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in copertinaNatività di Cristo, Federico Barocci, Museo del Prado Madrid, 1590 circa

EDITORIALEdi Micaela Soranzo

“Anche noi dunque andiamo a servire,correndo, dietro la Madre andiamo:non può rinchiudersi mai nella casachi porta Cristo nel sangue e nel cuore” (David M. Turoldo)

Queste parole di p.David Maria Turoldo ci fanno entrare nel mistero dell’Incarnazione: anche noi, come Elisabetta, riconosciamo che Gesù è il Figlio di Dio, che si è fatto uomo per la nostra salvezza; anche noi, come Maria, avendo incontrato Cristo non possiamo non portare il lieto annunzio testimoniando, nel servizio ai fratelli, questo incontro.I temi iconografici sono, dunque, quello della Visitazione e quello della Natività. Come sempre vengono dati suggerimenti per una catechesi con l’arte su questi temi sia per i bambini che per i ragazzi, ma si possono trovare spunti anche per una catechesi per i giovani. Per un approccio serio alla lettura dell’opera d’arte in relazione alla catechesi, c’è un excursus sui principali testi che lungo il corso dei secoli hanno aiutato gli artisti a comprendere meglio il racconto biblico e a tradurlo anche in immagini simboliche. Per quanto riguarda lo spazio-chiesa, in questo numero viene proposta una riflessione storica, teologica e liturgica sull’altare. Soprattutto quando si tratta di realizzare un nuovo altare è ancora aperto il dibattito se sia meglio privilegiare l’aspetto di ‘mensa del convito’ o quello di ‘ara del sacrificio’. E proprio a partire dai documenti del Magistero l’altare può diventare occasione di catechesi eucaristica per tutta la comunità cristiana.La rubrica sull’arredo floreale tratta il rapporto tra fiori e Anno liturgico, sottolineando quanto sia importante che i fiori siano lo specchio del Tempo liturgico che si sta vivendo hic et nunc.Qualche suggerimento viene dato, poi, su come utilizzare le piante che crescono nel Tempo di Natale e che, pur provenendo dal mondo pagano, sono state rilette dalla tradizione cristiana.Prendendo spunto dai temi trattati, per chi ama viaggiare e andare ad ammirare di persona le opere d’arte, sono suggeriti due itinerari: uno a Roma per visitare la Chiesa di S.Maria in Vallicella, e l’altro in Spagna, a Barcellona, per contemplare la splendida Sagrada Familia di Antonio Gaudì. Infine, c’è uno ‘speciale Natale’, per scoprire il significato di alcuni personaggi del presepe, che tradizionalmente sono sempre presenti nelle rappresentazioni della natività.Per rendere più ‘concreta’ e più ‘condivisa’ questa rivista si attendono suggerimenti, idee, proposte, ma anche esperienze di ‘catechesi con l’arte’ o di arredo floreale da condividere con tutti coloro che sono interessati a queste problematiche.

Micaela Soranzo

www.micaelasoranzo.it [email protected] [email protected]

SOMMARIO

ICONOGRAFIALa Visitazione

La Natività

CATECHESI E ARTE

Origine e provenienza dei simboliSchede per la catechesi sull’iconografia della VisitazioneSchede per la catechesi sull’iconografia della Natività

ARCHITETTURA E LITURGIA

L’altare

ARREDO FLOREALE E LITURGIA

Arredo floreale e anno liturgico

… IN VIAGGIO

In Italia : Basilica di S.Apollinare in Classe a Ravenna

In Europa : Basilica di Vézelay (F)

SPECIALE: NATALE…IN FAMIGLIA

Le piante del Natale: agrifoglio e pungitopo

I personaggi del presepio

ICONOGRAFIA

Beato Angelico 1435 Cortona

LA VISITAZIONE

L’iconografia della Visitazione, all’apparenza piuttosto semplice e monotona, rivela invece aspetti vari e interessanti. Questo episodio evangelico non è stato mai oggetto di un culto parti-colare: in Oriente non esiste una memoria liturgica, e ciò spiega l’assenza di una specifica icona, mentre in Occidente la festa è stata introdotta solo nel XIV sec.. Anche se il tema è presente già dal V-VI sec., come nel sarcofago e nella cattedra eburnea di Massimiano a Ravenna, e nelle ampolle di Monza, non se ne trova traccia nelle catacombe: forse una Visitazione c’era nel ci-clo degli affreschi, ora scomparsi, nelle catacombe di s.Valentino sulla via Flaminia. (VII sec.).Nell’antichità il tema non è isolato, ma inserito nei cicli iconografici dell’Infanzia di Gesù, della vita di Maria e di Giovanni Battista; anche dove non c’è un ciclo troviamo sempre, però, un dittico: Annunciazione e Visitazione. Come nella storia di Maria la sua nascita è preceduta dall’abbrac-cio dei suoi genitori alla Porta d’Oro, così gli artisti sono portati a raffigurare un abbraccio anche prima della nascita di Gesù e l’incontro tra Maria ed Elisabetta ne avrebbe fornito l’occasione. C’è una marcata preferenza degli antichi artisti per questa rappresentazione paralle-la e uno dei primi esempi è il mosaico dell’abside della basilica Eufrasiana di Paren-zo (VI sec.), ma è soprattutto nella scultura del XIII sec. che si vuole porre a confron-to i due misteri, come si vede nei portali delle cattedrali francesi, da Amiens a Reims.Attorno alla Visitazione, in Oriente, si sviluppa un vero e proprio ciclo di immagini; si tratta di colmare il vuoto tra la visita ad Elisabetta e la nascita di Gesù, e gli Apocrifi han-no offerto un’ampia scelta di temi. Una serie completa di illustrazioni si trova nelle mi-niature dei manoscritti bizantini dell’XI sec., dove sono illustrati: il viaggio della Ver-gine accompagnata da una serva o da Giuseppe e guidata dagli angeli; il riposo di Maria durante il viaggio, simile a quello della Fuga in Egitto; l’incontro tra le due donne; la Ver-gine che canta il Magnificat; la nascita di Giovanni Battista e il ritorno di Maria a Nazareth. Il momento della pericope evangelica che viene solitamente rappresentato è quello dell’incontro e del saluto e, in genere, la scena è statica ed equilibrata; le due donne sono una di fronte all’altra: Maria di solito è a sinistra ed Elisabetta a destra. Una variante può essere data da una maggiore o minore evidenza dei segni della gravidanza e dalla più o meno accentuata differenza di età. Presenta grandi analogie con l’Annunciazione, poichè il tema comune è il ‘saluto alla Vergine’ sia da parte dell’arcangelo Gabriele che di Elisabetta. Questa scena, però, ha un carattere di in-tima affettuosità; loro, infatti, non si accontentano di salutarsi, ma si toccano e si abbracciano. Nell’esaminare l’incontro tra Maria ed Elisabetta ci si accorge che dal punto di vista icono-grafico presenta moltissime varianti che riflettono l’evoluzione del culto mariano nei secoli; tutte, però, sono riconducibili a tre grandi gruppi: il saluto, l’abbraccio e la genuflessione.Nel saluto a distanza la Vergine ed Elisabetta si inchinano cerimoniosamente l’una verso l’al-tra, come nella vetrata di Chartres o nel mosaico di Parenzo, dove si cerca anche di esprimere molto chiaramente la gravidanza delle due donne e in particolare di Maria. Sempre nello stesso periodo a Ravenna si può riconoscere la Visitazione in numerosi sarcofagi, che mostrano due personaggi isolati che avanzano l’uno verso l’altro e che si tratti di una Visitazione è con-fermato dal fatto che spesso sul lato opposto si trova raffigurata l’Annunciazione. Un saluto a distanza, ma con le braccia protese si può ammirare nella croce-reliquiario in smalto dei Papi Simmaco e Sergio I (VII sec.) conservata in Laterano, mentre si inchinano tendendosi la mano nelle porte del duomo di Pisa e di Benevento (XIII sec.). L’arte gotica francese del XII e XIII sec., influenzata dai modelli bizantini, tratta il tema della Visitazione con la dignità e la riservatezza di un saluto a distanza soprattutto nella scultura sulle facciate delle grandi catte-drali, dove è rappresentata, insieme all’Annunciazione, con due grandi statue isolate. Questa gestualità, però, si accorda male con l’arte realista e più umana della fine del Medioevo, che

“In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giu-da. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo ! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me ? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’ adempimento di ciò che il Signore le ha detto”.

(Luca 1, 39-45)

propone il tipo dell’aspasmos, un vero e proprio scambio di saluti, interpretato come abbrac-cio e bacio, e che si è introdotto nella pittura italiana nel XIV sec. con Giotto. Questa tipolo-gia resterà nel tempo la più diffusa, anche se con diverse varianti. Le due donne, mettendo a confronto la loro comune gravidanza, si gettano l’una nelle braccia dell’altra e si stringono fortemente. Fra le immagini più antiche c’è il bassorilievo longobardo dell’altare di Ratchis a Cividale (VIII sec.). Nell’XI e XII sec. la stessa tipologia si trova soprattutto nella scultura italiana, come si può vedere nella facciata del duomo di Orvieto, mentre del XIV sec. sono la porta bronzea del Battistero di Firenze di Andrea Pisano e gli affreschi dell’Angelico e del Ghirlandaio; viene poi ripreso nel XVI sec. nella Visitazione del Pontormo e in quella di Ru-bens. Nell’iconografia moderna e contemporanea il tema si fa sempre più raro e un illustre esempio rimane il bassorilievo di Lello Scorzelli per la Porta della Preghiera a S.Pietro, ma il tipo dell’abbraccio è ripreso anche da Chiara Pasquetti per l’immagine del nuovo Lezionario. Fu il Rinascimento a introdurre cambiamenti nella scena, a partire dall’atteggiamento di Eli-sabetta; il culto mariano, infatti, esige che le due donne non siano rappresentate su un piano di uguaglianza, perciò quella che ha in grembo il piccolo precursore si mette in ginocchio davanti a colei che porta nel suo seno il Messia, come nella terracotta di Andrea della Robbia nella chiesa di .Giovanni Fuorcivitas a Pistoia e nel quadro del Ghirlandaio al Louvre. Nel ‘500, poi, si vuole mettere in evidenza non solo la devozione e la venerazione di Elisabetta, ma anche l’amicizia e l’affetto della giovane Maria, che rialza amorosamente da terra la parente.L’arte realistica della fine del Medioevo ha con compiacenza sottolineato lo stato di gravidan-za del due donne e mostrato i loro bambini allo stato di embrioni visibili ‘in utero’. Il tema dei bambini visibili si diffonde nel XV sec., soprattutto in Germania: i due feti sono raffigu-rati come fosforescenti nel seno trasparente delle loro madri: non sono due embrioni, ma due creature perfettamente sviluppate. La figura del bambino è simile a un ometto; talvolta le due figurine si salutano: Gesù fa un gesto di benedizione e il piccolo Giovanni si inginocchia, come in una tela di scuola austriaca del XV sec. conservata nell’Abbazia di Kremsmunster o nel quadro di Marx Reichlich alla Pinacoteca di Monaco. Oltre a far riferimento al testo di Luca “exultavit in utero”, sicuramente quegli artisti sono stati influenzati dal testo di un anonimo francese del XV sec. in cui si legge: “Dentro il ventre di sua madre /si inginocchiò davanti al suo maestro: / cosa dolce e non amara/ poiché entrambi stavano per nascere”. Questo motivo, però, non è stato ben accolto dalla Chiesa e il Concilio di Trento lo proibì definitivamente.La Visitazione comporta generalmente due soli personaggi: Elisabetta e Maria. E’ un incontro segreto fra due donne, senza testimoni, e lo stesso evangelista non aggiunge altri personaggi alla scena. In seguito gli artisti raffigurano i rispettivi mariti, Giuseppe e Zaccaria, una o più ancelle, o altre figure legate alle diverse interpretazioni date alla Visitazione nel corso dei se-coli. La presenza di Zaccaria è naturale, poiché l’incontro avviene in casa sua, mentre quella di Giuseppe molto meno, in quanto la visita è avvenuta di nascosto e la presenza di Giuseppe è inconciliabile con la sorpresa che manifesta più tardi davanti alla gravidanza di Maria. D’altra parte la sua assenza è impensabile, poiché una donna, in Oriente, non poteva viaggiare da sola. In qualche opera del Rinascimento vi sono elementi che fanno riferimento al viaggio, come un bambino che porta un canestro o un mulo legato a una stalla che mangia. Già nell’affresco di Pintoricchio nell’appartamento Borgia del 1497 la Vergine è accompagnata da Giuseppe, come poi nell’opera del Baroccio a S.Maria la Vallicella. I due mariti continuano ad essere presenti per tutto il XVII sec. come si può vedere nella cattedrale di Strasburgo e nella famosa Visitazione della Galleria Borghese attribuita a Rubens. A partire dalla presenza di immagini che ricorda-no la carica sacerdotale di Zaccaria e giocando sulla vecchiaia di Elisabetta contrapposta alla

giovinezza di Maria, si è letta la scena come simbolo dell’incontro tra la Chiesa e la Sinagoga.Ai due sposi si sostituisce o si aggiunge talvolta l’immagine delle due Marie, Maria di Cleofa e Maria Salome, come nella Visitazione del Ghirlandaio al Louvre e in quella di Pontormo nella Pieve di S.Michele di Carmignano. Le raffigurazioni del tardo Medioevo vengono arricchite di solito dalla presenza di due ancelle alle spalle rispettivamente della Vergine e di Elisabetta, come si può vedere nell’affresco di Giotto agli Scrovegni e nei bassorilievi di Lorenzo Maitani a Or-vieto. Anche il Beato Angelico nella predella dell’Annunciazione di Cortona segue lo schema delle due ancelle, ma verso il 1500 sono sostituite da un fastoso corteggio. Nella Visitazione del Louvre, attribuita a Gentile da Fabriano, si può notare il lusso delle serve, che in numero di quat-tro prendono parte alla scena. Talvolta assistono alla scena anche alcuni santi; più eccezionale è la presenza di angeli turiferari, che svolgono il ruolo di paggi e reggono il mantello alla Vergine; questo dettaglio viene da una contaminazione con l’iconografia dell’Incoronazione della Vergine. Con l’aggiunta di queste figure di accompagnamento la Visitazione si allontana sempre più dal-la tipologia della Annunciazione, dove il soggetto è incompatibile con la presenza di spettatori.La scena si svolge generalmente all’aperto, anche se questo contrasta con il testo evangelico che dice: “Entrata nella casa di Zaccaria salutò Elisabetta”. Qui l’iconografia è ricalcata sugli Apocrifi; il Protovangelo di Giacomo al cap.12 dice: “Maria si rallegrò e andò da Elisabetta sua parente; picchio all’uscio; udito che ebbe, Elisabetta gettò via lo scarlatto, corse alla porta ed aprì”. Molto spesso l’esterno della casa di Elisabetta è raffigurato da arcate chiuse da tendaggi, con una serva che solleva una tenda dall’interno della casa, come nell’avorio di Salerno. Quasi sempre, per meglio evidenziare l’ambiente esterno, si può notare la presenza di piante o ele-menti architettonici, come volte o arcate, fino ad ambientare l’incontro su una piazza o in una città, come nella tela di Carpaccio, dove assistono alla scena anche numerosi altri personaggi.

Ippolito Scarsella 1590 collezione CREDEM Reggio Emilia

LA NATIVITA’

Sono molteplici le raffigurazioni della Natività di Cristo dall’arte paleocristiana ad oggi, ma si definisce “Natività” l’immagine in cui è presente solo la Sacra Famiglia, talvolta arricchita dalla presenza di santi e donatori, che è particolarmente sviluppata nel rinascimento fiorenti-no, mentre sono “Adorazioni” quelle in cui compaiono anche altri personaggi come i pastori o i magi.Le componenti fondamentali della Natività sono tre, Maria, Giuseppe e Gesù, da cui si originano due combinazioni: con i pastori e con i Magi. Il racconto è caratterizzato da alcuni elementi significativi: la verginità della madre, la nasci-ta nella grotta, la presenza della stella, l’arrivo dei magi e la persecuzione di Erode, che sono riconducibili a un modello letterario diffuso in Oriente nella narrazione di nascite di eroi e di

re a cui viene affidato un destino di trasformazione della storia dei loro tempi e che per que-sto sono presentate come un dono del cielo. Si possono, poi, evidenziare altri elementi im-portanti, come la stella, gli angeli, l’asino e il bue, le pecore, i doni, la capanna, la mangiato-ia, altri animali (cavalli, cammelli, cane, pavone) e i servitori. Infine vi è spesso la presenza di un paesaggio di sfondo, magari arricchito da piccole scene di vita, o un prato con fiori ed erbe.Matteo e Luca, gli evangelisti dell’Infanzia di Gesù, propongono il racconto della nascita come compimento della profezie veterotestamentarie, anche se con notevoli differenze nar-rative, e ne sottolineano la dimensione cosmica con il racconto della visita dei pastori, del coro degli angeli e della visita dei Magi. La mancanza di particolari narrativi nei Vangeli, porta a ricercare ulteriori dettagli in altri testi, quali il Protovangelo di Giacomo, il Vangelo dello Pseudo Tommaso, i Vangeli arabo e armeno dell’Infanzia, la Legenda Aurea e le Medi-tazioni dello Pseudo Bonaventura. Tra il V e il VI sec. gli Apocrifi, infatti, ebbero una grande influenza nella formazione del ciclo della Natività, tanto da finire con l’essere recepiti anche dagli stessi Padri della Chiesa.La più antica raffigurazione che allude alla Natività è del III sec. e si trova nelle catacombe di Priscilla; qui la Vergine è seduta con il bambino in braccio mentre il profeta che le è ac-canto indica la stella, in riferimento al profeta Balaam: “una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Nm.24,17). Nelle catacombe di S.Sebastiano a Roma troviamo già una raffigurazione di Gesù Bambino posto in una cassa di legno e adorato da due animali, ma non vi è nessun’altra presenza, per cui non può essere considerata una vera e propria Nativi-tà, quanto un riferimento a Isaia. Il bue e l’asino, infatti, pur non essendo menzionati né da Luca, né da Matteo, sono sempre rappresentati nelle scene della Natività, facendo riferimen-to agli Apocrifi e a un trattato scritto da Origene intorno al 220, in cui l’autore rimanda alla profezia di Isaia 1,3: “Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Isra-ele non conosce e il mio popolo non comprende”. Origene ricollega questo brano alla nascita di Cristo, perchè interpreta il bue, animale ritenuto puro, come simbolo degli ebrei e l’asino, ritenuto impuro, come simbolo dei pagani: solo questi ultimi sapranno riconoscere la grep-pia del loro padrone. Sul coperchio di alcuni sarcofagi del IV sec. l’immagine essenziale di Gesù con i due animali può essere affiancata da uno o due pastori con la corta tunica romana legata in vita, il capo scoperto e il bastone curvo in cima, o anche da un profeta con un rotolo di pergamena. Maria, seduta su una pietra in disparte, appare solo se la scena è unita a quella dell’adorazione dei Magi e così pure la stella. Dal V sec. il profeta, e spesso anche il pastore, scompaiono per lasciare posto a Giuseppe seduto su un sasso dal lato opposto a Maria: è con il VI sec. che Maria diventa il secondo punto focale della composizione.La vera e propria rappresentazione della Natività compare, invece, molto tardi nell’arte cri-stiana: è, infatti, il Concilio di Efeso del 431 che, proclamando la divina maternità di Ma-ria, dà inizio alla rappresentazione di questo tema. Fondamentale per il suo sviluppo è stata anche l’Istituzione della festa del Natale il 25 dicembre, menzionata per la prima volta nella redazione della ‘Depositio martyrum’ del 335, separandola dall’Epifania, e la costruzione nel 435, per volere di papa Sisto III, nella chiesa di S.Maria Maggiore a Roma, di una cappella contenente le assicelle della mangiatoia e per questo detta ‘Sancta Maria ad Praesepe’. In seguito la rappresentazione di Greccio (1223) ne portò ovunque la diffusione. In genere l’arte paleocristiana raffigura questo tema con tipi già esistenti nella tradizione greco-romana: Ma-ria è adagiata su un fianco, con la testa velata e avvolta con un manto; Gesù è un putto fa-sciato deposto sulla mangiatoia sopra alla madre, su cui si affacciano il bue e l’asino adoran-

Gentile da fabriano 1423 Galleria degli Uffizi Firenze

“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. (…) Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: (…) Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era in-cinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’ era posto nell’ alloggio.C’ erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’ aperto, vegliavano tutta la not-te facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce”.

(Luca 2, 1-9)

ti; Giuseppe, un vecchio con una lunga barba e un’ampia toga raccolta su un braccio, siede da un lato, mentre dall’altro l’angelo in forma di vittoria alata appare ai pastori e in basso si trovano due levatrici che fanno il bagno a Gesù. Tra gli esempi più antichi e più interessan-ti, ci sono le ampolle di Monza del VII sec. in cui si vede la Vergine col Bambino al centro, mentre a destra a sinistra sono raffigurati l’annuncio ai pastori e l’adorazione dei magi.Nelle icone bizantine, importanti per gli sviluppi delle immagini occidentali, il tema è rap-presentato secondo uno schema fisso: nell’icona della Natività di Andrei Rublev del XV sec., ad esempio, la scena è dominata dalla montagna che si apre in una grotta, simbolo degli inferi. Maria è il roveto ardente che ha partorito Cristo, fasciato come un morto e deposto nella culla-sepolcro. L’asino e il bue rappresentano giudei e pagani, gli angeli, due che guardano verso il cielo e il terzo chino verso i pastori, la presenza della Trinità. Giuseppe viene tentato dal demone-pastore e le due levatrici rappresentano l’umanità incredula, su cui attenta vigila Maria. A sinistra i Magi che portano i doni al Bambino sono il segno che Cri-sto si è incarnato anche per gli stranieri e prefigurano le donne che portano aromi al sepolcro. Nell’arte bizantina quindi la Nascita di Cristo viene illustrata combinando le diverse scene della natività, dell’annuncio ai pastori e della venuta dei magi, che in Occidente saranno og-getto di rappresentazioni distinte; Maria non appare più seduta su un trono come nelle raffi-gurazioni paleocristiane, ma distesa su un letto. Fin dalle sue origini la Natività presenta alcune componenti fisse: la fasciatura del Bambino, la mangiatoia, il bue e l’asino, che, per il loro intrinseco valore simbolico, riceveranno una notevole attenzione, sia iconografica che letteraria. Già il vangelo di Luca intuisce numerose rispondenze tra l’episodio della Natività e quello della Deposizione di Cristo, individuan-do nelle fasce il simbolo della sepoltura. Una conferma di tale lettura si vede sia nella forte somiglianza iconografica esistente tra l’immagine del bambino fasciato e quella consueta di Lazzaro avvolto nelle bende, sia nella particolarità di alcune scene della Natività, dove la mangiatoia diviene simile a un vero e proprio sepolcro. La mangiatoia, menzionata da Luca stesso come segno per riconoscere il bambino, viene sostituita spesso con un tavolo, una cassa o una cesta di vimini. L’origine di quest’ultima è forse riconducibile al racconto del ritrovamento di Mosè in una cesta sulle acque, mentre nella variante del tavolo, solitamente coperto da un drappo, probabilmente è da vedere un altare, come a Chartres o a Klosterneu-burg, secondo quanto suggeriscono alcuni passi di Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo e Ambrogio, che definiscono la mangiatoia ‘un altare simbolico’ e Cristo come il ‘pane viven-te’. Una lampada sospeso al soffitto e delle tende semiaperte accentuano a Chartres la somi-glianza fra la mangiatoia e un altare: Gesù è offerto all’adorazione dei fedeli come su un’ara; è già il redentore, futura vittima di espiazione pei peccati dell’umanità.Nel XII e XIII sec. i racconti della Nascita di Cristo si arricchiscono a poco a poco di det-tagli.Dal XII sec. si precisa lo scenario dietro i personaggi: ma all’inizio c’è la roccia o la grotta, simbolo del legame tra cielo e terra, che pur restando in alcune rappresentazioni fino al medioevo, viene generalmente sostituita da una specie di architettura, sia una tettoia o un portico, come nei dipinti gotici, o una struttura in legno incassata nella montagna come quel-la di Giotto agli Scrovegni o un semplice spiovente in stato di abbandono con grossi buchi nella paglia che lo ricopre, come si può vedere fino al XV sec.. Gli artisti fecero a volte della mangiatoia una piccola costruzione simile a una versione ri-dotta della Chiesa della Natività di Betlemme: una pianta a tre navate con una cappella ot-tagonale in corrispondenza dell’abside. La costruzione diviene poi sempre più complessa e talvolta un pavone, simbolo di immortalità, è appollaiato sul tetto.

Le rovine o le ali di muro sbrecciate compaiono nei quadri alla fine del XV sec. e varie sono le interpretazioni: secondo i Padri della Chiesa le rovine sono il simbolo del vecchio mondo che crolla all’avvento di quello nuovo, segnato dalla nascita di Cristo.

Murillo, Adorazione dei pastori 1650 Museo del Prado

CATECHESI E ARTE

ORIGINE E PROVENIENZA DEI SIMBOLIPer una corretta lettura iconografica e iconologica delle opere d’arte bisogna innanzitutto comprendere, all’interno dell’epoca in cui sono state realizzate, quali sono state le fonti cul-turali e letterarie di riferimento.

1. Mondo pagano: i simboli scelti non furono sempre un patrimonio originale del cristiane-simo, ma in epoca cristiana si procedette ad una loro reinterpretazione in senso cristiano (olio dei catecumeni, crisma, ecc…). In generale si può constatare una feconda influenza dell’anti-chità pagana.

2. Sacra Scrittura: "La Bibbia è il grande codice dell'arte" (G.Ravasi)I personaggi, gli avvenimenti e le immagini dell'Antico Testamento sono posti in rapporto con il Nuovo Testamento, divenendone ‘tipo’ e prefigurazione. “Il Nuovo Testamento è celato nell'Antico, l'Antico si manifesta nel Nuovo” (Agostino). 2.1. Apocrifi (soprattutto i Vangeli dell'Infanzia e la vita di Maria): in particolare il Protovan-gelo di Giacomo, lo Pseudo-Matteo, il Vangelo arabo-siriaco e quello armeno dell’Infanzia.2.2. Padri della Chiesa: alla loro predicazione deve tanto la prima arte simbolica cristiana

3. Physiologus: un cenno particolare merita la simbologia animale. Soprattutto nell'XI e XII sec., l'animale sta a rappresentare inclinazioni ed esperienze dell'uomo. Questa simbologia è basata sul "Physiologus", la fonte più caratteristica nell'arte figurativa del Medioevo per quanto riguarda il mondo animale. Si tratta dell'opera di un autore ignoto, composta pro-babilmente in Egitto intorno all'anno 200; viene ripreso e rielaborato nei Bestiari francesi e illustrato sui portali delle chiese, sui capitelli, ecc.. Senza conoscere questo testo è impossibi-le districarsi nel fantastico intreccio tra biologia e mistica, favola e miracolo, di cui è pregna l'arte figurativa dell'epoca.

4. Legenda Aurea: un'altra fonte di un gran numero di rappresentazioni, scene ed attributi è la "Legenda aurea" dell'arcivescovo di Genova Jacopo da Varazze (1230-98) con tutte le storie di santi e prodigi che contiene. Si tratta di un'opera particolarmente interessante per chi voglia approfondire la conoscenza del significato di particolari attributi di santi.

5. Sacre rappresentazioni: fonti di vivaci scene artistiche e di numerose raffigurazioni dal significato simbolico, sono largamente diffuse in tutta Europa. Testi e canovacci sono giunti fino a noi e ci consentono di spiegare delle rappresentazioni pittoriche difficilmente interpre-tabili.

6. Hortus deliciarum: è tra le principali opere enciclopediche della simbologia medievale, della badessa alsaziana Herrad di Landsberg (1195). Vi si trovano i più straordinari riferi-menti alla tipologia, alla cosmologia e all'iconografia medievali.

7. Speculum Humanae Salvationis (sec.XIV): fonte e modello dell'arte figurativa simboli-ca; è uno schizzo mistico-simbolico della storia della salvezza di epoca assai più tarda. L'arte del Rinascimento e del Barocco creò a sua volta nuovi legami fra le tradizioni simboliche dell'antichità e del medioevo e numerosi sono i libri simbolici dei sec. XVI-XVIII.

8. Manuale di pittura del Monte Athos: bisogna tener conto anche del ricco patrimonio figurativo della Chiesa orientale, che le numerose riproduzioni di icone in commercio, ren-dono noto a un pubblico sempre più vasto. Influssi dell'arte bizantina sul mondo figurativo dell'Occidente. Nella pittura della Chiesa orientale colpisce soprattutto l'invariabilità della maggior parte dei motivi, scene, costumi, atteggiamenti, colori.

Giotto, Padova 1304 Cappella degli Scrovegni, Visitazione (1304)

SCHEDE PER LA CATECHESI di Veronica Rossi

VISITAZIONEIncontro con l’immagine

● Chiediamo ai ragazzi di osservare con attenzione l’immagine e domandiamo loro se riconoscono qualche personaggio, la scena rappresentata.● Leggiamo insieme a loro l’immagine. Gli elementi da sottolineare sono:-primo livello: Maria, l’angelo, la colomba -secondo livello: Dio Padre, il giglio (ramo d’olivo, bastone, ecc.), la luce-terzo livello: la casa, gli animali, il paesaggio (giardino cintato, prato con fiori ed erbe, ecc.)-quarto livello: scene specifiche come Adamo ed Eva, angelo dell’Eden, altre figure, ecc…Vanno aiutati i ragazzi a osservare i gesti, le espressioni, gli abiti, l’ambiente, gli oggetti .

Conversazione dopo la lettura

● Leggere il brano evangelico di riferimento dell’immagine e cercare di comprendere il significato che esso ha nella vita di un cristiano, nella vita di ognuno di noi.● Nella conversazione con i ragazzi, cerchiamo di far venir fuori le loro esperienze e portarli a riflettere sul tema dell’ascolto e dell’accoglienza a partire dalla loro esperienza: ascolto dei genitori, degli insegnanti, degli amici, per arrivare all’ascolto della parola di Dio, della sua ‘chiamata’ a compiere nella propria vita un disegno di amore e felicità . ● Con i ragazzi più grandi si può affrontare il tema del rapporto Maria-Eva e Gesù-Adamo. Nella conversazione con loro cerchiamo di raccogliere le loro testimonianze ed emozioni riguardo l’esperienza di rottura di un’amicizia e della successiva riconciliazione; così pure possiamo parlare del rapporto obbedienza/disobbedienza.

Laboratorio sull’immagine

● Proponiamo ai bambini di disegnare il tema dell’Annunciazione mettendo loro a disposizione colori e materiali vari (pennarelli, pastelli, porporine, stoffe, ecc..), cercando di inserire tutti gli elementi principali. ● Ai ragazzi possiamo proporre il medesimo tema, ma scegliendo quale momento dell’incontro fra Maria e l’angelo si vuole evidenziare (conturbatio, cogitatio, interrogatio, humiliatio). Si può, poi, ricostruire con le diverse immagini tutto il racconto dell’Annunciazione. ● In alternativa si può rappresentare l’episodio anche attraverso la tecnica del fumetto oppure con una drammatizzazione.● Ai ragazzi possiamo anche chiedere di realizzare un doppio-disegno che presenti Maria come la ‘nuova Eva. Prendere un cartoncino e piegarlo in due: a sinistra si disegna Eva (assieme ad Adamo) nel giardino dell’Eden al momento della disobbedienza; a destra si disegna Maria al momento dell’Annunciazione, quando accoglie la notizia dell’angelo ed è pronta a fare la volontà di Dio.

Davanti all’immagine nella preghiera● Per i bambini possiamo predisporre, prima dell’inizio della preghiera, dei post-it colorati con scritto “Provo GIOIA quando…”, nei quali facciamo scrivere un momento in cui ciascuno prova o ha provato gioia. Durante il canto finale, dopo la recita del Magnificat, faremo attaccare i post-it su un cartellone con scritto “DICIAMO SI ALLA GIOIA”che rimarrà appeso nella sala del catechismo.● Proponiamo ai bambini/ragazzi il testo del Magnificat, per pregare come Maria dopo il suo incontro con Elisabetta. La preghiera verrà recitata a cori alterni, ponendo particolare cura nella scansione metrica delle frasi (importante per educare, soprattutto i ragazzi, al modo di pregare della Liturgia delle Ore).● Concludiamo la preghiera con un canto alla Madonna o a tema tra quelli conosciuti● Predisponiamo dei cartoncini con il testo del Magnificat, da consegnare ai bambini/ragazzi a memoria dell’incontro, invitandoli a riproporlo anche in famiglia.

Giotto, Assisi Basilica Inferiore, Natività (1314)

NATIVITA’Incontro con l’immagine

● Chiediamo ai ragazzi di osservare con attenzione l’immagine e domandiamo loro se rico-noscono qualche personaggio, la scena rappresentata.● Leggiamo insieme a loro l’immagine. Gli elementi da sottolineare sono: - primo livello: Maria, Giuseppe, Gesù, la mangiatoia- secondo livello: grotta (capanna o altro), bue e asino, angeli, pastori, stella- terzo livello: altri animali, paesaggio, bagnetto, levatrici, fasce del bambino, ecc…

Conversazione dopo la lettura

● Leggere il riferimento evangelico dell’immagine e cercare di comprendere il significato che esso ha nella vita di un cristiano, nella vita di ognuno di noi.● Nella conversazione con i ragazzi, sviluppiamo il tema dell’accoglienza e della contempla-zione/adorazione, portandoli a riflettere su come i pastori, dopo aver accolto l’invito dell’an-gelo, ‘senza indugio’ abbiano lasciato i loro greggi per andare ad adorare il Salvatore. ● Anche noi, come i pastori, siamo capaci di abbandonare le nostre abitudini, le nostre sicu-rezze, i nostri falsi idoli, per correre incontro a Cristo, riconoscendo che solo Lui dà un senso alla nostra vita, illumina il nostro cammino e che Lui solo va adorato?

Laboratorio sull’immagine

● Proponiamo ai ragazzi di disegnare il tema della Nascita di Gesù nei suoi tre aspetti. Pren-diamo un cartoncino e pieghiamolo in tre parti: al centro facciamo disegnare la Natività (Maria, Giuseppe e il Bambino), a sinistra l’Adorazione dei pastori e a destra l’Adorazione dei Magi. ● Ai ragazzi più grandi si può proporre di aggiungere altri personaggi importanti per la loro vita, a partire dalla propria famiglia (su immagine delle Adorazioni rinascimentali).● Su imitazione della Genealogia di Gesù, importante per capire le sue origini e la sua di-scendenza dalla casa di David, si può far disegnare a ciascun ragazzo il proprio ‘albero gene-alogico’ in cui collocare non solo i propri genitori, nonni e parenti, ma anche quelle persone che sono importanti per la loro vita di fede (padrino o madrina, parroco, insegnante, catechi-sta, amico/amica, ecc..) .

Davanti all’immagine nella preghiera

● Posizioniamo l’immagine in un luogo appropriato per vivere un momento di preghieraO Gesù, che ti sei fatto Bambino per venire a cercare e chiamare per nome ciascuno di noi, Tu che vieni ogni giorno e che vieni a noi in questo tempo di Natale, donaci di aprirti il nostro cuore.

Noi vogliamo consegnarti la nostra vita, il racconto della nostra storia personale, perché Tu lo illumini, perché Tu ci scopra il senso ultimo di ogni sofferenza, dolore, pianto, oscurità.

Fa' che la luce della tua notte illumini e riscaldi i nostri cuori, donaci di contemplarti con Maria e Giuseppe, dona pace alle nostre case, alle nostre famiglie, alla nostra società! Fa' che essa ti accolga e gioisca di Te e del Tuo amore.● Con i ragazzi più grandi si può proporre un momento di silenzio e adorazione davanti al Bambino; ognuno porterà ‘in dono’ la propria vita, le proprie gioie e le difficoltà. (questo può essere anche visualizzato mediante un segno: biglietti, pacchettini, ecc…).

ARCHITETTURA E LITURGIA

ALTARE

Ogni uomo che desiderava comunicare con la divinità cercava un luogo, che considerava sa-cro, per vivere questo incontro, predisponendo una costruzione su cui sacrificare i suoi doni: l’altare. Spesso era posto in alto, con gradini per accedervi, in modo da permettere la visione agli offerenti e indicare la trascendenza della divinità: era anche simbolo del centro del mondo, come se lì passasse l’asse terra-cielo.L’altare cristiano, però, non trae la sua origine dall’ara sacrificale dei templi pagani, ma dalla mensa del Cenacolo, dove Gesù celebrò la sua Pasqua, e dalla tavola nella casa di Emmaus, dove i discepoli riconobbero il Signore nello spezzare del pane. L’altare cristiano è stato defi-nito con i termini latini di ‘ara’ e ‘mensa’, in greco thusiasterion e trapeza, facendo riferimento sia al luogo del sacrificio che al tavolo con quattro gambe su cui si consuma il pasto familiare. Il primo altare di cui parla la Bibbia è quello eretto da Noè dopo il diluvio, ma anche Abramo ne costruì uno per ricordare il suo incontro con il Dio dell’Alleanza e così pure Mosè eresse il suo altare come memoriale della sua vittoria sui nemici. Secondo il libro dell’Esodo l’altare per il sacrificio doveva essere di terra o di pietra non lavorata dall’uomo per non profanarla, costruito in seguito con dodici pietre, per simboleggiare la totalità e l’unità del popolo d’Isra-ele.

“Senza altare non c’è tempio, ma solo casa di preghiera” (Simeone di Tessalonica).

Gli altari dell’Antico Testamento, come i pasti ai quali Cristo partecipò nel corso della sua missione terrena, saranno visti successivamente come prefigurazione dell’altare cristiano, ma nei primi secoli, però, la mensa eucaristica non era considerata altare, perché i Padri della Chiesa temevano richiamasse il culto pagano, ma a partire dal IV secolo loro stessi ne parlano. Facendo riferimento a Epifanio e a Cirillo di Alessandria, il Rito della Dedicazione dell’altare dice: “Gli antichi Padri della Chiesa, meditando sulla Parola di Dio, non esitarono ad affermare che Cristo fu vittima, sacerdote e altare del suo stesso sacrificio”. Anche Ambrogio e Ignazio di Antiochia parlano del radunarsi attorno allo stesso altare che è Cristo, e così pure Agostino, commentando Mt.23,17, dice che per tempio e altare si intende Cristo stesso. I più antichi altari cristiani, di cui gli affreschi delle catacombe ci hanno tramandato le imma-gini, appaiono di legno, di piccole dimensioni e di forma rotonda, e venivano preparati al mo-mento della liturgia eucaristica; vi sono poi quelli a sigma, a semicerchio o a ferro di cavallo; l’altare, dunque, non ha una forma particolare che lo caratterizza: è la sua funzione nella litur-gia che lo rende ‘altare’. L’associazione della mensa eucaristica con la pietra su cui il patriarca Giacobbe posò il capo e con la roccia dalla quale Dio fece scaturire l’acqua (1Cor.19,4) motivò la graduale trasformazione da mensa di legno ad altare di pietra. Oltre al simbolismo biblico e agli esempi degli altari dell’Antico Testamento vi contribuirono anche altri fattori, come l’as-sociazione della celebrazione eucaristica con il culto dei martiri e la successiva deposizione delle reliquie sotto l’altare, che già nel IV sec. diviene fisso.L’altare di pietra, come risulta dai reperti archeologici, era molto piccolo, sufficiente a conte-nere i doni eucaristici, di forma quadrata o appena rettangolare. Le dimensioni ridotte dell’al-tare, dunque, non nuociono affatto alla dignità della celebrazione ma, anzi, lavorato su tutti quattro i lati, l’altare potrà irradiarsi tutto intorno e non solo frontalmente, esplicitando meglio la sua funzione di ‘fuoco’ dello spazio liturgico. Sempre l’iconografia antica presenta l’altare coperto da splendide tovaglie che scendono fino a terra, esaltandone la forma cubica, come si può vedere nei mosaici di Ravenna. La motivazione si ritrova in Simeone di Tessalonica, che afferma: “La mensa è quadrangolare, perchè da essa si sono nutrite e sempre si nutrono le quattro parti del mondo” e nel Pontificale Germanico dove si legge: “L’altare è immagine della Chiesa: ha quattro lati, perchè essa si estende verso le quattro parti del mondo”.Partecipare alla mensa del Signore significa avere comunione con lui (1Cor.10,16-21) e, per mezzo di lui, con il Padre. Radunarsi attorno alla mensa vuol dire radunarsi attorno a Cristo e attingere alla sorgente della vita. L’altare è una mensa attorno alla quale la famiglia di Dio si raccoglie per prendere il cibo e della mensa deve conservare l’aspetto e la suppellettile, ma tutti i documenti qualificano sempre l’altare sia come tavola del convito che come pietra del sacrificio, come si legge nelle Premesse del Rito della Dedicazione e nella preghiera di con-sacrazione dell’altare: “Sia dedicato a te (Signore), /come ara del sacrificio di Cristo/ e mensa del suo convito”.L’altare è Cristo e allora è incensato, proprio come la croce, è unto ed è l’unico oggetto che il sacerdote bacia durante la celebrazione, oltre all’Evangeliario; inoltre a lui si devono molti segni di venerazione come l’inchino e l’omaggio floreale. Per questo i Praenotanda al Messale Romano prevedono che “per rispetto verso la celebra-zione […]si distenda sopra l’altare almeno una tovaglia di colore bianco, che sia adatta alla struttura dell’altare per la forma, la misura e l’ornamento”.Ma dov’è, allora, il rispetto per la mensa eucaristica nelle tovaglie ‘recuperate’ mettendo insieme due o tre di quelle usate per il vecchio altare con pizzi e ornamenti diversi, nelle lastre di vetro o, peggio ancora, nelle tova-glie di plastica, magari in ‘finto pizzo’, poste sopra la tovaglia della celebrazione?

Ravenna, Basilica di S.Vitale, Abramo e Melchisedek

L’altare è generatore dell’architettura: da esso parte e ad esso ritorna tutto l’itinerario sacra-mentale e il presbiterio stesso viene a configurarsi quasi come uno spazio di dilatazione dell’al-tare. Già lo spazio paleocristiano e quello medievale non si orientava a partire da un davanti e da un dietro, ma da un centro, e per questo è necessario che l’altare sia ben visibile da tutti, affinché tutti si sentano in rapporto con esso, e che sia “posto in un luogo tale da risultare il centro ideale a cui spontaneamente converga l’attenzione di tutta l’assemblea”. Ma la centra-lità dell’altare non va intesa, però, “in senso letterale e statico, ma sacramentale e dinamico e quindi l’altare non va collocato nel centro geometrico dell’aula, ma in uno dei suoi punti spazialmente eminenti” (ACRL 15). L’altare, però, è luogo centrale e dinamico se ad esso ‘si va’. Romano Guardini parla dei gradini che portano all’altare dicendo che “a chi li ascende essi sussurrano quello che già ebbe a dire il Signore a Mosè sul monte Horeb: “Levati i calzari perchè questo terreno è sacro”. L’altare è la soglia dell’eternità. Salirai consapevolmente i gra-dini sapendo di ascendere?” L’elevazione dell’altare, allora, viene ad assumere un significato simbolico-teologico molto forte, indispensabile perchè esso diventi polo generatore e attrattiva dinamica, ma l’essere alto dell’altare non è necessariamente l’essere sopraelevato, poiché anche una opportuna pavimen-tazione può evidenziare la sua preminenza.La sua collocazione deve essere strategica, poiché ad esso e attorno ad esso devono essere pen-sati e disposti i diversi spazi celebrativi. La centralità dell’altare deve essere, allora, evidente e non essere oscurata da nessun altro elemento: né dalla sede né dall’ambone, ma ancor meno da suppellettili varie, candelieri o fiori, posti su di esso, per quali i Praenotanda prevedono una diversa sistemazione (OGMR 305-306). L’altare deve quindi essere unico, rivolto verso il popolo, proporzionato all’area circostante, fisso e preferibilmente di pietra naturale, comunque mai di materiali trasparenti, che ne compromettano la forza simbolica . L’altare di pietra, infat-ti, richiama facilmente le diverse immagini profetiche dell’Antico Testamento evocate anche dalla preghiera di consacrazione e dall’antifona del tempo pasquale, che riprende (2Pt.2,6-7): la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo”. E’ evidente che ogni chiesa richiede soluzioni concrete diverse a seconda dell’insieme archi-tettonico e dello spazio a disposizione, e che c’è molta più ‘libertà’ nel progettare l’altare per una chiesa nuova rispetto a una chiesa storica, poiché è impensabile l’eliminazione dei molti altari antichi, anche se questo può ingenerare una confusione nell’attuazione della riforma liturgica. Nel rispetto, però, delle leggi che tutelano il patrimonio artistico, occorre passare dalle sistemazioni ancora provvisorie a quelle definitive limitando, per quanto possibile, la soluzione del doppio altare. Da quanto detto appare necessario rivedere certe soluzioni adottate nelle nostre chiese. Innanzitutto la sede non dovrebbe mai stare a ridosso dell’altare preesistente, soprattutto se contiene ancora la riserva eucaristica, e inoltre non ci si stancherà mai di ripetere che sia l’alta-re maggiore che gli altari laterali non devono mai essere coperti da tovaglie bianche, né ornati con candelieri e fiori, proprio per affermar l’unicità dell’altare della celebrazione (OGMR 303).Per quanto riguarda la sistemazione del nuovo altare va sicuramente scoraggiata la soluzio-ne ‘a sandwich’, ossia il taglio della mensa antica e il suo spostamento in avanti, così che ‘nulla sembra cambiato’, ma anche la collocazione di un comune tavolo ricoperto da drappi, o di certi altari commerciali. In che modo, allora, inserire elementi moderni all’interno di spazi storici? Innanzitutto la forma e le dimensioni del nuovo altare dovranno essere diverse da quelle dell’altare esistente, evitando riferimenti formali e stilistici. Anche se ogni caso va

valutato e deciso singolarmente, resta tuttavia il problema che si tratterà sempre di una forma di compromesso quando un artista contemporaneo effettua un intervento in una chiesa antica. La reimpostazione dello spazio e la creazione di un nuovo altare deve portare alla riflessio-ne tra parrocchia, architetto, artista e soprintendenze, nella ricerca di una soluzione che, pur rispettando l’esistente, sia però teologicamente corretta e artisticamente valida, poiché la ce-lebrazione eucaristica versus populum è, oggi, assolutamente irrinunciabile. La decorazione dell’altare, però, deve essere sobria, non eccessivamente simbolica, ma neppure banale, tanto meno realizzata con una simbologia impropria. Non si tratta di realizzare solo delle belle opere scultoree, ma di sviluppare quelle tematiche iconografiche che scaturiscono da una autentica iconologia. Tutta la ricchezza simbolica dell’altare è racchiusa nelle parole di dedicazione: tali parole sono sufficienti a far crescere una spiritualità dell’altare, capace di motivare in tutti i fedeli non solo una spiritualità più eucaristica e più ecclesiale, ma anche una maggiore venerazione verso l’altare.Questo altare / sia per noi il segno di Cristo / dal cui fianco squarciato / scaturirono l’acqua e il sangue / fonte dei sacramenti della Chiesa. Sia la mensa del convito festivo / a cui accorrono lieti i commensali di Cristo / e sollevati dal peso degli affanni quotidiani / attingano rinnovato vigore per il loro cammino.

S.Maria degli Angeli, Cappella del Centro di accoglienza (arch. M.Soranzo)

ARREDO FLOREALE E LITURGIA

ARREDO FLOREALE E ANNO LITURGICO

“L’uomo vive nella successione del tempo. Il tempo reca da se stesso le sue immagini: i ritmi delle stagioni, dei mesi e dei giorni, con la loro alternanza di luce e di oscurità. Tutto ciò, nella vita dell’uo-mo moderno, è sempre più svuotato di significato. E’ curioso come cose, che per loro natura sono legate a tempi determinati, diventano disponibili a piacere (es. si trova in qualsiasi stagione dei frutti che appartengono ad altre stagioni). Quale difficoltà, perciò, a comprendere che una festa è legata al tem-po, stabilisce un rapporto dell’Eterno con un giorno strettamente determinato e insostituibile nel grande ordinamento del tempo, che è l’anno liturgico!”

(R.Guardini)

La festa ha anche bisogno di un luogo per manifestarsi, non solo di un determinato tempo. Implica un ‘andare’ alla festa e una volta arrivati al luogo della festa, si ‘deve vedere’ che è festa, non solo sentire annunciare che ‘oggi è festa’. (mons.Caprioli)Come esprimere, allora, stagioni e feste della liturgia nella chiesa, come spazio, luogo, edifi-cio?La liturgia è tutto: luce, musica, colori e ornamenti e ha bisogno anche del linguaggio dei fiori, non certo per entrare in un vago sentimentalismo religioso, ma perchè i fiori devono introdurre nell'immobilità dell'architettura lo scorrere dell'anno liturgico e delle stagioni.Se la chiesa-edificio è, dunque, immagine visibile della Chiesa-popolo di Dio, non posso entrare e trovare un ambiente 'asettico', 'fuori del tempo', ma devo poter capire quale tempo liturgico si sta attraversando e soprattutto quale comunità parrocchiale lo sta vivendo hic et nunc. E' per questo che, ad esempio in Italia, io non posso trovare lo stesso anonimo mazzo di fiori in una chiesa del nord e in una del sud, perchè se diversi sono gli stili e le epoche degli edifici, molto più diverse sono culturalmente le comunità cristiane che celebrano la loro fede dentro quelle chiese. E' importante anche variare la decorazione floreale secondo le stagioni dell'anno, dai grandi fiori colorati dell'estate alle belle foglie dorate dell'autunno, così come non si può escludere la presenza dei frutti, che fanno parte della Tradizione più antica della Chiesa delle origini: limoni, cedri, arance, melograni, ciliege possono arricchire le composizioni dando loro anche maggior significato simbolico. E’ impossibile offrire una soluzione valida per tutti i casi, poiché troppo diverse sono le no-stre chiese per origine, struttura e stile. Bisogna pensare sempre che la decorazione floreale è un arredo e quindi si deve adattare strettamente al luogo allo stile: una chiesa romanica è molto diversa da una chiesa barocca o contemporanea. Al di là dei luoghi in cui collocare un addobbo floreale l'attenzione principale, però, deve es-sere sempre e comunque alla liturgia; la liturgia, infatti, ha bisogno del linguaggio dei fiori, perché i fiori introducono nell'immobilità dell'architettura lo scorrere dell'anno liturgico e la diversità delle feste. A questo proposito. l’OGMR 305 chiarisce bene che nel tempo di Avvento è consentito ornare di fiori la chiesa in modo sobrio, per non “anticipare la gioia piena della Natività del Signore”, mentre in Quaresima è assolutamente proibito l’uso dei fiori, fatta eccezione per la

domenica Laetare, le solennità e le feste. Questo non significa, però, che dobbiamo avere un presbiterio spoglio, ma lo possiamo addobbare con foglie, rami o bacche, di cui la natura è molto generosa. Inoltre, se la chiesa-edificio è immagine visibile della chiesa-popolo di Dio, non è possibile entrarvi e trovare un ambiente 'asettico', 'fuori del tempo', ma essa deve far capire quale tem-po liturgico si sta attraversando e soprattutto quale comunità parrocchiale lo sta vivendo hic et nunc. E’ per questo che, ad esempio, in Italia io non posso trovare lo stesso anonimo mazzo di fiori in una chiesa del nord e in una chiesa del sud, perché se diversi sono gli stili e le epoche delle chiese, molto più diverse sono culturalmente le comunità cristiane che celebrano la loro fede dentro queste chiese; tutto ciò si deve poter cogliere anche dall’arredo floreale (es. mir-to, agrumi,ecc.)> profumi. (questo discorso vale anche per tutto l’altro arredo della chiesa: dai tessuti alle ceramiche, ecc.). L’OGMR fa, dunque, solo riferimento ai ‘tempi forti’ dell’Anno liturgico, ma non vanno scordate anche altre importanti solennità, che meritano un’attenzione particolare come, ad esempio, la Pentecoste, il Corpus Domini o la festa di Ognissanti. Vi sono, però, anche le festività legate al culto mariano, come l’Immacolata, la Madre di Dio e l’Assunzione, e le feste dei Santi patroni della città, della diocesi o di quella specifica par-rocchia.

Tempo di Avvento e Natale

Alcune indicazioni concrete su come addobbare in Avvento, soprattutto nella III^ domenica ‘Gaudete’, si trovano nel numero 2 della rivista (Natale 2012), mentre per quanto riguarda il Tempo di Natale, oltre a ricordare che in chiesa il colore liturgico è il bianco/oro e non il rosso, che possiamo lasciare per gli addobbi in famiglia o nei negozi, vorrei dare qualche suggerimento alternativo all’uso di riempire il presbiterio di piante di Stelle di Natale. Innanzitutto le piante, in quanto tali, non possono essere collocate né sotto, né tantomeno so-pra l’altare, poiché in relazione ad esso può esserci solo ciò che si consuma, come le candele (che quindi devono essere di ‘vera cera’!). Eventualmente al posto delle Stelle di Natale si possono usare i ‘fiori’ recisi. Questa pianta non ha alcun valore simbolico, come le altre pian-te della tradizione natalizia: furono gli spagnoli che, nel 1520, in Messico che la videro per la prima volta come dono rituale per l’ imperatore Montezuma; tuttavia non la portarono in Eu-ropa. Solo nel 1825, ben 300 anni dopo, l’ambasciatore degli Stati Uniti nel Messico, Robert Poinsett, colpito dalla particolarità delle sue foglie, che in inverno si coloravano di rosso, se la portò a casa per coltivarla e così, in suo onore, venne chiamata Poinsettia pulcherrima. Dai primi del ‘900 in America si cominciò a regalarla a Natale insieme al vischio e all’agrifoglio e tale usanza si estese, poi, anche in Europa. Ben diversa è la tradizione legata al vischio che da sempre si usa appendere sopra le porte delle case per allontanare i mali. Pianta semiparassita e sempreverde, che vive sui rami di tanti alberi, ha foglie carnose con bacche sferiche che variano dal bianco perlaceo al giallo dorato. I Celti consideravano il vischio una pianticella misteriosa, donata dagli dei, poiché non aveva radici e immaginavano che nascesse là dove era caduto un fulmine: simbolo di una discesa della divinità, e dunque di immortalità e rigenerazione. Plinio riferisce che il vischio venerato dai Celti era quello che cresceva sulla quercia, considerata l’albero del dio dei cieli.

La natura solare del vischio, la sua nascita dal Cielo e il suo legame con i solstizi non pote-vano non ispirare ai cristiani il simbolo di Cristo, luce del mondo, nato in modo misterioso. Prima di questa elaborazione simbolica la Chiesa non aveva voluto ammetterlo inizialmente fra i suoi ornamenti perché legato alla tradizione pagana, ma poi, come avvenne per altre piante idolatriche, fu accettato anche nelle chiese. Una leggenda medievale narrava come ori-ginariamente il vischio fosse una pianta normale. Quando Gesù doveva essere crocifisso tutti gli altri alberi caddero per salvarlo mentre il vischio rimase intero, unico in tutta la Palestina: così i suoi rami furono usati per la croce. Da quel momento fu maledetto dal Signore e co-stretto a vivere senza radici.Gli antichi romani, invece, portavano ramoscelli di agrifoglio durante i Saturnali, nei giorni che precedevano il solstizio invernale, perché li consideravano dei talismani. Sosteneva-no che piantando l’albero nelle vicinanze della casa si tenevano lontani i malefici. Questa funzione di amuleto vegetale si ispira probabilmente al suo aspetto: le sue foglie coriacee e accartocciate, munite di spine molto pungenti, evocano una funzione di ‘difesa’. Semprever-di e lucidissime, evocano anche immagini di durata, di sopravvivenza, di prosperità, mentre i frutti globosi color rosso vivo, che maturano in autunno e durano tutto l’inverno, sembrano celebrare la rinascita del sole al solstizio e augurare un anno felice. Era considerato, in età cristiana, un simbolo della Passione, pensando che con esso fosse intrecciata la corona di spine. Legato alla Natività, vuole alludere alla futura Passione, così si può vedere rappresentato in alcuni dipinti dell’Infanzia di Cristo.C’è poi il pungitopo, Ruscus aculeatus, un piccolo arbusto sempreverde che spesso forma grovigli di vegetazione impenetrabile, per la durezza delle false foglie spinose, che portano al centro i fiori. Grazie alle foglie e alle bacche rosse che maturano in autunno e restano tutto l’inverno, ha lo stesso simbolismo dell’agrifoglio.Utilizziamo, dunque, senza timore, vischio, agrifoglio e pungitopo per le nostre composizio-ni in chiesa, facendo riscoprire ai fedeli il significato cristiano che possiedono queste piante e non dimentichiamoci di usare i rami di abete, che richiamano l’albero della vita nel Paradiso Terrestre.

L’arch. Marco Soranzo, grazie alla propria esperienza e professionalità, è in grado di realizzare presepi su misura di qualsiasi dimensione, sia di tipo ‘tradizionale’, che legati

a specifiche tematiche bibliche, catechetiche o liturgico-pastorali, venendo incontro anche alle richieste più esigenti

arch.Marco Soranzo via O.Tartagna 25 33100 Udine tel. 0432470810 cell. 3357157581 email: [email protected]

… IN VIAGGIO

CHIESA DI S. MARIA IN VALLICELLA A ROMA

Roma, Santa Maria in Vallicella

S.Maria in Vallicella, detta anche Chiesa Nuova è una chiesa cinquecentesca di Roma, che si trova nella piazza omonima. La chiesa sorge sull'area di una leggera depressione naturale nella pianura del Campo Marzio, considerata dai Romani uno degli ingressi degli Inferi e luogo di culto delle divinità infernali. Quando con la bolla ‘Copiosus in misericordia Domi-nus’ del 15 luglio 1575 papa Gregorio XIII riconobbe la Congregazione dell’Oratorio, affidò a S. Filippo Neri l’antica chiesa di Santa Maria in Vallicella ridotta allora quasi in rovina e ricordata sin dal XII secolo come chiesa dedicata alla ‘Natività di Maria’, probabilmente fon-data nel VI secolo da S.Gregorio Magno.Il luogo dove si trovava era vicino alla chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini dove S.

Filippo svolgeva la sua attività di apostolato e assistenza ai poveri e agli orfani: egli subito decise di ricostruire la sua nuova chiesa nello stesso luogo dell’antica, mantenendone la dedi-cazione, in quella depressione del terreno che veniva chiamata vallicella.L’architetto scelto in un primo tempo fu Matteo da Castello, il cui progetto radicale prevede-va non la restaurazione ma la totale demolizione della fatiscente chiesa e la completa rico-struzione dell’edificio, la “Chiesa Nuova” appunto, come da allora sarà chiamata. I lavori iniziarono nell’agosto del 1575 e dopo due anni, nel febbraio del 1577, l’edificio era già in parte costruito.Nel 1585 diviene architetto della Congregazione Giacomo Della Porta che apporta modifiche fondamentali, trasformando l’aula da una a tre navate e determinando sostanzialmente l’a-spetto che ha attualmente. La chiesa è, dunque, a tre navate con cappelle laterali - cinque per parte – comunicanti tra loro, ampio transetto con due cappelle laterali, abside semicircolare e cupola.La facciata è in travertino e sulla trabeazione del primo ordine l'iscrizione ricorda il commit-tente: Angelus Caesius, episc[opus] tudertinus fecit anno Dom[ini] MDCV. Il portale maggiore spicca su quelli laterali, oltre che per le dimensioni anche per la presenza – a sottolinearne l’importanza – delle colonne binate che sostengono l’architrave e la lunetta centinata e aggettante dove è collocata la ‘Madonna Vallicelliana’. Le iscrizioni al di sopra dei tre portali riportano i due titolari della chiesa, la Madonna e san Gregorio Magno e i versi Cantico dei Cantici relativi all'Immacolata: tota pulchra es amica mea et macula non est in te.La cupola fu modificata da Pietro da Cortona nel 1650 con l’aggiunta di una lanterna e cupo-lino per una migliore illuminazione interna.Il fastoso interno della chiesa accoglie il visitatore, che non può fare a meno di stupirsi per la grandezza e sontuosità dell’aula ecclesiale.

Interno

La navata centrale è coperta da una volta a botte, sostenuta da pilastri con paraste addossate, tra i quali si aprono le arcate verso le navate laterali, dove si affacciano cinque cappelle per parte.Ai lati della navata centrale, sopra gli archi di passaggio alle navate laterali, e sulla contro-facciata, si trovano quindici tele ovali realizzate tra il1697 e il 1700, che raffigurano la Storia della salvezza attraverso episodi dell'Antico e Nuovo Testamento.La volta, la cupola e l'abside, lasciati inizialmente solo imbiancati per volere dello stesso san Filippo Neri, furono successivamente affrescati da Pietro da Cortona tra il 1647 e il 1666.Sulla volta l'affresco raffigura la Madonna e san Filippo Neri e si riferisce al celebre episodio della visione avuta dal santo nel 1576 nel corso della costruzione della chiesa: a san Filippo apparve la Madonna che sorreggeva una trave pericolante sopra la cappella nella quale erano conservati, durante i lavori, il Santissimo Sacramento e l'immagine miracolosa della "Ma-donna Vallicelliana".Nel catino absidale è raffigurata l' Assunta tra Angeli e Santi, sulla cupola il Trionfo della Trinità (Dio Padre e Cristo sulla cupola e lo Spirito Santo nel lanternino). Sui pennacchi del-la cupola sono affrescati i profeti biblici Geremia, Ezechiele, Isaia e Daniele.Sull'altare maggiore, costruito tra il 1596 e il 1599 doveva inizialmente trovar posto una pala con la "Natività" di Federico Barocci, tuttavia mai eseguita.Nel 1608 fu invece deciso di collocarvi l'immagine miracolosa della "Madonna Vallicel-

liana", che venne inserita in una pala in lavagna, dipinta da Peter Paul Rubens con centri concentrici di "Angeli e cherubini adoranti", disposti intorno ad una nicchia con l'immagine sacra. Questa è coperta da una lastra di rame, ugualmente dipinta da Rubens con una Madon-na e Bambino benedicente, che può essere sollevata, mediante un sistema di corde e pulegge, per disvelare l'immagine miracolosa sottostante. Alle pareti laterali del presbiterio si trovano altri due dipinti di Rubens, realizzati ancora su lastre di ardesia, che rappresentano i Santi Gregorio Magno, Papia e Mauro, sulla parete sinistra, e i Santi Flavia Domitilla, Nereo e Achilleo, sulla parete destra.Le scelte iconografiche dei filippini furono strettamente legate al culto mariano, tema deco-rativo ricorrente sugli altari delle chiese oratoriane. Lo stesso San Filippo invitava i fedeli a chiamare “mamma” la Vergine e volle che la sua effige venisse rappresentata su tutti gli altari della chiesa romana della Vallicella. Anche il cardinale Cesare Baronio, amico di San Filippo, oratoriano e storico della Chiesa, soleva ripetere “la devozione della gran Madre di Dio è mezzo molto efficace per uscire da ogni più intricato labirinto, e disastroso avvenimen-to”.I Filippini, inoltre, si erano fatti promotori delle disposizioni del Concilio di Trento che, per quanto riguarda la decorazione delle chiese, richiamava gli artisti, specialmente i pitto-ri, all’osservanza delle antiche leggi, che prescrivevano di illustrare i misteri della fede con elementi simbolici e con gli episodi dell’Antico Testamento poiché, secondo Agostino, “Il Nuovo Testamento è celato nell’Antico e l’Antico si manifesta nel Nuovo”

Cappelle lateraliFu lo stesso S.Filippo Neri a volere che tutti gli altari delle cappelle laterali fossero dedicate alla Vergine, sottolineando l’antica vocazione della chiesa.Il ciclo iconografico inizia con la prima cappella del transetto sinistro dedicata alla Presen-tazione al Tempio di Maria, per proseguire nelle cappelle di sinistra, fino all’ingresso, con Annunciazione, Visitazione, Nascita di Gesù, Adorazione dei Magi e Purificazione di Maria (Presentazione di Gesù al Tempio). Risalendo dal lato destro si hanno, invece, le cappelle dedicate alla Crocifissione, Deposizione, Ascensione, Pentecoste e Assunzione di Maria, nel-la Cappella Pinelli (banchiere genovese, tesoriere del Papa). Infine il ciclo si completa nella cappella del transetto di destra con l’Incoronazione della Vergine. Un ciclo, dunque, cristolo-gico e mariano insieme, con la presenza della Vergine in tutti gli episodi, compresa l’Ascen-sione, dove Maria non è sempre presente.

Pala della Visitazione di Federico Barocci

Questa tela, che si trova nella Cappella omonima, fu eseguita nel 1586 su ordinazione dello stesso S.Filippo Neri, al quale era particolarmente cara. Al centro sono raffigurate l’anziana Elisabetta e la giovane Maria che si accostano con un gesto di tenerezza; la tipologia iconografica è quella dell’abbraccio. La scena si svolge, come tradizione, sui gradini fuori della porta di casa di Elisabetta, che è uscita per venire incontro alla Vergine. Altri personaggi prendono parte alla scena: prima di tutto i due mariti, Zaccaria e Giuseppe, che è chinato a deporre il bagaglio; di fronte a lui si trova una donna che porta offerte su un canestro. La presenza di Zaccaria è naturale, poiché l’incontro avviene in casa sua, mentre quella di Giuseppe molto meno, in quanto la visita è avvenuta di nascosto e la presenza di Giuseppe è inconciliabile con la sorpresa che manifesta più tardi davanti alla

gravidanza di Maria. D’altra parte la sua assenza è impensabile, poiché una donna non po-teva viaggiare da sola; sono visibili anche elementi che fanno riferimento al viaggio, come la bisaccia, la testa del mulo e la serva che li ha accompagnati. Quest’ultima ha in mano un cesto con dentro un gallo, simbolo di vigilanza e immagine della luce e della verità. E’ importante anche notare che ogniqualvolta Giuseppe è presente in questa come in altre scene con la Vergine non rivolge quasi mai lo sguardo verso ciò che sta accadendo, ma guar-da verso l’osservatore o è impegnato a fare altre cose. In tal modo si vuol mettere in evidenza come Giuseppe faccia ‘umanamente’ difficoltà ad entrare pienamente nel mistero di Cristo, accentuando la sua caratteristica di ‘padre putativo’.

F. Barocci, Visitazione (XVI sec.) s. Maria in Vallicella

SAGRADA FAMILIA A BARCELLONA

Barcellona, Sagrada Familia, navata centrale

La Sagrada Família è una grande basilica, tuttora in costruzione, capolavoro dell'architetto Antoni Gaudí, massimo esponente del modernismo catalano. La vastità della scala del pro-getto e il suo stile caratteristico ne hanno fatto uno dei principali simboli della città di Barcel-lonaI lavori della chiesa iniziarono nel 1882, sotto il regno di Alfonso XII di Spagna, con un pro-getto di stile neogotico, ma quando l’anno dopo Gaudì subentrò come progettista, all'età di 31 anni, la ridisegnò completamente. Per il resto della propria vita Gaudí lavorò alla chiesa e, come accaduto per altri progetti destinati a durare uno o più secoli, tipo la Basilica di San Pietro o il Duomo di Milano, la chiesa è stata consacrata ancora non conclusa, il 7 novembre 2010, da papa Benedetto XVI, che l'ha elevata al rango di Basilica minore. Gaudí progettò l’interno della Sagrada Familia come se fosse un bosco, con colonne a forma di alberi, che vanno a dividersi in modo da formare dei rami che sostengono la struttura a volte. Le colonne sono inclinate in modo da ricevere al meglio la pressione perpendicolare alla loro sezione, e sono realizzate a forma elicoidale a doppia elica, come i rami e i tronchi degli alberi.

La pianta della chiesa fu progettata a croce latina e può contenere fino a 14.000 persone. Il complesso include un chiostro che circonderà la chiesa, progettato sia per permettere lo svolgersi di processioni, sia per isolare l’edificio dall'esterno, mentre ai lati del presbiterio sorgeranno le sacrestie e, fra queste, la cappella dell'Assunzione, e ai lati dell'ingresso princi-pale le grandi cappelle circolari del Battesimo e della Penitenza. La chiesa avrà diciotto torri: quattro per ciascuna delle tre facciate per un totale di dodici che rappresentano gli apostoli, al centro la torre-cupola dedicata a Gesù, alta 170 metri, e intorno ad essa altre quattro torri de-dicate agli evangelisti, nonché un'ulteriore torre-cupola sopra l'abside dedicata alla Vergine. Le guglie degli evangelisti saranno sormontate da sculture dei loro simboli, la guglia della Madonna sarà sormontata da una grande stella a dodici punte, che simboleggia la Stella del Mattino, mentre quella centrale di Cristo, che sarà innalzata sulla base della cupola sovra-stante la navata centrale, sarà sormontata da una grande croce a sei bracci, alta 15 metri. I pinnacoli della navata invece sono sormontati da sculture di Etsuro Sotoo raffiguranti fasci di spighe di grano su cui si erge un'ostia, o grappoli d'uva con sopra un calice, per richiamare l'Eucaristia.La chiesa ha tre grandi facciate, di cui due completate: la facciata della Natività, in stile neo-gotico e realizzata con le sculture previste da Gaudí e la facciata della Passione, che colpisce in modo particolare per i suoi personaggi sottili, emaciati, tormentati, dalle forme inquietanti, opera controversa dello scultore contemporaneo Josep Subirachs; questa facciata è molto in-teressante anche per la presenza di numeri che sommati per linee, colonne e diagonali danno come risultato sempre "33", gli anni di Cristo. Infine c’è la facciata della Gloria, non ancora realizzata.Gaudí concepì una complessa iconografia per adattare tutti gli elementi architettonici ai riti liturgici. Per realizzarla, infatti, s'ispirò principalmente all'Anno liturgico, al Messale Roma-no e al Cerimoniale dei Vescovi. Per l’artista la Sagrada Familia doveva essere un inno di lode a Dio. I temi di tutta la decorazione includono anche parole prese dalla liturgia, come "Hosanna", "Excelsis", e "Sanctus"; la grande porta della facciata della Passione riproduce in svariate lingue le parole dei Vangeli che narrano gli ultimi due giorni di Gesù; è previsto che la fac-ciata della Gloria venga decorata con parole tratte dal Credo degli apostoli.

FACCIATA DELLA NATIVITA’

Essendo dedicata all'evento gioioso della nascita di Gesù, questa facciata presenta decora-zioni in cui tutti gli elementi evocano la vita, concentrandosi sul lato umano e familiare di Gesù, con una profusione di elementi popolari come strumenti da lavoro e animali domestici. Orientata a nord-est, la facciata è divisa in tre portali, dedicati alle virtù teologali: la Speran-za a sinistra, la Fede a destra, e la Carità al centro, con la Porta di Gesù sovrastata dall'Albero della Vita. La facciata culmina con le torri campanarie dedicate a San Mattia, San Giuda, San Simone e San Barnaba. Fu costruita tra il 1894 e il 1930 e le sculture sono di diversi artisti tra cui Etsuro Sotoo, l'ul-timo che ha lavorato sulla facciata e la cui opera è terminata nel 2000. I portali sono separati da due colonne, quella di Giuseppe fra il portale della Speranza e della Carità, e quella di Maria tra il portale della Carità e quello della Fede. Alla base delle due colonne ci sono delle tartarughe (una di mare e una di terra) come simbolo dell'immutabilità

della Chiesa e della forza della Tradizione. Il fusto delle colonne s'innalza a spirale, mentre i capitelli sono a forma di foglie di palma, da cui emergono grappoli di datteri coperti da neve, perché la nascita di Gesù viene festeggiata in inverno, su cui si appoggiano quattro ange-li con le trombe per annunciare la nascita di Cristo. In contrapposizione alle tartarughe, da entrambe le parti sono presenti due camaleonti simboli del cambiamento. Nel progetto origi-nale questa facciata doveva essere policroma: oltre all'archivolto dei tre portali, tutte le sta-tue dovevano essere dipinte, sia le figure umane, sia quelle vegetali e animali. Tuttavia tale decorazione non fu realizzata.I tre portali sono stari disegnati da Etsuro Sotoo e i materiali utilizzati sono alluminio poli-cromo e cristalli, decorati con vegetazione, insetti e piccoli animali, che evocano il luogo di nascita di Gesù. La porta della Carità è stata decorata con l'edera e fiori di zucca , quella della Fede con rose selvatiche senza spine, e quella della Speranza presenta delle canne, come quelle del fiume attraversato dalla Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto.Gaudí, essendo consapevole di non poter completare l'opera, decise di costruire completa-mente questa facciata per dare un'idea globale della struttura e delle decorazioni piuttosto che continuare la costruzione nella sua interezza e in maniera lineare.

Portale della Carità

È il maggiore dei tre, ed è dedicato a Gesù. Vuole simboleggiare la porta d'ingresso di Bet-lemme a forma di grotta e sviluppa una serie di scene sulla Natività di Gesù: l'Annunciazio-ne, l'Adorazione dei Magi, l'Adorazione dei pastori e l'Incoronazione di Maria. Al centro del portale si trova la stella cometa disposta in verticale, mentre nella volta, sono raffigurati i segni zodiacali, nella posizione in cui sono la notte di Natale. All'interno del portale sono presenti gli angeli musicanti, con strumenti classici, quali arpa, fagotto, violino, e popolari, quali chitarra,tamburello e armonica, animali simbolici come l'agnello e il cane, e cinquantanove grani del rosario che circondano la vetrata. Al centro del portale di Gesù si trova un grande pilastro con l'Albero di Jesse, la genealogia di Cristo, alla base del quale c'è il serpente che ha in bocca una mela, simbolo del peccato originale; sopra il capitello si trova il gruppo della Natività. Sull'architrave della porta c'è l'iscrizione Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis. Ai lati è presente il coro degli angeli bambini, che sostengono la scritta:Jesus est natus. Venite, adoremus, Al cui messaggio gli uccelli vanno ai piedi della culla, come descritto nel Villancico (canto popolare natalizio) catalano el cant dels ocells'.Il portico culmina con l'Albero della Vita: qui troviamo il simbolo di Gesù con le lettere JHS, e una croce greca, con le lettere alfa e omega, circondata da angeli incensieri e angeli por-tatori di pane e vino. Sopra il monogramma si trova un pellicano, che rappresenta anch'esso l'Eucaristia, con un uovo simbolo dell'origine e della pienezza della vita e della natura; verso l'alto poi si alzano due scale, che richiamano l'ascesa a Dio. In cima si trova il gruppo dell'In-coronazione della Vergine e un cipresso simbolo di vita eterna con un gruppo di colombe che rappresentano la purezza dei fedeli che vengono a Dio. Infine, troviamo una rappresentazione della Santissima Trinità, con la lettera T, iniziale del nome di Dio in greco (Theos), la X di Gesù e la colomba dello Spirito Santo.

Portale della Speranza

Il portale è dedicato a San Giuseppe: sono raffigurate le scene dello Sposalizio della Vergi-ne,, la famiglia di Gesù ,con i nonni Gioacchino e Anna, il saggio e il Gesù bambino, con Gesù che porta in mano una colomba, la strage degli innocenti, la fuga in Egitto e la barca di San Giuseppe, in cui il santo è il timoniere che guida la Chiesa. Si possono osservare i numerosi strumenti che ricordano il lavoro di Giuseppe, una sega, un martello, uno scalpello, una pinza, un cacciavite, un martello, un'ascia, animali domestici come oche, anatre e oche selvatiche che richiamano la fauna del Nilo, facendo memoria del periodo trascorso in Egitto dopo la fuga, così come la flora (papiro, loto, ninfee, viti, ecc.) Il portico è sormontato da un grande pinnacolo, simile alle rocce che sovrastano il monastero di Montserrat, con l'iscrizio-ne latina Salva nos.

Portale della Fede

E’dedicata alla Vergine Maria e sono rappresentate le scene relative all’Immacolata Conce-zione, in cui la Vergine appare su una lampada a tre bracci, con riferimento alla Santa Trinità, la Visitazione, la Presentazione di Gesù al tempio, dove il bambino Gesù è tra le braccia del sacerdote Simeone con a fianco la profetessa Anna. Si possono vedere inoltre le scene in cui Gesù lavora come falegname e Gesù che predica nel tempio, tra le figure di San Giovanni Battista e San Zaccaria. Sono presenti anche la raffigurazione del Cuore di Gesù, coperto di spine e api, la Divina Provvidenza, che ha le sembianze di una mano con un occhio che tutto vede, l'uva e le spighe che simboleggiano l'Eucaristia, e la flora della Palestina, soprattutto foglie di palma, simbolo del martirio.

Barcellona, Sagrada Familia, Portale della Natività (part.)

NATALE IN...FAMIGLIA

L’ ALLESTIMENTO DEL PRESEPE

La diffusione: dalla chiesa ‘ad praesepe’ al presepe domestico

Il più antico presepe a figure staccate è probabilmente quello di Arnolfo di Cambio (1289) e se ne conservano ancora alcune figure nella Basilica di S.Maria Maggiore a Roma. Allo stes-so periodo appartengono anche le figure in legno conservate presso l’abbazia di S.Stefano a Bologna e altri grandi presepi si trovano nel duomo di Volterra (XIV sec.) e nella basilica di S.Nicola a Tolentino. Questi grandi gruppi identificavano le chiese ‘ad praesepe’, ma si è ancora lontani dal presepe quale lo conosciamo oggi, poichè veniva allestito solo nelle chiese ed era di grandi dimensioni.Le prime figure di presepe, le prime statuette mobili, databili al 1370, sono conservate in Polonia: si tratta di due figure in legno di tiglio, superstiti di un presepio completo, vestite di abiti dipinti su fondo di gesso, con rosette e stelline di stagno applicate, che raffigurano la Vergine e S.Giuseppe. Sono state attribuite a intagliatori francesi che lavoravano vicino a Cracovia e la regina Elisabetta d’Ungheria e Polonia, terziaria francescana, donò il presepe

alle Clarisse del convento di S.Andrea.Uno dei primi presepi domestici italiani è databile almeno al 1560, anno in cui il parroco di Capugnano, piccolo paese su una via di pellegrinaggio tra l’Emilia e la Toscana, collocò su un altare, che da allora prese il nome di ‘altare della Natività’, un presepe di terracotta.Il secolo XVI vede una svolta significativa nella storia del presepe con Gaetano di Thiene.Da poco tempo ordinato sacerdote s.Gaetano, la notte di Natale del 1517 ebbe in S.Maria Maggiore a Roma una visione, in cui la Vergine gli dava in braccio il Bambino e poiché esi-tava s.Giuseppe e S.Girolamo lo incoraggiavano. Da allora si fece propagatore del presepe, predicando che doveva essercene uno in ogni casa; s.Gaetano visse per molti anni a Napoli a anche lì diffuse l’uso del presepe domestico, che assunse nel tempo caratteristiche proprie molto particolari.Il materiale principale delle figure presepiali fu la terracotta, che consentì un ampliamen-to della produzione e soprattutto una produzione seriale, poi l’uso della cartapesta abbassò i prezzi e le figure divennero numerosissime: venivano allestiti appositi mercati, dei quali quelli attuali hanno raccolto la tradizione.

Fonti dell’ iconografia presepiale

A parte i Vangeli di Matteo e Luca, che sono molti scarni nel raccontare gli episodi legati alla nascita di Gesù, molti sono i testi che hanno alimentato l’iconografia presepiale. Fra i primi le fonti dell’Antico Testamento con le profezie di Isaia, Michea e Zaccaria. Poi abbiamo i Vangeli apocrifi diffusi nel IV e V secolo, in particolare il Protovangelo di Giacomo, i Vange-li dello Pseudo Matteo e dello Pseudo Tommaso, i Vangeli arabo-siriaco e quello armeno, che arricchiscono la natività di molti episodi, come il dubbio di Giuseppe, il bagnetto del bam-bino la storia della levatrice incredula. Altra fonte importante fu la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.L’iconografia del presepe fu molto influenzata da quest’ultimo racconto e non ultimo va ricordato l’apporto dato dalle Sacre rappresentazioni.

Il presepe in famiglia

Dimensione essenziale del presepe sono la preparazione e l’attesa: come ogni evento fonda-mentale necessita, infatti, di una preparazione, il cui tempo coincide in linea di massima con l’Avvento nella liturgia. Preparare il presepe è prepararsi ad accogliere il ‘Signore che viene’ in un presente storico, poiché egli pone la sua dimora in mezzo agli uomini.Nel contesto della celebrazione della nascita del Redentore il presepe si inserisce con caratte-ristiche proprie, che ne fanno un gesto unico e che porta il riflesso della liturgia.Un aspetto specifico del presepe, infatti, è la sua mobilità: anche quando per motivi di spazio è costituito dalla scena presepiale in un pezzo unico, il fatto stesso che ogni anno deve essere ricollocato lo assimila al rito liturgico, che continuamente si rinnova e ogni volta in modo unico.Il presepe viene allestito ogni anno e il tempo dell’esposizione può variare; la consuetudine porta a disfarlo subito dopo l’Epifania, ma è più corretto liturgicamente tenerlo esposto fino al termine del Tempo di Natale, cioè fino alla domenica del Battesimo di Gesù (domenica dopo l’Epifania).La ritualità del presepe prevede il tempo di una costruzione, assimilabile all’attesa, di una fruizione, che è il modo di partecipare di ciascuno aggiungendosi estemporaneamente alla

scena, e di un disfare e aver cura delle figure e dei vari materiali nel tempo.Gesto centrale della ritualità del presepe è la ‘visita’, poiché anche se si tratta di un presepe domestico, non è mai solo per chi lo fa, ma vuol essere un messaggio rivolto a tutti: la sua presenza ritaglia uno spazio di sacro nella quotidianità della vita.

Statue e scenografia Le statue hanno moltissima importanza nella scena presepiale: ad esse è affidato il compito di rappresentare gli atteggiamenti umani davanti a Gesù. E’ difficile che si compri un intero presepe con tutte le sue figure, che sono numerose: una famiglia che si forma di solito acqui-sta le statue del nucleo centrale e poi, di anno in anno arricchisce via via la rappresentazio-ne cercando e aggiungendo figure di vario genere (e la serie può essere infinita), così che il crescere del presepe rappresenta anche il crescere della famiglia.La scenografia può variare proponendo sono ambientazioni classiche o moderne, ma comun-que prevede non solo la ricostruzione di un ambiente naturale, ma anche di abitazioni e pa-esi interi e più il presepe è grande, più la scena si allarga e si popola di case, fiumi e ruscelli, laghi: uno spaccato di vita quotidiana, dove gli uomini e le donne sono intenti al loro lavoro, ma sono pronti a lasciare tutto per mettersi in cammino e andare ad adorare il Bambino.Normalmente l’allestimento di un presepe non è opera di uno solo, ma è un lavoro di gruppo, in cui possono confluire le diverse abilità e competenze. E’ importante coinvolgere i bambi-ni nell’allestimento e tutta l’operazione trasforma lo spazio e il tempo della casa durante il periodo di Avvento: Il presepe è compiuto solo quando la Notte di Natale (prima o dopo la Messa) si pone il Bambinello nella mangiatoia: è il gesto che dà inizio alla festa!.

Il fuoco, la luce e l’acqua

Quasi anticipazione dei grandi protagonisti della veglia pasquale, fuoco, acqua e luce non devono mancare bel presepe. La tradizione iconografica non manca mai di porre un fuoco nel presepe: sua quello di un bivacco di pastori, sia quello domestico di una casa, sia quello di un forno del pane: il fuoco è sempre presente. L’acqua è quella dei ruscelli, dei laghi, delle fonti, dei pozzi, ma è sempre acqua che rigene-ra, che ristora, che dà vita. Le luci, ne presepio, hanno un compito fondamentale e la loro disposizione è tutta volta a evidenziare in primo luogo il Bambino Gesù, Cristo ‘luce del mondo’, come nella liturgia della veglia pasquale. Ma c’è anche la luce della stella, che è parte integrante della scena presepiale: è la luce che ha guidato i Magi sulla via per Betlemme.

DAVANTI AL PRESEPE

Preghiamo

Signore Gesù, noi ti vediamo bambinoe crediamo che tu sei il Figlio di Dioe il nostro Salvatore.Con Maria, con gli angeli e con i pastorinoi ti adoriamo.Ti sei fatto poveroPer farci ricchi con la tua povertà;concedi a noi di non dimenticarci maidei poveri e di tutti coloro che soffrono.Proteggi la nostra famiglia,benedici i nostri piccoli doni,che abbiamo offerto e ricevuto,imitando il tuo amore.Fa’ che regni sempre tra noiquesto senso di amoreche rende più felice la vita.Dona un buon Natale a tutti, o Cristo,perchè tutti si accorgano che tu oggi sei venuto a portare al mondo la gioia. Amen

● Con i ragazzi più grandi si può proporre un momento di silenzio e adorazione davanti al Bambino; ognuno porterà ‘in dono’ la propria vita, le proprie gioie e le difficoltà. (questo può essere anche visualizzato mediante un segno: biglietti, pacchettini, ecc…).

Nel Sommario

Piero Casentini, Natività (dal Lezionario CEI) Van der Weyden, Visitazione 1438 LipsiaMonaco (D), Herz Jesu Kirche, presbiterioBarcellona, Sagrada familiaPresepe in stoffa (collezione privata)

NEL PROSSIMO NUMERO

1. ICONOGRAFIA: Iconografia della Resurrezione di Lazzaro Iconografia della Ascensione

2. CATECHESI E ARTE Schede per la catechesi

3. ARCHITETTURA E LITURGIA La custodia Eucaristica

4. ARREDO FLOREALE E LITURGIA Addobbo floreale per Adorazione Eucaristica

5. …IN VIAGGIO In Italia: Cappella degli Scrovegni a Padova In Europa: Meteore in Grecia

QUARESIMA E TEMPO DI PASQUA