federico barocci autore: federico giannini

101

Upload: frattura-scomposta

Post on 13-Dec-2014

948 views

Category:

Documents


5 download

DESCRIPTION

ederico Barocci (1535 - 1612) è considerato come il più grande interprete della pittura controriformistica. Ma lo scopo di questa monografia, la terza realizzata da Federico Giannini e la prima di carattere divulgativo scritta su Federico Barocci, è dimostrare che la definizione di "pittore della Controriforma" sta stretta al pittore urbinate, perché non dà idea del fascino che i suoi meravigliosi capolavori esercitano su chi li osserva. L'analisi quindi parte dalla biografia di Federico Barocci per continuare con la descrizione di quarantacinque opere che l'artista realizzò durante la sua carriera, cercando di sottolinearne non soltanto gli aspetti storico-artistici ma anche cercando di evidenziare quanto tali dipinti riescano a essere suggestivi grazie alla loro bellezza, alle loro atmosfere, ai loro colori, alla delicatezza di molti dei loro personaggi. Federico Barocci si dimostra così non soltanto un pittore devoto ma anche un artista capace di impressionare, di emozionare e di compiere, nonostante il volontario isolamento nella sua Urbino, una parabola artistica indipendente, destinata a influenzare generazioni di pittori.

TRANSCRIPT

Page 1: Federico Barocci Autore: Federico Giannini
Page 2: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

Federico Giannini

Federico Barocci

eBook per l'Arte

un'iniziativa

Page 3: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

© 2011 eBook per l'Arte – Federico GianniniPrima Edizione 2011

LicenzaCreative Commons 3.0 – Attribuzione - Non commerciale – No opere deri-vatehttp://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/

In copertinaFederico Barocci, DeposizionePerugia, Cattedrale di San Lorenzo

I titoli di opere d'arte sottolineati e colorati in blu sono cliccabili: si aprirà l'immagine dell'opera (necessaria connessione a internet).

Page 4: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

Ci aveva visto molto bene Michelangelo quando, ormai alla fine della sua carriera e della sua esistenza, a Roma notò un Federico Barocci poco più che ventenne che disegnava in compagnia di Taddeo Zuccari, e dopo aver visto quegli schizzi lo lodò inanimandolo a proseguire gli studi incominciati, come racconta Giovan Pietro Bello-ri. Non poteva esserci inizio migliore per la carriera di quel giovane che lasciò presto la capitale dello Stato Pontificio per ritirarsi nella sua patria, Urbino, in una sorta di autoisolamento che tuttavia non gli impedì di ottenere fama in tutta Europa e di diventare uno dei pittori più influenti del suo tempo.

Non si sa bene per quale motivo se ne sia partito in tutta fretta da Roma: lui sosteneva di essere stato avvelenato da colleghi invidiosi. Chissà se fu davvero così o se erano soltanto le paure di un uomo dal carattere molto fragile: non si sa ancora niente di sicuro. Ma certo è che anche agli occhi dei suoi contemporanei e dei suoi biografi, Fede-rico Barocci doveva apparire come una persona estremamente sensi-bile, dal temperamento difficile, chiuso e solitario. Un temperamento che condizionò anche il suo lavoro, perché è diventata famosa la quasi proverbiale lentezza con cui conduceva a termine i suoi dipinti e a causa della quale faceva aspettare anche diversi anni i committen-ti: lentezza dovuta in parte alle asperità del suo carattere, ma in parte anche all'elevatissima cura che dedicava a ogni singola composizione, e la grande quantità di disegni che di lui ci è rimasta è lì a testimonia-re questo aspetto della sua arte.

Ma nonostante tutto ciò fu un uomo buono, altruista e fortemente stimato da tutti coloro con cui si trovò a intrattenere rapporti di lavo-ro. Non però si guidò mai con l'avarizia, ma solo faceva stima della sua riputazione; dipingeva nobilmente per l'onore, non mancando a studio o fatica […]. Circa li costumi non avresti ripreso in lui cosa minima alcuna; era principalmente caritativo verso i poveri, bene-fico con tutti, affabile ed umile nel conversare. Così lo descriveva ancora Giovan Pietro Bellori, che nelle sue Vite dedica una sezione molto ampia a Federico Barocci: un'ulteriore attestazione di quanto importante fosse la sua personalità.

Federico Barocci è passato alla storia dell'arte come il maggior interprete della pittura controriformistica. Ma si tratta di una defini-

4

Page 5: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

zione piuttosto riduttiva, perché non dà idea del fascino che esercita-no le sue meravigliose opere d'arte sugli osservatori. La sua produzio-ne è costituita quasi esclusivamente da temi a soggetto sacro e, se si escludono i ritratti, l'unico dipinto a soggetto profano è la Fuga di Enea da Troia. Ma la bellezza, la raffinatezza, il lirismo delle compo-sizioni baroccesche fanno apparire i personaggi della sfera religiosa sotto una luce diversa: la Madonna dell'Annunciazione della Pinaco-teca Vaticana o della Basilica di Santa Maria degli Angeli ci sembra una ragazzina timida, le Maddalene sono sempre bellissime e delica-te, la Sacra Famiglia della Madonna del gatto o della Madonna delle ciliegie sembra quasi non aver niente di sacro tanta è la dimensione di quotidianità e intimità che caratterizza queste scene. E a far da contorno a questi personaggi troviamo in molte opere un'umanità viva, colta in una grande varietà di pose e di espressioni: è il caso, per esempio, della Madonna del popolo, dove è proprio il popolo a otte-nere il ruolo di protagonista principale del dipinto, ancor più dei personaggi appartenenti al mondo ultraterreno. È un'arte che suscita emozioni, che colpisce, e in certi momenti si ha quasi l'impressione di dimenticare che quelle a cui si assiste sono scene tratte dal repertorio della religione, tanta è la meraviglia che si prova davanti a questi capolavori.

E come tralasciare i ritratti di Federico Barocci, così realistici e naturali, così eleganti e accurati? Studiando le opere di Tiziano che abbellivano le sale del Palazzo Ducale, Federico creava ritratti splen-didi, che ci dànno un'ulteriore idea della sua sapienza e della sua immensa abilità tecnica. E un'altra presenza costante nella sua arte è proprio il Palazzo Ducale di Urbino, raffigurato in moltissime opere così come il pittore lo vedeva dalla finestra della sua casa, sullo sfon-do delle colline marchigiane: rappresentazioni che più di ogni scritto e più di ogni documento forniscono prove di quello stretto rapporto che Federico Barocci aveva con la sua città natale.

E infine, tutti coloro che osservano le opere di Federico Barocci, anche per la prima volta, rimangono colpiti dai suoi colori: non è un caso se la grande mostra monografica che si è tenuta a Siena tra la fine del 2009 e gli inizi del 2010 definiva, nel titolo, la pittura di Federico Barocci come “l'incanto del colore”. Sono proprio quei bril-lanti, vivaci e luminosi colori di derivazione correggesca una delle

5

Page 6: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

peculiarità salienti dell'arte di Federico Barocci: le sue opere sono un tripudio di gialli, arancioni, azzurrini, verdi, violetti declinati sempre diversamente e declinati in modo da stupire e da coinvolgere in modo sempre più avvincente l'osservatore.

Un coinvolgimento che diventa assoluto quando si osserva la Deposizione di Perugia, dipinto che più di ogni altro cattura chi lo ammira con le sue incredibile variazioni cromatiche, con la sua lumi-nosità, con il suo dinamismo. È impossibile pensare ad altro quando si osserva la Deposizione di Federico Barocci, e per provare queste sensazioni è necessario osservare dal vivo questa grandiosa tela. Un dipinto emozionante, una sinfonia di colori che avvolge l'osservatore come una straordinaria e magica melodia.

Sì, perché per Federico Barocci pittura e musica si equivalgono: il pittore è come un musicista, accosta i toni come il musicista esegue gli accordi, e dal momento che l'udito trae diletto ascoltando una bella melodia, così anche la vista deve trarre piacere dall'armonia dei colori e dei lineamenti. Bellori racconta che un giorno, mentre dipin-geva, gli si accostò il suo mecenate Guidobaldo II Della Rovere, duca di Urbino, e gli chiese cosa stesse facendo. E facendogli vedere il quadro, Federico rispose: “sto accordando questa musica”.

6

Page 7: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

Indice

I. Profilo biografico 9

II. Le opere 29

III. L'eredità di Federico Barocci 90

IV. Bibliografia di riferimento 97

Page 8: Federico Barocci Autore: Federico Giannini
Page 9: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

I. Profilo biografico

Page 10: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

Potrebbe risultare difficile pensare che un pittore che non si mosse quasi mai dalla sua città natale sarebbe poi diventato uno degli artisti più influenti della sua epoca: così è per Federico Barocci, che trascor-se pressoché tutta la sua esistenza a Urbino, dove nacque tra il secon-do e il terzo decennio del Cinquecento.

La data di nascita è stata a lungo oggetto di dibattito tra gli studio-si, perché il suo primo biografo importante, Giovan Pietro Bellori (1613 – 1696), indica il 1528 come anno in cui il pittore vede la luce. Ne consegue che altri che in seguito scrissero su Barocci presero per buona questa come data di nascita. Studi risalenti al Novecento e condotti, tra gli altri, da Harald Olsen, Edmund Pillsbury e Andrea Emiliani, spostano la data al 1535, in seguito alla scoperta di un importante documento: Francesco Maria II Della Rovere, duca di Urbino che, come vedremo nel prosieguo della trattazione, diventò un punto di riferimento importante per l'arte di Barocci, annotava in un suo diario la scomparsa del pittore, avvenuta nel 1612, scrivendo che il pittore aveva all'epoca settantasette anni. Al giorno d'oggi sembra essere proprio questa la data di nascita più corretta, in ragio-ne del fatto che la fonte da cui la data viene tratta risulta di gran lunga più attendibile rispetto all'altra.

Ma non è solo la data di nascita a creare qualche piccolo problema: c'è anche il cognome del pittore. Proprio sul cognome c'è grande con-fusione, perché nelle fonti l'artista viene citato come “Federico Baroc-ci” ma spesso anche come “Federico Fiori”, quindi al giorno d'oggi, anche navigando sul web, si può constatare come molti siti e molti libri parlano di “Federico Barocci detto il Fiori” e tanti altri parlano di “Federico Fiori detto il Barocci”. C'è da notare che il pittore spesso firmava i suoi dipinti, ed era solito farlo con la dicitura FEDERICUS BAROCIUS URBINAS FACIEBAT, seguita dalla data. Sempre Olsen, uno dei più autorevoli studiosi novecenteschi di Federico Barocci, dice che il vero nome era proprio Barocci e che la dicitura “Fiori” era totalmente sconosciuta ai contemporanei dal momento che appare soltanto a partire da documenti settecenteschi.

La famiglia di Federico era di origini lombarde, e sappiamo che un suo antenato, Ambrogio Barocci, di professione scultore, si era trasfe-rito nel piccolo ducato negli anni Settanta del Quattrocento, forse at-tratto dalle prospettive di guadagno che la corte di Urbino poteva of-

10

Page 11: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

frire. Troviamo questa notizia ancora nelle Vite di Giovan Pietro Bel-lori: stando alla ricostruzione dello storico romano, Ambrogio sareb-be stato il bisnonno di Federico, e il padre del nostro artista si chia-mava anch'egli Ambrogio. Quest'ultimo svolgeva la professione di modellatore, occupandosi di rilievo, modelli, sigilli, ed astrolabi.

Nell'anno in cui nacque Federico Barocci, il ducato di Urbino era retto da Francesco Maria I Della Rovere (1490 – 1538): questi era salito al potere nel 1508, dopo che il suo predecessore, Guidobaldo I da Montefeltro (1472 – 1508), figlio di quel Federico III (1422 – 1482) noto per essere stato uno dei più grandi mecenati del Rinasci-mento e per essere stato ritratto da Piero della Francesca, era scom-parso senza lasciare eredi e facendo estinguere la famiglia dei Monte-feltro. Francesco fu indicato come suo successore proprio da Guido-baldo, che era suo zio, e governò fino al 1538, fatta eccezione per una breve interruzione tra il 1516 e il 1521: nel 1516 infatti Lorenzo II de' Medici, noto per essere il dedicatario del Principe di Niccolò Machia-velli, riuscì a spodestare il Della Rovere, che recuperò il ducato solo qualche anno dopo, in seguito alla scomparsa di papa Leone X Medi-ci, che aveva favorito Lorenzo II durante le lotte per la conquista di Urbino.

Nel 1539 Francesco scomparve e lasciò il ducato nelle mani di Guidobaldo II Della Rovere: ci troviamo negli anni della formazione di Federico Barocci, e il ducato di Urbino, dopo le lotte del secondo decennio del Cinquecento, conosce un rinnovato periodo di splendo-re culturale. In seguito all'esperienza quattrocentesca dei Montefeltro (soprattutto di Federico III), i Della Rovere vollero porre le basi per fare di nuovo di Urbino uno dei poli artistici e intellettuali più impor-tanti della penisola. La piccola corte marchigiana tornava a vivere gli splendori del primo Rinascimento, frequentata da artisti e letterati (un nome su tutti: Baldassarre Castiglione), diventando così un ecce-zionale centro di cultura umanistica, forte anche dei rapporti che il ducato aveva con lo Stato Pontificio: non bisogna dimenticare che tra il 1503 e il 1513 il papa fu Giulio II, al secolo Giuliano Della Rovere. Un'importanza culturale sancita anche dalla nascita, nel 1506, dell'U-niversità: il primo nucleo fu istituito per merito di Guidobaldo da Montefeltro, e negli anni successivi, sotto il dominio dei Della Rove-re, furono ampliate le prerogative del nuovo ateneo, che andò così

11

Page 12: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

acquistando sempre maggior prestigio.Per quanto riguarda l'arte, sarebbe quasi sufficiente dire che a

Urbino nacque, nel 1483, Raffaello: il suo genio fu stimolato dall'at-mosfera raffinata che poteva respirare alla corte, per la quale lavora-va il padre Giovanni, nonché dalle grandi opere realizzate dai maestri che operarono per i Montefeltro nel Quattrocento. Ma parlare solo di Raffaello sarebbe riduttivo, perché furono moltissimi gli artisti che ebbero i natali nelle terre del ducato o che nel corso della loro carrie-ra si trovarono ad aver a che fare con la corte urbinate.

Tra gli artisti molto legati ai Della Rovere troviamo Tiziano (1488 ca. – 1576), che ricevette diverse commissioni da parte di Francesco Maria prima e da Guidobaldo poi: il ritratto più famoso di Francesco Maria, quello conservato agli Uffizi che ritrae il duca in armatura, fu realizzato proprio dal pittore cadorino, che sempre per Francesco eseguì anche altri dipinti tra cui il ritratto della moglie Eleonora Gonzaga e il Cristo conservato a Palazzo Pitti. Per Guidobaldo invece realizzò nel 1538 quello che forse è uno dei dipinti più famosi e discussi del mondo, la Venere di Urbino, che arrivò a Firenze nel 1631 insieme a Vittoria Della Rovere (1622 – 1694), discendente dei duchi di Urbino, andata in sposa nel 1634 (all'età di dodici anni) a Ferdi-nando II de' Medici (1610 – 1670): in seguito alla scomparsa, proprio nel 1631, dell'ultimo duca Francesco Maria II (1549 – 1631), il ducato si estinse e fu annesso allo Stato Pontificio, ma le collezioni artistiche furono lasciate a Vittoria. Si spiega così perché oggi troviamo nei musei fiorentini moltissime delle opere realizzate per la corte di Urbi-no.

Tra gli altri artisti che, in un modo o nell'altro, furono legati ai Della Rovere è necessario citare il Bronzino (1503 – 1572), che duran-te gli anni della sua formazione soggiornò per un breve periodo nel Ducato e di cui si ricorda il famoso ritratto di Guidobaldo II, conser-vato a Palazzo Pitti, e Dosso Dossi (1486 – 1542), che per Francesco Maria I affrescò la Camera delle Cariatidi nella Villa Imperiale di Pesaro, città che i Della Rovere avevano fatto diventare una seconda capitale del ducato e dove programmarono diversi interventi urbani-stici e culturali, vista anche la posizione sul mare della città, più favo-revole ai rapporti commerciali con gli altri stati.

Infine è necessario citare tre artisti dai nomi meno famosi ma che

12

Page 13: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

furono decisivi per l'iniziale formazione di Federico Barocci: Girola-mo Genga, Francesco Menzocchi e Battista Franco. Il primo, nato a Urbino (1476 – 1551), fu non soltanto pittore ma anche scultore e architetto, ed è interessante notare che la sua famiglia era legata ai Barocci da vincoli di parentela. Il figlio di Girolamo, Bartolomeo (1518 – 1558), era infatti lo zio di Federico Barocci, e nel 1551 diventò responsabile delle fabbriche ducali, un ruolo di grande prestigio che ricoprì fino al 1558, anno della sua scomparsa. Francesco Menzocchi (1502 – 1574), pittore di origini romagnole (nacque a Forlì), lavorò nei primi anni della sua carriera nella città natale, e in seguito, tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta del Cinquecento, si trasferì a Pesaro per lavorare presso la già citata Villa Imperiale e tornò poi nel Ducato più avanti nel corso della sua carriera.

Battista Franco (1498 – 1561) proveniva invece da Venezia ed è noto per essere stato, oltre a un importante pittore manierista, anche il più grande e fedele “ammiratore” di Michelangelo: dopo aver cono-sciuto a Roma le opere del genio di Caprese ne rimase impressionato a tal punto da dedicare una buona parte delle sue energie alla copia delle opere del Buonarroti. È famosa la frase di Giorgio Vasari su Battista Franco, che dà un'idea della carica di “venerazione” del pitto-re nei confronti di Michelangelo: non rimase schizzo, bozza o cosa non che altro stata ritratta da Michelagnolo, che egli non disegnas-se. Battista Franco arrivò a Urbino negli anni Quaranta del Cinque-cento, grazie all'intercessione di Bartolomeo Genga che lo raccoman-dò a Guidobaldo Della Rovere: il pittore veneziano fu incaricato di eseguire alcuni affreschi all'interno del Duomo di Urbino.

Furono questi gli artisti, come detto, importanti per la formazione di Federico Barocci, e bisogna aggiungere il fatto che anche la sua era una famiglia di artisti: un particolare di non poco conto, visto che grazie alla famiglia compì i suoi primi passi in ambito artistico.

Tuttavia è necessario sottolineare che a oggi non conosciamo con sicurezza l'esatto iter della formazione di Federico Barocci e ci sono ancora molti aspetti da chiarire, perché sulla sua produzione giovani-le le ombre prevalgono sulle luci. Stando a quanto ci racconta ancora Giovan Pietro Bellori, il suo primo maestro dovrebbe essere stato Francesco Menzocchi, informazione che possiamo accettare con un certo margine di certezza: secondo Bellori, il pittore forlivese prese

13

Page 14: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

ferma speranza del giovinetto, e l'esortò ad applicarsi tutto alla Pittura. Menzocchi era un pittore piuttosto famoso al suo tempo, e anche se in seguito alla sua scomparsa la sua fortuna andò scemando, di recente si sta assistendo a una rivalutazione della sua figura. Pitto-re dallo stile elegante e raffinato, debitore nei confronti del classici-smo raffaellesco che ebbe modo di osservare dal vivo durante un soggiorno a Roma, Francesco Menzocchi ebbe un ruolo di un certo peso nell'avviare Federico Barocci a quella pittura aggraziata e delica-ta che avrebbe contraddistinto la sua personalità anche negli anni a venire. In seguito al ritorno di Francesco Manzocchi in patria, Federi-co Barocci fu mandato a bottega da Battista Franco: anche se era un pittore veneziano, Franco si era trasferito a Roma da giovanissimo, quindi possiamo inserirlo a pieno titolo tra gli esponenti del Manieri-smo romano, una cultura che l'artista, possiamo ipotizzare, cercò di trasmettere al suo giovane allievo.

L'esperienza accanto a Battista Franco è certa ma fu di breve dura-ta, perché l'artista lasciò dopo poco tempo Urbino e Federico si trasferì dallo zio Bartolomeo Genga, che era in ottimi rapporti con il duca Guidobaldo: Federico aveva così la ghiottissima opportunità di studiare i dipinti della collezione del duca, esperienza per lui molto importante. Bartolomeo Genga aveva ricevuto una formazione di alto livello dal momento che da giovane aveva studiato a Firenze prima con Bartolomeo Ammannati (1511 – 1592) e poi con Giorgio Vasari (1511 – 1574), quindi si trasferì a Roma e poi ancora a Verona, entrando a contatto con l'attivo ambiente artistico romano ma rice-vendo suggestioni anche dal Veneto: ed è proprio grazie allo zio che Federico Barocci cominciò ad “aprirsi” verso culture figurative diver-se da quella della città natale.

Culture figurative diverse con le quali ebbe modo di entrare in contatto durante un soggiorno a Roma che secondo molti studiosi è da collocare tra il 1553 e il 1555. Lo zio Bartolomeo Genga, a seguito dell'elezione del nuovo papa Giulio III, era stato chiamato nella capi-tale dello Stato Pontificio per progettare alcune opere militari, e si ipotizza che a Roma l'architetto abbia introdotto il giovane Federico Barocci presso il cardinale Giulio Della Rovere (1532 – 1578), fratello del duca Guidobaldo, anche se alcuni studiosi tendono a minimizzare il ruolo dello zio. Possiamo dire che Giulio Della Rovere fu il primo

14

Page 15: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

mecenate di Federico Barocci, e il rapporto tra i due continuò anche negli anni successivi.

A questi anni, e più precisamente al 1555, risale la prima opera nota di Federico Barocci, la Santa Cecilia tra i santi Giovanni, Maria Maddalena, Paolo e Caterina (nota anche come Estasi di Santa Ceci-lia, n. 1 della sezione “Le opere”). Risale invece al 1557-1558 il Marti-rio di san Sebastiano (n. 2), opera conservata presso la Cattedrale di Urbino, come la precedente. Queste due tele furono realizzate al ritorno di Federico Barocci da Roma: qui lo scultore aveva avuto modo di studiare da vicino le grandi opere dei maestri del Rinasci-mento, a cominciare dal suo concittadino Raffaello, l'incontro con il quale fu determinante per il prosieguo della sua carriera e per l'elabo-razione del suo stile. In quegli anni la città stava vivendo l'affermazio-ne del Manierismo romano, e di lì a poco si sarebbero imposte le personalità di grandi artisti come gli Zuccari, Taddeo (1529 – 1566) e Federico (1539 - 1609), che peraltro erano originari del ducato di Urbino e si erano trasferiti a Roma da giovanissimi, come Niccolò Circignani noto anche come il Pomarancio (1530 – 1597), che lavorò nella capitale dello stato pontificio all'inizio degli anni Sessanta del Cinquecento, e come Santi di Tito (1536 – 1603), fiorentino, trasferi-tosi a Roma a metà degli anni Cinquanta. Non bisogna poi dimentica-re che in quell'epoca era ancora attivo Michelangelo, che scomparve nel 1564 e la sua personalità esercitava una grandissima influenza sui giovani artisti. E tra l'altro pare che lo stesso Michelangelo nutrisse una particolare ammirazione nei confronti del giovane e molto promettente Federico Barocci.

È un aneddoto che ci racconta Giovan Pietro Bellori e che è già stato anticipato nell'introduzione: Federico si trovava in compagnia di Taddeo Zuccari (che fu un po' una “guida” per lui in quel di Roma) a ricopiare una facciata di un palazzo eseguita da Polidoro da Cara-vaggio, e avvenne che Michelangelo si trovò a passare cavalcando una muletta, com'era suo costume davanti a quel palazzo. Gli altri giovani pittori si precipitavano dal grande maestro per mostrargli i loro dipinti, e pare che Federico non si fosse mosso, per timidezza: Taddeo gli avrebbe quindi preso i disegni e li avrebbe portati a Michelangelo, che lodò Federico Barocci inanimandolo a proseguire gli studi incominciati.

15

Page 16: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

Nel frattempo Bartolomeo Genga, nel 1558, moriva a Malta, dove si era recato per progettare alcune fortificazioni per rafforzare le dife-se dell'isola, che in quegli anni era minacciata dai turchi: famoso è l'assedio del 1565, dal quale i Cavalieri di Malta uscirono vincitori.

Andrea Emiliani ipotizza che, in seguito al ritorno da Roma, Fede-rico Barocci compì anche altri due viaggi, uno a Parma e uno a Vene-zia, entrambi comunque nel 1559: potrebbe spiegarsi così la grande affinità che lega Federico Barocci al Correggio (1489 – 1534) e che troverebbe quindi maggiore riscontro sapendo che l'artista ebbe modo di vedere da vicino le opere di Antonio Allegri che si trovavano nella città ducale. Così come il viaggio a Venezia aiuterebbe a spiega-re meglio i punti di contatto tra l'artista urbinate e i pittori veneti, in particolare Tiziano, benché sia necessario sottolineare che Federico ha avuto modo di studiare in modo approfondito le opere di Tiziano presenti nelle collezioni del ducato di Urbino. Un rapporto, quello tra Federico Barocci e Tiziano, che si può notare già nelle sue opere giovanili, come l'Estasi di santa Cecilia citata in precedenza.

Il pittore compì il suo secondo e ultimo viaggio a Roma nel 1561: era stato incaricato di partecipare alle decorazioni ad affresco del Casino di papa Pio IV in Vaticano. Si tratta di una villa che fu proget-tata da Pirro Ligorio (1510 – 1583) inizialmente per Paolo IV: alla scomparsa di papa Carafa, nel 1559, i lavori continuarono sotto il neoeletto Giovanni Angelo Medici di Marignano che, per la decora-zione, scelse alcuni artisti all'epoca molto giovani ma destinati a diventare tra i più grandi esponenti del Manierismo. L'edificio aveva una doppia natura in quanto doveva essere luogo di svago ma anche palazzo di rappresentanza: per questo motivo, per le decorazioni, i pittori si cimentarono non soltanto in temi aulici e solenni, ma anche in temi rustici. Tra gli artisti che parteciparono agli affreschi si distin-sero, oltre a Federico Barocci, i già citati Taddeo e Federico Zuccari e Santi di Tito.

In questo contesto, Federico si dimostra particolarmente attratto dall'arte degli Zuccari, come si nota osservando le due volte decorate dal pittore (n. 4 e n. 5).

Il secondo soggiorno a Roma si protrasse fino al 1563, come ci testimoniano i documenti relativi al pagamento dei lavori eseguiti da Federico: tuttavia il suo brillante periodo romano terminò in maniera

16

Page 17: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

non chiara e sono diversi i punti oscuri, perché pare che sia stato addirittura avvelenato da non meglio specificati colleghi invidiosi. O almeno questo era il timore di Federico Barocci, che dovette comun-que lasciare la città in preda a problemi di salute che lo avrebbero accompagnato per tutto il resto della sua esistenza (anche se non conosciamo bene quale sia stata questa malattia: forse un'ulcera duodenale). Bellori racconta addirittura di una “merenda” alla quale Federico sarebbe stato invitato da alcuni pittori, e continua dicendo che l'artista di Urbino avrebbe consumato insalata avvelenata. Racconta ancora Bellori che il cardinale Della Rovere, per cercare di far ritornare presto in salute il suo protetto, chiamò i migliori medici della città, ma questi non poterono far altro che consigliargli di torna-re a Urbino per ritemprarsi. Quello che è certo è che l'artista trascorse due anni di inattività cercando un rimedio alla sua malattia, tuttavia senza trovarlo. Una malattia che spesso diventava anche una giustifi-cazione ai continui ritardi nel consegnare le opere d'arte ai commit-tenti: Federico Barocci del resto ha anche la fama di pittore molto lento, ma questo forse più che alla sua malattia si deve all'estrema meticolosità con la quale progettava i suoi dipinti. A testimonianza di ciò abbiamo una mole davvero poderosa di disegni eseguiti da Federi-co Barocci, a fronte di un corpus di opere non vastissimo: l'ingente quantità di disegni che ci sono rimasti certifica in modo inequivocabi-le quanto fosse approfondito lo studio di ogni singola opera.

Secondo alcuni studiosi però l'episodio dell'avvelenamento sareb-be nient'altro che un aneddoto, e la malattia che accompagnò Federi-co Barocci per il resto della sua vita non sarebbe dovuta a cause dolo-se ma semplicemente, come anticipato poco sopra, all'insorgere di un'ulcera. Secondo altri, la causa del suo allontanamento frettoloso da Roma fu una profonda crisi esistenziale. Possiamo anche ipotizza-re che l'artista crollasse sotto il peso dell'eccessiva pressione a cui era sottoposto lavorando a Roma, una città con un ambiente artistico molto diverso e molto lontano rispetto a quello della città natale. Al giorno d'oggi sembra comunque che la maggior parte degli studiosi sia portata a considerare l'episodio dell'avvelenamento alla stregua di un aneddoto privo di fondamento.

Ad ogni modo, avvelenato o no, la manifestazione della malattia segnò profondamente la vita del pittore: già timido, introverso e

17

Page 18: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

molto sensibile per carattere, decise di non lasciare più la città natale, ritenendo che fosse l'unico luogo dove avrebbe potuto trovare confor-to e svolgere al meglio il suo lavoro, lontano dalle gelosie dei rivali.

Il 1563 è un anno importante non solo perché coincide con il ritor-no di Federico Barocci a Urbino, ma anche perché è l'anno in cui si conclude il Concilio di Trento, che si era aperto nel 1545 sotto il pontificato di Paolo III.

Il Concilio di Trento ebbe importanti ripercussioni anche sulle arti figurative e di fatto pose le basi per la nascita del Barocco: l'arte prodotta in questi anni, nella seconda metà del Cinquecento, è nota anche come “arte della Controriforma” (altri addirittura la chiamano “arte tridentina”, a sottolineare la profonda influenza che il Concilio esercitò sugli artisti), e gli studiosi tendono a collocare Federico Barocci proprio in questo contesto storico culturale. Con il Concilio di Trento e in particolare con il famoso decreto sulle immagini sacre, promulgato nel dicembre del 1563, la Chiesa poneva le basi per detta-re le regole anche in campo artistico.

Contrariamente alle idee proposte dai riformatori protestanti, su tutti Giovanni Calvino e Huldrych Zwingli (Lutero riteneva quello delle immagini sacre un problema minore), la Chiesa affermava non solo la liceità, ma anche l'utilità delle immagini sacre: tuttavia non disponeva a quali esplicite regole dovessero attenersi i pittori, lasciando quindi ai singoli membri del clero la facoltà di interpretare il decreto come meglio avessero ritenuto. Era però ovvio l'indirizzo dettato dal decreto, in base al quale veniva bandito ogni tipo di ecces-so (“eccesso” ovviamente in riferimento alla morale del particolare e delicato contesto storico), e in particolare non si tolleravano dipinti che invitassero alla lascivia.

La Chiesa quindi non dettava regole strette, ma di fatto dettava i programmi iconografici condizionando in modo pesante l'operato degli artisti, anche perché chi non si atteneva alle regole, in un momento di forte religiosità che spesso sfociava nel fanatismo, e di accesa lotta nei confronti di ogni tipo di eresia, poteva davvero rischiare grosso. Il caso più celebre è quello di Paolo Veronese (1528 – 1588), che nel 1573 venne processato dall'Inquisizione per una sua Ultima cena che secondo il tribunale ecclesiastico affrontava il tema sacro con troppa licenziosità: il pittore si difese pronunciando la

18

Page 19: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

famosa frase “nui pittori ci pigliamo la licenzia che si pigliano i poeti e i matti”, ma fu comunque costretto a modificare alcuni particolari del dipinto e a cambiare il titolo (da Ultima cena a Cena in casa di Levi).

Nel tentativo di interpretare il decreto e di regolare in modo più ferreo la produzione di arte, alcuni importanti esponenti della Chiesa scrissero negli anni successivi famosi trattati: sono del 1577 le Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae di Carlo Borro-meo e risale invece al 1582 il celeberrimo Discorso intorno le imma-gini sacre e profane di Gabriele Paleotti, forse il trattato destinato ad avere più influenza sui pittori. E a proposito di Gabriele Paleotti, è interessante notare che ci fu anche un rapporto diretto tra il cardinale e Federico Barocci: parte infatti che Paleotti abbia commissionato all'artista, nel 1586, un dipinto da porre nella cappella di famiglia all'interno della cattedrale di San Pietro a Bologna. Il dipinto doveva raffigurare la Madonna con il Bambino insieme ai santi Petronio e Francesco, ma l'opera non vide mai la nascita.

Tornando a parlare più nello specifico di Federico Barocci, Giovan Pietro Bellori ci racconta che, finito il periodo di inattività (che lo storico fa durare quattro anni), l'artista realizzò un'opera raffigurante una Madonna con il Bambino che benedice san Giovanni Evangelista per darla in voto ai frati cappuccini di Crocicchia, una località poco distante da Urbino (oggi fa parte del comune): l'opera oggi è nota con il nome di Madonna di san Giovanni (n. 6), fu realizzata nel 1565 e attualmente è conservata presso la Galleria Nazionale delle Marche. La critica è pressoché unanime nel ritenere la Madonna di san Giovanni la prima opera realizzata da Federico in seguito al ritorno da Roma.

Subito dopo arrivò una commissione molto importante per Federi-co Barocci: il Nobile Collegio della Mercanzia di Perugia voleva infatti che il pittore realizzasse una tela da collocare nella cattedrale della città umbra, per la precisione nella cappella di San Bernardino. Raccontano le fonti che nel novembre del 1567 il capitano Raniero Consoli giunse a capo di una delegazione di gentiluomini perugini per discutere della realizzazione del dipinto. Quest'ultimo fu conse-gnato nel 1569: si tratta della Deposizione (n. 9), una delle opere più importanti del pittore urbinate, ancora oggi conservata nella sua sede

19

Page 20: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

originaria. Pressoché contemporaneo (risale a un periodo compreso tra il 1570 e il 1573) è il Riposo dalla fuga in Egitto noto anche come Madonna delle ciliegie (n. 11) e conservato nella Pinacoteca Vaticana. È del 1575 invece un altro dei dipinti più famosi dell'artista, la Madonna del gatto (n. 15) conservata alla National Gallery di Londra (che non deve essere confusa con la Madonna della gatta, n.30, che fu realizzata a cavallo tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicen-to e che oggi è conservata agli Uffizi).

Nel frattempo, nel 1574, Guidobaldo II Della Rovere moriva e prendeva il suo posto Francesco Maria II, venticinquenne che era stato educato negli anni Sessanta alla corte di Spagna. Il nuovo duca, tra l'altro, si era fatto ritrarre due anni prima da Federico Barocci: il dipinto che lo raffigura è conservato agli Uffizi. Francesco Maria II fu, dei duchi di Urbino, quello con cui forse Federico Barocci intrattenne rapporti più stretti: esiste un prezioso documento, il Diario di Fran-cesco Maria II che non è utile solo per ricostruire il legame tra il duca e il pittore, ma è utile anche per saperne di più circa la personalità di Federico.

Emerge quindi il ritratto di un uomo insicuro, dal carattere diffici-le e molto introverso, ma connotato anche da una forte religiosità e da una fede piuttosto accesa. Ci rimangono anche alcune lettere che i due si scrissero, e l'epistolario conferma tutte le debolezze dell'uomo Barocci. C'è però da dire che, malgrado il ritratto che traspare dalle fonti, noi non possiamo conoscere a fondo la personalità di Federico Barocci e non possiamo esprimere giudizi tassativi, anche per il fatto che dagli scritti che ci sono rimasti non riusciamo a comprendere quali erano i pensieri di Federico Barocci sull'arte, e quindi possiamo dedurlo solo da ciò che abbiamo e, ovviamente, dallo stile delle sue realizzazioni.

Sulla base di tutto ciò si deve anche contestualizzare il rapporto tra Federico Barocci e la Controriforma, di cui si è parlato prima: un dibattito, quello che cerca di indagare gli aspetti che legano il pittore al movimento antiriformato, che impegna in modo costante gli studiosi. A detta di molti Federico Barocci è uno dei più grandi inter-preti del programma iconografico della Controriforma: diversi suoi dipinti sembrerebbero testimoniare l'influenza diretta che i temi del Concilio di Trento, del decreto sulle immagini sacre e dei trattati

20

Page 21: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

sull'iconografia religiosa esercitano sul pittore. Questo appare se si osservano dipinti come la stessa Deposizione, un'opera dai toni piut-tosto drammatici, oppure la Sepoltura di Cristo (n. 18), un importan-te capolavoro che Federico realizzò tra il 1579 e il 1582 per la chiesa della Confraternita del Santissimo Sacramento e Croce di Senigallia, oppure dipinti più tardi come le Stimmate di san Francesco (n. 28) o l'Istituzione dell'Eucarestia (n. 43), di cui si parlerà più avanti. Accanto a dipinti che sembrano caratterizzati da una tragicità di fondo e da un acceso misticismo o che trattano temi prettamente controriformistici come, appunto, l'istituzione dell'Eucarestia, ne troviamo invece altri che ci testimoniano una dimensione molto più intima e forse anche più sentita: per parlare di dipinti già citati si può far riferimento alla Madonna di san Giovanni e alla Madonna delle ciliegie. Dipinti che dimostrerebbero una religiosità sincera e intima, in contrasto con i dipinti più “grandiosi”. Come collocare dunque la produzione di Federico Barocci nel contesto della Controriforma?

Scendendo nei particolari è possibile guardare anche più lontano e tornare al dettaglio all'apparenza ininfluente ma in realtà piuttosto importante della formazione di Francesco Maria II Della Rovere presso la corte di Spagna. Negli anni Sessanta del Cinquecento, perio-do del soggiorno del futuro duca all'Escorial, il re di Spagna era Filip-po II, ed è quindi lecito supporre che fu il sovrano spagnolo il model-lo a cui il giovane Francesco Maria dovette ispirarsi. Filippo II era uno dei più ferventi sostenitori della Controriforma e proponeva un ideale di sovrano che governa quasi per mandato divino e che si dedi-ca alla strenua difesa della fede.

Quindi, a causa della formazione di Francesco Maria II e dei suoi conseguenti stretti rapporti con lo Stato Pontificio, testimoniati anche dalle diverse opere che da Roma venivano richieste a Federico Barocci, risulta evidente che i temi della Controriforma non dovettero avere difficoltà a penetrare nel Ducato di Urbino, che, a detta di molti storici, con Francesco Maria II va incontro a un periodo di decadenza e di perdita di prestigio che avrebbe poi portato alla fine del Ducato stesso, nonostante i grandi sforzi del duca.

Ci sono pertanto tutti i presupposti perché si possa attribuire a Federico Barocci la fama di acceso sostenitore della Controriforma o, quantomeno, di pittore che si fa carico di dare forma nei suoi dipinti

21

Page 22: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

ai temi della Controriforma in modo fedele ai dettami della Chiesa. È indubbio che Federico Barocci sia stato un pittore della Contro-

riforma (e per certi versi ne anticipò i dettami), ma è anche vero che è stato un pittore capace di interpretare in modo personale e intelligen-te i principî sanciti dal movimento: questo perché, particolare molto importante, i dipinti di Federico sono quasi sempre frutto del suo sentire. Anche quando il tema potrebbe portare l'artista a realizzare un dipinto dai toni fortemente drammatici, ed è il caso della Deposi-zione, Federico sceglie di mitigare il tutto restituendo quindi compo-sizioni che sono sempre molto raffinate ed eleganti, che conciliano “poesia e fede” come ha avuto a scrivere Andrea Emiliani, che sono connotate da una tenerezza, che derivava dallo studio delle opere del Correggio, unita a un colorismo di suggestione veneta. Colori incante-voli che fanno apparire liriche e delicate anche le rappresentazioni più drammatiche.

Predominano gli azzurrini, i rossi tenui, i gialli, i violetti, i rosa: colori che all'apparenza rimandano all'arte manierista in un periodo, quello tra gli anni Ottanta del Cinquecento e gli anni Dieci del Seicen-to, in cui il Manierismo dapprima viveva i suoi ultimi momenti e poi scompariva per lasciare spazio all'arte barocca (i rapporti tra Federi-co Barocci e l'arte barocca saranno oggetto di una esposizione più dettagliata nell'ultima sezione di questa trattazione). È indubbio che, se è strettamente necessario affibbiare un'etichetta a Federico Baroc-ci, quella che gli sta meglio è forse quella di “manierista”, ma se Barocci fu un manierista seppe tenere alte le sorti di un movimento che stava andando incontro alla fine e soprattutto seppe declinare il Manierismo con grandissima originalità e personalità.

C'è anche chi mette in relazione gli episodi più intimi della produ-zione di Federico Barocci con i dettami della Controriforma, nel senso che i dipinti più lirici sarebbero visti come un tentativo di far entrare il divino in una dimensione molto vicina all'uomo. Quello che è certo è che esiste in Barocci una volontà di creare dipinti che abbia-no una elevata efficacia comunicativa: per fare questo il pittore deci-de di spogliare le sue opere di ogni inutile orpello retorico, facendo apparire quasi “quotidiana” la sfera in cui vengono ambientate certe opere (è il caso della succitata Madonna del gatto), oppure conferen-do un'eccezionale bellezza e grazia ai soggetti di dipinti dal tema

22

Page 23: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

tragico (e qui è il caso della Deposizione di Perugia). Ancora Andrea Emiliani parla di “poetica degli affetti” nella pittura di Federico Barocci: il modo, del tutto personale, di Federico Barocci di interpre-tare la Controriforma. E forse è anche a questo suo particolare modo di coniugare esigenze controriformistiche e lirismo e delicatezza che contribuì a procurargli fama negli anni a venire. Quella di Federico Barocci è insomma una religiosità né ufficiale né solenne, ma natura-le, emozionale e quasi quotidiana.

Gli anni Ottanta coincidono con l'inizio della fase matura del pitto-re, e risalgono a questi anni alcuni capolavori come la già citata Sepoltura di Cristo, la Visitazione (n. 22), la Chiamata di sant'An-drea (n. 20) e il Martirio di san Vitale (n. 21). La Visitazione fu realizzata tra il 1583 e il 1586 per la chiesa di Santa Maria in Vallicella di Roma, nota anche come Chiesa Nuova, dove si trova ancora oggi, su commissione dei padri oratoriani della Vallicella (ovvero i membri della congregazione dell'Oratorio di San Filippo Neri, che gestivano la chiesa) : è un dipinto importante anche perché sembra che san Filip-po Neri era solito pregare davanti all'opera di Barocci, come testimo-niano alcune fonti agiografiche.

Il Martirio di san Vitale e la Chiamata di sant'Andrea risalgono entrambe al 1583-1584. Per quanto riguarda il primo dipinto, sappia-mo che fu commissionato dalla chiesa di San Vitale a Ravenna: oggi invece si trova alla Pinacoteca di Brera, dove giunse all'epoca delle spoliazioni napoleoniche. Lo stesso destino toccò alla Chiamata di sant'Andrea, che però non è più rientrata in Italia e oggi è conservata ai Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles. Bellori ci dice che fu realizzato per la Confraternita di sant'Andrea di Pesaro: lo storico ci fa anche sapere che l'opera piacque così tanto al duca Francesco Maria II che decise di farne realizzare allo stesso pittore una copia per inviarla in dono a Filippo II di Spagna. Il dipinto fu completato nel 1588 e ancora oggi è conservato all'Escorial.

Non si trattò dell'unica volta in cui Francesco Maria II si servì di Federico Barocci per inviare doni a un altro sovrano, e su questo aspetto del rapporto tra il duca e il pittore è stato scritto molto (esem-plificativi a tal proposito sono gli studi del già citato Harald Olsen e quelli dello statunitense Stuart Lingo). Ci troviamo in un periodo, quello a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta del Cinquecento,

23

Page 24: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

durante il quale Federico Barocci stava diventando uno dei più grandi protagonisti dell'arte sulla scena europea nonché uno dei pittori più influenti, e il fatto che non volle mai lasciare Urbino fu per il duca un grandissimo vantaggio, perché poteva avere a sua completa disposi-zione uno dei migliori, più apprezzati e più famosi artisti in circola-zione. Un vantaggio che il duca seppe sfruttare nel migliore dei modi, e soprattutto un vantaggio che poteva dare prestigio e risalto a un ducato il cui equilibrio era ormai diventato molto fragile.

Questo aspetto del rapporto tra i due è tuttavia piuttosto comples-so ed è stato molto studiato, perché, tra l'altro, il duca non fu soltanto un committente per il pittore, ma spesso svolgeva anche la funzione di intermediario tra Federico Barocci e committenti esterni: uno degli esempi più noti è dato dalla Crocifissione conservata presso la Catte-drale di San Lorenzo di Genova (n. 33), che fu commissionata al pittore dal senatore (poi doge tra il 1595 e il 1597) Matteo Senarega per la propria cappella. Francesco Maria II si trovò a fare da interme-diario e a facilitare i rapporti tra il pittore e l'importante politico genovese.

Si trattava di un legame, quello tra Federico Barocci e il duca di Urbino, che era utile sia al primo che al secondo (malgrado i dipinti di Federico difficilmente venissero chiesti da Francesco Maria per abbellire i suoi palazzi). Francesco Maria, come si è già detto, sfrutta-va la maestria e la fama di Federico Barocci per far accrescere il prestigio del ducato in modo “indiretto”, ovvero inviando doni alle potenze straniere (abbiamo già citato Filippo II di Spagna, ma la lista è composta da diverse personalità a cominciare dal papa e dall'impe-ratore Rodolfo II, per il quale Federico Barocci dipinse intorno al 1586 la Fuga di Enea da Troia, oggi perduta, che rappresenta la prima versione del dipinto oggi conservato presso la Galleria Borghe-se di Roma, n. 35) oppure facendo in modo che dall'estero arrivassero a Urbino richieste per dipinti realizzati da Federico Barocci. Questo spiega anche per quale motivo Francesco Maria II difficilmente commissionava al pittore opere per abbellire il ducato: voleva impie-gare le energie del pittore per acquisire importanza nelle relazioni con gli altri stati, quindi non è azzardato dire che il duca facesse un uso “politico” di Federico Barocci. Questo ruolo di intermediario da parte del duca doveva essere dettato anche dal carattere dell'artista:

24

Page 25: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

del resto si è più volte ribadito, nel corso della trattazione, quanto difficile e chiuso fosse Federico Barocci.

Dall'altro lato, il pittore traeva ovvi vantaggi dal rapporto con il duca per il fatto che grazie a questa opera di intermediazione, i suoi capolavori giungevano presso tutte le più importanti corti d'Europa, così che la sua pittura riuscì a diffondersi in ogni dove, e non è un caso se la personalità di Federico Barocci è una delle più influenti del suo tempo: si vedrà poi nell'ultima sezione di questo lavoro in quanti centri arrivò l'arte di Federico Barocci e quanti artisti riuscì a sugge-stionare.

Agli anni Novanta risale un nucleo importante della produzione di Federico Barocci, con alcuni grandissimi capolavori: il primo di questi è l'Ultima cena (n. 26) che oggi si trova nella Cattedrale di Urbino e che fu realizzata tra il 1590 e il 1599. L'opera gli fu commis-sionata dal duca, che fu il finanziatore della cappella del Santissimo Sacramento, dove l'opera doveva essere posta e dove può ancora oggi essere ammirata. Al 1596 invece risale l'Annunciazione (n. 31), un altro grande capolavoro su cui però pendono alcuni dubbi, nel senso che non sappiamo se sia interamente opera di Federico Barocci, se sia un'opera di bottega o se sia una copia con varianti della famosa Annunciazione (n. 19) eseguita negli anni Ottanta sempre per Fran-cesco Maria II Della Rovere, che voleva l'opera per la propria cappella nella Basilica di Loreto. L'Annunciazione del 1596 oggi si trova nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e gli fu commissionata, stando a ciò che testimoniano i documenti, da Laura Coli Pontani per la cappella di famiglia all'interno della Basilica stessa.

Tra gli altri capolavori è doveroso menzionare la Crocifissione realizzata per Matteo Senarega e di cui si è parlato poco fa, risalente al 1596, nonché la Fuga di Enea da Troia, anch'essa citata in prece-denza: come anticipato, è la copia di quella realizzata per Rodolfo II d'Asburgo, fu eseguita nel 1598 e oggi è conservata a Roma presso la Galleria Borghese. Stando a ciò che ci dice Giovan Pietro Bellori, questa Fuga di Enea da Troia fu realizzata per monsignor Giuliano Della Rovere (omonimo del Giuliano Della Rovere che era stato papa Giulio II): ben presto però passò nelle collezioni di Scipione Borghese (lo attesta lo stesso Bellori), ma non sappiamo bene in che modo il potente cardinale riuscì a entrare in possesso del dipinto. È probabi-

25

Page 26: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

le, ma non sicuro, che dovette trattarsi di un dono fatto dal Della Rovere a Scipione Borghese. Lo stesso cardinale Della Rovere si era fatto ritrarre nel 1595 circa dal pittore, e il dipinto che lo raffigura oggi è conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna (n. 29).

Rimanendo nell'ambito della ritrattistica, secondo gli studiosi è alla fine degli anni Novanta che risale il celeberrimo Autoritratto (n. 32) di Federico Barocci conservato agli Uffizi, con il quale il pittore dà prova di grande naturalismo e fornisce notevoli spunti agli studiosi per abbinare al suo ritratto “fisico” anche un ritratto “interiore”.

Infine, l'ultima opera da citare per quanto riguarda gli anni Novan-ti è quella nota come le Stimmate di san Francesco (n. 28) che risale al 1594-95 ed è conservata presso la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino: il dipinto gli fu commissionato da Francesco Maria II Della Rovere per una chiesa di Urbino.

Le Stimmate di san Francesco offrono anche lo spunto per riflette-re sul legame tra Federico Barocci e il francescanesimo. Il pittore stesso era terziario francescano, ovvero apparteneva all'ordine seco-lare, costituito da laici che si impegnano a vivere secondo i dettami della regola di san Francesco.

Oltre alle opere a tema francescano (le appena citate Stimmate di san Francesco e il Perdono di Assisi, n. 13, realizzato tra il 1574 e il 1576 per la chiesa di San Francesco di Urbino, sono solo le più famo-se), sono diversi i dipinti eseguiti per i francescani, come la Madon-na di san Giovanni (n. 6), che, come detto, fu consegnata ai cappuc-cini di Crocicchia come ex voto, o l'Immacolata concezione (n. 16), che fu realizzata anch'essa per la chiesa di San Francesco di Urbino, gestita dall'ordine dall'Ordine dei Frati Minori Conventuali.

Al ritorno da Roma, Federico si era avvicinato al mondo della spiritualità francescana, entrando a diretto contatto con i frati delle congregazioni: questo tipo di spiritualità era particolarmente radicato nei territori del Montefeltro, anche perché il fondatore dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, Matteo da Bascio, proveniva da queste zone (Bascio, che oggi fa parte del comune di Pennabilli, non è lonta-na da Urbino). Marchigiano era anche Ludovico da Fossombrone, che faceva parte, insieme a Matteo da Bascio e ad altri, del gruppo che ottenne nel 1528 da Clemente VII (con la bolla Religionis zelus) l'ap-provazione della regola che sanciva ufficialmente la nascita dell'ordi-

26

Page 27: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

ne.È dal contatto e dalla vicinanza con i frati francescani che Federico

Barocci arriva a quella spiritualità sincera e forte e a quella religiosità che in certe opere arriva a sfiorare il misticismo e la drammaticità. Una vicinanza che si nota soprattutto nelle opere realizzate negli anni che seguirono il ritorno da Roma del pittore. È del resto noto che i frati francescani propongono un ideale religioso molto fedele al detta-to evangelico e quindi votato alla preghiera, alla povertà, al ritiro e alla meditazione. Valori che Federico Barocci cerca di trasferire nei suoi dipinti.

Il nuovo secolo si apre con alcune importanti committenze, in particolare due dipinti realizzati per il Duomo di Milano: Sant'Am-brogio perdona Teodosio (n. 38), che il pittore realizzò tra il 1600 e il 1603 avvalendosi dell'aiuto della bottega e che ancora oggi è conser-vato nell'altare di sant'Ambrogio all'interno del Duomo, e il grande capolavoro, l'incompiuto Compianto sul Cristo morto (n. 39) che Federico Barocci iniziò nel 1600 ma non ebbe modo di terminare. Oggi fa parte delle raccolte d'arte comunali di Bologna ed è conserva-to presso la Biblioteca dell'Archiginnasio. Fin dal 1592 il capitolo del Duomo di Milano aveva tentato di ottenere dipinti di Federico Baroc-ci e si dette quindi molto da fare per avviare i contatti con il pittore: oltre a questi due dipinti Barocci realizzò per la cattedrale milanese nel 1597 anche un Presepe di cui però non si hanno più notizie.

Tra gli altri capolavori di questo periodo conclusivo della carriera e della vita di Federico Barocci è necessario citare due tele che oggi sono conservate a Roma: la Presentazione della Vergine al Tempio (n. 40), che si trova nella chiesa di Santa Maria in Vallicella, e l'Istitu-zione dell'Eucarestia (n. 43), che invece si trova nella basilica di Santa Maria Sopra Minerva. Per la prima delle due chiese, Federico Barocci aveva già realizzato la Visitazione, così che gli oratoriani deci-sero di affidargli anche l'incarico di realizzare la pala destinata alla cappella del transetto sinistro dell'edificio sacro: il dipinto fu conse-gnato nel 1603.

L'Istituzione dell'Eucarestia è uno degli ultimi capolavori di Fede-rico Barocci: gli fu commissionata direttamente da papa Clemente VIII, Ippolito Aldobrandini, per la cappella di famiglia all'interno della basilica di Santa Maria sopra Minerva dove si trova ancora oggi:

27

Page 28: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

è probabile che questa commissione fu facilitata dalla visita di Clemente VIII a Urbino avvenuta nel 1598, occasione durante la quale si ipotizza che il pontefice abbia conosciuto il pittore. Bellori dice che durante la visita Francesco Maria II regalò al papa un'acqua-santiera d'oro dipinta da Federico Barocci con un Gesù Bambino benedicente. L'Istituzione dell'Eucarestia fu consegnata nel 1611 e rappresenta uno dei dipinti più controriformistici di Federico Baroc-ci.

Tra gli ultimi dipinti è necessario poi citare l'Ecce Homo della Pinacoteca di Brera (n. 45), che Federico lasciò incompiuto all'anno della sua scomparsa, il 1612, e che fu completato dall'allievo Ventura Mazza, e poi il Crocifisso del 1604 conservato al Prado (n. 41).

Questa è una delle ultime opere in cui appare il profilo del Palazzo Ducale di Urbino, e in particolare Federico dipinge la facciata dei “torricini”, ovvero il profilo del palazzo così come lo vedeva dalla propria abitazione, che esiste ancora oggi.

Il legame tra Federico Barocci e Urbino fu un legame molto profondo: il pittore era continuamente ispirato dalla sua città, città che amava molto e dalla quale, dopo il ritorno da Roma, non volle mai separarsi. Motivo per cui pensò di rappresentarla spesso nelle sue opere inserendo in moltissimi dipinti il profilo del Palazzo che Luciano Laurana progettò nel Quattrocento per Federico da Monte-feltro.

Un rapporto stretto quello tra il pittore e la sua terra, e la piena comprensione dell'arte di Federico Barocci non può prescindere dalla comprensione dell'importanza che Urbino aveva per lui. Una città in cui si era consumata quasi tutta l'esistenza di un pittore destinato a diventare uno degli artisti più influenti del suo tempo.

28

Page 29: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

II. Le opere

Page 30: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

1. Estasi di santa Cecilia

Urbino, Cattedrale1555 circaOlio su tela, 200 x 145 cmImmagine

Si tratta della prima opera nota di Federico Barocci, realizzata durante gli anni Cinquanta del Cinquecento e attualmente conservata presso la cattedrale della sua città natale.

La santa è al centro della composizione, in estasi, mentre rivolge lo sguardo verso l'alto osservando gli angeli che suonano strumenti musicali. Al suo fianco troviamo quattro santi, da sinistra santa Maria Maddalena (con in mano il vaso di unguento, suo classico attri-buto iconografico), san Giovanni, con i consueti tratti somatici effe-minati e con il Vangelo in mano, san Paolo, che regge tra le mani la spada, e santa Caterina d'Alessandria che poggia il piede sulla ruota, strumento del suo martirio.

A terra vediamo inoltre gli strumenti musicali rotti, segno che la santa non è più attratta dalla musica terrena ma soltanto da quella celeste, rappresentata dagli angeli.

Non sappiamo bene per quale motivo santa Cecilia si associata alla musica (tanto che oggi è la santa patrona della musica). Forse il tutto deriva da un inno in latino il cui testo recita Cantantibus organis Caecilia virgo in corde suo soli Domino decantabat (“mentre suona-vano gli strumenti, la giovane Cecilia nel suo cuore cantava solo per il Signore”).

La composizione deriva con evidenza dall'Estasi di santa Cecilia di Raffaello attualmente conservata alla Pinacoteca Nazionale di Bolo-gna: un richiamo notato anche da Giovan Pietro Bellori, che parla di una Santa Cecilia imitata da Rafaelle. Tuttavia è molto probabile che Federico Barocci non abbia osservato direttamente il dipinto, e che lo abbia quindi conosciuto attraverso stampe e incisioni come quelle di Marcantonio Raimondi. Gli studiosi hanno infatti riscontrato che l'Estasi di santa Cecilia di Federico Barocci mostra maggiori debiti nei confronti dei disegni di Raimondi che non nei confronti della pala di Raffaello, dunque è quasi sicuro che il pittore non ebbe conoscenza

30

Page 31: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

diretta del dipinto realizzato dal suo grande concittadino.L'opera conservata nella cattedrale di Urbino dimostra le iniziali

influenze dello stile di Battista Franco e di Francesco Menzocchi sul pittore, ma anche il notevole studio dell'arte di Tiziano, che Federico può aver appreso osservando i dipinti del pittore veneziano presenti nelle collezioni del ducato di Urbino: la testa di san Paolo infatti è pressoché identica a quella dell'apostolo che si trova alla destra di Gesù nell'Ultima cena di Tiziano conservata presso la Galleria Nazio-nale delle Marche di Urbino.

31

Page 32: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

2. Martirio di san Sebastiano

Urbino, Cattedrale1557-1558Olio su tela, 405 x 225 cmImmagine

Il protagonista di questa pala centinata è al centro della scena, sereno, mentre osserva i suoi carnefici. Uno di questi, incredibilmen-te vicino, sta per scoccare una freccia: notiamo che una si è già confic-cata nel corpo del santo, che tuttavia sembra quasi non soffrire e non avvertire il dolore. In alto, sopra le nuvole, la Madonna con Gesù Bambino e gli angeli osservano il martirio di san Sebastiano, sullo sfondo di un cielo che mostra ancora chiare suggestioni tizianesche. Da Tiziano sembrerebbe derivare anche la posa della Madonna con il Bambino, in particolare dalla cosiddetta Pala Gozzi, che rappresenta la Madonna insieme ai santi Francesco e Biagio e al donatore Luigi Gozzi ed è conservata presso il Museo Civico di Ancona.

La posa di san Sebastiano e del suo carnefice invece rimanda a Michelangelo, studiato direttamente a Roma e indirettamente attra-verso il primo maestro Battista Franco. Le gambe dei due protagoni-sti del dipinto hanno identica posizione: la gamba sinistra avanzata, la destra arretrata con il tallone sollevato. Tuttavia lo stile sembra già allontanarsi da quello di Battista Franco e, al contrario, avvicinarsi a quello di Tiziano. La delicatezza nella resa degli incarnati (soprattutto il corpo, in primo piano, di san Sebastiano) avrebbe infatti qualche debito nei confronti del pittore cadorino.

L'opera fu commissionata a Federico Barocci nel novembre del 1557 per la cappella di San Sebastiano all'interno della Cattedrale di Urbino: è ancora lì che oggi la si può ammirare.

32

Page 33: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

3. Ritratto di Antonio Galli

Copenaghen, Statens Museum for Kunst1558-1560Olio su tela, 108 x 84 cmImmagine

Antonio Galli era un intellettuale umanista nonché poeta attivo presso la corte dei Della Rovere, e durante gli anni Cinquanta fu “ajo”, ovvero precettore, del futuro duca Francesco Maria II: in questo particolare ruolo era succeduto a un altro grande umanista che fu attivo a Urbino, Girolamo Muzio.

Il ritratto che raffigura Antonio Galli è un altro esempio di quanto in questo periodo Federico Barocci fosse interessato allo studio della pittura di Tiziano.

Quindi vediamo i frutti di questo studio anche nella ritrattistica, e sappiamo che presso la corte di Urbino c'erano ottimi esempi di ritrattistica tizianesca: si è parlato in precedenza del Ritratto di Francesco Maria I Della Rovere e del Ritratto di Eleonora Gonzaga, moglie di Francesco Maria I. Entrambi i dipinti si trovano oggi agli Uffizi e volevano un po' ispirarsi al doppio ritratto di Federico da Montefeltro e Battista Sforza realizzato da Piero della Francesca.

Un rapporto, quello tra Federico Barocci e Tiziano, che qui notia-mo non soltanto nella tecnica di realizzazione e nelle scelte cromati-che, ma anche nella rappresentazione di alcuni particolari, come l'orologio da tavolo che vediamo sulla destra nel ritratto di Antonio Galli e che notiamo anche nel ritratto di Eleonora Gonzaga di Tizia-no, sulla sinistra, vicino al cane. Il modo in cui il giovane Federico raffigura capelli e barba del poeta richiamano invece il ritratto di Francesco Maria I.

Una vicinanza che ha portato anche alcuni studiosi in passato ad attribuire questo ritratto allo stesso Tiziano e si deve, tra gli altri, ad Harald Olsen il merito di aver riassegnato il dipinto a Federico Baroc-ci.

33

Page 34: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

4. Sacra Famiglia

Città del Vaticano, Casino di Pio IV1561-1563AffrescoImmagine

Si tratta dell'affresco che decora una delle due stanze che furono affrescate da Federico Barocci. L'opera è importante anche perché il pittore si cimenta qui per la prima e ultima volta con la tecnica dell'affresco, quindi la stanza della Sacra Famiglia assieme a quella dell'Annunciazione sono le uniche testimonianze che abbiamo di affreschi realizzati da Federico Barocci.

L'ambientazione è molto intima, quasi quotidiana: i personaggi si trovano all'interno di una casa, arredata in modo molto semplice. La Madonna tiene il Bambino sul grembo mentre san Giovannino si inginocchia davanti a loro e in primo piano sant'Anna (che Bellori riconosce come santa Elisabetta) assiste alla scena e san Giuseppe rivolge invece lo sguardo verso l'osservatore.

Sono molti i particolari che ci portano in una dimensione molto familiare: vediamo stoviglie, una cesta, un cagnolino vicino ai piedi di san Giuseppe. Questo modo di rappresentare le scene sacre, soprat-tutto quelle che hanno per tema la Sacra Famiglia, tornerà molto spesso nell'arte di Federico Barocci e diventerà quasi un tratto distin-tivo della sua pittura.

In questo periodo della sua carriera, Federico Barocci si avvicina all'arte degli Zuccari, Taddeo e Federico, che lavorarono con lui alla decorazione del Casino di Pio IV in Vaticano.

Nella stessa stanza, ai quattro angoli, appaiono le figure di quattro virtù: laetitia, felicitas, virtus e tranquillitas.

34

Page 35: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

5. Annunciazione

Città del Vaticano, Casino di Pio IV1561-1563AffrescoImmagine

L'Annunciazione è l'affresco che decora la volta della seconda stan-za decorata da Federico Barocci nel Casino di Pio IV.

Anche questa, al pari della precedente, è una composizione dal tono piuttosto familiare, con l'arcangelo Gabriele che irrompe da destra nella scena e distoglie Maria dalla lettura: la Vergine, ancora con il libro davanti a sé aperto, si volta indietro per osservare l'angelo in modo molto naturale.

Il modo raffinato con il quale Federico Barocci delinea i tratti dei due personaggi potrebbe far pensare a suggestioni correggesche: l'ar-tista potrebbe essere entrato con il Correggio durante un viaggio a Parma, che gli studiosi ipotizzano possa essere stato compiuto prima del secondo soggiorno a Roma, per la precisione intorno al 1559.

Le figure di Maria e dell'arcangelo furono apprezzate anche da Bellori, che le descrisse, rispetto a quelle della prima stanza, come figure più picciole, ma raramente condotte.

In seguito all'Annunciazione, Federico Barocci iniziò a decorare un'ulteriore stanza con il tema delle Storie di Mosè, ma non terminò il lavoro in quanto nel 1563 lasciò in fretta Roma per i motivi che sono stati discussi nella prima sezione della trattazione.

35

Page 36: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

6. Madonna di san Giovanni

Urbino, Galleria Nazionale delle Marche1565 circaOlio su tela, 151 x 115 cmImmagine

La Madonna di san Giovanni, così chiamata per la presenza dell'e-vangelista inginocchiato davanti alla Vergine con il Bambino, è il primo dipinto realizzato da Federico Barocci dopo il suo ritorno da Roma, in seguito a un paio di anni di inattività.

L'opera, come testimonia Giovan Pietro Bellori, fu realizzata come ex voto e regalata ai frati cappuccini di Crocicchia, località nei pressi di Urbino: sentendosi però alquanto meglio, fece un quadretto con la Vergine, e 'l figliuolo Gesù, che benedice San Giovanni fanciullo; e lo diede in voto ai Padri Cappuccini di Crocicchia, due miglia fuori d'Urbino; là dove egli soleva trattenersi in suo podere. Il dipinto testimonia anche i primi contatti tra Federico Barocci e il francesca-nesimo, per un rapporto che diventerà molto stretto negli anni a venire. Si trattava dunque di un dipinto “privato”, intimo, e l'atmosfe-ra della composizione ci suggerisce del resto come la Madonna di san Giovanni sia un frutto del sentire personale dell'artista. San Giovanni è raffigurato con i soliti tratti giovanili, quasi effeminati, e di partico-lare efficacia espressiva è il particolare del Bambino che dona un fiore all'evangelista.

Federico Barocci dimostra ancora una notevole base correggesca, che si evince non soltanto dalla delicatezza dei lineamenti dei perso-naggi, ma anche dall'utilizzo della tecnica dello sfumato, che il pittore adottò anche nelle decorazioni del Casino di Pio IV. Le suggestioni derivano anche dall'arte di Raffaello: la posa della Madonna che tiene il Bambino per un piede ricorda infatti quella della Madonna di Orléans di Raffaello, attualmente conservata al Musée Condé di Chantilly. Come altre opere di Federico Barocci, la Madonna di san Giovanni (che si trovava all'epoca nel convento dei cappuccini) fu coinvolta nelle spoliazioni napoleoniche e fu condotta a Brera nel 1811: il dipinto fu poi recuperato nel 1826 e oggi è conservato presso la Galleria Nazionale delle Marche.

36

Page 37: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

7. Crocifissione

Urbino, Galleria Nazionale delle Marche1566-1567Olio su tela, 288 x 161 cmImmagine

Nota anche come Crocifissione con i dolenti, l'opera fu dipinta per il conte Pietro Bonarelli di Ancona, che faceva parte della corte di Guidobaldo II Della Rovere, e doveva essere posta nella chiesa del Crocifisso Miracoloso di Urbino: questa è la notizia che ci dà Giovan Pietro Bellori circa il dipinto.

Per l'idea generale della composizione, Federico Barocci potrebbe essersi ispirato, ancora una volta, a Tiziano, e in particolare alla Crocifissione conservata presso la chiesa di San Domenico di Ancona: si ipotizza che il pittore urbinate abbia studiato il dipinto di Tiziano vista anche la provenienza del committente.

Ci sono però notevoli differenze tra la pala di Barocci e quella di Tiziano: oltre all'ovvia assenza, nella Crocifissione di Barocci, di san Domenico (che in Tiziano troviamo ad abbracciare la croce), notiamo innanzitutto linee molto più dolci e delicate in Barocci. La Crocifis-sione di Tiziano risale al 1558, ovvero a un periodo in cui lo stile del pittore veneto si fa più aspro.

Vediamo poi che le pose e soprattutto le espressioni dei due dolen-ti (la Madonna e san Giovanni) sono diverse, osserviamo due angeli alla destra e alla sinistra di Cristo (assenti in Tiziano) e infine notia-mo come sullo sfondo Barocci inserisca il paesaggio urbinate: si tratta della prima volta nella sua produzione in cui la città di Urbino fa da sfondo a un dipinto, e questa peculiarità andrà a caratterizzare molti altri suoi capolavori.

37

Page 38: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

8. Madonna di san Simone

Urbino, Galleria Nazionale delle Marche1567 circaOlio su tela, 283 x 190 cmImmagine

La tela fu realizzata nel 1567, forse prima che Federico Barocci ricevette l'incarico di realizzare la Deposizione (n. 9) di Perugia, come suggerisce Bellori. L'opera fu eseguita per la chiesa di San Francesco a Urbino e affronta il tema della sacra conversazione, ovvero il tema in base al quale la Madonna con il Bambino si trova al centro della scena circondata da santi, che in questo caso sono san Simone (che dà il nome al dipinto) sulla destra e san Taddeo sulla sinistra. Secon-do le agiografie, Simone (noto anche come “Simone il Cananeo” o “Simone lo Zelota” per distinguerlo da Simon Pietro) e Taddeo condussero assieme la propria attività di predicazione in Mesopota-mia: per questo motivo i due santi sono spesso associati. Simone viene rappresentato con la sega in quanto la sega fu, secondo la tradi-zione, lo strumento del suo martirio: è lo stesso motivo per cui Taddeo viene raffigurato con una lancia tra le mani.

Sopra ai due personaggi principali troviamo un angioletto in volo, che arriva per porre una corona di fiori sul capo della Madonna, e in basso sulla destra troviamo i donatori, un uomo e una donna, di cui tuttavia non conosciamo l'identità: possiamo solo ipotizzare che si trattasse di personaggi facoltosi, dal momento che possedevano una cappella all'interno della chiesa.

La scena ha un'ambientazione piuttosto umile, rurale, e ci colpi-scono ancora i colori brillanti che caratterizzano le vesti dei perso-naggi nonché la delicatezza con la quale vengono resi i loro incarnati: una delicatezza ancora memore delle soluzioni adottate dal Correg-gio.

38

Page 39: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

9. Deposizione

Perugia, Cattedrale di San Lorenzo1567-1569Olio su tela, 412 x 232 cmImmagine

La Deposizione di Perugia è uno dei più importanti e più famosi capolavori di Federico Barocci. La grandiosa pala gli fu commissiona-ta nel 1567 dal Nobile Collegio della Mercanzia di Perugia per la cappella di San Bernardino all'interno della cattedrale (dove si trova ancora al giorno d'oggi), e fu consegnata dal pittore nel 1569. Tuttavia non è ancora stato stabilito con certezza se il pittore, come era solito fare, abbia realizzato il dipinto a Urbino e lo abbia poi spedito a Peru-gia o se compiuto un viaggio nella città umbra, come lascerebbe supporre Giovan Pietro Bellori (capitarono in Urbino alcuni genti-luomini Perugini […] fecero risoluzione di condurre il Barocci nella patria loro; né passò molto tempo, che lo chiamarono a Perugia, dove egli stesso volle trasferirsi a dipingere quell'opera). Lo stesso Bellori dimostrò di apprezzare fortemente questo capolavoro, dedi-candogli una sezione della sua Vita di Federico Barocci e definendola come un'opera che rende Federico Barocci glorioso fra i pittori di maggior fama.

Durante il periodo delle spoliazioni napoleoniche la Deposizione fu portata a Parigi ed esposta al Louvre, per poi essere restituita alla Cattedrale di Perugia nel 1815.

L'opera è stata restaurata di recente, nel 2009, in occasione della mostra monografica “Federico Barocci. L'incanto del colore – Una lezione per due secoli” che si è svolta a Siena tra la fine del 2009 e gli inizi del 2010: il restauro ha contribuito a donare alla tela la sua luminosità e il suo cromatismo originari.

La Deposizione è una composizione di grande respiro, che colpisce l'osservatore per la sua teatralità e per la sua drammaticità, che comunque il pittore stempera grazie all'utilizzo dello sfumato correg-gesco che contribuisce a rendere la composizione molto delicata dando così il senso di una tragicità composta. Le linee contribuiscono a convogliare lo sguardo dell'osservatore verso Cristo, la cui rappre-

39

Page 40: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

sentazione accresce il senso di sofferenza che si evince dall'opera perché viene raffigurato appeso per un solo braccio alla croce. Da notare poi alcune finezze, per esempio le vesti e i capelli del giovane sulla scala a sinistra che sembrano mossi dal vento (così come la chioma, in basso, di san Giovanni che regge Gesù per i piedi) oppure la fibbia che orna la manica di Giuseppe di Arimatea, che sta sulla destra e si regge a uno dei bracci della croce, o ancora la decorazione delle vesti e l'acconciature delle tre donne (la Maddalena, Maria di Cleofa e una terza dall'identità sconosciuta) che sorreggono Maria e che secondo il Vangelo di Matteo e quello di Marco assistettero alla Crocifissione. Il personaggio che vediamo sulla destra che osserva la scena è san Bernardino, titolare della cappella all'interno della quale l'opera doveva essere posta.

La composizione è molto studiata, come ci testimonia l'elevato numero di disegni, e soprattutto è altamente innovativa perché propone un dinamismo e un senso del movimento uniti a una efficace stesura cromatica (prevalgono toni luminosi: rossi, azzurri, gialli arancioni) che insieme contribuiscono a rendere questa pala uno dei più grandi capolavori non solo di Federico Barocci ma di tutto il Cinquecento.

40

Page 41: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

10. Autoritratto

Firenze, Galleria degli Uffizi1570-1575 circaOlio su carta, 31 x 23 cmImmagine

Questo autoritratto conservato presso la Galleria degli Uffizi, in un inventario del Settecento veniva attribuito ad Ambrogio Barocci, ma l'assegnazione giusta è quella che vuole il dipinto eseguito da Federi-co. In questo inventario, redatto da Giovanni Francesco Bianchi tra il 1704 e il 1714, si parla di un dipinto alto braccia 1 soldi 6 e largo braccia 1, dipintovi su la tela di sua mano il ritratto di Ambrogio Baroccio d'Urbino, con pochi capelli e barba nera, con collarino piccolo aggiuntovi sopra l'asse parte del campo et un fregio attorno a rabeschi di color di pietra, con ornamento simile ai suddetti.

La datazione non è sicura ma si può desumere dall'età che il pitto-re sembra dimostrare, quindi possiamo ipotizzare che sia stato realiz-zato negli anni Settanta del Cinquecento.

Come l'Autoritratto eseguito in tarda età e risalente al 1596-1600 circa (n. 32) anche questo dipinto era presente nelle collezioni del cardinale Leopoldo de' Medici ed è annotato in un inventario redatto nel 1676 come il ritratto del Baroccio di mezz'età con barba nera e pochi capelli simili, collare piccolo a lattughe et il giubbone abboz-zato, con adornamento simile.

Il dipinto si trovava in condizioni di conservazione piuttosto preca-rie e ha subito un restauro nel corso degli anni Settanta del Novecen-to, a quattrocento anni esatti dalla sua realizzazione.

41

Page 42: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

11. Madonna delle ciliegie

Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana1570-1573Olio su tela, 133 x 130 cmImmagine

La Madonna delle ciliegie è l'altro nome con cui è noto il Riposo durante la fuga in Egitto conservato presso la Pinacoteca Vaticana: è infatti quest'ultimo il tema del dipinto, mentre le ciliegie sono quelle che san Giuseppe sta passando, con aria divertita, a Gesù Bambino che accetta sorridendo. La Madonna invece sta riempendo una scodella con l'acqua di un ruscello che scorre sulla sinistra, e vicino vediamo una serie di oggetti, tra cui una bisaccia da cui spunta un tozzo di pane e un cappello di paglia (che ritorna spesso nelle compo-sizioni di Barocci), che contribuiscono a dare un tono molto semplice e molto familiare alla scena.

Il particolare della Madonna che riempie una scodella sembrereb-be quasi essere un omaggio al Correggio e a uno dei suoi dipinti più noti, la Madonna della scodella conservata alla Galleria Nazionale di Parma, una tela che, come la Madonna delle ciliegie, affronta il tema del riposo durante la fuga in Egitto.

Le ciliegie sono un particolare importante perché costituiscono una variazione al tema classico: secondo la tradizione infatti è la palma la pianta sotto alla quale la Sacra Famiglia si ristora durante la fuga, e Federico Barocci decide di sostituirla con un ciliegio. Un'opera molto suggestiva, caratterizzata da una resa degli affetti molto profonda e sentita, per un risultato molto intimo e delicato.

La Madonna delle ciliegie deriva da un originale che Federico Barocci realizzò per il duca Guidobaldo: quest'ultimo, con ogni probabilità, donò il dipinto alla nuora Lucrezia d'Este in occasione del matrimonio con Francesco Maria II.

Si trattò, con evidenza, di un'opera che godette di grande fortuna visto che altri committenti la fecero replicare, per non parlare delle diverse stampe di epoche successive che la riproducono.

La versione della Pinacoteca Vaticana fu commissionata da un collezionista di nome Simonetto Anastagi, che forse era uno dei

42

Page 43: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

gentiluomini Perugini, citati da Bellori, che fecero visita al pittore per chiedergli di realizzare la Deposizione da collocare nella Cattedrale di Perugia. Il committente ricevette l'opera nell'ottobre del 1573, e alla sua scomparsa la Madonna delle ciliegie entrò nella chiesa del Gesù di Perugia: a seguito della soppressione dell'ordine dei Gesuiti nel 1773, la tela entrò nel Palazzo del Quirinale e quindi nella Pinacoteca Vaticana.

43

Page 44: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

12. Ritratto di Francesco Maria II Della Rovere

Firenze, Galleria degli Uffizi1572Olio su tela, 113 x 93 cmImmagine

È il ritratto forse più famoso di Federico Barocci quello che raffigu-ra Francesco Maria II Della Rovere, futuro duca di Urbino, nel 1572 all'età di ventitré anni (sarebbe diventato duca due anni più tardi). Il dipinto fu eseguito al ritorno del giovane dalla vittoriosa battaglia di Lepanto, alla quale aveva partecipato l'anno prima come Capitano Generale dell'esercito del Ducato di Urbino, che si era imbarcato per supportare la Lega Santa guidata da Don Giovanni d'Austria.

Anche per questo ritratto il paragone è con Tiziano, i cui esempi nell'ambito della ritrattistica presenti alla corte di Urbino sono stati menzionati in precedenza: in particolare il confronto, in questo caso, è con il Ritratto di Francesco Maria I Della Rovere, il nonno di Fran-cesco Maria II.

Il ventitreenne futuro duca è ritratto in una elegantissima armatu-ra, finemente decorata, a cui Federico dedica una elevata attenzione descrivendo i dettagli con altissima precisione e aggiungendo una nota accesa con la fascia rossa che solca il petto del giovane condot-tiero. La mano sinistra è poggiata sul fianco, mentre la destra regge l'elmo: quest'ultimo gesto potrebbe far pensare a una conoscenza del Ritratto di Filippo II, sempre di Tiziano, conservato al Prado. Alcuni disegni preparatori testimoniano un certo studio da parte del pittore per quanto riguarda la rappresentazione dello scorcio delle mani.

Federico Barocci dedica poi una grande cura anche alla raffigura-zione del volto di Francesco Maria II. La pelle bianca con un lieve arrossamento sulle guance, la barba composta che cela le labbra sotti-li, gli occhi espressivi che guardano verso l'osservatore: tutti partico-lari attraverso i quali l'artista ha voluto esprimere l'orgoglio di Fran-cesco Maria e che insieme a tutto il resto del dipinto contribuiscono a rendere questo ritratto uno dei più naturali e realistici di tutto il Cinquecento.

44

Page 45: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

13. Perdono di Assisi

Urbino, San Francesco1574-76Olio su tela, 427 x 236 cmImmagine

Altro dipinto realizzato per la chiesa di San Francesco di Urbino, il Perdono di Assisi affronta un tema del repertorio francescano: il momento in cui san Francesco, inginocchiato a pregare all'interno della propria chiesetta (la Porziuncola, oggi all'interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli), chiede a Gesù e alla Madonna il perdono dei peccati per tutti coloro che, nei tempi futuri, avrebbero visitato la sua cappella.

Il dipinto fu commissionato da un certo Nicolò Ventura, che fece anche inserire, sulla destra, la figura di san Nicola al posto di quella di santa Chiara, che compariva nei primi disegni di questo dipinto.

La composizione ricorda la Trasfigurazione di Raffaello nella sua impostazione divisa su due registri, il più alto dei quali occupato al centro dall'apparizione della figura di Cristo, ma ci sono analogie anche con un dipinto di Tiziano che si trovava in una chiesa di Urbi-no, la Resurrezione oggi conservata sempre nella stessa città ma presso la Galleria Nazionale delle Marche.

Tuttavia la figura più interessante sembra essere quella di san Francesco, che viene scorciato in un modo piuttosto ardito: uno scor-cio che ricorda il san Francesco della Madonna di Foligno di Raffael-lo ma che ricorda anche una soluzione già adottata dallo stesso Barocci, ovvero il san Giovanni che compare nella Crocifissione commissionata dal conte Pietro Bonarelli (n. 7). È interessante anche notare come la testa del santo non faccia parte della tela: è stata infat-ti realizzata a parte e quindi incollata, si nota uno stacco molto netto, ed è ipotizzabile pertanto che l'artista fosse più soddisfatto del bozzetto che della realizzazione finale e abbia quindi deciso di sosti-tuire la testa del santo. Molto efficace è poi il particolare della porta sullo sfondo che si apre e lascia intravedere all'osservatore l'interno della chiesetta, dove vediamo un “dipinto nel dipinto” che raffigura una crocifissione.

45

Page 46: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

L'opera ebbe grande successo, come testimonia il numero di stam-pe e incisioni tratte da questo lavoro. Lo stesso Bellori ha dedicato un'ampia sezione della sua Vita di Federico Barocci al Perdono di Assisi, descrivendo minuziosamente ogni dettaglio di questo impor-tante capolavoro.

46

Page 47: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

14. Ritratto di fanciulla

Firenze, Galleria degli Uffizi1570-1575 circaOlio su carta incollata su tela, 45 x 33 cmImmagine

Non conosciamo l'identità della ragazza ritratta in questo dipinto: per lungo tempo si è pensato che potesse essere Lavinia Della Rovere (1558 – 1632), sorella di Francesco Maria II, vista anche l'età compa-tibile con la cronologia del dipinto (non conosciamo comunque con esattezza la data di realizzazione) e vista la somiglianza somatica con il duca (n. 12). Questa ipotesi fu lanciata per la prima volta da Harald Olsen, che datò il dipinto alla prima metà degli anni Settanta viste anche le somiglianze con la Madonna del gatto (n. 15). L'ipotesi sembrerebbe essere avvalorata anche da quanto scrive Bellori: fece il ritratto del medesimo Duca, della marchesa del Vasto, del Marchese e di Monsignor della Rovere (la marchesa del Vasto era Lavinia Della Rovere).

Nel 2001 però lo storico dell'arte Luciano Arcangeli ha preferito rifiutare l'identificazione della giovane con Lavinia Della Rovere e la critica recente si è attestata su questa posizione. Si tratta tuttavia di una ragazzina che con tutta probabilità faceva parte della corte di Urbino.

La datazione non è accettata in modo unanime da parte della criti-ca: c'è, per esempio, chi la considera come un'opera degli anni Novanta e chi invece preferisce collocarla ai primi anni del XVII seco-lo.

È uno dei rari ritratti femminili eseguiti da Federico Barocci, e ci colpisce per il vivo naturalismo con cui viene raffigurato il giovane volto dall'aria fresca e delicata.

47

Page 48: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

15. Madonna del gatto

Londra, National Gallery1575 circaOlio su tela, 112 x 92 cmImmagine

Per questo signore dipinse un altro scherzo; la Vergine sedente in una camera col Bambino in seno, a cui addita un gatto, che si slan-cia ad una rondinella tenuta da San Giovannino, legata in alto col filo, e dietro si appoggia San Giuseppe con la mano ad un tavolino, e si fa avanti per vedere. Il “signore” è il conte Antonio Brancaleoni, e la descrizione è di Giovan Pietro Bellori. Lo stesso conte aveva commissionato a Federico Barocci una replica della Madonna delle ciliegie (n. 11) che oggi è conservata a Piobbico, in provincia di Pesa-ro-Urbino, presso la chiesa di Santo Stefano.

La Madonna del gatto (da non confondersi con la Madonna della gatta, n.30) è uno dei dipinti più gioiosi e familiari e quindi più apprezzati di Federico Barocci, e prende il nome dal gatto bianco a macchie rosse che si alza sulle zampe posteriori e osserva, in modo molto naturale, il cardellino (simbolo della Passione) tenuto in mano da san Giovannino. Quest'ultimo viene sorretto dalla Madonna, che con l'altra mano regge il Bambino e alza i piedi quasi a voler provoca-re il gatto, mentre da dietro san Giuseppe osserva divertito la scena sorridendo. Nelle suole consunte delle calzature della Madonna, alcu-ni vedono quasi una sorta di anticipazione della Madonna dei pellegrini di Caravaggio, perché il particolare sarebbe assimilabile ai piedi in primo piano del pellegrino inginocchiato di fronte alla Madonna nella tela di Michelangelo Merisi.

Gesù sembra essere talmente preso a osservare il gatto che quasi si dimentica della mammella della madre, dalla quale con tutta eviden-za stava succhiando il latte e dalla quale distoglie lo sguardo.

Si ha quasi l'impressione di vedere non la famiglia di Gesù, ma una normale famiglia “terrena” in una scena di vita quotidiana: una composizione che quindi si contraddistingue per la sua grande spen-sieratezza e per la sua atmosfera serena e rilassata. Ad accrescere questa sensazione, l'ambientazione domestica con oggetti della vita

48

Page 49: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

quotidiana, come la cesta che appare in basso e dentro alla quale notiamo un cuscino.

Il dipinto, durante il Settecento, entrò a far parte delle raccolte di un collezionista perugino per poi passare, nell'Ottocento, presso due collezionisti inglesi, l'ultimo dei quali, William Holwell Carr, cedette la Madonna del gatto alla National Gallery di Londra dove ancora oggi si può ammirare.

49

Page 50: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

16. Immacolata concezione

Urbino, Galleria Nazionale delle Marche1575 circaOlio su tela, 217 x 144 cmImmagine

Un'altra pala destinata alla chiesa di San Francesco di Urbino, questa volta commissionata dalla Compagnia della Concezione. La datazione che farebbe risalire l'opera al 1575 circa, in assenza di documenti certi, si deve a un disegno conservato agli Uffizi all'interno del quale si vede uno studio della testa del Gesù Bambino della Madonna del gatto (n. 15) e un altro delle mani della bambina che si trova in basso a destra nell'Immacolata concezione.

Il tema era particolarmente caro all'ambiente francescano, ma era tuttavia, a quel tempo, al centro di polemiche, tanto che si dovrà attendere fino al 1854 con Pio IX la definizione ufficiale del dogma dell'Immacolata concezione da parte della Chiesa. Federico Barocci, con questa tela, rivisita la tradizionale iconografia che voleva la Madonna in cielo con il capo coronato di dodici stelle e con il piede poggiato sopra alla luna e al drago: si tratta di un'iconografia che deriva in parte da un passo del libro dell'Apocalisse (12, 1). Un esem-pio simile di questo modo di rappresentare il tema, più o meno coevo a Federico Barocci ma rispetto a lui più tradizionale, si può ravvisare nell'Immacolata concezione di Francesco Vanni (circa 1588), pittore senese la cui arte presenta diverse suggestioni baroccesche (come del resto risulta evidente da questo dipinto).

L'artista urbinate propone una sorta di “misto” tra il tema dell'Im-macolata concezione e quello della Madonna della Misericordia, ovvero il tema in base al quale la Madonna viene rappresentata mentre apre il suo manto per accogliere i fedeli, che solitamente si dispongono attorno a lei a semicerchio. Notiamo infatti l'assenza del drago (la luna invece c'è) e al contempo la presenza di alcuni fedeli (forse i membri della confraternita che ha commissionato il dipinto) che si dispongono attorno ai piedi di Maria e guardano tutti verso di lei: il modo in cui la veste della Vergine viene mossa dal vento e il modo in cui apre le braccia ricordano un po' il tema della Madonna

50

Page 51: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

della Misericordia. Il dipinto viene citato anche nella Vita di Federico Barocci di

Bellori: nella chiesa di San Francesco su l'Altare della Compagnia della Concezione vi è l'immagine della Vergine in piedi sopra la Luna con le braccia aperte, e sotto raccoglie uomini e donne della Compagnia in divozione.

51

Page 52: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

17. Madonna del popolo

Firenze, Galleria degli Uffizi1575-1579Olio su tela, 359 x 272 cmImmagine

La pala è tra le più celebri di Federico Barocci ed è anche tra quelle con la composizione più studiata, come testimonia l'elevato numero di disegni preparatori e di schizzi che sono rimasti.

La scena si sviluppa su due registri: in quello superiore vediamo Cristo e la Madonna che sono seduti sulle nuvole in compagnia di alcuni angeli, e nel registro inferiore vediamo il popolo che dà il nome al dipinto raffigurato in una vasta e interessantissima varietà di pose e di espressioni. È proprio la parte con il popolo quella più interes-sante perché offre molti spunti di riflessione, a cominciare dalla precisione anatomica della pittura di Federico Barocci testimoniata dall'uomo a torso nudo che si trova semisdraiato in basso al centro. Precisione che riscontriamo anche nella raffigurazione del cane in basso a destra e precisione unita a delicatezza e tenerezza che trovia-mo nella rappresentazione delle espressioni gioiose dei bambini.

Federico Barocci, come anticipato, fornisce con questa sua impres-sionante pala una grande varietà di espressioni, tutte attentamente studiate: vediamo quindi la madre, sulla sinistra, che invita i bambini a pregare indicando l'apparizione delle divinità, vediamo ancora a sinistra un bambino curioso che sfoglia le pagine del libro della madre, persone che si stupiscono vedendo Gesù e Maria, il musicista cieco sulla destra e sopra di lui un bambino in braccio alla madre che si mette le dita in bocca. Ed è curioso notare come l'unico personag-gio che rivolge lo sguardo verso l'osservatore sia il cagnolino, partico-lare questo che tornerà anche nell'Ultima cena della Cattedrale di Urbino (n. 26).

Gli uomini sulla destra forse potrebbero rappresentare i membri della confraternita che commissionò questo dipinto al pittore urbina-te. L'opera doveva essere inizialmente eseguita da Giorgio Vasari, ma l'artista aretino scomparve nel 1574, così la Pia Confraternita dei Laici di Santa Maria della Misericordia decise di rivolgersi a Federico

52

Page 53: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

Barocci per la realizzazione della pala da porre nel proprio altare all'interno della Pieve di Santa Maria di Arezzo. Non sappiamo perché la confraternita decise di rivolgersi proprio a Federico Baroc-ci, la cui fama nel 1574 era ancora piuttosto limitata: è possibile che la scelta si debba al grande successo che riscosse la Deposizione di Perugia (n. 9), che fu una delle opere che contribuirono a lanciare il nome di Federico Barocci anche al di fuori dei confini della patria. Il dipinto fu poi consegnato nel giugno del 1579, in seguito a numerosi ritardi testimoniati anche dalle lettere tra il pittore e i membri della confraternita.

53

Page 54: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

18. Sepoltura di Cristo

Senigallia, Chiesa della Croce1579-1582Olio su tela, 295 x 187 cmImmagine

La Sepoltura di Cristo fu commissionata al pittore urbinate dalla confraternita del Sacramento e della Croce di Senigallia per la propria chiesa, dove si trova ancora oggi.

La realizzazione del dipinto durò tre anni, dal 1579 al 1582, anche perché la composizione fu, come al solito, studiatissima. Il corpo di Cristo, uno dei particolari più luminosi della scena, occupa il centro della pala e viene trasportato verso il sepolcro da Nicodemo, Giusep-pe di Arimatea e san Giovanni, le cui fattezze ricordano quelle del san Giovanni della Deposizione (n. 9) e della Madonna di san Giovanni (n. 6). La figura di san Giovanni che, come scrive Bellori, tenendo il lenzuolo a' piedi di Cristo, esprime la fatica e la gravezza del peso, per via del suo naturalismo è una delle più interessanti della compo-sizione. Molto tenera e delicata è invece la figura della Maddalena, che troviamo in basso a destra e che si contraddistingue per i bellissi-mi capelli biondi: la santa esprime un dolore composto, inginocchiata di fronte all'ingresso del sepolcro con le mani giunte. Ritroviamo la stessa compostezza e lo stesso gesto nella Madonna, che invece occu-pa una posizione più defilata in secondo piano, in compagnia di due donne, una delle quali si asciuga le lacrime con un velo.

Motivo di interesse in questo dipinto è anche il paesaggio: sulla cima della collina del Calvario vediamo le tre croci, con i due ladroni ancora inchiodati, e con il particolare di due uomini che stanno portando via le scale dalla croce di Gesù. Sulla destra vediamo inol-tre, illuminati dalla luce del tramonto, i “Torricini” del Palazzo Duca-le di Urbino, particolare che tornerà spesso nelle composizioni di Barocci: la vista del Palazzo è quella di cui Barocci godeva dalla fine-stra di casa sua.

La composizione ricorda a tratti la Deposizione di Raffaello, che Federico con tutta evidenza conosceva e che qui rivisita in modo molto personale e suggestivo.

54

Page 55: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

19. Annunciazione

Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana1582-1584Olio su tela, 248 x 170 cmImmagine

La bellissima tela, che fu poi replicata con qualche rivisitazione per il meraviglioso capolavoro della basilica di Santa Maria degli Angeli (n. 31), fu commissionata dal duca Francesco Maria II Della Rovere per la propria cappella nella basilica di Loreto. Bellori dice che il duca Francesco Maria II era divoto alla Santissima Annunziata tanto da dedicarle una cappella all'interno della basilica. Da qui la tela, nel 1781, fu trasferita a Roma ed esposta nel Palazzo Apostolico e quindi requisita durante le spoliazioni napoleoniche nel 1797 e spedita a Parigi, dove rimase fino al 1815 in esposizione al Louvre. Il dipinto rientrò poi in Italia in seguito alla Restaurazione e oggi si può ammi-rare nella Pinacoteca Vaticana. Durante il viaggio verso Parigi la tela ha subito diversi danni, in parte riparati a seguito di opere di restauro ma che si notano ancora soprattutto osservando la base del dipinto.

L'Annunciazione eseguita per il duca godette di grande fortuna, e la replica con varianti conservata in Umbria è soltanto una delle tante che Barocci e soprattutto la sua scuola eseguirono.

È un'opera dall'intenso lirismo, i due protagonisti sono realizzati in modo molto delicato e aggraziato e compaiono alcuni particolari, come il gattino addormentato in basso a sinistra, che contribuiscono a dare un tono familiare alla scena. Dietro ai due protagonisti notia-mo che una tenda si discosta per farci vedere, al di là della finestra, ancora la facciata dei torricini del Palazzo Ducale di Urbino.

Sempre Bellori, che offre una descrizione molto particolareggiata del dipinto, dice che il duca fu entusiasta di quest'opera e per questo rimunerò liberalissimamente l'arte ingegnosa, riconoscendo Federi-co Barocci tra gli uomini più insigni della sua corte.

55

Page 56: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

20. Chiamata di sant'Andrea

Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique1583Olio su tela, 315 x 235 cmImmagine

La Chiamata di sant'Andrea fu realizzata nel 1583, su richiesta della duchessa di Urbino Lucrezia d'Este, per l'oratorio della Confra-ternita di Sant'Andrea di Pesaro, come attesta anche Bellori. L'opera fu consegnata l'anno successivo e piacque a Francesco Maria II al punto che il duca ne chiese una replica, realizzata tra il 1586 e il 1588, per inviarla in dono a Filippo II di Spagna e ricevere in cambio l'Ordi-ne del Toson d'Oro (di cui sant'Andrea è protettore). Risulta errata la notizia di Bellori secondo la quale l'esemplare inviato all'Escorial è quello inizialmente realizzato per la chiesa di Sant'Andrea e secondo cui Federico Barocci, in sostituzione, avrebbe realizzato per la chiesa una replica. Il dipinto, come anticipato nel profilo biografico, fu anch'esso vittima delle spoliazioni napoleoniche: portato prima a Parigi nel 1797, fu quindi inviato a Bruxelles per far parte del locale Museo di Belle Arti, dove si trova ancora oggi.

Si tratta di un quadro singolare per la sua atmosfera suggestiva, con la nebbia del lago che avvolge i particolari della scena resa con un uso sapiente dello sfumato e con un colorismo piuttosto tenue. La figura di Cristo è in piedi, solenne, mentre sant'Andrea si trova ingi-nocchiato ai suoi piedi, a braccia aperte, mentre riceve la chiamata: sembra quasi di immaginare il dialogo. A queste due figure fa un po' da contraltare san Pietro, che vediamo sulla destra mentre in modo naturalistico spinge la barca sulla riva dopo il termine della pesca, aiutato da un pescatore che ferma l'imbarcazione con il remo.

56

Page 57: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

21. Martirio di san Vitale

Milano, Pinacoteca di Brera1583Olio su tela, 392 x 269 cmImmagine

Secondo le agiografie, san Vitale era un soldato romano che doveva accompagnare un giudice da Milano a Ravenna, dove un medico di origini liguri, sant'Ursicino, era stato condannato a morte per la sua fede cristiana. Vitale, assistendo Ursicino, rese manifesta la propria fede nel cristianesimo e per questo venne fatto arrestare, torturare e quindi giustiziare dallo stesso giudice che aveva accompagnato a Ravenna, città di cui il santo è diventato protettore e dove il suo culto è particolarmente vivo.

Si tratta di uno dei dipinti più tumultuosi di Federico Barocci: il santo è al centro, nudo, fatta eccezione per un velo che gli copre la vita, e sta subendo il martirio a opera dei soldati che lo circondano. Il tutto sotto gli occhi del giudice, che alza la sua mano per ordinare il supplizio, e mentre un angelo arriva in volo a portare la palma del martirio. È interessante notare come Barocci dipinga le espressioni di partecipazione e anche di curiosità nei soldati in secondo piano. Molto naturalistici sono i volti del primo soldato a sinistra e di quello che si trova in corrispondenza della mano del giudice: si stanno spor-gendo oltre le persone che li precedono per vedere meglio la scena. La donna sulla sinistra, la madre con i bambini, è la stessa che notiamo, sempre nella stessa posizione, nella Madonna del popolo (n. 17) e che comparirà con qualche variante anche in Sant'Ambrogio perdona Teodosio (n. 38). Anche con questo dipinto, Federico si rivela un otti-mo osservatore del quotidiano. Inoltre, molto studiato è il colorismo della scena: i toni accesi dei protagonisti della scena, che spiccano sul grigiore del cielo nuvoloso, portano l'osservatore a focalizzare su di loro l'attenzione.

Il dipinto fu eseguito per la chiesa di San Vitale di Ravenna, che lo commissionò nel 1580, e come molte altre tele di Federico Barocci fu coinvolto nelle spoliazioni napoleoniche ma non andò in Francia: si fermò a Milano a Brera, dove è conservata ancora oggi.

57

Page 58: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

22. Visitazione

Roma, Santa Maria in Vallicella1583-1586Olio su tela, 285 x 187 cmImmagine

La Visitazione fu commissionata nel 1582 dai padri oratoriani della Vallicella, che volevano l'opera per la loro chiesa di Roma (nota anche come “Chiesa Nuova”). Il dipinto arrivò a Roma nell'estate del 1586, fu molto apprezzato sia dai committenti che dal pubblico e, come raccontano le agiografie, ma anche la letteratura artistica (su tutti sempre Bellori), san Filippo Neri era solito pregare e meditare davanti a questo dipinto. L'opera fu apprezzata anche nell'ambiente artistico come dimostrano le diverse riproduzioni a stampa e le copie che ne furono tratte.

Il tema è quello classico dell'incontro tra la Madonna e sua cugina santa Elisabetta subito dopo l'Annunciazione: le due donne sono raffigurate al centro della scena mentre si scambiano una robusta stretta di mano, quasi mascolina. I due mariti, rispettivamente san Giuseppe e san Zaccaria, si dispongono su una linea diagonale che percorre tutto il dipinto e che ha al centro proprio le due donne. Sulla destra osserviamo invece una serva che in mano ha una cesta con due galline, che a livello “letterale” possono essere intese come un dono per la visita ma che a livello metaforico possono essere forse un'allu-sione al fatto che l'uovo è il simbolo dell'Immacolata concezione, tema a cui rimanda questo dipinto. Si tratta comunque di un aspetto del dipinto che evoca una dimensione quotidiana, così come l'asino che vediamo spuntare sulla sinistra e che viene condotto da san Giuseppe.

La finestra sullo sfondo si apre su un paesaggio collinare. Da un disegno preparatorio conservato a Copenaghen, risulta che inizial-mente Federico Barocci aveva pensato a un'ambientazione urbana per questo dipinto, e gli studiosi, in tale ambientazione, individuano uno scorcio della città natale del pittore.

58

Page 59: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

23. Madonna del Rosario

Senigallia, Pinacoteca Diocesana1589-1593Olio su tela, 290 x 196 cmImmagine

La Madonna del Rosario prende il nome dal rosario che Maria tiene in mano ma anche dai committenti, ovvero la Confraternita dell'Assunta e del Rosario di Senigallia. Dai documenti sappiamo che fu realizzata tra il 1589 e il 1593. Originariamente il dipinto era contornato da quindici riquadri che raffiguravano i misteri del Rosa-rio e che erano stati dipinti da un allievo di Federico Barocci, Antonio Viviani (1560 – 1620): oggi però tali riquadri sono andati dispersi. Agli inizi del Novecento il dipinto fu trasportato dalla Confraternita nella chiesa di San Rocco e fu usato addirittura come tenda per una statua. In seguito ai danni subiti dalla chiesa durante la Seconda Guerra Mondiale, il dipinto è stato spostato nella Pinacoteca Diocesa-na di Senigallia dove si trova ancora oggi. Il quadro è anche stato sottoposto a un restauro nel 1973.

Il dipinto è per certi versi simile alla Beata Michelina Metelli (n. 27) per il trasporto emotivo che caratterizza san Domenico (che Bellori scambia per san Giacinto), anche se al contrario del dipinto che raffigura la beata pesarese, qui appare la visione della Madonna che ha in braccio il Bambino e che offre il rosario al santo. La parteci-pazione e il coinvolgimento del santo sono accentuati dalla sua posa quasi teatrale a braccia aperte, in piena estasi mistica, nonché dalla luce divina che squarcia le nubi, illumina la notte e fa risaltare l'appa-rizione della Vergine. Intorno a lei, un gruppo di angeli in festa contraddistinti da un'elegante grazia di gusto correggesco.

Il dipinto è uno dei più “scenografici” di Federico Barocci ma è anche uno di quelli caratterizzati da maggior trasporto emotivo: i lavori di Federico Barocci che rappresentano estasi mistiche o che comunque mettono in diretta comunicazione il mondo terreno con il mondo divino, sono quelli che più si avvicinano al dettato controri-formistico.

59

Page 60: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

24. Circoncisione

Parigi, Louvre1590Olio su tela, 374 x 252 cmImmagine

Il dipinto tratta il tema della Circoncisione di Gesù, come da prassi ebraica (rito della milah): l'evento, avvenuto otto giorni dopo la nascita, è descritto nel Vangelo di Luca (2, 21). Sempre il Vangelo di Luca racconta che durante la circoncisione fu imposto al bambino il nome di Gesù così come era stato detto a Maria dall'angelo.

Il pittore raffigura il momento in cui il mohel, ovvero l'incaricato di eseguire la circoncisione, sta terminando il suo lavoro (nella fattispe-cie sta tamponando la ferita), sotto gli occhi di Maria e di Gesù, che partecipano in modo molto intenso alla cerimonia, e di alcune perso-ne che assistono, tra cui anche una donna che si sporge per osservare meglio la scena. Sulla sinistra alcuni pastori parlano tra di loro (quel-lo che ha in mano la torcia indica al vicino il prepuzio del Gesù Bambino dentro la scodella che ha di fianco), in alto gli angeli osser-vano il tutto e in basso sulla destra vediamo alcuni recipienti, descrit-ti con elevatissima precisione. Grande precisione che contraddistin-gue anche l'agnello che si trova vicino ai pastori e che sarà sacrificato per la cerimonia.

L'opera è citata anche da Bellori nella sua Vita di Federico Barocci e lo stesso storico ci dice che fu eseguita nel 1590 per la Compagnia del Nome di Dio di Pesaro. Noi sappiamo anche che l'opera era stata chiesta al pittore già nel 1583, ma a seguito di continui ritardi fu consegnata soltanto sette anni dopo e posta nella chiesa del Nome di Dio di Pesaro dove rimase fino al 1798, anno in cui fu requisita dai napoleonici e portata in Francia. Da allora la Circoncisione è esposta al Louvre e nella chiesa pesarese oggi è possibile vederne una copia.

60

Page 61: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

25. Cristo e Maria Maddalena (Noli me tangere)

Monaco di Baviera, Alte Pinakothek1590 circaOlio su tela, 259 x 185 cmImmagine

Federico Barocci realizzò diverse repliche, alcune delle quali con varianti, sul tema del Noli me tangere. Stando a quanto riferito da Bellori, il primo di questa fortunata serie di dipinti fu realizzato per la famiglia Buonvisi di Lucca e doveva essere collocato nella loro cappella all'interno della chiesa di San Frediano nella città toscana: la tela è poi passata nella collezione Allendale, in Inghilterra, gravemen-te deteriorata. La versione della Alte Pinakothek di Monaco di Bavie-ra invece fu realizzata per monsignor Giuliano Della Rovere e confluì poi nelle raccolte medicee: nel 1714 il granduca Cosimo III donò l'opera al Conte Palatino di Düsseldorf e nel corso dell'Ottocento il dipinto entrò a far parte della collezione della pinacoteca. Ne esiste un'ulteriore variante, di dimensioni più ridotte, conservata agli Uffizi.

Il tema è uno dei quelli più tradizionali ed è tratto dal Vangelo di Giovanni (20, 11): dopo la resurrezione, Cristo appare a Maria Maddalena (che dapprima lo scambia per un ortolano), le rivolge le parole noli me tangere (“non mi toccare”) per farle intuire che non appartiene più al mondo terreno e la invita a recarsi dai discepoli per riferire del loro incontro.

Il momento raffigurato nella tela di Monaco è quello durante il quale Gesù sta dicendo alla Maddalena di annunciare la sua resurre-zione ai discepoli: la figura del Signore è solenne e allo stesso tempo sembra esprimere affabilità nei confronti della Maddalena che lo ascolta con attenzione. La finestra alle spalle dei due protagonisti si apre su un paesaggio sul quale vediamo ancora stagliarsi il Palazzo Ducale di Urbino, in un'atmosfera nebbiosa al sorgere del sole.

La tela di Federico Barocci mostra qualche connessione con il Noli me tangere di Tiziano conservato alla National Gallery di Londra ma anche con il Noli me tangere del Correggio, conservato al Prado di Madrid.

61

Page 62: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

26. Ultima cena

Urbino, Cattedrale1590-99Olio su tela, 299 x 322 cmImmagine

Il capolavoro, uno dei più noti di Federico Barocci, fu realizzato per la cappella del Santissimo Sacramento all'interno della Cattedrale di Urbino e impegnò il pittore per ben nove anni. Con questo impor-tante dipinto l'artista ha voluto anche “omaggiare” il duca Francesco Maria II Della Rovere, che finanziò la cappella del Santissimo Sacra-mento, ambientando la scena in un palazzo i cui interni ricordano quelli del Palazzo Ducale di Urbino e inserendo anche un motivo con foglie di rovere sul recipiente che il servo sulla destra tiene in mano, oltre a un ragazzino che, sempre sulla destra, si avvicina al camino trasportando un fascio di legna di quercia.

L'atmosfera è piuttosto movimentata, perché vediamo molte persone indaffarate, come il servo sulla sinistra occupato a tenere un bambino lontano dalle stoviglie, un altro servo che con un panno sta asciugando un piatto, o ancora un bambino sulla destra porta una coppa sulla tavola. Si potrebbe quindi tranquillamente dire che all'in-terno della stessa composizione vediamo non una sola scena, ma tante scenette diverse: un espediente non nuovo, dal momento che già i pittori veneti, come il Tintoretto, avevano proposto composizioni del genere per presentare il tema dell'ultima cena. Ma nonostante tutto ciò notiamo che Barocci ha creato una sorta di vuoto attorno ai due elementi più importanti della composizione, e cioè il pane e il vino, verso i quali tendono le due diagonali del dipinto (quella che, a sinistra, parte dai servi alle prese con le stoviglie e quella che a destra parte dal bacile con l'acqua e arriva al vino). Il cagnolino che appare all'estrema destra è, come nel caso della Madonna del Popolo (n. 17), l'unico personaggio della composizione che rivolge lo sguardo verso l'osservatore.

Sulla destra, oltre la porta che si apre e ci lascia intravedere un altro ambiente, vediamo una donna che regge un bambino in braccio: si tratta di una citazione quasi letterale di un lavoro di Giusto di Gand

62

Page 63: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

che faceva parte delle collezioni della corte di Urbino e che oggi è conservato presso la Galleria Nazionale delle Marche, la Comunione degli apostoli. Nel dipinto del pittore belga il bambino era Guidobal-do da Montefeltro, pertanto la citazione può essere vista nell'ottica di ribadire che i Della Rovere sono i naturali successori dei Montefeltro alla guida del Ducato di Urbino.

63

Page 64: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

27. Beata Michelina Metelli

Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana1590-1600Olio su tela, 252 x 171 cmImmagine

Michelina Metelli era una ragazza di nobili origini andata in sposa all'età di dodici anni a un membro della famiglia Malatesta, signori di Pesaro (anche se la notizia non è certa). Dopo aver perso, a soli vent'anni, sia il marito che l'unico figlio, la ragazza diventò terziaria francescana, donò le sue ricchezze ai poveri e iniziò ad aiutare i biso-gnosi vivendo di elemosina. Oggi è venerata come beata ed è la compatrona della città di Pesaro.

Federico Barocci raffigura Michelina Metelli durante il suo pelle-grinaggio in Terra Santa durante il quale, mentre stava pregando, ebbe la visione di Gesù: il pittore sceglie di non rappresentare Cristo che appare alla beata, tuttavia lascia immaginare all'osservatore il trasporto della donna dipingendo un'opera di grande coinvolgimento emotivo, con Michelina Metelli in estasi, il vento che le agita le vesti e la luce che filtra dalle nuvole nella notte. Tutti particolari che contri-buiscono a dare una chiara immagine dell'esperienza mistica della beata, raffigurata con lineamenti delicati e con un'espressione di intenso coinvolgimento e grande partecipazione alla visione.

Non abbiamo molte notizie circa la committenza dell'opera: sappiamo solo che fu realizzata per la chiesa di San Francesco di Pesaro e che fu inviata nel 1606, come ci testimonia una lettera dell'artista. Per datarla possiamo solo formulare ipotesi, ma è certo che prima del 1601 il pittore ci stesse ancora lavorando perché da un documento anteriore a questa data sappiamo che l'artista in quegli anni stava realizzando questa sua tela. Come molte altre tele di Barocci che si trovavano in territorio marchigiano, fu inviata in Fran-cia a seguito delle requisizioni napoleoniche ma durante la Restaura-zione venne restituita allo Stato Pontificio, e da allora la Beata Michelina Metelli si può ammirare nella Pinacoteca Vaticana.

64

Page 65: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

28. Stimmate di san Francesco

Urbino, Galleria Nazionale delle Marche1594-1595Olio su tela, 360 x 245 cmImmagine

Tra i capolavori più noti e apprezzati di Federico Barocci, le Stim-mate di san Francesco sono una delle prove più evidenti del rapporto tra il pittore e il mondo francescano, sia per il tema affrontato che per la committenza: l'opera fu infatti richiesta dai frati cappuccini di Urbino e rimase nella loro chiesa fino al 1811 quando fu condotto a Brera durante le requisizioni napoleoniche. L'opera tornò poi nelle Marche nel 1826 e dal 1913 è esposta presso la Galleria Nazionale delle Marche.

La scena è ambientata in un paesaggio roccioso immerso in una cupa atmosfera notturna che viene però rischiarata dal bagliore divi-no che colpisce san Francesco per imprimergli le stimmate: la posa del santo, in ginocchio e con le braccia aperte, ricorda molto da vicino quella del Perdono di Assisi (n. 12). Il confratello è seduto, poco distante, e osserva la scena, ed è molto bello e naturale il particolare della mano messa davanti agli occhi per ripararsi dall'abbagliante luce dell'angelo che colpisce san Francesco. Quest'ultimo accoglie la luce e le stimmate con grande intensità emotiva e grande coinvolgi-mento, come lascia supporre la sua espressione fortemente partecipe.

Un dipinto molto suggestivo anche per i particolari “secondari”, come il rapace che vediamo in alto a sinistra appoggiato su un ramo e, in secondo piano sullo sfondo, un gruppo di pastori che si trovano attorno a un falò che con la sua luce illumina la facciata di un edificio in cui riconosciamo molto facilmente proprio la chiesa dei Cappucci-ni di Urbino, quella per cui era stata dipinta questa tela.

Si tratta di una composizione molto intensa e molto sentita da parte di Barocci, che con le Stimmate di san Francesco realizza uno dei notturni più belli della pittura italiana tra Cinquecento e Seicento.

65

Page 66: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

29. Ritratto di Giuliano Della Rovere

Vienna, Kunsthistorisches Museum 1595 circaOlio su tela, 117 x 97,5 cmImmagine

Monsignor Giuliano Della Rovere (1559 – 1621) era figlio del cardi-nale Giulio Della Rovere (il fratello minore di Guidobaldo II e primo mecenate del giovane Federico a Roma) nonché cugino di Francesco Maria II Della Rovere e fu un attivo mecenate di Federico Barocci. Il ritratto fu eseguito attorno al 1595 e, quando il Ducato di Urbino fu annesso allo Stato della Chiesa, il dipinto, come tutti gli altri presenti nelle collezioni ducali, entrò a far parte dell'eredità di Vittoria Della Rovere che portò le opere d'arte a Firenze. Il ritratto di Giuliano Della Rovere finì poi a Vienna nel 1792 a seguito di uno scambio e oggi lo si può osservare nel Kunsthistorisches Museum.

Il monsignore è ritratto all'età di trentacinque anni circa ed è raffi-gurato vestito con un abito nero, mentre osserva con i suoi occhi viva-ci l'osservatore. Giuliano Della Rovere si trova nel suo studio, e lo vediamo in compagnia di libri, di un calamaio con una penna e di una clessidra, che si trovano alle sue spalle e dànno prova del suo impe-gno intellettuale e umanistico. Con la mano destra il protagonista del dipinto sta sfogliando un libro, e questo gesto è interessante perché rende molto più naturale il ritratto.

Federico Barocci, come suo solito, dedica grande cura alla raffigu-razione dei singoli dettagli e utilizza un colorismo delicato per rende-re al meglio l'incarnato del prelato.

66

Page 67: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

30. Madonna della gatta

Firenze, Uffizi1595-1600Olio su tela, 233 x 179 cmImmagine

Ritenuta danneggiata in modo irreparabile, la Madonna della gatta oggi rivive grazie a un sapiente restauro che si è concluso nel 2003, da alcuni definito “miracoloso” per via delle gravi condizioni in cui versava il dipinto: è certo che si è trattato di uno degli interventi di restauro più straordinari degli ultimi tempi. Si credeva che il dipin-to avesse subito i danni nel corso dell'incendio degli Uffizi del 1762, ma in realtà le analisi chimiche effettuate durante il restauro hanno dimostrato che i danni furono causati da una foderatura mal condotta nel 1712, che con il passare degli anni ha fatto annerire l'opera ridu-cendola a un'ombra.

La composizione, ambientata in un interno, presenta la Sacra Famiglia insieme alla famiglia di san Giovannino, che vediamo con la madre santa Elisabetta e il padre san Zaccaria, mentre con l'indice indica Gesù Bambino sulla culla che sta dormendo. San Giuseppe scosta una tenda per introdurre gli ospiti a Maria, che sta dondolando la culla in modo del tutto naturale. Il dipinto prende nome dalla gatta che si trova ai piedi della Madonna e che si gira di scatto per control-lare chi sta arrivando e forse anche lei, come Maria, cerca di non far svegliare il gattino. Oltre la finestra che si apre dietro i protagonisti vediamo il solito scorcio del Palazzo Ducale di Urbino.

Si tratta di un'altra delle composizioni di tono intimo e quotidiano di Federico Barocci, una delle migliori e sicuramente una delle più note, caratterizzata da grande intensità affettiva. Il pittore rende con grandissima delicatezza il Bambino nella culla e il volto di Maria, che sembra quasi stia leggendo, con quel libretto in mano, una favola al figlio come farebbe una qualsiasi madre: è anche attraverso particola-ri come questo che Federico Barocci conferisce familiarità al suo dipinto.

Non sappiamo bene per chi fu realizzata la Madonna della gatta ma possiamo ipotizzare che fu realizzato intorno al 1598 in seguito a

67

Page 68: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

una visita del papa Clemente VIII al Ducato dei Della Rovere, perché il dipinto, prima di arrivare a Firenze, si trovava nella cappella papale del Palazzo Ducale di Pesaro e un inventario del tempo ci dice che l'opera fu realizzata proprio in occasione di quella visita. Giunse poi nella capitale del Granducato con la già citata eredità di Vittoria Della Rovere. È uno dei dipinti più apprezzati e più riprodotti di Federico Barocci.

68

Page 69: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

31. Annunciazione

Santa Maria degli Angeli (Assisi), Basilica1596 circaOlio su tela, 478 x 249 cmImmagine

L'opera è una delle più grandiose e apprezzate di Federico Barocci anche se la critica non è unanime sull'assegnarne completamente al maestro urbinate la realizzazione. Lo schema è quello dell'Annuncia-zione conservata alla Pinacoteca Vaticana e realizzata per Francesco Maria II Della Rovere (n. 19), con alcune differenze: la pala è centina-ta, ci sono alcuni particolari assenti nella tela realizzata per la Basilica di Loreto (come il cappello di paglia appeso sulla sinistra) e fanno la comparsa Dio, lo Spirito Santo e due angeli che occupano la parte superiore della composizione.

Il dipinto è stato realizzato, come testimoniano i documenti, nel 1596 per Laura Coli Pontani, che lo chiese per la cappella di famiglia all'interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli. La donna era moglie di Angelo Coli, ricco mercante perugino, nonché nipote di un noto uomo di legge, Guglielmo Pontani, influente giurista della Peru-gia cinquecentesca. Tuttavia la critica non è concorde sulla completa assegnazione a Federico Barocci, e vi è anche chi la ritiene opera di un altro artista, come Andrea Emiliani che la considera una copia dell'Annunciazione della Pinacoteca Vaticana eseguita dal pittore perugino Felice Pellegrini. Bruno Toscano la ritiene opera realizzata dalla bottega sotto la supervisione di Federico Barocci (ipotesi che di recente è stata per certi versi accolta anche da Emiliani), mentre Francesco Federico Mancini la ritiene opera eseguita dalla mano del pittore urbinate per via della sua altissima qualità. A supporto di quest'ultima ipotesi ci sarebbero un disegno conservato agli Uffizi in cui compare il particolare dei teli appesi sulla sinistra con il cappello nonché l'evidente derivazione di alcuni dettagli (il già citato cappello ma anche gli angeli, del tutto simili a quello che compare nella Madonna di san Simone, n. 8). Non è comunque operazione facile capire fin dove arriva la mano del maestro e dove ha inizio quella dei suoi collaboratori.

69

Page 70: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

L'opera è tuttavia una delle più delicate del corpus baroccesco: è un capolavoro di grazia e di lirismo, che presenta un arcangelo Gabriele molto elegante e una bellissima Madonna, e che si mostra raffinato pur nella sua semplicità sostanziale, dal momento che il lusso sembra essere escluso dalla pala. Il particolare del gatto che dorme in basso a sinistra, già presente nella precedente Annunciazio-ne, conferisce un ulteriore tono di familiarità al dipinto. Oltre la fine-stra possiamo vedere, grazie alla tenda che si scosta, un'altra vista del Palazzo Ducale di Urbino.

Anche questa Annunciazione è un capolavoro che ha goduto di grande fortuna ed è uno dei più apprezzati anche da parte del pubbli-co.

70

Page 71: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

32. Autoritratto

Firenze, Galleria degli Uffizi1596-1600Olio su carta incollata su tela, 42 x 33 cmImmagine

Si tratta forse dell'autoritratto più famoso di Federico Barocci, eseguito quando il pittore aveva circa sessant'anni: la barba è bianca, i capelli sono ormai pochi e l'espressione degli occhi incavati sembra comunicare malinconia. È un ritratto che ha ispirato molti studiosi per la descrizione di un ritratto “sentimentale” del pittore, a cui viene sempre attribuita grande sensibilità e allo stesso tempo un po' di quella inquietudine che poteva derivare dal suo carattere difficile. È infine un ritratto attraverso il quale il pittore dimostra un certo grado di libertà (di cui non poteva dare sfoggio nei ritratti ufficiali), con questo volto che per metà si trova nella penombra, ma è anche un ritratto che ci dà prova del suo grande naturalismo e della sua grande capacità nel rendere i moti dell'animo.

Il dipinto faceva parte della collezione del cardinale Leopoldo de' Medici (come l'Autoritratto degli anni Settanta, n. 10) ed è annotato nell'inventario del 1676 come il ritratto del Baroccio da vecchio, con barba bianca, calvo, con pochi capelli, collare a lattuga, sopraveste di color scuro, e si vede l'orecchio destro. Non sappiamo tuttavia se arrivò a Firenze con l'eredità di Vittoria Della Rovere o se il cardinale riuscì a procurarselo in un altro modo. Da questo ritratto deriva anche quello conservato a Salisburgo presso la Residenzgalerie e che da alcuni studiosi è ritenuto un autografo del pittore.

71

Page 72: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

33. Crocifissione

Genova, Cattedrale1596Olio su tela, 500 x 318 cmImmagine

La Crocifissione conservata nella Cattedrale di San Lorenzo di Genova è uno dei capolavori più grandiosi e allo stesso tempo più influenti di Federico Barocci. Fu commissionata da Matteo Senarega, prima importante senatore e poi doge (dal 1595 al 1597) della Repub-blica di Genova, per la cappella di famiglia all'interno della cattedrale genovese. La notizia è confermata anche da Bellori: diede compimen-to alla tavola del Crocifisso, fattagli dipingere dal Signor Matteo Sanarega, che fu Doge di Genova; la qual tavola per la sua bellezza, ha acquistato grandissima fama, come viene ammirata nel Duomo della medesima città. Le trattative tra il senatore e l'artista ebbero inizio già nel 1587 ma Federico Barocci consegnò l'opera terminata soltanto nove anni più tardi. La lettera inviata da Senarega a Barocci dopo la ricezione dell'opera è stata pubblicata da Bellori nella sua Vita di Federico Barocci, e apprendiamo che il doge rivolse parole di grande elogio nei confronti della pala, dicendo che l'opera del pittore rapisce, divide, dolcemente trasforma.

La figura di Cristo crocifisso, che peraltro viene rappresentato non frontalmente rispetto all'osservatore ma di tre quarti, per una scelta molto particolare e di grande interesse, è attorniata da quelle degli angeli che piangono, della Madonna, di san Giovanni e di san Seba-stiano (la cui presenza è spiegata dal fatto che è il santo a cui è dedi-cata la cappella). Maria sembra svenire tra le braccia di san Giovanni, ma, come scrive anche Senarega nella sua lettera citata poco sopra, è solo sopraffatta dal dolore per la perdita del figlio. L'ambientazione è contraddistinta da toni cupi, e sullo sfondo compare ancora il Palazzo Ducale di Urbino benché l'opera fosse destinata alla Cattedrale di Genova.

La Crocifissione ebbe grande fortuna ma soprattutto ebbe un'im-portanza fondamentale sugli sviluppi successivi della pittura genove-se, perché fu da modello per molti pittori locali (o che comunque

72

Page 73: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

operarono a Genova, come dimostra la Crocifissione di Antoon Van Dyck conservata a Lille) e perché contribuì a diffondere anche nella città ligure l'arte del pittore urbinate.

73

Page 74: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

34. Natività

Madrid, Prado1597Olio su tela, 134 x 105 cmImmagine

Il bambino è sulla destra, dentro la mangiatoia, con il bue e l'asi-nello sulla destra e la madre inginocchiata davanti a lui, al centro esatto della composizione. San Giuseppe invece è all'ingresso della stalla e sta aprendo la porta ai pastori, e con una mano indica proprio il Bambino: sembra quasi che stia dicendo “eccolo là”! Sulla sinistra vediamo alcuni oggetti: sacchi di grano, un cappello, una cesta con un po' di pane. Il tutto ambientato in una suggestiva atmosfera notturna.

La Natività è una delle composizioni sicuramente più intime e liri-che di Federico Barocci, che qui si serve della sua grande abilità nel creare effetti luministici per realizzare una composizione intensa, altamente poetica. Il pittore dimostra grande sensibilità e ancora grande cura per il dettaglio, una cura che notiamo anche nei partico-lari inaspettati, come gli oggetti sulla sinistra, ma anche nella resa degli incarnati (molto delicati quelli del Bambino) e anche nella raffi-gurazione degli animali. Si nota in questa composizione ancora una certa suggestione correggesca, unita a una certa originalità in alcune scelte, come quella di porre il Bambino sulla destra, in posizione leggermente defilata, piuttosto che al centro come avveniva di solito. Un notturno connotato quindi da toni delicati e da effetti di luce (una luce in questo caso divina, non naturale) che rendono questo dipinto uno dei più celebrati e apprezzati di Federico Barocci (la copia più famosa è la Natività di Alessandro Vitali conservata alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano) nonché uno di quelli più graditi al pubblico.

Il pittore realizzò questo dipinto nel 1597 per Francesco Maria II, che poi, nel 1603, inviò la Natività come dono a Margherita d'Au-stria, che nel 1599 aveva sposato Filippo III di Spagna. Da allora il capolavoro non si è più mosso da Madrid.

74

Page 75: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

35. Fuga di Enea da Troia

Roma, Galleria Borghese1598Olio su tela, 179 x 253 cmImmagine

Escludendo ovviamente i ritratti, la Fuga di Enea da Troia è l'uni-co dipinto di carattere non sacro della carriera di Federico Barocci. La versione del 1598 conservata presso la Galleria Borghese di Roma è quella eseguita per monsignor Giuliano Della Rovere, e nel 1613 era registrata presso le collezioni di Scipione Borghese, anche se non si conosce il modo in cui il cardinale entrò in possesso del dipinto: forse un dono da parte di Giuliano Della Rovere. La prima versione del dipinto, quella realizzata tra il 1586 e il 1589 per Rodolfo II d'Asbur-go, è andata perduta: sopravvive però un cartone preparatorio conservato al Louvre, ma nonostante ciò non possiamo sapere quali erano le differenze tra le due versioni.

Si tratta di una scena molto intensa: Enea è al centro della compo-sizione, tiene in braccio il vecchio padre Anchise (che tiene in mano le statue dei Lari, gli spiriti che secondo la mitologia romana proteg-gevano la casa e la famiglia) mentre il figlio Ascanio e la moglie Creu-sa li seguono: il tutto sullo sfondo di architetture classiche sapiente-mente studiate e scorciate con estrema precisione. In particolare è interessante il tempietto che appare sulla destra, dietro a Creusa, e vicino al quale si sta ancora combattendo: ricorda molto la chiesa di San Pietro in Montorio progettata dal Bramante, architetto che come Federico Barocci era originario del Ducato di Urbino.

Barocci usa ancora gli effetti luministici per creare una raffigura-zione molto realistica e molto intensa dell'incendio della città di Troia: notiamo le fiamme che scintillando entrano da sinistra oppure l'incendio che si sviluppa dietro al tempietto sullo sfondo. È inoltre un dipinto che mostra un'altissima cura per i particolari, come notia-mo osservando, per esempio, le armi abbandonate che si trovano ai piedi dei protagonisti, oppure le decorazioni dell'elmo di Enea e della veste di Anchise. Magistrale è anche la resa delle espressioni dei protagonisti: leggiamo sui loro volti lo sgomento e la preoccupazione

75

Page 76: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

per gli eventi che si stanno verificando (oltre alla fatica sul volto di Enea).

Al successo di quest'opera contribuì anche un'incisione eseguita a bulino da Agostino Carracci, risalente al 1595 e oggi conservata pres-so il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Non sappiamo però se il pittore bolognese si ispirò alla versione eseguita per Rodolfo II (e in tal caso il dipinto perduto e quello della Galleria Borghese sarebbero identici) oppure se prese spunto da un cartone dettagliato della versione romana.

76

Page 77: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

36. San Girolamo

Roma, Galleria Borghese1598Olio su tela, 97 x 67 cmImmagine

Secondo le agiografie, san Girolamo, l'autore della Vulgata (la traduzione in latino della Bibbia che fu la versione ufficiale adottata dalla Chiesa fino al Concilio Vaticano II), dopo aver lasciato Roma, città dove aveva vissuto e aveva compiuto gli studi, partì in pellegri-naggio e si ritirò a pregare in penitenza in una grotta. È proprio all'in-terno della grotta che viene raffigurato da Federico Barocci: il santo, in avanti con gli anni, si prostra dinanzi al crocifisso, sotto la luce di una povera lanterna che rischiara il cupo ambiente roccioso dell'an-tro. Vicino al santo alcuni oggetti simbolo di penitenza: il teschio, la clessidra, la stuoia. I primi due ricordano rispettivamente il destino dell'uomo e lo scorrere inesorabile del tempo, il terzo invece ricorda l'umiltà.

Una composizione interessante per diversi aspetti, a cominciare dall'espressione sofferente del santo che ci proietta in una dimensio-ne di intenso misticismo e che ci dà ancora l'idea della grande abilità di Federico Barocci nel raffigurare gli stati d'animo, in questo caso l'intenso coinvolgimento del santo nella preghiera. Ma interessanti sono anche gli effetti luministici, molto utilizzati da Federico Barocci in questa fase della sua carriera (come si nota anche osservando le coeve Natività e Fuga di Enea da Troia, n. 34 e 35): nel caso del San Girolamo la luce proviene dalla lanterna sulla destra che rischiara il volto e il corpo del santo in meditazione.

Le fonti contemporanee e Giovan Pietro Bellori non parlano di questo dipinto, che sappiamo fu realizzato prima del 1600 perché a questa data risale un'incisione di Francesco Villamena che lo riprodu-ce: il San Girolamo viene citato per la prima volta in un inventario della collezione Borghese del 1693.

77

Page 78: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

37. Crocifissione

Urbino, Oratorio della Morte1599-1603Olio su tela, 360 x 254 cmImmagine

Questa Crocifissione fu commissionata a Barocci sul finire del secolo dalla Confraternita della Morte per il proprio Oratorio di Urbi-no, la cui edificazione fu completata nel 1595: la confraternita era chiamata così perché i suoi membri provvedevano a seppellire i defunti. Il pittore impiegò quattro anni per portare a termine la sua realizzazione.

La Crocifissione di Urbino è vista quasi come una tappa “interme-dia” tra la Crocifissione Senarega della Cattedrale di Genova (n. 33) e il Cristo crocifisso che è invece conservato al Prado e che fu commis-sionato da Francesco Maria II (n. 41): il Cristo, nel dipinto di Urbino, torna a essere in posizione frontale ed è quanto mai il fulcro della scena, anche perché rispetto alla Crocifissione realizzata per Matteo Senarega la croce viene abbassata in altezza. Attorno a lui le nuvole e gli angeli si dispongono a formare una sorta di semicerchio illumina-to dalla luce divina che squarcia le nubi. Gli angeli in particolare sono gli stessi (indentiche le pose e identici i gesti) della Crocifissione della Cattedrale di Genova.

Scompare però san Sebastiano, che compariva nel dipinto prece-dente in quanto santo titolare della cappella a cui era destinato, e come da tipica iconografia torna la Maddalena, la cui posizione è la stessa della Maddalena che troviamo nella Sepoltura di Cristo di Senigallia (n. 18). Sempre molto efficace è il particolare della Madon-na che sembra abbandonarsi, sopraffatta dal dolore, a san Giovanni che sta dietro di lei e osserva, disperato, il corpo di Cristo appeso alla croce: Gesù, come nella realizzazione precedente, ha la testa rivolta verso i due, e in questo caso la testa subisce una torsione (invece nel precedente genovese era la croce a essere rivolta verso la Madonna e san Giovanni).

78

Page 79: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

38. Sant'Ambrogio perdona Teodosio

Milano, Duomo1600-1603Olio su tela, 326 x 182 cmImmagine

I contatti tra la Fabbrica del Duomo di Milano e Federico Barocci erano iniziati già nel 1592: sappiamo di un Presepe di cui non si hanno più notizie, risalente con ogni probabilità al 1597, e di altre due pale. Una è questa, Sant'Ambrogio perdona Teodosio, l'altra è l'in-compiuto Lamento su Cristo morto (n. 39).

Il dipinto in oggetto fu realizzato tra il 1600 e il 1603 e il pittore si avvalse anche degli aiuti della bottega, in particolare di quelli dell'al-lievo Alessandro Vitali. Dai documenti infatti risulta che per quest'o-pera siano stati pagati sia Barocci che Vitali: questo particolare ha portato alcuni studiosi a individuare un ruolo fondamentale dell'allie-vo. Molti addirittura assegnano ad Alessandro Vitali l'intera realizza-zione, ma è anche ipotizzabile che a Federico Barocci appartenga l'idea della composizione e l'esecuzione sia stata affidata al giovane allievo.

Teodosio è noto per essere stato l'imperatore romano che nel 380 rese il cristianesimo la religione di stato dell'Impero, e al tempo in cui governò, sant'Ambrogio ricopriva il ruolo di vescovo di Milano, che nel corso del III secolo dopo Cristo era diventata capitale dell'Impero Romano d'Occidente. Nel 390 si verificarono nella città di Tessaloni-ca alcuni disordini che portarono all'uccisione di un ufficiale romano, e Teodosio ordinò, per rappresaglia, una strage in cui furono uccisi moltissimi cittadini innocenti. Sant'Ambrogio, data la gravità del massacro, impose a Teodosio una penitenza pubblica e l'imperatore chiese perdono durante una messa tenutasi nel Natale dello stesso anno. Barocci rappresenta la scena all'interno di un edificio sacro dall'architettura classica, con sant'Ambrogio al centro circondato dai diaconi e con Teodosio inginocchiato ai suoi piedi mentre riceve il perdono. Di particolare efficacia è il gesto del vescovo che pone la mano sulla testa dell'imperatore, che si è tolto la corona e l'ha poggia-ta a terra davanti a lui.

79

Page 80: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

È una composizione grandiosa, di ampio respiro, contraddistinta da colori brillanti e vivaci e anche da alcuni particolari che si erano già visti in dipinti realizzati in precedenza, come la madre con i due bambini (motivo presente nella Madonna del Popolo, n. 17, e nel Martirio di san Vitale, n. 21) oppure il cane in basso a destra (è lo stesso che vediamo nell'Ultima cena, n. 26).

Possiamo asserire che il dipinto abbia anche una certa valenza politica, dal momento che ritrae una scena in cui un imperatore si sottomette a un esponente del clero, e l'episodio, in epoca controri-formistica, trasmetteva un messaggio molto chiaro. Si potrebbe però trovare anche un significato a livello teologico, in base al quale la giustizia terrena è necessariamente sottoposta a quella divina.

80

Page 81: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

39. Lamento su Cristo morto

Bologna, Biblioteca dell'Archiginnasio1600-1612Olio su tela, 412 x 288 cmImmagine

Anche questo dipinto, come Sant'Ambrogio perdona Teodosio, fu realizzato per il Duomo di Milano, dove arrivò incompiuto (l'artista non era riuscito a finirlo) nel 1629, diciassette anni dopo la scompar-sa di Federico Barocci. Nonostante Ventura Mazza, il più importante allievo diretto del pittore, si fosse fatto avanti per portare a termine l'opera, il Lamento su Cristo morto rimase incompiuto e nel 1786 il dipinto fu venduto dalla Fabbrica del Duomo di Milano al Comune di Bologna e oggi fa parte delle collezioni comunali d'arte.

Anche se il dipinto non è finito riusciamo comunque a percepirne la grandiosità, la monumentalità e la solennità: si tratta sicuramente di una delle più importanti composizioni dell'ultimo periodo della carriera di Federico Barocci.

Ci sono anche diversi particolari insoliti: solitamente la scena si svolgeva all'aperto, spesso ai piedi della croce, e invece qui il compianto avviene dentro al sepolcro, e notiamo che il corpo è già stato sistemato sulla lastra. Altro particolare insolito è la presenza del santo sulla sinistra, inginocchiato con in mano il pastorale: si tratta sicuramente di san Giovanni Buono, importante esponente del clero del VII secolo, che riportò la sede del vescovato a Milano da Genova, dove era stata trasferita nel 569 in seguito all'occupazione dei longo-bardi. Altra presenza insolita è quella, sulla sinistra, di san Michele che caccia il diavolo (lo vediamo mentre ripone la la spada nel fode-ro), che deriva dal fatto che le spoglie di san Giovanni Buono erano conservate nella chiesa di San Michele in Duomo, vicina alla Catte-drale meneghina e oggi non più esistente.

I personaggi esprimono un dolore molto “composto” e sono contraddistinti da colori accesi, vivi e brillanti (predominano i tre colori primari variamente declinati: giallo, rosso e blu) che li fanno risaltare nel buio del sepolcro.

81

Page 82: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

40. Presentazione della Vergine al Tempio

Roma, Santa Maria in Vallicella1590-1603Olio su tela, 383 x 247 cmImmagine

I contatti per la realizzazione di questo importante dipinto inizia-rono già nel 1590, ma l'opera completa fu consegnata soltanto nel 1603. Fu commissionata dai padri della Vallicella che, soddisfatti per la Visitazione eseguita qualche anno prima (n. 22), chiesero all'artista urbinate anche la pala per la cappella Cesi (nota anche come “Cappel-la della Presentazione della Vergine” proprio per via del dipinto di Barocci) che era stata inaugurata nel 1593. Nelle intenzioni dei padri, il pittore avrebbe dovuto eseguire anche l'Incoronazione di Maria, la cui realizzazione fu poi affidata al Cavalier d'Arpino (1568 – 1640) in seguito al rifiuto di Federico Barocci. È interessante sapere, tra l'al-tro, che il pittore urbinate si propose, verso la metà del decennio, per la realizzazione della Natività della Vergine che doveva essere posta sull'altare maggiore di Santa Maria in Vallicella: si tratta dell'unico caso noto in cui è Federico Barocci a proporsi per eseguire un dipin-to. Tuttavia in seguito l'incarico fu affidato a Pieter Paul Rubens (1577 – 1640), in quanto i padri erano a corto di fondi e l'opera fu finanzia-ta dal cardinale Giacomo Serra, mecenate dell'artista fiammingo.

In questo dipinto la Vergine bambina occupa all'incirca il centro esatto della composizione e si trova inginocchiata ai piedi del sacer-dote del Tempio: è il momento in cui Maria si consacra totalmente a Dio. In alto, gli angeli assistono la scena e poco più in basso i genitori di Maria, Anna e Gioacchino, esprimono la loro soddisfazione osser-vando la figlia. La composizione assume i caratteri di una grande celebrazione, seppur semplice, perché il lusso è del tutto assente, anzi: il pittore sembra dare particolare rilievo a dettagli umili, come il pastore che porta un agnello oppure la giovane in basso a sinistra che ha una cesta con alcuni polli, e poco distante vediamo anche, poggia-to su uno degli scalini del tempio, il cappello di paglia che compare spesso nelle realizzazioni di Federico Barocci.

Un dipinto (peraltro descritto in maniera molto particolareggiata

82

Page 83: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

da Bellori) che trasmette quasi un'aria di festa, ma una festa, beninte-so, composta e solenne, in linea con i dettami della Controriforma e soprattutto un dipinto che fu molto apprezzato dai committenti. Apprendiamo infatti da una lettera scritta dai padri della Vallicella al vescovo Cesi, titolare della cappella, che la Presentazione della Vergine al Tempio fu accolta a Roma con grandissima soddisfazione non soltanto da parte degli oratoriani, ma da parte di tutta la città.

83

Page 84: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

41. Cristo crocifisso

Madrid, Prado1604Olio su tela, 374 x 246 cmImmagine

Il Cristo crocifisso di Madrid termina il “percorso” iniziato da Federico Barocci già con la Crocifissione del 1566-1567 di Urbino (n. 7) portando diverse novità rispetto alle crocifissioni realizzate in precedenza. Il dipinto fu commissionato da Francesco Maria II Della Rovere, che lo donò poi a Filippo IV di Spagna.

Sono molte le differenze rispetto alle crocifissioni precedenti, a cominciare dall'assenza dei dolenti: nei dipinti anteriori figuravano sempre almeno la Madonna e san Giovanni, talvolta accompagnati da altri personaggi, e nel Crocifisso di Madrid invece Gesù è solo, per cui l'attenzione dell'osservatore si rivolge esclusivamente su di lui. Un altro importante aspetto consiste nel fatto che questa è l'unica scena di crocifissione in cui Gesù è ancora vivo: in quelle anteriori invece era già spirato. Infine, scompaiono gli angeli, presenti in tutte le altre crocifissioni: Federico Barocci riduce così al minimo la sua composi-zione, raffigurando da solo il Cristo, la cui figura dimostra un grande studio anatomico. La sua agonia sembra quasi essere contrastata dallo sguardo che rivolge verso l'alto, dimostrando fiducia e speranza in Dio.

La figura di Gesù è immersa nel paesaggio, altra componente fondamentale di questo dipinto attentamente studiata: quello che compare sotto alle nubi grigie squarciate dalla luce divina è il paesag-gio delle colline marchigiane, sulle quali vediamo ancora una volta svettare il Palazzo Ducale di Urbino, riprodotto così come il pittore lo vedeva dalla casa dove abitava. Riusciamo poi a distinguere il quar-tiere di Valbona, vicino al Palazzo Ducale, e alcuni edifici di culto, oltre alle montagne dell'Appennino, sullo sfondo, che costituivano il confine del Ducato.

84

Page 85: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

42. Assunzione

Urbino, Galleria Nazionale delle Marche1604-1605Olio su tela, 239 x 171 cmImmagine

Quando Barocci scompariva nel 1612, l'opera era ancora nel suo studio, nello stato in cui la vediamo ancora oggi: si tratta infatti di un dipinto incompiuto, che gli fu commissionato, stando a ciò che ipotiz-za Andrea Emiliani, per l'altare maggiore di Santa Maria in Vallicella a Roma, ma purtroppo non si hanno riscontri documentari.

Il dipinto rimase agli eredi del pittore e passò poi ai principi Albani di Urbino fino al 1980, quando fu acquistato dallo Stato, e da allora lo si può ammirare nelle sale della Galleria Nazionale delle Marche.

Il dipinto era stato studiato molto attentamente ,come dimostrano i disegni preparatori che sono rimasti, e lo stato di incompiuto facilita nella comprensione delle tecniche di lavoro adottate da Federico Barocci: riusciamo a intuire quindi che per questa realizzazione il pittore ha usato un suo tipico procedimento, ovvero stendeva prima una preparazione di colore brunastro sulla quale poi definiva i colori e gli effetti luministici.

Il tema è classico: Maria, terminata la sua vita terrena, viene assunta direttamente in cielo, con gli apostoli intorno che assistono all'evento. Si tratta anche uno dei dipinti più “teatrali” di Federico Barocci, con la Madonna che da sola occupa quasi tutto il registro superiore della composizione, spalanca le braccia per accogliere la luce divina e viene accompagnata in cielo dagli angeli che sembrano quasi sorreggerla per le gambe.

Grande è la partecipazione degli apostoli: alcuni guardano stupiti, altri baciano il sepolcro di Maria, un altro ancora, in secondo piano, si porta naturalisticamente la mano davanti agli occhi per ripararsi dall'abbagliante luce celeste.

Anche se l'opera è incompiuta vediamo che un ruolo molto impor-tante viene giocato dai colori, che sono vivi e accesi: in particolare siamo colpiti dal rosso del velo che avvolge le gambe di Maria e dai bagliori dorati della luce che proviene dal cielo.

85

Page 86: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

43. Istituzione dell'Eucarestia

Roma, Santa Maria sopra Minerva1603-1607Olio su tela, 299 x 177 cmImmagine

È da molti considerato come il più “controriformistico” dei dipinti eseguiti da Federico Barocci, sia per il tema che a causa della commit-tenza. L'incarico di eseguire questa tela gli fu infatti conferito da Clemente VIII, che nel 1598 visitò Urbino ed è probabile che in questa occasione ebbe modo di conoscere l'arte di Federico Barocci. L'opera era destinata alla cappella di famiglia di papa Aldobrandini all'interno della chiesa di Santa Maria Sopra Minerva, che era la chie-sa dei domenicani di Roma e per un certo periodo ospitò anche il tribunale dell'Inquisizione.

Il tema afferma uno dei dogmi fondanti della Chiesa Cattolica, l'istituzione dell'Eucarestia e la conseguente transustanziazione, ovvero la “trasformazione” del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo: un concetto che fu molto criticato durante gli anni della Rifor-ma protestante. Con questo dipinto, eseguito in un periodo storico particolarmente delicato (al 1596 risalgono, per esempio, l'indice clementino e il divieto di tradurre e leggere la Bibbia in volgare), il papa voleva che venisse affermato in modo inequivocabile uno dei principî basilari della dottrina cattolica, e per farlo si rivolse a uno dei pittori più influenti del suo tempo.

E in effetti si ha più che mai con questo dipinto l'impressione di un Federico Barocci lontano da quell'atmosfera intima e familiare che aveva caratterizzato quasi tutti i suoi dipinti, e al contrario quasi “piegato” ai dettami della Controriforma: la composizione assume i toni di una celebrazione ufficiale, con un Cristo che tiene davanti a sé il pane consacrato e lo offre agli apostoli quasi fosse un sacerdote. Benché il dipinto sia contraddistinto da un certo naturalismo (come quello che mostra il servo che pulisce un bacile di rame in primo piano), sembra quasi che l'Istituzione dell'Eucarestia sia una tela dalle finalità dottrinali.

Bellori ci informa che il papa volle vedere il disegno prima che

86

Page 87: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

fosse terminato il lavoro, e apprendiamo che Barocci aveva previsto il particolare del diavolo che parla all'orecchio di Giuda: la cosa non piacque a Clemente VIII e pertanto il pittore fu costretto a eliminarla dal dipinto.

Di questo dipinto esistono alcune varianti: le più importanti sono una eseguita dall'allievo Alessandro Vitali e conservata nella chiesa di San Giacomo Maggiore a Bologna e l'altra, sulla cui assegnazione la critica è discorde perché non sappiamo se si tratta di una copia di bottega o di una variante d'autore, che è conservata nella chiesa di Santa Maria Assunta a Bacchereto, in provincia di Prato.

87

Page 88: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

44. Madonna Albani

Roma, Banca Nazionale del Lavoro1610-1612 circaOlio su tela, 114 x 81 cmImmagine

La Madonna Albani, che prende il nome dal suo committente, Orazio Albani, è uno degli ultimi lavori di Federico Barocci e da alcu-ni è addirittura considerata l'ultima opera realizzata dal pittore urbi-nate. Alla sua scomparsa il 30 settembre del 1612 il dipinto era anco-ra incompiuto e fu portato a termine da alcuni suoi allievi.

L'opera fu preparata e studiata con una certa cura, come testimo-niano i disegni preparatori e gli schizzi che ci sono rimasti, benché si trattasse di un dipinto destinato alla devozione privata, quindi di un lavoro dal tono intimo e familiare.

La Madonna è seduta, tiene in braccio il Bambino che si sta addor-mentando e con una mano sposta le coperte della culla evidentemen-te per fargli posto: una scena molto lirica e naturale, e come molte altre volte sembrerebbe che la giovane ritratta non sia la Madonna, ma sia una madre “terrena” che mette a letto il proprio figlio.

È curioso sapere che su questo dipinto, secondo quanto riporta la tradizione, l'importante poeta e intellettuale umanista urbinate Bernardino Baldi abbia fatto porre un'iscrizione che commemorava Federico Barocci in seguito alla sua scomparsa, e per la precisione tale iscrizione doveva trovarsi sulla culla di Gesù Bambino. Tuttavia non v'è traccia alcuna di questa iscrizione.

88

Page 89: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

45. Ecce homo

Milano, Pinacoteca di Brera1612Olio su tela, 180 x 127 cmImmagine

La tela, secondo i più l'ultima eseguita da Federico Barocci, fu ulti-mata nel 1613 da Ventura Mazza, l'allievo più importante. Il dipinto è citato anche da Giovan Pietro Bellori: lo storico ci dice soltanto che il pittore urbinate non fece in tempo a terminarlo. Fu commissionato dall'oratorio dei Disciplinati della Santa Croce di Urbino, ma durante le requisizioni napoleoniche fu inviato in Francia e di qui tornò nel 1811: da allora si trova alla Pinacoteca di Brera di Milano.

Si tratta di un tema classico del repertorio sacro: Gesù viene presentato da Pilato alla folla affinché venga giudicato, e le parole Ecce homo (“ecco l'uomo”) sono quelle che il prefetto rivolge agli astanti. Il Cristo è in piedi, sorretto da Ponzio Pilato che guarda verso il pubblico, e con intorno alcuni soldati e un paggio che notiamo sulla sinistra. Gesù sembra sereno e per niente turbato dalla situazione, mentre sul volto di Ponzio Pilato, raffigurato con grande abilità ritrat-tistica, sembra quasi di vedere un'espressione di preoccupazione. Sono due figure molto contrastanti: il volto di Cristo, caratterizzato da grazia e quasi da idealizzazione, si oppone a quello di Pilato che invece è contraddistinto da un elevato e acuto realismo. Si tratta quindi di una composizione molto studiata, che vuole portare l'osser-vatore a riflettere da una parte sulla calma di Gesù e dall'altra sull'in-quietudine di Ponzio Pilato.

Non sappiamo bene fin dove arrivino gli interventi di Federico Barocci e dove abbiano inizio quelli di Ventura Mazza: sappiamo per certo però che l'idea della composizione appartiene al maestro, e possiamo ipotizzare che il disegno appartiene a Federico mentre la stesura cromatica apparterrebbe a Ventura Mazza. Tuttavia un recen-te restauro sembra dimostrare come anche Federico Barocci abbia fatto in tempo a colorare in parte il dipinto.

89

Page 90: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

III. L'eredità di Federico Barocci

Page 91: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

Come si è accennato nelle sezioni precedenti, la figura di Federico Barocci è stata una delle più influenti del suo tempo, tanto che gli studiosi hanno coniato un termine, “baroccismo”, con il quale indica-no l'arte di quei pittori che si ispiravano alle realizzazioni dell'artista urbinate. La sua sfera di influenza non toccò soltanto il Ducato di Urbino (e quindi i suoi allievi diretti), ma si estese a tutta l'Italia e superò anche i confini della penisola.

I primi artisti che risentirono delle suggestioni baroccesche furo-no, ovviamente, i suoi più stretti collaboratori e i suoi allievi. Tra gli artisti che lavorarono con lui è doveroso citarne almeno quattro: Ventura Mazza, Antonio Viviani, Alessandro Vitali e Antonio Cimato-ri. Questi, che furono tra i più noti artisti provenienti dalla scuola di Federico Barocci, sono tutti ricordati, insieme a molti altri pittori, da Luigi Lanzi nella sua Storia pittorica d'Italia, opera nella quale il trattatista passa in rassegna un gran numero di pittori che studiarono con Barocci fornendo per ognuno di loro una breve descrizione.

Tuttavia per molti di questi artisti non è facile comprendere l'esat-ta vicinanza a Federico Barocci, perché se nelle opere di bottega dimostrano una elevatissima aderenza all'arte di Federico Barocci, quando lavorano in proprio dimostrano al contrario una certa dose di indipendenza. Ventura Mazza (1560 – 1638), quello che è considerato come il principale allievo di Federico Barocci, terminò due lavori incompiuti del maestro (il Lamento su Cristo morto, n. 39 e l'Ecce homo, n. 45) e il suo stile è tanto fedele a quello di Federico che è difficile distinguere fin dove arriva l'intervento del maestro e dove abbia invece inizio quello dell'allievo. Nonostante ciò, Ventura Mazza, nei suoi lavori personali, sembra piuttosto lontano dallo stile baroc-cesco.

Diverso è il discorso per Alessandro Vitali (1580 – 1640 ca.), che degli allievi fu quello che dimostrò lo stile più vicino a quello di Fede-rico Barocci, tanto da essere considerato quasi come un imitatore del maestro (un termine, “imitatore”, che compare, riferito ad Alessan-dro Vitali, anche nella trattatistica settecentesca): il suo dipinto più famoso è una Natività conservata alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano e copia di quella di Barocci conservata al Prado di Madrid (n. 34).

Antonio Viviani, soprannominato “il sordo di Urbino” (1560 –

91

Page 92: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

1620) è forse, tra gli allievi di Federico Barocci, il più famoso. Lavorò a lungo anche a Roma, dove partecipò anche alle decorazioni di Palazzo Barberini, e fu attivo anche a Genova oltre che, ovviamente, in patria, nel Ducato di Urbino. Il suo stile propone una fusione di influenze baroccesche e suggestioni derivanti dalla pittura romana del tempo. Infine tra i seguaci più prossimi a Federico Barocci viene spesso citato anche Antonio Cimatori, noto anche come “il Visaccio” (1550 ca. – 1623): fu, tra l'altro, uno degli artisti più apprezzati da Francesco Maria II Della Rovere.

Tra i pittori che Lanzi riferisce alla scuola di Barocci compare anche Claudio Ridolfi, menzionato anche come “Claudio Veronese” (1570 ca. – 1644): l'artista, nato a Verona, si trasferì a Urbino in seguito al matrimonio e diventò seguace dell'arte di Federico Barocci, e dal momento che per tutto il resto della sua carriera fu attivo nelle Marche è considerato come un pittore marchigiano. Sempre rima-nendo in zona è necessario citare anche Andrea Lilli (1570 ca. – 1631), originario di Ancona: Lanzi non lo ritiene allievo di Barocci, ma solo un seguace.

Un ruolo determinante per la diffusione del baroccismo fu svolto dalle opere del maestro che giungevano nelle varie città d'Italia. Una delle più influenti fu la Deposizione di Perugia (n. 9): la città umbra è tra quelle dove l'arte di Barocci fece più presa proprio in virtù del fatto che i pittori locali erano particolarmente attratti dal grande capolavoro del maestro urbinate. Ma furono diverse altre le opere che contribuirono a diffondere il linguaggio baroccesco in Umbria, e tra queste è possibile citare la Madonna delle ciliegie (n. 11) commissio-nata dal collezionista perugino Simonetto Anastagi, per non parlare dell'Annunciazione (n. 31) della Basilica di Santa Maria degli Angeli. Oltre alla presenza delle opere, decisiva fu anche l'attività in Umbria dei pittori marchigiani, come il già citato Antonio Viviani. Si ispiraro-no quindi a Federico Barocci diversi pittori umbri, tra i quali bisogna citare almeno i due più importanti, e cioè Benedetto Bandiera (1557 – 1634) e Felice Pellegrini (1567 – 1630 ca.), oltre agli artisti della fiorente scuola di miniatura perugina che operarono tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento. Tra i pittori che in Umbria subi-rono il fascino di Federico Barocci è doveroso citare anche Ferraù Fenzoni (1562 – 1645), importante pittore romagnolo che negli anni

92

Page 93: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

Novanta del Cinquecento fu attivo a Todi.Un altro dipinto decisivo per la diffusione del baroccismo fu la

Crocifissione (n. 33) commissionata da Matteo Senarega, che contri-buì a far circolare il messaggio e l'arte del pittore urbinate anche a Genova. La Crocifissione che oggi si può ammirare nel Duomo della città ligure esercitò la sua influenza anche su pittori di primissimo piano, a cominciare da Bernardo Strozzi (1581 – 1644): quest'ultimo si era formato studiando con Pietro Sorri (1556 – 1622), manierista toscano attivo a Genova, e osservando gli esiti dell'arte degli altri pittori toscani attivi nella capitale della repubblica, come Aurelio Lomi e Orazio Gentileschi. L'incontro con Federico Barocci ebbe un ruolo decisivo per la sua pittura, e a partire da questo incontro si possono osservare nella pittura di Strozzi diversi echi barocceschi. Ma la Crocifissione del Duomo non sfuggì neppure a due grandi pittori che furono attivi a Genova agli inizi del Seicento, e cioè Pieter Paul Rubens (1577 – 1640) e Antoon Van Dyck (1599 – 1641). La già citata Crocifissione di Van Dyck conservata a Lille, per esempio, riprende la concezione della Crocifissione Senarega con il crocifisso posizionato in diagonale, mentre un'opera come il Trittico degli Archibusieri di Rubens conservato nella cattedrale di Anversa dimo-stra qualche debito, per quanto riguarda il pannello centrale, nei confronti della Deposizione di Perugia di Federico Barocci.

Rubens e Van Dyck non furono gli unici pittori olandesi che rima-sero affascinati dall'arte di Federico Barocci: già a partire dagli anni Ottanta diversi artisti fiamminghi, soprattutto incisori, iniziarono a riprodurre le opere del maestro urbinate, in particolare quelle dai toni più intimi e familiari come la già citata Madonna delle ciliegie. Molti di questi artisti, come Cornelis Cort (1536 ca. – 1578), Hendrick Goltzius (1558 – 1617) e i già citati Rubens e Van Dyck, furono attivi in Italia, dove ebbero quindi modo di entrare a diretto contatto con l'arte di Federico Barocci. Diversi altri artisti contribuirono a far circolare in Olanda le stampe del pittore urbinate, quindi è ipotizza-bile che molti (tra i quali lo stesso Rubens) conoscessero Barocci già prima di trasferirsi in Italia.

L'arte di Federico arrivò anche a Bologna, dove fu a lungo studiata da tutti e tre i Carracci: Ludovico (1555 – 1619), Agostino (1557 – 1602) e Annibale (1560 – 1609). In alcuni dipinti dei Carracci si note-

93

Page 94: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

rebbero citazioni baroccesche, mentre alcune incisioni, eseguite soprattutto da Agostino Carracci, riproducono le opere di Federico Barocci: è il caso per esempio dell'incisione con la Fuga di Enea da Troia di Agostino conservata presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna.

Nella città emiliana, oltre ai Carracci, anche il pittore fiammingo Denijs Calvaert (1540 – 1619), che aveva aperto a Bologna una fioren-te bottega, accolse qualche spunto baroccesco che arrivò anche ad alcuni dei suoi più importanti allievi come Guido Reni (1575 – 1642) e il Domenichino (1581 – 1641). E, a proposito di questi ultimi due pittori, ci sono dei dipinti che sembrerebbero quasi ispirarsi ai lavori di Federico Barocci: è il caso del Crocifisso di Guido Reni conservato nella chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma o della Presentazione di Maria al Tempio del Domenichino, che si trova nel Santuario di Nostra Signora della Misericordia a Savona.

Il fatto che pittori del Seicento conservino nei loro dipinti alcuni spunti che potrebbero derivare da una lettura dell'arte di Federico Barocci ha portato alcuni storici dell'arte a cercare un rapporto tra il pittore urbinate e la pittura barocca, tanto che uno studioso spagnolo, Alfonso Sánchez, ipotizzava addirittura che il termine “barocco” aves-se tratto origine dal cognome del pittore vista la sua grande influenza sugli artisti del Seicento. Il rapporto tra Federico Barocci e arte barocca è stato a lungo approfondito, e nella grande mostra che si è tenuta sul pittore urbinate a Siena tra il 2009 e il 2010 ben tre sezioni dell'esposizione erano intitolate “Barocci in barocco” e ognuna appro-fondiva un tema. Si possono così considerare come “protobarocche” alcune opere come l'Assunzione (n. 42), perché anticipa la “pittura d'aria e di nubi” (sottotitolo della prima sezione intitolata “Barocci in barocco”) tipica dell'arte barocca, o ancora la Fuga di Enea da Troia (n. 35) per la sua forte drammaticità o la Beata Michelina Metelli (n. 27) per il suo intenso misticismo (e che secondo alcuni ha addirittura ispirato l'Estasi di santa Teresa di Gian Lorenzo Bernini, vista anche la cospicua presenza a Roma di dipinti realizzati dall'artista di Urbi-no): tutti motivi che saranno propri del repertorio barocco e che portano quindi a identificare in Federico Barocci un importante anti-cipatore di quel movimento artistico che fiorì nel Seicento. E inoltre, tra i geni del barocco che hanno qualche relazione con l'arte di Baroc-

94

Page 95: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

ci, gli studiosi annoverano anche Pietro da Cortona (1596 – 1669): anche se quelle del pittore toscano furono composizioni spesso gran-diose e magniloquenti, la delicatezza e la grazia di alcuni particolari (per esempio, le giovani che compaiono nell'affresco che raffigura l'Età dell'Oro all'interno della “Sala della Stufa” in Palazzo Pitti a Firenze) sembra richiamarsi proprio a Federico Barocci.

Un'altra città che risentì moltissimo dell'arte baroccesca fu quella in cui si è tenuta la grande mostra del 2009-2010, e cioè Siena, tanto che alcuni si riferiscono ai pittori che operarono in questa città tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento come ai “barocceschi sene-si”. Già Bellori individuava nel massimo esponente della scuola sene-se del periodo, e cioè Francesco Vanni (1563 – 1610), il miglior segua-ce di Federico Barocci (fra quelli che seguitarono la maniera del Barocci, il Cavalier Francesco Vanni Senese riuscì buon pittore). Risulta tuttavia più vicina al vero la posizione dello studioso Peter Anselm Riedl, che considera questi pittori (in particolare Francesco Vanni e Ventura Salimbeni, 1568 – 1613) non come dei veri seguaci di Barocci, ma piuttosto come pittori originali e indipendenti che però trovarono nell'artista urbinate un importantissimo punto di riferi-mento.

Fu proprio Francesco Vanni l'artista che iniziò a diffondere il linguaggio di Barocci a Siena, ma non si sa con certezza come venne a contatto con la pittura dell'artista urbinate perché non ci sono prove documentarie: è però del tutto lecito supporre che Vanni conobbe l'arte di Federico durante un suo soggiorno a Roma negli anni Ottan-ta del Cinquecento. Molte opere di Francesco Vanni, come l'Immacolata concezione nella cattedrale di San Pietro a Montalcino o l'Annunciazione conservata a Siena nella Basilica di Santa Maria dei Servi, dimostrano chiare suggestioni baroccesche. E così come Vanni e Salimbeni, anche altri artisti senesi furono influenzati da Federico Barocci: su tutti si possono citare Rutilio Manetti (1571 – 1639) e Alessandro Casolani (1552 – 1607).

Rimanendo in Toscana, due artisti che trovarono in Barocci un buon punto di riferimento per certi aspetti della loro arte furono Ludovico Cardi, meglio noto come “il Cigoli” (1559 – 1613), e Cristo-fano Allori (1577 – 1621), a cui la lezione di Federico arrivava filtrata proprio attraverso l'arte di Ludovico Cardi.

95

Page 96: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

Citazioni baroccesche si riscontrano anche in ambiente lombardo, dove può aver fatto da tramite la figura di Camillo Procaccini (1561 – 1629), pittore di origini emiliane che entrò a contatto con l'arte di Federico Barocci frequentando l'ambiente artistico bolognese, e anche in ambito napoletano: in Campania uno degli artisti che si dimostrarono maggiormente debitori nei confronti del maestro fu il fiammingo Dirk Hendricksz (conosciuto anche come Teodoro d'Erri-co, 1544 – 1618), che fu attivo a Napoli dalla metà degli anni Settanta del Cinquecento fin quasi alla fine della sua carriera e la cui cono-scenza di Federico Barocci si deve probabilmente agli intensi rapporti che Napoli aveva con Roma all'epoca.

Infine, echi della pittura baroccesca si fecero sentire anche nel Settecento: alcuni studiosi, per esempio, hanno individuato nella ritrattistica della celebre artista veneziana Rosalba Carriera (1675 – 1757) alcuni tratti (e anche alcuni accorgimenti tecnici) che potrebbe-ro rifarsi proprio all'arte di Federico Barocci.

96

Page 97: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

IV. Bibliografia di riferimento

Page 98: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

Anna Maria Ambrosini Massari, Marina Cellini (a cura di), Nel segno di Barocci. Allievi e seguaci tra Marche, Umbria e Siena, 24 Ore Cultura, Milano 2005.

Giovan Pietro Bellori, Le Vite de' Pittori, scultori et architetti moderni, Roma 1672.

Giovanni Francesco Bianchi, Inventario generale di tutto quanto fu consegnato a Giovanni Francesco Bianchi custode della Galleria di S.A.R. prima la morte del di lui genitore dal 1704 al 1714, Firenze 1714.

Andrea Emiliani (a cura di), Federico Barocci, catalogo della mostra (Bologna, 14 settembre – 16 novembre 1975), Alfa Editoriale, Bologna 1975.

Andrea Emiliani, Federico Barocci (Urbino 1535 – 1612), Nuova Alfa, Bologna 1985.

Andrea Emiliani, Federico Barocci in Evelina Borea, Carlo Gaspar-ri (a cura di), L'idea del Bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori, catalogo della mostra (Roma, 29 marzo – 26 giugno 2000), De Luca, Roma 2000.

Andrea Emiliani, Federico Barocci (Urbino 1535 – 1612), Il Lavo-ro Editoriale, Ancona 2008.

Laura Fenley, Confraternal mercy and Federico Barocci's Madon-na del Popolo: an iconographic study, Texas Christian University, Fort Worth 2007.

Alessandra Giannotti, Claudio Pizzorusso (a cura di), Federico Barocci 1535-1612. L'incanto del colore. Una lezione per due secoli, catalogo della mostra (Siena, 11 ottobre 2009 – 10 gennaio 2010), Silvana Editoriale, Milano 2009.

98

Page 99: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

Inventario del cardinal Leopoldo de' Medici, Firenze 1676.

Luigi Lanzi, Storia Pittorica della Italia: dal Risorgimento delle Belle Arti fin presso alla fine del XVIII secolo, Bassano 1795-1796.

Stuart Lingo, Federico Barocci: allure and devotion in late Renaissance painting, Yale University Press, New Haven 2008.

Elizabeth Jane Alker Lisot, Passion, penance and mystical union: Early modern Catholic polemics in the religious paintings of Federi-co Barocci, University of Texas, Dallas 2009.

Carlo Cesare Malvasia, Felsina pittrice. Vite de' pittori bolognesi, Bologna 1678.

Francesco Federico Mancini (a cura di), Federico Barocci e la pittura della maniera in Umbria, catalogo della mostra (Perugia, 27 febbraio – 6 giugno 2010), Silvana Editoriale, Milano 2010.

Antonio Natali (a cura di), Federico Barocci. Restauro della Madonna della Gatta, Silvana Editoriale, Milano 2003.

Harald Olsen, A critical study in Italian Cinquecento Painting, Uppsala Universitet, Uppsala 1955.

Harald Olsen, Federico Barocci, Munksgaard, Copenaghen 1962.

Edmund P. Pillsbury, Louise S. Richards, The graphic art of Fede-rico Barocci: selected drawings and prints, catalogo della mostra (New Haven, 11 aprile 1978 – 4 giugno 1978), Yale University Art Gallery, New Haven 1978.

Francesco Scannelli, Il microcosmo della pittura, Cesena 1657.

99

Page 100: Federico Barocci Autore: Federico Giannini

David Scrase (a cura di), A touch of the divine: drawings by Fede-rico Barocci in British collections, catalogo della mostra (Cambridge, 16 febbraio – 29 maggio 2006), Hazlitt Gooden and Fox, Londra 2006.

Enrico Toti, Pittura a Siena tra “baroccismo” e naturalismo, Silvana Editoriale, Milano 2009.

Nicholas Turner, Federico Barocci, Adam Biro Books, Parigi 2000.

Giorgio Vasari, Le Vite de' più eccellenti pittori, scultori ed archi-tettori, Firenze 1568.

Ian Verstegen (a cura di), Patronage and Destiny. The Rise of the Della Rovere in Renaissance Italy, Truman State University Press, Kirksville 2007.

Gary R. Walters, Federico Barocci: anima naturaliter, Garland, New York-Londra 1978.

100

Page 101: Federico Barocci Autore: Federico Giannini