giornalino parrocchiale n. 206 · testamento, dove al salmo 148 (lode cosmica), essi sono invitati...

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Parrocchia S. Maria Immacolata – Motte di Luino Via delle Motte, 21 – 21016 – Luino (Va) – tel. 0332 530306 Sito web: http://parrocchiamotteinluino.webnode.it/ email: [email protected]

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    Parrocchia S. Maria Immacolata – Motte di Luino Via delle Motte, 21 – 21016 – Luino (Va) – tel. 0332 530306 

    Sito web: http://parrocchia‐motte‐in‐luino.webnode.it/                                email: [email protected]

  • Papa  Francesco  aveva  iniziato  il  Suo  mandato Petrino  con  queste  4  Parole:  CAMMINARE, EDIFICARE, TESTIMONIARE e CUSTODIRE.  

    Ora, con questa sua ultima enciclica ci richiama a riflettere  proprio  su  questa  ultima  parola  e atteggiamento,  quasi  200  pagine  dedicate  alla cura del Creato.  

    Chiari fin dal titolo,  i rimandi a San Francesco ed alla sua visione della natura e dell'essere umano. Propongo  alcuni  stralci  del  documento  tratti dall'introduzione:  "..In  questo  bel  cantico  San Francesco ci ricordava che la nostra casa comune è  anche  come  una  sorella  con  la  quale condividiamo l'esistenza e come una madre bella che  ci  accoglie  tra  le  sue  braccia.  Credo  che Francesco sia  l'esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia  integrale, vissuta con gioia e autenticità. Egli manifestò una attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso  i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per la sua gioia, la sua dedizione generosa, il  suo  cuore  universale.  Era  un  mistico  ed  un pellegrino  che  viveva  con  semplicità  e  in  una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. Se noi ci accostiamo alla 

    natura  senza  questa  apertura,  stupore  e meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della 

    fraternità  e  della  bellezza  nella  nostra  relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del  dominatore,  del  consumatore,  o  del  mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste  e  lo  vediamo  come  richiamo  a  Dio,  la sobrietà  e  la  cura  scaturiranno  in  maniera spontanea  e  una  rinuncia  a  fare  della  realtà  un mero oggetto di uso e consumo. La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire  tutta  la  famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore  non  ci  abbandona,  non  fa mai marcia 

    indietro nel Suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L'umanità ha ancora  la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune.  

    Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo  in  cui  stiamo  costruendo  il  futuro  del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca  tutti,  perchè  la  sfida  ambientale  che viviamo e le sue radici umane ci riguardano tutti e ci  toccano  tutti. Abbiamo  bisogno  di  una  nuova solidarietà universale. Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno  con  la  propria  cultura  ed  esperienza,  le proprie iniziative e capacità.  Papa Francesco.”  

    “INSIEME PER IL CREATO”  indetta dal Papa e dai fratelli  Ortodossi.  Il  1  Settembre  GIORNATA  DI PREGHIERA  e  CONVERSIONE  ECOLOGICA ECUMENICA. 

    don Ilario 

    Giornalino N. 206 settembre/ottobre 2015

    Stampato in proprio ad uso parrocchiale

  • La memoria dei Santi Angeli, oggi espressamente citati nel “Martirologio Romano” della Chiesa Cattolica, come Angeli Custodi, si celebra dal 1670 il 2 ottobre, data fissata da papa Clemente X (1670-1676); la Chiesa Ortodossa li celebra l’11 gennaio.

    Ma chi sono gli Angeli e che rapporto hanno nella storia del genere umano? Prima di tutto l’esistenza degli Angeli è un dogma di fede, definito più volte dalla Chiesa (Simbolo Niceno, Simbolo Costantinopolitano, IV Concilio Lateranense (1215), Concilio Vaticano I (1869-70)).

    Tutto ciò che riguarda gli Angeli, ha costituito una scienza propria detta ‘angelologia’; e tutti i Padri della Chiesa e i teologi, hanno nelle loro argomentazioni, espresso ed elaborato varie interpretazioni e concetti, riguardanti la loro esistenza, creazione, spiritualità, intelligenza, volontà, compiti, elevazione e caduta.

    Come si vede la materia è così vasta e profonda, che è impossibile in poche parole poter esporre esaurientemente l’argomento.

    Esistenza e creazione

    La creazione degli angeli è affermata implicitamente, almeno in un passo del Vecchio Testamento, dove al Salmo 148 (Lode cosmica), essi sono invitati con le altre creature del cielo e della terra a benedire il Signore: “Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell’alto dei cieli. Lodatelo, voi tutti suoi angeli, lodatelo, voi tutte sue schiere… Lodino tutti il nome del Signore, perché al suo comando ogni cosa è stata creata”.

    Nel nuovo Testamento (Col. 1.16) si dice: “per mezzo di Cristo sono state create tutte le cose nei cieli e sulla terra”. Quindi anche gli angeli sono stati creati e se pure la tradizione è incerta sul tempo e nell’ordine di questa creazione, essa è ritenuta dai Padri indubitabile; certamente prima dell’uomo, perché alla cacciata dal paradiso terrestre di Adamo ed Eva, era presente un angelo, posto poi a guardia dell’Eden, per impedirne il ritorno dei nostri progenitori. Spiritualità La spiritualità degli angeli, è stata oggetto di considerazioni teologiche fra i più grandi Padri della Chiesa; S. Giustino e S. Ambrogio attribuivano agli angeli un corpo, non come il nostro, ma luminoso, imponderabile, sottile; S. Basilio e S. Agostino furono esitanti e si espressero non chiaramente; S. Giovanni Crisostomo, S. Gerolamo e S. Gregorio Magno asserirono invece l’assoluta spiritualità; il già citato Concilio Lateranense IV, quindi il Magistero della Chiesa, affermò che gli Angeli sono spirito senza corpo.

    L’angelo per la sua semplicità e spiritualità è immortale e immutabile, privo di quantità non può essere localmente presente nello spazio, però si rende visibile in un luogo per esplicare il suo operato; non può moltiplicarsi entro la stessa specie e S. Tommaso d’Aquino afferma che tante sono le specie angeliche quanti sono gli stessi angeli, l’uno diverso dall’altro. Nella Bibbia si parla di angeli come di messaggeri ed esecutori degli ordini divini; nel Nuovo Testamento essi appaiono chiaramente come puri spiriti.

    Nella credenza ebraica essi furono talvolta avvicinati a esseri materiali, ai quali si offriva ospitalità, che essi ricambiavano con benedizioni, promesse di prosperità, ecc.

    Intelligenza e volontà

    L’Angelo in quanto essere spirituale non può essere sprovvisto della facoltà dell’intelligenza e della volontà, anzi in lui debbono essere molto più potenti, in quanto egli è puro di spirito; sulla prontezza e infallibilità dell’intelligenza angelica, come pure sull’energia, la tenace volontà, la libertà superiore, il grande Dottore Angelico, S. Tommaso d’Aquino, ha scritto ampiamente nella sua “Summa Theologica”.

  • Elevazione La Sacra Scrittura suggerisce più volte che gli Angeli godono della visione del volto di Dio, perché la felicità alla quale furono destinati gli spiriti celesti, sorpassa le esigenze della natura ed è soprannaturale. E nel Nuovo Testamento frequentemente viene stabilito un paragone fra uomini, santi e angeli, come se la meta cui sono destinati i primi, altro non sia che una partecipazione al fine già conseguito dagli angeli buoni, i quali vengono indicati come ‘santi’, ‘figli di Dio’, ‘angeli di luce’ e che sono ‘innanzi a Dio’, ‘al cospetto di Dio o del suo trono’; tutte espressioni che indicano il loro stato di beatitudine; essi furono santificati nell’istante stesso della loro creazione. Caduta Il Concilio Lateranense IV, definì come verità di fede che molti Angeli, abusando della propria libertà caddero in peccato e diventarono cattivi.

    San Tommaso affermò che l’Angelo poté commettere solo un peccato d’orgoglio, lo spirito celeste deviò dall’ordine stabilito da Dio e non accettandolo, non riconobbe al disopra della sua perfezione, la supremazia divina, quindi peccato d’orgoglio cui conseguì immediatamente un peccato di disobbedienza e d’invidia per l’eccellenza altrui. Altri peccati non poté commetterli, perché essi suppongono le passioni della carne, ad esempio l’odio, la disperazione. Ancora S. Tommaso d’Aquino specifica che il peccato dell’Angelo è consistito nel volersi rendere simile a Dio.

    La tradizione cristiana ha dato il nome di Lucifero al più bello e splendente degli angeli e loro capo, ribellatosi a Dio e precipitato dal cielo nell’inferno; l’orgoglio di Lucifero per la propria bellezza e potenza, lo portò al grande atto di superbia con il quale si oppose a Dio, traendo dalla sua parte un certo numero di angeli. Contro di lui si schierarono altri angeli dell’esercito celeste capeggiati da Michele, ingaggiando una grande e primordiale lotta nella quale Lucifero con tutti i suoi, soccombette e fu precipitato dal cielo; egli divenne capo dei demoni o diavoli nell’inferno e simbolo della più sfrenata superbia. Il nome Lucifero e la sua identificazione con il capo ribelle degli angeli, derivò da un testo del profeta Isaia (14, 12-15) in cui una satira sulla caduta di un tiranno babilonese, venne interpretata da molti scrittori ecclesiastici e dallo stesso Dante (Inf. XXIV), come la descrizione in forma poetica della ribellione celeste e della caduta del capo degli angeli.“

    Come sei caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’aurora! Come sei stato precipitato a terra, tu che aggredivi tutte le nazioni! Eppure tu pensavi in cuor tuo: Salirò in cielo, al di sopra delle stelle di Dio innalzerò il mio trono… salirò sulle nubi più alte, sarò simile all’Altissimo. E invece sei stato precipitato nell’abisso, nel fondo del baratro!”

    L’esercito celeste

    La figura dell’Angelo come simbolo delle gerarchie celesti, in genere appare fin dai primi tempi del cristianesimo, collocandosi in prosecuzione della tradizione ebraica e come trasformazione dei tipi precristiani delle Vittorie e dei Geni alati, che avevano anche la funzione mediatrice, tra le supreme divinità e il mondo terrestre.

    Attraverso l’insegnamento del “De celesti hierarchia” dello pseudo Dionigi l’Areopagita, essi sono distribuiti in tre gerarchie, ognuna delle quali si divide in tre cori. La prima gerarchia comprende i serafini, i cherubini e i troni; la seconda le dominazioni, le virtù, le potestà; la terza i principati, gli arcangeli e gli angeli.

    I cori si distinguono fra loro per compiti, colori, ali e altri segni identificativi, sempre secondo lo pseudo Areopagita, i più vicini a Dio sono i serafini, di colore rosso, segno di amore ardente, con tre paia di ali; poi vengono i cherubini con sei ali cosparse di occhi come quelle del pavone; le potestà hanno due ali dai colori dell’arcobaleno; i principati sono angeli armati rivolti verso Dio e così via.

  • Più distinti per la loro specifica citazione nella Bibbia, sono gli Arcangeli, i celesti messaggeri, presenti nei momenti più importanti della Storia della Salvezza; Michele presente sin dai primordi a capo dell’esercito del cielo contro gli angeli ribelli, apparve anche a papa S. Gregorio Magno sul Castel S. Angelo a Roma, lasciò il segno della sua presenza nel Santuario di Monte S. Angelo nel Gargano; Gabriele il messaggero di Dio, apparve al profeta Daniele; a Zaccaria annunciante la nascita di S. Giovanni Battista, ma soprattutto portò l’annuncio della nascita di Cristo alla Vergine Maria; Raffaele è citato nel Libro di Tobia, fu guida e salvatore dai pericoli del giovane Tobia, poi non citato nella Bibbia, c’è Uriele, nominato due volte nel quarto libro apocrifo di Ezra, il suo nome ricorre con frequenza nelle liturgie orientali, s. Ambrogio lo poneva fra gli arcangeli, accompagnò il piccolo S. Giovanni Battista nel deserto, portò l’alchimia sulla terra.

    L’angelo nell’arte

    Ricchissima è l’iconografia sugli angeli, la cui condizione di esseri spirituali, senza età e sesso, ha fatto sbizzarrire tutti gli artisti di ogni epoca, nel raffigurarli secondo la dottrina, ma anche con il proprio estro artistico.

    Gli artisti, specie i pittori, vollero esprimere nei loro angeli un sovrumano stato di bellezza, avvolgendoli a volte in vesti sacerdotali o in classiche tuniche, a volte come genietti dell’arte romana, quasi sempre con le ali e con il nimbo (nuvoletta); dal secolo IV e V li ritrassero in aspetto giovanile, efebico, solo nell’epoca barocca apparirà il tipo femminile.

    Gli angeli furono raffigurati non solo in atteggiamento adorante, come nelle magnifiche Natività o nelle Maestà medioevali, ma anche in atteggiamento addolorato e umano nelle Deposizioni, vedasi i gesti di disperazione per la morte di Gesù, degli angeli che assistono alla deposizione dalla croce, nel famoso dipinto di Giotto “Compianto di Cristo morto” (Cappella degli Scrovegni, Padova). Poi abbiamo angeli musicanti e che cantano in coro, che suonano le trombe (tubicini); gli angeli armati in lotta con il demonio; angeli che accompagnano lo svolgersi delle opere di misericordia, ecc. L’angelo nella Bibbia

    Specifici episodi del Vecchio e Nuovo Testamento, indicano la presenza degli Angeli: la lotta con l’angelo di Giacobbe (Genesi 32, 25-29); la scala percorsa dagli angeli, sognata da Giacobbe (Genesi, 28, 12); i tre angeli ospiti di Abramo (Genesi, 18); l’intervento dell’angelo che ferma la mano di Abramo che sta per sacrificare Isacco; l’angelo che porta il cibo al profeta Elia nel deserto. L’annuncio ai pastori della nascita di Cristo; l’angelo che compare in sogno a Giuseppe, suggerendogli di fuggire con Maria e il Bambino; gli angeli che adorano e servono Gesù dopo le tentazioni nel deserto; l’angelo che annunciò alla Maddalena e alle altre donne, la resurrezione di Cristo; la liberazione di S. Pietro, dal carcere e dalle catene a Roma; senza dimenticare la cosmica e celeste simbologia angelica dell’Apocalisse di S. Giovanni Evangelista.

    L’Angelo Custode

    Infine l’Angelo Custode, l’esistenza di un angelo per ogni uomo, che lo guida, lo protegge, dalla nascita fino alla morte, è citata nel Libro di Giobbe, ma anche dallo stesso Gesù, nel Vangelo di Matteo, quando indicante dei fanciulli dice: “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli”.

    La Sacra Scrittura parla di altri compiti esercitati dagli angeli, come quello di offrire a Dio le nostre preghiere e sacrifici, oltre quello di accompagnare l’uomo nella via del bene.

    Il nome di ‘angelo’ nel discorrere corrente, ha assunto il significato di persona di eccezionale virtù, di bontà, di purezza, di bellezza angelica e indica la perfezione.

  • Traversata dei disperati: 12 uccisi perché cristiani

    Non così è avvenuto quella mattina del 15 aprile scorso, quando è entrato nel porto del capoluogo siciliano il mercantile Ellensborg, dal quale sono sbarcati un centinaio di migranti. Si trovavano, sì, sulla stessa barca, ma non erano stati nella stessa barca. Apparivano visibilmente divisi e feriti da una guerra di religione scoppiata in mare.

    Mancavano all’appello 12 ragazzi: 9 ghanesi e 3 nigeriani. A terra la notizia della guerriglia era di dominio pubblico, poiché il soccorso in mare era già avvenuto la sera del 12 aprile. Alle 21, per l’esattezza, dirà un giovane testimone, coraggioso e angosciato per la perdita dei suoi compagni.

    Questa atroce traversata del “mare di Dio” - su queste acque si affacciano i popoli delle tre religioni monoteistiche – avrà turbato l’animo dei soccorritori? Sì, e molto. Niente è stato come le altre volte. Il dispiegamento di polizia è stato ingente, il soccorso rallentato per dare la precedenza alle operazioni di sicurezza e al necessario dislocamento dei soggetti in siti rigorosamente separati.

    Che cosa era accaduto in mare? Sulle prime la solita conta e il rilievo per il numero eccedente. Poi l’avanzare delle difficoltà e il sopraggiungere del panico dinnanzi ai pericoli della navigazione. Da qui il levarsi della preghiera al cielo e il chiaro indirizzo al Dio cristiano. Indirizzo sbagliato per non dire blasfemo all’udito di credenti musulmani, che ne hanno decretato la fine con la repressione violenta.

    Hamed, nigeriano, ha raccontato: “Avevano deciso di eliminarci tutti, ci siamo difesi, ma tanti nostri fratelli sono caduti in mare”. Testimonianza confrontata con altre e perfettamente collimante. Se poi l’offensiva, così come era partita non è giunta alla soluzione finale, lo si deve al coraggio e alla prontezza di fare catena umana: legandosi gli uni agli altri con le mani hanno fatto muro e respinto l’attacco.

    Un seme di odio crudelmente micidiale è dovuto intervenire perché umanamente sarebbe stato più spiegabile che ad unire le voci oranti con divaricati indirizzi (Cristo o Allah) sarebbe dovuto bastare il sopraggiungere del medesimo pericolo di morte per tutti. Persino quel malfattore appeso accanto alla croce di Cristo era riuscito a raccattare dentro il suo cuore un briciolo di bontà, e nell’insulto al mite Messia non aveva trascurato la solidarietà: “Salva te stesso e noi”, come per dire: ti beffeggio, ma se puoi fare qualcosa che ci possa salvare, falla per te e per noi.

    Niente di tutto questo. Resta solo un andare oltre, oltre lo stesso Dio, che sia il mio o il tuo - poco importa - ma sicuramente per negarlo, per impedire che intervenga, finanche che esista, perché solo l’odio e la morte hanno diritto di supremazia. In pratica: non un Dio che intervenga secondo la sua volontà, ma un Dio piegato e impugnato come arma devastatrice.

    Questa nostra umanità veramente non conosce confini e limiti. Quella imbarcazione ha mutato rotta: l’assalto non è stato alle coste e neanche l’approdo su una terra ricca più o meno ospitale. L’assalto è stato al Cielo e l’approdo alle porte dell’Inferno. Solo il Paradiso resta sempre allo stesso posto.

    Se la fede diventa un pericolo

  • Óscar Romero, Arcivescovo di San Salvador È caduto ai piedi dell’altare, mentre sollevava il calice della consacrazione, colpito al cuore da un colpo di carabina di precisione, sparato dall’esterno della chiesa. La squadra dei killer era arrivata a bordo di una Volkswagen rossa davanti all’Hospedalito, la costruzione accanto alla quale monsignor Óscar Romero, Arcivescovo di San Salvador, aveva stabilito la sua umile dimora.

    Una esecuzione annunciata, un martirio accettato nel nome della fede e di una interpretazione letterale del vangelo, una morte carica di significato e di simboli nel suo stesso tragico disegno. Romero aveva rifiutato fino all’ultimo di lasciare la sua gente e il Salvador, come pure gli era stato suggerito da una parte dello stesso clero sudamericano. Un martire e un Santo. Così lo hanno definito subito in tutta l’America latina milioni di campesinos, affamati, sfruttati, perseguitati dalle varie giunte militari che per decenni hanno imposto regimi corrotti e crudeli, sull’intero continente.

    Ci sono voluti però 35 anni e un Papa argentino per riconoscerlo e ristabilire la verità su quanto accaduto il 24 marzo 1980. Il 23 maggio monsignor Óscar Arnulfo Romero è stato proclamato beato.

    La Chiesa volta pagina e rende giustizia ad un sacerdote fedele e coerente fino alla fine, eppure calunniato e anche apertamente osteggiato per le sue denunce della violenza e dell’illegalità del regime. Sul piano storico e giudiziario, si conoscono ormai anche gli esecutori e i mandanti, ma una vera giustizia non è mai stata fatta e non è mai iniziato nemmeno un formale processo.

    Quando venne nominato Arcivescovo, nel 1977, a 60 anni, in un Salvador dominato da una giunta militare alleata degli Stati Uniti e da pochi ricchi latifondisti, Óscar Romero era considerato “l’uomo giusto”. Moderato, tradizionalista, colto, sembrava destinato a portare la Chiesa locale nell’orbita del potere, mentre nelle campagne si affermava sempre di più un sentimento di rivolta. La moderazione che il potere politico si aspettava durò molto poco.

    Pochi giorni dopo la nomina di Romero ad Arcivescovo, padre Rutilio Grande, un sacerdote che aveva deciso di vivere insieme ai campesinos più poveri nel villaggio di Aguilar, venne brutalmente ucciso. La sua colpa, quella di appoggiare troppo apertamente la protesta dei campesinos contro l’oppressione dei latifondisti.

    Rutilio Grande era anche uno dei più cari amici di Romero che tenne l’omelia funebre, davanti ad una grande folla. Le sue parole contro l’ingiustizia e la violenza che insanguinavano il Salvador cominciarono a pesare come pietre. “Se mi hanno ucciso il sacerdote migliore, di sicuro ne uccideranno altri”, commentò quel giorno Romero. Nei 3 anni successivi, si espose sempre pubblicamente, denunciando con nomi e numeri chi veniva ucciso o risultava desaparecido, con prese di posizione che chiamavano apertamente in causa il governo militare. “Mi aspettavo giustizia ma sento solo lamento”, disse in una delle sue ultime e più belle omelie. “Non voglio seminare discordia, ma gridare al Dio che piange. Il Dio che sente il lamento del suo popolo perché ci sono molti abusi. Il Dio che sente il lamento dei contadini che non possono dormire nella loro casa, perché devono fuggire di notte. Il lamento dei bambini, che chiamano i genitori scomparsi... dove sono? Non è questo che sperava Dio, questa patria salvadoregna non è il frutto di umanità e cristianesimo”.

  • Vediamo sempre più, anche in cronaca, genitori che difendono I figli bulli. Roba da togliere la patria potestà! Quanto è il bullismo anticamera della delinquenza? E quanto è dovuto alla confusione creata anche dai genitori? Un esempio: gita scolastica. Quindici ragazzi spogliano un compagno, gli rasano i peli, lo “agghindano” con caramelle. Filmano e condividono. La preside sospende tutti e completa con un quattro in condotta.

    Anche a casa si sospende tutto, paghetta, gite, regalucci? No: era uno scherzo. Cattiva la preside che mette gli angioletti a rischio di perdere l’anno. Peccato che la stessa non possa sospendere anche loro, i genitori. In tanti casi i genitori difendono figli che picchiano, perseguitano compagni e compagne, condividono filmati umilianti. Sotto accusa finiscono i pochi coraggiosi che cercano di ristabilire il rispetto indispensabile ad ogni convivenza. E si blatera di inclusione e integrazione, giusto nelle classi scolastiche. Inclusione di chi, di bulli e lazzaroni? Scuole fabbrica di (anche) delinquenza Partiamo dalla parola scherzo, dal longobardo sckerzōn: saltellare allegramente oppure schernire. Evidentemente oggi si preferisce il secondo significato. Nelle scuole gli scherzi sono sempre più pesanti, a partire dalle elementari, nella perversità stupida che fa gioire nel far del male e veder soffrire. Questi Garrone sono allievi e talora anche insegnanti.

    Chi sono le vittime? Generalmente persone sensibili, che soffrono se vedono soffrire. Chi li difende? Da poco qualche coraggioso preside, come quella di Treviso che ha sospeso un insegnante per incapacità. Ma nessuno protegge i difensori. L’etica si sta rovesciando, nell’annullamento dei valori e della morale. Si dimentica che la scuola deve formare e non solo istruire. Ricordo che gli esami finali si chiamano ancora di maturità.

    La decadenza sociale La decadenza dei costumi è iniziata anche con la scuola, con lo scoraggiamento a selezionare e bocciare che ha portato una pletora di laureati incompetenti, messi al pari con quelli che hanno studiato bene. Con la valanga di professionisti “formati” alla scuola dell’indulgenza, del “tutto e tutti uguali”.

    Il merito da tempo non è premiato. Si è proseguito con la confusione fra le cause e la giustificazione: poverino, ha avuto una brutta famiglia, quindi è meno colpevole. Vediamo bene i bimbi-merendina: sottratti alle difficoltà e responsabilità, così da diventare adolescenti e poi adulti incapaci di disciplina, fragili. I punti di riferimento sono in distruzione: famiglie divise, allargate, propagandate se d’ogni genere cioè gender.

    Le autorità sono dequalificate, gli insegnanti hanno pochissimo potere. E incalza la propaganda alla violenza: chi ha opinioni diverse da quelle più alla moda è perseguitato, i criminali sono popolari come divi. E i bambini imparano: fin dalle elementari i cellulari mostrano pornofilm con violenze d’ogni tipo, che si aggiungono ai videogiochi e ai tg.

    Sono spariti i racconti che valorizzano le buone azioni e condannano le cattive. Buono e cattivo sono categorie poco riconosciute. “Scherzi” crudeli sono all’ordine del giorno, molti più di quelli che la cronaca riporta. Una lode va a chi osa contrastare l’ondata di cattiveria e vigliaccheria che sta travolgendo tutto, almeno nel proprio orticello.

    Non dire mai male degli altri; sono tuoi fratelli, e lo sai bene; oltretutto, non faresti altro che complicare la tua vita.

    Quando un dittatore non riesce a raggiungere la maggioranza assoluta deve necessariamente ripiegare sull’unanimità.

    Cannibali?! E che altro, con quello che costa d’inverno la verdura!!

    Se partite “sparati”, ricordatevi di verificare la carica.

    Nel mondo non c’è solo chi vive senza lavorare, ma c’è pure chi lavora senza vivere.

  • Gesti di affetto, di vicinanza, di concretezza e di spontanea e immensa umanità. Gesti che hanno la vera capacità di sorprendere, mentre propongono, come nel caso nostro, una esperienza antica: quella del Giubileo.

    Dal primo della Storia, indetto nell’anno 1300, sono stati 26 i Giubilei ordinari e una novantina quelli straordinari, di durata variabile.

    Quando Papa Francesco ha annunciato l’Anno Santo della Misericordia ha sorpreso tutti. L’insistenza di questo Papa sulla misericordia non è una novità; non c’è intervento in cui non vi faccia riferimento convinto, fin dai primi giorni di pontificato - due anni or sono – in Santa Maria Maggiore, poi in Sant’Anna, poi ancora nel primo Angelus. Misericordia in parallelo con il tema forte del perdono. Francesco ripete che quanti non sanno perdonare non sono neppure capaci di chiedere perdono.

    Nei giorni che hanno preceduto l’annuncio dell’Anno Santo, che ha colto di sorpresa tutto il mondo, il Pontefice aveva accentuato i richiami alla misericordia e lo aveva fatto anche con quel suo modo così unico, incisivo e diretto, quando l’8 marzo, in visita alla parrocchia di Tor Bella Monaca, all’estrema periferia di Roma, aveva spiegato l’inferno a una bambina, rassicurandola sull’immenso amore di Dio. Con amabilità e in un linguaggio comprensibile da tutti, il Papa aveva spiegato ponendosi qualche domanda: Dio perdona tutto o no? È buono o no? Ma voi sapete che c’era un angelo molto orgoglioso e intelligente, e lui aveva invidia di Dio, ne voleva prendere il posto. Dio ha voluto perdonarlo ma quell’angelo diceva: “Io non ho bisogno di perdono, io sono sufficiente a me stesso”.

    Ecco, questo è l’inferno… L’inferno è volere allontanarsi da Dio perché io non voglio l’amore di Dio. Il diavolo è all’inferno perché lui ha voluto. Va all’inferno solo chi dice a Dio: “Non ho bisogno di te”, come ha fatto il diavolo, l’unico che siamo sicuri ci stia. Poi, un paio di giorni dopo, alla Messa in Santa Marta, l’omelia sul perdono, mettendo al centro ciò che chiediamo a Dio recitando il Padre Nostro: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Non basta chiedere perdono, dobbiamo saper perdonare il prossimo. Dio è misericordioso con noi, se a nostra volta siamo generosi con quanti riteniamo in debito verso noi.

    Poi, alla vigilia della quarta domenica di quaresima, la domenica Laetare Jerusalem – rallegrati Gerusalemme - Papa Francesco, sorprendendo tutti, annunciò che avrebbe promulgato un Anno Santo straordinario dall’8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016. A 50 anni dalla chiusura del Concilio ecumenico Vaticano II, un Giubileo straordinario, dedicato alla Divina Misericordia, a dire che questa è venuta a volere e a realizzare Gesù: Misericordia voglio, non sacrificio. Misericordia pure come riassunto del Concilio ecumenico Vaticano II. Misericordia è una parola, forse la parola chiave per intendere questo pontificato, ma certamente esprime un concetto fondamentale del Vangelo e mostra la chiave della vita cristiana.

    Mentre nubi nere, cariche di inaudite violenze, di gesti criminali divenuti quotidiani oscurano l’orizzonte, ecco l’antidoto di Papa Francesco: la misericordia di Dio che costituisce il nucleo e la somma della Rivelazione cristiana.

    Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio – continua a ricordarci il Papa - e la Chiesa è la casa di tutti. Ce ne rallegriamo e mentre ringraziamo Papa Francesco per questo dono inatteso, noi ci mettiamo in sintonia, ascolto, preghiera per comprendere meglio i contributi che come cristiani dobbiamo dare per vivere con rinnovata coerenza la vita del Vangelo e della Chiesa.

    Giubileo della misericordia

  • Si narra nei Fioretti (cap. XIII) che un giorno Francesco, recatosi a predicare in Francia con frate Masseo, essendo un “uomo troppo disprezzato e piccolo di corpo… non accattò

    se non pochi bocconi e pezzuoli di pane secco”.

    Diversamente andò al compagno: “imperocch’egli era grande e bello del corpo, sì gli furono dati buoni pezzi e grandi e assai, e del pane intero”. Francesco dimostrò molto entusiasmo per un “così grande tesoro” e a Masseo, che si stupiva di tanta gioia in quello stato di povertà, rispose che il tesoro si trova proprio “ove non è cosa veruna apparecchiata per industria umana; ma ciò che ci è, sì è apparecchiato dalla Provvidenza divina, siccome si vide manifestamente nel pane accattato”. E di questo era necessario pregare e ringraziare Dio.

    Il racconto illustra bene il rapporto di Francesco con il cibo. Egli visse in un’epoca in cui l’approvvigionamento era problematico e il continuo alternarsi di prosperità e carestia metteva il cibo al centro dei pensieri di tutti: la sua disponibilità costituiva un indicatore del prestigio sociale ed economico, mentre la fame era il principale nemico da combattere.

    Vi era anche un rigoroso controllo da parte della Chiesa che, annoverando la gola fra i sette vizi capitali, imponeva nel corso dell’anno una lunga lista di digiuni, in una ciclica alternanza di “grasso” e “magro”. Radicalmente diverso era il regime alimentare delle varie classi sociali. Sulla tavola dei ricchi imperversava la carne di ogni tipo: dai mammiferi agli uccelli di ogni specie, compresi i cigni, i pavoni e le gru – come quella a cui il cuoco Chichibio sottrasse una zampa nella nota novella del Decameron.

    Accanto alla carne comparivano gli altri alimenti proteici, come i formaggi, le uova e il pesce, specie quello d’acqua dolce.

    Per San Francesco, dunque, il cibo non può non essere importante: esso è momento di condivisione, necessario nutrimento del corpo, mezzo per prendersi cura dell’altro, dono di Dio attraverso il quale rendere lode al Creatore.

    Nella consapevolezza che ogni cosa viene dal Padre, infatti, il Santo sa che bisogna sempre ringraziare e lodare Dio: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”. In particolare, dunque, si deve rendere grazie per la “matre terra”, che è necessario proteggere e amare perché fonte di sostentamento per ognuno.

    La scelta di povertà dei frati è intimamente legata alla consapevolezza che ogni cosa è un dono di Dio, per cui essi non devono portare nulla con sé nel loro viaggio “né sacco, né bisaccia, né pane, né pecunia, né bastone”, fidando soltanto nella Divina Provvidenza: “… e in qualunque casa entreranno dicano prima: Pace a questa casa. E dimorando in quella casa mangino e bevano quello che ci sarà presso di loro” (Regola non bollata, XIV).

    Tutti i biografi parlano della frugalità di Francesco, che si nutriva di pane e acqua, aggiungendo solo qualche erba spontanea o i prodotti dell’orto. Il digiuno è una scelta per la santificazione di sé: “Dobbiamo anche digiunare e astenerci dai vizi e dai peccati e da ogni eccesso nel mangiare e nel bere ed essere cattolici” (Lettera ai fedeli, VI).

    Francesco però non trascura mai di sostenere gli altri nei loro bisogni e non rifiuta il cibo neanche ai 3 ladroni che il guardiano del convento aveva scacciato. Il Santo ritiene infatti “che i peccatori meglio si riducono a Dio con dolcezza che con crudeli riprensioni” (Fioretti, cap. VII).

    Giotto ‐ Morte del cavaliere di Celano 

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    È ormai  consuetudine  che per  la  festa dei compatroni SS.  Anna e Gioacchino la nostra comunità  parrocchiale,  in  collaborazione con l’Asilo delle Motte, organizza la s: messa al  campo  sportivo.  Quest’anno,  oltre  che festeggiare  gli  anniversari  di  matrimonio delle  coppie  della  nostra  comunità, abbiamo voluto anche festeggiare e rendere omaggio  a  don  Vittorio  Guarino,  parroco emerito  di  Agra,  per  i  suoi  57  anni  di 

    sacerdozio. Da sempre è stato vicino alla nostra parrocchia ed alla nostra comunità e pronto ad aiutarci e per questo lo ringraziamo dal profondo del nostro cuore. 

    Al termine della S. Messa sono state ricordate le coppie che durante questo anno festeggiano i loro anniversari di matrimonio: 

    anni   5 – Rossi Andrea e Marino Lorena 

    anni 10 – Foresta Bernardo e Parini Concetta 

    anni 25 – Righetto Paolo e Lascaro Maria 

    anni 25 – Gualtieri Gennaro e Pari Katia 

    anni 30 – Albertini Angelo e Romagnoli Susanna 

    anni 35 – Marino Angelo e Minazzi Graziella 

    anni 50 – Beltrami Enrico e Rocchinotti Graziella 

    anni 50 – Saldi Alfredo e Rossi Carolina 

    anni 55 – Ballinari Giancarlo e Ferrari Rita 

    anni 56 – Socchetto Antonio e Segrada Marisa 

    A loro tanti auguri e che il loro esempio ci  ricordi  la  bellezza  e  la  grandezza della  vera  famiglia,  come prega papa Francesco. Si ringrazia tutti coloro che hanno collaborato dando fattivamente la loro opera. 

    don Ilario