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HIRAM Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 3/2010 EDITORIALE Nell’approssimarsi del Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia 3 Gustavo Raffi e Antonio Panaino Introduzione allo studio del Sefer Yetzirah 11 Giuseppe Abramo A proposito dell’origine dello zero 35 Stefano Buscherini Relativismo e legge di natura: il mondo moderno fra Pascal e Cartesio 43 Adriano Di Silverio La migliore Massoneria è quella dell’Amore, spiegata dalla Sapienza 51 Vincenzo Tartaglia L’arco reale delle Repubbliche 59 Giancarlo Elia Valori La mistificazione di Lèo Taxil 73 Nicoletta Casano Outsider Art e disagio psichico 87 Sergio Perini • SEGNALAZIONI EDITORIALI 95 • RECENSIONI 103

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  • HIRAM

    Rivista del Grande Oriente d’Italian. 3/2010

    EDITORIALENell’approssimarsi del Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia

    3Gustavo Raffi e Antonio Panaino

    Introduzione allo studio del Sefer Yetzirah 11Giuseppe Abramo

    A proposito dell’origine dello zero 35Stefano Buscherini

    Relativismo e legge di natura: il mondo moderno fra Pascal e Cartesio 43Adriano Di Silverio

    La migliore Massoneria è quella dell’Amore, spiegata dalla Sapienza 51Vincenzo Tartaglia

    L’arco reale delle Repubbliche 59Giancarlo Elia Valori

    La mistificazione di Lèo Taxil 73Nicoletta Casano

    Outsider Art e disagio psichico 87Sergio Perini

    • SEGNALAZIONI EDITORIALI 95• RECENSIONI 103

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  • HIRAM viene diffusa su Internet nel sito del G.O.I.:www.grandeoriente.it | [email protected]

    HIRAM 3/2010Direttore: Gustavo RaffiDirettore Scientifico: Antonio PanainoCondirettori: Antonio Panaino, Vinicio SerinoVicedirettore: Francesco LicchielloDirettore Responsabile: Giovanni LaniComitato Direttivo: Gustavo Raffi, Antonio Panaino, Morris Ghezzi, Giuseppe Schiavone, Vinicio Serino, Claudio Bonvecchio,Gianfranco De Santis

    CCoommiittaattoo SScciieennttiiffiiccooPresidente: Enzio Volli (Univ. Trieste)Giuseppe Abramo (Saggista); Corrado Balacco Gabrieli (Univ. Roma “La Sapienza”); Pietro Battaglini (Univ. Napoli); Pietro F. Bayeli (Univ.Siena); Eugenio Boccardo (Univ. Pop. Torino); Eugenio Bonvicini (Saggista); Enrico Bruschini (Accademia Romana); Giuseppe Cacopardi(Saggista); Giovanni Carli Ballola (Univ. Lecce); Orazio Catarsini (Univ. Messina); Paolo Chiozzi (Univ. Firenze); Augusto Comba (Saggista);Franco Cuomo (Giornalista); Massimo Curini (Univ. Perugia); Domenico Devoti (Univ. Torino); Ernesto D’Ippolito (Giurista);Santi Fedele (Univ. Messina); Bernardino Fioravanti (Bibliotecario G.O.I.); Paolo Gastaldi (Univ. Pavia); Santo Giammanco (Univ. Palermo);Vittorio Gnocchini (Archivio G.O.I.); Giovanni Greco (Univ. Bologna); Giovanni Guanti (Conservatorio MusicaleAlessandria); Felice Israel (Univ. Genova); Panaiotis Kantzas (Psicoanalista); Giuseppe Lombardo (Univ. Messina); Paolo Lucarelli (Saggista);Pietro Mander (Univ. Napoli “L’Orientale”); Alessandro Meluzzi (Univ. Siena); Claudio Modiano (Univ. Firenze); Giovanni Morandi(Giornalista); Massimo Morigi (Univ. Bologna); Gianfranco Morrone (Univ. Bologna); Moreno Neri (Saggista); Maurizio Nicosia (AccademiaBelle Arti Urbino); Marco Novarino (Univ. Torino); Mario Olivieri (Univ. per Stranieri Perugia); Massimo Papi (Univ. Firenze); Carlo Paredi(Saggista); † Bent Parodi (Giornalista); Claudio Pietroletti (Medico dello Sport); Italo Piva (Univ. Siena); Gianni Puglisi (IULM); MauroReginato (Univ. Torino); Giancarlo Rinaldi (Univ. Napoli “L’Orientale”); Carmelo Romeo (Univ. Messina); Claudio Saporetti (Univ. Pisa);Alfredo Scanzani (Giornalista); Michele Schiavone (Univ. Genova); Giancarlo Seri (Saggista); Nicola Sgrò (Musicologo); Giuseppe Spinetti(Psichiatra); Gianni Tibaldi (Univ. Padova f.r.); Vittorio Vanni (Saggista)

    CCoollllaabboorraattoorrii eesstteerrnniiLuisella Battaglia (Univ. Genova); Dino Cofrancesco (Univ. Genova); Giuseppe Cogneti (Univ. Siena); Domenico A. Conci (Univ. Siena);Fulvio Conti (Univ. Firenze); Carlo Cresti (Univ. Firenze); Michele C. Del Re (Univ. Camerino); Rosario Esposito (Saggista); Giorgio Galli (Univ.Milano); Umberto Gori (Univ. Firenze); Giorgio Israel (Giornalista); Ida L. Vigni (Saggista); Michele Marsonet (Univ. Genova); Aldo A. Mola(Univ. Milano); Sergio Moravia (Univ. Firenze); Paolo A. Rossi (Univ. Genova); Marina Maymone Siniscalchi (Univ. Roma “La Sapienza”);Enrica Tedeschi (Univ. Roma “La Sapienza”)

    CCoorrrriissppoonnddeennttii EEsstteerriiJohn Hamil (Inghilterra); August C.’T. Hart (Olanda); Claudio Ionescu (Romania); Marco Pasqualetti (Repubblica Ceca); Rudolph Pohl(Austria); Orazio Shaub (Svizzera); Wilem Van Der Heen (Olanda); Tamas’s Vida (Ungheria); Friedrich von Botticher (Germania)

    Comitato di Redazione: Guglielmo Adilardi, Cristiano Bartolena, Giovanni Bartolini, Giovanni Cecconi, † Guido D’Andrea, Gonario GuaitiniComitato dei Garanti: Giuseppe Capruzzi, Angelo Scrimieri, Pier Luigi Tenti

    AArrtt DDiirreeccttoorr ee IImmppaaggiinnaazziioonnee: Sara CircassiaSSttaammppaa: E-Print s.r.l., via Empolitana, km. 6.400, Castel Madama (Roma)DDiirreezziioonnee: HIRAM, Grande Oriente d’Italia, via San Pancrazio 8, 00152 RomaDDiirreezziioonnee EEddiittoorriiaallee ee RReeddaazziioonnee: HIRAM, via San Gaetanino 18, 48100 RavennaRegistrazione Tribunale di Roma n. 283 del 27/6/1994EEddiittoorree: Soc. Erasmo s.r.l. Amministratore Unico Mauro Lastraioli, via San Pancrazio 8, 00152 Roma. C.P. 5096, 00153 Roma OstienseP.I. 01022371007, C.C.I.A.A. 264667/17.09.62SSeerrvviizziioo AAbbbboonnaammeennttii: Spedizione in Abbonamento Postale 50%, Tasse riscosse

    AABBBBOONNAAMMEENNTTIIANNUALE ITALIA: 4 numeri € 20,64; un fascicolo € 5,16; numero arretrato € 10,32ANNUALE ESTERO: 4 numeri € 41,30; numero arretrato € 13,00La sottoscrizione in un’unica soluzione di più di 500 abbonamenti Italia è di € 5,94 per ciascun abbonamento annualePer abbonarsi: Bollettino di versamento intestato a Soc. Erasmo s.r.l., C.P. 5096, 00153 Roma Ostiense; c/c postale n. 32121006Spazi pubblicitari: costo di una pagina intera b/n: € 500

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  • NNeellll’’aapppprroossssiimmaarrssii ddeell CCeennttoocciinnqquuaanntteessiimmoo AAnnnniivveerrssaarriioo ddeellll’’UUnniittàà dd’’IIttaalliiaa

    di GGuussttaavvoo RRaaffffiiGran Maestro del Grande Oriente d’Italia

    (Palazzo Giustiniani)e

    di AAnnttoonniioo PPaannaaiinnooUniversità di Bologna

    Direttore scientifico di Hiram

    EDITORIALE

    In the year 2011 Italy will mark the 150th anniversary of its re-unification. Presently,a very hostile propaganda tries to attack the historical meaning of this event in theframework of a generalized criticism regarding the supposed overwhelming secretrole of Freemasonry played behind the main processes endorsed by thecontemporaneous élites, which determined the final succes of the Italian unificationduring the Risorgimento. Some of these arguments seem to reproduce many of theabsurdities written by Léo Taxil about the Masonic program in Italy. The final targetof these accusations is unclear, but in any case such a propaganda endangers the veryauthority of the fundamental institutions of the society and of the State, which canbe also seriously discredited by it. The Grand Orient of Italy, thus, emphasizes itspublic role as supporter of the State and the Constitution and offers its ethical andmoral authority in support of a deeper knowledge of the positive conquests gained inthe Risorgimento and the following democratic improvements, which made of thiscountry one of the first founders of the European Community.

    Carissimi Fratelli,gentili lettrici e lettori,

    TTTTra pochi mesi entreremo nel 2011e, quindi, nel cuore di uno deglianniversari che ciclicamente ilcalendario storico del nostro paese im-pone. Gli anniversari, al di là dell’aspettomeramente celebrativo, spesso puramenteformale e di facciata, hanno però un ri-

    svolto positivo, giacché costringono unanazione e soprattutto i suoi cittadini a farei conti non soltanto con l’evento focale, masoprattutto con il senso che esso assumedinanzi alla storia presente. In altri ter-mini, diremo che la storia passata non è af-fatto monolitica, anche se a differenza diquella futura, essa risulta già avvenuta, inquanto ogni epoca rilegge e ripensa a

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  • quanto già accaduto a seconda dello scena-rio che la realtà contingente impone. Ov-vero, se il futuro non è ancorascritto, il passato può riscriversiin molti modi. In diversi casi,tale ovvietà è dettata da conti-nue e crescenti conoscenze,come di norma accade per leetà più remote, che grazie allenuove scoperte archeologiche,epigrafiche, linguistiche et ce-tera, ci appaiono in modo diffe-rente, perché mutato è ilnovero e la ricchezza dellefonti, ma anche perché più ade-guata risulta la metodologia concui tali scenari passati possono essere nuo-vamente vagliati con maggior senso critico.

    A volte le nuove scoperte sconvolgonoletteralmente i nostri schemi e ci costrin-gono a raffinare le nostre opinioni, in qual-che caso anche ad abbandonare teoremidivenuti obsoleti o non più fondati su datiineccepibili. Ma questo è il mestiere dellostorico ed anche il suo compito civile. In-fatti, sempre incombente è il rischio di con-fondere, anche in relazione alle vicendeapparentemente più innocenti, la rifles-sione critica e, almeno tendenzialmenteimparziale, con l’ideologismo o con impo-stazioni aprioristiche, ossia fondate su tesia priori, già scritte in precedenza a dispettodelle fonti e dei dati. Ciò può avvenire siaper il passato vicino sia per quello remoto.Basti pensare, per epoche lontane, a quantadifficoltà comporti oggi trattare del pro-blema storico dell’identità etno-linguisticae storico-politica dell’antica Macedonia,alla luce delle spinose controversie tra due

    stati del nostro continente che si conten-dono il monopolio di tale eredità. Di fatto,

    anche l’antico diviene mo-derno o contemporaneo,perché la lettura del passatosi presta ad un utilizzo perfini altri.

    Tale problema è ben pre-sente nella metodologiastoriografica più sorvegliatae severa, che rifiuta di suo-nare il piffero per qualsiasirivoluzione, nella coscienzache le strumentalizzazionidella storia sono, pur-troppo, uno degli strumenti

    ideologico-politici più efficaci. Infatti, lagente normale, il grande pubblico deimedia, non legge le fonti, non vaglia i dati,non entra criticamente nel merito degli ar-gomenti con una conoscenza diretta deglistrumenti primari e secondari su cui le ar-gomentazioni possono essere acquisite, masi lascia affascinare da schemi semplici, daslogan e affermazioni ad effetto, un po’come accade nella pubblicità, che per suoscopo deve convincere senza provare ef-fettivamente quanto propone di acqui-stare. Per questa ragione, di rado un“mattone” storiografico, con testi e docu-menti in tre o quattro lingue, tecnicismiprofessionali o quant’altro proprio del ba-gaglio degli storici professionisti, può as-surgere a best seller, ed è una norma nonscritta ma pur sempre vera che un librosemplice, chiaro, ma talora banale e im-preciso spesso scacci dal mercato un altroben fatto. Non che l’alta divulgazione nonsia possibile, ma quando i problemi sono

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  • veramente difficili, la strada più corretta èquella, almeno per sommi capi, di spiegarli,il che comporta comunque una certa di-sponibilità ed un relativo impegno per illettore, l’altra è invece quellache il mercato predilige e cheattraverso semplificazionicrescenti arriva sino a bana-lizzare la complessità dei fatti.

    È abbastanza facile esal-tare la valenza simbolica edidentitaria dei tartan scozzesi,millantandone l’antichitàquasi ancestrale; più com-plesso, anche se veritiero, di-mostrare che i bellissimitessuti clanici degli Scozzesisono solo un’invenzione, tuttosommato, abbastanza moderna. Ma se l’in-venzione della tradizione è un processo,molto pericoloso, da tempo ben eviden-ziato, e che in alcuni casi come quello soprarammentato almeno non comporta geno-cidi o pulizie etniche, diverso appare il casodi altre invenzioni, come quella della supe-riorità ariana, i cui esiti finali furono messiin atto da criminali mostruosi, ma la cuifattura richiese menti educate, colte e raf-finate. Eppure è facile credere a quanto sinarra, soprattutto se sono autorità ricono-sciute a propagare ideologismi e schemi fa-cilmente assimilabili, su cui interegenerazioni vengono a formarsi.

    Questa lunga premessa, se si vuole, dimetodo al tema delle prossime celebrazionidel centocinquantesimo anniversariodell’Unità Nazionale ci è parsa necessaria,perché troppi sono i problemi che questa“ricorrenza” si trascina con sé e che, peral-

    tro, direttamente coinvolgono la stessaidentità massonica nella storia del nostropaese.

    Negli ultimi mesi più voci si sono levateper proporre un facile teo-rema: l’Unità d’Italia e conessa il Risorgimento sarebbestata un’operazione non dipopolo, ma elitaria, di fattoun’azione di conquista espan-sionistica messa in atto constraordinario successo daCasa Savoia con il sostanzialeaiuto di una rete, altrettantoelitista, ma per di più radical-mente anticlericale, costruitada una setta occulta ricondu-

    cibile alla Massoneria. L’azioneinternazionale di supporto svolta in questoprocesso da alcuni stati europei, peraltrospesso rivali tra loro, servirebbe, controogni evidenza logica, a suffragare l’esi-stenza di un torbido piano elaborato dallapiovra massonica mondiale. Paradossal-mente, il teorema creato ad arte da LéoTaxil, che faceva del novello re d’Italia ilprescelto candidato della Massoneria perusurpare il sacro soglio di Pietro viene conuna certa rudezza e, senza alcun senso delridicolo, riproposto. Non è nostra inten-zione contrapporre a tali sciocchezze unadisamina delle molteplici componenti po-litiche, identitarie, religiose e filosoficheche ispirarono il nostro Risorgimento, datoche nei prossimi numeri di Hiram, questiaspetti saranno toccati da specialisti di taleperiodo, ma la riduzione dei moti che por-tarono alla creazione di uno stato unitarioad una sorta di Risiko massonico-sabaudo

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    • 5 •Nell’approssimarsi del Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia, G. Raffi e A. Panaino

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  • è del tutto fantastico, così come ridicola ap-pare l’asserzione secondo la quale il mondodella Cristianità sarebbe ri-masto estraneo a questoprocesso e che le massepopolari ne siano statealtrettanto escluse.

    Siamo così passati dauna fase, che ha distintola seconda metà del ‘900,in cui almeno una certadiffusa storiografia mar-xista guardava in modocritico al Risorgimento,evidenziandone il successo borghese e lasconfitta del quarto stato (che si trova sin-tetizzata nel titolo dei volumi di Renzo delCarria, intitolati appunto Proletari senza ri-voluzione. Storia delle classi subalterne italianedal 1860 al 1950, 2 voll., Milano, EdizioniOriente, 1970, I ed. 1966), ad una storiogra-fia che esalta il passato pre-unitario, il po-tere temporale della Chiesa, all’insegna diuna riscoperta di valori illiberali, già messiin campo nella pubblicistica volta a demo-lire sia il secolo dei Lumi sia la RivoluzioneFrancese. Non che non fosse necessaria unaserena disamina di eccessi, limiti ed errori,ma da lì ad esaltare l’Ancien Régime nepassa. Nessuno intende celebrare la ghi-gliottina ed il Terrore con i suoi processisommari, ed è più che lecito sollevare unariflessione puntuale, capace di prendereanche contropelo la storia, intorno a tantevicende commendevoli (sebbene non giu-dicabili moralisticamente e fuori contesto),ma l’esaltazione acritica del “prima” aquale fine mira? Come nel caso della Rivo-luzione Francese e dell’Illuminismo, così

    anche il Risorgimento, in realtà non sem-pre illuminista, se mai romantico, e talora

    poco rivoluzionario, al-meno a parere di unaparte più severa dellacritica storica, sarebbestato, per una certa vol-gare pubblicistica, ilparto solitario dellaMassoneria. Tale asser-zione è stata demolitasia in un caso sia nell’al-tro. I Massoni, in Fran-

    cia, si sono schierati tantocon i Rivoluzionari quanto con il Re, men-tre, nel nostro Risorgimento, una rete mas-sonica italiana, coesa ed efficiente, nonpoteva affatto esistere, dato il fraziona-mento territoriale del paese, e l’impossibi-lità di creare un’obbedienza unitaria, anchese un certo humus lasciato dalla precedentetradizione napoleonica e libero-muratoriapoté giocare sì una sua parte, senza perquesto generare una regìa, tenuto contoche anche in questo caso i Massoni avevanoidee molto diverse e contrastanti e si divi-devano tra repubblicani e mazziniani, so-cialisti utopisti o ferventi monarchici,nonché tra fautori di uno stato centrali-stico oppure di una federazione, esatta-mente come accadeva tra molti cattolici(oppure non c’erano cattolici nel PiemonteSabaudo?), liberali ed anche conservatori(che però sostenevano il processo unita-rio). Se colpe, o forse meglio meriti, deveassumere la Libera Muratoria in Italia, vi ècertamente l’aver contribuito al processounitario attraverso migliaia di singoli, tra iquali però si trovano le più alte figure del

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  • nostro Risorgimento, Garibaldi in testa, lequali operavano non secondo una direttivalibero-muratoria eteroguidata da parte diuna mai esistita cupola inter-nazionale, ma per liberascelta, secondo lo spirito deitempi ed il loro sentire. D’al-tro canto, altri Massoni, adesempio austriaci o filo-au-striaci agivano secondo finiopposti, come era logicoaspettarsi. Certo è che i Li-beri Muratori italiani, sparsitra Obbedienze diverse o inlogge territoriali, hanno datoun contributo fondamentale,anche se – ribadiamolo – non esclusivo, enon possiamo che essere fieri di ciò. Le po-lemiche attuali sono, quindi, una manife-stazione di livore antistorico, indegna di unpaese moderno. A nessuno, infatti, ver-rebbe in mente di accusare, in patria, laGran Loggia d’Inghilterra per aver di fattosostenuto la causa dell’Impero Britannico.Sarebbe considerato semplicemente untraditore. In questo senso, anche le altreObbedienze estere che talora non com-prendono per quale motivo il GrandeOriente d’Italia sia impegnato in battagliecivili e di difesa propositiva della memoriastorica, devono considerare il fatto chequesta nostra penisola è ancora immaturae che, in alcune sue componenti, non sem-bra aver affatto digerito né la modernità néaddirittura la stessa unità nazionale, nelmasochistico compiacimento di tornare adessere una mera appendice geografica.

    L’impianto con cui il Risorgimentoviene messo sul banco d’accusa e con esso

    l’Unità d’Italia in realtà non risponde allanecessità di un paese maturo che vuole se-riamente interrogarsi su cosa non abbia

    funzionato; per esempio, sul per-ché dopo 150 anni ci sia ancorauna questione meridionale (ocomunque la si voglia chiamare),mentre la Germania, uscita de-vastata in termini economici maancor più etico-morali, dalla Se-conda Guerra Mondiale, abbia difatto affrontato in modo strut-turale una riunificazione costo-sissima, e non solo per il suobilancio. Oppure sul perché in

    molte parti di quest’Italia tantobella e, a volte perduta (ma da non disper-dere), i cittadini non siano stati educati asentirsi tali, ma vivano secondo un “fai date” basato sul favoritismo, sull’accettazionedell’abuso, della prevaricazione, dell’ille-cito, del predominio, dell’illegalità.

    Farsi delle domande, essere critici è ne-cessario, ma per andare dove? Per spaccareil paese in tanti piccoli regni, che oggi nonsarebbero più governati dagli Asburgo-Lo-rena o dai Borbone e dal Papa, ma da castetali da far rimpiangere una nobiltà, che al-meno allora (oggi possiamo dubitarne)aveva il coraggio di rischiare la vita sulcampo di battaglia, come fecero i rampollidella migliore aristocrazia italiana inqua-drati nel Savoia Cavalleria per fermare i Te-deschi dopo la rotta di Caporetto? I piùprovocatori potrebbero anche domandarsiperché nelle nostre feste più importanti,capita, talora proprio durante le parate mi-litari, di sentir suonare la Marcia di Ra-detzky, pezzo bellissimo, ma per noi pur

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  • sempre la marcia della sconfitta, visto cheJohan Baptist Strauß la compose per cele-brare la vittoria di Cu-stoza? Verrebbe mai inmente ai Francesi di suo-nare Preussen Gloria, per-ché la musica è bella? Sitratta, quest’ultimo inparticolare di un para-dosso estremo, che in-dica come si sia, datempo invero, persa labussola, o peggio che essasi sia smagnetizzata indicando il nordovunque capiti. Meglio sapere di non sa-pere, che credere alle favole.

    Non è compito della Massoneria affron-tare temi politici, e quindi tutti gli argo-menti relativi all’opportunità o meno di unfederalismo amministrativo nel nostropaese esulano dal nostro compito e su diessi il Grande Oriente d’Italia non potràavere una posizione sua. Detto e ribaditociò, i continui attacchi all’Unità d’Italia, alTricolore, all’Inno nazionale, ai padri dellaPatria, per arrivare sino alla nazionale dicalcio (che non ha giocato bene, è vero, male invettive di natura ideologica e non spor-tiva erano partite ben prima del fischiod’inizio) sono una musica che risuona datroppo tempo e che si unisce alla stessa Ra-detzkymarsch. Più si suona allo sfascio ed al-l’insegna della confusione, meglio sarà, cosìtemiamo pensano i diversi soloni dell’anti-risorgimento, che però hanno altri fini. In-fatti, una volta demolito senza appello ilRisorgimento e l’Unità Nazionale, cosa re-sterebbe? L’odio intra-nazionale, “polen-toni” contro “terroni”, “Celti” contro

    “Romani” e “Greci”, unito a quello più ac-cecato (ma con una buona mira) contro

    tutti gli altri diversi, per lin-gua, colore della pelle e pro-venienza. La riflessionecritica ha un senso ed unoscopo costruttivo, la distru-zione ha altri fini. In questoscenario, il ruolo storicodella Massoneria, che in Ita-lia per le ben note sue vi-cende è quella del Grande

    Oriente d’Italia, diviene an-cora una volta fondamentale. Attraversoun antimassonismo becero si cerca di de-molire l’Unità dell’Italia e noi siamo diret-tamente chiamati in causa per tutelare nonsolo la Libera Muratoria, ma la stessa unitànazionale. In questo senso quanto sta ac-cadendo riguarda in modo stringente la no-stra istituzione, che deve a nostro avvisofarsi carico di un’importante funzione dicarattere educativo e informativo, senza ti-mori o nascondimenti.

    Il Grande Oriente d’Italia si proponecome un’istituzione, ovvero come un cir-cuito autorevole, il cui scopo è quello diagire, a dispetto di coloro che vorrebberovederci operare come una cosca segreta sucui gettare alla bisogna ogni colpa (bastipensare alla famigerata P3, su cui la stampasi è baloccata svolgendo una funzione de-magogica e non realmente informativa,visto che tale consorteria non aveva nulla ache spartire con qualsivoglia réseau libero-muratorio) in modo da fungere da ben ri-conoscibile agenzia etica, volta aconsolidare i valori costituzionali ed i prin-cipi fondanti della nostra società civile e

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  • democratica. Sparare ad alzo zero sul-l’Unità d’Italia, insinuare continuamente ildubbio, a partire dalla ma-nualistica scolastica, chetutto sommato sarebbestato meglio se questaunità non si fosse maifatta, che le legislazionipre-unitarie e le diversecostituzioni fossero mi-gliori, e via di seguito, nonè solo follia, ma sembra ri-spondere ad un disegno dieversione, che delegittimando lo Stato allaradice, in un paese dove le Istituzionihanno già diversi problemi, mira a rinfor-zare altri poteri, veramente forti, ed a ne-gare tutte le conquiste conseguite dallibero pensiero, dalla moderna laicità (chenon significa negazione delle religioni) edalle società aperte, libere e democratiche.

    Non si tratta allora di celebrare sempli-cemente gli eroi del passato, le battaglie, igrandi passaggi legislativi e costituzionali,ma di vagliarne la complessità, in modo dasaldare un paese in una nuova unità, chesappia guardare all’Europa e che sappiastare al suo interno con sempre maggioradeguatezza e capacità, non frantumatanuovamente tra persone che non sanno piùperché stiano insieme. I Massoni hannoidee diverse, ma nel Grande Oriente d’Ita-lia, anche se molti lo ignorano, i nuovi so-dali, al momento della loro iniziazione,promettono solennemente di rispettare laCarta Costituzionale e di adempiere cononore alle loro funzioni nella vita civile.Quindi sebbene diversi, tutti noi non pos-siamo negoziare il principio dell’unità na-

    zionale e la difesa dello Stato e della Costi-tuzione. Siccome restiamo diversi e non ab-

    biamo una linea ma solodei princìpi da seguire,discutiamo di tutto ciò,ovviamente fuori daltempio e dalle sedute ri-tuali, con la libertà ed ilsenso critico che ci èproprio ma, come istitu-zione italiana, nella suaautorevolezza, ci strin-giamo al Presidente della

    Repubblica, unica figura dinanzi alla qualeè il tricolore a piegarsi in segno d’omaggio.Altro che potere occulto!

    Nei prossimi mesi e soprattutto nelprossimo anno daremo vita ad una serie ar-ticolata di eventi che avranno lo scopo diaiutare a capire meglio, senza strilli o in-vettive, il nostro passato e le sue implica-zioni sul futuro prossimo, in una palestracivile ed etico-morale all’insegna del dia-logo e della riflessione. A spaccare quantocostruito con molta sofferenza e non pochierrori ci vuole poco, a progettare un futuropiù giusto e solidale costerà molta più fa-tica. Il nostro scopo è quindi chiaro.

    Chi sperava che la Libera Muratoria in-gaggiasse una battaglia scomposta all’inse-gna dell’anticlericalismo o dell’esaltazionetroverà una comunione di spiriti liberi, cheguardano al futuro senza dimenticarsi delpassato, non per suonare le trombe dellacelebrazione fine a se stessa, ma per co-struire, alla luce del sole una più saldaunità europea all’insegna della chiarezza edell’unità nazionale.

    Rivendicare il contributo massonico

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    • 9 •Nell’approssimarsi del Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia, G. Raffi e A. Panaino

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  • dato alla costruzione del nostro paese,prima durante e dopo il Risorgimento, nonsignifica per noi assumerne la paternità,come alcuni intendono pro-porre in modo cialtrone-sco, anche perché sifarebbe torto alle tantecomponenti che versaronoil loro sangue per un sìalto fine, ma semplice-mente farsi carico, per laparte che ci compete, diuna responsabilità storicae di una testimonianza ci-vile, fatta di martiri e di figure straordina-rie, che caddero non certamente perfavorire consorterie occulte, nuove dise-guaglianze o il ritorno a rinnovate teocra-zie confessionali di qualsivoglia matrice.

    Se per questi meriti dobbiamo sentirciin colpa, ebbene, allora ci presenteremo altribunale della storia, certamente nonsenza peccato, curiosi però di vedere qualimeriti potranno elencare i fabbricatori didiscordia, i difensori del particolarismo edell’egoismo. Vedremo finalmente sesiamo veramente colpevoli per aver fattocondividere a tutti gli Italiani ed al mondola lezione di Giordano Bruno oppure se siabene che si debba abbandonare il nostropaese alle fiamme di tutti i ben pensantiche lo arsero vivo ed ai loro epigoni che an-cora si beano di tale crimine. Perché ab-battuta l’unità nazionale all’insegnadell’esaltazione del prima, vediamo solo

    roghi e mostri, un bellum omnium contraomnes, figlio della barbarie, che ci allonta-nerà dall’Europa e dal mondo civile, a cui

    noi invece apparteniamo. Noi vogliamo festeg-

    giare insieme con le altrecomponenti dialogantidella nostra società ilprocesso unitario, nonper esaltare il nazionali-smo e un patriottismobellicista e retorico cheha portato troppi lutti al

    paese, ma per ripercor-rere tutti i passaggi nodali della nostra de-mocrazia, le grandi conquiste civili,dall’obbligo scolastico al suffragio univer-sale, dalle libertà costituzionali all’ingressonella comune casa europea, in cui deside-riamo restare a testa alta. Un’Italia, la no-stra, che è anche quella delle suetradizionali minoranze linguistiche, fran-cesi, tedesche, slovene e croate, albanesi egrecaniche o addirittura catalane. Se unBafometto si aggira per l’Italia, non lo sicerchi nelle logge, perché lì non avrebbeplatea adatta. Altri gli rendono omaggio.Facciamo solo in modo che la sua voce nonsia la sola e che non trovi più ascolto diquanto meriti. Le più importanti istituzionidel nostro paese lo chiedono. Noi stessi,come Istituzione, dobbiamo essere prontia svolgere il nostro compito civile e nonpossiamo esimerci dall’essere l’autoritàetico-morale che il momento richiede.

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  • IInnttrroodduuzziioonnee aalllloo ssttuuddiioo ddeell SSeeffeerr YYeettzziirraahh

    di GGiiuusseeppppee AAbbrraammooGran Segretario del Grande Oriente d’Italia

    (Palazzo Giustiniani)

    The Sefer Yezirath, most probably, is one of the ancient if not the most ancientCabalistic texts we have today. Nevertheless, we must note and underline that itscontent amazes us with its modernity, and the nearly scientific tenor of the expositionof the subjects. More than any other text, it shows the universality of the Cabalisticwisdom, and is capable of proposing an important message, also to the conscience ofthose who follow other spiritual traditions. The “Book of Education”, after all, offersthe quintessence of the system of correspondences attested in the Cabala, a systemwhich allows us to arrange and unify the different pieces of that wide and complexmosaic representing human and natural reality. The book, as we know it, claims to bea monologue of patriarch Abraham, where, through the contemplation of all thatsurrounds him, he comes up to the conclusion of the unity of God. Presenting such adense compendium of cosmogony and cosmology, the Author tries to match his ideaswith the Talmudic disciplines, in particular those concerning the doctrine of Creationand Merkavà. The Sefer Yezirath, in fact, presents itself as a compendium of forms ofcorrespondences, aiming to disclose the parallelism of the space-temporal phenomenain the human and physic nature, thus revealing their roots in a world of pure “divine”conscience. So, the Sefer Yetzirah simplifies the unorganized complexity of reality,“rearranging” it in an harmonic and symmetric simple system.Sefer Yetzirah is the first text that introduces the idea of sefirà, that is one of themost known, but also one of the most important concepts of Cabala.The first great Cabalists saw the sefiroth as the stages of the process of emanation,through which God brought the manifestation of the different plans of existence, fromthe more subtle and superior to the rough and material ones.The fundamental framework of the universe as a whole is based on 32 basic unities,the famous “Thirty-two paths of Wisdom”. They are the fundamental elementsthrough which reality is formed, in its physic and spiritual expressions.Finally, the act of creation is presented as a consequence of God’s speech – over the voidand the shapeless –, which becomes the reality of the cosmic order by means of aseries of “creative” words.The ideology of language, that is the acceptance of the word as a medium of creation,can become a sufficient reason to study this very ancient text, particularly for thosewho, with the instructive and irreplaceable guide of a rituality, are engaged in asearch for the “lost words”, to which a constituting value in the knowledge of sacrumcan be attributed.

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  • L’epoca e l’Autore

    SSSSull’origine e la patria spirituale delSefer Yetzirah sonostate espresse lepiù diverse opinioni senzache sia stato possibilegiungere a conclusioni de-finitive.

    Infatti, quanto alla da-tazione essa oscilla dal IIall’VIII secolo, e quantoalla paternità la si attri-buisce perfino al patriarcaAbramo. Tuttavia, nono-stante le incertezze sullasua età, tenuto conto cheil Talmud ne fa menzione,possiamo, quanto meno,collocarlo intorno a 1800anni fa.

    I quesiti che questo libro ha sollevatopossono essere riassunti, con Alfonso M. DiNola (1985: 48) nei seguenti termini:

    Del resto molto discusso è il problemadelle influenze presenti nel libro. Lo si puòritenere frutto del sincretismo gnostico e ri-sultato di molteplici infiltrazioni culturalid’ambito ellenistico-ermetico ovvero lo sideve considerare tipica espressione di unatradizione ebraica gelosamente preservatada ogni contaminazione estranea, almenonei suoi schemi ideologici essenziali, anchese l’ideologia, nell’atto di essere consegnataallo scritto, ha subito l’adattamento a taluneforme terminologiche e concettuali propriedella gnosi?

    Pur apprezzando molto l’impostazionedel Di Nola, verso il quale ci sentiamo debi-

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    tori di tanti insegnamenti, devo dire che, seci immettiamo in questo campo di ricerca,

    purtroppo non sarà facileuscirne, perché - nono-stante l’abbondante e au-torevole letteratura inproposito - non è sem-plice decidere se l’Autoredel Sefer Yetzirah ha cer-cato di mettere d’ac-cordo la dottrinagnostica degli eoni, conquella della scuola pita-gorica o neoplatonica,anche perché tutte le in-terpretazioni sono possi-bili e una parentela, siapure non proprio strut-turale, è rintracciabile in

    correnti speculative paral-lele o in armonia con l’esoterismo ebraico.

    Tuttavia vale la pena di precisare che lebasi pre-storiche della Cabalà, poggiano suquelle discipline mistiche-occulte a cui siriferisce lo stesso Talmud quando parla deiSitrè Torah, i “Misteri della Legge”, i qualiassumono il doppio aspetto di Mà’asehMerkavah – “Opera del Carro o del Trono”- e Mà’aseh Bereshith – “Opera della Crea-zione”.

    La prima - il cui più noto esponente èconsiderato Rabbi ben Zakkai - è una disci-plina diretta a esperienze estatiche e di pe-netrazione del numinoso, e si rifà alracconto della visione descritta nel primocapitolo di Ezechiele; la seconda - il cui piùnoto esponente è considerato Rabbi Aqivà

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  • • 13 •Introduzione allo studio del Sefer Yetzirah, G. Abramo

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    nella quale vengono fondamentalmente ri-confermati i principi dell’esistenza di un Diocreatore, della sua assoluta unità e della di-

    retta derivazione del cosmodallo stesso Dio, che lo ha for-mato per un atto di volontariacreazione ex nihilo.

    Inoltre, premesso che ilSefer Yetzirah è quasi certa-mente uno dei più antichi senon il più antico testo caba-listico di cui siamo oggi inpossesso, è il caso di notaree sottolineare come il conte-nuto stupisce per la moder-nità e il gusto quasiscientifico con cui gli argo-menti sono esposti.

    Più di qualunque altro testo, esso mo-stra l’universalità della sapienza cabalisticache, da una parte stimola a percorrere viedi ricerca che rifiutano l’idolatria, intesa quicome l’accontentarsi di frammenti di veritàe di assolutizzarli nell’illusione che essisiano il tutto o che siano più importanti dialtri frammenti, e dall’altra ha la capacitàdi porsi come messaggio rilevante anchealla coscienza di coloro che seguono altretradizioni spirituali.

    Il “Libro della Formazione” offre, in de-finitiva, la quintessenza del sistema di cor-rispondenze della Cabalà che ci permettedi riordinare e di unificare i vari pezzi diquel mosaico vasto e complesso che è la re-altà umana e naturale.

    Il progresso scientifico e tecnologico,pur con tutti i suoi vantaggi importanti edirrinunciabili, ha spesso esasperato la com-plessità separativa del modo con cui perce-

    - invece è una cosmologia mistica, che sirifà all’opera della creazione descritta nelprimo capitolo del Genesi.

    L’Opera della Creazione,trasformatasi nel corso deltempo in una via operativaal pari dell’Opera del Carro,corrisponde a quell’inclina-zione razionale e specula-tiva diretta alla ricercadell’archè, del principio tem-porale ed essenziale delcosmo.

    Ma’aseh Berescith sorgedunque come esegesi delprimo capitolo del Genesi,ma molto presto si tra-sforma in una dottrina in-terpretativa dei testi sacri enella ricerca di tutti i Sitrè Torah (i “Misteridella Legge”).

    L’Autore del Sefer Yetzirah ha chiara-mente cercato di mettere d’accordo le di-scipline talmudiche relative alla dottrinadella Creazione e della Merkavah anche seil libro si colloca nell’ambito dell’indaginecosmogonica e cosmologica piuttosto chedella via estatica che, sostenuta da praticheascetiche ed evidentemente psichiche,consentiva l’unione con la sfera del divino.

    Inoltre prendiamo ancora da A. Di Nola(1985: 62) la seguente idea-guida del-l’opera:

    Una valutazione generale del Sefer Yetzi-rah, prima che ci si disperda nei particolaridescrittivi dei molteplici suoi temi, ci fa ri-conoscere in esso una trascrizione ermeticadella cosmogonia monoteistica mosaica,

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  • 1 Scholem, 1973: 32-42.; Di Nola, 1985: 47-81; Mistica Ebraica, 1955.2 Le citazioni del testo sono tratte dal Sefer Yetzirah a cura di Gadiel Toaff, 1988.

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    compendio di cosmogonia e cosmologia,nel quale l’Autore cerca di mettere d’ac-

    cordo le sue idee con le disci-pline talmudiche relativealla dottrina della Crea-zione e della Merkavà.

    PPrriimmaa PPaarrttee

    Nella sua prima propo-sizione, il libro stabilisceun rapporto con la specu-lazione ebraica sulla Sag-gezza divina la Chokhmà, oSophia “Con trentadue mi-steriosi sentieri di Sag-gezza Dio (e qui seguonoattributi vari) ha scolpitoed ha creato il suomondo”.2

    Queste trentadue vie - elementi e mate-riali per la costruzione del cosmo, forzefondamentali che emanano dalla Chokhmàe nelle quali essa prende aspetto - sono, percosì dire, i due piani della creazione; infatti,il primo è costituito dalla decade di logoi se-minali (come li chiama Di Nola), cioè dallesefiroth, che in realtà corrispondono alleprime dieci cose create desumibili dal Ge-nesi, ed il secondo piano è quello che ri-sulta dalle ventidue lettere che nellospazio, ormai costituito, producono vari or-dini di realtà naturali.

    Nelle o per le trentadue vie la creazioneha ricevuto l’impronta divina ed il cosmo

    piamo noi stessi e il mondo, rispondendo esoddisfacendo molti dei nostri bisogni, malasciando anche enormispazi vuoti all’internodelle coscienze di co-loro che nella sa-pienza tradizionalenon vedono elementio momenti anacroni-stici, ma piuttosto ilmezzo per riportarsialla consapevolezza diun’energia unifica-trice ed organizzativapresente in ogni luogoe tempo.1

    Il contenutoIl Sefer Yetzirah è

    un concentrato di for-mule di corrispondenzevolto a svelare il parallelismo dei fenomenispazio-temporali nella natura fisica eumana mostrandone le loro radici neimondi della pura coscienza “divina”. Inquesto modo il Sefer Yetzirah semplifica lacomplessità disorganizzata della realtà“riordinandola” in un insieme armonicosemplice e simmetrico.

    Il libro, come noi lo conosciamo, è unmonologo del patriarca Abramo, in cui, permezzo della contemplazione di tutto ciòche lo circonda, egli arriva alla convinzionedell’unità di Dio.

    Come si è accennato il libro è un denso

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  • • 15 •Introduzione allo studio del Sefer Yetzirah, G. Abramo

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    me-ruah), “il soffio del soffio”, cioè l’ele-mento primordiale dell’aria, dalle quale Dio

    ha creato le 22 lettere fon-damentali.

    3) Dall’aria primor-diale nasce l’acqua(maym me-ruah), dallaquale Dio ha creato ilcaos cosmico (Tohu eBohu, fango e liquido in-sieme).

    4) Dall’acqua primor-diale nasce infine ilfuoco (Esh mi-maym),dal quale Dio ha creato ilTrono della Gloria e gliordini degli angeli (pro-prio in questo passo delSefer Yetzirah vi è la con-nessione fra i due sistemi

    mistici del Trono e del Bereshith, nel sensoche l’Autore dopo aver spiegato la crea-zione fisica, passa all’origine dei mondi su-periori, in cui si realizza l’estasi).

    5-10) Le ultime sei sefiroth sono definitein tutt’altro modo: esse rappresentano lesei direzioni dello spazio, senza che vengadetto se esse sono emanate da elementiprimordiali anteriori, anzi chiaramente ledimensioni spaziali derivano, ciascuna in-dipendentemente, dal nome di Dio, ����(YodHe Vav He), da cui tolto la He finale ab-biamo la radice creatrice dell’altezza (YodHe Vav), della profondità (Yod Vav He), del-l’oriente (He Yod Vav), dell’occidente (HeVav He), del meridione (Vav Yod He) e delsettentrione (Vav He Yod ).

    Per l’insieme delle sefiroth è enunciatoche il loro inizio e la loro fine sono legate

    esiste in virtù delle dieci parole pronun-ciate da Dio sul caos e dei ventidue segni amezzo dei quali Dio ha“scritto” e “detto” ilmondo.

    Le prime dieci ma-nifestazioni creatricisono designate - comesi è detto - con la pa-rola sefiroth, plurale disefirà che nel Talmud èusata con il valore dicalcolo, numerazione.Dall’etimologia dellaparola si è pervenutiad un’interpretazionedella stessa nel sensoche questi primi diecisimboli del Sefer Yetzi-rah costituirebbero laserie fondamentale della numerazione: ladecina. D’altra parte con l’introduzione diun nuovo termine (sefirà) per i dieci nu-meri primordiali al posto dell’abituale “mi-spar”, l’Autore sembra indicare che non sitratta semplicemente di numeri ordinari,ma di numeri in quanto principi dell’uni-verso o gradi della creazione.

    Ciascuna sefirà è disposta in una deter-minata categoria della creazione:

    1) La prima è lo spirito del Dio vivente(ruah Elohim chaijm), che, nel Berescithaleggia sulle acque e si fa parola di crea-zione. Come tale è eterna e increata (“illoro principio non ha principio e la lorofine non ha fine”).

    2) Da ruah viene fuori, per così dire, percondensazione, “l’aria dello spirito” (ruah

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  • 3 Castelli, 1880: 25.

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    diventano parole manifestatrici del pen-siero. Per simboleggiare poi la potenza crea-trice nella materia, nulla di meglio che gli

    organi genitali.

    Il rapporto unitario fradio e realtà cosmiche èanche espresso nella quali-ficazione belimah che seguesempre la parola sefiroth.Le sefiroth, dunque, sonobelimah (da belì “senza” e ma“cosa”) per significare cheesse sono - come dice il Ca-stelli – “i primi e soli ele-menti di tutto il creato, daiquali poi tutto si forma e sisvolge senza altra so-stanza”. Quindi il terminepuò essere letto sia come

    “prime nel tempo, senza pre-cedenti, prime come elementi creati” ov-vero “infinite”; ma può anche significare“senza precedenti materiali di origine”,proprio come in Giobbe (26,7), ove si diceche Dio tiene sospesa la terra sopra belimah,cioè sopra nessuna cosa.

    Non è da escludere anche l’interpreta-zione dello Scholem, secondo il quale ilcontenuto del testo suggerisce piuttosto ilsenso di “chiuso”, di “chiuso in sé”.

    Il Sefer Yetzirah è il primo testo che in-troduce il concetto di “sefirà” che è uno deipiù noti, ma anche uno dei più importantidella Cabalà.

    I primi grandi cabalisti videro le sefi-

    l’uno all’altra e che questa decade primor-diale forma dunque un’unità, il che è inperfetta sintonia con il ca-rattere monoteistico ecreazionistico della co-smogenesi ebraica.

    Al riguardo vale lapena di citare l’analo-gia, riportata nel testo,dell’unità divina conl’unità organica e fun-zionale delle dieci ditadella mano e “il pattodell’Unico collocato alcentro: e come le paroledella lingua, così la cir-concisione della pelle”.

    Per David Castelli3questo sarebbe il primocenno del concetto poiampiamente svolto dalla Cabalà di compa-rare il corpo umano da un lato con Dio edall’altro con il mondo, anche se con il SeferYetzirah:

    non siamo ancora giunti a una rappre-sentazione così piena dell’umano nel divinoe di questo in quello; non siamo giunti an-cora a fare un Dio-Uomo né un Uomo-Dio.L’idea per altro che la lingua e il membro vi-rile rappresentano l’unità in mezzo alla de-cina, come Dio è uno fra le dieci Sefiroth, sipuò, secondo me, spiegare come un simbolodella doppia potenza creatrice, dell’ideale edel materiale.

    Per simboleggiare nell’uomo questa po-tenza creatrice nulla di meglio che la lingua,per mezzo della quale si esprimono le idee e

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    SSeeccoonnddaa ppaarrttee

    Esaurita la primafase della cosmoge-nesi con la triade ele-mentare e lo spaziotridimensionale, lastoria della crea-zione, nella secondafase è fondata sullelettere dell’alfabeto,espressione della po-tenza creatrice emezzo attraverso ilquale Dio “dice” e“scrive” il mondo.

    Con la combina-zione delle 22 lettere,infatti, tutto il realesi costituisce nei tre

    livelli del cosmo: ilmondo, il tempo, il corpo umano (mundus,annus, homo).

    Le 22 lettere, in prima istanza, sono di-vise secondo i cinque organi della fona-zione (gola, labbra, palato, denti e lingua),ma poi nel seguito della trattazione l’Au-tore dimentica quest’antica divisione deigrammatici e ne adotta un’altra.

    Le 22 lettere si dividono in tre gruppi: ilprimo comprende le tre madri (alef, mem eshin - rispettivamente iniziale della paroleaver “aria”, maim “acqua” e finale della pa-rola esh “fuoco”). Ad esse, chiaramente,corrispondono a loro volta i tre elementiAria, Acqua e Fuoco, da cui deriva tutto ilresto, ma anche le tre stagioni, come purele tre parti del corpo (testa, petto e ad-dome).

    roth come le fasi del processo d’emana-zione con cui Dio ha manifestato i varipiani dell’esistenza, daipiù sottili e superioria quelli grossolani emateriali.

    A questa visione siè in seguito aggiuntaquella che vede nelle“sefiroth” le “po-tenze” dell’anima,cioè gli strumenti ba-silari che l’animaumana possiede perrapportarsi con la re-altà circostante, conse stessa e con il Crea-tore. Le sefiroth sonoquindi “stati di consa-pevolezza” presentiin ciascuno di noi e sve-lata la loro potenza nascosta esse diven-tano vere e proprie luci dell’anima.Pertanto il vero scopo dell’ascesi spirituale,secondo la Cabalà, è il ritrovamento in cia-scuno di noi dell’Albero della Vita costi-tuito dalle dieci sefiroth, la prima dellequali (Keter - Corona) appartiene al pianotrascendente, la seconda e la terza (Ho-khmà - Sapienza e Binà - Intelligenza) alpiano cognitivo, la quarta (Chesed -Amore), la quinta (Ghevurà - Forza), lasesta (Tiferet - Bellezza), la settima (Netzah- Eternità), l’ottava (Hod - Splendore), lanona (Yesod - Fondamento), appartengonoal piano emotivo ed infine la decima (Mal-khut - Regno) al piano pratico.

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    Le ventidue lettere, pur essendo in nu-mero ristretto, consentono per “combina-

    zione” e “trasposizione” unnumero infinito di pa-role. “Così come le 22lettere forniscono 231tipi combinando l’alefcon tutte le lettere etutte le lettere con beth,e così via” e così l’interacreazione e l’intero lin-guaggio scaturiscono daun’unica combinazionedi lettere.

    Così ad esempio conlettere diversamentecombinate si possonoesprimere i pensieri piùopposti (oneg “piacere”,negà “piaga”)

    Va infine ricordatoche per mezzo delle permutazioni apparechiara l’infinita varietà di cui è capace l’al-fabeto ebraico, il che dimostra l’infinita va-rietà del creato: “Due lettere formano duecase, tre lettere costituiscono sei case,quattro ne costituiscono ventiquattro...,ecc.” (Per accertare quante volte un certonumero di lettere può essere trasposto, ilprodotto del numero precedente deve es-sere moltiplicato nel modo seguente: Let-tere 2 x 1 = 2; 3 x 2 = 6; 4 x 6 = 24; 5 x 24 =120; 6 x 120 = 720; 7 x 720 = 5040).

    Le ventidue lettere dell’Alfabeto ebraicosono dunque chiamate dal Sefer Yetzirah le“pietre” (evanim) che il Grande Architettoha usato per costruire la “casa” che è lacreazione. Ogni lettera, lungi dall’essere

    Il secondo gruppo è formato dalle 7doppie:

    beth (b ב�), ghimel (g ג�),daleth (d ד�) , kaf (k כ�), pe(p פ�), resh (r ר�), tau (t ת�);

    ad esse corrispondonoi sette pianeti, i sette cieli,i sette giorni della setti-mana, le sette porte del-l’anima, cioè le setteaperture della testa. Manello stesso tempo esserappresentano anche gliarchetipi delle sette op-posizioni fondamentalidella vita umana: vita emorte; pace e guerra; sa-pienza e follia; ricchezzae povertà; bellezza e brut-tezza; seminatura e deva-stazione; dominio easservimento. A loro corrispondono ancorale sei direzioni e, al centro, il Tempio che lesostiene.

    [Per una strana coincidenza il valorenumerico delle sette doppie è uguale asette: infatti 2 + 3 + 4 + 20 +80 + 200 +400 =709; 7 + 0 + 9= 16; 1 + 6 = 7] .

    Il terzo gruppo è formato dalle dodiciconsonanti semplici:

    hey (h ה�), vav (w ו�), zayin (z ן�), cheth(ch ח�) ṭeth (ṭ ט�), jod (y י�), lamed (l ל�), nun(n נ�), samekh, (s ם�), ʿayin (ʿ� ,(צ �sadè (ṣ ,(ע�quf (q ק�) che corrispondono alle principaliattività dell’uomo, i cosiddetti dodici“sensi”, alle immagini dello Zodiaco, ai do-dici mesi e ai dodici principali organi (oguide) del corpo umano.

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    questi aspetti. Quindi non è superfluo fa-miliarizzarsi con le lettere dell’Alfabeto

    ebraico e con le loro ca-ratteristiche. Le loroproprietà gradatamenteverranno alla luce, in-tanto, secondo la visionecabalista, il guardarle hagià un effetto positivosulla coscienza, che neviene stimolata a livellosopra-conscio.

    Le ventidue lettere,come già abbiamo ac-cennato, sono le radicida cui derivano i se-guenti settori generalidella creazione:

    Nella dimensione chia-mata “mondo” OLAM: i tre elementi attivi(fuoco, aria, acqua), i sette corpi visibili delsistema solare, i dodici segni zodiacali.

    Nella dimensione chiamata “anno”SHANA’: le tre stagioni dell’anno (calda,fredda, temperata), i sette giorni della set-timana, i dodici mesi soli-lunari del calen-dario ebraico (Nisan, Yaar, Sivan, Tamuz,Av, Ellul, Tishirei, Heshvan, Chislev, Tevet,Shvat, Adar).

    Nella dimensione chiamata “anima”(unione della realtà fisica, psichica e spiri-tuale dell’essere umano) NEFESH: le tre di-visioni principali del corpo (testa, torace,ventre), le sette aperture del viso, i dodiciorgani del corpo (due mani, due piedi, duereni, stomaco superiore, stomaco inferiore,

    una semplice convenzione umana sul comerappresentare un elemento fonetico, è inrealtà uno degli agenti es-senziali del processo crea-tivo. Nel pronunciare ognilettera il “fiato” divino hadato origine ad una por-zione della realtà. Tramitela combinazione e la per-muta delle varie lettere, lasapienza divina ha dato esi-stenza alla molteplicitàdelle forme viventi ed ina-nimate.

    Quando Adamo “chiamòi nomi” di ogni essere pre-sente nel giardino dell’Eden(Genesi 3), in realtà eglistava riconoscendo e leg-gendo la formula o permuta-zione presente alla radice di ciascuno diessi. Ciò gli era possibile grazie alla “vista”spirituale di cui era ancora dotato.

    In definitiva, ricapitolando, ogni letteradell’Alfabeto è un archetipo che possiedeuna triplice forza:

    la sua forma o aspetto grafico; il suosuono o il significato del suo nome; il suovalore numerico.

    Queste tre forze agiscono sulla triadepiù importante dell’apparato conoscitivoumano: vista, udito, intelletto.

    Il testo del Sefer Yetzirah è estremamenteconciso e concentra in poche parole tantis-sime informazioni. Esso fa quasi pensare al-l’indice di un libro più che al libro stesso.

    Pertanto un suo studio “effettivo” nonpuò non approfondire accuratamente tutti

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    le prime sia le seconde sono tutte presentie sono rappresentate tutte insieme nell’Al-

    bero della Vita.Inoltre nello stesso

    libro, come abbiamovisto, si parla anche dicome le 22 lettere sianodivise a loro volta in tregruppi: tre madri, settedoppie e dodici semplici.

    In tutto quindi ab-biamo quattro gruppi: lesefiroth, le tre letteremadri, le sette doppie ele dodici semplici.

    Osservando la strut-tura dell’Albero dellaVita è estremamente in-teressante notare che aparte le 10 sefiroth soli-tamente raffigurate gra-

    ficamente con un piccolocerchio, i 22 canali sono raffigurati con tregruppi di linee ed esattamente tre orizzon-tali (che sono le tre lettere madri), setteverticali (le sette lettere doppie), e 12 obli-que (le dodici lettere semplici).

    Ciò premesso, nel testo biblico ritro-viamo in queste 32 apparizioni del nome diDio una analoga suddivisione in quattro.

    Dieci volte c’è la frase “vaiomer Elo-him”, “e Dio disse”, e queste sono le sefi-roth. In realtà quando contiamo leespressioni “Dio disse” ci accorgiamo chesono nove, la prima, o il primo “e Dio disse”è sottintesa, corrisponde infatti alla sefiràdella Corona che si distingue dalle altre edè quella bocca, che emette la prima parola“bereshit”. Kheter è assolutamente inco-

    milza, fegato, intestino tenue, bile) e i do-dici “sensi” (vista, udito, odorato, favella,gusto, coito, azione, mo-vimento, ira, riso, me-ditazione, sonno).

    Il numero 32L’intelaiatura prin-

    cipale dell’insieme ap-pena descritto apparedunque costituita da 32unità fondamentali, ifamosi “Trentadue sen-tieri della Sapienza”.Essi sono gli elementiessenziali di cui è com-posta la realtà, sia nellesue espressioni fisichesia in quelle spirituali.

    L’entità numerica 32non è casuale, ma possiedediverse precise origini bibliche.

    La storia della creazione così com’è de-scritta nel primo capitolo del Bereshit (Ge-nesi), contiene esattamente 32 volte ilnome “Elohim” il primo dei vari nomi concui Dio è chiamato nella Torà. La Cabalàspiega che il nome “Elohim” descrive la po-tenza divina preposta alla creazione e almantenimento delle leggi naturali su cuipoggia la realtà.

    È interessante notare che, nel “Librodella Formazione”, come abbiamo innanziaccennato, questi 32 sentieri, queste 32volte con cui il nome Elohim, il nome dellacreazione, agisce e si rivela, sono divise indue gruppi: dieci sefiroth e 22 lettere e sia

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    combinazione tra verticale ed orizzontale,diversa di volta in volta.

    Il numero 32 spesso rappre-senta anche la Torà nella suainterezza, dato che le letterecon cui essa incomincia è laBeth, il cui valore numericoè 2, e quella con cui essa fi-nisce è la Lamed, il cui va-lore numerico è 30. Lasomma della prima e dell’ul-tima lettera della Torà di-venta così il simbolo di tuttoil suo contenuto.

    Quanto alla letteralamed, è il caso di ricordareche questa lettera indical’ascesi da un livello all’altro.

    Per capire questo discorsopossiamo esemplificativamente riferirci aigradi di un segno zodiacale che sono 30come il valore della lamed e come i giornidi un mese. Ogni mese c’è un passaggio, c’èun rinnovamento; secondo la linguaebraica la parola kodesh (“mese”) è ugualea kadash (“nuovo”), cioè rinnovamento. Lalamed è chiamata anche “la torre che volaper aria”, è cioè una specie di razzo spa-ziale che porta la consapevolezza da un li-vello a quello successivo.

    Quindi la Torah, che dobbiamo inten-dere come un certo tipo di conoscenza, in-comincia da due e poi ci accompagna fino aun certo livello e ci dà la spinta per andareoltre e per superare ogni comprensioneprecedente. Ecco perché nella liturgiaebraica si legge in continuazione. Ognianno, nella Sinagoga, si finisce e si rico-mincia.

    noscibile, quindi non si rivela, rimane na-scosta.

    Poi c’è scritto tre volte“vaias Elohim”, “e Dio fece”,e questi sono i tre canaliorizzontali, in quanto l’attodel fare è legato ad un con-cetto di orizzontalità.

    Dei tre verbi che indi-cano l’atto creativo,“creare” è fare un qualcosadal niente, “formare” è dareuna forma a ciò che è statocreato, ma è privo di qual-siasi forma ed infine per“fare” occorre avere una so-stanza che ha già una forma,quindi significa combinareinsieme sostanze, elementi ecose che hanno già forma. Si opera per-tanto su un piano di “materia”.

    Questa è una conquista nel piano crea-tivo perché Dio vuole creare il mondo,vuole dargli una consistenza tutta sua, ladimora nel basso che Dio ricerca, un luogooltre il quale non c’è niente di più basso cheè appunto la materia. Ecco l’importanza delfare, ecco perché è collegato con le tre let-tere madri che sono le lettere più impor-tanti.

    Poi ci sono sette espressioni “Vaiar Elo-him” e “Dio vide” e questi sono i sette ca-nali verticali.

    Infine abbiamo 12 espressioni assortite:lo “spirito di Dio aleggiava”, “e Dio creòAdamo”, “Dio li benedisse”, “Dio li pose”insomma una serie di verbi assortiti e que-sti sono i canali diagonali che rappresen-tano appunto un’azione complessa, una

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    zirah suggerisce che lo studio dei “Trenta-due Sentieri della Sapienza” è la via per

    spiegare la misteriosa va-rietà del mondo, e per ri-conoscere in esso il filounificante della Sapienzasuperiore.

    Inoltre rispetto alla li-mitatezza del pensieroscientifico e alla sua inca-pacità di uscire dalcampo del “sensibile” del“corporale”, il “Librodella Formazione” offreuna chiave di corrispon-denze che permette benpiù della descrizione delpiano fisico della crea-zione, chiamato nel testo“Olam” (“mondo”). In-

    fatti esso ci porta a realiz-zare come il mondo fisico non è altro chel’ultima espressione di un sistema ben piùricco ed articolato, che include i fenomenidel tempo e della storia - chiamati col ter-mine “Shana’” (“anno”) - come pure i fe-nomeni psichici, emotivi, intellettuali espirituali dell’essere umano - chiamati conil termine “Nefesh” (“anima”). Infine iltesto li ricollega con le loro radici più ele-vate, all’interno dello stesso pensiero diDio, le Dieci Sefiroth, e le Ventidue letteredell’Alfabeto ebraico, il linguaggio essen-ziale con cui si esprime la mente divina.

    Un altro modo di capire le qualità “ma-tematiche” del numero trentadue è quellodi considerarlo come la quinta potenza delnumero 2.

    Ogni volta dovrebbe portare su un altropiano, senza mai togliere l’uomo dal due.

    Trentadue è il valorenumerico della parola“lev”, “cuore” (Lamed +Beth). Oltre ad affermareche la Torà è il cuorestesso della creazione ciòsuggerisce che i “Trenta-due Sentieri” sono il“cuore” della realtà, cioèla sua parte più intima,l’essenza del nucleo cen-trale, nella quale è conte-nuta la chiave percomprendere tutto ilresto. Ciò giustifica la pre-tesa del “Libro della For-mazione” di voler ridurrel’indiscutibile complessitàdella realtà sensibile ad appena trentadueelementi fondamentali. Questa “riduzione”dunque è valida solo a proposito del“cuore”, dell’entità centrale del creato e la-scia intatta l’infinita varietà delle manife-stazioni delle forme di vita e diintelligenza.

    D’altra parte, la metodologia di esem-plificare la realtà oggettiva in un numero ilpiù ridotto possibile di elementi-primi èbasilare nella stessa osservazione scienti-fica. Così, ad esempio, nella chimica tuttala varietà della materia viene ridotta ad ap-pena un centinaio di elementi, attraversola cui combinazione e permutazione si ar-riva poi alla complessità delle strutturemolecolari e cellulari. Anticipando di due-mila anni questa metodologia, il Sefer Yet-

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    formula secondo la quale bisogna saperleggere la dualità fondamentale dell’esi-

    stenza in termini di paralle-lismo, di corrispondenzae di simmetria, “poten-ziando” tale lettura me-diante la sua estensione atutti i cinque gradi del-l’essere.

    Difficoltà interpretativeIl testo del quale ab-

    biamo cercato di schema-tizzare il contenuto nonsempre è chiaro, il lin-guaggio talvolta è strin-gato, talvolta invecepleonastico e inoltrecerte espressioni facili-tano l’ambiguità e l’in-

    certezza interpretativa.Pertanto la letteratura, abbastanza im-

    portante in materia, ha trovato modo disbizzarrirsi sulle non poche difficoltà di pe-netrazione di più di un punto.

    Così ad esempio:

    1 - La sovrapposizione delle due teorie(sefiroth e lettere) ha spinto parecchi stu-diosi ad attribuire all’Autore l’idea di unaspecie di doppia creazione: vi sarebbe dun-que una creazione ideale per mezzo dellesefiroth che si potrebbero immaginarecome astrazioni e una creazione reale dalcollegamento con gli elementi della lingua.

    Infatti nel primo capitolo la triade ele-mentare appare prodotta dalla seconda,terza e quarta sefirah, nel terzo capitolo,invece, le tre lettere madri producono,

    La base 2 rappresenta la polarità fonda-mentale su cui si basa tutta l’esistenza ri-velata, che è “seconda” aquella segreta che rimanein uno stato di unità conDio. “Due” rappresentaanche la simmetria su cuisi appoggia la creazione,assunto condiviso ormaianche dalla scienza (bastipensare al rapporto mate-ria - antimateria descrittodalla fisica quantistica).

    Qohèleth, nel versetto(7,14) “questo parallelo aquello fece Dio” (ze leumatze assà ha Elmi) aveva an-ticipato la scoperta dellafondamentale dualità sim-metrica di tutti i fenomenifisici e psichici. Non a caso laTorà incomincia proprio con la Beth chevale 2.

    L’esponente a cui va elevato il 2 per ot-tenere 32 è 5, che si riferisce alle 5 dimen-sioni che esistono nella creazione secondoil “Libro della Formazione”. Il testo comeabbiamo già accennato contiene la se-guente ripartizione: mondo - anno - anima.

    Questi tre livelli espressi in termini mo-derni sono: spazio - tempo - coscienza.

    Com’è noto in fisica, lo spazio possiedetre dimensioni e il tempo una. La “quinta”dimensione, quella che la scienza non haancora scoperto e forse non scoprirà mai, èquella della consapevolezza dell’essere vi-vente, cioè di colui che si trova al centrodelle altre quattro coordinate.

    In conclusione dunque 2 elevato a 5 è la

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    Come si può osservare la corrispon-denza dei giorni con i pianeti non si ac-

    corda con la visionetradizionale che attribui-sce il primo giorno (do-menica) al Sole, ilsecondo (lunedì) allaLuna, il terzo (martedì) aMarte, il quarto (merco-ledì) a Mercurio; il quinto(giovedì) a Giove, il sesto(venerdì) a Venere ed in-fine il settimo (sabato) aSaturno.

    L’Autore del Sefer Yet-zirah ha invece tenutoconto solo della distanzadei pianeti dalla terra epartendo da Saturno, ilpiù lontano, ha proce-duto all’attribuzione ai

    pianeti stessi dei vari giorni della setti-mana.

    È strana questa attribuzione perché èdell’ambiente caldeo (e quindi supponiamodifficilmente ignota all’Autore) la conce-zione che si sviluppò - forse già nella primametà del I millennio a.C. - che metteva inrapporto i sette giorni della settimana conl’ordine delle sfere tolemaiche, vale a direcon quello delle varie distanze dalla terradei pianeti allora conosciuti (Saturno,Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio,Luna).

    Ad ogni pianeta l’astrologia attribuivala presidenza sopra una determinata ora;poiché il numero delle ore del giorno, 24(dodici diurne e dodici notturne), divisoper il numero dei pianeti, 7, dà un resto di

    come abbiamo visto, la triade elementare,in contraddizione con quanto l’Autoreaveva detto prima.

    La contraddizionepuò essere spiegata solose si interpreta la primafase di creazione nelsenso che in essa gli ele-menti vengono in esi-stenza, ma come masseindistinte. Quando suqueste scende il germevivificante di Dio informa dei tre fonemi(alef, mem, shin) la na-tura indistinta si fa di-stinzione: il Fuocodiventa volta celestenello spazio, stagioneestiva nel tempo, e testanell’organismo umano;l’Acqua si fa terra nello spazio, stagione in-vernale nel tempo e ventre nell’organismoumano; l’Aria diventa vento nell’universo,stagione temperata nel tempo e busto nel-l’organismo umano.

    2 - Un altro punto (cap. IV) sul quale vo-gliamo fare qualche osservazione è quelloin cui, nell’utilizzare, per l’opera creativa,le sette lettere doppie, come abbiamo in-nanzi accennato, partendo dalla letterabeth, fu creato, fra l’altro, Saturno nelmondo e il giorno del sabato nel tempo;con la lettera ghimel Giove e la domenica;con la daleth Marte e il lunedì; con la kaf ilSole e il martedì; con la pe Venere ed ilmercoledì, con la resh Mercurio ed il gio-vedì, con la tav la Luna ed il venerdì.

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  • 4 Savini, Il Sefer Yetzirah.5 Di Nola, 1985: 57.6 Toaff, 1988: 95.

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    (l’Anno) e l’Uomo, la prima di queste serie(alef - spazio - universo) avrebbe come

    punto di fondamento, stabileed immutabile, il Dragone,così come la seconda (mem- tempo - anno) lo zodiaco ela terza (shin - uomo) ilcuore.

    Ma questa tesi, come facostatare lo stesso Autore,pur essendo la più proba-bile non è assolutamentecerta, in quanto il “Dra-gone” potrebbe corrispon-dere allo zodiaco (le dodicilettere semplici), e la sferaai sette pianeti (le sette let-tere doppie).

    Di conseguenza - con-clude Gadiel Toaff6, rifacen-

    dosi ad Aqivà ben Joseph - il Dragonestarebbe nell’Universo come il re sul tronopoiché tutto ciò che è circondato dal Dra-gone (zodiaco) è governato dai segni dellozodiaco come un paese è governato dal suore. La sfera starebbe nell’anno come il renella sua provincia, poiché il regno del-l’anno avrebbe 52 provincie, le 52 setti-mane. Il Cuore starebbe nell’uomo come ilre nella guerra, poiché l’intelligenza umanaè sempre in guerra contro l’ignoranza e lasuperstizione.

    Per concludere, è molto probabile che lachiave di lettura di questo punto del SeferYetzirah vada ricercata nella tradizione allaquale l’Autore si ricollegava, quasi certa-

    tre, la prima ora del giorno successivo aquello di Saturno era quella del Sole, laquarta dopo la ripetizionedei cicli di sette. Fu questoil ragionamento in base alquale si costituì l’ordinedei giorni della settimana.

    3 - Il più incerto deipunti che presentanoqualche complessità in-terpretativa, è sicura-mente quello del VIcapitolo relativo al “dra-gone”.

    Il primo problema èaddirittura relativo allaparola “telì” che secondoi commentatori ebrei nonsarebbe interpretabile conassoluta precisione, ma che comunquetrova tutti d’accordo nel farla corrispon-dere, come dice il Savini4 all’incirca a“drago” e sta per indicare qualcosa che sitrova nel cielo e quindi con il paragone “IlDragone sta nel mondo come il re sultrono” si vuole suggerire l’idea di un soste-gno, di un fondamento stabile ed immuta-bile, di un punto fermo.

    Molto discussa è anche l’origine del“dragone”, che farebbe pensare a collega-menti mesopotamici, e/o caldaici e neoba-bilonesi.

    Per A.M. Di Nola5, premesso che con leTre Madri oltre agli elementi sono staticreati lo spazio, (Universo), il tempo

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  • 7 Di Nola, 1985: 58-59.8 Di Nola, 1985: 64.9 Di Nola, 1985: 68.

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    “Nel Sefer Yetzirah l’atto di creazione èanalogamente rappresentato come un par-

    lare di Dio, sopra il vuoto el’informe, che in forzadelle serie di parolecreatrici pronunciate,diviene realtà di co-smos-ordine. La Paroladi Dio scende sull’abissocarica di una potenzatrasformante, e, nel mo-mento in cui lo tocca,suscita il discriminatodallo indiscriminato,costituendosi, per ciòstesso, in radicale onto-logico, in seme essen-ziale dei singoli ordinidi realtà”8.

    Nel Sefer Yetziraholtre alla Parola, voce di

    Dio che ordina il caos ecrea il cosmo, troviamo anche l’attribu-zione di un valore alle lettere dell’alfabetoche non sono solo “dette”, ma “scritte”,“incise”, “scolpite” e che “divengono i semidi nuove realtà concrete nella loro doppiamanifestazione di segni grafici e di fo-nemi”9.

    Al riguardo vale la pena di ricordarequanto già l’Autore ha avuto modo di illu-strare ponendo nelle varie combinazioni diun gruppo fonetico fondamentale, rappre-sentato dal nome YHVH, il “radicale gene-tico” dello spazio.

    mente fiorita nell’ambito della tarda cul-tura mesopotamica, e quindi7 ci trove-remmo di fronte ad unagiudaicizzazione del mitodel dragone primordiale che“vinto nel dramma di ori-gine, viene a formare ilcielo”. Il Dragone in defini-tiva, quindi, il segno cosmo-logico che rappresenta lastabilità che l’universo haraggiunto dopo il dramma diconfusione primordiale. “Haperciò una doppia funzione,quella negativa di disordineelementare e di male co-smico e quella positiva di so-stegno dell’ordine spazialeceleste, come fissità dell’ar-monia ricavata dal caos.”

    Riflessioni e pensieri

    L’assunzione della parola a mezzo di creazione

    In principio era il Verboe il Verbo era presso Dio

    e il Verbo era Dio

    Nel Genesi la creazione è una succes-sione di parole pronunciate da Dio.

    Nel primo capitolo, relativo alla cosmo-genesi e all’origine dell’uomo la potenzacreatrice appare nell’espressione “Diodisse” che ricorre più volte.

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    trascendente, e ciò in quanto le lettere chele compongono contengono in sé qualcosa

    che è come un seme po-tenziale e/o metafisico.

    Ciò premesso vieneda riflettere che l’Uomosi distingue da tutti glialtri esseri che lo circon-dano perché ha l’usodella Parola ma - comedirebbe Qohelet - anchequesto è vanità perchéproprio di ciò che lo co-stituisce Uomo conoscetanto poco quanto nullae questo molto probabil-mente perché la radicedel linguaggio non ap-partiene al mondo del

    sapere saputo, trasmissi-bile e dimostrabile.

    Qual è veramente l’origine della Parola? Secondo il Genesi (cap XI) dopo che per

    circa due millenni si è parlato nel mondoun’unica lingua insegnata da Dio, per pu-nire la protervia dell’uomo manifestatanella costruzione della torre di Babele, Diostesso provocò la confusione delle lingue.

    In verità gli studiosi che hanno cercatodi penetrare questo mistero, con le lorotesi, non sono andati più in là delle purecongetture.

    Infatti l’origine del linguaggio ora èstata individuata in una convenzione do-vuta ad uomini sapienti e potenti che asse-gnarono a questo o quel vocabolo undeterminato significato, ora nella naturastessa dell’uomo che ha formato il linguag-

    L’ideologia del linguaggio cioè l’assun-zione della parola a mezzo di creazione puòdiventare una ragione suffi-ciente dello studio di questoantichissimo testo, e ciò inmodo particolare da parte dichi, sotto la guida formativaed insostituibile di una ri-tualità è impegnato nella ri-cerca di “parole perdute”,alle quali si può riconoscerevalore costitutivo nella co-noscenza del sacro.

    A parte altre considera-zioni non dobbiamo dimen-ticare che ai riti, allarappresentazione dei miti,alla ripetitività dei cerimo-niali, si attribuisce un poteretrasformante in virtù del-l’energia che è nelle parole eche vengono lette e recitate allo scopo distaccare l’uditorio, riverente ed attento, daltempo presente e per ricreare condizioniastoriche, incondizionate, liberatrici chefanno trascendere lo stato profano per rag-giungere livelli superiori di conoscenza.

    Concepire gli elementi fonetici utilizzatiper la composizione delle parole comesegni carichi di valore simbolico e di por-tata metafisica, non dovrebbe essere diffi-cile in una Istituzione o in una Scuola che èdisseminata, di parole “sacre” e di “passo”,che, non a caso, mutano al mutare dei gradicioè al mutare di condizioni iniziaticheparticolari.

    C’è quindi da pensare che tali parole, ac-quisite certe condizioni, perdono il loro va-lore letterale e si caricano di un significato

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    migliore dei casi, le parole non hanno altrovalore che non sia convenzionale e che per-

    tanto è sempre diverso.Eppure, nonostante

    Hobbes, correndo il ri-schio di essere accusatiquanto meno di esseredei sognatori, non ci èfacile abbandonarel’idea che ci stavamoformando circa una no-bile origine della parola,e sulla possibilità del-l’esistenza di una realtà,dietro di essa.

    Anzi uno scrittore,Fabre d’Olivet, forse,come noi, sognatore, cidà una mano affer-mando:

    [...] Le parole che com-pongono le lingue in generale, e quellaebraica in particolare, lungi dall’essere but-tate là a caso e formate dall’esplosione di uncapriccio arbitrario, come si è voluto pre-tendere, sono al contrario prodotte da unamotivazione profonda: [...] non esiste unasola (parola) che non possa ricondurre adegli elementi fissi e dotati di natura im-mutabile quanto al principio, malgrado chevariabile all’infinito quanto alle forme.

    L. Cl. de St. Martin - il Filosofo Incognito- forse voleva dire la stessa cosa quandoscriveva:

    In qualunque maniera si consideri l’ori-gine del genere umano, il germe radicale delpensiero non può essergli stato trasmesso

    gio sotto la spinta dei suoi bisogni (Vico).Oppure, approdando alle concezione dei fi-losofi moderni, il linguaggiodiventa l’espressione o l’in-tuizione del sentimento edella soggettività (Croce), oil pensiero, la logicità, l’uni-versalità (Gentile).

    Certamente non è nellenostre capacità trovare lasoluzione, tuttavia, sia puresolo come ipotesi di lavoro edi meditazione, ci viene dariflettere che forse do-vremmo accettare i suggeri-menti del Sefer Yetzirah, equindi dovremmo pensareall’alfabeto come ad unateofania, o alle lettere comead archetipi creatori o comeall’idea la cui realtà èespressa dalla parola, o comea segni carichi di valore simbolico.

    A questo punto le lettere, assunte nellaloro portata metafisica e viste come gliequivalenti degli elementi che formano ilcosmo, forse ci aiuteranno a realizzarequalche punto di contatto con la realtà di-versa che presiede alla loro formazione.

    L’ebraico lingua sacra

    Qualunque erudito moderno che ap-pena abbia sentito parlare di Hobbes, po-trebbe facilmente confutare leconsiderazioni innanzi esposte facendociosservare che le parole non possono avereun’energia in sé in quanto alla loro istitu-zione ha presieduto l’arbitrio e quindi, nel

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    L’Autore del Sefer Yetzirah al segno al-fabetico “mem” fa corrispondere l’acqua e,

    ci sembra, che sia antica, edirei connaturata al-l’uomo - perfino in mo-menti inconsci o noncontrollati dalla co-scienza quali il sogno -la rappresentazionedella nascita usando ilsimbolo dell’acqua: ca-dere nell’acqua o usciredall’acqua.

    Tutti i mammiferiprovengono da animaliacquatici, tutti - nonescluso l’uomo - hannopassato nell’acqua laprima parte della loro

    vita: nascendo essi escono dall’acqua. Neiracconti popolari tedeschi la tradizionalecicogna che porta i bambini, li prende dauno stagno, da un pozzo. Nei miti è assaifrequente, in luogo della nascita dell’eroe,narrare il suo salvataggio dall’acqua: sipensi ad esempio a Mosè, salvato dalleacque, a Romolo e Remo, salvati dal Tevere,ecc.

    Con le considerazioni che precedono,certamente, non pretendiamo di aver datodefinitivamente la dimostrazione di unadeterminata origine della Parola e quindidella creatività che è in essa e pertantodella sua sacertà, né che questo discorso siariferibile alla lingua ebraica più che adaltre; tuttavia - per quanto ci riguarda -qualche dubbio sulle affermazioni di Hob-bes ora ha una consistenza maggiore.

    se non attraverso un segno, e questo segnosuppone un’idea-madre.

    Fabre d’Olivet nellasua Grammatica de la lin-gua ebraica restituita ag-giunge:

    Cerchiamo di sco-prire come il segno, ma-nifestandosi al di fuoriprodusse un nome; ecome il nome caratteriz-zato da un tipo figuratoprodusse un segno. As-sumiamo come esempioil segno M –�(memebraico) che, enuncian-dosi con i suoi elementiprimordiali il suono el’organo della voce, diviene la sillaba aM oMa, e si applica ad una delle facoltà delladonna che la distingue eminentemente,vale a dire a quello di Madre. Se qualcuno invena di scetticismo mi chiede perché io ri-conduco l’idea di Madre in questa sillaba aMo Ma e perché sono sicuro che vi si applichieffettivamente, gli risponderò che la solaprova che posso fornirgli nella sfera mate-riale in cui si muove è questa: in tutte le lin-gue del mondo, da quella dei Cinesi fino aquella dei Caraibi, la sillaba aM o Ma si ri-conduce all’idea di Madre, come aB o Ba oPa a quella di Padre. Se questo scettico du-bita della mia asserzione, mi provi che èfalsa; se non ne dubita mi dica come è pos-sibile che tanti popoli diversi, gettati a cosìgrandi distanze, sconosciuti gli uni agli altri,si sono accordati nel dare questo significatoa questa sillaba, o se invece questa sillabanon è l’espressione innata del segno dellamaternità.

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    In questo alfabeto si possono trovare leorigini dell’alfabeto greco (che inizial-mente si scriveva anche in senso sini-strorso) e quindi - per quanto riguarda la

    lingua italiana - dal greco ri-trovare, via via le originidell’alfabeto etrusco e diquello latino.

    L’ampia disgressione,seppure utile e necessaria afissare qualche punto, comesi è detto, non ha la pretesadi dimostrare né la sacertà,né la priorità della linguaebraica, la quale infatti nonè né la prima né l’ultimadelle lingue, né la sola lin-

    gua madre.Per giungere ad una conclusione asso-

    lutamente inattaccabile forse dovremmocercare di penetrare tutti i possibili idiomidella terra, estrapolarne i punti di contattoe stabilire dove sta la priorità, il che non cisembra né facile né possibile.

    Tuttavia, almeno come ipotesi di lavoro,ci sembra più che accettabile la tesi diFabre d’Olivet secondo il quale, per elevarsialle radici del linguaggio non si può pre-scindere da almeno tre antichi idiomi: il Ci-nese, il Sanscrito e l’Ebraico, i quali hannoacquisito diritto alla venerazione per es-sere rispettivamente la lingua di libri diprincipi universali denominati King dai Ci-nesi, di libri della scienza divina chiamatiVeda o Beda dagli Indù, e infine del Sefer diMosè.

    In questi autentici monumenti del-

    Pertanto, sia pure solo per tentare ditrovare ancora qualche elemento - che,come al solito, non chiude il problema, maci aiuta a tenerlo aperto - vale la pena diconsiderare che l’alfa-beto, nel senso esattodel termine, si ispiraal principio cosid-detto dell’acrofoniacioè ad un segno ideo-grafico viene attri-buito un valorefonetico corrispon-dente alla sua conso-nante iniziale.

    Per esempio la let-tera B nasce dal segnoindicante la pianta diuna tenda (beth), la let-tera G dal profilo di un cammello (gamel),la lettera D dal disegno di una porta (da-leth).

    Non a caso abbiamo scelto questiesempi della lingua ebraica perché l’alfa-beto (come riferisce il Dizionario Enciclo-pedico Treccani alla voce relativa) è statoinventato in Siria o in Palestina nei primisecoli del secondo millennio a.C. per scri-vere i dialetti semitici del paese.

    Ma, in realtà, l’alfabeto che sviluppò ilcitato principio dell’acrofonia fu quello fe-nicio - non dimentichiamo sempre di areasemitica - che cominciò la sua diffusionesin dal terzo millennio a.C. Esso, a diffe-renza delle centinaia di segni dell’alfabetocuneiforme e geroglifico, comprendevasolo 22 lettere, il che spiega il rapido suc-cesso fra gli Ebrei, gli Aramei e gli altri po-poli semitici.

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    perto da un triplice velo, ha attraversatoindenne il torrente dei secoli, sfidando losguardo dei profani, e unicamente com-

    preso nel corso dei tempi,da quelli che non pote-vano divulgarne i se-greti”.

    Ancora una voltaquanto premesso nonpuò, né deve essere suffi-ciente per trarre conclu-sione, ma vogliamo soloche resti aperto il pro-blema della possibilità diriscontro nei segni enelle parole che compon-

    gono il linguaggio, di ele-menti fissi e dotati di natura immutabile.

    Per illustrare la natura di questi ele-menti non troviamo niente di meglio chepensare al “simbolo”, il quale, com’è noto,nella comune accezione, è qualcosa di con-creto che evoca ciò che è astratto, e cheesotericamente può raffigurarsi come unoggetto presente sulla terra e che conmezzi terreni possiamo entro certi limitiavvicinare e capire, ma le cui scaturiginistanno altrove, sicché per raggiungerle oc-corre operare quei movimenti interiori di“salita” richiamati dai rituali.

    Tuttavia, per meglio chiarire l’idea chestiamo cercando di esporre riferiamoci adun esempio che, peraltro, ha valore assolu-tamente scientifico e che è tratto dalla psi-canalisi10.

    l’umanità la Parola ha lasciato oltre alla suaimpronta ineffabile, tesori di conoscenza edi sapienza.

    Probabilmente, oltreagli idiomi indicati ve nesono anche altri, ma perquanto ci è dato sapere,nessuna lingua possiedeuna letteratura sacra piùoriginale ed estesa diquelli suddetti.

    Ciò premesso, la lin-gua cinese, pur essendo lapiù antica, è vissuta iso-lata sin dalla nascita e pernoi occidentali in gene-rale e dell’area culturalemediterranea in partico-lare, vive tuttora in una dimensione tem-porale e spaziale assolutamente diversa enon facilmente penetrabile.

    La lingua sanscrita, stimata, dai suoicultori, come la più perfetta, superiore allatino ed al greco in regolarità e ricchezza,è ormai morta nel suo uso corrente, fattaeccezione per la casta sacerdotale brahma-nica.

    Quanto alla lingua ebraica, come ab-biamo innanzi visto, il suo alfabeto è quellopiù vicino alle origini del nostro quindi, pernoi, è - quanto meno - più congeniale en-trare nello spirito delle idee trasmesse inuna più volte millenaria successione di-retta od indiretta, ed inoltre e soprattuttoè assolutamente costitutivo per il nostropensiero il Libro che la racchiude, che “co-

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  • Il Sefer Yetzirah, alla shin, attribuisce ilFuoco e spesso si parla di questo elementocome energia creativa che, a livello fisico èposseduto dall’uomo e dalla donna. A que-

    sto punto non sappiamo se sia solo un casoa volere che in ebraico il fuoco si dica esh,l’uomo ish e la donna ishà.

    Dunque secondo gli esperti di questa di-sciplina da migliaia e migliaia di sogni ana-lizzati, sogni di persone d’ogni ceto,d’ambo i sessi, d’ogni età, di tutti i popoli,di tutti i tempi, risulta che le immagini dicase, di palazzi, di edifici in genere sonoequivalenti a persone e specialmente adonne.

    A prescindere dai sogni anche nel lin-guaggio corrente ci si imbatte spesso in lo-cuzioni che avvicinano o paragonano unadonna ad un edificio. Così ad esempio si usa

    dire di una donna inaccessibile che è “unafortezza inespugnabile”, o di una donnamolto corteggiata che è “una fortezza as-sediata”; senza dire degli appellativi chevengono attribuiti alla Madonna nelle lita-nie: Turris eburnea, domus aurea, turris davi-dica ecc.

    Lo scambio fra le rappresentazioni delladonna e la casa appare evidente proprionella lingua ebraica, nella quale la parolabeth che è poi la seconda lettera dell’alfa-beto, significa casa.

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    Bibliografia essenziale

    AAVV (1955), Mistica Ebraica, Einaudi, Torino.Castelli, D. (1880) Il commento di Sabbatai Donnolo sul Libro della Creazione, Le Monnier, Fi-

    renze.Di Nola, A.M. (1985) Cabbala e Mistica Giudaica, Carucci, Roma.Savini, S. (1923) Il Sefer Yetzirah, Editore Carrabba, Lanciano.Scholem, G. (1973) Le origini della Cabalà, Il Mulino, Bologna.A cura di Gadiel Toaff (1988), Sefer Yetzirah, Carucci, Roma.Weiss, E. (1931) Elementi di psicoanalisi, Hoepli, Milano.

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  • Fornitore delGrande Oriente d’italia

    Via dei Tessitori 2159100 Prato [PO]

    tel. 0574 815468 fax 0574 661631P.I. 01598450979

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    Anche la lingua italiana però se ne è ap-propriata nelle espressioni tecniche e nellefrasi idiomatiche: “mettere a zero uno stru-mento” (negli apparecchi di misurazione),“il grado zero” (in linguistica il grado apo-fonico in cui la vocale scompare), “spararea zero” (in balistica), “tagliare i capelli azero”, “radere a zero”, “zero spaccato” (ilsegno tagliato per evitare che possa esseretrasformato in 6).

    Il termine e la sua forma sono tanto en-trati nel lessico che quasi mai ci ricordiamodel lungo viaggio che questo concetto hacompiuto dall’antico Oriente fino alla cul-tura occidentale. La stessa etimologia ri-corda il tragitto finale compiuto: gli Indiani

    AAAAnoi moderni che impieghiamo inumeri quotidianamente non ap-pare ormai così importante ilruolo dello zero all’interno del nostro si-stema numerico. Il segno circolare ha unamolteplicità di funzioni; rappresenta:

    - il numero soggetto alle operazioni ealle regole matematiche;

    - l’assenza di una registrazione nellacella di una tabella;

    - il punto di partenza per il conteggio oper la graduazione di uno strumento o perla divisione di una scala in una parte nega-tiva e in una positiva;

    - la mancanza di una cifra all’inizio, al-l’interno o alla fine di un numero.

    This paper discusses the theories concerning the Babylonian origin of the conceptand of the sign for Zero and their transmission to ancient Greece. Regarding Indianculture, the article offers a discussion of two theories: the first concerns theindependent, i.e. Hindu, introduction of the Zero concept and sign; the second arguesfor a direct transmission from the Greek world via the astronomical tables. While itis not clear who was the first to invent the concept and the sign for the zero, thisarticle explains that the Indians introduced the zero in the “class” of numbersextending the aritmetical rules in order to take into account the new cipher.

    AA pprrooppoossiitt