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Mary Alice Monroe

Il profumo della pioggia

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Long Road Home

Mira Books © 2010 Mary Alice Kruesi

Traduzione di Roberta Marasco

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance

giugno 2013

Questo volume è stato stampato nel maggio 2013 presso ELCOGRAF S.p.A. stabilimento di Cles (TN)

HARMONY ROMANCE

ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 117 dello 07/06/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Prologo

La giornata era cominciata come molte altre. Era arrivato presto alla banca, aveva firmato rapidamente alcuni docu-menti urgenti, la signora Baldwin gli aveva mostrato il pro-gramma del giorno; niente di insolito. Eppure fuori dal grat-tacielo di Manhattan, il tempo era cambiato. Il cielo azzurro era diventato scuro e soffiava un vento artico in un fronte freddo fuori stagione. Era ancora presto a Wall Street. Le luci tremolavano come candele nella nebbia buia del mattino. Nelle strade sottostanti, un ubriaco sputava a terra all'ango-lo della banca. In alto, il cielo faceva altrettanto e lasciava ca-dere una pioggia battente che lasciava strisce rabbiose contro le finestre e costringeva le persone a infilarsi di corsa dentro gli edifici, nascosti sotto i giornali, o a scappare via, tremanti, lungo il marciapiede. Charles Walker Blair guardò fuori dalla finestra il cielo grigio e le figure ammantate di grigio sul marciapiede ed eb-be lo strano pensiero che tutto il suo mondo fosse diventato grigio. Era un pensiero raro, trascurabile, per l'equilibrato banchiere, proprietario della Blair Bank. Dal corridoio filtrarono nell'ufficio alcune grida furiose: il biascicare lento di un ubriaco e la voce acuta della segretaria che si opponeva. Il banchiere serrò le labbra, scocciato. Al-l'improvviso, la porta si spalancò e l'ubriaco si fiondò dentro. Charles Blair si voltò dalla finestra e fissò la morte negli occhi di Michael MacKenzie. MacKenzie barcollava sulla soglia, le braccia aperte per

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tenersi in equilibrio e i piedi a quarantacinque centimetri di distanza. Era un uomo robusto: spalle larghe, mascella ampia e gesti maldestri. Il completo, solitamente impeccabile, era macchiato e aveva tutta l'aria di essere lo stesso del giorno prima; la cravatta rossa di rigore con il logo dell'azienda era scomparsa da un pezzo, e i folti capelli di un castano rossic-cio erano incolti come la barba sulle guance. «Allora è qui che ti nascondi, eh, Blair?» Charles Blair si alzò dalla lucida scrivania di mogano e fe-ce un cenno discreto alla segretaria per congedarla. La donna robusta indugiò sulla porta e guardò l'ubriaco furioso in atte-sa, poi abbassò la testa rassegnata e si chiuse silenziosamente la porta alle spalle. Charles sapeva che sarebbe corsa al tele-fono con tutta la velocità che le consentiva l'artrosi alle gam-be, per chiamare la sicurezza. Il banchiere lanciò un'occhiata sospettosa al tizio ubriaco che procedeva a zig zag. L'uomo emanava l'odore pungente dell'alcol e il sogghigno sul viso di MacKenzie non lasciava dubbi sul fatto che non fosse una sbronza allegra. Charles si portò con noncuranza davanti alla scrivania e picchiettò leg-germente la sedia di pelle nera con le lunghe dita. «Non mi nascondo da nessuna parte, Mike. Sai sempre do-ve trovarmi. Siediti. Parliamo.» «Parlare!» gridò l'altro uomo. MacKenzie barcollò in a-vanti e afferrò l'alto schienale della sedia. «Tu non vuoi par-lare con me. La settimana scorsa, non volevi nemmeno ve-dermi. Hai aizzato il tuo esercito di avvocati e dirigenti per-ché facessero il lavoro sporco al posto tuo, eh?» Charles Blair si appoggiò alla scrivania in una posizione rilassata, ma senza perdere d'occhio l'altro uomo. MacKenzie aveva fama di essere cocciuto e irascibile. Aveva costruito il suo impero finanziario con una volontà di ferro e un genio anticonformista, a partire da un unico supermercato nel New Jersey. Era giovane. Un uomo d'azione. E questo rendeva il suo stato d'ebbrezza ancora più preoccupante.

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«Non so di che cosa stai parlando.» «Sei un bugiardo.» Charles strinse gli occhi. Non mentiva, eppure MacKenzie sembrava convinto. Il suo istinto lanciò l'allarme. C'era trop-po odio per un semplice dialogo; troppa rabbia per il ragiona-mento. Michael MacKenzie voleva sangue. «Mike, siediti» provò di nuovo Charles, parlando lenta-mente. «È evidente che sei sconvolto.» «Sconvolto?» Mike si diede una pacca sul ginocchio e rise finché con un colpo di tosse non sputò sul tappeto orientale. Sfregò lo sputo sulla lana con il tacco sporco. Un muscolo guizzò nella guancia di Blair, ma lui non parlò e non si mosse. Guardò MacKenzie, che a passo incerto si la-sciava dietro una scia fangosa, mentre si spostava per l'ufficio guardando i diplomi, i trofei e le fotografie personali alle pa-reti. «Bene bene, guardati qui» biascicò l'uomo. «Ti sei fatto fotografare con tutti i presidenti da quando eri in fasce. Che tenero. E guarda qui.» MacKenzie indicò una parete di diplo-mi. «Harvard... ancora Harvard... Uno studente del Rhodes College? Quelli della vecchia cricca devono fare i salti di gioia.» All'improvviso il giovane si voltò verso di lui, una piccola pistola stretta in pugno. Blair si concentrò di colpo. «Dammi la pistola, Mike» disse e tese la mano. La sua vo-ce era bassa e decisa. Non osò neanche battere le palpebre. «Dammela, poi siediti e spiegami meglio.» MacKenzie agitò la pistola davanti a Blair. Il metallo brillò nella luce artificiale. Le labbra di MacKenzie si contorsero in un ghigno sinistro. «Perché?» chiese Charles, quando si rese conto che la mor-te che aveva visto negli occhi di MacKenzie era la propria. Michael MacKenzie traballò e puntò la mano libera verso i diplomi. La sua voce si ridusse a un tono piatto. «Quando ho avuto le tue stesse possibilità, eh? Ho lavorato come uno

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schiavo sul retro di un supermercato fin da quando ho impa-rato a camminare. Ho dato la caccia a ratti grandi come gatti. Mio padre non mi ha lasciato una banca. L'unica cosa che mi ha passato è stata una sventola sull'orecchio.» Fece una smor-fia, come se lo schiaffo l'avesse appena raggiunto. Poi gemet-te e il suo intero viso si contorse. I muscoli di Blair si rilassarono, mentre guardava l'uomo corpulento portarsi le mani al viso e mollare la presa mortale sulla pistola. Non vide più un ubriaco pericoloso e combatti-vo. Vide un uomo distrutto. Non sapeva che cosa lo avesse distrutto, ma sapeva di aver rifiutato a MacKenzie un prestito bancario. Aveva protetto la banca da un alto rischio. Ora, per la prima volta, si chiedeva se la prudenza valesse un prezzo simile. «Ascolta, Mike» iniziò. Aveva una voce conciliante e fece un passo avanti. Il suo sbaglio fu mostrare pietà. «Levami di dosso quelle mani sudice!» gridò MacKenzie, mentre girava di scatto la spalla per allontanarla da Blair. Una rabbia rosso sangue gli salì al viso e gli occhi divennero sporgenti, facendolo sembrare un toro alla carica. All'improv-viso ruotò e con una velocità stupefacente sbatté la pistola contro la faccia di Charles. Charles vide il colpo arrivare, ma non in tempo. Sentì lo schiocco del metallo contro le ossa, sentì un getto d'aria che gli sfuggiva dalle labbra e sentì il dolore accecante che lo ca-tapultò contro la scrivania. Gli usciva il sangue dal naso e ca-pì che era rotto. La forza del colpo fece perdere l'equilibrio a MacKenzie e lo spedì in un angolo, un mucchietto spiegazzato. La stanza era silenziosa, fatta eccezione per i gemiti soffo-cati nell'angolo. Charles si sollevò, una mano appoggiata alla scrivania, l'altra che si teneva il naso con un fazzoletto. L'o-dore acre del whisky ferì i nervi olfattivi scoperti di Blair, ma fu la propria bile a rivoltargli lo stomaco. Fissò l'uomo scon-fitto e l'unico dolore che provò fu quello della vergogna.

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Quante imprese aveva affondato?, si chiese. Così tante da a-ver perso il conto. Erano state solo numeri su un libro mastro, pedine su una scacchiera. Fino a quel momento. E in quel momento le regole del gioco erano cambiate. Stava per dire a MacKenzie che gli avrebbe concesso il prestito. Stava per tendere una mano a un compagno. Ma era arrivato troppo tardi. Il mondo sembrò rallentare in quei pochi tragici momenti. Blair vide la pistola sollevarsi di nuovo, questa volta però non era puntata verso la sua testa, ma verso quella dell'altro uomo. MacKenzie sollevò gli occhi per incontrare i suoi, ros-si e strabuzzati, come gli occhi disperati di un pesce preso al-l'amo. Blair tese la mano e si lanciò in avanti, la bocca aperta in un urlo silenzioso. Un boato gli risuonò nelle orecchie. Il sangue gli schizzò sul viso, offuscandogli la vista del corpo di MacKenzie che si contraeva per l'ultima volta sull'inestimabile tappeto orienta-le. Il rosso sporcò le pareti tappezzate di seta dorata, insozzò il ritratto nella cornice preziosa, schizzò le sedie di cuoio verde e macchiò per sempre l'anima di Charles Walker Blair.

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Nora MacKenzie fece scivolare un sorriso compiaciuto sul viso. Un'espressione che aveva perfezionato nell'ultimo anno. Una maschera che indossava per proteggersi dall'orda di av-vocati, contabili e altri sicari aziendali che avevano invaso la sua vita dalla morte di Mike. C'erano quasi tutti in quel mo-mento, riuniti nell'ufficio di Mike, intorno all'enorme tavolo di quercia per le riunioni, a sistemare fogli, mormorare, pren-dere appunti. Il loro lavoro era terminato. Come giurati, era-no pronti a pronunciare il verdetto. Nora era seduta da sola sul lato opposto del tavolo, una contro tutti. Sentiva lo spessore del completo di lana scuro, il colletto alto della camicetta come un cappio intorno al collo. Aveva scelto di proposito quella mise dignitosa. Nonostante i pettegolezzi, avrebbe messo in chiaro che la vedova di Mi-chael MacKenzie era una signora. L'aria del mattino era gelida. Nessuno le aveva offerto un caffè. Le mani strette in grembo, Nora sbirciò da dietro la maschera per studiare gli uomini e le donne che avrebbero deciso del suo destino. Alcuni avevano quell'aria solenne e annoiata che, come aveva scoperto da tempo, nascondeva l'incompetenza. Riconobbe quelli che avevano recitato la par-te degli alleati e quelli che avevano sferrato l'attacco. Erano la maggioranza. Con qualcuno di loro aveva parlato tutti i giorni per quasi un anno. Quel giorno però la ignoravano tut-ti. Nei loro occhi si leggeva chiaramente che si stavano sba-razzando di lei.

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Ralph Bellows era seduto dall'altra parte del legno lucido, i capelli grigi che gli scivolavano sull'ampia fronte come una parrucca. Nora sapeva che avrebbe fatto la parte del giudice. Bellows impazziva per quel ruolo. Una schiarita di gola fece da martelletto e Bellows richiamò all'ordine la corte con un deciso: «Vogliamo cominciare?». Le spalle di Nora si irrigidirono. Non aveva dubbi che Mi-ke sarebbe stato giudicato colpevole dai suoi colleghi. Aveva commesso il peggiore dei crimini: mandato all'aria gli affari, distrutto l'impresa e li aveva lasciati senza profitti. Ma a scontare la pena sarebbe stata lei. Nora si raddrizzò sulla rigida sedia di cuoio, con un'aria calma e dignitosa. Rivolse a Bellows un cenno cortese. «Signora MacKenzie... be', ci conosciamo tutti bene in questa stanza. Abbiamo sopportato insieme un lungo anno difficile. Posso chiamarti Nora?» Il sorriso dell'uomo rivelò denti del colore delle banane mature. Nora annuì di nuovo. Avevano sopportato? Serrò le mani, amareggiata. Lei aveva sopportato. Loro avevano fatto il proprio lavoro come al solito. Non importava quanto fosse disastroso lo stato dei suoi beni, loro si sarebbero assicurati di portare a casa il proprio compenso, prima che i creditori ottenessero un centesimo. «Sbrogliare gli affari di Mike è stato più complicato di quanto credessimo in principio» iniziò Bellows, solenne. «Il nostro lavoro non è ancora terminato.» Un sussulto sfuggì dalle labbra di Nora. Era passato un an-no dal suicidio di Mike. Che cosa volevano ancora, prima di poter sistemare il patrimonio? Bellows lesse la sua frustrazione e proseguì in tono conci-liante. «Nessuno si rende conto dell'inutilità di ulteriori ritar-di meglio di me. Tuttavia, per dirla con franchezza, Michael MacKenzie ha lasciato il caos. Nessuno, la famiglia meno di tutti, ha compreso la portata dei suoi possedimenti. Stiamo facendo del nostro meglio per mettere insieme i pezzi della

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sua miriade di affari, ma ci mancano ancora alcune informa-zioni cruciali.» Sotto le sopracciglia cespugliose, gli occhi chiari di Bel-lows la scrutarono attentamente. Nora si sentì come la preda di un gufo. Impallidì, ma ricambiò subito il suo sguardo con occhi sgranati e innocenti. Puoi scommetterci che mancano, pensò dietro la maschera. A quella tavola non c'era un uomo o una donna che non aves-se rovistato in tutto quello che lei e Mike possedevano. Che non avesse letto ogni lettera personale che gli fosse capitata fra le mani. Che si fosse scomodato a chiederle il permesso. C'era una frenesia nella loro ricerca che aveva sollevato i so-spetti e l'ira di Nora. Perfino l'irruzione nell'appartamento di New York l'aveva infastidita meno della loro aperta indiffe-renza. Non avevano rubato niente, ma la scrivania di Mike era stata sventrata. «Non fidarti di nessuno.» Erano state le ultime parole che Mike le aveva detto, sussurrate con urgenza la notte prima di morire. Nora aveva obbedito e aveva nascosto tutti i docu-menti che aveva trovato sulla scrivania. Bellows si schiarì di nuovo la gola con uno staccato fru-strato e lanciò un'occhiata ai fogli sul tavolo. Quando alzò di nuovo lo sguardo, gli occhi grigi erano freddi come il cielo piovoso fuori dalle finestre. «Il risultato è chiaro, anche senza ulteriori informazioni.» Bellows picchiettò il rapporto con aria conclusiva. Nora si sporse in avanti, concentrata sulle labbra dell'uo-mo. «In poche parole, il patrimonio è in bancarotta.» Nora batté le palpebre. «Vorrai dire che l'azienda di Mike è in bancarotta.» Bellows arricciò le labbra sotto il grosso naso rosso. «No, voglio dire che tu sei in bancarotta. Tutti quanti vole-vamo bene a Mike, ma ha fatto una cosa stupida. Rispondeva personalmente dei propri debiti.»

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La voce di Bellows si interruppe bruscamente, lasciando che tutti terminassero il suo pensiero: E poi si è fatto saltare il cervello prima di tirarsene fuori. «Che cosa significa che rispondeva personalmente dei de-biti?» chiese Nora, tenendo duro. Si stava sforzando di man-tenere un contegno. All'improvviso odiò il naso da alcolista che Bellows puntava verso di lei. «Il signor MacKenzie aveva disposto che il suo patrimonio personale fosse una garanzia collaterale per i prestiti» spiegò un giovane contabile ben rasato. Gli tremò la voce e sfogliò rapidamente i documenti. «Il pacchetto azionario di famiglia del settantacinque per cento della MacCorp., le proprietà per-sonali... ha impegnato tutto. Mike aveva impegnato così tanti beni da non essere in grado di rispettare le scadenze per la re-stituzione dei prestiti.» Nora non lo seguiva. Il pacchetto azionario di famiglia? Quale famiglia? C'era soltanto lei. E aveva un nome. Rimase rigida sulla sedia e continuò a fissare Bellows. «Ralph, che cosa significa questo per me?» I lineamenti di Bellows si ammorbidirono, mentre lui in-trecciava le dita e le appoggiava sulla pila di documenti da-vanti a sé. Nora non si lasciò ingannare. Bellows non aveva niente da perdere a offrirle un po' di gentilezza in quel mo-mento. «Significa, Nora, che Mike ti ha lasciato senza niente. Peg-gio di niente, in realtà. Abbiamo ripagato quanti più prestiti possibile, ma devi ancora un sacco di denaro. Dovrai vendere tutto, e forse resterai comunque in debito.» «In debito? Se non avrò più niente, come lo ripagherò?» La voce di Nora era un sussurro. «La società è in amministrazione controllata. I tuoi beni saranno venduti all'asta in ottobre da una casa rinomata. Per fortuna, le tue antichità e le tue collezioni d'arte sono piuttosto rare. Se ben gestita, l'asta dovrebbe fruttare una cifra soddisfacente.»

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«Abbastanza da ripagare i debiti?» «Speriamo di sì. E ti resterebbe abbastanza da ricomincia-re. Queste sono le stime» disse e aprì il fascicolo di docu-menti davanti a sé. La decina di altre persone presenti nella stanza fece subito altrettanto. Nora li imitò, terrorizzata. «Se osservi in fondo a pagina tre» proseguì Bellows, «ve-drai la cifra che ritengo che potremo salvaguardare per te dal patrimonio.» Nora andò subito a pagina tre e lesse, e rilesse la cifra in dollari che le avevano riservato. Era meno di quanto immagi-nasse, e immaginava una misera cifra. Doveva per forza es-serci un errore da qualche parte. Sfogliò attentamente le altre quattordici pagine di appunti, ignorando i sospiri impazienti e le dita che tamburellavano. Il documento elencava, con una precisione stupefacente, i suoi beni personali e il loro valore stimato: case, auto, gioielli, mobili, oggetti d'arte. «Avete inserito nell'elenco perfino i pochi beni personali che ho portato al matrimonio.» Nora indicò la lista con uno scatto esasperato della mano. «I gioielli di mia nonna, per e-sempio. Non avranno un gran valore monetario, ma per me...» Le si spezzò la voce e deglutì con forza. «... per me so-no inestimabili.» «Mi spiace, Nora.» Bellows alzò le spalle e fece scorrere le dita lungo le colonne. «Forse possiamo togliere qualche... og-getto di minor valore.» Sembrava imbarazzato ora. «Non è giusto» disse Nora, e sentì intensamente quell'in-giustizia. «È opera di Mike.» Un dolore familiare afferrò il cuore di Nora. I suoi senti-menti erano da qualche parte, fra l'angoscia e la rabbia. Le tolsero il fiato. Calmati, si disse. Arriva fino in fondo e potrai liberarti per sempre di loro. «Non do la colpa a Mike» mentì. «Quello che non capisco è come sia possibile che sembrasse avere tanto successo e al-

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l'improvviso scopro che è in bancarotta. Come si sono messe tanto male le cose?» Nell'espressione di Bellows c'era tutto quello che lui non diceva, tutto quello che gli altri già sapevano. Che Nora ave-va lasciato Mike. Come poteva aspettarsi di sapere qualcosa degli affari di Mike, la accusavano quegli occhi, dopo averlo abbandonato? Mollato nel momento del bisogno? Nora sape-va che quelle persone la vedevano come la donna mondana di New York che collezionava oggetti di antiquariato e opere d'arte. Una bionda attraente che non voleva essere scocciata da resoconti bancari. Nora osservò quegli occhi accusatori e si ripiegò su se stessa, nonostante si fosse ripromessa di non farlo. La colpa era un sudario sgradito per una vedova. Privava il lutto di un dolore compiuto. Meritato o no, era un fardello pesante. Se Mike fosse morto per cause naturali, forse Nora vi sarebbe sfuggita. Ma lui aveva scelto il suicidio e con quel gesto fina-le aveva completato i suoi sette anni di maltrattamenti verba-li. Nora alzò la mano per sfregarsi la fronte, ma si bloccò e la posò in grembo. Strinse i pugni e sollevò il mento. «L'anno scorso Mike ha preso una nuova direzione» spie-gò Bellows. «Questa nuova direzione non è illustrata nel rapporto» ri-batté Nora gelida. Bellows alzò le sopracciglia. «Hai ragione. Lo scopo della riunione di oggi è unicamente quello di illustrare le condizio-ni del tuo patrimonio prima della liquidazione.» «Dal momento che a quanto pare ha perso anche i miei soldi, credo di meritarmi una spiegazione esauriente.» Intorno al tavolo risuonarono alcuni borbottii. Nora conti-nuò a fissare Bellows. Punta sempre al vertice, diceva Mike. Nora percepì un nuovo apprezzamento negli occhi di Bel-lows. Fino a quel momento, i suoi incontri con lui erano stati solo mondani. Nonostante la facciata da gentiluomo, la mano di Bellows aveva sempre trovato il modo di arrivarle alla vi-

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ta. In quello che poteva sembrare un gesto involontario, al-largava le dita per accarezzarle il fianco con l'intero palmo, mentre il lungo pollice si spingeva verso il seno. Dietro l'ab-bigliamento meticoloso, Nora aveva sempre pensato a lui co-me a una persona sporca. «Sarò lieto di organizzare un incontro privato per illustrare i progetti di Mike, Nora.» La voce di Bellows era quella del-l'avvocato disposto a collaborare. I suoi occhi umidi parlava-no di un altro progetto che aveva in mente e per sottolineare le sue intenzioni, le offrì un sorriso magnanimo. Sii gentile con me, diceva il sorriso, e io sarò gentile con te. «Non sarà necessario» ribatté Nora con fermezza. «Un rapporto inviato per posta basterà. Ho intenzione di lasciare la città non appena possibile.» Tredici paia d'occhi si sollevarono contemporaneamente. «Lasciare la città? Per andare dove, mia cara?» chiese Bel-lows. In realtà, Nora non lo sapeva. Ovunque ma non lì, pensa-va, mentre scorreva con lo sguardo i visi impassibili che la circondavano. Ne aveva abbastanza della falsa amicizia. Ave-va avuto la sua bella dose di rifiuti e indifferenza, di gentilez-za ma a derminate condizioni. A un certo punto, aveva perso di vista i propri valori. Se si guardava alle spalle, non ricorda-va più che cosa avesse sperato di conseguire a trent'anni. Era arrivata a una svolta. Nora voleva andare in qualche posto in cui potesse lavorare sodo, guadagnarsi da vivere e ri-stabilire i propri valori. Un posto in cui costruirsi una vita che contasse davvero. La mano era ancora in grembo. Una voce del rapporto le balzò in mente in un flash. Quel posto esisteva, pensò, e un sorriso sfuggì dal rigido autocontrollo. Sentì montare l'eccita-zione. Sapeva esattamente dove si trovava quel posto. Nora lasciò la domanda di Bellows in sospeso e si tuffò nel rapporto. Iniziò a sfogliare rapidamente le pagine.

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«Le assicuro che abbiamo rivisto tutto con cura» commen-tò un'attraente avvocatessa. «Ne sono sicura» rispose Nora in tono asciutto. Ricordava quella donna bionda nella squadra d'attacco. Fece scorrere il dito lungo l'elenco dei beni, il respiro trattenuto senza ren-dersene conto. Quando individuò quello che cercava, espirò soddisfatta. Il valore stimato era piuttosto basso. «Cerchi qualcosa in particolare?» chiese Bellows, eviden-temente incuriosito. «Solo un momento, per favore» rispose Nora, senza alzare gli occhi. Afferrò una matita e prese appunti, controllando a pagina tre. Era sempre stata brava con i conti e rivide i valori stimati, prese qualche altro appunto e calcolò un piano alter-nativo. Quando tornò ad alzare gli occhi, i dodici avvocati e conta-bili erano stravaccati sulle sedie in pose esagerate di noia. Nora ricacciò indietro una risata con un colpo di tosse. Solo Bellows la fissava con interesse. «Prenderò la fattoria nel Vermont invece dei soldi» annun-ciò. Dodici sedie scricchiolarono mentre gli uomini e le donne tornavano improvvisamente attenti e sfogliavano i documen-ti. Bellows sembrava al tempo stesso divertito e curioso. «La fattoria con le pecore? Ma perché, Nora? È una piccola ope-razione, nella migliore delle ipotesi rischiosa. A Mike serviva solo perché era detraibile dalle imposte.» «Esatto» rispose lei, trattenendo l'eccitazione. Gli occhi dell'avvocato si strinsero. «Mi pare che la casa non sia terminata. Tu e Mike ci avete mai vissuto?» «No» rispose Nora con enfasi. «Mai.» «Capisco» rispose Bellows e si appoggiò allo schienale. Non le aveva mai tolto gli occhi di dosso. «Allora perché la fattoria?» «Perché no?» Nora non aveva intenzione di confidarsi con

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zio Ralph. «La voglio» disse di getto, «e stando ai miei calco-li, posso averla, oltre a una somma sufficiente per aprire un conto corrente fruttifero di circa trecentomila dollari. Abba-stanza da sbarcare il lunario.» «In modo abbastanza frugale, questo è certo.» «Non ho paura» mentì lei di nuovo. Mentre Bellows rive-deva i propri calcoli, aggiungendone qualcuno, Nora manten-ne un contegno gelido. Non doveva lasciar trasparire quanto significasse per lei. «Non voglio sorprese» disse Nora. «Non senza una garan-zia. Presumo che i vostri calcoli siano corretti, no?» Alla sua sinistra risuonò uno sbuffo indignato e il viso di un contabile si coprì di chiazze. Nora si concentrava solo su Bellows. Quella era una faccenda fra loro due, l'avvocato personale di Mike e la sua vedova. Percepiva la sorpresa crescente e l'ostilità delle persone in-torno a lei. Erano la squadra di Mike. Lei, sua moglie, era l'intrusa. E le andava bene così. Iniziò a sbattere il piede sotto il pe-sante tavolo, mentre ricostruiva i pezzi del suo nuovo e radi-cale piano. Rivide la fattoria come le era apparsa l'ultima vol-ta che c'era stata. Quand'era? Tre anni prima? Il verde rigo-glioso delle montagne del Vermont, i grossi lamponi rossi che pendevano maturi sui cespugli, i campi di margherite, le carote selvatiche e il trifoglio che spuntava fra le rocce, i bo-schi scuri con i venti gelidi e il belare bucolico degli agnelli. Poteva essere tutto suo. Lì avrebbe potuto fare qualcosa della sua vita, ne era sicura. L'entusiasmo le diede alla testa, scorrendole nelle vene che non trovavano soddisfazione da tempo. Un'eccitazione ribelle che sfrecciava sul controllo imposto dalla ragione, infonden-dole una nuova fiducia in se stessa. Si trattava di quel genere di fiducia che in passato l'aveva portata a comprare di impulso un mobile o un dipinto. Si fondava sulla conoscenza, ma la decisione era puro istinto.

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Nora era nata con quello che la gente chiama fiuto. La fattoria doveva essere sua, pensò con una calma dispe-razione. Era giusto così. Era l'unica cosa a cui poteva aggrap-parsi. Bellows si schiarì la gola e riportò l'attenzione della corte alla seduta. «Bene» disse con rassegnazione e ilarità al tempo stesso. «Non vedo perché non si possa fare.» Fra i borbottii di disapprovazione intorno al tavolo, Nora era raggiante. «Salvo imprevisti» la avvertì l'avvocato. Nora si irrigidì. «Ricorda che non c'è niente di definitivo fino all'asta. Que-sto ti dà due mesi di tempo per capire se puoi davvero farcela in quella fattoria con le pecore. E anche in questo caso, potre-sti sempre essere costretta a cederla ai creditori di Mike.» «Ma è un'eventualità improbabile. Hai detto tu stesso che l'asta dovrebbe essere un successo.» «Dovrebbe essere e sarà sono due universi distinti.» Come un giudice esperto, Bellows lanciò un'occhiata a tutti gli uo-mini e le donne seduti intorno al tavolo, soffermandosi più a lungo su Nora. «La situazione del patrimonio dei MacKenzie è riservata. Riservo assoluto. Se si venisse a sapere che i Ma-cKenzie sono in bancarotta, l'asta sarebbe un disastro. La si-gnora MacKenzie non può fissare un'offerta minima. E se al-l'asta non ricaviamo quello che ci serve...» Bellows fece una pausa per terminare con enfasi, «... allora ve ne andrete tutti a casa a mani vuote.» Non un foglio si mosse. «Questo è quanto» concluse Bellows. Il tavolo fu imme-diatamente coperto da costose valigette di cuoio di ogni colo-re considerato raffinato ed elegante. Mentre i documenti scomparivano nelle ventiquattrore e le persone scomparivano fuori dalla porta, Bellows fece il giro del tavolo e porse la mano a Nora. Lei la afferrò diffidente.

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Lui le strinse la mano per un attimo e guardò l'unico anello che portava, la fede dorata, poi disse con una sincerità sor-prendente: «Buona fortuna, Nora». Nora non notò alcuna traccia lasciva. Un piccolo sorriso si fece strada sul suo viso. «Grazie, Ralph. Sono sicura che ne avrò bisogno.» Bellows le lasciò andare la mano con un bagliore divertito negli occhi. Dopo un cenno cortese del capo, uscì a passo ri-lassato dalla stanza. Nora fu invasa dal sollievo. Addio, vecchio mio!, mimò con le labbra, mentre guardava la sua schiena allontanarsi. Addio a tutti quanti, pensò, rivolta alle sedie vuote intorno al tavolo. Le immagini davanti a lei cambiarono. Invece dei mo-bili, Nora vide le montagne. Invece della quercia, vide l'ace-ro. Vado a casa, si rese conto, ancora incredula. Casa. Quella parola le faceva un effetto strano sulle labbra; era distante ep-pure piena di promesse. Era autunno; la fattoria sarebbe stata un tripudio di colori. Giornate calde e notti fredde. Il raccolto in arrivo. Nuovi agnelli. Così tante cose nuove. Così tante cose da imparare. L'istin-to le sarebbe servito solo fino a un certo punto. Poteva farce-la? Che cosa ne sapeva di fattorie o di come allevare pecore? Non ci sarebbe stato nessuno a tirarla fuori dai guai. A fir-marle un assegno come se niente fosse. La mano esitò sulla borsa, mentre il dubbio premeva. Ci sarebbero voluti duro la-voro, a tonnellate, e preghiere quotidiane per farcela. Ne era all'altezza? Nora alzò il mento in segno di sfida e chiuse la cerniera decisa. Le conveniva esserlo. La fattoria era tutto quello che le restava. Avrebbe dovuto cavarsela da sola. Se non ce l'a-vesse fatta lì, non avrebbe avuto un altro posto dove andare. Sollevò la borsetta e lanciò un'ultima occhiata d'addio allo studio di Mike. I faretti incassati proiettavano piccole ombre sul tavolo di

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quercia sgombro e sulla credenza vuota. Conferivano alla stanza un bagliore spettrale. I ricordi si risvegliarono e le fe-cero venire la pelle d'oca. Nora si sfregò rapidamente le brac-cia e li scacciò. «Addio» sussurrò con un'ultima occhiata, prima di spegne-re la luce. La parola riecheggiò nella stanza vuota. Mentre si chiudeva la porta alle spalle e correva via, ebbe l'inquietante sensazione di avere il fantasma di Mike alle calcagna.

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Il profumo della terra di Mary Alice Monroe

Dopo la morte del marito, sommersa dai debiti, Nora McKenzie decide di abbandonare New York per rifugiarsi nella loro fattoria nel Vermont e affrontare il futuro senza lasciarsi tarpare le ali dal passato. Inizia a sentirsi di nuovo serena, ma non sa che una delle persone che ora le sono più vicine le nasconde un segreto.

Chiaro di luna a Virgin River di Robyn Carr

Ingiustamente accusata di molestie da un collaboratore, Jillian Matlock decide di rifugiarsi a Virgin River, dove prende in affitto la casa di Hope McCrea e si lascia conquistare dall'idea di coltiva-re un orto speciale, cercando semi di qualità rare. Be', a dire il ve-ro non è l'unica cosa da cui si lascia conquistare.

Cuore e cioccolato di Leanne Banks

Jenny ancora non riesce a crederci. Deve disegnare le scarpe per le nozze dell'ereditiera Brook Tarantino. Farlo, però, non è come dirlo. Poi, Jenny si lascia distrarre dal fascino irresistibile del suo capo. Lo vuole, per una notte. Ma non sarà facile rimanere immu-ne al carisma dell'uomo più seducente che abbia mai baciato.

Oltre la montagna di Emilie Richards

Non è mai tardi per lasciare entrare gli altri nel proprio cuore. Co-sì la pensa Charlotte Hale, che ha deciso che è ora di rivedere la propria figlia, dopo ben dieci anni, e conoscere finalmente la ni-potina. In fondo è semplice, basta incanalare le proprie energie verso gli altri, invece di usarle per il proprio personale trionfo.

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All'ombra delle magnolie di Sherryl Woods

Quando Misty Dawson inizia a fare assenze a scuola, la sua inse-gnante Laura Reed capisce che c'è qualcosa che non va. Confron-tandosi con J.C. Fullerton, scopre che Misty ha seri problemi di relazione. La vicenda riporta in superficie avvenimenti del passato sia di Laura che di J. C., che si sentono così ancora più vicini.

Scandalo e attrazione di Diana Palmer

Atlanta, 1900. Claire Lang ha sempre amato la città in cui vive, finché il destino cambia le carte in gioco, obbligandola ad accetta-re la proposta di matrimonio del tenebroso John Hawthorn, un uomo affascinante che lei trova irresistibile, nonostante lui non possa contraccambiare i suoi sentimenti.

La felicità a piccoli passi di Leanne Banks

Come souvenir per una notte di follia non si è certo limitata Trina Roberts, genio delle pubbliche relazioni alla Bellagio Calzature. A due mesi di distanza da quel momento di passione con Walker Gordon, si ritrova incinta e determinata a cavarsela da sola. Anche perché Walker nel frattempo si è trasferito nella romantica Parigi.

Non amarmi di Lori Foster

Pepper Yates vive in clandestinità da due anni, nascondendosi in un condominio fatiscente sotto il nome di Sue Meeks. Ha cambia-to il proprio aspetto, prediligendo abiti informi, ed è molto riser-vata. Quando però si ritrova come vicino di casa l'affascinante Logan, si lascia stuzzicare dall'attrazione che prova per lui.

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