i memoriali a sop-perire a questo, anche se in questo caso vanno at-tentamente vagliate e necessitano di una confermacon gli atti ufficiali.

Nei diari o memoriali, aldilà dell’interesse perla conoscenza del pensiero soggettivo di chi il dia-rio lo ha scritto, vi sono, in questo genere di testi-monianze, delle opportunità nel cogliere i riferi-menti, le descrizioni le ambientazioni solo appa-rentemente marginali, ma che in realtà aiutano acomprendere la vita, gli usi e le consuetudini delperiodo storico nel quale sono stati redatti.

Avendo presente queste considerazioni, quan-do Walter Gianola mi parlò del ritrovamento, daparte di Paola Allera, di un manoscritto redatto daun castellamontese durante il periodo fascista fui

Notizie e curiosità daun vecchio manoscritto

EMILIO CHAMPAGNE - WALTER GIANOLA

subito ansioso di consultarlo coinvolgendo ancheil prof. Attilio Perotti.

Le aspettative non andarono deluse!Il manoscritto, è stato redatto da Verretto

Perussono Battista (1862-1946), di professionevenditore di macchine da cucire e agente assicura-tivo per le Generali Venezia.

Il suo più che un diario, sono una serie di an-notazioni dal contenuto vario e spaziano dagliappunti personali riguardanti la sua professione, afatti che in qualche modo hanno riguardato la co-munità castellamontese in quegli anni; troviamonotizie di meteorologia, ricette per conservare glialimenti, rimedi derivanti dalla tradizione popola-re per alleviare i malanni, date della morte di per-sonaggi significativi, andamento dei prezzi deglialimenti più comuni, usi e costumi dell’epoca etante cose ancora: il tutto scritto sul retro di ungrosso bollettario riutilizzato a nuovo scopo, per-ché al tempo la carta non si sprecava.

Il periodo temporale è compreso grosso modotra gli anni 1924 – 1945 redatto in un italiano cheriporta letteralmente le inflessioni dialettali e lorende per noi castellamontesi particolarmente sim-patico. Pur non essendo il Verretto un letterato, erapportato alla cultura generale della sua epoca, sipuò dire che il suo scritto ci descrive una personaattenta agli avvenimenti che lo circondano e di li-vello culturale superiore alla media.

Le annotazioni sono discontinue, ma seguonoil succedersi dei mesi e degli anni, facendosi allevolte più fitte alle volte più rade secondo il perso-nale giudizio di importanza che l’autore dà agli av-venimenti.

Come curare la sciatica o con-servare le uova, ma anche interes-santi notizie di vita castellamontese

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Gli argomenti trattati, come abbiamo già scrit-to, sono molto vari e annotati così come si succe-devano o passavano nei pensieri dell’Autore cre-ando dei curiosi accostamenti tra eventi pubblici epensieri privati.

Proprio questa miscellanea di appunti e di ar-gomenti, uniti alla mancanza di preconcetti da ac-creditare, denota la genuinità di uno scritto e latestimonianza di un uomo, che annota per se piùche per gli altri le riflessioni sugli avvenimenti dellacomunità castellamontese del suo tempo.

Per l’appassionato di storia locale il manoscrit-to rappresenta una miniera di piccole informazio-ni apparentemente marginali, ma che interpretateaiutano a capire la mentalità e il modo di viveredell’epoca.

Nel manoscritto sono appuntate moltissimenotizie sull’andamento meteorologico delle stagio-ni, ad esempio: 20 marzo 1939 cessato di portarel’acqua calda nel letto -16 maggio andati ancoranella stalla -18 maggio fatto temporale verso l’unadopo pranzo, nevicato in montagna fino alla Cap-pella, molto freddo alla sera e al mattino per ripa-rarmi ho messo la mantellina. - 26 settembre pre-so ancora il bagno - 22 ottobre cominciato a veni-re la prima neve sulla montagna fino la Cappella.

La cappella a cui si fa cenno è quella diS.Elisabetta sulla Quinzeina che diventa in questocaso il punto di riferimento per determinare la quotadelle nevicate. Così una nevicata in maggio cheraggiunge la cappella è cosa eccezionale e deter-mina una stagione particolarmente fredda, cosicome il periodo in cui si cessa o si inizia a” porta-re l’acqua nel letto” che significa scaldare il lettocon la buiota ( perché fa ancora freddo); o andarenella stalla perché era abitudine nelle serate fred-de ritrovarsi nelle stalle dove il calore degli ani-mali sopperiva alla mancanza di riscaldamento del-le abitazioni.

25 agosto 1939 piovuto tutta la mattinata poicoperto. Alla sera pareva il diluvio: il ponte da-vanti a Mezzano non tirava più ,l’acqua del ritanoe della roggia veniva in paese formando un lago

davanti a Scavarda.Al ponte S.Pietro l’acqua passava sopra e ve-

niva nella piazza.S.Grato tutta allagata.Purtroppo allagamenti causati dal rio S.Pietro

sono frequenti nella storia castellamontese e con-tinuano ai tempi nostri, segno questo che non èancora stato messo in sicurezza, e continua ad es-sere una fonte di probabili allagamenti e danni.

Con metodicità incredibile sul manoscritto sonoriportate date di morte e di sepoltura di molticastellamontesi, eccone alcuni:

Ieri mattina 7 luglio 1933 è morta avvelenatala sarta Benedetto, quest’oggi 8 luglio è pure mortoavvelenato il fratello. I morti erano nella cameramortuaria del l’ospedale e alla sepoltura fatta condue vetture i preti hanno aspettato che arrivassefino alla fabbrica del Ghiaro poi li hanno accom-pagnati alla chiesa di Spineto.

Il 17 ottobre 1933 fatto la sepoltura di PollinoSilvio del Maser che si era fatto male nel ricreati-vo dell’Arciprete avendolo colpito l’albero dell’al-talena. Durato ancora 15 giorni e poi morto al-l’ospedale.

Il 26 giugno 1934 per slittamento dell’automo-bile moriva a S. Remy, Giacoma Natalino di anni40. Fatto i funerali in Aosta il 27 ed il 28 fatti aCastellamonte sotto la pioggia dirotta. 33 corone4 cuscini di fiori più di 50 tra bandiere egagliardetti.

Il 18 dicembre 1934 alle ore 20.30 è morto ilpodestà Mottino Eugenio farmacista. Fatto sepol-tura il 20 stesso mese con grande concorso di per-sone, cittadini forestieri. La sepoltura alle 4 delpomeriggio, ha fatto il giro dalla stazione.

Il 10 gennaio 1939 alle ore 4 e mezza è mortodon Severino Bertola professore per polmonitepresa a quanto pare andando a confessare la Rina

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del Monbiotto pure essa morta.Quattro manifesti: quello della famiglia, quel-

lo del fascio, della scuola di musica e della scuolaprofessionale. Aveva 53 anni.

L’otto febbraio 1939 morta la vecchia superio-ra suor Rosa Astrua di anni 79 fatta sepoltura il10 alle 9 e mezza.

Il 14 aprile 1938 è morto il cavaliere G.BattistaGiraudo di anni 81 padrone della Conceria AltaItalia. Fatto sepoltura il 15 con concorso di popo-lo, molto stimato.

Il 22 settembre 1938 è morto l’Arciprete alle ore6 di mattina per congestione al cervello o commo-zione celebrale. Sepoltura il 24 stesso mese alle ore9 e mezza. Grande concorso di preti e popolo ditutte le condizioni sociali con scritte alle porte. Luttocittadino. Monsignor cavaliere don GiuseppeBronzini portato a spalla dagli uomini cattolici. Ladomenica 18 settembre aveva ancora detto stenta-tamente la messa prima. Poi messosi a letto è sem-pre peggiorato.

Per restare in argomento riportiamo ancoraun’annotazione fatta dall’Autore il 4 febbraio 1939.

Il Verretto rimasto vedovo prematuramente ef-fettua la traslazione delle ossa della moglie. Dal-l’amore e attenzione con cui descrive questo atto,possiamo notare il grande rispetto che si aveva peri defunti.

Il 4 febbraio 1939, alla sera verso le 4, levatola moglie da sotto terra e messa nel loculo com-prato. Lavato le ossa con acqua, poi con spirito,messi ad asciugare poi messi nella cassa bene pre-parata con ovatta e avvolti nei lavori di ricamo daessa fatti, chiusa nel loculo la mattina del giorno5, con tanti ceri. Mattinata di bel sole e niente fred-do.

Molti sono anche gli appunti di carattere“utilitaristico” come ricette, metodi di

conservazioni degli alimenti, e rimedi per la salu-te.

Per tenere puliti gli intestini tutte le mattine unapunta di coltello nell’acqua di solfato di soda.

Per fare una buona bibita si prende un litro divino bianco, si mette in una burnia con un etto dizucchero e 100 foglie di persico. Si lascia in fusio-ne per due e anche tre giorni scuotendolo soventepoi si filtra. (è buonissimo).

Per la cateratta agli occhi prendere due rane,pelarle e metterne una per occhio alla sera. Te-nerle tutta la notte, per tre sere di seguito.

Per guarire dalla sciatica prendere 7 etti digrasso di maiale, la cenere di canavoi di canapa,una testa di cavolo grossa e farla arrostire nel for-no che venghi proprio secca e poi ridotta in polve-

L’autore del manoscritto, Battista Perussono Verretto

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re, passarla al setaccio con la polvere del canavoimescolarla alla grassa di maiale e pestarla e tri-tarla bene. Poi si scalda bene la gamba doloranteal fuoco che diventi bella calda. Poi si prende diquel miscuglio e si sfrega bene la parte dolorantesempre all’ingiù, mai all’insù o di traverso, finoche sia sciolta bene la grassa.

Ripetere l’operazione fino che sia guarita. Civorrebbe ancora una quarta cosa che costa lire 25più il porto, ma usualmente bastano le tre cose.Saputo tutto dal parroco di Spineto.

Quando vi sono le gamole nella lana dei mate-rassi, bisogna lavare bene la lana e poi lasciarlaparecchi giorni al sole ardente e queste scompari-scono.

Acqua preparata per smacchiare. Dopo smac-chiato si pulisce con acqua fresca. Prendere unpugno di cenere, mettere in mezza bottiglia di ac-qua e si lascia un mese anche di più girandola tut-ti i giorni. Dopo un mese anche di più si filtra ed èpronta. La cenere deve essere di legna.

Per conservare le ova nella calce si mescolano4 parti di calce bianca polverizzata con 20 partidi acqua ed una parte di sale comune. Occorreuna settimana per la soluzione della calce ed al 5giorno si aggiunge il sale. Le ova si lavano con unpanno bagnato, si depongono a strati e quindi siversa sopra la soluzione preparata, ma solamentela parte liquida e limpida. Si copre bene il reci-piente con carta oleata, si lega e si pone in canti-na a temperatura non superiore ai 10 gradi centi-gradi.

Come si è già detto sono moltissime le annota-zioni, e riguardano numerosi argomenti e varietipologie. Al lettore vogliamo sottoporre ancora unestratto, per noi significativo, riguardante il perio-do della seconda guerra mondiale 1940-45.

In questo periodo, le annotazioni dell’Autoresi fanno più fitte e il suo punto di vista sugli avve-

nimenti è particolare e comune alla stragrande mag-gioranza della popolazione.

Gli avvenimenti straordinari che succedono, ini-zialmente, sembrano influire poco nella tranquillavita provinciale di Castellamonte salvo poi diven-tare preminenti e drammatici con il passare deglianni e con il constatarne gli effetti economici checolpiscono direttamente ogni singolo individuo:impennata dei prezzi, scarsità di viveri, coprifuo-co.

Dal 1943, la guerra arriverà per le strade diCastellamonte con la sua scia di morte, di paura,di sofferenza e allora tutti saranno in guerra e au-menterà in ognuno la riflessione che innescheràun processo di revisione anche di un modo di pen-sare accettato più per conformismo che per con-vinzione.

Atteggiamento questo, molto comune in tuttigli strati della popolazione, il manoscritto delVerretto ne fornisce un’involontaria conferma.

Alla dichiarazione di guerra il diario non ripor-ta nessuna annotazione, può sembrare strano, maevidentemente era ancora considerata un eventolontano che riguardava gli “altri”, saranno le pri-me bombe che cadono a Torino a essere ricordate,così come dopo il 1943 con la lotta di liberazione,i ribelli, diventeranno partigiani, patrioti, liberato-ri.

Nel suo manoscritto l’Autore non tratta di poli-tica, durante il periodo fascista non vi sono accen-ni ne a favore, ne contro, segno che come la mag-gioranza dei castellamontesi non se ne occupava,o il controllo sociale esercitato dal regime, sconsi-gliava di affidare ad un pur privato diario scritticompromettenti.

Solo alla caduta del fascismo scriverà, in sensoliberatorio, .. che era ora… che non se ne potevapiù. Nel periodo di guerra, il manoscritto riportauna interessante e dettagliata documentazione sul-l’andamento dei prezzi, compresi quelli della “bor-sa nera” che meriterebbe uno studio a parte. A tito-lo di riferimento ricordiamo che uno stipendiomedio non superava le 500 Lire.

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Leggiamo ora un sunto del manoscritto dal 1940al 1945, da esso traspare in modo genuino, senzastrumentalizzazioni di parte, la vita e le difficoltàquotidiane della popolazione castellamontese.

194011 – 12 giugno 1940. Nella notte sono venuti

gli aeroplani francesi a Torino gettando bombe. Ilpiù danneggiato fu il ricovero poveri vecchi. An-darono pure a Milano e Roma.

20 agosto 1940. Il podestà Ciochetti GiovanniBattista è morto per male ad una gamba e tetano.Fatto la sepoltura il 20 alle 4 e mezza con moltapopolazione.

11 ottobre 1940 ha tempestato a Spineto, soprai Boschi e dalla parte di Cuorgnè. Ha rovinato l’uvaquella ancora da vendemmiare e i pomi che eranoquasi tutti da raccogliere.

24 dicembre 1940. Per causa della guerra eper l’oscuramento, la messa di mezzanotte si è dettaalla sera del 24 alle 6 e mezza…cosa mai succes-sa, e io ci sono andato.

La carne di bue quest’anno a natale è di lire 14al Kg.

194131 maggio 1941. Oggi per poter prendere lire

4,50 di carne ho dovuto attendere dalle 7 alle 9,parte in strada fino alle 8 e l’altra parte in botte-ga, ma serrato come le acciughe in barile.

22 giugno 1941. Domenica siamo rimasti sen-za pane. Oggi lunedì lo stesso. Farina per polentanon si trova. Qualche d’uno a potuto procurarse-la, ma poca meliga a lire 3 al kg

31 agosto 1941. Mangiato le prime tomatiche. 2 settembre. Mangiato primo fico.

194218 maggio 1942. Le uova io le ho pagate lire

22, prezzo di preferenza, ma si vendono fino a 25-30 lire. — Farina bianca di grano si arriva apagarla lire 20 kg, ma non si trova. — Quella dimeliga lire 10 kg ma tutto di manomorta.

Il vino da lire 300 e più la brenta — Le scarpeda 200 a 700 lire al paio.

19 giugno 1942. Il burro si paga di nascostofino a 80 lire al kg. — Farina di grano 25 lire kg— Pur di averne pago il burro 90 lire kg. — Lacarne non ha prezzo — Le uova fino lire 50 ladozzina — Le galline da lire 33 a 45 kg. — Alprezzo stabilito nulla si trova.

Pane etti 1 e mezzo a persona, anche a pagarlodi più non si trova. — Farina di meliga pagata daRua Battista a una di Salassa lire 15 kg. — Pro-sciutto grammi 30 al mese e quando lo hanno

Fino al 30 giugno 42 avevo 2 etti e mezzo dipane al giorno, dal primo luglio lo hanno ridottoa 1 etto e mezzo. Avendo protestato mi hanno dettodi non potermelo aumentare, perché non ho la tes-sera dell’artigianato. Ieri ho avuto solo due etti dicarne per tutta la settimana.

Passato la festa del Carmine, non trovato car-ne nemmeno quella della tessera che è di 40 gram-mi alla settimana.

Andato a dormire alla sera con i piedi freddi.Nel mese agosto 42 hanno dato con la tessera

20 grammi di lardo. A settembre dato 20 grammidi prosciutto. Ma qualche volta nulla. Fagioli da15-20 lire kg, ma di nascosto come tutto il resto.

20 novembre 42. Sono parecchie sere che gliaeroplani inglesi vengono a bombardare Torino.Una gran parte è distrutta; numerose vittime; tuttiscappano. Questa sera non è ancora arrivato iltreno delle 4 a causa della confusione. Questa mat-tina non è arrivato ne il giornale ne la posta.

Genova già prima di Torino è mezza distrutta.Gli aeroplani li sentiamo passare sopraCastellamonte poi sopra Torino scaricano le bom-be. Molti castellamontesi vanno su al castello dadove si vedono i bagliori del bombardamento eTorino in fiamme.

21 novembre 42. Ancora oggi senza posta negiornali. I trasporti sono paralizzati, quelli che do-vevano ritornare a Castellamonte con il treno cheparte da Torino a mezzogiorno, a causa della res-sa e della confusioni sono partiti alle 9 di sera.

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29 novembre 42. Questa notte Torino è stata dinuovo bombardata, danni ingenti.

12 dicembre 42. A Castellamonte siamo senzasale, senza tabacco, senza zolfanelli.

Dopo 15 giorni è arrivata un poco di roba. Lafolla si accalcava per averne, hanno dovuto chia-mare i carabinieri per l’ordine e si è rimasti senzasale. Una sola rivendita è aperta, le altre sono chiu-se perché manca la roba da vendere.

Il burro non ha prezzo. Io ne trovai da una pa-rente dei Boschi, l’ho pagato 70 lire kg, prezzo difavore. Non si trova meliga anche a pagarla 600 –700 lire al quintale. I molini sono chiusi, uno soloè aperto per macinare meliga dei produttori chela tengono per proprio uso.

A noi vecchi e ammalati ci danno un supple-mento di zucchero di mezzo kg e quello della tes-sera.

Oggi hanno dato gr. 45 a testa di olio dello scor-so mese di novembre. Il sapone pochi grammi atesta, il mese passato non lo hanno dato, chissàquesto mese quando lo daranno.

I bombardamenti più distruttivi di Torino sonostati quelli delle notti del 18-20-28 novembre, non-ché quelli del 9 – 12 dicembre 42 che hanno ridot-to Torino in uno stato deplorevole. I palazzi di-strutti o danneggiati, così come le industrie e lestazioni. Gli abitanti, più della metà sono in cam-pagna e non trovano più alloggio e per questo an-che noi ne soffriamo, perché tutto diventa più caroe non si trova più nulla.

A Villa Castelnuovo si sono venduti dei pomipersino a 20 lire il miria. Se uno vuole trovare delpane di grano si paga fino a lire 20 il kg.

194317 gennaio 1943. Comperato da Barinotto del-

la Trinità 50 kg di meliga a lire 150 andandola aprendere di notte per non essere visto, tutto di na-scosto per non farsi sorprendere.

16 aprile 43. visto pagare il fieno lire 50 ilmiria…cose incredibili!!

27 giugno 43. Oggi sono arrivati a

Castellamonte con un treno speciale una cinquan-tina di prigionieri di guerra inglesi.

10 luglio 43. Dopo Pantelleria e Lampedusaquesta notte gli inglesi e Americani sono sbarcatiin Sicilia con poderose forze navali, aeree e con illancio di reparti di paracadutisti.

16 aprile 1943. visto pagare il fieno L. 40 ilmiria. Nel mese di aprile 43 si è pagato il fienoL.50 al miria…cose incredibili.

Non ci sono più soldi da 5 e 10 centesimi inrame. Parte li hanno consumati per fare il verde-rame per dare alle viti perché manca completa-mente. I contadini si aggiustano facendoli fonderecon gli acidi. Le monete da lire una e due sonocostruite con leghe autarchiche come il Monital eRamital.

Battista Perussono Verrettodavanti alla sua casa

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Il mattino del 13 luglio 43 verso le 2 del matti-no gli aeroplani inglesi e americani hanno distruttobuona parte di Torino. Mai stato tanti danni e morticome questa volta.

19 luglio 1943. Cinquecento apparecchi ingle-si e americani hanno bombardato Roma, versan-do 700 tonnellate di esplosivo e recando danni im-mensi.

26 luglio 43. il re ha accettato le dimissioni,per non dire che lo hanno obbligato a darle perforza, del capo del governo Benito Mussolini.

Tutto il popolo italiano, meno quelli che eranoalla mangiatoia sono contenti di quanto è succes-so, perché non si poteva più nemmeno parlare, era-no tutti schiavi di quel maledetto partito.

25 dicembre 43. sono andato a nozze diBallurio Teit Domenico di Giacomo. Eravamo atavola in 44 con un pranzo che era di quelli dianteguerra che non avevo più fatto.

La sera del 24 dicembre 43 verso le 9 a metàdella strada Crosa hanno ucciso AlbertalliPierAntonio di Villa Castelnuovo capo manipoloG.N.R. di anni 27. Medaglia d’argento e bronzo;ferito in guerra. Fatto la sepoltura inCastellamonte il 29 dicembre 43.

194410 gennaio. Visto vendere il burro a L.210 kg e

contenti di averlo trovatoParmigiano pagato L.190 kg.Non vi sono più ne cartoline ne francobolli oggi

20 gennaio 44. per fare partire una lettera l’hoportata alla posta ci mettono un timbro e ritiranol’importo del francobollo.

Il giorno 22 febbraio 44 è morto il Comm. Lu-ciano Amendola di anni 54 comproprietarioConceria Alta Italia. I funerali il mattino del 24alle ore 10.15.

Grande concorso di popolo, contate 40 coronedi fiori.

6 marzo 44. Non si trova più fieno e quello chesi può trovare si paga fino a L. 120 il miria e più .

Cose sbalorditive!!

Non c’è più sale, ne danno quando arriva 50grammi a testa al mese. A “mezzo della manonera” alle volte si può avere pagando perfino L.250e più al kg.

Pochi giorni fa a Sale hanno fucilato due ribel-li uno di Rivarolo l’altro di Milano, perché non sisono presentati alle armi.

15 maggio 44. Alle 8.30 di mattina hanno fattola sepoltura al carabiniere che hanno ucciso i ri-belli ossia i patrioti con 4 dei suoi compagni. Quan-do questi patrioti hanno dato fuoco alla caserma i5 carabinieri hanno fatto resistenza, li hanno pre-si e portati con loro e uccisi 4. Dei corpi li hannoreclamati i parenti. Del quarto nessuno l’ha re-clamato. L’hanno portato alla caserma dove l’han-no preso a spese di chi non so e fatto qui una bellasepoltura.

15 maggio 44. Verso le 7 di sera 5 ribelli sonoandati per prendere benzina per la loro automobi-le al garage Pagliero. Qualche spia ha avvertito irepubblicani di guardia al paese. Questi sono ac-corsi e ne hanno ucciso 3 uno fatto prigioniero euno riuscito a fuggire. Nel tempo del coprifuoco lecampane non suonavano più. Ora l’hanno ripre-so… durerà? non so.

Oggi 4 giugno 44 ho visto pagare il burro 360lire kg (borsa nera)

L’olio manca da 5-6 mesi, condiscono solo imilionari.

Non c’è più moneta spicciola, per dare il restoi negozianti su un pezzo di cartone segnano i cen-tesimi come pure chi vende i giornali .

Nella notte tra il 24 e 25 giugno alla mattinaalle 4 e mezzo una grande sparatoria di fucili mi-tragliatrici e bombe a mano è partita dalla CasaLittoria e durato un’ora.

Ed ha ferito nel braccio passato da parte a partela Gianola Ernesta che si trovava nel letto, il tuttoper un gatto che ha fatto ruzzolare una colombaia.

Il primo luglio 44 alle ore 2 e mezza di nottealtra sparatoria da Casa Littoria dove ci sono irepubblicani con sparo di mitragliatrici e bombedurata però pochi minuti.

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Il treno Castellamonte- Torino da diversi gior-ni che non viaggia più o viaggia poco.

16 luglio Un verduriere di S.Giorgio venendoda Cuorgnè vicino a Spineto i tedeschi hanno uc-ciso una figlia e ucciso il cavallo. Ferito a Spinetopure un certo Cattero seduto sul muro lungo lastrada.

25 luglio 44. Dopo pranzo sono partiti i repub-blicani dalla Casa Littoria.

Nella notte del 27-28 luglio 44 a S.Grato han-no ucciso un repubblicano e ferito un altro e glialtri rimasti nelle mani dei patrioti circa una doz-zina.

Da ieri 30 agosto la ferrovia non funziona piùper guasti nei binari.. La filovia , ossia il torpedoneè pure ferma, così non c’è più ne posta né giorna-li.

Tre chili di sale valore lire 5,25 sono stati pa-gati Lire 700, cose incredibili ma pagati da GianolaMartino di Castelnuovo.

Amione ha comperato del vino a S.Giovanni alire 1500 la brenta, cose incredibili ma pur vere.

Nella strada fra Bosconero e Feletto un camionvenuto da Torino per Castellamonte una bombafatta scoppiare proprio sopra ha ucciso un certoBertinatti di anni 41 e una ragazza di 21 anni cheritornava da Torino con il diploma di dottoressa,certa Giovanna Trovo figlia del segretario diCastellamonte e ferito gravemente un ingegneredella conceria che le hanno amputato un braccioe leggermente feriti altri.

Domenica passata 15 corrente luglio aS.Giovanni hanno ucciso 4 persone sulla piazzadella chiesa.

24 agosto 44. Volevo andare a Cuorgnè a tro-vare la cognata Clementina, sono andato fino alPedaggio e poi per causa del blocco non mi hannolasciato passare. Chi era in Cuorgnè non potevauscire chi era fuori non poteva entrare, ma questonon è solo da ora.

L’altro giorno a Pont S.Martin Aosta ( 23 ago-sto) gli americani hanno bombardato quasi tuttoil paese. Il giornale da 200 morti ma sono molti di

più. Più di 60 case distrutte. Fu pure vittima diquesto bombardamento un mio parente: Carlevatoche aveva una macelleria nel suddetto paese.

Oggi domenica 3 settembre 44 mentre mi reca-vo verso la stazione alle 3 e mezzo mi sono incon-trato davanti al teatro in mezzo ai repubblicaniche sparavano col mitra verso la piazza del cam-panile. Ho passato qualche minuto non troppobuono!

A S. Grato il 2 settembre i repubblicani hannoucciso un partigiano certo Testa di Banchette Ivreae ferito un altro.

9 settembre. Tra Feletto e Bosconero il trenoche doveva arrivare a Castellamonte alle 3.30 èstato mitragliato . A Castellamonte hanno portato19 morti senza i feriti. Fra questi vi è pure il cugi-no Camerlo Gaudi Pierino fu Pietro di anni 14 ela madre ferita, ma leggermente.

A questo hanno fatto la sepoltura il giorno 11con grande commozione di gente. Erano andati aVolpiano per comprare del grano. Senza contare imorti e feriti di Ozegna e Feletto Salassa ValpergaPont ma la maggior parte sono di Castellamonteessendo stati colpiti i primi vagoni dietro alla mac-china.

La sera del 12 ottobre 44 da Casa Littoria han-no fatto una sparatoria durata più di 10 minuticon mitragliatrici e fucili sembrava di essere inpieno fronte con spavento di tutti credendo che sibattessero con i ribelli invece fu solo una prova.Rotte molte tegole del coperto.

17 ottobre. tutti gli uomini fino ai 65 anni de-vono montare di guardia sulla strada Ivrea –Cuorgnè ogni 100 metri un uomo e segnalare sepassano i patrioti uno comunicando agli altri.

Avendo qualcuno strappato un manifesto tede-sco dal muro il municipio ha dovuto pagare all’in-domani 50 mila lire e se non pagava nella gior-nata erano 100 mila. Il municipio ha pagato.

Il corrente 7 novembre 44 due tedeschi hannoucciso qui in paese un patriota di Pont che dopoaverli catturati li fece camminare nel paese con lemani in alto, loro hanno atteso il momento e si

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sono rivolti e l’hanno disarmato. Dopo l’hannoucciso.

Oggi 18 dicembre 44 veduto pagare il burro520 kilo. Sapone appena uscito dalla fabbrica pa-gato 100 lire Li spinaci li fanno pagare 40 lire kg-il latte alla latteria si paga 4,60 lire litro certo èscremato ma chi lo trova di manomorta dai pro-prietari lo paga 10 –15 lire.

24 dicembre 44. vicino al cimitero i soldati te-deschi verso le 6 di mattina hanno fucilato duesoldati russi. Il perché non lo so, pare volesserounirsi ai patrioti.

1945Oggi 19 maggio 45 alla sera alle 5 hanno fatto

la sepoltura a un partigiano ucciso a Grugliascodai repubblicani o tedeschi. La sepoltura partitadal municipio con grande concorso di gente.

Sarà l’ultima vittima di quei manigoldi special-mente dei vigliacchi tedeschi?. La settimana pas-

sata ha iniziato a viaggiare il treno, prima solo illunedì e sabato ora tre giorni la settimana ancheil giovedì.

31 maggio 1945. sono partiti da Castellamontegli ultimi tedeschi con tutti i carri e i cavalli. Lacolonna ha impiegato più di mezzora per lasciareil paese.

Con la partenza dei tedeschi anche aCastellamonte ritornava finalmente la pace, più diun mese dopo l’avvenuta liberazione.

Il Verretto continuerà le sue annotazioni anco-ra per qualche mese. Morirà nel 1946 alla rispetta-bile età di 84 anni. Il suo manoscritto dimenticatoin qualche polveroso angolo della casa, vi rimarràper più di 50 anni. Con questa pur parziale e mo-desta pubblicazione lo vogliamo ricordare e rin-graziare per il suo contributo dato a testimonianzadella sua epoca.

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Un soffitto crollato, la pioggia che graffia e unintonaco antico che cede alla violenza e riscopreun gioiello purissimo.

Un castello disperso tra le nebbie del passato,ancora oscuro di storia, baluardo dei Tuchini, cu-stode del loro mitico tesoro cercato e mai trovato.

In quello che fu una sala di Principi colti, siintuiscono pareti affrescate di storica importanzae sicura bellezza.

Questi Principi locali per addolcirsi le sere piùpigre scossero, l’abile e sconosciuto pittore stuz-zicandone la fantasia e lo stomaco perché gli ral-legrasse la vita. Chi fosse non è dato sapere macerto il colore gli era amico e si vede, complimen-ti a lui che seppe guadagnarsi il pane per mesi eun pò di gloria per sempre.

Questi accadimenti, posso estrapolare, avve-nivano in tempi scuri dell’era tra il 1300 e 1400 sepur “salvo verifica”.

Non siamo a Versailles ne alla mitica corte diRodolfo II a Praga ma in dovute proporzioni è in-credibile trovare tra rovi e pietre accatastate di

Villa Castelnuovo: ancora rive-lazioni dal castello dei Tuchini

CLAUDIO GHELLA

ogni natura una storia di colori così affascinante,e poterla immaginare in splendida completezzasvilupparsi attorno al grande fuoco infilato neldoveroso camino, con al centro allegri e coloraticostumi di Broccato in una umana sorte agitarsi.

Alberi stilizzati al modo dell’epoca, verdissimie invitanti a scoprire il resto del bosco, musa conmerli di fortezza e soldati in chiara armatura conscudi ferrosi, finestre incorniciate da rettangolirossi, bianchi e più scuri, fasce a tratti segnate dasemicerchi di rosso, verde e arancione mi trovanoallegro a guardarli.

Ora osservo il cielo che ha sostituito il soffittoe la pioggia che li sfuma in lacrime acidose, inde-bolisce, distrugge.

Mi riprendo e osservo meglio; constato che ciòche ora si vede su quelle tre pareti rimaste non èche una minima parte di cosa è nascosto sotto quel-l’intonaco ripetuto, ora spesso alcuni centimetri,e che copre quelle aree di mistero che fanno scor-rere la fantasia.

Di un soldato in armatura chiara quasi biancae tracciata di scuro, si scorgono le gambe “ferra-te” dal polpaccio in giù e la curiosità si espande.

Di un bosco colorato, uno, due alberi sporgo-no da quelle coperte di gesso e colla, ed è ancoraun invito che viene dal passato.

Il problema di oggi è ancora l’inverno, vento,acqua e rampicanti non aiutano di certo, e i murilaterali già pericolanti mi pare resistono come

Da pietre, licheni e fiori di spe-ranza riemergono, da una notte lun-ga 700 anni, pezzi di storia dipintanell’antico maniero di VillaCastelnuovo

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consci di un compito preciso - ma fino a quando?

So per certo che dai “Nostri” l’impegno a sal-vare questo splendido pezzo della nostra memoriaè stato preso da tempo, sovrintendenze avvisate eidee in movimento, ma purtroppo il tempo nonaspetta nessuno ne uomini ne opere loro – corag-gio a chi di dovere.

Intanto ho provveduto a fissare l’antico visibi-

le su una attuale pellicola perché chiunque lo vo-glia possa vedere.

Ho vagamente “poetizzato” lo scritto con farespontaneo per il dover forzatamente spingere lamente indietro nei secoli, e ciò è piacevole, bello erigenerante. Un grazie a quei Principi lontani.

Un saluto dal passato.

Alcuni particolari degli affreschivisibili all’interno del castello di Villa Castelnuovo

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Il canyon dellaValchiusella

RENZO MABRITO

Al fondo della pianura così prosciugata si fecestrada il torrente Chiusella che precipitando nellaforra, formò una cascata che il Bertolotti nel 1871stimava ancora in oltre 12 metri.

Il nuovo corso così formatosi, inaridì il vecchioalveo a sud verso il torrente Orco, e girò ad estverso la Dora, dove confluisce tuttora.

Questo scenario, in parte immaginario, trova unsuo fantastico rilievo nella Leggenda del Lago diChy, sulla quale molti scrissero, riferendosi agliamori contrastati tra due immaginari giovani abi-tanti alle estremità opposte del lago, senza peròavere alcun riscontro in documenti ufficiali.

Ai giorni nostri, il torrente nel tratto della Bas-sa Valchiusella, di cui ci stiamo interessando, puòesser diviso in tre tratti, molto diversi tra di lorosotto l’aspetto fisico e geologico. Il primo tratto,

seguendo il corso del torrente da monte a valle,percorre la verde fertile pianura alluvionale com-prendente i territori di Issiglio, Vidracco e Vistrorio.

Il suo corso evidentemente cambiò più volte neltempo, così che all’interno della zona recintata aprotezione delle captazioni dell’Acquedotto diIvrea, nel territorio di Vistrorio, è visibile l’arcatasuperstite dell’antico ponte “romano” in una zonaora a bosco, senza alcun segno visibile dall’alveosul quale sorgeva.

Questo ponte, certamente il più importante de-gli altri ponti “romani” che scavalcano a monte iltorrente, a Rueglio, a Chiara, a Fondo sul Chiusellae sul Ribordone, a Pasquere oppure a valle, comeil Ponte dei Preti, non hanno niente di “romano” inquanto, probabilmente, furono costruiti attorno alXIII secolo con una tecnica particolare che facevanascere l’arco a tutto sesto direttamente dalle fon-dazioni, contrariamente ai veri ponti romani le cuiarcate a sesto ribassato, poggiavano su robustipiedritti

Il ponte di Vistrorio era costruito con più arca-te che furono distrutte probabilmente da qualchealluvione nel XVI o XVII secolo, salvo la super-stite, tant’è che il Bertolotti, nelle sue “Passeggia-te nel Canavese”, auspica che le autorità governa-tive si interessino alla costruzione di un nuovoponte che permettesse il collegamento tra Vidraccoed Issiglio, con il capo mandamento di Vistrorio,senza dover attraversare una risicata passerella, op-pure in caso di piena del torrente, salire a Rueglioo scendere al Ponte dei Preti, allungando di granlunga il percorso.

Nel tratto centrale esiste ora il lago artificiale

Un fragore immane percorse laValle di Chy, mentre il rilievo mon-tuoso che racchiudeva il lagomorenico tra la piccola Serra adovest della Dora ed il monte Tossi-co, che il ritirarsi dei ghiacci dellaglaciazione del Pleistocene avevalasciato in fondo valle, si fendevafacendo defluire rovinosamente leacque

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derivante dall’invaso della diga di Gussey (oGurzia) dell’ENEL.

La costruzione della diga di Gussey creò il lagoartificiale della capacità di circa mc. 1.500.000 diproprietà dell’Enel, alimentante la sottostante cen-trale idroelettrica di Ponte Preti.

Già nel 1895, prima dell’ultima proprietà, laSocietà Elettrica Alta Italia, aveva ottenuto unaconcessione di derivazione di acqua, così da dareinizio alla produzione di energia elettrica.

La Società Officine di Energia Elettrica diNovara, subentrata alla prima proprietà, ottenne nel1922 l’autorizzazione alla costruzione di uno sbar-ramento nella gola di Gorgia, ovvero di Gussey, sìda ottenere un bacino serbatoio per laregimentazione dell’alimentazione della centraleidroelettrica, attraverso la galleria sotto la morenasu cui sorgono le vigne del Surei di Vistrorio, tra ilbacino ed il pozzo piezometrico in Regione delleMoie, e poi in condotta forzata di acciaio, fino apochi anni fa in ghisa, fino alle turbine della cen-trale posta sotto il Ponte Preti dall’altra parte dellacollina morenica.

La Società cambiò poi la denominazione inOvesticino, dapprima, Dinamo poi, fino alla suanazionalizzazione con l’ENEL.

La diga venne costruita ad arco semplice in cal-cestruzzo, e fu la prima in Italia ad essere così pro-gettata, in quanto le solide pareti rocciose lateralidella forra permettevano, con uno spessore ridottodi parete, di scaricare la spinta idrostatica sulle

rocciose spalle. Ora le dighe di questo tipo, in quan-to in genere più alte, sono costruite a vela, cioècurve ad arco nella sezione orizzontale e curve adarco nella sezione verticale, così la scaricare unaparte della spinta idrostatica anche sulle parti su-periori meno sollecitate e che in ogni caso devonoavere uno spessore adeguato, che così viene sfrut-tato. Naturalmente questo è possibile quando ladiga è fra pareti rocciose, come a Valgrisanche, incaso contrario esse sono dette a gravità, ove la spin-ta idrostatica viene scaricata sulla fondazione, comein quella di Ceresole o del Serrù.

La diga di Gussey ha una altezza massima dim. 53.90 ed uno sviluppo di m. 79,00, con uno spes-sore alla base di m. 7.20 ed uno al coronamento dim.2.00 alla quota di m./sm. 432,50, mentre la quo-ta minima di sfioro è di m./sm. 427,50.

Il volume del calcestruzzo impiegato per la suacostruzione, finita nel 1925, è di mc. 8.000, di cuisolo mc. 4.000 per la realizzazione dell’arco.

Le acque in eccesso, in caso di inattività del-l’impianto idroelettrico, o di piena, sono scaricateper tracimazione dallo sfioratore che cosi formauna ampia cascata con un salto di circa 40 metri,offrendo nell’occasione uno spettacolo grandioso.

La diga ha un secondo sfioratore di troppo pie-no, posto al centro, che serve anche come livellodi guardia, nonché uno scaricatore di fondo per losvuotamento del bacino.

Questo avviene periodicamente, in genere unavolta all’anno, per il dissabbiamento dello stesso

Sezione teorica del ponte.Ai lati la parte scomparsa

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onde evitarne l’interramento nel corso degli anni.Le piene irruente ed improvvise del torrente,

che possono arrivare a sfiorare il milione di litri alsecondo, rischiarono, durante i lavori, di pregiudi-carne la costruzione.

Una di esse, in una notte, si portò via buonaparte delle attrezzature, malgrado che i prepostifossero stati avvertiti dagli operai locali.del peri-colo delle repentine violente piene.

Quando le piene raggiungono valori preoccu-panti e l’acqua raggiunge lo sfioro di guardia, vie-ne aperto anche lo scarico di fondo e lo spettacolodi queste forze della natura, con i potenti getti d’ac-

Veduta della diga di Gussey(foto di R. Mabrito)

qua che si incrociano e si precipitano nella forra èdi una grandiosità esaltante.

Forse per questo sul coronamento della diga èriportato il motto: “Undae precipiti obstat murussuperbus, quiescunt limphae viresque docilespraebent”, che per chi abbia dimestichezza collatino, recita: “All’onda rovinosa s’oppone il murosuperbo, si calmano le acque ed offrono forze do-cili”. Peccato che la scritta stia poco a poco sva-nendo. Il terzo tratto, per lo più in territorio diBaldissero e Strambinello, corre al fondo di unastretta forra con pareti a picco, che vogliamo defi-nire come il canyon nostrano.

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Novembre 2004Particolare della cascata(foto di R. Mabrito)

Il dislivello tra la strada provinciale ed il fondosupera i 70 metri e la forra offre dimora a moltirapaci come poiane e grive, quest’ultime in viad’estinzione.

All’incirca a metà tra la diga ed il ponte in ce-mento armato della statale, vi sono ancora i ruderidelle antiche Fucine, alle quali si accede con unaripida carrareccia che scende poco prima del cam-po di tiro al piattello di Pramarzo.

In un paio di occasioni dovettero intervenire conmezzi speciali i Vigili del Fuoco per ricuperare unaFiat 500 fortunatamente vuota, ed una mucca chis-sà come precipitata.

Le rocce delle pareti sono formate da peridotiti,olivine con tracce di fosterite, parzialmente rico-perte dalla stentata vegetazione, che, poiché piùnessuno interviene con tagli, riesce a crescere.

Durante la guerra vennero ricuperate anchequeste piante con boscaioli che dovevano legarsicome scalatori e con l’uso di fili a sbalzo per larisalita del legname.

La strada provinciale che fiancheggia dall’alto

la forra, è stata costruita quasi contemporaneamentealla diga e grava su robusti muri a secco che validimuratori veneti furono capaci di edificare in quel-le difficili condizioni e così bene che tuttora reg-gono egregiamente il pesante traffico dei giorninostri e le vibrazioni delle mine della vicina cava.Cives.

Sotto la stretta curva, quasi a gomito, tra la CavaCives e la diga, in un affratto naturale, fu postauna Madonnina, ancora esistente, a ringraziamen-to della protezione accordata ai lavoratori in talepericoloso tratto; tempo addietro alcuni spericolati,tra i quali mio zio, scendevano, con la tecnica deifreeclimbers, ad adornare la statuetta con mazzi difiori campestri.

L’Amministrazione Comunale di Vidracco, uti-lizzando i fondi DOCUP per lo sviluppo del turi-smo, ha fatto costruire un bellissimo sentiero pa-noramico che inizia dal mulino a ruota del 1860appena restaurato, costeggiando la roggia permet-te di percorrere la ripa sopra il lago artificiale, diosservare dai capanni di birdwatching gli uccelli

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di passo che si posano sul lago, in genere anitreselvatiche, e raggiungere la diga.

Affacciandosi, dietro una robusta gabbionata diprotezione, sul profondo orrido di fronte alla ca-scata, si può ammirare buona parte del canyon.

La costruzione della roggia che costeggia il sen-tiero e continua il suo percorso appoggiata ad unaripa del canyon, fu concessa nel 1848 da CarloAlberto per l’irrigazione delle, fino allora aride,campagne di Baldissero, che poterono così essereraggiunte dall’acqua abbondante del Chiusella.

In regione Pramonico, anche il modesto saltoche fa in questo punto la roggia, venne fino al do-

poguerra sfruttato per produrre energia elettrica:la turbina e l’alternatore erano ubicati nel fabbri-cato del mulino di Pramonico.

Un piccolo monumento ricorda il centenariodella costruzione della roggia, anche se la stessapare abbia incorporato vecchie balere esistenti giàda prima del 1700.

Il lieve sciacquio dell’acqua e la fresca ombradel bosco che accompagnano i passi lungo il sen-tiero costeggiante il bacino idroelettrico, da un latoe dall’altro dal corso della detta roggia, regalanoall’animo una sensazione di serenità che sarebbeun peccato privarsene.

Vidracco: tratto del sentiero panoramico fattocostruire dall’Amministrazione Comunale(foto di R. Mabrito)

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Quattro passisui Monti Pelati

ELENA BERTOLINO

L’idea di organizzare un’uscita didattica nellariserva dei Monti Pelati con i miei allievi della pri-ma media di Vico mi è venuta dopo aver parteci-pato ad un’escursione di Terra Mia nell’autunno2003. Il capo-comitiva Valentino Truffa ci aveva,infatti, illustrato in modo molto coinvolgente al-cuni aspetti geologici e naturalistici della zona che,mi sembrava, potessero interessare anche i ragaz-zi. Inoltre, tra gli obiettivi dell’educazione scienti-fica, entrano a pieno titolo la conoscenza del terri-torio in cui si vive e l’analisi delle sue caratteristi-che ambientali, climatiche, antropiche.

La nostra gita, svoltasi il 10 maggio 2004, èiniziata con la visita del Centro di Documentazio-ne di Baldissero, gentilmente apertoci dalle Guar-die Forestali dell’Ente Parchi, che ci hanno anchefornito utile materiale bibliografico sul sito. (1)

Nei locali del Centro i ragazzi hanno imparatoa riconoscere i principali minerali della zona, han-no analizzato le specie vegetali più diffuse, raccol-te in un bellissimo erbario ed hanno osservatoesemplari imbalsamati della fauna locale (riccio,gufo, lepre…). Dopo questa tappa istruttiva, sia-mo partiti per l’escursione vera e propria, imboc-cando il sentiero 731, poco distante dal Centro diDocumentazione.

Qui erano visibili ampi solchi causati dall’ero-sione che caratterizza fortemente la zona; abbia-mo subito lasciato la “via ufficiale” per inerpicar-ci proprio lungo un vallone laterale, scavato dalruscellamento dell’acqua piovana e denominato dairagazzi “canyon dell’opale”, poiché vi si possonotrovare abbondanti tracce di questo minerale.

Risalito il vallone, siamo tornati sul sentiero edabbiamo attraversato il “bosco incantato”; questocurioso nome, inventato dagli alunni, deriva dal-l’aspetto magico e quasi spettrale del luogo, riccodi esemplari di pino silvestre, secchi ed anneritidai frequenti incendi che devastano la regione, resoancor più suggestivo dai voli e dal gracchiare deicorvi imperiali.

Questi volatili nidificano lungo le rive delChiusella ed hanno trovato qui un ambiente idea-le, specialmente da quando è stata aperta, poco di-stante, la discarica di Vespia che fornisce loro nu-trimento. (2)

Il sentiero costeggia, per un breve tratto, la spon-da del rio Vespianella, perciò abbiamo potuto os-servare dall’alto le cosiddette “Guje Caude”, luo-go ameno che, d’estate, offre refrigerio agli abi-tanti del posto.

Più avanti, il percorso subisce una brusca piegaverso il paese di Vidracco; sullo sfondo abbiamogià intravisto Torre Cives, simbolo per eccellenzadei Monti Pelati, ma, volgendo lo sguardo dietrodi noi, ci è apparsa una meravigliosa veduta pano-ramica di Baldissero, con l’imponente massicciodel castello e la chiesa di S. Martino, dalla caratte-ristica facciata in mattoni, col campanile antistan-te.

Un’escursione con i ragazzidelle medie di Vico Canavese suiMonti Pelati. Primi contatti con mi-nerali, botanica, avifauna...

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Terra Mia

La cava di magnesioIn questa zona una volta sorgeva una cava di

magnesite. I resti del sito minerario non sono mol-ti: muretti in pietra, ruderi di vecchie costruzioni,silenziosi testimoni di un’intensa attività lavorati-va passata.

Ci siamo fermati qui per uno spuntino, ma i ra-gazzi più intraprendenti hanno partecipato adun’avventurosa esplorazione “fuori pista” alla ri-cerca dell’imbocco di una vecchia galleria. Cono-scevo questo particolare, perché ci era stato indi-cato da Valentino Truffa: la galleria non serviva

La Torre Cives

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per l’estrazione del minerale che avveniva a cieloaperto, bensì per il suo trasporto dall’altra partedella collina. I giacimenti di magnesite furono og-getto di coltivazioni già alla fine dell’800 e ai pri-mi del ‘900. Ogni attività è comunque cessata pocodopo il 1941, a causa della scarsa richiesta, sulmercato, di queste magnesiti, poiché presentanoalcune caratteristiche (per esempio l’elevato teno-re di silice) che ne condizionano l’impiego nellaproduzione dei refrattari e nell’industria chimica(3). Al di là dell’aspetto tecnologico, i ragazzi han-no colto la bellezza delle “spruzzate” bianche dimagnesite che, tra le altre rocce rossastre, pareva-no in alcuni tratti il frutto di un’abbondante nevi-cata!

Panorama suggestivoIl cammino è ripreso lungo il sentiero che si

snodava praticamente sulla cresta della collina, per-mettendo quindi un’ampia visuale sul circondario:a sinistra le case di Vespia, le frazioni di Campo eMuriaglio, alcuni paesi della Valle Sacra, le cimedel Verzel e della Quinzeina; a destra Baldissero,Pramonico, Torre, S. Giovanni e la vastità dellapianura. Intorno a noi si estendeva il suggestivopanorama dei Monti Pelati: rocce rossastre (per ilferro contenuto) ricoperte da licheni (4), erbe altegiallognole, quasi secche, rari esemplari di arbustitipici: betulla, roverella, ailanto, ginepro, qualchepino silvestre. Tutto questo conferiva al luogo unfascino particolare, quasi da Far West.

Ad un tratto, nell’uniformità del paesaggio, cisono apparsi i ruderi di una costruzione: si trattavadella Chiesa di S. Rocco, ormai inaccessibile pervia della fitta boscaglia che la circonda. Abbiamo,infine, percorso il tratto finale del sentiero, giun-gendo presso un ampio spiazzo, dove un tempo siestendeva la cava “Nuova Cives”. La fila degli stu-denti si è sciolta, sparpagliandosi allegramente neidintorni.

Un gruppo di ragazzi ha raggiunto alcuni mac-chinari della cava abbandonati, trasformandoli inun estemporaneo parco-giochi; altri hanno stanato

i girini nelle pozzanghere; altri ancora hanno os-servato erbe, fiori, pigne, sassi, orme di animali.

La Torre CivesDopo la sosta, ci aspettava l’ultima fatica: una

ripida salita per raggiungere Torre Cives. Abbia-mo notato che il paesaggio intorno a noi era cam-biato: eravamo in una zona più umida, caratteriz-zata da rimboschimenti artificiali di conifere.

Questi interventi di ripristino della flora inizia-rono nel 1951 e proseguirono per circa un decen-nio ad opera di “cantieri scuola” finanziati dal Mi-nistero del Lavoro.

La scelta delle conifere era dovuta all’indiriz-zo tecnico-colturale del periodo, anche se si trattadi specie poco adatte alle caratteristiche ambienta-li del territorio (5). E’, tuttavia, innegabile che illariceto che circonda la torre abbia un notevolevalore estetico; proprio qui, infatti, affaticati dallasalita, abbiamo sostato per consumare il meritatopranzo al sacco presso i tavoli in legno dell’areaattrezzata.

Nel pomeriggio ci siamo dedicati all’osserva-zione più dettagliata dell’imponente costruzionemedioevale che ci sovrastava: la Torre di SanSilvestro, più comunemente detta Torre Cives, chesi fa risalire attorno al 1340, probabilmente nelcontesto delle guerre tra i conti canavesani. L’edi-ficio è a pianta quadrata, con una caratteristicascamozzatura diagonale; i blocchi in pietra che locostituiscono rivelano restauri in epoche successi-ve.

La costruzione presenta una struttura sempli-ce, squadrata, organizzata su più piani e con varilivelli di feritoie. I ragazzi, sull’onda della fanta-sia, hanno simulato antiche battaglie, calandosi neipanni di intrepidi guerrieri medioevali. (6)

Il Bertolotti, nel tomo V della sua opera “Pas-seggiate nel Canavese” riferisce che anche la Du-chessa di Genova, durante le sue escursioni nei din-torni di Agliè, rimase affascinata dalla bellezza delposto e vi fece preparare una sontuosa merenda acui prese parte con tutto il suo seguito.

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Dalle considerazioni storiche siamo, poi, pas-sati alla botanica: gli studenti hanno imparato ariconoscere e denominare alcune conifere: il lari-ce dalle foglie caduche, il pino strobo dalle grandipigne, l’abete rosso, il pino silvestre con il porta-mento irregolare, il cipresso ed il ginepro.

Poco distante dalla Torre, abbiamo visitato ilpiccolo parco comunale, sorto nel 1964, con la steleeretta in memoria di Adriano Olivetti, industrialedi larghe vedute; egli intendeva conciliare il lavo-ro in fabbrica con l’attività contadina, intuendo idanni che avrebbe provocato un progressivospopolamento delle campagne. Per questo avevafatto costruire uno stabilimento proprio nel paesedi Vidracco, dove si fabbricavano le custodie perle macchine da scrivere “Olivetti”. In questo modo,auspicava che i numerosi lavoratori, per lo più pro-venienti dai paesi limitrofi, non dovendo affronta-re un estenuante pendolarismo, trovassero ancorail tempo e l’energia per curare i loro campi.

Scendendo di poco, abbiamo raggiunto un in-teressante punto panoramico: davanti a noi siergeva la diga di Gurzia, che crea un vasto lagoartificiale che alimenta la centrale idroelettrica diPonte Preti (7). Appariva molto suggestiva anchela cascata formata dal torrente Chiusella all’uscitadal lago, ingrossata dalle piogge primaverili.

La nostra discesa è proseguita lungo una co-moda strada sterrata, chiusa da tempo alla circola-zione automobilistica; durante i lavori di costru-zione di questa via, nel 1955, furono ritrovate cin-que monete d’oro di epoca bizantina, attualmenteesposte al Museo d’Antichità a Torino.

Siamo, quindi, giunti presso il piazzale dellaChiesetta di S. Rocco, nel comune di Vidracco; qui,i ragazzi hanno osservato evidenti affioramenti di

serpentiniti, rocce derivanti dalla peridotite checostituisce gran parte del sottosuolo dei Monti Pe-lati. Con grande entusiasmo, hanno analizzato levarie sfumature di queste rocce che toccano tuttele tonalità del verde, del grigio e del nero, con ri-flessi azzurri e perfino violacei.

E’ così terminata la nostra gita, con un festosorientro a scuola in autobus, in un clima di soddi-sfazione e divertimento generale.

Ripensando a giornate come quella descritta,mi sorprende sempre la spiccata capacità di osser-vazione ed il gioioso entusiasmo dei ragazzi che,spesso, sanno cogliere nella natura particolari chenoi adulti tralasciamo o diamo per scontati. Que-sta loro naturale potenzialità è una sicura leva sucui innestare qualsiasi spiegazione scientifica piùteorica. Non solo: è anche un atteggiamento con-tagioso che ci invita a fruire dell’ambiente in modopiù spontaneo, percettivo, emotivo, cogliendone lasemplicità e la complessità allo stesso tempo.

NOTE

(1) “I Monti Pelati di Baldissero, importanza paesistica escientifica. Atti del Convegno 18 novembre 1989- Parella(TO)” a cura di Pier Mauro Giachino.

(2) Ulteriori informazioni sull’avifauna dei Monti Pelatisono reperibili sul sito www.parks.it/parchi canavese

(3) (4) Op. cit., intervento di L.M. Gallo e R. Piervittori(5) Op. cit. , intervento di Mario Lividori(6) “Dentro il giardino. Viaggio in Valchiusella” F.

Bortolozzo editore(7) Centrale idroelettrica di Ponte Preti, ENEL, opuscolo

distribuito in occasione di “Città a porte aperte”

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Eppure andando per i boschi od i sentieri dicampagna o di montagna o visitando orti (speciese abbandonati) od i parchi dei castelli e delle vec-chie abbazie, è ancora abbastanza facile trovarepiante da frutta diverse e dai frutti commestibiliche non troviamo più nei mercati, come: prugnoli,mele e ciliegie selvatiche, sorbole, azzeruole, ecc.

Purtroppo oggi si mangia “con gli occhi” e quan-do compriamo la frutta la scegliamo sempre bel-lissima (quasi lucidata) e di forma uniforme e per-fetta, ma spesso dal sapore insipido.

Figuriamoci allora quale accoglienza verrebberiservata alle nostre varietà di frutta antica, nonuniforme, con qualche ammaccatura, di colore avolte un po’ spento…ma dal sapore inimitabile.

E’ colpa anche del progresso: da una parte lemutate esigenze dei consumatori (e la fretta che licontraddistingue) e dall’altra le necessità dellacommercializzazione che per seguire le tendenzedei clienti esigono tempi sempre più stretti tra rac-

Alla ricerca dei frutti perduti(o quasi) nel Canavese

GIOVANNI BATTISTA COLLI

Quante persone conoscono o ri-cordano ancora i sapori antichi dellevarietà da frutta presenti nel nostroterritorio, come il sapore di una ne-spola, l’aroma di un corbezzolo, l’aci-dità di un’amarena, la freschezza diuna melagrana, la croccantezza di unamela selvatica?

colta e vendita (e quindi la frutta è raccolta spessoprima della completa maturazione, privilegiandole poche varietà d’ogni specie adatte a dare rendi-menti uniformi e più elevati ma con ricorso ab-bondante ai trattamenti chimici).

C’è quindi stato il progressivo abbandono del-le varietà di frutta che non davano adeguataremunerazione, portando quindi alla perdita di partedel patrimonio genetico naturale con un progressi-vo indebolimento delle varietà esistenti e consen-tendo così ai parassiti di danneggiare i raccolti edobbligando i coltivatori a trattamenti antiparassitarisempre più intensi.

Se pensiamo invece che la frutta antica ha mag-gior resistenza ai parassiti, diversificazione di va-rietà e di sapori, e quindi maggior genuinità, per-ché dobbiamo perdere per sempre queste ricchez-ze?

Siamo quindi andati a cercare le piante da frut-ta antiche, comuni ed anche quelle poco conosciuteo selvatiche, ancora presenti nel Canavese, scu-sandoci in anticipo per quelle…dimenticate.

ALBICOCCO (prunus armeniaca)Il nome discende dall’arabo (al) -barquq e l’al-

bicocco è considerato il frutto della longevità.E’ ampiamente coltivato fino ai 1000 mt. e, nei

nostri orti, è possibile trovare ancora la vecchiavarietà COSTIGLIOLE con frutti non grandi mad’ottima qualità.

AZZERUOLO (crataegus azarolus)lasarolo – rasaroloIn base al colore dei frutti abbiamo tre tipi prin-

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cipali d’azzeruolo: bianco, giallo e rosso. Un tem-po le “lazzeruole” erano vendute al mercato e moltoapprezzate, mentre ora questa pianta molto rusti-ca, spinosa e simile al biancospino, la possiamotrovare talvolta in boschi abbandonati delle nostrevallate o coltivata da qualche appassionato, per-ché è anche pianta bella ed ornamentale che nonrichiede cure particolari.

Ricordiamo che il legno veniva anche usato perla fabbricazione di diversi strumenti musicali.

BAGOLARO (celtis australis I) – spaccasassi– tanesca – guienda

Quanti hanno assaggiato i frutti di questo mae-stoso e robusto albero alto fino a 25 mt.? Fruttigrandi come piselli, dolci e commestibili, ma consemi molto grossi (e questi grossi semi duri unavolta erano usati per confezionare rosari).

Di questa pianta, un tempo molto coltivata infilari – ne troviamo ancora gruppi di esemplari neidintorni di Ivrea, Pont Canavese, Montalenghe eMontalto Dora (lago Pistono e lago Nero).

CASTAGNO (castanea sativa miller) –castagnè - arbu

Maestoso e longevo anche se con crescita lentail castagno è sempre stato considerato un vero eproprio albero del pane (infatti, il pane di monta-gna era fatto con farina di segale e di frumentomista per metà con quella di castagne) e con lafarina si faceva la polenta di castagne, altro piattofondamentale dell’alimentazione contadina.

Nel Canavese esistevano almeno 40 varietà dicastagni (in Italia se ne contano quasi 300 varietà)ed oggi, anche se il nostro territorio è molto riccodi queste piante, la coltivazione vera e propria èstata in molte zone abbandonata: troviamo ancoradelle coltivazioni in Valle Sacra e nella zona diNomaglio (dove è stato recentemente riadattatocome Ecomuseo il vecchio mulino che producevafarina di castagne).

Da ricordare il piccolo castagneto realizzato dal

filosofo Piero Marinetti nel suo podere di Spineto(Castellamonte) dove si era ritirato nel 1932 ed ilmonumentale castagno plurisecolare di 7 mt. dilarghezza esistente nei pressi di Andrate.

CILIEGIO SELVATICO (prunus avium) –cirésa – cerèsa - ceresiole

Questa pianta è l’emblema della grazia e dellafemminilità ed è uno degli alberi da frutta più dif-fusi nel mondo.

Comune nei boschi e nelle vallate canavesane loritroviamo addirittura nel Parco Nazionale del GranParadiso a Ceresole (che probabilmente ha tratto ilproprio nome dal fatto che nell’antichità esistevanoforeste di ciliegi selvatici, i cui frutti erano chiamati“ceresiole” nella lingua locale).

I frutti sono piccole drupe – nere o rosso scuro amaturazione – un po’ amarognole che nell’Europacentrale le popolazioni povere mangiavano come zup-pa (bollite secche nell’acqua con pane ed un po’ diburro).

Da vedere il solitario ciliegio selvatico del Lagodi Meugliano ed anche il CILIEGIO CANINO(prunus mahaleb) - che troviamo ad esempio tra illago Nero ed il lago Pistono nella zona di MontaltoDora – il cui legno era utilizzato per la fabbrica-zione di pipe, dato l’alto contenuto di cumarina(aromatizzante del tabacco).

CORBEZZOLO (arbutus unedo) – froled’natal – frola marina

Anche se quest’albero longevo e sempreverde– che simboleggia risparmio, previdenza ed ospi-talità – è tipico della macchia mediterranea, lo tro-viamo coltivato anche nel Canavese per la sua bel-lezza ornamentale e per la bontà dei suoi frutti.

E’, infatti, chiamato “albero del tricolore” per-ché ha la particolarità di fiorire e di fruttificare al-l’inizio dell’inverno: per questo troviamo in mez-zo al suo fogliame verde i fiori bianchi ed i fruttidi un bel rosso vivace.

Il miele di corbezzolo poi è uno dei più pregiatimieli monoflora.

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CORNIOLO (cornus mas I.) – curnalin –curnai

Simbolo di coraggio e di forza è pianta ancoraabbastanza diffusa - allo stato spontaneo la trovia-mo fino a 1500 mt. – e caratteristica per la sua fio-ritura precoce dalle bellissime infiorescenze gial-le. Produce un frutto rosso, grande come un’oliva,commestibile, anche se di sapore un po’ acidulo(ma ottimo per fare marmellate): alcuni anziani ri-cordano che una volta le corniole erano canditenel miele o conservate in salamoia come le olive.

Si racconta che con il legno di corniolo – moltoduro e duraturo – sia stato costruito il famoso “ca-vallo di Troia”.

Un gruppo di bellissime piante di corniolo leabbiamo trovate nella zona di Castellamonte.

COTOGNO (cydonia oblonga) – mela coto-gna

Albero anche questo un po’ dimenticato - sitrova fino ai 500 mt. - ma ancora coltivato nelCanavese che dà frutti aspri ed astringenti

Andrate, gigantesco castagno di ben 7 m. di diametro

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mangiabili solo dopo essere stati tenuti in luoghifreschi e bui per circa un mese affinché si ammor-bidiscano.

Solitamente i frutti sono utilizzati per fareconfetture di marmellate molto saporite.

CRESPINO (berberis vulgaris) – berberis –spina sauta – spina acida - spinetto

E’ un arbusto spinoso che troviamo fino ai 2000mt. circa con fiori gialli poco appariscenti e fruttidi colore rosa-arancio, commestibili quando benmaturi, ma aspri ed impiegati soprattutto per laproduzione di marmellate.

Nel nostro territorio lo troviamo coltivato an-che come pianta ornamentale.

GELSO NERO (morus nigra) – GELSOBIANCO (morus alba)

Il gelso era considerato nell’antichità il più sag-gio degli alberi, poiché emette le foglie quando nonsono più da attendersi gelate tardive: pertanto glierano attribuite pazienza ed intelligenza.

Il GELSO NERO è considerato la pianta dafrutto vera e propria (con le sue more carnose nero-

violacee) ed è sempre stata coltivata nel Canavese.Vogliamo invece ricordare il GELSO BIAN-

CO (le cui more commestibili hanno un saporeleggermente acido) che era utilizzato in passato perla produzione di foglie destinate all’allevamentodel baco da seta e, mescolate con altri alimenti,anche come cibo per molti animali (dai maiali aiconigli).

I filari di gelso bianco un tempo erano quindiampiamente diffusi anche nelle nostre zone, poi,con l’abbandono dell’allevamento del baco da seta,gli alberi vennero man mano eliminati ed ora èmolto difficile trovarne nelle nostre campagne.

GIUGGIOLO (zizyphus vulgaris) – zizore –alliè

In oriente il giuggiolo è simbolo di immortali-tà. Questa pianta – molto decorativa – preferisceluoghi a clima invernale mite, quindi nel Canavesela troviamo solo coltivata in zone riparate od ad-dossata ai muri di orti e giardini fino ai 600 mt.Le “giuggiole” a maturazione – quando cioè labuccia diventa di colore nocciola scuro – sono disapore gradevole dolce ed un po’ acidule.

Corbezzolo (arbutus unedo)

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MELOLa mela è, secondo la mitologia, il frutto magi-

co e miracoloso (si dice, infatti, che “una mela algiorno toglie il medico di torno”) che procura co-noscenza e saggezza e, per la sua rotondità, raffi-gura il globo terrestre.

Moltissime sono le storie e le favole nelle qualicompaiono le mele (da Adamo ed Eva – anche seil frutto proibito è stato erroneamente identificatocon la mela – a Guglielmo Tell, da Biancaneve aNewton, e così via) ed il motivo è abbastanza sem-plice perché la melicoltura è conosciuta e pratica-ta da tempi immemorabili.

Abbiamo il MELO SELVATICO (malussylvestris) utilizzato largamente come portainnestoper fruttiferi e dal quale è stata selezionata buonaparte delle varietà di meli coltivati, che troviamosui rilievi collinari della pedemontana ed in pianu-ra (le mele selvatiche cotte o crude sono semprestate presenti nell’alimentazione dei nostri conta-dini) ed il MELO COMUNE (malus domestica)coltivato nel Canavese – secondo le fonti storiche– già nel tardo Medioevo, specie nell’areapedemontana, mentre la frutticoltura piemontesevera e propria comincia sul finire del 1700.

Moltissime sono le varietà di meli quasi scom-parsi che abbiamo ritrovato nel Canavese, anchese per tante varietà è molto difficile darne una pre-cisa classificazione.

Ricordiamo le varietà Runsè, grigia di Torriana,Sciampagnin (renetta di champagne), pum d’laMartina, Ferminel, Annurca, pum d’la Madona,Magnana, pum d’san Jacco, pum d’la Cumposta,ecc. Non dimentichiamo poi quelle che troviamonel “Meleto”, residenza estiva del poeta GuidoGozzano ad Agliè.

MELOGRANO (punica granatum)Detto anche pomo granato - è simbolo di fertilità

e prosperità - ha rami spinosi ed è conosciuto edutilizzato da tempi antichissimi (ne parlano la Bib-bia nel “Cantico dei Cantici” ed Omeronell’”Odissea”).

Lo troviamo coltivato, anche se non frequente-mente, nelle nostre zone per la straordinaria bel-lezza della sua fioritura e la bontà dei frutti (gusto-si e duraturi che produce in zone protette dal fred-do intenso e dai venti del nord).

E’ un albero da rivalutare (ormai raramente ca-pita di vedere le melagrane nei nostri mercati) an-che perché ha il pregio di non avere bisognod’antiparassitari, perciò è pianta in sostanza biolo-gica.

NESPOLO COMUNE (mespilus germanicaI.) – pùcio – nespol

A questa pianta sono attribuite virtù come laprudenza e la pazienza (poiché si carica di frutti inetà avanzata) e, secondo alcuni anziani, protegge

Corniolo (Cornus mas I.)

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anche dalle stregonerie (per tale motivo era sem-pre opportuno avere un nespolo nel proprio giardi-no).

La troviamo anche come pianta spontanea –forse inselvatichita – fino ai 1000 mt. sui primirilievi alpini ed in alcune zone della pedemontana:è, infatti, molto rustica e resistente ai geli inverna-li e la si nota per la fioritura che avviene in maggio(fiori bianchi e molto belli). I frutti sono stati con-siderati per secoli una leccornia, anche se si pos-sono mangiare solo dopo essere stati a maturare supaglia o trucioli (come dice il proverbio “col tem-po e con la paglia maturano le nespole”).

Diverso è invece il NESPOLO DEL GIAP-PONE (eriobotrya japonica) – considerato albe-ro portafortuna- che è coltivato nel Canavese es-senzialmente per il suo aspetto ornamentale – èpianta sempreverde - poiché i frutti maturano inprimavera ma solo dove il gelo non abbia bruciatoi fiori.

NOCCIOLO (corylus avellana I.) – nisciula– corla o coler

Come tutti forse sanno le bacchette magichedelle fate – di una volta – erano tradizionalmentedi nocciolo ed i rami sono ancora usati dairabdomanti per cercare l’acqua.

Quest’albero, ampiamente coltivato (ed il Pie-monte è uno dei principali produttori italiani) lotroviamo frequentemente allo stato selvatico intutto il Canavese sino ai 1200 mt. circa ed è parti-colarmente abbondante in Val Soana. Straordina-ria è la fioritura in febbraio, quando i rami si co-prono interamente d’amenti gialli.

NOCE (juglans regia)Il frutto del noce è simbolo di abbondanza e

questo bellissimo albero, dal portamento espanso,lo troviamo frequentemente fino ai 1200 mt.

Le noci sono sempre stato nutrimento preziosoper le popolazioni montane che ricavavano dal

Melo “curnalun”

Melograno

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gheriglio un olio commestibile, utilizzavano i fruttiimmaturi per fare il nocino e, in mancanza di ta-bacco, le foglie secche erano sminuzzate nella pipae fumate.

I resti di un antico frantoio dove erano macinatele noci lo troviamo a Colleretto Castelnuovo, inValle Sacra, ma non è raro trovare piccoli frantoifamiliari nelle vecchie case coloniche di montagna.

OLIVELLO SPINOSO (hippophaerhamnoides) – olivella – vetrice spinosa

Salendo fino ai 1700 mt. possiamo trovarequest’alberello spinoso che in autunno dà frutti dicolore arancio, molto aciduli ma commestibili (uti-lizzati quindi per produrre marmellate).

Alcuni anziani ricordano ancora che un tempoi frutti erano conservati sotto aceto come i cetrioli-ni e le cipolline.

OLIVO (olea europea sativa)E’ notoriamente il simbolo della pace e della

fratellanza ed albero sacro per le grandi religionimonoteistiche e non vi è leggenda antica che nonlo citi.

Secondo il filosofo greco Democrito nutrirsi dimiele ed ungersi d’olio d’oliva era un sistema si-curo per vivere a lungo in buona salute (sarebbemagari da suggerirsi anche ai giorni nostri in sosti-tuzione di qualche pillola di troppo…).

Sebbene siamo abituati a considerare l’olivocome albero dei paesi caldi, lo troviamo inveceanche nel nostro territorio poiché cresce bene sul-le colline esposte al sole ma non disdegna la pia-nura: quasi tutti i castelli del Canavese, le riccheresidenze nobiliari ed i monasteri hanno avuto espesso li hanno ancora, piante di olivo. Ad esem-pio nel castello di Masino è conservata una pressaper olio.

Le varietà coltivate in Italia sono almeno 200 etuttora abbiamo presenza di olivi tra Albianod’Ivrea e Chiaverano, nella zona dei laghieporediesi ai piedi del Mombarone, nei dintornidel castello di Castellamonte, in Valle Sacra, nella

zona di Montanaro ed a Vialfrè (dove è iniziato unallevamento di olivi con l’obiettivo di costruireanche un frantoio).

PERO COMUNE (pyrus communis) –peirLa pera è considerata un cibo sano per eccel-

lenza e non vi è orto o giardino nel quale non visiano piante di pero, anche se le varietà offerte dalmercato hanno finito per farci dimenticare il sapo-re delle nostre antiche varietà, come ad esempio:Curato (detta anche pera del Curato, diffusa in col-lina e nota anche come Coscia di donna – cosa ‘ddona), Madernassa, Martin sec o Cannellino (ab-biamo anche trovato qualche varietà di Martin dop-pio e di pero Martinone – martinun), peir busal,peir burer, peir gamognin o gamuijn, peir brut ebun, peir san Giuan, peir san Jacco.

Sui rilievi collinari, nei boschi e negli arbustetifino ai 1000 mt. è possibile trovare ancora qualcheesemplare di PERO SELVATICO (perastro –pyrus pyraster) con frutti di sapore acidulo e diPERO CORVINO (amelanchier ovalisMedicus) dai frutti piccoli e blu-nerastri amaturazione, con polpa dolce, commestibili ed untempo raccolti dalle popolazioni di montagna perla produzione di conserve.

PESCOLa foglia del pesco in Egitto simboleggiava il

silenzio. Il Piemonte è uno dei maggiori produttoridi pesche e le varietà moderne coltivate sononumerosissime.

Noi vogliamo però ricordare alcune varietà di-menticate che crescono ancora nel Canavese comeil pesco ‘dla vigna (che troviamo in particolare lun-go i filari di viti abbandonati) ed il pesco di sanJacco.

SAMBUCO NERO (sambucus nigra) –sambùch – sambùgh

Molto decorativo in primavera, quando si vestedi bianco e manda il suo classico profumo, è pre-sente fino ai 1300 mt. in tutto il Canavese come

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pianta spontanea, anche se indice di degradamentodei boschi. E’ pianta che non mancava mai pressole case dei contadini perché preziosa dal punto divista alimentare (infatti anche se le bacche non sonocommestibili fresche, servono per fare delle deli-ziose marmellate ed i fiori sono ottimi consumatiin frittate e frittelle) e per i molteplici usi terapeutici(si utilizza in pratica tutta la pianta: radici, cortec-ce, foglie, fiori, frutti).

Quanti sono poi quelli che si ricordano di averesvuotato da bambini l’interno dei rami di sambucoper farne fischietti e cerbottane ?

SORBO DOMESTICO (sorbus domestica)– aulié – pervàn – tamalina

Il sorbo simbolicamente rappresenta la pruden-za poiché cresce lentamente ma in maniera robu-sta. Il sorbo domestico, a differenza del sorbo de-gli uccellatori, nel Canavese, ed in Piemonte ingenere, è piuttosto raro allo stato spontaneo e vie-ne coltivato anche raramente nonostante la bontàdei frutti (le sorbe) variegati nei colori verde, gial-

lo o rosso. Qualche esemplare coltivato l’abbiamotrovato nei dintorni di Castellamonte.

Alcuni anziani si ricordano che in passato sifacevano fermentare le sorbe per ottenerne bevan-de.

Pianta invece abbastanza diffusa sino ai 1000mt: è il SORBO MONTANO o FARINACCIO(sorbus terminalis) con frutti rosso arancio amaturazione, farinosi ed usati per farne conserve.

SUSINO (prunus domestica) – prunoAmpiamente coltivato lo troviamo anche pre-

sente, inselvatichito, fino ai 1000 mt. ed oltre.Vogliamo solo ricordare le vecchie e buone varie-tà di susine RAMASSIN nei loro colori viola, gialloe rosso.

Antenato del susino si ritiene sia il PRUGNOLOSELVATICO (prunus spinosa) i cui frutti, prugnolio susini di macchia, sono aspri e tannici e possonoessere mangiati solo dopo le prime gelate: sonoquindi usati per fare marmellate e liquori (ad esem-pio si usava per insaporire il gin).

Nespolo comune “puciu”

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Questo albero spinoso è comune in tutto ilCanavese ed è anche invadente, specie nei vignetiabbandonati.

VITE (vitis vinifera)Il Canavese è terra ricca di vigneti che, abban-

donati, in tempi recenti si stanno recuperando perprodurre anche vini DOC che ben si conoscono.Quest’interesse per la viticoltura ha anche portatoa ricercare e riscoprire i vitigni autoctoni delCanavese, dai quali i nostri contadini hanno sem-pre ricavato il loro vino quotidiano.

Ne ricordiamo alcuni: neret di Bairo e di SanGiorgio, neretin di Strambinello, neret d’romen diRomano, nerèt dal bosc bianc o nerét ‘d rein diCastellamonte, vernassa o renét dal picul rus di

Carema, duras di Quincinetto, muster dal mounfràdi Cuceglio.

Questa ricerca (sicuramente incompleta) vuolerichiamare alla nostra attenzione la ricchezza delpatrimonio naturale che ci appartiene e che sareb-be utile riscoprire al fine di conservare le varietàdi frutta che hanno rappresentato – nei decenniappena trascorsi – una delle fonti principali di ali-mentazione per le genti del nostro Canavese.

E’ importante citare a questo proposito un’ini-ziativa dell’Associazione Rosmarino di Chiaveranoche ha curato un giardino delle erbe aromatichecon uno spazio dedicato ad alcune piante da fruttadimenticate: la speranza è che non rimanga inizia-tiva isolata.

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La festa del maggengoe le terre ballerine

PIER ANGELO PIANA

A tale fine sono nate la festa del maggengo, latransumanza di salita e del ritorno,la festanell’alpeggio, la vendemmia e la raccolta delgranoturco.

Per la festa del Maggengo l’Azienda Turisticaha scelto la frazione S. Giovanni di Castellamonte,che ha avuto luogo il5 giugno scorso presso la ca-scina Andrina di Rosanna Buffo Blin nota“agriturista” della Valle Sacra.

Con l’arrivo del primo caldo di maggio corri-sponde il primo taglio del fieno: il così dettoMaggengo; le cascine ed i villaggi rurali sirianimano e si festeggia la conclusione del primoperiodo delle grandi fatiche contadine.

Per l’occasione il gruppo di animatoriSangiovannesi ha dato vita alla rievocazione ormai“storica” delle antiche fienagioni, dandosi appunta-mento sul piazzale della chiesa dell’antica frazione.

Agghindati di tutto punto come i contadini del

passato, e con il corredo di vecchi attrezzi da lavo-ro saltati fuori da chissà dove, il gruppo si è in-camminato lungo la vecchia strada campestre checonduce alla cascina Andrina ove un vastoappezzamento di fieno già tagliato era in attesa diessere girato, rastrellato e raccolto. Un’altra gran-de distesa di erba ormai “matura” attendeva il pri-mo taglio primaverile.

Ospiti della “festa” ed animatori del luogo han-no così avuto modo di cimentarsi con bastoni, tri-denti, forchini e rastrelli per girare, raccogliere incovoni (le tapèle e i fenareuj) il fieno ormai seccoe pronto per essere caricato sui carri e da lì costipatonella “travà” della cascina.

Altri si sono invece cimentati in compiti assaipiù ardui con la “ranza” da “martellare”, “affilare”al fine di procedere al taglio dell’erba verde e alta.

Nel frattempo le donne preparavano i gustosi“canestrelli” che, innaffiati di buon vino fresco,offrivano un primo ristoro a tanta fatica.

All’imbrunire, sull’aia, erano stati predispostii tavoli per la cena che ha riproposto puntualmentei cibi e le pietanze gustosi dei tempi andati: salamedella duja, acciughe al verde, pinzimonio, zucchi-ne in carpione, cipolle ripiene, brodo di gallina conpasta reale, fritto misto di un tempo (cotoletta, sal-siccia, fegato, bargigli di gallo di primo canto, se-molino e frittelle), per chiudere con “toma” e“tomini” e frutta di stagione. Il tutto innaffiato dibuon vino delle colline e rallegrati dal suono dellefisarmoniche.

I campi balleriniPoi col scendere della notte, e per l’umidità del

L’Azienda Turistica Locale(ATL) del Canavese e delle Vallidi Lanzo, dopo i “Pranzi Reali” hadato vita ai cosiddetti pranzi della“Gaia Tavola” dove ogni parteci-pante diventa protagonista di anti-che tradizioni e feste, scoprendo trarealtà e leggenda, la vita rurale diun tempo

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luogo, sede di una preistorica palude, è scesa pun-tualmente la nebbia e, con essa, il magico effettodi un lago, improvvisamente comparso alla vistadegli ormai “allegri”festeggiatori del “maggengo”.

Questo fenomeno riportava i presenti a com-mentare il fenomeno palustre delle terre che “bal-lano” mentre si cammina e che nel passato aveva-no creato non pochi problemi agli animali al pa-scolo ed in particolare ai carriaggi agricoli che visprofondavano.

La superficie della “palude” è di circa 200 gior-nate piemontesi. Già antico lago morenico e poitorbiera ha ospitato i nostri progenitori dall’età delBronzo alla tarda età Romana; in quest’ultima sonostati rinvenuti reperti preistorici di un certo valore(tra i quali alcune piroghe) raccolti nel Museo del-le Antichità di Torino, ma che, prossimamente, sa-ranno esposti nel Museo Archeologico di Cuorgnè.

Questa prateria già utilizzata a pascolo, sotto lacotica erbosa ed il fondo morenico contiene unostrato di melma profondo circa dieci metri, com-posto a sua volta da un primo strato gelatinoso dicolore nero-verdastro ed un secondo strato di mel-ma chiarissima di tipo glaciale. Questa superficie,se sollecitata, “balla” sulla melma con l’effetto diun materasso ad acqua. I visitatori, divisi in duegruppi ed invitati a saltare alternativamente, per-cepiscono il fenomeno e possono osservare gli ar-busti che “ballano” a diversi metri di distanza.

La conoscenza di questo singolare fenomenoha ormai superato i confini locali, grazie al susse-guirsi di visitatori di “Città d’arte a porte aperte”organizzate dal Comune ed alle scolaresche gui-date dai soci di “Terra Mia” di Castellamonte. Leterre “ballerine” offrono a tutti un inequivocabilesenso di piacevolezza.

Tutti all’opera(foto Pierangelo Piana)

In basso: il gruppo dei lavoranti ( e non)(foto Pierangelo Piana)

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La sorpresa di Vialfrè:extra vergine da record

A CURA DELLA REDAZIONE DI TERRA MIA

Alla fine dell’ultima glaciazione del Würm que-sti luoghi si coprirono di una fitta selva, che anco-ra oggi è presente con querce, frassini e castagni,al pari di un bacino lacustre residuo, in cui sguaz-zano anatre selvatiche ed oche e si abbeveranopoiane ed aironi cenerini e, forse, nel passato an-che lupi dal vello nero, che oggi campeggiano sim-bolicamente sul gonfalone del Comune….

Visitando le alture moreniche di questo recon-dito angolo del Canavese, sembra di entrare in unluogo magico e mitologico, tipico dei luoghi sacriceltici ove i sacerdoti Druidi evocavano deiimmaginifici e raccoglievano erbe ed arbusti per iloro filtri magici.

Orbene in questo luogo, chiamato Pianezze diVialfrè,due anni or sono, 6000 giovani Scout dellacattolica Agesci, hanno organizzato il loro radunonazionale installandovi una vasta tendopoli contutto l’occorrente logistico.

Il “catino” naturale di questo sito, che si rag-giunge da S. Martino, come da S. Giorgio e daCuceglio, offriva uno spettacolo incredibile: unbrulicare di giovani bene organizzati che dedica-vano la loro giornata, dopo la messa mattutina, ailavori manuali di assetto della tendopoli, ai cantied ai giochi ed in particolare intenti a discutere iloro problemi. Non vi è stato spazio per l’ozio.

“Uno spettacolo indimenticabile e di grande ri-

sonanza per il nostro piccolo comune”, raccontaLuigi Baratono, Sindaco del tempo, (oggi in pen-sione, dopo aver concluso nel giugno 2004 i duemandati amministrativi previsti dalla legge, sosti-tuito dal suo vice Sindaco Giovanni Berno), mache nel contempo ha richiesto un grande impegnodi preparazione del territorio attrezzato e dotato ditutti i servizi in quanto, come primo cittadino epubblico ufficiale rispondeva, in primis, della buo-na riuscita dell’imponente manifestazione, che pra-ticamente gli ha tolto il sonno per tutto il corsodella sua durata. Soprattutto, prosegue il Sindaco,a causa di un violento temporale, che alcuni gior-ni prima del raduno si era abbattuto sul luogo del-l’accampamento provocando lo sradicamento dinumerose piante e allagamenti. Lascio immagina-re lo stato d’animo e l’ansia suscitati in me e neimiei collaboratori! tanto da rimanere sempre al-l’erta per tutta la durata del campeggio: notte e gior-no col naso all’insù a scrutare il cielo.

Il “labirinto”A dominare il vasto “catino” di Vialfrè, è stato

ideato il progetto “ i tempi delle pietre”, prima re-alizzazione in Canavese di un’opera di Land Art.Si tratta di un labirinto costruito dai coltivatori delluogo utilizzando le pietre lasciate dal ghiaccio eprogettato da Lidia Masala.

I muri a “secco” del labirinto sviluppano unpercorso di alcune centinaia di metri. L’opera, rea-lizzata nell’autunno del 2001, è utilizzata ancheper rappresentazioni teatrali all’aperto; ed ha giàcoinvolto sino ad ora alcune centinaia di scolari edi studenti della zona, oltre ad essere centro visita-

La comunità locale fa rinasce-re la coltivazione dell’ulivo nel-l’anfiteatro morenico

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to da adulti e bambini per un piacevole picnick.L’opera di Land Art di Vialfrè conclude altresì

un percorso creato nell’anfiteatro morenico diIvrea, che parte dal museo situato nella chiesa diS. Michele, dove si assiste alla proiezione relativaalla “storia” del territorio e prosegue lungo como-di sentieri alla visita dei massi erratici vialfredesiche furono sospinti e abbandonati dal ghiacciaiovaldostano

Sul verde delle colline spicca l’argento degliulivi

Sono forse stati i Romani ad impiantare l’ulivoin Canavese: coltivazione che, ormai, si estendecopiosa, sulle colline moreniche di questa regionericca di laghi, che favoriscono un microclima par-ticolarmente adatto a questa coltura. La coltiva-zione dell’ulivo non è dunque un fatto nuovo.

Abbandonata probabilmente a causa delle in-vasioni barbariche e l’incuria dell’uomo, in questiultimi anni essa ha ripreso vigore.

L’ulivo, come ci spiega l’ex Sindaco di Vialfrèe Presidente dell’ Associazione piemonteseolivicoltori (ASSPO), è pianta robusta ed assaigenerosa, ma per dare il meglio di sé ha bisogno dicondizioni ambientali ottimali, come una buonaesposizione degli impianti, estati secche e tempe-rate, inverni non molto severi. La pioggia è un fat-tore decisivo, possibilmente concentrata nel peri-odo della fioritura, seppure non intensa.

In Piemonte sono ormai diffuse piccole produ-zioni, ancora poco significative dal punto di vistaeconomico e commerciale, scrive Dario Bragaglia(Specchio, n.412, 2004), che tuttavia già si distin-guono per il livello qualitativo.

Soprattutto sono l’avanguardia di un movimento

L’opera di Land Art “Lab-Ir-Into”di Lidia Masala

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che, da qui a qualche anno, permetterà di confron-tare l’olio piemontese con quello di altre regionidistanti dalle sponde mediterranee ma, in alcunicasi già presenti sul mercato con valide etichette.

I ricercatori del Censis-Cnr di Torino hanno censitooltre 16 mila piante d’ulivo in Piemonte, di cui 400piante in Valle d’Aosta e circa 3000 in Canavese.

Probabilmente il numero reale è superiore, perchémolte piante sfuggono all’indagine statistica.

La vocazione alla coltivazioneFinora dalle nostre parti era stato solo il piace-

re di avere una o più piante in giardino, come di-mostrano i due esemplari quasi cinquantenari cheombreggiano l’abitazione di Baratono.

Ma, da alcuni anni, anche il comprensorio diVialfrè si sta trasformando in una vocazione allacoltivazione e sul verde delle colline spicca l’ar-gento degli ulivi.

Scorcio di Vialfrè conpiantagioni di giovani ulivi

In basso: ramo di un giovane ulivo (foto Nico Mantelli)

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Sono state impiantate, sin’ora, circa 700pianticelle (cultivar) d’ulivo di varie specie (so-prattutto leccino, marino (per l’impollinazione) oascolana) al fine di determinare la pianta che resi-sterà meglio alle condizioni climatiche del luogo eche sarà in grado di fornire la qualità migliore diolio. Lo scorso anno Luigi Baratono, insieme a PinoPatrucco di Cuceglio, ha prodotto circa 300 litri diextravergine di prima qualità per uso familiare.

Si resta ora in attesa che i nuovi impianti entri-no in produzione così da porre in vendita l’olio di

Vialfrè come prodotto di nicchia. Nel contemposono state avviate le pratiche per l’acquisto e l’in-stallazione di un frantoio, che sarà messo a dispo-sizione degli olivicoltori canavesani. meritandol’attenzione e l’incoraggiamento di Slow Food.

Per ora si tratta di piccole produzioni di olioche, però, si distingue già a livello di qualità, che èl’obiettivo degli olivicoltori del luogo.

La guida degli “extravergini” dei prossimi annipotrebbe citarli per la prima volta, consacrando cosìl’extravergine del Canavese.

Veduta di Vialfrè

In basso: i giovani scoutpartecipano alla messa al campo

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Cronaca e ricordi di un mondoscomparso raccontati dal compian-to medico condotto Costantino DeRossi Nigra, ripresi dal periodicodella Pro Loco “Castellamonte no-tizie” del 1971

Risulta, scrive il dott. De Rossi, che fin dallafine del 1600, fu funzionante in Castellamonte unteatrino inserito presso l’oratorio della chiesa diSan Francesco (già Caserma dei Carabinieri). Inquesto teatrino si conservavano i costumi per i per-sonaggi della “Via Crucis”, sacra rappresentazio-ne, che si svolgeva per le vie del paese il venerdiSanto, coi personaggi del Vangelo interpretati to-talmente da castellamontesi.

Nel teatrino, oltre all’attività dei Filodrammaticilocali, erano ospitate Compagnie drammatiche to-rinesi per spettacoli vari (1853-1855).

Il Teatro SocialeNel 1861 viene inaugurato il nuovo Teatro So-

ciale, costruito col concorso di sottoscrizione pub-blica di azioni di £ 100, pagabili a rate di 5 Lire.

Il progetto fu redatto dall’ing. Avenatti e deno-minato “Sala Convegno e del Teatro diCastellamonte”. L’edificio (oggi ristrutturato) sor-se al termine della Rei Neuva “Via Nuova”, l’at-tuale Via Educ. Il costo dell’opera ammontò a Lire18.000!

Nel 1867 il nuovo teatro si trasforma in

La vita teatralea Castellamonte

A CURA DELLA REDAZIONE DI TERRA MIA

lazzaretto per ricoverarvi i malati di colera, epide-mia che miete 200 vite umane.

Si recita una volta il mese!Nel 1897 i giornali dell’epoca parlano di spet-

tacoli mensili della Filodrammatica locale, citan-do i nomi di Elvira Bertolino (prima donna),Maspes, Ribaud, Felizzatti, Allaira… Presidentedella Filodrammatica fu per molti anni il compiantodott. Giacomo Buffa.

Tra i ricordi più significativi il dott. De Rossimenziona le recite del 1905 (La figlia di Iorio) proterremotati della Calabria e del 1911 per la vitto-riosa campagna di Libia e la presenza dell’attoretorinese Barnato, che nello stesso anno allestisceun ciclo di recite domenicali nelle quali primeg-giano i locali Albino Perino, Oreste Gedda e la si-gnorina Pèria.

Tra i giovani e promettenti attori è ricordatoanche il promettente e allora tredicenne CarloTrabucco che, divenuto giornalista scriverà opereteatrali, oltre al famoso libro “Questo verdeCanavese”, nonché primo cittadino e realizzatoredella prima Mostra della Ceramica e del Refratta-rio.

Il teatrino parrocchialeSi attiva dopo il primo conflitto mondiale con

recite di giovani dilettanti per soli maschi ed altreper sole femmine. Detta attività, seppur a fasi al-terne, proseguirà anche dopo il secondo conflittomondiale con larga partecipazione di pubblico. Dalgruppo teatrale della parrocchia trasmigreranno allaFilodrammatica alcuni promettenti attori. Saltia-

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mo di pari passo l’elencazione delle innumerevolie impegnative rappresentazioni, ma sottolineiamocome le recite avevano finalità benefiche e, in par-ticolare “Pro Casa della Musica” e “ Pro RicoveroDomenica Romana” di Castellamonte.

Dal 1930 e sino al 1940 la Filodrammatica diCastellamonte coglie i più lusinghieri successi sinoa vincere il concorso indetto dalla provincia diAosta, cui allora apparteneva Castellamonte.

La filodrammatica “G. Giacosa” e quella del“Movimento Comunità”

Si arriva così all’ultimo dopoguerra- prosegueDe Rossi – e la compagnia dilettanti, persuasa diaver raggiunto un notevole grado artistico, si dàuno statuto e prende il nome del grandecommediografo canavesano Giuseppe Giacosa.

Fra le numerose rappresentazioni nel 1946 laCompagnia, in occasione del CongressoEucaristico Diocesano a Castellamonte, presenta

la “Rosa di Magdala” innanzi ad un foltissimo pub-blico accorso da tutto il Canavese.

Prende poi il sopravvento il repertorio dram-matico di cui ricordiamo “Il Cardinale” interpreta-to dall’impareggiabile cav. Camillo Fornengo, com-pianto Capo ufficio di Stato civile del Comune, e“Tristi Amori” del Giacosa alla presenza delle fi-glie dell’Autore.

“ Non posso dimenticare – scrive ancora il dott.De Rossi – in questa rapida rassegna la Compa-gnia Filodrammatica Castellamontese del “CentroComunitario” che, in aperta, ma leale competizio-ne con la “Giacosa” presentò sulle scene impegna-tivi lavori teatrali come “Spettri” e “Spirito Alle-gro”: tra gli attori di questa compagnia ricordiamoil rag. Bergia, Carla Mazzocchi, le sorelle Rinaldi...

L’ultimo exploit degno di menzione è la meda-glia d’oro assegnata nel 1963 alla filodrammatica“G. Giacosa” nel corso della “Rassegna di Prosa diChiaverano”.

Gli amici della Compagnia teatrale “G. Giacosa”, 1971(foto arch. Giuliana Stella), con al centro il compianto

Sindaco Carlo Trabucco

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Terra Mia Soc. d’Arte Drammatica “G. Giacosa”, 1951(foto archivio Giuliana Stella)

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Cala il sipario“Poi? La fiaccola artistica venne gradatamente

affievolendosi fino a spegnersi del tutto. Le causedi questa scomparsa devono essere attribuite allasempre più scarsa recettività del palcoscenico delnostro teatro e alla sicurezza oltre che alla capien-za dello stesso, anche se aveva pure ospitato com-pagnie di professionisti di alto livello (Baseggio,Melnati, Casaleggio, Giovampietro, ecc); all’av-vento della televisione e al disinteresse delle gio-

vani leve per le fatiche teatrali le quali esigevanoper ogni spettacolo lunghe settimane di prepara-zione”.

I filodrammatici concludevano così il loro ci-clo di recite a Castellamonte. La compagnia tea-trale “Giuseppe Giacosa” ha divertito per decenniil pubblico, che la seguiva con tanta passione, dopoaver raggiunto un ottimo grado di affiatamento edaver elargito il ricavato degli incassi ad enti, amanifestazioni ed a iniziative castellamontesi”.

Soc. d’Arte Drammatica “G. Giacosa”, 1951(foto archivio Giuliana Stella)

In basso, Soc. d’Arte Drammatica “G. Giacosa”, 1948(foto coll. privata W. Gianola) con al centro il Cav. Camillo

Fornengo, grande interprete de “Il Cardinale”

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Terra Mia

2003/2004Le passeggiate di “Terra Mia”

SERVIZIO DI TERRA MIA

Questo è stato il programma delle “passeggiate sociali” che la nostra associa-zione ha realizzato fra la fine del 2003 e durante l’anno quasi trascorso. Pos-siamo considerarle un bel successo, in quanto oltre 250 soci e amici hannopartecipato, in totale, alle gite curate e fotografate dal socio Walter Gianola,cui va il grazie di “Terra Mia” e quello dei “gitanti” per l’ottima organizza-zione e per la scelta delle varie destinazioni. Le fotografie, che accompagna-no l’articolo, sono il miglior commento alla riuscita del programma e il mi-glior ricordo dello stesso, che ci riproponiamo di ampliare e rendere semprepiù vario negli anni a venire.

Passeggiata alla“Boira Fusca”, cioè“l’anfratto buio”.Siamo ancora nel2003, il 9 di ottobre,e ringraziamo LinoFogliasso, appassio-nato conoscitore delsito, per le dotte edesaurienti spiegazio-ni.

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Novembre 2004

Passeggiata alla riser-va naturale della“Bessa” e alla concadi Bose, domenica 21marzo 2004.Nella foto il foltogruppo dei parteci-panti si avvia verso lazona archeologicadella “Bessa”, in loca-lità Cerrione Biellese,l’esaurita minierad’oro sfruttata neitempi antichi.

Il 25 di ottobre del 2003,visita all’antica pieve diVespiolla (secolo XV) e aisuoi preziosi affreschiabsidali, seguita da una pas-seggiata sui “Monti Pelati”con la partecipazione di ol-tre 50 persone, alcune giun-te dall’Eporediese.“Terra Mia” ringrazia IvoFadda per la Pieve e il socioValentino Truffa per i Mon-ti Pelati: le loro competen-za e cortesia hanno grande-mente contribuito al succes-so della “passeggiata”.

Le gite di “Terra Mia”

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Terra Mia

I gitanti, giunti allaBessa, si trovano suuno degli innumerevo-li mucchi di pietreaccatastate dopo il la-vaggio dalle migliaiadi operai che al coman-do degli appaltatori ro-mani, e prima di lorodai Salassi, hanno du-ramente lavorato inquesto sito oltre 2000anni fa.

La stele di oltre 3 metri rinve-nuta alla Bessa da AlbertoVaudagna di Biella (che ringra-ziamo per la cortesia e la colla-borazione), è oggi conservatanel giardino antistante la sededell’Ente di gestione dellaBessa a Cerrione.

Le gite di “Terra Mia”

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Novembre 2004

La “passeggiata” del 21 marzo ha avuto, nel pomeriggio, un prolungamento alla Comunità spirituale diBose diretta da Padre Bianchi, nel comune di Magnano. Nella fotografia si ammira l’incantevole chiesadi San Sebastiano e relativo campanile, risalente all’XI secolo, situata nell’immediata vicinanza, certa-mente uno degli esempi più belli dell’architettura romanica in Canavese.

Le gite di “Terra Mia”

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Terra Mia

Sabato 3 aprile, passeggiataall’area attrezzata del BricFilia, minacciata dal maltem-po, che ha visto comunque lapresenza di una quindicina dicoraggiosi partecipanti, peral-tro premiati da un bel sole almomento della fotografia.Un percorso fra faggeti ecastani, un sentiero agevole eben tracciato dalla ComunitàMontana Valle Sacra, una bel-la casetta che accoglie allasommità del “bric” con unaraccolta di insetti e animalettitipici della zona.

Visita alla Cantina Sociale del Canavesedi Cuceglio, dove il “passito” invecchia4 anni nelle botti di rovere di Slavonia,meta della “passeggiata” pomeridianadell’8 maggio. Accolti dai responsabilidella Cantina, i partecipanti hanno po-tuto vedere i moderni impianti dove siproducono i DOC Erbaluce e Canavese,apprezzando gli investimenti compiutie i grandi progressi di questa realtàvitivinicola canavesana. La conclusio-ne è stata in armonia con l’ambiente:degustazioni, brindisi e spuntino!

Le gite di “Terra Mia”

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Novembre 2004

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Terra Mia

GIACOMO ANTONIONO

GINO PERETTO

ALDO MORETTO

MICHELE CANZIO

Indice

La pieve romanica di Vespiollain Baldissero Canavese

Il Beato Bernardo marchese di Baden

Recuperare la tradizioneper progettare il futuro

Lo stabilimento Pagliero

Tornando alla fornace

Michelangelo Rolando,l’uomo e l’artista

L’arte e lo stiledi Michelangelo Rolando

Il giubileo sacerdotaledel socio don Vincenzo Salvetti

Castellamonte, capitale del metallo duro

Giuseppe Bertinatti,ambasciatore e patriota castellamontese

Costantino Nigra: il misterodella scomparsa dei “Ricordi Diplomatici”

PAG. 7

GIACOMO MASCHERONI

PAG. 18

IVAN MIOLA

PAG. 24

EMILIO CHAMPAGNE

PAG. 29

MAURIZIO BERTODATTO

PAG. 33

ROBERTO CASTELLANO

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PAG. 37

PAG. 39

PAG. 43

PAG. 59

GIACOMO MASCHERONI

PAG. 65

ROBERTO FAVERO

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Novembre 2004

L’attività di ricerca e didocumentazione di “Terra Mia”

Carteggio inedito di Piero Martinetti

Documenti: S. Elisabetta

Notizie e curiosità da un vecchio manoscritto

Villa Castelnuovo:ancora rivelazioni dal castello dei Tuchini

Il canyon della Valchiusella

Quattro passi sui Monti Pelati

Alla ricerca dei frutti perduti(o quasi) nel Canavese

La festa del maggengo e le terre ballerine

La sorpresa di Vialfrè:extra vergine da record

La vita teatralea Castellamonte

2003/2004: le passeggiate di “Terra Mia”

PAG. 71

PAG. 75

PAG. 83

PAG. 93

CLAUDIO GHELLA

EMILIO CHAMPAGNE - WALTER GIANOLA

PAG. 102

ELENA BERTOLINO

PAG. 109

CLAUDIO GHELLA

GIOVANNI BATTISTA COLLI

PAG. 113

SERVIZIO DI TERRA MIA

PAG. 132

A CURA DELLA REDAZIONE DI TERRA MIA

RENZO MABRITO

EMILIO CHAMPAGNE

EMILIO CHAMPAGNE

PAG. 104

PIER ANGELO PIANA

PAG. 122

PAG. 124

A CURA DELLA REDAZIONE DI TERRA MIA

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Terra Mia

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Novembre 2004

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Terra Mia

Sede Operativa:Piazza Perrone 10 - 10015 IVREATel. 0125 627572 - Fax 0125 421539Sede Legale:Via Sottomondone 34 - SALERANO C.SEE-mail: [email protected]

La Cooperativa Sociale Marypoppins è un’impresa sociale costituita da persone chelavorano da anni nei settori del sociale e della formazione; progetta e gestisce, in collabora-zione con Associazioni ed Enti locali e nazionali, servizi finalizzati al sostegno e all’integra-zione delle persone.Impegnata, in generale, in attività educative, formative e di assistenza la Cooperativa gesti-sce alcune strutture residenziali per anziani, operando con le realtà di volontariato presentinei presidi e sul territorio. Collabora, inoltre, con alcune agenzie formative alle quali offreconsulenza, attività di tutoring e docenza per la formazione di operatori del settore socioassistenziale quali: l’Adest, il Collaboratore famigliare, il Tecnico di sostegno alla persona,il Mediatore interculturale.Da sempre Marypoppins dedica particolare attenzione al tema dell’immigrazione e dellamulticulturalità ed ha, infatti, progettato e realizzato servizi di accoglienza per le personerichiedenti asilo in collaborazione con il Comune di Ivrea e Servizi di mediazione interculturaleinsieme alla Casa Circondariale di Ivrea, nonché servizi di intervento di contrasto alla trattadegli esseri umani con il Comune di Torino.

La cooperativa attualmente partecipa ai progetti europei Equal, approvati a livello regio-nale, ed è impegnata nell’attuazione di alcune azioni nei progetti “LI.FE” (lotta alla trattadelle persone), “Car.Te.S.I.O.” (inserimento lavorativo e sociale di persone detenute ed exdetenute), “Da Donna a Donna” (pari opportunità).La cooperativa si propone, infine, come partner per la progettazione e la gestione di attivitàdi Servizio Civile Volontario ai sensi della legge 64/2001.

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Terra Mia

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