generale felice porro
DESCRIPTION
Elaborato finale per la cattedra di storia sociale e culturale del corso di laurea magistrale in Scienze Sociali Applicate presso l'università La SapienzaTRANSCRIPT
Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione
Corso di laurea in Scienze sociali applicate
Cattedra di
Storia sociale e culturale
Felice Porro: il coraggio di credere nei valori
della Patria
Lavoro a cura di:
Greta Calabresi
Serena Cattacin
Muzio Crispino
Silvia D’Uffizi
Valerio Passeri
INDICE
Introduzione ................................................................................................................................................ 3
1. La scelta .................................................................................................................................................. 4
2. Il viaggio ................................................................................................................................................. 7
2.1 La partenza ........................................................................................................................................ 7
2.2 La lunga marcia verso la libertà......................................................................................................... 7
2.3 Il ritorno ............................................................................................................................................ 9
3. La vita nel campo ....................................................................................................................................10
3.1 Alloggi ..............................................................................................................................................10
3.2 Cibo ..................................................................................................................................................11
3.3 Clima ................................................................................................................................................12
3.4 Vestiario ...........................................................................................................................................12
3.5 Igiene ................................................................................................................................................13
3.6 Salute ................................................................................................................................................13
4. Le relazioni e le voci di sottofondo ..........................................................................................................15
4.1 Rapporti con casa prima e durante la prigionia .................................................................................15
4.2 Rapporti con i tedeschi prima e durante la prigionia .........................................................................16
4.3 Rapporti con altri detenuti prima e durante la prigionia ....................................................................16
4.4 Voci di sottofondo durante la prigionia .............................................................................................18
4.5 Rapporti con i Russi dopo la prigionia ..............................................................................................19
4.6 Rapporti con i tedeschi dopo la prigionia ..........................................................................................20
4.7 Rapporti con i compagni dopo la prigionia........................................................................................20
5. Tempo, Fede e Morte ..............................................................................................................................22
5.1 Percezione temporale. Il tempo perso ................................................................................................22
5.2 Routine. Una piccola Società.............................................................................................................23
5.3 Riflessioni. Che sarà di noi? ..............................................................................................................24
5.4 La Morte ...........................................................................................................................................25
5.5 La Fede. Un appoggio per Resistere ..................................................................................................26
Conclusioni ................................................................................................................................................28
Bibliografia ................................................................................................................................................29
Appendice ..................................................................................................................................................30
a. Scheda Internamento .......................................................................................................................30
b. Scheda ANEI ...................................................................................................................................31
c. Tabella trasferimenti .......................................................................................................................32
Introduzione
La storia degli internati militari Italiani (IMI) riflette l'immagine di un paese in crisi, lacerato e
tormentato dal passaggio dalla dittatura alla democrazia1. La scarsa conoscenza di tale fenomeno,
porta spesso ad immaginare un'esperienza comune a tutti gli internati fatta di sofferenze, privazioni,
lavoro coatto e soprusi. In realtà è una storia complessa, per nulla lineare, né riducibile ad un'unica
dimensione. Quello del Generale Felice Porro è solo uno dei molteplici scenari emersi da questa
realtà multiforme. L’analisi del suo diario, scritto durante gli anni di internamento, ha permesso di
indagare l’unicità della sua esperienza. Tale documento storico é stato concesso dall’archivio
dell’ANEI (Associazione Nazionale Ex Internati) ed ottenuto grazie all’intervento del Professor
Zani. L’analisi è stata condotta da un gruppo di cinque persone, ognuna delle quali ha approfondito
una specifica area tematica, che, integrata alle altre, ha permesso di ricostruire le vicende della
prigionia del Generale Porro.
Nel primo capitolo Serena Cattacin si è occupata della tematica della scelta: optare o non optare per
la collaborazione con il nemico tedesco, in particolare facendo riferimento a quali siano le
motivazioni che lo hanno spinto a prendere la sua decisione.
Nel secondo capitolo Greta Calabresi ha trattato il tema del viaggio, che si è articolato in fasi
distinte: partenza verso l’internamento, marcia forzata diretta dai tedeschi, la successiva liberazione
ad opera dei russi e quindi il ritorno a casa.
Nel terzo capitolo Muzio Crispino ha approfondito le condizioni materiali di vita nel campo,
passando dalla nutrizione agli alloggi fino al clima, ossia tutti quei fattori che potevano portare
all’aggravamento delle condizioni di salute nel campo.
Nel quarto capitolo Silvia D’Uffizi ha apportato il suo contributo trattando il tema delle “voci di
sottofondo” e delle relazioni sociali che l’internato ha avuto prima, durante e dopo la prigionia con
diversi soggetti tra cui la famiglia, i colleghi internati, i nemici tedeschi e gli alleati russi.
Nell’ultimo capitolo Valerio Passeri ha concluso l’elaborato evidenziando le dimensioni
prettamente soggettive, quali il rapporto col tempo, la fede e la morte.
1Cfr. L. Zani, Le ragioni del no, Siares: Istituti editoriali poligrafici internazionali, Critica sociologica: XLIII, 170,
2009, Roma, pp. 1-9
1. La scelta
“Sono legato da un giuramento al mio Re e finché non vengo sciolto da questo impegno sacro dal
Re stesso, non posso rendermi spergiuro” 2 . Con queste parole, il generale Felice Porro,
Comandante della II Squadra Aerea con Quartier generale a Padova, risponde al colonnello tedesco,
il quale, in seguito alla sua cattura, gli propone di collaborare con loro. Il Generale Porro è uno dei
624.000 Imi3, internati militari italiani, i quali all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943,
scelsero di non optare, di non passare dalla parte dell’ex alleato tedesco. La notizia dell’armistizio
non venne diffusa in modo chiaro dalle Autorità e spesse volte venne appresa, in maniera casuale,
dalle radio dei soldati. Se la mancanza di direttive da parte degli Stati Maggiori fu gravissima, ciò
che influì in maniera decisiva sulla condotta dell’Esercito Italiano fu la latitanza dei vertici che, in
molti casi, fuggirono, abbandonando i soldati nel totale disorientamento4. Per fortuna, non tutti si
comportarono così, infatti, alcuni scelsero di rimanere al fianco delle loro truppe per compiere fino
in fondo il proprio dovere militare. Questo è il caso del Generale Porro il quale, non solo diede
ordine ai propri reparti di combattere e arrendersi dopo aver distrutto ogni impianto aeroportuale,
ma che, al momento in cui i suoi dipendenti lo sollecitano a fuggire al Sud, affermò: “Non mi mossi
e non ebbi attimi di incertezza. Mi sentivo i piedi legati al suolo”5. Proseguendo confermò tale
volontà dicendo: “Per elementare dovere di Comandante pensai che avrei potuto, anzi dovuto
fuggire, se io fossi riuscito a salvare i miei dipendenti dalla prigionia… Questo non era stato
possibile. A me non restava che seguire la sorte di tanti miei uomini”6. Nonostante Porro si rifiutò
da subito di collaborare con le Autorità tedesche, egli venne separato, in un primo momento dagli
optanti e in seguito anche dagli altri non optanti, al fine di rimanere a disposizione del Generale
Tedesco dell’Aviazione che volle convincerlo a collaborare, nella speranza che il suo esempio
potesse persuadere i suoi dipendenti ad optare. In tal clima di incertezza ed isolamento, Porro non
perse mai la speranza, come testimonia nel suo diario: “Io cerco sempre di mettere la nota
dell’ottimismo ma in questa tragica situazione non è facile. Pochi, vedo, sanno mantenere la mia
2F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.4 3L. Zani, Le ragioni del no, 2009, p. 1
4“Alla vigilia dell’8 settembre, l’annuncio dell’armistizio colse del tutto impreparate le truppe italiane dislocate su vari
fronti. Badoglio aveva ritenuto opportuno non informare dell’armistizio neanche i suoi più stretti collaboratori
trascurando, fra l’altro, di mettere in atto i preparativi per l’aviosbarco americano a Roma, da lui stesso desiderato,
nella speranza di poter ritardare il più possibile la data dell’armistizio, di preservare se stesso e, naturalmente, la Casa
Reale.” (S. Frontera, Il ritorno dei militari italiani internati in Germania (1945-1946), Franco Angeli, Mondo
Contemporaneo, 2009, Milano, p.3)
5F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.3 6Ibidem
serenità”7. Durante le giornate condivise con altri Generali prigionieri, optanti e non optanti, Porro
ebbe l’occasione di riflettere su quanto fosse cambiata la condizione dei militari, i quali da
coraggiosi ed obbedienti mutarono in egoisti e spaventati dalle sofferenze e dalle umiliazioni.
Probabilmente sono queste alcune delle motivazioni che spingono molti ad optare, ma non ci si può
arrestare solo a tali considerazioni perché, come afferma Zani:” Il processo decisionale è lungo e
complesso: a volte coloro che compiono una scelta opposta sono visti con disprezzo, altre come
compagni accomunati dallo stesso destino”8. La decisione e la fermezza con le quali Porro rifiutò la
collaborazione con i Tedeschi e accettò la prigionia derivarono, non solo dal suo altissimo senso del
dovere militare ma soprattutto dall’esempio del padre, il quale fu, anche egli, prigioniero dei
Tedeschi a Codroipo nel 1917. Seguendo tale ispirazione, Porro ritenne necessario vivere la
prigionia di modo da rappresentare degnamente il suo grado di Generale, attraverso azioni e
comportamenti che lo ponessero come una guida e un esempio di solidarietà verso i giovani soldati
nel suo campo di internamento. Egli espresse tutto il suo disappunto, guardando quei Generali che
dimostravano tutto il loro egoismo non condividendo il cibo ricevuto dall’arrivo dei pacchi con chi,
invece, aveva finito le proprie scorte. Ancora altri episodi di meschinità, egoismo e vigliaccheria
delle Autorità militari italiane internate amareggiarono Porro, tanto che sul suo diario scrisse: “La
nostra generazione è andata man mano traviandosi, ha abbandonato la via diritta e pulita e non è
più degna delle sue origini e di forgiare i nuovi destini della Patria”9. Il momento più significativo
in cui Porro ribadì ancora una volta il suo “no” ai Tedeschi e in cui, senza paura, espresse la sua
opinione riguardo la loro condotta nei confronti dell’Esercito Italiano, è rappresentato
dall’interrogatorio a cui venne sottoposto il 27 settembre 1943. In tale circostanza, gli vennero
chieste spiegazioni sui diversi tipi di ordini che diede ai propri soldati contro l’esercito tedesco
come: non cedere alle loro intimazioni di resa, non consegnare loro il denaro degli enti
dell’Aeronautica, oppure quello ai reparti di volo di non fermarsi a Modena ma proseguire fino alla
Puglia per non essere bloccati dall’offensiva nemica. In seguito alla lettura di tali capi d’accusa, il
Colonnello tedesco lo incalzò affermando: “Come spiega Lei che è un Comandante di grado elevato
questo tradimento che non ha precedenti nella storia?” e Porro lo mise a tacere ribattendo: “È vero
che noi vi abbiamo tradito, ma da quanto tempo ci tradivate voi?”10. Quest’ultima battuta mandò su
tutte le furie il Colonnello tedesco, il quale cercò di controbattere, in maniera inconsistente, alle
argomentazioni sostenute da Porro. La reazione dell’Autorità militare tedesca esplicitò un
sentimento diffuso tra i vertici militari che provavano disprezzo per i traditori italiani, ai quali
7F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.6 8 L. Zani, Le ragioni del no, 2009, p. 1-9 9F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.81 10F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.11
dovevano far pagare questo affronto. Gli Italiani subirono la vendetta dei Tedeschi, in primo luogo
al momento del disarmo che avvenne all’insegna della menzogna poiché si otteneva la cessione
delle armi in cambio della promessa del rimpatrio. In secondo luogo, anche se ciò non può essere
generalizzabile, attraverso le condizioni di internamento che furono così aspre tanto da essere
ritenute migliori solo rispetto a quelle dei prigionieri russi. Porro, tra le pagine del suo diario,
riportò le parole dell’Ecc. Gloria, grazie alle quali rimarcò che il suo “no”, ossia la scelta della
prigionia, sia stato un atto di volontà che sopporta, al momento della cattura, l’accettazione della
volontà nemica, la quale distrusse la sua individualità riducendolo ad un numero. Il “no” di Porro fu
quello di un Generale che credeva nell’esercito e nel giuramento al Re e che, seppur soffrendo
l’inattività a cui l’internamento lo aveva condannato, portò fino in fondo la sua scelta con la
speranza che il suo gesto, come quello di molti altri, un giorno non lontano avrebbe portato alla
ricostruzione della amata Patria Italia.
2. Il viaggio
2.1 La partenza
Diversamente dai suoi colleghi ufficiali e dai soldati, il generale Porro non venne subito mandato in
Germania. A causa dei danneggiamenti da lui provocati agli impianti aerei e gli addetti che lui
stesso aiutò a fuggire, i tedeschi lo tennero in Italia per sfruttare le sue competenze nel campo
dell’aviazione. Quindi trascorse i primi sedici giorni (dal 12 settembre al 28 settembre) di prigionia
a Vicenza in una stanzetta della palazzina sottoufficiali e poi a Padova presso la famiglia Danieli.
Ciò malgrado, la sensazione di poter essere mandato a momenti in Germania lo accompagnava
costantemente:
“Potrei da un momento all’altro essere mandato in Germania o chissà dove.”11
Il 6 ottobre gli venne comunicata la partenza immediata ma la destinazione non era ancora la
Germania, infatti, dopo qualche ora venne riportato a Vicenza nella stessa palazzina sottoufficiali e
solo il 9 novembre venne fatto effettivamente partire ma la destinazione rimase ignota fino
all’arrivo. Lui e il suo attendente vennero sistemati nello scomparto riservato di un vagone di
2aclasse di un lungo treno merci e il vagone era senza servizi igienici. La mattina dell’undici arrivò
a Moosburg in un grande campo di concentramento di prigionieri di tutte le nazionalità dove gli
venne assegnata una baracca, con un letto biposto in legno e il giorno dopo riuscì a farsi una doccia
calda. Il 14 novembre ripartì da Moosburg, ancora una volta viaggiò in scomparto riservato, e alle
18.00 arrivò a Posen. Dopo un mese e mezzo in cui il generale non scrisse nulla sul suo diario, la
notte di Natale lo troviamo a Schokken in una cameretta dove, passato un anno di prigionia, scrive:
“Un anno intero è passato, giorno per giorno, triste e doloroso.”12.
2.2 La lunga marcia verso la libertà
Il 20 gennaio venne comunicato l’ordine di abbandonare il campo nella notte, a causa dell’avanzata
dei russi e, malgrado la richiesta di rimanere lì, l’ordine fu di portarli via con qualunque mezzo,
anche con la forza. Così avuto il permesso di portare con sé un piccolo bagaglio a mano “inizia la
marcia notturna nel freddo, verso l’ignoto, il rischio di guerra. Andiamo verso la morte o verso il
ritorno?”13
La marcia fu sfiancante, il generale stesso la definì “penosa” e fu grato a se stesso per essersi
mantenuto in movimento durante la prigionia:
11F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.13 12F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.65 13F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.82
“Dopo 18 mesi di prigionia, di denutrizione, di mancanza d’allenamento, marciare carichi per ore ed ore è uno strazio
[…] benedico di aver fatto sempre le mie giornaliere passeggiate veloci nel cortile.”14
Fecero tappa a Henkelshofen in una fattoria, a Rogasen in un seminario, a Ludaw in un campo di
lavoratori abbandonato, a Milingen in una stalla di vacche, a Tirchenau nella casa di un giudice
distrettuale, a Roskan dove molti polacchi insistettero perché si fermassero con loro, a Selhow nel
teatrino del paese, a Wolgastun villaggio abbandonato e Wugarten dove l’ottavo giorno di marcia
scrisse:
“Io ho sempre camminato, mai fatto un po’ di riposo sul carro, tenuto duro con energia fisica e morale, ma questa
sera, agli ultimi chilometri, avevo la sensazione di svenire da un momento all’altro e son riuscito, a forza di volontà e
di nervi, ad arrivare alla meta. Il fatto di essere il più anziano dopo il Fiduciario, il quale è stato sempre sul carro, mi
ha dato la forza di essere di esempio anche in questa circostanza.”15
La marcia fu terribile, man mano che i giorni passavano “aumentano i segni della ritirata e le scene
pietose”16 ma comunque “l’ordine è di proseguire ad ogni costo”17. Oltre alla stanchezza ciò che
rese così dura la marcia fu il freddo, infatti, il 28 gennaio Porro scrisse: “mi son legato la paglia
sulle scarpe per proteggere la parte superiore di esse dalla neve e dal bagnarsi”18
Il 29 gennaio erano ancora a Wugarten quando il Cap. Maz e i suoi militari fuggirono e Porro
insieme agli altri prigionieri furono finalmente liberi. I tedeschi battono in ritirata: arrivano i russi e
con loro un momento di tregua.
“Dopo otto giorni di marcia forzata, avendo fatto 165 km, dopo tanto gelo, privazioni, stenti, fatiche, sembra un sogno
dormire in una camera riscaldata, potermi lavare un po’ bene la faccia, mani, ecc. e specie le estremità inferiori che
tanto bene han lavorato in questi giorni. Sento ora la stanchezza.”19
Ci vollero comunque mesi prima di rimettersi in cammino verso casa. Per vari motivi (la
precedenza che gli alleati diedero ai loro prigionieri, la situazione delle comunicazioni nel nord
Italia, altre difficoltà logistiche ecc.) la liberazione non significò infatti un rapido ritorno in patria e
mediamente passarono dai quattro ai cinque mesi prima che gli ex internati potessero tornare alle
proprie case20. Era il 25 marzo quando il generale e i suoi compagni vennero caricati su cinque
autocarri fino a Fridenberg dove salirono su un treno merci. Si trattò di un “viaggio lento con soste
interminabili”: Posen, Ostrowo, Lodz, Radom e Vistola per arrivare, il primo aprile, a Lublino dove
14F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.82-83 15F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.87 16F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.84 17F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.86 18ibidem 19ibidem 20Cfr S. Frontera, Il ritorno dei militari italiani internati in Germania (1945-1946), Franco Angeli, Mondo
Contemporaneo, Milano, 2009.
rimase per ventuno giorni. Venne sistemato in un piccolo sgabuzzino e una casa di ufficiali
polacchi, vicina al suo accantonamento, lo ospitò per mangiare. Il 22 aprile lasciò la Polonia e dopo
cinque giorni di viaggio arrivò in Ucraina in un villaggio a 5 km da Ljubotin. Sul viaggio Porro
scrisse: “continua a piovere e piove anche nel nostro vagone. Siamo molti, con i finestrini fissi,
caldo, fetore, aria irrespirabile.”21
2.3 Il ritorno
Dopo otto mesi dalla liberazione, il 14 settembre arriva la “gioia del ritorno”22.
“I vagoni non sono come ci aspettavamo e perciò intasamenti, proteste, ecc. Il primo passo è fatto:
siamo tutti in treno.”23
Si trattò di momenti memorabili in cui l’entusiasmo del generale arrivo a scandire le ore ed i minuti.
Infatti sappiamo che la partenza da Ljubotin fu esattamente il 15 settembre alle 17,10 e che il 5
ottobre alle 8,30 il generale e i suoi compagni varcarono il confine italiano e misero la bandiera
italiana alla porta del vagone: “dopo due anni e un mese di nuovo in Patria”24.
Da Pontebba, proseguì fino ad Udine in autocarro e l’indomani probabilmente raggiungerà Padova
in una balilla. La felicità di Porro si legge in queste parole:
“Sono stato in piedi nell’autocarro aperto avanti a empirmi gli occhi di vedute italiche. La commozione stringe la
gola”25
21F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.109 22F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.144 23F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.144 24F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.157 25F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.157
3. La vita nel campo
“Circa mezzo milione di ex militari italiani lavora per la Germania anche nell’industria bellica; le
loro condizioni di lavoro e di vita migliorano complessivamente per la maggiore libertà di
movimento e per il vitto ma non per il vestiario”26.
Il fattore più negativo era per gli Imi l’alimentazione, che era del tutto insufficiente, condizionata al
rendimento sul lavoro con non solo la riduzione punitivamente delle razioni ma anche estesa
all’intero gruppo di lavoro in caso di scarsa disponibilità di un singolo membro del gruppo; da ciò si
innescava il circolo vizioso della denutrizione, rendimento ridotto e punizione. Inoltre il ritorno
dopo il lavoro era in alloggi fatiscenti con defatiganti appelli e perquisizioni27.
3.1 Alloggi
Il campo di concentramento di Schokken era situato in un ex riformatorio ed era formato da quattro
fabbricati delimitanti il cortile dove si svolgevano le passeggiate degli Imi. Negli alloggi le
camerate avevano cassoni di legno adibite a letto. I generali e ufficiali superiori erano in piccole
camerate, i generali d’armata ed i più anziani di corpo di armata invece erano in camerette da soli.
Inizialmente il generale Felice Porro venne assegnato ad una camerata:
“Il mio letto è presso una finestra e vi ho creato una cameretta isolata dagli altri: una parte è fatta con gli armadi,
l’altra con un telo da tenda ed una coperta. Ho un tavolino sotto la finestra. Sul letto ho sistemato una tavola ad
etagere. Vi ho messo su i libri e le foto dei miei cari. Così, i mezzi rudimentali e il luogo rozzo, ho creato un angolo di
intimità personale e familiare”28.
Dopo questo primo periodo gli venne assegnata una cameretta singola; il vantaggio era di soffrire
meno freddo.
“La superficie del mio regno misura metri due per quattro; e in queste modeste dimensioni trovano posto: 1 stufa, 1
lettino in ferro, 1 armadio, 1 tavolo, 1 lavabo. Il tavolo è sotto la finestra in piena luce. Esso è, volta a volta, biblioteca,
scrittoio, tavola di mensa. Innanzi a me, sul tavolo, sono tutte le fotografie nei loro portaritratti”29.
“In un angolo fra muro e tavolo, c’è un ramo di pino: il mio alberetto di natale.”30
26L. Zani, Il vuoto della memoria: i militari italiani internati in Germania, Rubettino, Catanzaro, Seconda guerra mondiale e la sua memoria (Le ragioni degli storici), 2006, p. 1-25
27G. Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania, 1943-1945, Il Mulino, Bologna, 2004 28F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.40 29F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.34 30ibidem
3.2 Cibo
Il cibo era certamente scarso nel campo di Schokken. L’alimento che prevalentemente si mangiava
era la patata insieme alle minestre di verdura, che avevano effetti diuretici ed erano poco nutrienti.
Queste erano a base di rape, carote e ceci; e le patate rappresentavano l’unico piatto solido. La
prima colazione per il generale Porro dovrebbe consistere in una tazza di tiglio, a cui spesso
rinuncia per una tazza di caffè o di cacao quando possibile31. Le patate si mangiavano in tutti i
modi, in genere si mettevano sulla stufa e si lasciavano arrostire; anche la buccia si mangiava con il
sale o con un po’ di zucchero. Gli avanzi di patate venivano messe anche nella minestra ed anche le
bucce tagliate fine e seccate nella stufa venivano a volte per necessità utilizzate nella minestra.
Altro alimento utilizzato era la margarina e le razioni di cibo con il tempo diminuirono32.
“L’anno scorso avevamo 900 gr. giornalieri di patate. Ora 300. La minestra del mattino è acqua calda con rape da
foraggio, quelle legnose, che in Italia si danno al bestiame.”33
Importante per l’alimentazione era l’arrivo dei pacchi inviati dai parenti degli IMI. I moduli per i
pacchi potevano essere inviati due volte al mese.
“Con l’inizio dell’arrivo dei pacchi, aumentano i generi vari, i condimenti e quindi le possibilità culinarie dei vari
prigionieri. Questa attività risolve tre problemi: quello del magiare un po’ variato e di più, quello dello scaldarsi e
quello di occuparsi. I libri disponibili sono pochi: mancando il cibo per l’intelletto, tutti si dedicano al cibo del
ventre.”34
In alcune camerate veniva messo in comune quanto si trovava nei pacchi di ognuno e veniva
consegnato ad un cambusiere, che preparava il menù giornaliero e ne distribuiva ogni giorno un po’
per far durare il più a lungo possibile le riserve di cibo in caso di mancato arrivo dei pacchi.
“Io mi sono specializzato a farmi risottini e paste asciutte condite con margarina e formaggio. Sempre esatte di cottura
e con un buon saporino di sugo di carne dato dai dadi Maggi.”35
Vi era qualcuno che avendo una famiglia in modeste condizioni finanziarie non riceveva dei pacchi;
perciò secondo Porro sarebbe stato utile un ufficio assistenza per dare il superfluo a chi non ha
nulla. Infatti qualcuno era così egoista da far marcire i viveri ricevuti da casa senza concederne a chi
non aveva nulla; altri invece nascondevano i loro viveri ai compagni e mangiavano quelli degli altri.
31Cfr. F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945 32 ibidem 33F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.73 34F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.35 35F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.46
“Avendo distribuito un po’ troppo generosamente quando ricevetti i pacchi, ora sono ridotto alla fine. Non ho che tre
scatolette. Vi sono certi che ne hanno oltre 70!! E non ne danno una a chi è senza. Qui ho visto a quali estensioni
arriva l’egoismo umano nei vecchi.”36
Gli oggetti contenuti nei pacchi erano spesso oggetto di scambio tra gli Imi per ottenere dei viveri.
A volte il pacco era motivo di dolore per il prigioniero, infatti capitava che pochi giorni dopo
l’arrivo di un pacco spedito dalla madre di uno degli Imi si veniva a conoscenza della morte della
stessa.
3.3 Clima
L’inverno in Polonia era freddo, con basse temperature e neve. Il clima era nordico e per gli italiani
abituati a temperature moderate ciò creò difficoltà. Il sole era tiepido e la luce era “scialba”. La
natura era caratterizzata da un letargo che durava da ottobre ad aprile ed anche la ripresa
primaverile era molto lenta. Anche a maggio in Polonia faceva freddo, c’era umido e a volte anche
vento forte. Sarà la situazione geografica della Polonia ricca di boschi la causa di un clima tanto
nordico, anche l’estate era un autunno. Indipendentemente da ciò, l’inverno del 1944 non fu così
rigido, la temperatura rigida e la neve iniziarono quando in Italia era già primavera.
“L’inverno è eccezionalmente bello. Abbiamo oggi 8 gradi sotto zero ma c’è il sole e calma di vento e non si sente
perciò molto freddo.”37
Il clima così poco favorevole e così poco adatto agli italiani rendeva la terra di Germania ed il
campo di concentramento ancora più triste. Purtroppo l’autunno del 1944 introdusse un inverno
precoce e molto rigido.
“Penso ai vecchi, alle donne, ai bimbi, ai malati sfollati per i bombardamenti che soffriranno il freddo.”38
3.4 Vestiario
I vestiti erano essenziali e la maggior parte eccetto le uniformi erano inviati nei pacchi. Molti
diventavano sempre più trasandati e trascurati, tanto che anche i comandanti di alto grado
sembravano soldati prigionieri negli indumenti dati dal Comando appartenenti un po’ a tutti gli
eserciti.
Importante erano per gli Imi le scarpe, soprattutto per gli italiani abituati a camminare raramente
nella neve. Erano necessari scarponi da montagna assai caldi.
36F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.55 37F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.37 38F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.71
“Purtroppo, non conoscendo la serie delle scarpe da montagna mie e di Alberto, mi è stato mandato un paio di
scarponi da sci di Alberto di qualche anno fa; non posso perciò indossarle con i calzettoni di lana grossa.
Prosaicamente ho cancellato dalla lettera pronta per Mina l’elenco dei libri letti in questi ultimi tempi e l’ho sostituito
con la richiesta di un altro paio di scarpe. Questo mi servirà per fare uno scambio e ottenere dei viveri.”39
“Mi son legato la paglia sulle scarpe per proteggere la parte superiore di esse dalla neve e dal bagnarsi.”40
Il generale Porro riceveva diversi pacchi da casa che gli consentivano di distribuire camicie,
mutande e calze a chi non ne aveva o di scambiare indumenti con risorse di viveri.
3.5 Igiene
Nel campo il bagno era previsto una volta alla settimana, la pulizia della camerata era mantenuta dai
prigionieri sia pur con difficoltà a causa dei pochi utensili disponibili per eseguire lavori di igiene.
Non sempre vi era l’acqua calda e ciò per i prigionieri non abituati ad un clima così rigido creava
difficoltà tali da causare con il tempo problemi di salute. Ogni giorno era prevista la pulizia della
camera.
“Ogni giorno c’è qualche lavoro nuovo da fare. Un giorno pulire i vetri; un altro stuccare con carta e terra creta tutte
le fessure della porta e della finestra, dalle quali entrava allegramente aria fredda. Due volte la settimana c’è da
lavare, cosa poco piacevole in questa stagione.”41
Il bagno previsto per il generale era sostituito per i soldati semplici dalla doccia comune.
“La caldaia del bagno doccia è guasta da 22 giorni. Da tre settimane non abbiamo più la gioia e piacere di lavarci con
l’acqua calda. Speriamo si decidano a riparare. Sentivo già il disagio di un solo bagno settimanale, ora esserne privo è
cosa noiosa assai.”42
La situazione igienica peggiorò nel 1945 in seguito alla prigionia degli ufficiali americani.
“…la nuova sistemazione ha messo i generali l’uno addosso all’altro, come le bestie nelle stalle; peggio, perché a
queste si cambia la paglia. Noi abbiamo i pagliericci con i truccioli di legno che avevano i norvegesi prima di noi.”43
3.6 Salute
La salute degli IMI risentiva fortemente della fatiscenza delle sistemazioni abitative, del freddo e
della denutrizione. Questa causava l’indebolimento dei prigionieri che a sua volta favoriva il
diffondersi di epidemie. Il vitto scarso migliorava per l’arrivo, come precedentemente detto, dei
pacchi inviati dalle famiglie, infatti mentre i prigionieri delle altre nazioni ricevevano anche i pacchi
39F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.36-37 40F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.86 41F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.34 42F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.69 43F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.81
dalle Croci Rosse, ciò non avveniva da parte della Croce Rossa italiana. Aumentarono i deperimenti
per l’insufficienza di vitamine, di grassi e di calorie. Gli internati invecchiarono rapidamente, le
loro fisionomie manifestavano le tracce degli anni, della sfiducia, della stanchezza; gli sguardi non
avevano più vivacità e erano atoni e fissi; la loro prestanza militare veniva meno ogni giorno di più,
molti si incurvarono e sembravano camminare come se avessero un peso sulle spalle.
“A me, oltre alla barba assai bianca, alle borse agli occhi, al mal di reni continuo, c’è un peggioramento della vista e
della memoria.”44
“Sono mille e trecento calorie giornaliere che introduciamo nel corpo quando, stando a riposo, ne occorrono 1900
minime e per lavorare 4000. Ecco perché si sente di più il freddo”.45
"Lo stato della salute è reso poco sicuro anche a causa degli incidenti sul lavoro soprattutto nelle
miniere, data la scarsa sicurezza e tutela del lavoro e la precaria assistenza medica”46. L’inverno
precoce al termine del 1944, quello che in Italia era il periodo autunnale, favorisce il diffondersi nel
campo dell’influenza; fu difficile per alcuni superare il secondo inverno di prigionia e denutrizione,
infatti al termine della prigionia molti saranno gli italiani morti per tubercolosi e broncopolmonite
soprattutto tra i giovani.
44F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.56 45F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.67 46G. Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania, 1943-1945, 2004, p. 5
4. Le relazioni e le voci di sottofondo
Quando si parla di prigionia non si può non affrontare il tema dei rapporti umani che gli internati
hanno avuto con la propria famiglia, con i compagni detenuti, con i nemici tedeschi, con gli alleati,
così come non possono essere trascurate le cosiddette “voci di sottofondo” che si diffondevano
all’interno dei campi e che contribuivano a creare false illusioni, alle quali aggrapparsi per resistere
a quell’ambiente così ostile. Le relazioni che il Generale Felice Porro ha avuto nella sua esperienza
di internato militare italiano (IMI), non possono prescindere dal contesto fisico e storico in cui sono
avvenute. Per tale ragione è utile operare una suddivisione a scopo prettamente analitico, sia per
quanto concerne i soggetti con i quali ha avuto o instaurato relazioni, sia per quel che riguarda il
contesto in cui tali interazioni sono avvenute.
4.1 Rapporti con casa prima e durante la prigionia
Dopo l’8 settembre, quando ancora non era stato internato, Porro si trovava a Pavia, gli incontri con
i membri della sua famiglia erano assidui e, quando non c’era la possibilità di un’interazione faccia
a faccia, il Generale aveva la possibilità di spedire e ricevere posta. Quando né l’una né l’altra
modalità di comunicazione era possibile, si serviva di intermediari come contadini del luogo, amici,
donne di servizio o mogli di altri Generali che avevano modo di avvisare i suoi cari o riferire a
Porro stesso notizie in merito a questi ultimi. Anche durante la prigionia, Porro continuava a
ricevere notizie dalla sua famiglia: dalla madre e la sorella Giulia che con un vezzeggiativo
chiamava “Lulla”, dalla moglie Mina e dai due figli Matè e il tanto nominato primogenito maschio
Alberto, per il quale andavano la maggior parte delle preoccupazioni, in quanto anche lui come il
padre, aveva intrapreso la carriera militare, senza però lasciare gli studi all’università. Nonostante la
possibilità di ricevere e spedire posta, spesso accadeva che le lettere arrivassero, molto tempo dopo
essere state spedite. In queste parole del Generale si può comprendere il suo stato d’animo per
l’intermittenza delle notizie che riceveva da casa:
“E’ tale e tanta l’attività esasperata dell’attendere che a volte ci si ritrova in attesa di un pensiero, di un ricordo, di
un’idea che vengano a noi per farci compagnia e ci aiutino ad attendere la fine con serenità, equilibrio e forza
d’animo.” 47
Se nella fase immediatamente successiva all’Armistizio e antecedente alla prigionia, il Generale
Porro aveva la possibilità di incontrare i membri della sua famiglia, nella fase della prigionia l’unico
47F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.40
modo che aveva per comunicare con i suoi cari era ridotto alla posta. Le lettere, per lui
fondamentali, rappresentavano un filo che gli permetteva un collegamento con la sua famiglia, la
quale era un pensiero costante in tutte le sue giornate.
4.2 Rapporti con i tedeschi prima e durante la prigionia
I rapporti tra Porro e i tedeschi, sia prima che durante l’internamento sono stati essenzialmente
buoni. Durante la prigionia le richieste che Porro faceva venivano sempre accolte e soddisfatte dal
Capitano tedesco che gli aveva assegnato un attendente, ovvero un individuo incaricato ad assisterlo
per qualsiasi necessità, come spedire lettere o compare libri.
4.3 Rapporti con altri detenuti prima e durante la prigionia
Per quanto concerne i rapporti che il Generale Porro ha avuto con i suoi colleghi internati, si può
dire la maggior parte delle relazioni sono state con Ufficiali e Generali di diverse armi, ma della sua
stessa nazionalità. Il cameratismo, il senso del dovere e l’estrema generosità del Generale lo hanno
portato, in più occasioni, ad apprezzare determinati comportamenti ma a disprezzarne altri. In
contesti sensibilmente difficili come quello della detenzione in un campo era possibile riscontrare
atti egoistici da parte di molti, soprattutto se a causa del mancato arrivo di pacchi ci si trovava in
mancanza di viveri o altri oggetti per poter condurre un’esistenza minimamente accettabile. Porro
apprezzava i giovani soldati, animati dalla loro spensieratezza, dallo spirito di cameratismo e di
generosità, mentre secondo lui i più anziani, salvo pochi, non vedevano che se stessi, la propria
famiglia e i propri oggetti e viveri48.
“Quante cose si comprendono e si spiegano, vivendo a contatto con questa gente che avrebbero dovuto brillare per
qualità di comandanti e di educatori! Dal piccolo furto, al litigio meschino, all’invidiuzza, alla maldicenza, alla
incertezza, alla scarsa educazione, è tutta una serie di qualità negative e basse, che si rilevano giorno per giorno e che
addolorano ed indignano.”49
“E’ commovente vedere come la gente modesta che ha poco dà molto, mentre certi che ricevono molto non danno una
briciola. Quanto sono migliori gli umili ed i giovani!”50
Nello specifico, quando parla di “vecchi” si riferisce ai Generali delle altre armi, le sue parole sono
oltremodo esplicite:
48 Cfr. F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945 49F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.44bis 50F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.36
“Invece taluni dovrebbero chiamarsi particolari e non generali, perché non vedono che il proprioio meschino, le
proprie cosucce. Conoscendo molti qua, quante cose si spiegano. Ed io che ho sempre rilevato e colpito i difetti e le
manchevolezze nei miei inferiori in aereonautica, vedo che essi sono ben piccola cosa. Più conosco questi vecchi e più
apprezzo i giovani, più conosco questi Generali e più apprezzo la mia Arma.”51
All’interno del campo, inoltre, non mancavano piccoli dissidi tra colleghi, i quali lo accusavano di
compiere atti di generosità esclusivamente per crearsi popolarità. Porro sosteneva che i
comportamenti di alcuni detenuti erano l’espressione di una “miseria spirituale”, appurando che
spesso alcuni individui nascondevano il proprio cibo per mangiare quello degli altri, oppure vi era
chi, invece di donare una camicia a chi era stato derubato dei vestiti, cercava di barattarla con delle
sigarette, o addirittura c’era chi preferiva lasciar marcire ciò che aveva, piuttosto che darlo ad un
compagno di camerata52.
Oltre alle critiche fatte e ricevute, oltre alle discussioni tra colleghi, non possono non essere
evidenziate anche le relazioni in chiave positiva:
“Ora comprendo il valore della compagnia di amici in prigionia, comprendo quali indissolubili legami affettivi si
debbano stabilire fra i compagni della triste sorte, quale sia il conforto reciproco, la distrazione delle parole
pronunciate o sentite che portano nella mente pensieri, idee, ricordi, speranze.”53
Non mancavano i momenti di generosità sia da parte di Porro, che in più occasioni, una volta
ricevuti i pacchi, ha offerto a chi stava peggio di lui per salute o mancanza di pacchi, sia dai suoi
compagni che in situazioni di mancanza di viveri, lo hanno aiutato offrendogli una colazione, un
pranzo o anche delle semplici caramelle. Anche in ricorrenze speciali come compleanni, Natale,
Pasqua, oltre allo scambio degli auguri con confidenza e fiducia, gli internati organizzavano pranzi
o cene alle quali ognuno dava il proprio contributo. Il loro obiettivo era quello di stare tutti insieme
cercando di non pensare al terribile contesto in cui si trovavano:
“Nella prigionia, la compagnia quotidiana, quando c’è l’affinità di gusti e di educazione, sfocia in amicizia, in
confidenza, in cameratismo.”54
Tra i compagni di prigionia, inoltre, era possibile incontrare sia sconosciuti, sia persone che non si
vedevano da anni, sia conoscenti che buoni amici:
51F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.49 52Cfr. F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945 53F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.22 54F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.38
“Per persone di età abituate, alla propria casa ed alla propria intimità, per chi ha maggior pudore e riservatezza, la
promiscuità della camerata è una sofferenza per la maggior parte del tempo. Vivere assieme giorno e notte. Durante le
ore del sonno il russare dei compagni che sveglia e non permette di riaddormentarsi, di giorno i pasti e tutte le
occupazioni in comune. Molte camerate hanno la loro cambusa; tutti i viveri in comune e vivono come una famiglia. Vi
sono poi le comunità di parentela, quelle di amicizia preesistente o formatasi nel lager, quelle di arma, quelle di
corregionalità, quelle della religione praticante, costituita quest'ultima dai fedeli d'ogni giorno al rosario e alla
messa.”55
Oltre ai detenuti italiani, Porro, ebbe modo di interagire anche con ufficiali americani anch’essi
detenuti. La prima cosa che il Generale notò, fu la differenza con gli Italiani. Gli Americani, oltre
ad essere vestiti meglio, si imponevano ai tedeschi, i quali si prodigavano per aiutarli. Tramite un
suo collega che parlava inglese, Porro fece ricercare gli aviatori a due dei quali regalò del pane, in
quanto erano affamati e in cattive condizioni. Con i viveri di tutta la camerata, inoltre, venne fatta
una minestra calda per tutti. In seguito dopo averli invitati nelle varie camerate notò che fra questi
c’erano molti figli di italiani. Ancora una volta, anche nel caso dei colleghi americani, emerse la
passione che Porro aveva per i giovani, molto probabilmente legata al fatto che i ragazzi gli
ricordavano suo figlio Alberto.
4.4 Voci di sottofondo durante la prigionia
“Si alimenta la curiosità e gli argomenti di conversazione con qualsiasi notizia che rimbalza e gira travisata,
deformata, ingrandita. Siamo tante farfalle attorno ad una luce, ci si agita per un niente, si parla a vuoto, si cerca
convincere se stessi e gli altri sulla verità di cose che sono a volte solo nella nostra speranza. Si vive di una voce e per
una voce. Si ha l’arsura delle notizie della Patria, della famiglia, di tutte le persone care. Si indovinano le ferite, le
sofferenze, le ansie di tanti italiani e dell’Italia e si soffre di essere assenti, lontani, inutili.”56
La situazione che il Generale Porro definisce “speciale”, attribuendo a tale aggettivo una
connotazione chiaramente negativa, e lo stato d’animo di tutti gli internati, portavano a travisare
quelle che spesso erano solo illusioni, speranze, paure. Tali “voci di sottofondo” passando da un
compagno all’altro, si diffondevano in tutto il campo e producevano conclusioni poco veritiere. Più
che reali notizie, circolavano informazioni che erano frutto dell’immaginazione di un singolo, ma
che in una situazione drammatica come quella della prigionia, spesso rappresentavo l’unica cosa a
cui appigliarsi, come una speranza, una notizia da rincorrere per poter sopportare la triste realtà in
cui gli internati erano immersi.
55F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.76 56F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.65
“[…] Ogni notizia diventa elastica come un nastro di gomma tirato al limite dell’elasticità ed oltre dai tiranti dei
desideri e delle speranze personali, ed ogni voce non ha il suo tono ma riceve il timbro della parola che la riporta, dove
l'accento è tutto personale e soggettivo e dove il suono non riproduce la nota della realtà che è ma l’eco della realtà
che si vorrebbe fosse.”57
Le voci di sottofondo, in tal modo, tendevano a raccogliere ipotesi contrastanti, come scrive Porro
stesso, avveniva una fusione di visioni ottimistiche e pessimistiche:
“Le supposizioni più varie e discordanti, i timori dei pessimisti e l’euforia degli ottimisti entrano in tutti i discorsi.” 58
4.5 Rapporti con i Russi dopo la prigionia
“Un Generale diceva a Geloso che ormai noi siamo alleati ed infatti così ci considerano. Le manifestazioni di simpatia
sono continue. Molte di più verso di noi che verso gli Americani.”59
Quanto riportato, chiarifica il rapporto che c’era tra Porro e i Russi, personaggi che entrarono nella
vita del Generale in veste di alleati nella fase successiva alla prigionia. Nonostante Porro non avesse
un’ottima considerazione dei Russi, in quanto li considerava un popolo arretrato, soprattutto in
relazione all’eccessivo uso della violenza, il rapporto tra soldati italiani e russi era sostanzialmente
positivo. Oltre ai reciproci gesti di simpatia, non sono mancati gesti di empatia sia da parte degli
Italiani -che a seguito della morte di un sottoufficiale Russo hanno mostrato la loro vicinanza
vestendo, coprendo di fiori e vegliando sulla salma per un’intera nottata- sia da parte dei soldati
Russi che accettarono il messaggio radio preparato per l’ambasciata italiana a Mosca per dare le
notizie alle famiglie, oltre a fornire gli italiani stessi di giornali e sigarette. Il contatto con generali e
capitani Russi si rilevò per Porro molto fruttuoso a livello delle informazioni che ottenne. Tramite
queste figure, infatti, da un lato riuscì a ricevere piccole informazioni legate ad esempio
all’indirizzo di un dentista e di una lavandaia, che dopo le tante privazioni in prigionia erano
diventate due esigenze di non poco conto, dall’altro, tramite il capitano Russo Scevliaghin, riuscì ad
avere notizie sull’Italia del sud soprattutto relative alle difficili condizioni, alle malattie, alla
prostituzione, ovvero tutti i problemi che avevano investito quella zona. Inoltre, espressione
dell’apprezzamento verso la sua arma di appartenenza - che andava oltre i confini fisici e culturali
ed espressione del suo animo curioso - fu la richiesta da parte del generale Porro al Generale
57F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.46 58F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.57 59F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.95
Comandante delle truppe della regione di Charcow di poter trascorrere qualche ora presso i
compagni aviatori Russi dell’aeroporto di Charcow, in quanto voleva conoscere l’ambiente
aviatorio russo ed era speranzoso di fare un volo.
4.6 Rapporti con i tedeschi dopo la prigionia
Sia prima che durante la prigionia Porro, aveva dei rapporti essenzialmente di non contrasto
esplicito con i tedeschi, legati al fatto che per i Generali era previsto un trattamento migliore,
rispetto ad esempio ai soldati semplici, che invece subivano trattamenti peggiori. Nella fase della
liberazione, invece, il generale provava sostanzialmente pena per i nemici, evidenziando le
differenze di atteggiamento con i Russi, che al contrario attuavano comportamenti vendicativi e
violenti verso i tedeschi.
“I tedeschi hanno ora il trattamento che han fatto loro a tutti i popoli di Europa; ma noi italiani, sentimentaloni, non
siamo capaci di gioire a questo spettacolo e proviamo un senso di pena.”60
4.7 Rapporti con i compagni dopo la prigionia
Anche per quanto concerne la fase successiva alla prigionia, il rapporto che Porro aveva con i suoi
colleghi, soprattutto Italiani, si divideva in critiche orientate ai generali accusati di furti e
comportamenti di amicizia come atti di generosità, scrittura di poesie destinate ai compagni,
dediche, gesti di affetto e di premura, scherzi e risate. Tra le poesie dedicate e ricevute possono
essere menzionate l’orazione dei fanti che il Generale ha dedicato ad un suo amico fante e a Giglio
(suo compagno nell’aviazione d’artiglieria nei primi mesi della guerra), il quale aveva reagito
scoppiando a piangere e abbracciandolo, oppure la poesia in prosa, due disegni e le firme di tutti i
compagni di fabbricato che Porro aveva ricevuto dagli stessi, con parole affettuose e di
riconoscenza per quanto lui aveva fatto per loro. Tra tutti i compagni, però, ce n’era uno che Porro
apprezzava in particolare e che lo ha accompagnato fino alla fase conclusiva della sua terribile
esperienza di internato. Si tratta del Sergente Maggiore Mangora, il quale in più occasioni aveva
mostrato gesti di premura per il Generale, come accudirlo durante un’influenza, oppure offrirgli del
cibo nei momenti in cui, durante la prigionia, se ne subiva la mancanza. Le parole di Porro riguardo
il suo collega sono esplicite:
60F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.145
“E’ la persona a cui voglio più bene. E’ la mia compagnia preferita. Me lo ritrovo vicino e simile moralmente e sto
molto più volentieri con lui che con i miei colleghi che sento tanto e tanto lontani da me.”61
61F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.155
5. Tempo, Fede e Morte
Passiamo ora all’analisi della variabile tempo in molte delle sue forme, accezioni e conseguenze
possibili. Partirò dalla sua percezione e concezione in un contesto di questo tipo, all’organizzazione
e scansione “materiale” del tempo, passando per i modi per trascorrerlo, fino ad giungere al
rapporto tra questi, la fede e la morte.
5.1 Percezione temporale. Il tempo perso
Quello di cui ci stiamo occupando è un tempo soggettivo che pian piano prende le distanze da
quello indicato dalle pagine strappate dal calendario ed ancor più da quello indicato dalle lancette
dell’orologio. La prigionia è un mondo che prende le distanze dal mondo, tutto avveniva con noiosa
ed opprimente ripetitività, fino a far mancare il fiato. “Le giornate si succedono uguali identiche
l’una all’altra; sono una collana di brutte perle nere che soffoca il collo, o meglio i grani di un
Rosario per le preghiere della pazienza e della speranza”62.
Il tempo in prigionia era un tempo di interminabili attese che si ripresentavano giorno dopo giorno,
ora dopo ora, senza poterne vedere la fine. L’illusione di una gioia prossima spesso accelerava le
lancette, l’impazienza le faceva rallentare ed il più delle volte l’illusione si trasformava in profondo
sconforto. Una suggestiva visione di tutto questo ci è fornita dal generale Porro stesso, all’interno
del suo diario:
“Una delle attività del prigioniero, e forse la più esplicata, è: ‘l’aspettare’. Si attendono le lettere da casa con ansia; si
guarda e riguarda sul proprio notes le date di spedizione delle lettere da qui: si fanno calcoli di tempo e quando si
ritiene che debba arrivare la posta tanto desiderata, non arriva nulla e si continua ad attendere. Si aspettano i pacchi.
[…] E’ annunciato un ritiro di pacchi alla stazione. La speranza diviene certezza: certo, uno mio ci sarà. Non appena
sull’albo vien messo l’elenco dei nomi dei fortunati, si corre a leggerlo. Ma il tuo nome non c’è; ed allora non ti rimane
che continuare ad attendere. Queste sono le piccole attese ansiose di ogni giorno. Vi è poi la grande attesa di ogni ora:
quella del ritorno in Patria. Per far passare i giorni bisogna riempirli di mille occupazioni, le più varie, le più umili Io
son riuscito sinora e riesco a non stare un minuto della giornata senza tenere la mente occupata o distratta dai piccoli
lavori necessari per la vita nella camera. C’è già la notte con le sue lunghe ore buie nelle quali i pensieri si
affollano.”63
"Così mi occupo più che posso ma ogni giorno è identico al precedente, le stesse cose; l’unica cosa che varia è
l’argomento delle letture”64.
62F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.25 63F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.40-41, grassetto mio 64F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.17
Bisognava trovare una serie di occupazioni che distogliessero la mente dal vuoto dell’attesa e non la
lasciassero naufragare ed impazzire. Noi spesso associamo il tempo alla sua unità di misura,
dimenticando che quel che più ci interessa, in realtà, è il come lo impieghiamo - Avrò speso bene il
mio tempo? È una domanda che ci facciamo spesso, ed anche molti degli internati avranno fatto
altrettanto. Le lancette che scorrevano inesorabili nella prigionia segnavano un tempo sprecato, che
nessuno restituirà. Per tutti quegli uomini come il gen. Porro, abituati all’azione, a prendere
decisioni ed organizzare il comando, questa inattività risultava insopportabile. Egli si sentiva inutile
ed inutilizzato65, come scrisse in questo passaggio del suo diario, stilato dopo un intero anno passato
in prigionia ed in cui espresse tutto il suo sconforto:
“Un anno intero è passato, giorno per giorno, triste e doloroso. Anno di umiliazioni, di privazioni, di attesa. Intero
anno inutile della mia vita. Non azione di comando, non lavoro, non responsabilità, non attività redditizia della
macchina del mio ‘Io’”66.
5.2 Routine. Una piccola Società
Ma come si trascorre materialmente – per usare un avverbio caro al nostro generale – il tempo in
prigionia? Abbiamo detto che i prigionieri si trovavano in un ciclo costante di giornate tutte uguali,
fatte di privazioni, sofferenze e noia. Nel campo di Schokken, ogni giorno iniziava con l’appello;
“Al mattino alle 9 e nel pomeriggio al tramonto si passa in riga per fabbricato (blok) per l’appello.
Alla sera, alle 21,30, il controllo è fatto nelle rispettive camere”67. Il tempo era ben scandito a ritmi
regolari dalle autorità tedesche, che in parte ne sottraevano la proprietà ai legittimi detentori.
Per i più “fortunati”, come il nostro generale, c’era spazio per inventare nuove attività in modo da
occupare i momenti restanti. Col tempo, infatti, si veniva a sviluppare una vera e propria piccola
società, all’interno della quale ognuno aveva il proprio ruolo e la propria specialità:
“Io sono fra coloro che tengono maggiori contatti con i compagni; ciò mi porta a vedere la vita di ogni cameretta e di
ogni camerata, a vedere le varie attività sviluppate per passare il tempo. Molti sono i giocatori di bridge che giocano a
tutte le ore. Parecchi i giocatori di scopone e di pinacolo. […] La biblioteca funziona bene, ricca ormai di circa 500
volumi, sempre in giro di lettura. […] Ho imprestato ad un compagno il libro dei solitaires ed ha avuto la pazienza di
ricopiarlo tutto con le figurine delle carte. Vi sono poi gli artigiani senza strumenti, valendosi di un sasso, di un pezzo
di ferro, di un chiodo e delle mani, riescono a costruire con le latte delle scatole, scatolette, coperchi, stufette,
fornelletti e con cartone e tele valige, scatole, ecc. Robino aggiusta orologi ed uno dei più industriosi ed abili fra gli
improvvisati artigiani. Vi sono gli studiosi della lingua tedesca che, grammatica alla mano, studiano e fanno esercizi e
traducono, per far pratica, le notizie più importanti dei giornali germanici. Vi sono i passeggiatori ad ore fisse di un
65F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.22 66 F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.80 67F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.32
dato numero di giri del cortile a passo forzato, podisti isolati ed i peripatetici a coppie, deambulanti lentamente,
chiacchierando. Vi è qualche artista, come Ghè, che dipinge copiando da cartoline o riviste vecchie o riproducendo la
veduta del nostro campo. Chi ha un po’di attitudine per il disegno, ha eternato sulla carta i luoghi della nostra vita di
prigionia che ci circondano: il block, un angolo di camerata con il cassone-letto, il catino, l’armadio, la latta di
conserva vecchia che fa da pitalino, ecc. E poi le attività più strane. Vi è chi accantona tutta le bucce della patata
giornaliera della propria camerata ed ogni tanto, buccia per buccia, con pazienza da certosino, toglie quel po’ di
patata che può essere rimasta attaccata. Gli avanzi di patata vengono poi messi nella minestra; le bucce, tagliate fine e
seccate nella stufa, servono o per sostituire nelle pipe il tabacco o per tornare nella minestra. L’attività che assorbe
assai ed in cui parecchi eccellono è quella culinaria […] L’attività culinaria è in primo piano per la necessità di
assicurare all’organismo quel numero di calorie che la razione del campo dà troppo scarsamente. La situazione
speciale in cui siamo ed il particolare stato d’animo fanno sì che le voci corrano e si propaghino, spesso travisate ed
erronee […] Su tutto e sempre, presente nelle ore del lavoro, della lettura, delle chiacchiere ed in quello dell’insonnia,
il pensiero alle famiglie lontane, alla Patria lontana, di cui non si conosce bene il presente e si teme per l’avvenire.”68
Ancora una volta quindi, tutte queste attività avevano lo scopo principale di tenersi in salute fisica e
mentale, e di spezzare in qualche modo l’attesa; “Le mie preoccupazioni ed occupazioni sono quelle
di far sempre qualche cosa, di non lasciarmi andare a fantasticare a rinchiudermi in me stesso.
Cerco pensare di sfuggita a tutti i miei Cari per non avere debolezze e non rattristarmi troppo”69
5.3 Riflessioni. Che sarà di noi?
Nonostante si cerchi di tenersi impegnati per non cadere nello sconforto, inevitabilmente arrivava
per tutti la notte in cui, prima di coricarsi, la mente prendeva il sopravvento e ci si abbandonava a
riflessioni di ogni genere. Come ci dice il nostro generale, “la prigionia è un po’ simile alla cecità.
Infatti non si vede più nulla all’infuori di quello che si scorge dal rettangolo della finestra della
propria camera; si è all’oscuro di notizie, non si parla e non si ascolta. È così che ci si trova nelle
soste delle letture a pensare e riflettere. Quando si è molto occupati non ci si arresta mai a parlare
con il proprio io. Quando si è sol soli è l’unica compagnia che si può avere ed allora si iniziavano
questi colloqui intimi, affollano ricordi, risorgono episodi, si fanno esami di coscienza ed,
essenzialmente, si ricerca il proprio “io, quello che è l’essenza di se stesso per fare appello alle sue
virtù ed avere il conforto del suo consiglio”70. In questi momenti i pensieri preponderanti, quando
non andavano alla famiglia, erano rivolti al futuro: “Che sarà di noi? Che possibilità avremo dopo
di lavoro? Quanti interrogativi ci si pone e quanto incerto e difficile sembra debba essere
l’avvenire”.71
68F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.45-46 69F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.6 70F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.19 71F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.45
All’interno del campo di prigionia, il tempo percepito era come si sdoppiasse in due canali separati
e distanti: da una parte c’era quello che scorreva lentamente ma inesorabilmente nella dura vita
quotidiana del campo - il tempo dell’attesa -, dall’altra c’era un tempo immobile che era il tempo in
cui si immaginava ferma la realtà a casa propria. Le notizie erano poche, spesso nulle, quindi
l’immagine che si aveva di casa propria era come congelata – creando spesso un contrasto enorme
tra aspettative e realtà, per quei fortunati che sono riusciti a tornare a casa. L’unica cosa in comune
tra queste due “percezioni temporali” è che la sensazione preponderante di non avere il controllo su
nessuna delle due, esattamente come non si ha nessun controllo – e spesso decisione – sulla propria
morte.
5.4 La Morte
Anche questo argomento ritorna spesso, com’è logico pensare, nella letteratura e nei racconti degli
IMI. La morte era un pensiero costante, come il pensiero di morire in terra straniera senza che
nessuno dei propri famigliari venisse a sapere del decesso e non potesse così piangere il proprio
caro - rimanendo, anzi, nella speranza di poterlo riabbracciare; “Oggi il pensiero va a tutti i nostri
Morti: famigliari, amici, aviatori ed a tutti i Morti italiani del presente. […] Quante croci sparse in
cimiteri inospitali, su terra doppiamente fredda perché non è terra d’Italia! È triste morire ma lo è
ben di più lontani dalla propria casa. […] Come sulla tomba nuda e fredda sta l’ombra d’una
rozza croce, così vedo l’ombra d’una croce di sofferenza sopra i cuori di coloro che hanno atteso
invano”72
La morte era un pensiero così centrale in quelle condizioni di assoluta precarietà, che diveniva
addirittura argomento di distinzione tra le varie nazionalità:
“A noi latini fa impressione il modo come questa gene si ritira. Tutti in silenzio, nessuno piange, nessuno impreca. Non
si ode un lamento, non si vede una lacrima, non maledizioni, né bestemmie, né proteste. Questi nordici, freddi come il
loro clima, vanno in un silenzio tragico senza reazioni né scatti, obbediscono al destino doloroso.”73
Ma essa non faceva paura solo quando arrivava violenta e improvvisa, ma anche quando manifesta
la sua vicinanza nei segni evidenti sui corpi degli internati, provocati da mesi e mesi di fatiche e
privazioni:
“È impressionante il rapido declino di molti. In pochi mesi la vecchiaia ha fatto passi da gigante. E si ha qui sempre
davanti agli occhi la visione di quanto sia brutto invecchiare. Le fisonomie di tutti cambiano, prendono le tracce degli
72F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.71 73F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.84-85
anni, della sfiducia, della stanchezza; occhi che si infossano, sguardi che perdono di vivacità e di colore per essere
atoni e fissi; e il segno maggiore e più impressionante: il portamento e il modo di camminare. Ogni giorno più decresce
la prestanza militare; […] molti si incurvano e sembra che procedano con un peso sulle spalle (quello degli anni) o
trascinando qualcosa dietro di loro. […] E poi le piccole manie, le fissazioni e i pensieri […] e i discorsi che son
sempre gli stessi nel contenuto e nelle parole e si ripetono continuamente con una monotonia esasperante. Davvero
invecchiare è una gran brutta cosa.”74
5.5 La Fede. Un appoggio per Resistere
In questo marasma di incertezze, non rimaneva altro che appoggiarsi ed aggrapparsi con forza e
speranza alle poche certezze che si avevano. Per molti, questa certezze risiedevano nella fede;
“Quando si comincia a sentire l’avvicinarsi della fine del viaggio terreno e la fede diviene ossigeno
per vivere e luce per morire”75. La fede poteva assumeva molte forme; poteva essere, come in
questo caso, di tipo religioso, ma anche laico-patriottica, fino ad arrivare a vere e proprie forme di
superstizione. Il diario preso da noi in esame riporta esempi di tutti e tre i tipi, seppur con forme ed
intensità diversi. Ripetute e frequenti erano le preghiere rivolte affinché la famiglia del generale
potesse sopravvivere e stare bene. Spesso venivano trascritte preghiere create su misura per certe
occasioni. Ma la fede serviva anche da supporto per accettare quanto stava avvenendo al generale:
“Nella vita del prigioniero non è né la gioia del paradiso né il tormento dell’inferno; è la pena del purgatorio
aggravata dalle incertezze per l’avvenire. Per coloro che hanno fede, sentimento e che vivono più per il morale che per
le cose materiali, il campo di prigionia prende un po’ lo aspetto del monastero. Questi pochi, che soffrono e vivono una
nuova dolorosa esperienza spirituale, sentono nobilitarsi le più alte facoltà dello spirito. Nella immobilità e nella
reclusione l’anima e la mente possono conservarsi mobili ed evadere compiendo viaggi ideali alla scoperta della
propria vita interiore, alla ricerca di Dio, a ritrovare la patria.”76
La prigionia, da alcuni come il nostro generale, può esser quindi vista anche come strumento di
redenzione e di avvicinamento a Dio. Ma quella religiosa, come già accennato, non era l’unica fede
che si perpetuava nei campi degli internati italiani. Specialmente per coloro che, come Porro, erano
soldati e ufficiali di carriera e giovani cresciuti sotto il regime fascista, altrettanto importante era
quella sorta di fede laica che risiedeva nel patriottismo, nell’obbedienza al re ed all’esercito.
“Ho assistito a discussioni interminabili, nelle quali venivano esposti i cosiddetti casi di coscienza che non erano, in
fondo in fondo, che manifestazioni di vigliaccheria umana Tutti giudicano, criticano, transigono. Ecco perché
l’Esercito non è più quello di Vittorio Veneto. Obbedienza cieca, assoluta, pronta, è sparita. Le famiglie, il desiderio
74F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.51
75 ibidem 76F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.74-75
del quieto vivere, il timore di una vita di privazioni o di umiliazioni, se non peggio, portano a transigere, a concessioni
a sofismi, alla base dei quali vi è il proprio “io” invece del proprio dovere di soldato e di Comandante. Molte volte
considero la mia vita di prigioniero e mi appare infantile ed inutile. E’ troppo stridente il contrasto fra quanto potrebbe
fare un Comandante in questo periodo grave e tragico per la Patria e quanto, invece, faccio giornalmente. Per distrarsi
ed occuparsi, ogni piccola operazione viene fatta come se fosse cosa importante. Prolungo la mia toilette per occupare
il tempo; mi faccio il caffè, lavo, asciugo, metto in ordine, curo tanti particolari materiali nella mia piccola camera per
avere sempre qualcosa da fare. Passeggio e calcolo i metri che avrò percorso, guardo il panorama e individuo, ville,
chiese, valli, cime; la mia mente è sempre alla ricerca di qualcosa da vedere, qualcosa da pensare. Leggo, alternando
la lettura con lo scrivere, con il passeggiare, il fare un solitario, ecc. Mi impongo una vita varia, per non indebolirmi
nell’inazione fisicamente e moralmente. Riuscirò a tener duro sino alla fine. Spero di sì. La volontà non mi manca; ce
la metto tutta panche per abituare il mio stomaco al nuovo regime di vitto, così diverso dal nostro.”77
Spesso le due fedi si mescolavano e contaminavano:
“Oggi, scambiandoci gli auguri, i voti di tutti erano reciprocamente per le nostre famiglie e per la Patria. Tutti
preghiamo perché ci sia dato di contribuire alla Sua resurrezione morale ed alla Sua rapida ricostruzione materiale.”78
Il sacrificio per la Patria – sempre rigorosamente scritta con la lettera maiuscola –, in questi casi è
qualcosa di desiderabile, affinché essa possa rinascere:
“Questa è la cosa più tragica. Le vite umane hanno durata di pochi decenni e la loro scomparsa, se commuove e
addolora, non è però irrimediabile come la morte di quell’arte italiana che era stata ritenuta eterna. La civiltà, che
dovrebbe essere in perpetuo, continuo progresso, lo è solo nella materia, negli sviluppi della scienza, … ma è divenuta
distruggitrice di se stessa nell’arte e nelle manifestazioni di quella nobile cavalleria che ha avuto tante belle tradizioni
e cha ha lasciato nella storia del passato segni e prove di umanità, di signorilità, di generosità.”79
Rimane solo, in questo breve excursus, da accennare ad una particolare forma di fede che è la
superstizione. Quando si vive in estrema incertezza ogni piccolo avvenimento diventa un segno del
destino, un avvertimento e si cerca di interpretarlo e di agire di conseguenza:
“Questa sera, per la prima volta dopo venti giorni di prigionia, mi è riuscito il solitaire, il che è un buon segno.”80
77F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.8 78F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.31 79F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.50 80F. Porro, Mio diario di prigionia, 1943-1945, p.13
Conclusioni
L’esperienza descritta dal Generale Felice Porro testimonia l’eterogeneità del “fenomeno IMI”.
Rispetto a molti soldati che hanno trascorso gli anni dell’internamento subendo la fame, il freddo, la
fatica e le umiliazioni da parte dell’ex alleato tedesco, Porro rappresenta un caso quasi
“privilegiato”. Il suo grado di generale gli recò una serie di privilegi che si esplicitarono, al
principio, nelle condizioni di trasporto - vagone con scomparto riservato - con le quali fu trasferito
verso il campo ufficiali a Schokken. Qui non fu obbligato a lavorare, tanto che ebbe la possibilità di
coltivare i suoi interessi personali; non soffrì particolarmente la fame e venne trattato con rispetto
dai tedeschi. Se da un lato gli furono risparmiate molte delle più comuni sofferenze fisiche,
dall’altro, a causa della forzata inattività, si acuirono in lui sentimenti di sconforto per la lontananza
dalla sua famiglia e la frustrazione derivata dall’impossibilità di esercitare il suo ruolo di comando
al servizio dell’amata Patria.
Il “Porro Uomo” e il “Porro Generale” convergono in un senso del dovere militare che lo spinse a
scegliere consapevolmente l’esperienza dell’internamento per ottemperare al suo giuramento al Re
d’Italia. La grandezza dell’esempio del padre, anch’egli ufficiale e prigioniero dei tedeschi nel
1917, lo motivò a sopportare le conseguenze, giorno dopo giorno, della sua scelta e ad ergersi come
modello di comportamento per i giovani soldati con i quali condivise tale destino.
Il diario è stato lo strumento per catalizzare quanto vissuto, qualcuno a cui raccontare come abbia
mantenuto fede alle proprie idee ed ai propri principi, nonostante le difficoltà di questa unica,
intensa, interminabile esperienza. Un confidente al quale affidare il peso della propria memoria,
permettendogli di archiviarla e riprendere le fila della propria esistenza.
“In questa notte chiudo il mio diario di prigionia, che è stato il mio compagno e il mio confidente
nei due anni di lontananza, di esilio e di sofferenza. I miei cari, leggendolo, potranno rivivere la
mia vita di deportato. Io, ormai, non desidero che dimenticarla tuffandomi nel lavoro che mi ridarà
la gioia di essere utile al mio Paese e alla mia Famiglia”81.
81 F. Porro, Il mio diario di prigionia, 1943-1945
Bibliografia
G. Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, Il Mulino, Bologna, 2004
F. Porro, Mio diario di prigionia - 1943-1945
L. Zani, Il vuoto della memoria: i militari italiani internati in Germania, Rubettino, Catanzaro,
Seconda guerra mondiale e la sua memoria (Le ragioni degli storici), 2006, p. 1-25
L. Zani, Le ragioni del no, Siares: Istituti editoriali poligrafici internazionali, Critica sociologica:
XLIII, 170, 2009, Roma, pp. 1-9
S. Frontera, Il ritorno dei militari italiani internati in Germania (1945-1946), Franco Angeli,
Mondo Contemporaneo, Milano, 2009
Appendice
a. Scheda Internamento
b. Scheda ANEI
c. Tabella trasferimenti