generazioni ribelle - i quaderni ritrovati

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GENERAZIONE RIBELLE. QUADERNI RITROVATI GENERAZIONE RIBELLE QUADERNI RITROVATI STATI DI LUOGO DIABASIS STATI DI LUOGO DIABASIS Roberto Speciale Roberto Speciale Tre quaderni di appunti, ritrovati per caso, raccontano un passato recente, una storia individuale e collettiva in una Liguria che sembra antica ma è vera, viva. Forse ribelli si nasce e gradualmente ci si forma una visione del mondo, si impara a camminare con de- terminazione scoprendo l’umanità che ci circonda, il piacere della cultura e della politica ma anche la quotidianità, gli affetti, il divertimento, l’ironia. Una generazione trova se stessa nel Movimento studen- tesco e nell’impegno politico, vissuto con passione e generosità. E ora? C’è il rischio di rimanere prigionieri nel labirin- to nel quale si è costretti perché si è spezzato il filo di Arianna, cioè la ragione necessaria per uscirne. Sembra a volte che un vento di sabbia sommerga molte cose: volgarità e corruzione si diffondono. Guida dell’azione diventa sempre più la vanità, l’ar- roganza, il solipsismo. Rimane solo la fuga o c’è an- cora bisogno di ribellione? Roberto Speciale è nato a Chiavari (Genova). È stato protagonista negli anni Sessanta delle Associazio- ni universitarie e del Movimento studentesco. Ha svolto il ruolo di segretario del PSIUP di Genova ed è stato eletto nel comitato centrale di quella orga- nizzazione. Successivamente consigliere comunale di Genova e consigliere regionale della Liguria, è stato segretario provinciale e regionale del PCI dalla fine del 1980 al 1989 entrando nella Direzione na- zionale. È stato eletto al Parlamento Europeo per due legislature fino al 1999. In seguito ha dato vita al Centro In Europa e alla Fondazione Casa America organizzazioni culturali di cui è presidente che si occupano di Europa e di America Latina, realizzan- do eventi, ricerche e pubblicazioni, fra le quali «In Europa» e «Quaderni di Casa America». Ha scritto numerosi articoli e saggi per questi periodici e per diversi quotidiani e riviste. Ha curato la redazione di due libri sull’Europa – Europa in chiaro e L’Europa in corso – con prefazioni di Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi. 12,00

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Tra biografia e specchio di una generazione impegnata e ribelle, nella forma-genere letterario dei quaderni ritrovati, il libro di Roberto Speciale, protagonista di rispetto della vita politico-culturale genovese e ligure e della sinistra italiana, anche in Europa, ci interpella sui fili spezzati ma necessari tra passato prossimo e presente, per affrontare con responsabilità solidale il futuro. Una testimonianza e una narrazione che sono quanto mai preziose.

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Tre quaderni di appunti, ritrovati per caso, raccontano un passato recente, una storia individuale e collettiva in una Liguria che sembra antica ma è vera, viva.Forse ribelli si nasce e gradualmente ci si forma una visione del mondo, si impara a camminare con de-terminazione scoprendo l’umanità che ci circonda, il piacere della cultura e della politica ma anche la quotidianità, gli affetti, il divertimento, l’ironia. Una generazione trova se stessa nel Movimento studen-tesco e nell’impegno politico, vissuto con passione e generosità.E ora? C’è il rischio di rimanere prigionieri nel labirin-to nel quale si è costretti perché si è spezzato il fi lo di Arianna, cioè la ragione necessaria per uscirne. Sembra a volte che un vento di sabbia sommerga molte cose: volgarità e corruzione si diffondono. Guida dell’azione diventa sempre più la vanità, l’ar-roganza, il solipsismo. Rimane solo la fuga o c’è an-cora bisogno di ribellione?

Roberto Speciale è nato a Chiavari (Genova). È stato protagonista negli anni Sessanta delle Associazio-ni universitarie e del Movimento studentesco. Ha svolto il ruolo di segretario del PSIUP di Genova ed è stato eletto nel comitato centrale di quella orga-nizzazione. Successivamente consigliere comunale di Genova e consigliere regionale della Liguria, è stato segretario provinciale e regionale del PCI dalla fi ne del 1980 al 1989 entrando nella Direzione na-zionale. È stato eletto al Parlamento Europeo per due legislature fi no al 1999. In seguito ha dato vita al Centro In Europa e alla Fondazione Casa America – organizzazioni culturali di cui è presidente – che si occupano di Europa e di America Latina, realizzan-do eventi, ricerche e pubblicazioni, fra le quali «In Europa» e «Quaderni di Casa America». Ha scritto numerosi articoli e saggi per questi periodici e per diversi quotidiani e riviste. Ha curato la redazione di due libri sull’Europa – Europa in chiaro e L’Europa in corso – con prefazioni di Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi.

€ 12,00

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Progetto grafico e copertinaBosioAssociati, Savigliano (CN)

In copertinaMark Kostabi, Liquid Fantasy, 2004, collezione privata

ISBN 978-88-8103-670-7

© 2009 Edizioni Diabasisvia Emilia S. Stefano 54 I-42100 Reggio Emilia Italiatelefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047

[email protected] www.diabasis.it

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STATI DI LUOGO DIABASIS

Roberto Speciale

Generazione ribelleQuaderni ritrovati

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Ringraziamenti

A Gabriella, interlocutrice paziente

A mia figlia Monica

Ai miei fratelli

A Luciano De Angelis, Stefano Zara, Ennio Remondino e Carlo Rognoni, lettori attenti e consiglieri

A Carlotta Gualco per la sua attiva collaborazione

A tutti coloro che leggerannoe che vorranno esprimere la loro opinione:

[email protected]@casamerica.it

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Incipit

Ho riscoperto dei miei quaderni di appunti scritti nel pas-sato. Li ho riletti e rivisitati. Ho deciso infine di pubblicarlicome testimonianza di un pezzo di vita, tracce lasciate nel cor-so degli anni. Quella storia parla di molti, non di uno solo.Contiene riflessioni che mi appartengono ma anche avveni-menti, episodi, atmosfere che forse hanno ancora qualche co-sa da dire ad altri.

La buona politica c’era ed io ho avuto la fortuna di incon-trarla più volte. Ce n’è ancora o siamo invasi in modo irrime-diabile dalla cattiva politica?

Ripercorro le persone che ho incontrato e le guardo con af-fetto, mentre rivivo le azioni che descrivo con un certo di-stacco.

È una contraddizione solo apparente: ciò che rimane, allafine, è il calore dell’uomo, non la sua dinamica che dura unattimo.

Le incursioni nei tempi più recenti sono rade e brevi perimpedire alla passione o, peggio, alla polemica, di prenderetroppo spazio e di occupare la scena.

Mi hanno spinto a questa scelta anche alcuni amici con iquali mi sono consigliato.

In particolare però devo questa decisione ad uno scono-sciuto che ha ritrovato quei quaderni e li ha conservati. È di-ventato anche lui un amico, forse il più convinto, il più ap-passionato.

Non ci conoscevamo ed invece è diventato per me – ed ioper lui – una specie di alter ego. Un suggeritore ma anche,sempre più, una sfaccettatura del cristallo che ci definisce eci completa.

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Gli sono riconoscente perché ha conservato con intelli-genza e con curiosità ciò che non era suo, per il coraggio cheha dimostrato supplendo a quello che io non avevo e a quelloche non avrei avuto, forse, al suo posto.

La sua storia dimostra che è facile per ognuno di noi var-care quella linea sottile che divide una persona da una perso-nalità. La condizione per effettuare questo passaggio è perse-guire un obiettivo con sensibilità, onestà e determinazione.

La sua storia è lui stesso a raccontarla con una lunga lette-ra, alla fine della quale saranno chiari i sentieri percorsi perricongiungerci.

È bene che la lettera apra questo libro nella sua integralità,così come io l’ho ricevuta.

R. S.

Caro signor Roberto, le scrivo, come mi è stato suggerito, sperando che lei sia la

persona che cerco e che mi possa quindi aiutare a dare una ri-sposta a quella che ormai per me è una vera e propria ossessione,e cioè dare un nome all’autore dei quaderni che ho ritrovato.

Le spiego tutto dall’inizio.Ho trascorso una vita banale, fino a quel giorno. Per molti

anni ho fatto il muratore poi, dopo l’incidente, mi sono dovutoreinventare un lavoro. Mi è andata ancora bene, perché ho avu-to l’occasione, assieme ad uno più giovane di me, di acquistareun camioncino. Ci chiamavano per svuotare di tutti gli arredile case che dovevano essere abbandonate, ristrutturate o ven-dute. Lavoravamo soprattutto nelle zone di campagna e nel-l’entroterra perché le residenze più pregiate facevano parte diun altro giro. Sì, qualche volta ci chiamava qualcuno di questipiù privilegiati, in odore di antiquari, ma per portare via solo lecose senza valore. In tutti i casi il nostro lavoro era quello dismaltire mobili,oggetti, carte ritenuti inutili. Solo qualche cosapoteva essere rivenduto o riutilizzato; il più delle volte doveva-mo portarle, di nascosto, in qualche discarica o bruciarle in unpiccolo terreno di mia proprietà nel basso Piemonte.

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Io mi chiamo Robiano Deale. Non mi sono mai sposato, trop-pa fatica, e non ho figli. Sono vissuto tra Liguria e Piemonte, es-sendo nato a Cremolino 53 anni fa.

Quel giorno però siamo stati chiamati, per la prima volta ein rapida successione, a svuotare tre case a Genova. Lo ricordonitidamente.

In Salita alla Spianata di Castelletto dovevamo sgomberarealcuni piccoli appartamenti. Era un lavoro duro perché non sipoteva arrivare con l’auto fin sotto il portone. Facemmo grandefatica. Forse per questo non mi piaceva l’idea di bruciare o di-struggere tutto senza neppure guardare ciò che era capitato trale mie mani.

In Vico Cinque Lampadi, vicino alla Cattedrale, fu anchepeggio: molte scale ripide, senza ascensore ovviamente, e il ca-mioncino doveva restare in Piazza Scuole Pie. Finimmo a tardasera, avendo iniziato la mattina presto.

In via dei Sansone, in Carignano, la situazione era molto si-mile ma la residenza era più grande, più elegante e contenevamolti più oggetti.

Insomma, non mi piace girare intorno al lume, non sono abi-tuato a far perdere tempo alle persone. In poche parole, da quelmomento, sono un po’ cambiato ed ho inteso il mio lavoro inmodo diverso dal passato. Non mi bastava più trasferire le cosee distruggerle, ora volevo guardarci dentro, capirle e ricostruirela loro storia.

Sarà stata la fatica, sarà stata la magia degli oggetti che ma-neggiavo, sarà stato che da tempo era in corso un processo dicambiamento nella mia testa, sta di fatto che quella volta nonbruciai né distrussi nulla. Portai tutto nel mio piccolo terreno epassai mesi a studiare ogni mobile, ogni oggetto e soprattuttoogni carta. Ho fatto tante scoperte incredibili, sulle quali anco-ra sto riflettendo.

Voglio parlare di una sola questione, e cioè del ritrovamen-to, nei tre diversi indirizzi, di tre quaderni di appunti. Uno diquesti ha la copertina nera, i fogli a righe e il filo delle pagineesterne ha una bordatura arancione, quasi rossa. Il secondo ha

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in copertina l’immagine di Alice nel Paese delle meraviglie (so-no corso a leggere questo libro e ne sono stato stupefatto) e dinuovo dei fogli a righe all’interno. Il terzo non ha propriamentela forma di un quaderno. È un insieme di fogli bianchi con unagrafia che scende dall’alto al basso, tenuti assieme da una fa-scetta incollata. In questo caso, pur non essendo io uno psico-logo, il modo di scrivere mi sembra più tormentato, rivela for-se irrequietezza. I diversi quaderni hanno un elemento in co-mune: sono scritti in prima persona sotto forma di racconto,quasi dei diari.

Ne sono stato colpito, sia perché sono così diversi dalla vitache io ho vissuto, sia perché contengono osservazioni che per-sonalmente non immaginavo.

Mi sono immedesimato in quelle tre vite, in quei racconti, inquelle personalità sino a dimenticare la mia e forse ad annul-larla. Ho preso quelle tre persone e le sto facendo mie per com-pensare una vita banale.

I quaderni non sono stati firmati o intestati e la gran partedelle persone è citata solo per nome. Di nessuno dei tre sono riu-scito finora a sapere il nome dell’autore e quindi il resto dellastoria, quella non raccontata.

E poi sono frutto di fantasia o corrispondono alla realtà? Qualche volta vorrei, lo confesso, indossare quegli abiti ed

adattarli a me. Anzi ho pensato seriamente che, con l’aiuto diqualche taglio e di qualche cucitura apocrifa, (ho letto che si di-ce così), potrei mettere assieme i tre quaderni e farne un unicoracconto di vita, la mia.

Ormai ho rotto tutti i rapporti con il mio collega di lavoro,che mi guarda e mi parla come si farebbe con uno fuori di testa.Gli ho regalato la mia parte di camioncino a condizione che milasci in pace, si dimentichi di me. Ho altro da fare adesso ed iomi sono già dimenticato di lui.

Ho continuato le ricerche per individuare l’autore o gli auto-ri dei tre quaderni. Dopo molte interviste senza esito ho incon-trato alcune persone che sembravano sapere. Erano però stra-namente vaghe, reticenti.

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Di fronte alle mie insistenze qualcuna di loro mi ha indiriz-zato a un libraio antiquario di Roma, avvertendomi che forselui poteva avere le notizie che cercavo.

Così sono andato a trovarlo nel suo piccolo negozio, ingom-bro di libri, di carte e di oggetti curiosi.

Si è dimostrato una persona simpatica, aperta, ironica. Haqualche anno più di me, è alto, calvo e con un imponente paio dibaffi rossicci. Parla un ottimo italiano, all’occasione anche il dia-letto, ma dal suo nome – Max – e da altri particolari, ho intuitouna sua origine straniera, forse inglese (o irlandese, o scozzese).

Lui ha glissato elegantemente sulla sua identità originaria emi ha detto di essere e di sentirsi genovese.

Gli ho spiegato tutto. Mi ha ascoltato con attenzione e, conun sorriso, mi ha detto che crede di sapere chi sia la persona checerco.

In effetti lui conosce bene, dai tempi dell’università, chi haabitato presso quegli indirizzi che ho ricordato. Ha continuatoa sentirsi e a vedersi con quella persona. Non sa nulla però deiquaderni che io ho trovato e anzi mi è sembrato molto stupitodella loro esistenza.

Ha fatto una lunga telefonata dal suo cellulare, uscendo al-l’aperto, fuori dal negozio, e dopo mi ha fornito il suo nome edindirizzo. Mi ha chiesto di scriverle, di spiegarle tutto, di man-darle copia dei quaderni. Mi ha invitato al riserbo.

Così ho fatto, scrivendole subito.Mi dica, la prego, se è veramente lei la persona che cerco e che

cosa devo fare.Robiano Deale

Così ho risposto a quella lettera, dopo pochi giorni:

Caro R. D.,la ringrazio molto della sua lettera e dei quaderni.Le confermo che sono proprio io l’autore di quegli scritti e

che quella è parte della mia vita.

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Me ne ero dimenticato, o forse volevo dimenticarmene.È materia della quale mi sono spogliato, che guardo, si può

dire, dall’esterno. Proprio per questo credo che sia possibile pub-blicarli e forse potrebbero essere di qualche utilità.

La ringrazio moltissimo per il suo lavoro di conservazione,che dimostra curiosità e passione, qualità sempre più rare. Com-prendo che abbia, ad un certo punto, desiderato identificarsi conquella descrizione di vita perché in effetti lei, in un certo qualmodo, le ha dato nuova vita.

Me ne sono andato per non assistere al declino irreversibiledelle coscienze. Non c’è quasi più nessuno che si oppone. Nonmi fraintenda. Non parlo di opposizione a uomini, partiti, go-verni, ma a valori, comportamenti, atteggiamenti che distrug-gono una società, una nazione ed ancor più un’umanità che è, oera, in molti di noi. Ho avvertito il respiro della barbarie insi-nuarsi tra di noi, ho percepito un vento di sabbia che sommergeogni cosa. Secondo me si è spezzato il filo di Arianna che è la lo-gica, la razionalità che permette di non perderci e da allora re-stiamo necessariamente imprigionati nel labirinto.

Per questo sono andato via, per non condividere il labirinto.Non per salvarmi, perché nella solitudine che ho scelto non c’èsalvezza. C’è solo distanza. Sono andato via per non perdere laragione. Forse, inconsciamente, con questo atto ho avvertito al-tri: non perdete la ragione e se proprio volete fermarvi nel labi-rinto, dedicatevi a ricucire il filo spezzato.

Ho lasciato gran parte della mia biblioteca alla persona chelei ha conosciuto, Max, perché la custodisca per un po’ di tempo,scaduto il quale potrà utilizzarla come meglio crede.

Gli ho consegnato anche due quaderni di appunti scritti re-centemente e che riguardano la vita e le attività svolte negli ul-timi anni. La prego, se lei è d’accordo, di rimanere in rapportocon quel mio amico e di contribuire alle decisioni sull’utilizzodella mia biblioteca e degli appunti che ho lasciato.

Rimanga in contatto con me, se anche lei lo desidera, perchépenso di aver trovato un nuovo amico.

R. S.

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Primo quaderno

Forse ribelli si nasce. Per quanto mi riguarda il periodocontò molto: gli ultimi anni della guerra quando, per molti,diventava ormai insopportabile la violenza e la dittatura e na-sceva il movimento partigiano. Non che io, ovviamente, ne sa-pessi o ne capissi qualche cosa, allora, ma si respirava nell’aria.Lo dicono anche i miei primi ricordi. Per un certo periodo hopensato che fossero innestati, cioè impressi nella mia memo-ria dai racconti degli altri, ma no, non è possibile, sono trop-po nitidi e forti per essere presi in prestito.

Sono con la mia famiglia a Pozzuolo di San Terenzo, nellacasa dei miei nonni materni. Vicino c’è la Baia blu, anzi laSpiaggia dei morti, come veniva chiamata allora e per lungotempo dopo perché il gioco delle correnti aveva trascinato di-versi cadaveri fin lì. Dalla collina dopo si estende il porto del-la Spezia, allora militare, lungo tutto il golfo. Il porto era unobiettivo sensibile ed era oggetto ripetuto di bombardamenti.

Sono tornato in età adulta su quella spiaggia, quando ave-va cambiato nome: mi è sembrata meno affascinante, avevaperso l’alone di mistero e di tragedia.

Suonano improvvisamente le sirene di allarme che annun-ciano l’arrivo di aerei “nemici”. Ci precipitiamo verso unbunker che è a due passi dal cancello di casa, dall’altra partedella strada.

Non so se c’è ancora. Da molti anni non compio una visitaai luoghi della memoria ma quel bunker lo ricordo bene per-ché è rimasto intatto per tantissimo tempo.

Mia madre, mia nonna, mio fratello più grande ed io (for-se mia zia), carichi di materassi e cuscini per collocarli alle fe-

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ritoie e alla porta d’ingresso. C’è un pianto di bambino. Nonsono io che anzi mi sento tranquillo, forse un po’ eccitato, si-curamente poco consapevole. È mio fratello: è caduto dallascala per la quale si accede al rifugio e si è fatto male. E in unaincredibile sarabanda di suoni vicini e lontani, in un’eccita-zione che pervade mia madre che non sa se preoccuparsi dipiù della caduta di suo figlio o delle sirene che continuano asuonare, entriamo finalmente tutti aspettando che passi ilbombardamento, senza danni.

Tutti? No, mio nonno non c’è. È rimasto a casa, come sem-pre, dicono con sguardi obliqui e sospiri di compatimento ledonne di casa.

Lui aspetta l’urto, non se ne preoccupa. C’è una sfida alpericolo ma anche l’idea che qualcuno deve rimanere a presi-diare la casa, la proprietà. Questi sentimenti sono più fortidella paura, che è immancabile.

C’è un racconto che lo riguarda, ed è fatto solo di sguardi:è una sequenza cinematografica. I nazisti (immagino dopo ilsettembre del ’43) avevano occupato la casa dei miei nonni edavevano piazzato le mitragliatrici alle finestre. La posizionedi quell’abitazione era strategica, proprio sulla strada, allacurva, e quella era l’unica strada tra Lerici e La Spezia. Da lì lavista sul golfo era completa e il controllo, sui possibili movi-menti, totale. Non rimasero molto tempo, credo, ma suffi-ciente a creare tensione e fortissima preoccupazione. Ad uncerto punto un tedesco prende una bicicletta per requisirlaed in cambio porge un biglietto scritto nella sua lingua, di nes-sun valore ovviamente, e forse è una presa in giro. L’azione sisvolge al piano terra della villetta dove, tra le altre cose, eranoriposti tutti gli attrezzi di lavoro. Ci sono i miei nonni e il te-desco che afferra la bicicletta. Tutto si svolge in silenzio. Miononno, nel momento in cui il tedesco si impossessa della bici-cletta, alza lo sguardo alla parete dove è appesa una roncola –e lì è rimasta a lungo anche dopo –, e misura la distanza, lospazio e il tempo. Il tedesco è di fronte a lui, beffardo prima epoi serio, attento: segue lo sguardo di mio nonno. Mia nonna

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indirizza degli occhi di ghiaccio, di terrore, verso mio nonnoper dissuaderlo. Dissolvenza, la scena finisce, ognuno ritor-na alle proprie posizioni senza conseguenze, ma in quellastanza sono rimasti gli sguardi appesi ai muri o almeno io cre-do di averli ritrovati.

Un uomo grande, robusto, mio nonno. Di famiglia romanama da sempre alla Spezia. Qui ha incontrato (alla spiaggia:conservo foto d’epoca!) e poi sposato, mia nonna, nata allaSpezia, ma di famiglia emiliana. Un duro, all’apparenza, in ve-rità burbero ma dal cuore tenero. Mi è apparso chiarissimo laprima volta, alla lettura dell’immancabile letterina di Natalededicata a lui: piangeva come una vite tagliata.

E di vite se ne intendeva. Coltivava intorno alla casa un po’di tutto e allevava animali di piccola taglia. Un operaio-con-tadino, si potrebbe dire. Macchinista sulle navi mercantili, poiferroviere, poi proprietario di una piccola officina di croma-tura. È il cromo, credo, e i suo veleni che l’hanno portato viarelativamente presto. Ho saputo della sua morte, a Genova.Avevo 11 anni, facevo sforzi giganteschi per non piangere.Mia madre se ne è accorta e allora mi ha preso in braccio ed io,in modo inusuale, non ho fatto resistenza.

Mi ero già dato una regola: quella di non piangere perquanto grande fosse il dolore. Non credo di averla rispettatasempre. Sicuramente non l’ho fatto per mia madre, per la miaamica-parente Kucchi (complice anche un po’ di alcol persopportare la notizia), recentemente per il mio grande canebianco York (ma si sa! Con il passare degli anni il cuore si in-tenerisce).

Mio nonno sì che era un ribelle, normalizzato poi, come tut-ti i ribelli. Quando si parlava del suo passato (e anche del pre-sente, a dire il vero), si abbassava la voce, gli sguardi si incro-ciavano, non bisognava far sentire alle “creature”. L’unica co-sa che ero riuscito a carpire è che era stato espulso da tutte lescuole del Regno, così si diceva allora. Il perché non è mai sta-to detto, non l’ho mai saputo e non lo so ancora adesso. Un’in-frazione grave, certo, per quei tempi. Una precocità sessuale?

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O, in modo più verosimile, un atto di insubordinazione al-l’autorità? Che aveva sicuramente una soglia di tolleranza mol-to bassa. Sta di fatto che, forse anche per questo, stimavo edamavo mio nonno. Pensavo che fosse stato vittima di un’in-giustizia e che avesse dovuto soffrire molto per quella decisio-ne. È stato il primo che mi ha introdotto, senza volere, alla po-litica. L’ho sentito parlare con altri di elezioni. Discutevano suquale simbolo votare e l’ho visto con decisione indicare unostrano cerchio con falce e martello. I riferimenti al presente misembravano più ambigui, meno eroici, ma mi astenevo dal giu-dicarli. Nel bisbigliare ovattato della casa, comparivano dellefigure femminili. Ed una volta ne ebbi la certezza quando lanonna paterna, in occasione di una visita a casa sua nel centrodella città, nello stesso palazzo del cinema-teatro Monteverdi(che era della sua famiglia, e quindi un poco anche mio) lo apo-strofò irosamente pronunciando le parole proibite. “Stia zittolei, che è un puttaniere!”. Mio nonno, senza dire una parola, sene andò a testa bassa, umiliato più che adirato, e tutti noi die-tro. Mia nonna aveva perdonato il marito perché in età adul-ta le sentii dire, quasi fra sé, che in effetti la colpa era sua, in unperiodo nel quale i sistemi anticoncezionali erano ridotti pra-ticamente ad una sola metodologia: astenersi! Se ci si riusciva.

Volevo bene anche a mia nonna paterna. Era affettuosa,sempre composta, con una certa eleganza. Offriva il Marsalaall’uovo, sempre e solo quello. Era nata a Montevideo da fa-miglia spezzina ed ancora le scappavano frasi in castigliano.Aveva sposato un ufficiale di Marina di Napoli che era venu-to, assieme ad altri, a far decollare il porto della Spezia e la suaambizione militare.

Il secondo ricordo che conservo è più bucolico. Sono a Co-gorno, sopra a Chiavari, “sfollati” come si diceva. Mio padre,ufficiale di Marina di carriera, come tutta la sua, e nostra,ascendenza, era tornato dalla Grecia ed era stato assegnato ostava per esserlo, alla Capitaneria di porto di Genova.

A volte sorprende la circolarità della vita e delle relazionitra gli uomini. Un po’ di anni fa ho conosciuto a Bruxelles

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Emanuele Gazzo e ho frequentato la sua famiglia, le figlie, eMarina in particolare, che lavorava con il padre. Emanuele,che era di Genova, e qui aveva esercitato la professione digiornalista, ancora giovane era andato all’estero, prima inLussemburgo e poi in Belgio, e aveva fondato e diretto, permoltissimi anni, un’agenzia giornalistica europea. L’AgenceEurope era uno strumento indispensabile per tutti i frequen-tatori delle istituzioni comunitarie.

Mi disse un giorno, e per me fu una rivelazione, che cono-sceva mio padre e che avevano lavorato assieme, al porto diGenova, alla Capitaneria. Se ne ricordava bene. Non poteidirlo a mio padre, perché era già mancato e questo mi di-spiacque molto.

A Cogorno ricordo solo mia madre e me. Sono all’apertoe sono di fronte alla porta di una modesta casetta. Ho in ma-no un cucchiaio e un piatto di alluminio, vuoto ormai. Con-teneva, penso, una minestra, Vicino a me ci sono un fiasco divino e un signore anziano, seduto, che se la ride sotto i baffi.La leggenda vuole che io, finita la minestra, mi servissi dalfiasco. Chissà se era vero! La sequenza temporale tra i duericordi non mi è chiara. Forse questa è precedente perché iosono nato a Chiavari e Cogorno è proprio lì sopra. In ognicaso non ne sono certo.

Sono certo invece che quei primi anni hanno determinatoper lo meno una parte dei miei gusti alimentari: il minestroneappunto, il castagnaccio sicuramente, forse anche la polentae perché no?, può darsi anche il vino. La farinata e lo stocca-fisso sono venute dopo e le cose più raffinate molto dopo.

D’altra parte mi sembra proprio così, se vogliamo dar cre-dito ad Alexis de Toqueville che, nei primi capitoli del suo Lademocrazia in America, inizia in questo modo: “L’uomo è percosì dire tutto intero nelle fasce” ed aggiunge: “qualcosa dianalogo avviene per le nazioni”.

Vale anche per il carattere? Si nasce ribelli, inquieti, o alcontrario, docili, conformisti, prudenti? John Steinbeck diceuna cosa in parte diversa, ma collegabile, e cioè “Per me l’A-

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merica è la prova che i luoghi segnano chi vi nasce, non solonella parlata, ma anche nell’aspetto” e per dare forza a questaidea, racconta il seguente episodio: “ Una volta… un ragazzoalto e allampanato dell’Oklaoma, mi ha detto: ‘Tu sei califor-niano’ ‘Come lo sai?’ ho domandato sorpreso. ‘Hai la facciada californiano’ ha detto e io non avevo la minima idea che icaliforniani avessero una ‘faccia’.”

Che strano! Dopo questi primi ricordi non ne ho più finoall’età della scuola, a Genova. È come se, per un certo perio-do di tempo, avessi vissuto sospeso. Forse quei flash hannoimpresso la pellicola della memoria in modo così folgoranteche, per un po’ di tempo, non c’è stata la possibilità di inci-dere altro. O più semplicemente la memoria era in attesa dieventi che meritassero attenzione.

Come si forma una personalità o, per dirla in tono più bas-so, un carattere? So bene che ci sono manuali, intere biblio-teche che ne parlano, ma andiamo al sodo.

È vero che ognuno di noi è la conseguenza dell’ambiente edi chi ha frequentato? E cioè la famiglia, gli amici, i cono-scenti, la scuola ecc.? È difficile negare che ci possa essere unacerta influenza di questi fattori, ma se si forza questo concet-to si cade dritti nel determinismo. E allora, ognuno di noi èciò che mangia, come potrebbero sostenere dei macrobioticiestremi? Credo, al contrario, che si mangia e si fa quello che siè. Anche le frequentazioni influenzano, ma sono influenzatea loro volta, e non c’è nulla di meccanico. Insomma, ognunoè già, in gran parte, ciò che è nelle fasce.

Quando dico (o meglio dicevo: ora sono più prudente)“Sono quel che sono” so che attorno a me si scatena un puti-ferio. Ecco un bell’alibi per non cambiare e per giustificaretutto quello che fai. Capisco, ma non è così. Voglio solo direche il mio carattere è delineato, preciso, si può smussare manon capovolgere e forse non lo si vuole neppure se si è abba-stanza soddisfatti di sé. Questo non vuol dire che gli altri deb-bano inchinarsi a te ed anche a quelli che considerano difetti,e che magari tu stesso classifichi in quel modo. Voglio solo di-

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re che l’uomo non è una gelatina, un pongo che si può pla-smare in continuazione a seconda delle circostanze.

Si può cambiare, ma non molto. Si possono modificare abi-tudini, atteggiamenti, e a me è capitato.

Sono vissuto a lungo come cittadino, razza metropolitana.I palazzi, l’asfalto, i rumori mi hanno sempre accompagnato eli ho vissuti con piacere. Ad un certo punto mia moglie mi oliabene e mi convince a scegliere la libertà, ad andare a viverenel verde, in campagna, via dalla “rumenta” del centro stori-co e dalle centinaia di scalini necessari a guadagnarci il para-diso di casa. “Mah, proviamo”, mi dico.

Scopro una nuova dimensione, inaspettata. Forse riemergeun’eredità antica e un’esperienza fanciullesca. Sta di fatto chemi adatto quasi subito.

In effetti è tutto diverso, nel bene e nel male. Non ci sono più i rumori che salgono dai vicoli e dalla vici-

na via San Lorenzo, non ci sono più i piccioni che tubano suidavanzali e sul terrazzo al mattino presto e a tutte le ore, nonci sono soprattutto le campane della Cattedrale che entranocon prepotenza in camera.

È sparito il napoletano che dalla finestra davanti nei gior-ni di festa metteva a tutto volume il suo repertorio musicaledialettale al completo. Come scrive Mario Soldati in Americaprimo amore, ospite a New York per un giorno di una fami-glia italo-americana mentre suona il campanello: “… si pre-paravano a riceverlo ricaricando col vecchio grammofono lavecchia atmosfera italiana: di quella Italia anglo-americana diSole mio e Torna a Surriento che non ci lasciava, che ci davastu turmiento appena fuori d’Italia”.

D’inverno, nella nuova locazione, non c’è un rumore, c’èquasi da aver paura. D’estate qualche falciatrice, qualche mo-tosega e molte cicale, grilli, qualche civetta o altri uccelli not-turni. È un’altra vita. Scalini ce ne sono ancora, ma molti me-no. La posizione è un po’ isolata, ideale per i ladri, e infatti civisitano senza essere invitati. È una violazione violenta, nonentrano solo in casa, ma in te stesso, portano via oggetti chesono un pezzo anche piccolo della tua vita.

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Incipit

Primo quaderno

Secondo quaderno

Terzo quaderno

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54

87

Roberto Speciale

Generazione ribelleQuaderni ritrovati

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Singolo uomo e vicenda collettiva

di una generazione ribelledivenuta protagonista del Paese

(la buona politica c’erae fu una fortuna incontrarla)

questi ritrovati quadernivedono

la luce di stampanel carattere Simoncini Garamond

su carta Arcoprintdelle cartiere Fedrigoni

nel lavorodella tipografia SAGI di Reggio Emilia

per conto di Edizioni Diabasisnel novembre dell’anno

duemilanove

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