generale felice porro

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Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione Corso di laurea in Scienze sociali applicate Cattedra di Storia sociale e culturale Felice Porro: il coraggio di credere nei valori della Patria Lavoro a cura di: Greta Calabresi Serena Cattacin Muzio Crispino Silvia D’Uffizi Valerio Passeri

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Elaborato finale per la cattedra di storia sociale e culturale del corso di laurea magistrale in Scienze Sociali Applicate presso l'università La Sapienza

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Page 1: Generale Felice Porro

Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione

Corso di laurea in Scienze sociali applicate

Cattedra di

Storia sociale e culturale

Felice Porro: il coraggio di credere nei valori

della Patria

Lavoro a cura di:

Greta Calabresi

Serena Cattacin

Muzio Crispino

Silvia D’Uffizi

Valerio Passeri

Page 2: Generale Felice Porro

INDICE

Introduzione ................................................................................................................................................ 3

1. La scelta .................................................................................................................................................. 4

2. Il viaggio ................................................................................................................................................. 7

2.1 La partenza ........................................................................................................................................ 7

2.2 La lunga marcia verso la libertà......................................................................................................... 7

2.3 Il ritorno ............................................................................................................................................ 9

3. La vita nel campo ....................................................................................................................................10

3.1 Alloggi ..............................................................................................................................................10

3.2 Cibo ..................................................................................................................................................11

3.3 Clima ................................................................................................................................................12

3.4 Vestiario ...........................................................................................................................................12

3.5 Igiene ................................................................................................................................................13

3.6 Salute ................................................................................................................................................13

4. Le relazioni e le voci di sottofondo ..........................................................................................................15

4.1 Rapporti con casa prima e durante la prigionia .................................................................................15

4.2 Rapporti con i tedeschi prima e durante la prigionia .........................................................................16

4.3 Rapporti con altri detenuti prima e durante la prigionia ....................................................................16

4.4 Voci di sottofondo durante la prigionia .............................................................................................18

4.5 Rapporti con i Russi dopo la prigionia ..............................................................................................19

4.6 Rapporti con i tedeschi dopo la prigionia ..........................................................................................20

4.7 Rapporti con i compagni dopo la prigionia........................................................................................20

5. Tempo, Fede e Morte ..............................................................................................................................22

5.1 Percezione temporale. Il tempo perso ................................................................................................22

5.2 Routine. Una piccola Società.............................................................................................................23

5.3 Riflessioni. Che sarà di noi? ..............................................................................................................24

5.4 La Morte ...........................................................................................................................................25

5.5 La Fede. Un appoggio per Resistere ..................................................................................................26

Conclusioni ................................................................................................................................................28

Bibliografia ................................................................................................................................................29

Appendice ..................................................................................................................................................30

a. Scheda Internamento .......................................................................................................................30

b. Scheda ANEI ...................................................................................................................................31

c. Tabella trasferimenti .......................................................................................................................32

Page 3: Generale Felice Porro

Introduzione

La storia degli internati militari Italiani (IMI) riflette l'immagine di un paese in crisi, lacerato e

tormentato dal passaggio dalla dittatura alla democrazia1. La scarsa conoscenza di tale fenomeno,

porta spesso ad immaginare un'esperienza comune a tutti gli internati fatta di sofferenze, privazioni,

lavoro coatto e soprusi. In realtà è una storia complessa, per nulla lineare, né riducibile ad un'unica

dimensione. Quello del Generale Felice Porro è solo uno dei molteplici scenari emersi da questa

realtà multiforme. L’analisi del suo diario, scritto durante gli anni di internamento, ha permesso di

indagare l’unicità della sua esperienza. Tale documento storico é stato concesso dall’archivio

dell’ANEI (Associazione Nazionale Ex Internati) ed ottenuto grazie all’intervento del Professor

Zani. L’analisi è stata condotta da un gruppo di cinque persone, ognuna delle quali ha approfondito

una specifica area tematica, che, integrata alle altre, ha permesso di ricostruire le vicende della

prigionia del Generale Porro.

Nel primo capitolo Serena Cattacin si è occupata della tematica della scelta: optare o non optare per

la collaborazione con il nemico tedesco, in particolare facendo riferimento a quali siano le

motivazioni che lo hanno spinto a prendere la sua decisione.

Nel secondo capitolo Greta Calabresi ha trattato il tema del viaggio, che si è articolato in fasi

distinte: partenza verso l’internamento, marcia forzata diretta dai tedeschi, la successiva liberazione

ad opera dei russi e quindi il ritorno a casa.

Nel terzo capitolo Muzio Crispino ha approfondito le condizioni materiali di vita nel campo,

passando dalla nutrizione agli alloggi fino al clima, ossia tutti quei fattori che potevano portare

all’aggravamento delle condizioni di salute nel campo.

Nel quarto capitolo Silvia D’Uffizi ha apportato il suo contributo trattando il tema delle “voci di

sottofondo” e delle relazioni sociali che l’internato ha avuto prima, durante e dopo la prigionia con

diversi soggetti tra cui la famiglia, i colleghi internati, i nemici tedeschi e gli alleati russi.

Nell’ultimo capitolo Valerio Passeri ha concluso l’elaborato evidenziando le dimensioni

prettamente soggettive, quali il rapporto col tempo, la fede e la morte.

1Cfr. L. Zani, Le ragioni del no, Siares: Istituti editoriali poligrafici internazionali, Critica sociologica: XLIII, 170,

2009, Roma, pp. 1-9

Page 4: Generale Felice Porro

1. La scelta

“Sono legato da un giuramento al mio Re e finché non vengo sciolto da questo impegno sacro dal

Re stesso, non posso rendermi spergiuro” 2 . Con queste parole, il generale Felice Porro,

Comandante della II Squadra Aerea con Quartier generale a Padova, risponde al colonnello tedesco,

il quale, in seguito alla sua cattura, gli propone di collaborare con loro. Il Generale Porro è uno dei

624.000 Imi3, internati militari italiani, i quali all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943,

scelsero di non optare, di non passare dalla parte dell’ex alleato tedesco. La notizia dell’armistizio

non venne diffusa in modo chiaro dalle Autorità e spesse volte venne appresa, in maniera casuale,

dalle radio dei soldati. Se la mancanza di direttive da parte degli Stati Maggiori fu gravissima, ciò

che influì in maniera decisiva sulla condotta dell’Esercito Italiano fu la latitanza dei vertici che, in

molti casi, fuggirono, abbandonando i soldati nel totale disorientamento4. Per fortuna, non tutti si

comportarono così, infatti, alcuni scelsero di rimanere al fianco delle loro truppe per compiere fino

in fondo il proprio dovere militare. Questo è il caso del Generale Porro il quale, non solo diede

ordine ai propri reparti di combattere e arrendersi dopo aver distrutto ogni impianto aeroportuale,

ma che, al momento in cui i suoi dipendenti lo sollecitano a fuggire al Sud, affermò: “Non mi mossi

e non ebbi attimi di incertezza. Mi sentivo i piedi legati al suolo”5. Proseguendo confermò tale

volontà dicendo: “Per elementare dovere di Comandante pensai che avrei potuto, anzi dovuto

fuggire, se io fossi riuscito a salvare i miei dipendenti dalla prigionia… Questo non era stato

possibile. A me non restava che seguire la sorte di tanti miei uomini”6. Nonostante Porro si rifiutò

da subito di collaborare con le Autorità tedesche, egli venne separato, in un primo momento dagli

optanti e in seguito anche dagli altri non optanti, al fine di rimanere a disposizione del Generale

Tedesco dell’Aviazione che volle convincerlo a collaborare, nella speranza che il suo esempio

potesse persuadere i suoi dipendenti ad optare. In tal clima di incertezza ed isolamento, Porro non

perse mai la speranza, come testimonia nel suo diario: “Io cerco sempre di mettere la nota

dell’ottimismo ma in questa tragica situazione non è facile. Pochi, vedo, sanno mantenere la mia

2F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.4 3L. Zani, Le ragioni del no, 2009, p. 1

4“Alla vigilia dell’8 settembre, l’annuncio dell’armistizio colse del tutto impreparate le truppe italiane dislocate su vari

fronti. Badoglio aveva ritenuto opportuno non informare dell’armistizio neanche i suoi più stretti collaboratori

trascurando, fra l’altro, di mettere in atto i preparativi per l’aviosbarco americano a Roma, da lui stesso desiderato,

nella speranza di poter ritardare il più possibile la data dell’armistizio, di preservare se stesso e, naturalmente, la Casa

Reale.” (S. Frontera, Il ritorno dei militari italiani internati in Germania (1945-1946), Franco Angeli, Mondo

Contemporaneo, 2009, Milano, p.3)

5F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.3 6Ibidem

Page 5: Generale Felice Porro

serenità”7. Durante le giornate condivise con altri Generali prigionieri, optanti e non optanti, Porro

ebbe l’occasione di riflettere su quanto fosse cambiata la condizione dei militari, i quali da

coraggiosi ed obbedienti mutarono in egoisti e spaventati dalle sofferenze e dalle umiliazioni.

Probabilmente sono queste alcune delle motivazioni che spingono molti ad optare, ma non ci si può

arrestare solo a tali considerazioni perché, come afferma Zani:” Il processo decisionale è lungo e

complesso: a volte coloro che compiono una scelta opposta sono visti con disprezzo, altre come

compagni accomunati dallo stesso destino”8. La decisione e la fermezza con le quali Porro rifiutò la

collaborazione con i Tedeschi e accettò la prigionia derivarono, non solo dal suo altissimo senso del

dovere militare ma soprattutto dall’esempio del padre, il quale fu, anche egli, prigioniero dei

Tedeschi a Codroipo nel 1917. Seguendo tale ispirazione, Porro ritenne necessario vivere la

prigionia di modo da rappresentare degnamente il suo grado di Generale, attraverso azioni e

comportamenti che lo ponessero come una guida e un esempio di solidarietà verso i giovani soldati

nel suo campo di internamento. Egli espresse tutto il suo disappunto, guardando quei Generali che

dimostravano tutto il loro egoismo non condividendo il cibo ricevuto dall’arrivo dei pacchi con chi,

invece, aveva finito le proprie scorte. Ancora altri episodi di meschinità, egoismo e vigliaccheria

delle Autorità militari italiane internate amareggiarono Porro, tanto che sul suo diario scrisse: “La

nostra generazione è andata man mano traviandosi, ha abbandonato la via diritta e pulita e non è

più degna delle sue origini e di forgiare i nuovi destini della Patria”9. Il momento più significativo

in cui Porro ribadì ancora una volta il suo “no” ai Tedeschi e in cui, senza paura, espresse la sua

opinione riguardo la loro condotta nei confronti dell’Esercito Italiano, è rappresentato

dall’interrogatorio a cui venne sottoposto il 27 settembre 1943. In tale circostanza, gli vennero

chieste spiegazioni sui diversi tipi di ordini che diede ai propri soldati contro l’esercito tedesco

come: non cedere alle loro intimazioni di resa, non consegnare loro il denaro degli enti

dell’Aeronautica, oppure quello ai reparti di volo di non fermarsi a Modena ma proseguire fino alla

Puglia per non essere bloccati dall’offensiva nemica. In seguito alla lettura di tali capi d’accusa, il

Colonnello tedesco lo incalzò affermando: “Come spiega Lei che è un Comandante di grado elevato

questo tradimento che non ha precedenti nella storia?” e Porro lo mise a tacere ribattendo: “È vero

che noi vi abbiamo tradito, ma da quanto tempo ci tradivate voi?”10. Quest’ultima battuta mandò su

tutte le furie il Colonnello tedesco, il quale cercò di controbattere, in maniera inconsistente, alle

argomentazioni sostenute da Porro. La reazione dell’Autorità militare tedesca esplicitò un

sentimento diffuso tra i vertici militari che provavano disprezzo per i traditori italiani, ai quali

7F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.6 8 L. Zani, Le ragioni del no, 2009, p. 1-9 9F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.81 10F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.11

Page 6: Generale Felice Porro

dovevano far pagare questo affronto. Gli Italiani subirono la vendetta dei Tedeschi, in primo luogo

al momento del disarmo che avvenne all’insegna della menzogna poiché si otteneva la cessione

delle armi in cambio della promessa del rimpatrio. In secondo luogo, anche se ciò non può essere

generalizzabile, attraverso le condizioni di internamento che furono così aspre tanto da essere

ritenute migliori solo rispetto a quelle dei prigionieri russi. Porro, tra le pagine del suo diario,

riportò le parole dell’Ecc. Gloria, grazie alle quali rimarcò che il suo “no”, ossia la scelta della

prigionia, sia stato un atto di volontà che sopporta, al momento della cattura, l’accettazione della

volontà nemica, la quale distrusse la sua individualità riducendolo ad un numero. Il “no” di Porro fu

quello di un Generale che credeva nell’esercito e nel giuramento al Re e che, seppur soffrendo

l’inattività a cui l’internamento lo aveva condannato, portò fino in fondo la sua scelta con la

speranza che il suo gesto, come quello di molti altri, un giorno non lontano avrebbe portato alla

ricostruzione della amata Patria Italia.

Page 7: Generale Felice Porro

2. Il viaggio

2.1 La partenza

Diversamente dai suoi colleghi ufficiali e dai soldati, il generale Porro non venne subito mandato in

Germania. A causa dei danneggiamenti da lui provocati agli impianti aerei e gli addetti che lui

stesso aiutò a fuggire, i tedeschi lo tennero in Italia per sfruttare le sue competenze nel campo

dell’aviazione. Quindi trascorse i primi sedici giorni (dal 12 settembre al 28 settembre) di prigionia

a Vicenza in una stanzetta della palazzina sottoufficiali e poi a Padova presso la famiglia Danieli.

Ciò malgrado, la sensazione di poter essere mandato a momenti in Germania lo accompagnava

costantemente:

“Potrei da un momento all’altro essere mandato in Germania o chissà dove.”11

Il 6 ottobre gli venne comunicata la partenza immediata ma la destinazione non era ancora la

Germania, infatti, dopo qualche ora venne riportato a Vicenza nella stessa palazzina sottoufficiali e

solo il 9 novembre venne fatto effettivamente partire ma la destinazione rimase ignota fino

all’arrivo. Lui e il suo attendente vennero sistemati nello scomparto riservato di un vagone di

2aclasse di un lungo treno merci e il vagone era senza servizi igienici. La mattina dell’undici arrivò

a Moosburg in un grande campo di concentramento di prigionieri di tutte le nazionalità dove gli

venne assegnata una baracca, con un letto biposto in legno e il giorno dopo riuscì a farsi una doccia

calda. Il 14 novembre ripartì da Moosburg, ancora una volta viaggiò in scomparto riservato, e alle

18.00 arrivò a Posen. Dopo un mese e mezzo in cui il generale non scrisse nulla sul suo diario, la

notte di Natale lo troviamo a Schokken in una cameretta dove, passato un anno di prigionia, scrive:

“Un anno intero è passato, giorno per giorno, triste e doloroso.”12.

2.2 La lunga marcia verso la libertà

Il 20 gennaio venne comunicato l’ordine di abbandonare il campo nella notte, a causa dell’avanzata

dei russi e, malgrado la richiesta di rimanere lì, l’ordine fu di portarli via con qualunque mezzo,

anche con la forza. Così avuto il permesso di portare con sé un piccolo bagaglio a mano “inizia la

marcia notturna nel freddo, verso l’ignoto, il rischio di guerra. Andiamo verso la morte o verso il

ritorno?”13

La marcia fu sfiancante, il generale stesso la definì “penosa” e fu grato a se stesso per essersi

mantenuto in movimento durante la prigionia:

11F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.13 12F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.65 13F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.82

Page 8: Generale Felice Porro

“Dopo 18 mesi di prigionia, di denutrizione, di mancanza d’allenamento, marciare carichi per ore ed ore è uno strazio

[…] benedico di aver fatto sempre le mie giornaliere passeggiate veloci nel cortile.”14

Fecero tappa a Henkelshofen in una fattoria, a Rogasen in un seminario, a Ludaw in un campo di

lavoratori abbandonato, a Milingen in una stalla di vacche, a Tirchenau nella casa di un giudice

distrettuale, a Roskan dove molti polacchi insistettero perché si fermassero con loro, a Selhow nel

teatrino del paese, a Wolgastun villaggio abbandonato e Wugarten dove l’ottavo giorno di marcia

scrisse:

“Io ho sempre camminato, mai fatto un po’ di riposo sul carro, tenuto duro con energia fisica e morale, ma questa

sera, agli ultimi chilometri, avevo la sensazione di svenire da un momento all’altro e son riuscito, a forza di volontà e

di nervi, ad arrivare alla meta. Il fatto di essere il più anziano dopo il Fiduciario, il quale è stato sempre sul carro, mi

ha dato la forza di essere di esempio anche in questa circostanza.”15

La marcia fu terribile, man mano che i giorni passavano “aumentano i segni della ritirata e le scene

pietose”16 ma comunque “l’ordine è di proseguire ad ogni costo”17. Oltre alla stanchezza ciò che

rese così dura la marcia fu il freddo, infatti, il 28 gennaio Porro scrisse: “mi son legato la paglia

sulle scarpe per proteggere la parte superiore di esse dalla neve e dal bagnarsi”18

Il 29 gennaio erano ancora a Wugarten quando il Cap. Maz e i suoi militari fuggirono e Porro

insieme agli altri prigionieri furono finalmente liberi. I tedeschi battono in ritirata: arrivano i russi e

con loro un momento di tregua.

“Dopo otto giorni di marcia forzata, avendo fatto 165 km, dopo tanto gelo, privazioni, stenti, fatiche, sembra un sogno

dormire in una camera riscaldata, potermi lavare un po’ bene la faccia, mani, ecc. e specie le estremità inferiori che

tanto bene han lavorato in questi giorni. Sento ora la stanchezza.”19

Ci vollero comunque mesi prima di rimettersi in cammino verso casa. Per vari motivi (la

precedenza che gli alleati diedero ai loro prigionieri, la situazione delle comunicazioni nel nord

Italia, altre difficoltà logistiche ecc.) la liberazione non significò infatti un rapido ritorno in patria e

mediamente passarono dai quattro ai cinque mesi prima che gli ex internati potessero tornare alle

proprie case20. Era il 25 marzo quando il generale e i suoi compagni vennero caricati su cinque

autocarri fino a Fridenberg dove salirono su un treno merci. Si trattò di un “viaggio lento con soste

interminabili”: Posen, Ostrowo, Lodz, Radom e Vistola per arrivare, il primo aprile, a Lublino dove

14F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.82-83 15F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.87 16F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.84 17F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.86 18ibidem 19ibidem 20Cfr S. Frontera, Il ritorno dei militari italiani internati in Germania (1945-1946), Franco Angeli, Mondo

Contemporaneo, Milano, 2009.

Page 9: Generale Felice Porro

rimase per ventuno giorni. Venne sistemato in un piccolo sgabuzzino e una casa di ufficiali

polacchi, vicina al suo accantonamento, lo ospitò per mangiare. Il 22 aprile lasciò la Polonia e dopo

cinque giorni di viaggio arrivò in Ucraina in un villaggio a 5 km da Ljubotin. Sul viaggio Porro

scrisse: “continua a piovere e piove anche nel nostro vagone. Siamo molti, con i finestrini fissi,

caldo, fetore, aria irrespirabile.”21

2.3 Il ritorno

Dopo otto mesi dalla liberazione, il 14 settembre arriva la “gioia del ritorno”22.

“I vagoni non sono come ci aspettavamo e perciò intasamenti, proteste, ecc. Il primo passo è fatto:

siamo tutti in treno.”23

Si trattò di momenti memorabili in cui l’entusiasmo del generale arrivo a scandire le ore ed i minuti.

Infatti sappiamo che la partenza da Ljubotin fu esattamente il 15 settembre alle 17,10 e che il 5

ottobre alle 8,30 il generale e i suoi compagni varcarono il confine italiano e misero la bandiera

italiana alla porta del vagone: “dopo due anni e un mese di nuovo in Patria”24.

Da Pontebba, proseguì fino ad Udine in autocarro e l’indomani probabilmente raggiungerà Padova

in una balilla. La felicità di Porro si legge in queste parole:

“Sono stato in piedi nell’autocarro aperto avanti a empirmi gli occhi di vedute italiche. La commozione stringe la

gola”25

21F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.109 22F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.144 23F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.144 24F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.157 25F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.157

Page 10: Generale Felice Porro

3. La vita nel campo

“Circa mezzo milione di ex militari italiani lavora per la Germania anche nell’industria bellica; le

loro condizioni di lavoro e di vita migliorano complessivamente per la maggiore libertà di

movimento e per il vitto ma non per il vestiario”26.

Il fattore più negativo era per gli Imi l’alimentazione, che era del tutto insufficiente, condizionata al

rendimento sul lavoro con non solo la riduzione punitivamente delle razioni ma anche estesa

all’intero gruppo di lavoro in caso di scarsa disponibilità di un singolo membro del gruppo; da ciò si

innescava il circolo vizioso della denutrizione, rendimento ridotto e punizione. Inoltre il ritorno

dopo il lavoro era in alloggi fatiscenti con defatiganti appelli e perquisizioni27.

3.1 Alloggi

Il campo di concentramento di Schokken era situato in un ex riformatorio ed era formato da quattro

fabbricati delimitanti il cortile dove si svolgevano le passeggiate degli Imi. Negli alloggi le

camerate avevano cassoni di legno adibite a letto. I generali e ufficiali superiori erano in piccole

camerate, i generali d’armata ed i più anziani di corpo di armata invece erano in camerette da soli.

Inizialmente il generale Felice Porro venne assegnato ad una camerata:

“Il mio letto è presso una finestra e vi ho creato una cameretta isolata dagli altri: una parte è fatta con gli armadi,

l’altra con un telo da tenda ed una coperta. Ho un tavolino sotto la finestra. Sul letto ho sistemato una tavola ad

etagere. Vi ho messo su i libri e le foto dei miei cari. Così, i mezzi rudimentali e il luogo rozzo, ho creato un angolo di

intimità personale e familiare”28.

Dopo questo primo periodo gli venne assegnata una cameretta singola; il vantaggio era di soffrire

meno freddo.

“La superficie del mio regno misura metri due per quattro; e in queste modeste dimensioni trovano posto: 1 stufa, 1

lettino in ferro, 1 armadio, 1 tavolo, 1 lavabo. Il tavolo è sotto la finestra in piena luce. Esso è, volta a volta, biblioteca,

scrittoio, tavola di mensa. Innanzi a me, sul tavolo, sono tutte le fotografie nei loro portaritratti”29.

“In un angolo fra muro e tavolo, c’è un ramo di pino: il mio alberetto di natale.”30

26L. Zani, Il vuoto della memoria: i militari italiani internati in Germania, Rubettino, Catanzaro, Seconda guerra mondiale e la sua memoria (Le ragioni degli storici), 2006, p. 1-25

27G. Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania, 1943-1945, Il Mulino, Bologna, 2004 28F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.40 29F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.34 30ibidem

Page 11: Generale Felice Porro

3.2 Cibo

Il cibo era certamente scarso nel campo di Schokken. L’alimento che prevalentemente si mangiava

era la patata insieme alle minestre di verdura, che avevano effetti diuretici ed erano poco nutrienti.

Queste erano a base di rape, carote e ceci; e le patate rappresentavano l’unico piatto solido. La

prima colazione per il generale Porro dovrebbe consistere in una tazza di tiglio, a cui spesso

rinuncia per una tazza di caffè o di cacao quando possibile31. Le patate si mangiavano in tutti i

modi, in genere si mettevano sulla stufa e si lasciavano arrostire; anche la buccia si mangiava con il

sale o con un po’ di zucchero. Gli avanzi di patate venivano messe anche nella minestra ed anche le

bucce tagliate fine e seccate nella stufa venivano a volte per necessità utilizzate nella minestra.

Altro alimento utilizzato era la margarina e le razioni di cibo con il tempo diminuirono32.

“L’anno scorso avevamo 900 gr. giornalieri di patate. Ora 300. La minestra del mattino è acqua calda con rape da

foraggio, quelle legnose, che in Italia si danno al bestiame.”33

Importante per l’alimentazione era l’arrivo dei pacchi inviati dai parenti degli IMI. I moduli per i

pacchi potevano essere inviati due volte al mese.

“Con l’inizio dell’arrivo dei pacchi, aumentano i generi vari, i condimenti e quindi le possibilità culinarie dei vari

prigionieri. Questa attività risolve tre problemi: quello del magiare un po’ variato e di più, quello dello scaldarsi e

quello di occuparsi. I libri disponibili sono pochi: mancando il cibo per l’intelletto, tutti si dedicano al cibo del

ventre.”34

In alcune camerate veniva messo in comune quanto si trovava nei pacchi di ognuno e veniva

consegnato ad un cambusiere, che preparava il menù giornaliero e ne distribuiva ogni giorno un po’

per far durare il più a lungo possibile le riserve di cibo in caso di mancato arrivo dei pacchi.

“Io mi sono specializzato a farmi risottini e paste asciutte condite con margarina e formaggio. Sempre esatte di cottura

e con un buon saporino di sugo di carne dato dai dadi Maggi.”35

Vi era qualcuno che avendo una famiglia in modeste condizioni finanziarie non riceveva dei pacchi;

perciò secondo Porro sarebbe stato utile un ufficio assistenza per dare il superfluo a chi non ha

nulla. Infatti qualcuno era così egoista da far marcire i viveri ricevuti da casa senza concederne a chi

non aveva nulla; altri invece nascondevano i loro viveri ai compagni e mangiavano quelli degli altri.

31Cfr. F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945 32 ibidem 33F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.73 34F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.35 35F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.46

Page 12: Generale Felice Porro

“Avendo distribuito un po’ troppo generosamente quando ricevetti i pacchi, ora sono ridotto alla fine. Non ho che tre

scatolette. Vi sono certi che ne hanno oltre 70!! E non ne danno una a chi è senza. Qui ho visto a quali estensioni

arriva l’egoismo umano nei vecchi.”36

Gli oggetti contenuti nei pacchi erano spesso oggetto di scambio tra gli Imi per ottenere dei viveri.

A volte il pacco era motivo di dolore per il prigioniero, infatti capitava che pochi giorni dopo

l’arrivo di un pacco spedito dalla madre di uno degli Imi si veniva a conoscenza della morte della

stessa.

3.3 Clima

L’inverno in Polonia era freddo, con basse temperature e neve. Il clima era nordico e per gli italiani

abituati a temperature moderate ciò creò difficoltà. Il sole era tiepido e la luce era “scialba”. La

natura era caratterizzata da un letargo che durava da ottobre ad aprile ed anche la ripresa

primaverile era molto lenta. Anche a maggio in Polonia faceva freddo, c’era umido e a volte anche

vento forte. Sarà la situazione geografica della Polonia ricca di boschi la causa di un clima tanto

nordico, anche l’estate era un autunno. Indipendentemente da ciò, l’inverno del 1944 non fu così

rigido, la temperatura rigida e la neve iniziarono quando in Italia era già primavera.

“L’inverno è eccezionalmente bello. Abbiamo oggi 8 gradi sotto zero ma c’è il sole e calma di vento e non si sente

perciò molto freddo.”37

Il clima così poco favorevole e così poco adatto agli italiani rendeva la terra di Germania ed il

campo di concentramento ancora più triste. Purtroppo l’autunno del 1944 introdusse un inverno

precoce e molto rigido.

“Penso ai vecchi, alle donne, ai bimbi, ai malati sfollati per i bombardamenti che soffriranno il freddo.”38

3.4 Vestiario

I vestiti erano essenziali e la maggior parte eccetto le uniformi erano inviati nei pacchi. Molti

diventavano sempre più trasandati e trascurati, tanto che anche i comandanti di alto grado

sembravano soldati prigionieri negli indumenti dati dal Comando appartenenti un po’ a tutti gli

eserciti.

Importante erano per gli Imi le scarpe, soprattutto per gli italiani abituati a camminare raramente

nella neve. Erano necessari scarponi da montagna assai caldi.

36F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.55 37F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.37 38F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.71

Page 13: Generale Felice Porro

“Purtroppo, non conoscendo la serie delle scarpe da montagna mie e di Alberto, mi è stato mandato un paio di

scarponi da sci di Alberto di qualche anno fa; non posso perciò indossarle con i calzettoni di lana grossa.

Prosaicamente ho cancellato dalla lettera pronta per Mina l’elenco dei libri letti in questi ultimi tempi e l’ho sostituito

con la richiesta di un altro paio di scarpe. Questo mi servirà per fare uno scambio e ottenere dei viveri.”39

“Mi son legato la paglia sulle scarpe per proteggere la parte superiore di esse dalla neve e dal bagnarsi.”40

Il generale Porro riceveva diversi pacchi da casa che gli consentivano di distribuire camicie,

mutande e calze a chi non ne aveva o di scambiare indumenti con risorse di viveri.

3.5 Igiene

Nel campo il bagno era previsto una volta alla settimana, la pulizia della camerata era mantenuta dai

prigionieri sia pur con difficoltà a causa dei pochi utensili disponibili per eseguire lavori di igiene.

Non sempre vi era l’acqua calda e ciò per i prigionieri non abituati ad un clima così rigido creava

difficoltà tali da causare con il tempo problemi di salute. Ogni giorno era prevista la pulizia della

camera.

“Ogni giorno c’è qualche lavoro nuovo da fare. Un giorno pulire i vetri; un altro stuccare con carta e terra creta tutte

le fessure della porta e della finestra, dalle quali entrava allegramente aria fredda. Due volte la settimana c’è da

lavare, cosa poco piacevole in questa stagione.”41

Il bagno previsto per il generale era sostituito per i soldati semplici dalla doccia comune.

“La caldaia del bagno doccia è guasta da 22 giorni. Da tre settimane non abbiamo più la gioia e piacere di lavarci con

l’acqua calda. Speriamo si decidano a riparare. Sentivo già il disagio di un solo bagno settimanale, ora esserne privo è

cosa noiosa assai.”42

La situazione igienica peggiorò nel 1945 in seguito alla prigionia degli ufficiali americani.

“…la nuova sistemazione ha messo i generali l’uno addosso all’altro, come le bestie nelle stalle; peggio, perché a

queste si cambia la paglia. Noi abbiamo i pagliericci con i truccioli di legno che avevano i norvegesi prima di noi.”43

3.6 Salute

La salute degli IMI risentiva fortemente della fatiscenza delle sistemazioni abitative, del freddo e

della denutrizione. Questa causava l’indebolimento dei prigionieri che a sua volta favoriva il

diffondersi di epidemie. Il vitto scarso migliorava per l’arrivo, come precedentemente detto, dei

pacchi inviati dalle famiglie, infatti mentre i prigionieri delle altre nazioni ricevevano anche i pacchi

39F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.36-37 40F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.86 41F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.34 42F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.69 43F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.81

Page 14: Generale Felice Porro

dalle Croci Rosse, ciò non avveniva da parte della Croce Rossa italiana. Aumentarono i deperimenti

per l’insufficienza di vitamine, di grassi e di calorie. Gli internati invecchiarono rapidamente, le

loro fisionomie manifestavano le tracce degli anni, della sfiducia, della stanchezza; gli sguardi non

avevano più vivacità e erano atoni e fissi; la loro prestanza militare veniva meno ogni giorno di più,

molti si incurvarono e sembravano camminare come se avessero un peso sulle spalle.

“A me, oltre alla barba assai bianca, alle borse agli occhi, al mal di reni continuo, c’è un peggioramento della vista e

della memoria.”44

“Sono mille e trecento calorie giornaliere che introduciamo nel corpo quando, stando a riposo, ne occorrono 1900

minime e per lavorare 4000. Ecco perché si sente di più il freddo”.45

"Lo stato della salute è reso poco sicuro anche a causa degli incidenti sul lavoro soprattutto nelle

miniere, data la scarsa sicurezza e tutela del lavoro e la precaria assistenza medica”46. L’inverno

precoce al termine del 1944, quello che in Italia era il periodo autunnale, favorisce il diffondersi nel

campo dell’influenza; fu difficile per alcuni superare il secondo inverno di prigionia e denutrizione,

infatti al termine della prigionia molti saranno gli italiani morti per tubercolosi e broncopolmonite

soprattutto tra i giovani.

44F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.56 45F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.67 46G. Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania, 1943-1945, 2004, p. 5

Page 15: Generale Felice Porro

4. Le relazioni e le voci di sottofondo

Quando si parla di prigionia non si può non affrontare il tema dei rapporti umani che gli internati

hanno avuto con la propria famiglia, con i compagni detenuti, con i nemici tedeschi, con gli alleati,

così come non possono essere trascurate le cosiddette “voci di sottofondo” che si diffondevano

all’interno dei campi e che contribuivano a creare false illusioni, alle quali aggrapparsi per resistere

a quell’ambiente così ostile. Le relazioni che il Generale Felice Porro ha avuto nella sua esperienza

di internato militare italiano (IMI), non possono prescindere dal contesto fisico e storico in cui sono

avvenute. Per tale ragione è utile operare una suddivisione a scopo prettamente analitico, sia per

quanto concerne i soggetti con i quali ha avuto o instaurato relazioni, sia per quel che riguarda il

contesto in cui tali interazioni sono avvenute.

4.1 Rapporti con casa prima e durante la prigionia

Dopo l’8 settembre, quando ancora non era stato internato, Porro si trovava a Pavia, gli incontri con

i membri della sua famiglia erano assidui e, quando non c’era la possibilità di un’interazione faccia

a faccia, il Generale aveva la possibilità di spedire e ricevere posta. Quando né l’una né l’altra

modalità di comunicazione era possibile, si serviva di intermediari come contadini del luogo, amici,

donne di servizio o mogli di altri Generali che avevano modo di avvisare i suoi cari o riferire a

Porro stesso notizie in merito a questi ultimi. Anche durante la prigionia, Porro continuava a

ricevere notizie dalla sua famiglia: dalla madre e la sorella Giulia che con un vezzeggiativo

chiamava “Lulla”, dalla moglie Mina e dai due figli Matè e il tanto nominato primogenito maschio

Alberto, per il quale andavano la maggior parte delle preoccupazioni, in quanto anche lui come il

padre, aveva intrapreso la carriera militare, senza però lasciare gli studi all’università. Nonostante la

possibilità di ricevere e spedire posta, spesso accadeva che le lettere arrivassero, molto tempo dopo

essere state spedite. In queste parole del Generale si può comprendere il suo stato d’animo per

l’intermittenza delle notizie che riceveva da casa:

“E’ tale e tanta l’attività esasperata dell’attendere che a volte ci si ritrova in attesa di un pensiero, di un ricordo, di

un’idea che vengano a noi per farci compagnia e ci aiutino ad attendere la fine con serenità, equilibrio e forza

d’animo.” 47

Se nella fase immediatamente successiva all’Armistizio e antecedente alla prigionia, il Generale

Porro aveva la possibilità di incontrare i membri della sua famiglia, nella fase della prigionia l’unico

47F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.40

Page 16: Generale Felice Porro

modo che aveva per comunicare con i suoi cari era ridotto alla posta. Le lettere, per lui

fondamentali, rappresentavano un filo che gli permetteva un collegamento con la sua famiglia, la

quale era un pensiero costante in tutte le sue giornate.

4.2 Rapporti con i tedeschi prima e durante la prigionia

I rapporti tra Porro e i tedeschi, sia prima che durante l’internamento sono stati essenzialmente

buoni. Durante la prigionia le richieste che Porro faceva venivano sempre accolte e soddisfatte dal

Capitano tedesco che gli aveva assegnato un attendente, ovvero un individuo incaricato ad assisterlo

per qualsiasi necessità, come spedire lettere o compare libri.

4.3 Rapporti con altri detenuti prima e durante la prigionia

Per quanto concerne i rapporti che il Generale Porro ha avuto con i suoi colleghi internati, si può

dire la maggior parte delle relazioni sono state con Ufficiali e Generali di diverse armi, ma della sua

stessa nazionalità. Il cameratismo, il senso del dovere e l’estrema generosità del Generale lo hanno

portato, in più occasioni, ad apprezzare determinati comportamenti ma a disprezzarne altri. In

contesti sensibilmente difficili come quello della detenzione in un campo era possibile riscontrare

atti egoistici da parte di molti, soprattutto se a causa del mancato arrivo di pacchi ci si trovava in

mancanza di viveri o altri oggetti per poter condurre un’esistenza minimamente accettabile. Porro

apprezzava i giovani soldati, animati dalla loro spensieratezza, dallo spirito di cameratismo e di

generosità, mentre secondo lui i più anziani, salvo pochi, non vedevano che se stessi, la propria

famiglia e i propri oggetti e viveri48.

“Quante cose si comprendono e si spiegano, vivendo a contatto con questa gente che avrebbero dovuto brillare per

qualità di comandanti e di educatori! Dal piccolo furto, al litigio meschino, all’invidiuzza, alla maldicenza, alla

incertezza, alla scarsa educazione, è tutta una serie di qualità negative e basse, che si rilevano giorno per giorno e che

addolorano ed indignano.”49

“E’ commovente vedere come la gente modesta che ha poco dà molto, mentre certi che ricevono molto non danno una

briciola. Quanto sono migliori gli umili ed i giovani!”50

Nello specifico, quando parla di “vecchi” si riferisce ai Generali delle altre armi, le sue parole sono

oltremodo esplicite:

48 Cfr. F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945 49F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.44bis 50F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.36

Page 17: Generale Felice Porro

“Invece taluni dovrebbero chiamarsi particolari e non generali, perché non vedono che il proprioio meschino, le

proprie cosucce. Conoscendo molti qua, quante cose si spiegano. Ed io che ho sempre rilevato e colpito i difetti e le

manchevolezze nei miei inferiori in aereonautica, vedo che essi sono ben piccola cosa. Più conosco questi vecchi e più

apprezzo i giovani, più conosco questi Generali e più apprezzo la mia Arma.”51

All’interno del campo, inoltre, non mancavano piccoli dissidi tra colleghi, i quali lo accusavano di

compiere atti di generosità esclusivamente per crearsi popolarità. Porro sosteneva che i

comportamenti di alcuni detenuti erano l’espressione di una “miseria spirituale”, appurando che

spesso alcuni individui nascondevano il proprio cibo per mangiare quello degli altri, oppure vi era

chi, invece di donare una camicia a chi era stato derubato dei vestiti, cercava di barattarla con delle

sigarette, o addirittura c’era chi preferiva lasciar marcire ciò che aveva, piuttosto che darlo ad un

compagno di camerata52.

Oltre alle critiche fatte e ricevute, oltre alle discussioni tra colleghi, non possono non essere

evidenziate anche le relazioni in chiave positiva:

“Ora comprendo il valore della compagnia di amici in prigionia, comprendo quali indissolubili legami affettivi si

debbano stabilire fra i compagni della triste sorte, quale sia il conforto reciproco, la distrazione delle parole

pronunciate o sentite che portano nella mente pensieri, idee, ricordi, speranze.”53

Non mancavano i momenti di generosità sia da parte di Porro, che in più occasioni, una volta

ricevuti i pacchi, ha offerto a chi stava peggio di lui per salute o mancanza di pacchi, sia dai suoi

compagni che in situazioni di mancanza di viveri, lo hanno aiutato offrendogli una colazione, un

pranzo o anche delle semplici caramelle. Anche in ricorrenze speciali come compleanni, Natale,

Pasqua, oltre allo scambio degli auguri con confidenza e fiducia, gli internati organizzavano pranzi

o cene alle quali ognuno dava il proprio contributo. Il loro obiettivo era quello di stare tutti insieme

cercando di non pensare al terribile contesto in cui si trovavano:

“Nella prigionia, la compagnia quotidiana, quando c’è l’affinità di gusti e di educazione, sfocia in amicizia, in

confidenza, in cameratismo.”54

Tra i compagni di prigionia, inoltre, era possibile incontrare sia sconosciuti, sia persone che non si

vedevano da anni, sia conoscenti che buoni amici:

51F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.49 52Cfr. F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945 53F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.22 54F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.38

Page 18: Generale Felice Porro

“Per persone di età abituate, alla propria casa ed alla propria intimità, per chi ha maggior pudore e riservatezza, la

promiscuità della camerata è una sofferenza per la maggior parte del tempo. Vivere assieme giorno e notte. Durante le

ore del sonno il russare dei compagni che sveglia e non permette di riaddormentarsi, di giorno i pasti e tutte le

occupazioni in comune. Molte camerate hanno la loro cambusa; tutti i viveri in comune e vivono come una famiglia. Vi

sono poi le comunità di parentela, quelle di amicizia preesistente o formatasi nel lager, quelle di arma, quelle di

corregionalità, quelle della religione praticante, costituita quest'ultima dai fedeli d'ogni giorno al rosario e alla

messa.”55

Oltre ai detenuti italiani, Porro, ebbe modo di interagire anche con ufficiali americani anch’essi

detenuti. La prima cosa che il Generale notò, fu la differenza con gli Italiani. Gli Americani, oltre

ad essere vestiti meglio, si imponevano ai tedeschi, i quali si prodigavano per aiutarli. Tramite un

suo collega che parlava inglese, Porro fece ricercare gli aviatori a due dei quali regalò del pane, in

quanto erano affamati e in cattive condizioni. Con i viveri di tutta la camerata, inoltre, venne fatta

una minestra calda per tutti. In seguito dopo averli invitati nelle varie camerate notò che fra questi

c’erano molti figli di italiani. Ancora una volta, anche nel caso dei colleghi americani, emerse la

passione che Porro aveva per i giovani, molto probabilmente legata al fatto che i ragazzi gli

ricordavano suo figlio Alberto.

4.4 Voci di sottofondo durante la prigionia

“Si alimenta la curiosità e gli argomenti di conversazione con qualsiasi notizia che rimbalza e gira travisata,

deformata, ingrandita. Siamo tante farfalle attorno ad una luce, ci si agita per un niente, si parla a vuoto, si cerca

convincere se stessi e gli altri sulla verità di cose che sono a volte solo nella nostra speranza. Si vive di una voce e per

una voce. Si ha l’arsura delle notizie della Patria, della famiglia, di tutte le persone care. Si indovinano le ferite, le

sofferenze, le ansie di tanti italiani e dell’Italia e si soffre di essere assenti, lontani, inutili.”56

La situazione che il Generale Porro definisce “speciale”, attribuendo a tale aggettivo una

connotazione chiaramente negativa, e lo stato d’animo di tutti gli internati, portavano a travisare

quelle che spesso erano solo illusioni, speranze, paure. Tali “voci di sottofondo” passando da un

compagno all’altro, si diffondevano in tutto il campo e producevano conclusioni poco veritiere. Più

che reali notizie, circolavano informazioni che erano frutto dell’immaginazione di un singolo, ma

che in una situazione drammatica come quella della prigionia, spesso rappresentavo l’unica cosa a

cui appigliarsi, come una speranza, una notizia da rincorrere per poter sopportare la triste realtà in

cui gli internati erano immersi.

55F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.76 56F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.65

Page 19: Generale Felice Porro

“[…] Ogni notizia diventa elastica come un nastro di gomma tirato al limite dell’elasticità ed oltre dai tiranti dei

desideri e delle speranze personali, ed ogni voce non ha il suo tono ma riceve il timbro della parola che la riporta, dove

l'accento è tutto personale e soggettivo e dove il suono non riproduce la nota della realtà che è ma l’eco della realtà

che si vorrebbe fosse.”57

Le voci di sottofondo, in tal modo, tendevano a raccogliere ipotesi contrastanti, come scrive Porro

stesso, avveniva una fusione di visioni ottimistiche e pessimistiche:

“Le supposizioni più varie e discordanti, i timori dei pessimisti e l’euforia degli ottimisti entrano in tutti i discorsi.” 58

4.5 Rapporti con i Russi dopo la prigionia

“Un Generale diceva a Geloso che ormai noi siamo alleati ed infatti così ci considerano. Le manifestazioni di simpatia

sono continue. Molte di più verso di noi che verso gli Americani.”59

Quanto riportato, chiarifica il rapporto che c’era tra Porro e i Russi, personaggi che entrarono nella

vita del Generale in veste di alleati nella fase successiva alla prigionia. Nonostante Porro non avesse

un’ottima considerazione dei Russi, in quanto li considerava un popolo arretrato, soprattutto in

relazione all’eccessivo uso della violenza, il rapporto tra soldati italiani e russi era sostanzialmente

positivo. Oltre ai reciproci gesti di simpatia, non sono mancati gesti di empatia sia da parte degli

Italiani -che a seguito della morte di un sottoufficiale Russo hanno mostrato la loro vicinanza

vestendo, coprendo di fiori e vegliando sulla salma per un’intera nottata- sia da parte dei soldati

Russi che accettarono il messaggio radio preparato per l’ambasciata italiana a Mosca per dare le

notizie alle famiglie, oltre a fornire gli italiani stessi di giornali e sigarette. Il contatto con generali e

capitani Russi si rilevò per Porro molto fruttuoso a livello delle informazioni che ottenne. Tramite

queste figure, infatti, da un lato riuscì a ricevere piccole informazioni legate ad esempio

all’indirizzo di un dentista e di una lavandaia, che dopo le tante privazioni in prigionia erano

diventate due esigenze di non poco conto, dall’altro, tramite il capitano Russo Scevliaghin, riuscì ad

avere notizie sull’Italia del sud soprattutto relative alle difficili condizioni, alle malattie, alla

prostituzione, ovvero tutti i problemi che avevano investito quella zona. Inoltre, espressione

dell’apprezzamento verso la sua arma di appartenenza - che andava oltre i confini fisici e culturali

ed espressione del suo animo curioso - fu la richiesta da parte del generale Porro al Generale

57F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.46 58F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.57 59F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.95

Page 20: Generale Felice Porro

Comandante delle truppe della regione di Charcow di poter trascorrere qualche ora presso i

compagni aviatori Russi dell’aeroporto di Charcow, in quanto voleva conoscere l’ambiente

aviatorio russo ed era speranzoso di fare un volo.

4.6 Rapporti con i tedeschi dopo la prigionia

Sia prima che durante la prigionia Porro, aveva dei rapporti essenzialmente di non contrasto

esplicito con i tedeschi, legati al fatto che per i Generali era previsto un trattamento migliore,

rispetto ad esempio ai soldati semplici, che invece subivano trattamenti peggiori. Nella fase della

liberazione, invece, il generale provava sostanzialmente pena per i nemici, evidenziando le

differenze di atteggiamento con i Russi, che al contrario attuavano comportamenti vendicativi e

violenti verso i tedeschi.

“I tedeschi hanno ora il trattamento che han fatto loro a tutti i popoli di Europa; ma noi italiani, sentimentaloni, non

siamo capaci di gioire a questo spettacolo e proviamo un senso di pena.”60

4.7 Rapporti con i compagni dopo la prigionia

Anche per quanto concerne la fase successiva alla prigionia, il rapporto che Porro aveva con i suoi

colleghi, soprattutto Italiani, si divideva in critiche orientate ai generali accusati di furti e

comportamenti di amicizia come atti di generosità, scrittura di poesie destinate ai compagni,

dediche, gesti di affetto e di premura, scherzi e risate. Tra le poesie dedicate e ricevute possono

essere menzionate l’orazione dei fanti che il Generale ha dedicato ad un suo amico fante e a Giglio

(suo compagno nell’aviazione d’artiglieria nei primi mesi della guerra), il quale aveva reagito

scoppiando a piangere e abbracciandolo, oppure la poesia in prosa, due disegni e le firme di tutti i

compagni di fabbricato che Porro aveva ricevuto dagli stessi, con parole affettuose e di

riconoscenza per quanto lui aveva fatto per loro. Tra tutti i compagni, però, ce n’era uno che Porro

apprezzava in particolare e che lo ha accompagnato fino alla fase conclusiva della sua terribile

esperienza di internato. Si tratta del Sergente Maggiore Mangora, il quale in più occasioni aveva

mostrato gesti di premura per il Generale, come accudirlo durante un’influenza, oppure offrirgli del

cibo nei momenti in cui, durante la prigionia, se ne subiva la mancanza. Le parole di Porro riguardo

il suo collega sono esplicite:

60F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.145

Page 21: Generale Felice Porro

“E’ la persona a cui voglio più bene. E’ la mia compagnia preferita. Me lo ritrovo vicino e simile moralmente e sto

molto più volentieri con lui che con i miei colleghi che sento tanto e tanto lontani da me.”61

61F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.155

Page 22: Generale Felice Porro

5. Tempo, Fede e Morte

Passiamo ora all’analisi della variabile tempo in molte delle sue forme, accezioni e conseguenze

possibili. Partirò dalla sua percezione e concezione in un contesto di questo tipo, all’organizzazione

e scansione “materiale” del tempo, passando per i modi per trascorrerlo, fino ad giungere al

rapporto tra questi, la fede e la morte.

5.1 Percezione temporale. Il tempo perso

Quello di cui ci stiamo occupando è un tempo soggettivo che pian piano prende le distanze da

quello indicato dalle pagine strappate dal calendario ed ancor più da quello indicato dalle lancette

dell’orologio. La prigionia è un mondo che prende le distanze dal mondo, tutto avveniva con noiosa

ed opprimente ripetitività, fino a far mancare il fiato. “Le giornate si succedono uguali identiche

l’una all’altra; sono una collana di brutte perle nere che soffoca il collo, o meglio i grani di un

Rosario per le preghiere della pazienza e della speranza”62.

Il tempo in prigionia era un tempo di interminabili attese che si ripresentavano giorno dopo giorno,

ora dopo ora, senza poterne vedere la fine. L’illusione di una gioia prossima spesso accelerava le

lancette, l’impazienza le faceva rallentare ed il più delle volte l’illusione si trasformava in profondo

sconforto. Una suggestiva visione di tutto questo ci è fornita dal generale Porro stesso, all’interno

del suo diario:

“Una delle attività del prigioniero, e forse la più esplicata, è: ‘l’aspettare’. Si attendono le lettere da casa con ansia; si

guarda e riguarda sul proprio notes le date di spedizione delle lettere da qui: si fanno calcoli di tempo e quando si

ritiene che debba arrivare la posta tanto desiderata, non arriva nulla e si continua ad attendere. Si aspettano i pacchi.

[…] E’ annunciato un ritiro di pacchi alla stazione. La speranza diviene certezza: certo, uno mio ci sarà. Non appena

sull’albo vien messo l’elenco dei nomi dei fortunati, si corre a leggerlo. Ma il tuo nome non c’è; ed allora non ti rimane

che continuare ad attendere. Queste sono le piccole attese ansiose di ogni giorno. Vi è poi la grande attesa di ogni ora:

quella del ritorno in Patria. Per far passare i giorni bisogna riempirli di mille occupazioni, le più varie, le più umili Io

son riuscito sinora e riesco a non stare un minuto della giornata senza tenere la mente occupata o distratta dai piccoli

lavori necessari per la vita nella camera. C’è già la notte con le sue lunghe ore buie nelle quali i pensieri si

affollano.”63

"Così mi occupo più che posso ma ogni giorno è identico al precedente, le stesse cose; l’unica cosa che varia è

l’argomento delle letture”64.

62F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.25 63F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.40-41, grassetto mio 64F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.17

Page 23: Generale Felice Porro

Bisognava trovare una serie di occupazioni che distogliessero la mente dal vuoto dell’attesa e non la

lasciassero naufragare ed impazzire. Noi spesso associamo il tempo alla sua unità di misura,

dimenticando che quel che più ci interessa, in realtà, è il come lo impieghiamo - Avrò speso bene il

mio tempo? È una domanda che ci facciamo spesso, ed anche molti degli internati avranno fatto

altrettanto. Le lancette che scorrevano inesorabili nella prigionia segnavano un tempo sprecato, che

nessuno restituirà. Per tutti quegli uomini come il gen. Porro, abituati all’azione, a prendere

decisioni ed organizzare il comando, questa inattività risultava insopportabile. Egli si sentiva inutile

ed inutilizzato65, come scrisse in questo passaggio del suo diario, stilato dopo un intero anno passato

in prigionia ed in cui espresse tutto il suo sconforto:

“Un anno intero è passato, giorno per giorno, triste e doloroso. Anno di umiliazioni, di privazioni, di attesa. Intero

anno inutile della mia vita. Non azione di comando, non lavoro, non responsabilità, non attività redditizia della

macchina del mio ‘Io’”66.

5.2 Routine. Una piccola Società

Ma come si trascorre materialmente – per usare un avverbio caro al nostro generale – il tempo in

prigionia? Abbiamo detto che i prigionieri si trovavano in un ciclo costante di giornate tutte uguali,

fatte di privazioni, sofferenze e noia. Nel campo di Schokken, ogni giorno iniziava con l’appello;

“Al mattino alle 9 e nel pomeriggio al tramonto si passa in riga per fabbricato (blok) per l’appello.

Alla sera, alle 21,30, il controllo è fatto nelle rispettive camere”67. Il tempo era ben scandito a ritmi

regolari dalle autorità tedesche, che in parte ne sottraevano la proprietà ai legittimi detentori.

Per i più “fortunati”, come il nostro generale, c’era spazio per inventare nuove attività in modo da

occupare i momenti restanti. Col tempo, infatti, si veniva a sviluppare una vera e propria piccola

società, all’interno della quale ognuno aveva il proprio ruolo e la propria specialità:

“Io sono fra coloro che tengono maggiori contatti con i compagni; ciò mi porta a vedere la vita di ogni cameretta e di

ogni camerata, a vedere le varie attività sviluppate per passare il tempo. Molti sono i giocatori di bridge che giocano a

tutte le ore. Parecchi i giocatori di scopone e di pinacolo. […] La biblioteca funziona bene, ricca ormai di circa 500

volumi, sempre in giro di lettura. […] Ho imprestato ad un compagno il libro dei solitaires ed ha avuto la pazienza di

ricopiarlo tutto con le figurine delle carte. Vi sono poi gli artigiani senza strumenti, valendosi di un sasso, di un pezzo

di ferro, di un chiodo e delle mani, riescono a costruire con le latte delle scatole, scatolette, coperchi, stufette,

fornelletti e con cartone e tele valige, scatole, ecc. Robino aggiusta orologi ed uno dei più industriosi ed abili fra gli

improvvisati artigiani. Vi sono gli studiosi della lingua tedesca che, grammatica alla mano, studiano e fanno esercizi e

traducono, per far pratica, le notizie più importanti dei giornali germanici. Vi sono i passeggiatori ad ore fisse di un

65F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.22 66 F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.80 67F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.32

Page 24: Generale Felice Porro

dato numero di giri del cortile a passo forzato, podisti isolati ed i peripatetici a coppie, deambulanti lentamente,

chiacchierando. Vi è qualche artista, come Ghè, che dipinge copiando da cartoline o riviste vecchie o riproducendo la

veduta del nostro campo. Chi ha un po’di attitudine per il disegno, ha eternato sulla carta i luoghi della nostra vita di

prigionia che ci circondano: il block, un angolo di camerata con il cassone-letto, il catino, l’armadio, la latta di

conserva vecchia che fa da pitalino, ecc. E poi le attività più strane. Vi è chi accantona tutta le bucce della patata

giornaliera della propria camerata ed ogni tanto, buccia per buccia, con pazienza da certosino, toglie quel po’ di

patata che può essere rimasta attaccata. Gli avanzi di patata vengono poi messi nella minestra; le bucce, tagliate fine e

seccate nella stufa, servono o per sostituire nelle pipe il tabacco o per tornare nella minestra. L’attività che assorbe

assai ed in cui parecchi eccellono è quella culinaria […] L’attività culinaria è in primo piano per la necessità di

assicurare all’organismo quel numero di calorie che la razione del campo dà troppo scarsamente. La situazione

speciale in cui siamo ed il particolare stato d’animo fanno sì che le voci corrano e si propaghino, spesso travisate ed

erronee […] Su tutto e sempre, presente nelle ore del lavoro, della lettura, delle chiacchiere ed in quello dell’insonnia,

il pensiero alle famiglie lontane, alla Patria lontana, di cui non si conosce bene il presente e si teme per l’avvenire.”68

Ancora una volta quindi, tutte queste attività avevano lo scopo principale di tenersi in salute fisica e

mentale, e di spezzare in qualche modo l’attesa; “Le mie preoccupazioni ed occupazioni sono quelle

di far sempre qualche cosa, di non lasciarmi andare a fantasticare a rinchiudermi in me stesso.

Cerco pensare di sfuggita a tutti i miei Cari per non avere debolezze e non rattristarmi troppo”69

5.3 Riflessioni. Che sarà di noi?

Nonostante si cerchi di tenersi impegnati per non cadere nello sconforto, inevitabilmente arrivava

per tutti la notte in cui, prima di coricarsi, la mente prendeva il sopravvento e ci si abbandonava a

riflessioni di ogni genere. Come ci dice il nostro generale, “la prigionia è un po’ simile alla cecità.

Infatti non si vede più nulla all’infuori di quello che si scorge dal rettangolo della finestra della

propria camera; si è all’oscuro di notizie, non si parla e non si ascolta. È così che ci si trova nelle

soste delle letture a pensare e riflettere. Quando si è molto occupati non ci si arresta mai a parlare

con il proprio io. Quando si è sol soli è l’unica compagnia che si può avere ed allora si iniziavano

questi colloqui intimi, affollano ricordi, risorgono episodi, si fanno esami di coscienza ed,

essenzialmente, si ricerca il proprio “io, quello che è l’essenza di se stesso per fare appello alle sue

virtù ed avere il conforto del suo consiglio”70. In questi momenti i pensieri preponderanti, quando

non andavano alla famiglia, erano rivolti al futuro: “Che sarà di noi? Che possibilità avremo dopo

di lavoro? Quanti interrogativi ci si pone e quanto incerto e difficile sembra debba essere

l’avvenire”.71

68F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.45-46 69F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.6 70F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.19 71F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.45

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All’interno del campo di prigionia, il tempo percepito era come si sdoppiasse in due canali separati

e distanti: da una parte c’era quello che scorreva lentamente ma inesorabilmente nella dura vita

quotidiana del campo - il tempo dell’attesa -, dall’altra c’era un tempo immobile che era il tempo in

cui si immaginava ferma la realtà a casa propria. Le notizie erano poche, spesso nulle, quindi

l’immagine che si aveva di casa propria era come congelata – creando spesso un contrasto enorme

tra aspettative e realtà, per quei fortunati che sono riusciti a tornare a casa. L’unica cosa in comune

tra queste due “percezioni temporali” è che la sensazione preponderante di non avere il controllo su

nessuna delle due, esattamente come non si ha nessun controllo – e spesso decisione – sulla propria

morte.

5.4 La Morte

Anche questo argomento ritorna spesso, com’è logico pensare, nella letteratura e nei racconti degli

IMI. La morte era un pensiero costante, come il pensiero di morire in terra straniera senza che

nessuno dei propri famigliari venisse a sapere del decesso e non potesse così piangere il proprio

caro - rimanendo, anzi, nella speranza di poterlo riabbracciare; “Oggi il pensiero va a tutti i nostri

Morti: famigliari, amici, aviatori ed a tutti i Morti italiani del presente. […] Quante croci sparse in

cimiteri inospitali, su terra doppiamente fredda perché non è terra d’Italia! È triste morire ma lo è

ben di più lontani dalla propria casa. […] Come sulla tomba nuda e fredda sta l’ombra d’una

rozza croce, così vedo l’ombra d’una croce di sofferenza sopra i cuori di coloro che hanno atteso

invano”72

La morte era un pensiero così centrale in quelle condizioni di assoluta precarietà, che diveniva

addirittura argomento di distinzione tra le varie nazionalità:

“A noi latini fa impressione il modo come questa gene si ritira. Tutti in silenzio, nessuno piange, nessuno impreca. Non

si ode un lamento, non si vede una lacrima, non maledizioni, né bestemmie, né proteste. Questi nordici, freddi come il

loro clima, vanno in un silenzio tragico senza reazioni né scatti, obbediscono al destino doloroso.”73

Ma essa non faceva paura solo quando arrivava violenta e improvvisa, ma anche quando manifesta

la sua vicinanza nei segni evidenti sui corpi degli internati, provocati da mesi e mesi di fatiche e

privazioni:

“È impressionante il rapido declino di molti. In pochi mesi la vecchiaia ha fatto passi da gigante. E si ha qui sempre

davanti agli occhi la visione di quanto sia brutto invecchiare. Le fisonomie di tutti cambiano, prendono le tracce degli

72F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.71 73F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.84-85

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anni, della sfiducia, della stanchezza; occhi che si infossano, sguardi che perdono di vivacità e di colore per essere

atoni e fissi; e il segno maggiore e più impressionante: il portamento e il modo di camminare. Ogni giorno più decresce

la prestanza militare; […] molti si incurvano e sembra che procedano con un peso sulle spalle (quello degli anni) o

trascinando qualcosa dietro di loro. […] E poi le piccole manie, le fissazioni e i pensieri […] e i discorsi che son

sempre gli stessi nel contenuto e nelle parole e si ripetono continuamente con una monotonia esasperante. Davvero

invecchiare è una gran brutta cosa.”74

5.5 La Fede. Un appoggio per Resistere

In questo marasma di incertezze, non rimaneva altro che appoggiarsi ed aggrapparsi con forza e

speranza alle poche certezze che si avevano. Per molti, questa certezze risiedevano nella fede;

“Quando si comincia a sentire l’avvicinarsi della fine del viaggio terreno e la fede diviene ossigeno

per vivere e luce per morire”75. La fede poteva assumeva molte forme; poteva essere, come in

questo caso, di tipo religioso, ma anche laico-patriottica, fino ad arrivare a vere e proprie forme di

superstizione. Il diario preso da noi in esame riporta esempi di tutti e tre i tipi, seppur con forme ed

intensità diversi. Ripetute e frequenti erano le preghiere rivolte affinché la famiglia del generale

potesse sopravvivere e stare bene. Spesso venivano trascritte preghiere create su misura per certe

occasioni. Ma la fede serviva anche da supporto per accettare quanto stava avvenendo al generale:

“Nella vita del prigioniero non è né la gioia del paradiso né il tormento dell’inferno; è la pena del purgatorio

aggravata dalle incertezze per l’avvenire. Per coloro che hanno fede, sentimento e che vivono più per il morale che per

le cose materiali, il campo di prigionia prende un po’ lo aspetto del monastero. Questi pochi, che soffrono e vivono una

nuova dolorosa esperienza spirituale, sentono nobilitarsi le più alte facoltà dello spirito. Nella immobilità e nella

reclusione l’anima e la mente possono conservarsi mobili ed evadere compiendo viaggi ideali alla scoperta della

propria vita interiore, alla ricerca di Dio, a ritrovare la patria.”76

La prigionia, da alcuni come il nostro generale, può esser quindi vista anche come strumento di

redenzione e di avvicinamento a Dio. Ma quella religiosa, come già accennato, non era l’unica fede

che si perpetuava nei campi degli internati italiani. Specialmente per coloro che, come Porro, erano

soldati e ufficiali di carriera e giovani cresciuti sotto il regime fascista, altrettanto importante era

quella sorta di fede laica che risiedeva nel patriottismo, nell’obbedienza al re ed all’esercito.

“Ho assistito a discussioni interminabili, nelle quali venivano esposti i cosiddetti casi di coscienza che non erano, in

fondo in fondo, che manifestazioni di vigliaccheria umana Tutti giudicano, criticano, transigono. Ecco perché

l’Esercito non è più quello di Vittorio Veneto. Obbedienza cieca, assoluta, pronta, è sparita. Le famiglie, il desiderio

74F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.51

75 ibidem 76F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.74-75

Page 27: Generale Felice Porro

del quieto vivere, il timore di una vita di privazioni o di umiliazioni, se non peggio, portano a transigere, a concessioni

a sofismi, alla base dei quali vi è il proprio “io” invece del proprio dovere di soldato e di Comandante. Molte volte

considero la mia vita di prigioniero e mi appare infantile ed inutile. E’ troppo stridente il contrasto fra quanto potrebbe

fare un Comandante in questo periodo grave e tragico per la Patria e quanto, invece, faccio giornalmente. Per distrarsi

ed occuparsi, ogni piccola operazione viene fatta come se fosse cosa importante. Prolungo la mia toilette per occupare

il tempo; mi faccio il caffè, lavo, asciugo, metto in ordine, curo tanti particolari materiali nella mia piccola camera per

avere sempre qualcosa da fare. Passeggio e calcolo i metri che avrò percorso, guardo il panorama e individuo, ville,

chiese, valli, cime; la mia mente è sempre alla ricerca di qualcosa da vedere, qualcosa da pensare. Leggo, alternando

la lettura con lo scrivere, con il passeggiare, il fare un solitario, ecc. Mi impongo una vita varia, per non indebolirmi

nell’inazione fisicamente e moralmente. Riuscirò a tener duro sino alla fine. Spero di sì. La volontà non mi manca; ce

la metto tutta panche per abituare il mio stomaco al nuovo regime di vitto, così diverso dal nostro.”77

Spesso le due fedi si mescolavano e contaminavano:

“Oggi, scambiandoci gli auguri, i voti di tutti erano reciprocamente per le nostre famiglie e per la Patria. Tutti

preghiamo perché ci sia dato di contribuire alla Sua resurrezione morale ed alla Sua rapida ricostruzione materiale.”78

Il sacrificio per la Patria – sempre rigorosamente scritta con la lettera maiuscola –, in questi casi è

qualcosa di desiderabile, affinché essa possa rinascere:

“Questa è la cosa più tragica. Le vite umane hanno durata di pochi decenni e la loro scomparsa, se commuove e

addolora, non è però irrimediabile come la morte di quell’arte italiana che era stata ritenuta eterna. La civiltà, che

dovrebbe essere in perpetuo, continuo progresso, lo è solo nella materia, negli sviluppi della scienza, … ma è divenuta

distruggitrice di se stessa nell’arte e nelle manifestazioni di quella nobile cavalleria che ha avuto tante belle tradizioni

e cha ha lasciato nella storia del passato segni e prove di umanità, di signorilità, di generosità.”79

Rimane solo, in questo breve excursus, da accennare ad una particolare forma di fede che è la

superstizione. Quando si vive in estrema incertezza ogni piccolo avvenimento diventa un segno del

destino, un avvertimento e si cerca di interpretarlo e di agire di conseguenza:

“Questa sera, per la prima volta dopo venti giorni di prigionia, mi è riuscito il solitaire, il che è un buon segno.”80

77F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.8 78F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.31 79F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.50 80F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.13

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Conclusioni

L’esperienza descritta dal Generale Felice Porro testimonia l’eterogeneità del “fenomeno IMI”.

Rispetto a molti soldati che hanno trascorso gli anni dell’internamento subendo la fame, il freddo, la

fatica e le umiliazioni da parte dell’ex alleato tedesco, Porro rappresenta un caso quasi

“privilegiato”. Il suo grado di generale gli recò una serie di privilegi che si esplicitarono, al

principio, nelle condizioni di trasporto - vagone con scomparto riservato - con le quali fu trasferito

verso il campo ufficiali a Schokken. Qui non fu obbligato a lavorare, tanto che ebbe la possibilità di

coltivare i suoi interessi personali; non soffrì particolarmente la fame e venne trattato con rispetto

dai tedeschi. Se da un lato gli furono risparmiate molte delle più comuni sofferenze fisiche,

dall’altro, a causa della forzata inattività, si acuirono in lui sentimenti di sconforto per la lontananza

dalla sua famiglia e la frustrazione derivata dall’impossibilità di esercitare il suo ruolo di comando

al servizio dell’amata Patria.

Il “Porro Uomo” e il “Porro Generale” convergono in un senso del dovere militare che lo spinse a

scegliere consapevolmente l’esperienza dell’internamento per ottemperare al suo giuramento al Re

d’Italia. La grandezza dell’esempio del padre, anch’egli ufficiale e prigioniero dei tedeschi nel

1917, lo motivò a sopportare le conseguenze, giorno dopo giorno, della sua scelta e ad ergersi come

modello di comportamento per i giovani soldati con i quali condivise tale destino.

Il diario è stato lo strumento per catalizzare quanto vissuto, qualcuno a cui raccontare come abbia

mantenuto fede alle proprie idee ed ai propri principi, nonostante le difficoltà di questa unica,

intensa, interminabile esperienza. Un confidente al quale affidare il peso della propria memoria,

permettendogli di archiviarla e riprendere le fila della propria esistenza.

“In questa notte chiudo il mio diario di prigionia, che è stato il mio compagno e il mio confidente

nei due anni di lontananza, di esilio e di sofferenza. I miei cari, leggendolo, potranno rivivere la

mia vita di deportato. Io, ormai, non desidero che dimenticarla tuffandomi nel lavoro che mi ridarà

la gioia di essere utile al mio Paese e alla mia Famiglia”81.

81 F. Porro, Il mio diario di prigionia, 1943-1945

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Bibliografia

G. Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, Il Mulino, Bologna, 2004

F. Porro, Mio diario di prigionia - 1943-1945

L. Zani, Il vuoto della memoria: i militari italiani internati in Germania, Rubettino, Catanzaro,

Seconda guerra mondiale e la sua memoria (Le ragioni degli storici), 2006, p. 1-25

L. Zani, Le ragioni del no, Siares: Istituti editoriali poligrafici internazionali, Critica sociologica:

XLIII, 170, 2009, Roma, pp. 1-9

S. Frontera, Il ritorno dei militari italiani internati in Germania (1945-1946), Franco Angeli,

Mondo Contemporaneo, Milano, 2009

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Appendice

a. Scheda Internamento

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b. Scheda ANEI

Page 32: Generale Felice Porro

c. Tabella trasferimenti

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