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numero 14 Il Serale 18 giugno 2012 Euro nei Settimanale quotidiano Le imperfezioni si combattono con un’Unione maggiore

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Le imperfezioni si combattono con un'Unione maggiore

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numero 14

Il Serale 18 giugno 2012

Euro nei

Settimanale quotidiano

Le imperfezioni si combattonocon un’Unione maggiore

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L’Unione fa la forza

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Parlare a un cittadino italiano del 1992significa ricordargli del primo governo

tecnico della Repubblica, della svalutazionedella lira, del prelievo sui conti correnti decisoin una notte di luglio. Parlando dello stessoanno a un qualsiasi altro cittadino europeo, conalmeno un po’ di memoria storica, non si puòinvece non partire da un evento preciso: era il 7febbraio, e a Maastricht i dodici paesi membridell’allora Comunità Europea firmavano ilTrattato che fissava le regole politiche e iparametri per l’accesso all’Unione Europea, ealla sua moneta unica. Da lì al primo gennaio1999 sarebbe nata la Banca Centrale Europea, esarebbe entrato in vigore l’euro, primaaffiancando le varie monete nazionali, e poi, dal2002, sostituendole definitivamente. O forseno.Perché a vent’anni dalla sua istituzione la

moneta unica si trova al centro di un dibattitoperenne che è innanzitutto un dubbio: vista lacrisi finanziaria che accompagna ormai laquotidianità di gran parte dei cittadini delcontinente, soprattutto nell’area mediterranea,ha ancora senso parlare di Europa monetariaunita? O le difficoltà dell’euro sono invece ilimiti di un progetto politico fallito? Le elezionigreche di questo weekend, con l’ancoraggioall’area euro salvato in extremis grazie allavittoria dei conservatori e alla possibilità diformare quindi un governo che accetti aiuti emisure dell’Eurogruppo (Germania in testa),hanno ridato un po’ di fiato agli europeisticonvinti. Almeno fino alla prossima botta datadai mercati, a cui non bastano le promesse.Mario Monti l’ha ripetuto oggi: «Serve l'

unione politica». Forse è arrivato il momento dipensarci una volta per tutte.

di Nicola Chiappinelli

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Euro: qualcosa non è cambiato *

«Forse la crisi econo-mica non sarà solo

un tornante della storiadell’integrazione europea,ma la sua definitiva pietratombale. Una chiave inter-pretativa di questo genereappare forse pessimistica,ma è innegabile che l’impo-stazione data al precedentemodello di integrazioneavesse delle debolezze strut-turali che hanno indotto adegli errori gravi con conse-guenze catastrofiche sull’e-conomia reale, comedimostra la crisi greca. Chipensa che la nascita delfondo lanciato il mesescorso per salvare i debitisovrani assicuri il lieto finea quella che appariva dav-

vero una “tragedia greca” sisbaglia e di grosso. Lo dimo-strano le conseguenze suimercati finanziari e le sceltepolitiche degli stati membriche ne sono scaturite:1) In queste ultime setti-

mane il cambio dell’euro suldollaro ha registrato unabrusca discesa, dato di per séaffatto negativo (favorirà leesportazioni), ma che po-trebbe risultare da freno alla

crescita qualora il prezzodelle materie prime diven-tasse troppo caro.2) I governi europei ap-

partenenti all’area eurohanno annunciato gravimanovre per riassestare lefinanze pubbliche, scari-cando sui cittadini i costisobbarcati per salvare ban-che e imprese sull’orlo dellosfascio negli ultimi dueanni. In tal senso si avverapienamente la profezia diNouriel Roubini, Mr.Doom, che aveva profetiz-zato tre anni fa la “crisi per-fetta”.3) I paesi che ancora non

sono all’interno dell’areaeuro rallentano la loro mar-cia verso l’adesione alla mo-

L’articolo che segue è tratto da Limes di giugno 2010: non sonomutati l’individualismo della Germania e l’Europa, anello debole

del nuovo ordine mondiale. Oltre la retorica dell’europeismo

Due anni fa comeoggi l’Europa si trovadi fronte gli stessiproblemi, a cui i suoiStati rispondono conle stesse manovre

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neta unica per l’incapacitàdi soddisfare le condizioniimposte da Francoforte oper opportunità politica (laPolonia, soltanto lontana-mente sfiorata dalla reces-sione, ha posticipato di dueanni il suo ingresso nellamoneta unica). Per onor dicronaca, l’Estonia entrerànella moneta unica il pros-simo anno, in controten-denza, ma per il piccolostato baltico è una scelta ob-bligata, visto il suo strettolegame economico con laGermania. Per gli estoni ladecrescita ha significato unraffreddamento, l’inflazionee quindi la possibilità disoddisfare le condizioni diadesione.Perché si è arrivati a que-

sta situazione? Le ragionisono principalmente due:scarsa governance econo-mica e lassismo nei controllisulla stabilità delle finanzepubbliche. Il Patto di Stabi-lità e Crescita, ideato comeprecondizione dell’Euro efatto saltare in tempo divacche grasse da Germaniae Francia nel 2003 per potergestire allegramente la spesapubblica, ha fallito su en-trambi i fronti. Alla lucedella crisi economica, nonsolo non si sono istituiti glistrumenti per coordinare gliinvestimenti della spesapubblica in funzione di cre-scita e sviluppo (ad esempiofinanziando le reti trans eu-ropee o il bilancio comuni-tario con dei titoli di debitopubblico europeo o con unprelievo fiscale diretto), masi è permesso agli stati di faresplodere i debiti pubblicisenza alcun coordinamento.La politica delle “briglie

sciolte” autorizzata suo mal-grado dalla Commissionesoltanto un anno fa, ha fattoesplodere il debito pubblicobritannico e francese (pernon parlare di Grecia, Por-togallo o Spagna) e offerto lapossibilità a quello italiano,peraltro già gigantesco, ditornare a salire. Risultato:ecco tornati fuori i Pigs, ov-vero i quattro paesi da vil-laggio vacanze del ClubMed (Portogallo, Italia, Spa-gna e Grecia) buoni soltantoper essere descritti come“bordello”.La Germania è certa-

*Tratto da “L’Europa al capolinea?” a cura di Fabio Mineo eMatteo Minchio, in Limes del 14 giugno 2010. Tutti i diritti sonoriservati a Gruppo L’espresso 2002-2012.

«Scarsa governanceeconomica e lassismonei controlli sullastabilità delle finanzepubbliche»

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mente anch’essa colpevoleper questa situazione. LaMerkel ha dimostrato uninsensato egoismo nell’a-spettare sino all’ultimo asalvare la Grecia per ragionidi convenienza elettorale epoi ha varato una manovrache scaricherà sui partnereuropei i costi della ripresa.Come ben evidenziato daLuigi Zingales, la manovratedesca rappresenta il con-solidamento della strategia“ognun-per-sé” o “si-salvi-chi-può”, perché la Germa-nia, unico paese che potevaspendere (o mantenere laspesa inalterata) e rilanciarel’affannosa ripresa europea,ha preferito attuare unastrategia individualista di ri-duzione della spesa, che legarantirà un vantaggio com-parato nei confronti deglialtri paesi europei, ma cheporterà, attraverso la defla-zione, ad un enorme incre-mento del costo deirisanamenti altrui, rinfoco-lando i dubbi sui debiti so-vrani dei paesimediterranee.Se non c’è alcun coordi-

namento della strategia eco-nomica, un allineamentodelle politiche fiscali, un co-mune percorso di ammo-dernamento del compartoindustriale e tecnologico,

quale senso ha condividerela moneta? Se questa è l’Eu-ropa, meglio auspicare il ri-torno alle valute nazionali.Perché, dovendo attuare lastrategia “ognun-per-sé”,molto meglio che ciascunpaese possa disporre di tuttigli strumenti - compresa lapolitica monetaria - per im-postare la sua propria strate-gia economica, libero davincoli ed inutili orpelli.Le soluzioni per uscirne

però esistono. Di gover-nance economica ne par-lano un po’ tutti e a sorpresail nostro Mr. Wolf VanRompuy, a capo di una taskforce sul tema, lo ripetecome un mantra in ogni suodiscorso. A suo avviso ilfondo salva-debiti potrebbeanche aumentare. C’è chipropone che la Banca cen-trale compri il debito so-vrano. C’è chi auspica che imercati possano compraredebito emesso dalla BancaCentrale. Se si arrivasse allacreazione di un meccani-smo stile Fmi all’internodell’Ue senza toccare i trat-tati (argomento tornato adessere un tabù), sarebbe laquadratura del cerchio.E per chi sgarra? L’idea è

di permettere alla Commis-sione di verificare i dati sot-toposti dagli stati

«Senza coordinamentoeconomico, quale sensoha condividere lamoneta?»

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incrociandoli con quelli diEurostat, magari con l’ausi-lio della Corte dei Conti eu-ropea. In questo modo sieviterebbero nuovi imbro-glioni dei bilanci. C’è chisuggerisce di rafforzare l’a-genzia europea sul controllodei mercati (la neonataConsob europea) con poteridi rating alternativi a quellidelle agenzie americane chehanno giocato a diffondereil panico sui debiti europei.

In un mondo che ri-prende a crescere, in cui ipaesi in via di sviluppo ri-tornano a correre, e le“nuove” potenze stannoemergendo ad una velocitàimpressionante, l’Europa èla vittima sacrificale, l’a-nello debole del nuovo,confuso ordine mondiale.Lo è sotto molteplici puntidi vista. Da un punto divista puramente geopoli-tico, l’assenza di una poli-tica di sicurezza, con unastrategia condivisa, si fa pe-sante. L’assenza di un eser-cito, di una condivisionedelle tecnologie militari,può far aspirare tutt’al piùad un Europa in formato“grande Svizzera”. Sotto unprofilo politico, la fram-mentazione tanto a livellocomunitario, quanto a li-vello degli stati nazionali

(proprio in questi giornil’Olanda si è aggiunta allalista dei paesi praticamenteingovernabili per frammen-tarietà) rende davvero diffi-coltosa la governabilità delvecchio continente.

Tutto questo però non ba-sterà senza un nuovo mo-dello di crescita. Una nuovavisione del sogno europeoche riparta dalle ceneri diSpinelli, che vada oltre allaretorica dell’europeismo of-frendo un modello alterna-tivo di crescita basato susviluppo sostenibile e digi-talizzazione tecnologica. Unmodello che aggiorni drasti-camente il vecchio sistemadi welfare all’integrazionedegli immigrati, all’invec-chiamento della popola-zione e al protagonismodelle donne nella società.Nei fatti un modello chepossa competere con il mitoamericano ormai sbiadito,ma ancor più con l’arrem-bante e inarrestabile ascesadei paesi Bric per i quali larecessione non è altro cheun rumore di sottofondo.

«Nel mondo in ripresa,l’Europa è la vittimasacrificale, l’anellodebole del nuovo»

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Uscire dall’euro non risolve nulla

Se per la Grecia l’uscitadall’euro appare ormai

inevitabile, per l’Italia – che,pur al prezzo di una severastretta fiscale, è riuscita ad argi-nare il deficit e a riguadagnarsiun po’ della fiducia dei mercati- non si profila ancora come una

scelta obbligata. Sonoin molti però a chie-dersi se uscire dal-l’euro possarappresentare unastrategia che concedaun po’ di sollievo al-

l’economia italiana e possa es-sere d’aiuto nel superare la crisi.Uno di questi è Beppe Grilloche, illustrando la sua personalericetta di salvataggio dell’Italia,ha più volte dichiarato di esserefavorevole al ritorno alla lira.

Per capire se questa strategia

possa essere vincente o meno,bisogna capire cosa comportatornare alla vecchia valuta esvalutarla. Come spesso accadenelle decisioni economiche nonc’è un risultato univocamentebuono o cattivo, ma piuttostoogni intervento genera dei sog-getti vincenti e dei soggetti per-denti. Ritornare alla lira esvalutarla significherebbe unaperdita di valore rispetto a tuttele altre valute. Come giusta-mente afferma Grillo ad essereavvantaggiate sarebbero le im-prese che esportano, perché iloro prodotti diventerebberoimmediatamente più competi-tivi. Questo sarebbe senza dub-bio un risultato positivo perl’economia italiana.

Ma con una moneta svalutataanche le importazioni diven-

Svalutazione e inflazione, oltre ai problemi cronici chestringono la crescita delle imprese italiane: i motivi per iquali tornare alla lira è controproducente di Emilio Rocca

Svalutare la lira significarendere i prodotti delleimprese che esportanosubito più competitivi

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tano immediatamente più care.Tra tutte, quella più rilevante èquella di petrolio: a parità dialtre condizioni, i carburanti di-venterebbero immediatamentepiù cari con le solite conse-guenze che questo comporta sulprezzo di beni, come quelli ali-mentari. La svalutazione si tra-duce cioè velocemente ininflazione, con le solite proble-matiche che genera quella cheviene spesso definita la tassa piùodiosa , perché colpisce le fascedi reddito più basse. In partico-lare, ad essere danneggiati dal-l’inflazione sono i percettori diun reddito fisso (come dipen-denti e pensionati) il quale,prima di essere adeguato all’in-flazione, perde potere d’acqui-sto.

Un secondo effetto della sva-lutazione è quello che interessail debito pubblico. Uscire dal-l’euro permetterebbe di ripagareuna parte del debito; ripren-dendo cioè la facoltà di stampareliberamente moneta, l’Italia po-trebbe rimborsare i titoli di Statoche giungono di volta in volta ascadenza. Il problema è che co-loro che detenevano il debitopubblico, i creditori dello Statoitaliano, si vedranno rimborsareil loro prestito sotto forma diuna valuta, la lira, che avràmeno valore. Questo è un puntoimportante: per il creditore nonc’è differenza tra un default e

una svalutazione, perché in ognicaso perderà una parte del pro-prio denaro che aveva impre-stato allo Stato italiano. Questosignifica che negli anni succes-sivi alla svalutazione l’Italia avràdifficoltà a ottenere dei prestitidai mercati internazionali, ameno di non pagare tassi d’inte-ressi molto elevati. Di conse-guenza questo renderà difficilefinanziare futuri deficit e inevi-

tabile ciò che la strategia diGrillo vorrebbe aggirare: tagli dispesa o aumenti di tasse, in altreparole l’austerity.

Le conseguenze dell’uscitadall’euro sono insomma tutt’al-tro che univoche. Sembra anziuna strategia che ha poco a che

La svalutazione ha però effetti negativi sulleimportazioni, traducendosi velocemente ininflazione: a farne le spese sarebbero poi le

fasce di reddito più basse

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fare con quelli che, secondo chiscrive, sono le principali causedella crisi italiana. Non si puòinfatti dimenticare che la crisieconomica italiana non è feno-meno recente, ma di lunga data.Negli ultimi 15 anni l’economiaè cresciuta ad un tasso medioreale dello 0,91%; nello stessoarco di tempo i paesi dell’Europaa 15 sono cresciuti ad un tassodoppio, pari allo 1,81%. Gli eco-nomisti offrono spiegazioni di-verse per spiegare questo gap di

crescita: ognuno di loro dà rile-vanza a diverse anomalie pre-senti nel nostro Paese.Sicuramente questa cattivaperformance non è stata legataall’euro, perché in Europa l’Ita-lia è stato il Paese, dopo la Spa-gna, che ha perso meno quote di

export da quando è stata intro-dotta la moneta unica. Quellache però è l’anomalia che distin-gue di più l’Italia dal resto d’Eu-ropa, è anche abbastanzacomplessa da rilevare: è la diffi-coltà di avviare e portare avantiun’impresa nel nostro Paese do-vuta ad una burocrazia impossi-bile, ad un mercato del creditoinadeguato, ad una giustizialenta e incerta e ad un sistematributario opprimente e dispo-tico. La Banca Mondiale stilaogni anno una classifica, chia-mata Doing Business, in cuimette a confronto diversi para-metri per poi indicare quali sonoi paesi in cui è più facile metterein piedi e portare avanti un’atti-vità d’impresa. Ebbene, nel 2012l’Italia raggiunge la posizione87, su 183 Paesi, dopo moltipaesi africani e dell’Est Europa.I parametri in cui l’Italia si clas-sifica peggio sono: il numero digiorni necessari per avere per-messi edilizi, per pagare le im-poste, la difficoltà di accedere alcredito e l’enforcement dei con-tratti.In secondo luogo uscire dal-

l’euro non servirà a risolvere ilproblema di una spesa pubblicafuori controllo, che dal dopo-guerra in poi non ha mai smessodi crescere, neppure negli annidi recessione. Questa crescitadella spesa, inoltre, non è stataaccompagnata da un migliora-

Nella classifica mondiale Doing Business - dove l’Italia è87esima - si rilevano le difficoltà croniche delle impreseitaliane ad emergere a causa della troppa burocrazia

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mento qualitativo dei servizi of-ferti dallo Stato, limitando cosìla competitività del Paese. Permantenere questo livello dispesa pubblica si è ricorsotroppo spesso all’emissione deldebito (ma oggi è venuta menola fiducia che l’Italia riesca arimborsarlo, quindi non è piùun’alternativa percorribile) eall’imposizione fiscale che haormai raggiunto un livello op-primente e superiore addiritturaa quella dei paesi scandinavi,dove però serve a finanziare deiservizi di tutt’altra efficienza.

In conclusione, uscire dal-l’euro offre per l’Italia più rischiche vantaggi. Per la Grecia –Paese con i conti pubblici e unastruttura produttiva molto peg-giori di quelle italiane - sembrainvece un esito inevitabile;anche lì però il ritorno alladracma comporterà una transi-zione tutt’altro che indolore eche richiederà un certo periodo

prima che il paese possa goderedegli effimeri vantaggi di unapolitica monetaria autonoma.Sicuramente, ragionando colsenno di poi, estendere una mo-neta unica a così tante e così di-verse economie europee non sisarebbe mai dovuto fare. Ma

oggi, non si può pensare che tor-nare indietro possa offrire unaqualche soluzione ai tanti malidell’economia italiana.

Il ritorno alla Dracma in Grecia sembra invece un esitoineluttabile: anche per Atene però la transizione sarà

tutt’altro che indolore

Imprese soffocate e spesa pubblica fuoricontrollo: uscire dall’euro in l’Italia non solonon risolve i problemi, ma offre più rischi che vantaggi

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L’inferno sotto Berlino

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Se si parla di Europa, si parla ormaisoprattutto di Germania. La

semplificazione sembra eccessiva, ma rendebene quella che è l’attuale gerarchia di potereall’interno dell’Unione, dove non viene decisonulla che non abbia prima un’approvazionedella Repubblica federale presieduta da AngelaMerkel. La cancelliera, che rischia di passarealla storia per gli eccessi di rigore e severità concui ha affrontato la crisi di liquidità di alcunipaesi europei, ultimo dei quali la Grecia,continua comunque a portare avanti consuccesso la sua politica che prevede aiuti allenazioni in difficoltà solo a patto che i lorogoverni mettano in campo stabilità edequilibrio nei conti pubblici. Per approfondireil discorso abbiamo colto l’opportunità di porrequalche domanda a Stefano Lepri, penna de “LaStampa” e docente di Giornalismo economicopresso l’università La Sapienza di Roma.INNANZITUTTO: ESISTE UN MODO PER POTER

SPIEGARE IN TERMINI PRATICI IL PERCHÉ DELDOMINIO TEDESCO SULLA POLITICA ECONOMICADELL’EUROPA?«La Germania non è soltanto lo Stato più

grande, con 80 milioni di abitanti e un prodottolordo pari a quasi un terzo dell'intera area euro.La ragione concreta della sua forza è che i suoiconti con l'estero sono in forte attivo; ovvero,in parole povere, accumula crediti verso glialtri Paesi perché riesce a vendere loro più diquanto compri. Va però ricordato che circadieci anni fa, nelle fasi iniziali dell'euro, laGermania aveva attraversato un periodo di

A sinistra la cupola delBundestag a Berlino. In basso,Stefano Lepri, giornalista de

La Stampa e docente a LaSapienza di Roma

Tra l’euro e la sfiducia: il senso del dominio della Germania sulle scelteeconomiche dell’Ue, spiegato da un giornalista che analizza i merititedeschi e che crede nell’unione politica come unica soluzione alla crisi

di Nicola Chiappinelli

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scarsa fiducia in sé stessa e di gravi interrogativisul proprio futuro. Ne è uscita conriforme, attuate dal governo di sinistra diGerhard Schroeder e Joschka Fischer fino al2005, e poi dalla grande coalizionecristianodemocratici-socialdemocratici dal 2005al 2009, che hanno reso più efficiente ilsuo welfare senza intaccarne i capisaldi. Isindacati, comprendendo che i salari tedeschierano troppo più alti di quelli degli alti paesieuro, hanno accettato che per diversi anni noncrescessero».

ESISTE DAVVERO UN ECCESSO DI RIGORE NELMODO IN CUI LA GERMANIA STA AFFRONTANDOQUESTA CRISI ECONOMICA CONTINENTALE?

«Più che di un eccesso di rigore si tratta di untentativo di aggiustare gli squilibri con rapiditàeccessiva, nell'ansia della crisi. Ovvero, non sipuò imporre a un obeso grave di curarsimettendolo a pane e acqua per mesi. Gli eccessidegli anni scorsi erano dovuti all'illusione delcredito facile causata dall'euforia finanziaria pre-crisi. La Grecia di sicuro non può andare avanticonsumando il 10% più di quello che produce econ un bilancio dello Stato che non sarebbe inpareggio nemmeno se smettesse del tutto dipagare i debiti. Occorre solo un po' più di tempoper risanarla. Però bisogna trovare la misuragiusta: con troppa pressione dall'esterno la

«Più che di un eccessodi rigore si tratta di

aggiustare gli squilibricon eccessiva rapidità»

Gerhard Schroeder e JoschkaFischer, le cui riforme

guidarono il Paese fino al 2005

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Grecia va in miseria, con troppo poca i suoipolitici ne approfittano per non fare nulla. Nellaclasse dirigente tedesca prevalgono idee secondocui il "rigore" è un valore in sé. Risultanopurtroppo funzionali, e quindi gradite a unalarga parte della popolazione tedesca, perchémanca la fiducia nei comportamenti degli altriPaesi. Ma non c'è nessun diabolico piano perdistruggere lo Stato sociale; oltretutto i tedeschial loro ci tengono molto. A differenza delladestra americana, la destra tedesca non è affattocontraria al welfare».SI POSSONO RILEVARE DIFFERENZE DI

TRATTAMENTO NEI PIANI DI SALVATAGGIO RISERVATIPRIMA AL PORTOGALLO, POI ALL’IRLANDA E ORAALLA GRECIA? COME SI PUÒ SPIEGARE LA PRESSIONESPESSO ESERCITATA DA GERMANIA E FRANCIA PERFAR ACCETTARE GLI AIUTI A QUESTI PAESI?«Le differenze tra i vari piani di salvataggio

sono perlopiù tecniche, oppure legate alprogressivo aggravarsi della crisi. Gli aiuti sononecessari; con il senno del poi, avrebbero potutoessere concessi a tassi di interesse più bassi. E'bene ricordare che, agli attuali tassi di interesse,aiutare la Grecia è molto costoso per l'Italia e laSpagna, mentre la Germania ci guadagna».LA SPAGNA SARÀ LA PROSSIMA NAZIONE A

RICEVERE AIUTI DALL’EFSF ANCHE SE LA MERKEL HA

La Spagna chiede gli aiuti, ma«le risorse tedesche non sono

infinite» ha ricordato la Merkel

«In Germania il rigoreè un valore in sé, manon c’è nessun piano

contro lo stato sociale»

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La Germania detta le regolee, secondo Giuseppe Vita, la

Merkel sarà «la salvatricedell’euro»: realtà o

esagerazione?

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VOLUTO RICORDARE CHE “LE RISORSE TEDESCHE NONSONO INFINITE”?«La Spagna è un Paese grande, aiutarlo sarebbe

oneroso per tutti. È abbastanza sana per farcelada sola. Che si parli di aiuti alla Spagna èsoprattutto il segno di quanto la finanzainternazionale sia capace di creare gravifenomeni di instabilità partendo da pretestipiuttosto modesti».È ASSODATO CHE SU TEMI QUALI IL NO AGLI

EUROBOND, L’ALLARGAMENTO DEI POTERI DELLA BCEE IL TRATTATO FISCALE EUROPEO LA GERMANIAABBIA DETTATO LEGGE. RECENTEMENTE IL NUOVOPRESIDENTE DI UNICREDIT, GIUSEPPE VITA, HAADDIRITTURA SOSTENUTO CHE LA MERKEL«NELL'INTERESSE DELLA GERMANIA, PASSERÀ ALLASTORIA COME LA SALVATRICE DELL'EURO». ÈUN’ESAGERAZIONE? E SOPRATTUTTO: RESTAFONDAMENTALE UN PIANO PER LA CREAZIONE DIUNA VERA UNITÀ POLITICA IN EUROPA?«Spero che Vita abbia ragione. Il principale

ostacolo a salvare l'euro è che tutte le classipolitiche nazionali, sia nei paesi forti che inquelli deboli, sono troppo attaccate al loropotere. Con una vera unità politica d'Europapotremmo fidarci gli uni degli altri, decidendo indemocrazia come usare meglio le risorse diciascuno; molto meno rigore sarebbe sufficientea salvare l'euro in modo duraturo.Contro l'instabilità dei mercati, solo l'unione fala forza».

«Contro l’instabilitàdei mercati solo una

vera unione politica fala forza»

«Il principale ostacolo asalvare l’euro sono le classi

politiche, attaccate al potere»

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Euroscetticismo spento

Un fuoco di paglia. Questopare essersi rivelato,

stando ai risultati elettorali delweek end passato, l’euroscettici-smo che per mesi ha fatto arderediversi Paesi dell’Unione. La pri-mavera europea si era intiepiditasoprattutto a forza di fiammelle– e fiammate – di dissenso e mi-nacce di ammutinamento versola capitana della barca europea.Per alcuni era il periodo dellecampagne elettorali, per altrierano momenti di rottura, inmolti però alla fine hanno fattoleva sulla ribellione a mammaMerkel. L’Olanda appena rimasta or-

fana di un governo dopo le di-missioni del primo ministro, il

liberale di centrodestra MarkRutte, veniva scossa dalla propo-sta di Geert Wilders, che con ilsuo referendum per uscire dal-l’euro, iniziava la campagna elet-torale di preparazione al votoautunnale. Temperati i toni xe-nofobi e anti-islamici, oggi il po-pulista Wilders punta tuttosull’Europa e sui mal di panciache suscita negli olandesi per ra-cimolare voti. Anzi, contro l’Eu-ropa e la sua unione monetaria.In Italia, alle amministrative, il

Pdl, perso il carisma di Berlu-sconi, registrava un grosso flop e

Lo slogan elettorale dell'uscita dall'euro ha dato qualchefrutto un mese fa, ma oggi, tra responsabilità erassegnazione, lo scenario è diverso

Una primavera costellata di luci contro l’unitàmonetaria europea e l’euroscetticismo ha

dilagato. Poi si è andato a votare

di Elisa Gianni

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non tanto meglio faceva per laverità il Partito Democratico chesi mangiava le briciole lasciatedai due veri vincitori delle ele-zioni: l’Italia dei Valori e il Mo-vimento cinque stelle che ha

festeggiato il suo primo sindacoa Parma, con un dolce dal retro-gusto amaro per i dissidi tra ilneoeletto e il leader – o meglio,il non-leader del movimento,perché la leadership è troppo po-litica per un gruppo che fa del-l’antipolitica il suo cavallo dibattaglia. Un altro dei cavalli dibattaglia è, guarda un po’, l’uscitadall’euro. In quegli stessi giorni poi mo-

riva il sodalizio di Merkozy, conSarko sconfitto alle elezioni pre-

sidenziali dal socialista FrançoiseHollande, risoluto a rivedere ilpatto fiscale voluto dalla Germa-nia. Esclusa dal ballottaggio, materza votata al primo turno del22 aprile, era stata Marine LePen, leader del Front National.Quasi il 18% dei francesi avevavotato lei e i suoi piani per il ri-torno al franco. Altro tassello – un tassellone,

per la verità – le scottanti ele-zioni greche. Il leader del partitoconservatore Nuova Democrazia,si era battuto per il voto antici-pato dopo la caduta del governodi Giorgios Papandreou e il go-verno di unità nazionale guidatoda Lucas Papademos. Dall’Eu-ropa gli era stato consigliato siseguire l’esempio italiano di ungoverno tecnico che traghettasseil Paese a fine legislatura, che le

In Francia Marine Le Pen non èarrivata al ballottaggio: il 18% deisuoi elettori l’avevano scelta per lasua politica di ritorno al franco

Con le utlime elezioni francesi è morto ilsodalizio di Merkozy, con il premier

transalpino sconfitto da l socialista Hollande

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elezioni anticipate avrebberoportato a una situazione di ingo-vernabilità… Ma niente. Così il6 maggio anche i greci andavanoalle urne. Il risultato alla fineaveva dato ragione ai consiglieri

europei: ben sette partiti eranofiniti in parlamento – tra i quali,i neofascisti di Alba d’oro, il par-tito comunista del Kke e la coa-lizione della sinistra radicale,Syriza – e nemmeno quelli tradi-zionali come Nuova Democraziao il socialista Pasok con almenoil 20% dei voti.

Insomma, se uno si fosse ad-dormentato in quei giorni e si ri-svegliasse oggi, sarebbe sorpresoforse da non sentire quell’odoredi populismo che avrebbe giu-

rato, addormentandosi, di sentireal suo risveglio. Uno si sarebbeimmaginato un’Europa senza piùeuro, con tutti questi euroscetticidi successo. E senza più partiti,visto l’ondata di antipolitica.

E invece ci siamo svegliati lu-nedì e l’unico odore che abbiamosentito è stato quello del caffèbruciato. Ma come? – ci siamochiesti. E l’odore di movimento?Quello delle vecchie monete na-zionali? L’odore di lira, di franco,di dracma? E la puzza di partitomorto? Come mai non li sen-tiamo? Siamo scesi per strada edall’edicolante ci siamo fattispiegare il perché. Nel fine setti-mana, ci spiega, si è votato il se-condo turno delle legislative perl’Assemblea Nazionale francese –solo tre seggi sono andati a quellidel Front National e tra questi

Toni xenofobi e anti-islamici: oggi ilpopulista Wilders punta tuttosull’Europa e sui mal di pancia chel’europeismo suscita negli olandesi

Geert Wilders, che con il suo referendum peruscire dall’euro, iniziava la campagna elettorale

di preparazione al voto autunnale

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tre non c’è nemmeno la MarineLe Pen. Anche i greci poi hannovotato ieri – di nuovo? Sì, dinuovo, perché glielo avevanodetto dall’Europa, che era impos-sibile governare con quel parla-mento… E indovinate chi havinto? Sicuramente quelli di Sy-riza: erano favoriti da tutti, nonvolevano uscire dall’euro peròerano contro il rigore, control’austerità… sicuramenteavranno vinto loro. Oppure unaspallata da parte dei populisti diestrema destra… Ma no, ci dicel’edicolante sorridendo. No,hanno vinto i conservatori,quelli di Nuova Democrazia chehanno fatto un patto con il Pasoke sono arrivati al 30%. Ma nonerano quelli con la mentalità dapartito vecchio, corrotti e clien-telari, che volevano le elezionianticipate proprio per prendereanche i voti del Pasok? Quelliche accettavano l’autorità pur dinon fare arrabbiare mammaMerkel e i fratelli più grandi

dell’Europa? Sì, proprio loro. Allora prendiamo i nostri gior-

nali, e a testa bassa torniamoverso casa. I cittadini hanno fattola voce grossa all’inizio, l’hannodetto, con i loro voti, che il ri-gore non lo volevano più, chevolevano ritornare a un’Europadove ognuno prende le decisionieconomiche per sé e non un paioper tutti. Poi però si sono rasse-gnati ai partiti più grandi, aquelli più maturi, meno impul-sivi e più assennati. Hanno fattouna scelta più responsabile, si-mile a quella che prende chisbraita perché non vuole pagarel’Imu, ma poi lo fa, per la propriapatria e per i propri fratelli. E ca-piamo: l’odore non era di caffè,ma di paglia. Bruciata.

In alto Marine Le Pen, uscita sconfitta primadel ballottaggio in Francia. In basso Antonio

Samaras, neo Primo ministro greco

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Caos in salsa grecaDalla caduta di Papandreou alla neo elezione di Antonis Samaras, passando per i bilanci truccati e le manifestazioni:cronistoria di una confusione annunciata

Il premier Antonis Samaras, uscito vincitore dalleelezioni svoltesi lunedì scorso, sostituisce ilgoverno tecnico di Papademos

Se un cittadino comune si fosse messo ascandagliare attraverso una lente

d'ingrandimento le cifre dell'economia ellenicanell’ultimo decennio, ne avrebbe probabilmentetratto l'idea che l'ipotesi default appariva comeuna pura eresia, irragionevoli previsioniapocalittiche prive del benché minimo sostegnonumerico: sino al 2007, il Prodotto Interno Lordoha registrato tassi di crescita secondi soltanto aquelli nipponici, con l’apice raggiunto nel 2003(addirittura +6%), cui ha fatto seguito l’annosuccessivo una prestigiosissima investiturainternazionale rappresentata dall’organizzazionedei Giochi Olimpici. Un simile quadro faceva dellaGrecia - perlomeno in apparenza - una solida realtàeconomica, con gli investitori che facevano la codaper erogarle prestiti e, conseguentemente, con undebito pubblico sicuro e blindato a chiave dallavalutazione “A” delle agenzie di rating. Tuttavia, iguai sono cominciati con la crisi globale del 2008,che ha avuto come immediate conseguenze ilcrollo dei settori economici trainanti del paese –distribuzione e turismo – e un sensibile aumentodel debito pubblico. Quisquilie a confronto diquanto successivamente emerso: dopo una primaammissione (2004) di Kostas Karamanlis - leaderdel partito conservatore Nea Dimokratia –riguardo le irregolarità nei bilanci adottate alfine di rispettare i parametri imposti da

di Pasquale Raffaele

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Maastricht per far parte dell’Euro (su tutti lostringente vincolo del rapporto deficit/Pil sottoil 3%), nel novembre 2009 il neo PrimoMinistro socialista (PASOK) GeorgePapandreou afferma che i conti erano statiulteriormente “drogati” dal precedentegoverno; il mese successivo, ad aggravare ilquadro ci pensano Standard & Poor’s e Fitch,declassando il debito greco da A- a BBB+.L'insorgenza dei sintomi ricorda nel suosviluppo in progressione accelerata il ritmoincalzante di un sirtaki: infatti, la bocciatura daparte delle due agenzie di rating anticipa di unpaio di mesi l’inchiesta del New York Timesche svela come, sin dal 2001, due colossibancari del rango di Goldman Sachs e JPMorgan abbiano assecondato le richieste dialterazione dei conti pubblici avanzate daAtene, tramite un “montaggio finanziario”basato sull’utilizzo di titoli derivati che permisedi nascondere un finanziamento del debitopubblico – necessario per coprire gli ingenticosti del “carrozzone” sanitario – spacciandoloper un’operazione sui cambi anzichéconsiderarlo un prestito, evitando così dimetterlo a bilancio e di accrescere il debito. Népiù né meno che nascondere la spazzaturaammonticchiata nella paletta sotto un tappetopagato circa 200 milioni di dollari (a tantoammonta la commissione ricevuta dalla solaGoldman Sachs). Nell’aprile 2010, dopo averrifiutato un pacchetto di aiuti da 30 miliardi dieuro varato dal Fondo MonetarioInternazionale su proposta dell’eurogruppo(l’organo dei ministri delle Finanzeappartenenti all’eurozona ndr), è lo stessopremier Papandreou a richiederne 45; nonessendo sufficienti, si decide di stanziarneaddirittura 110, in cambio della promessa dicominciare a “rigare dritto”: tradotto, manovre

Aprile 2010:Papandreou prima

rifiuta 30 miliardi dalFmi e poi ne chiede 45

Un’inchiesta del NewYork Times svelò la

complicità di GoldmanSachs e Jp Morgan

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lacrime e sangue e consistente riduzione dellaspesa pubblica. Si tratta della prima limitazionedi sovranità nazionale ellenica che, come unaslavina, trascina con sé a valle le primemanifestazioni di massa e gli scioperi generali.Temendo l’effetto contagio, l’Ue mette a puntoun fondo salva-Stati da 750 miliardi di Euro dalquale, una settimana dopo, la Grecia attinge unulteriore prestito di 15 miliardi. Nel gennaio2011 Fitch si allinea a S&P e Moody’s,declassando il debito greco al livello “junk”(spazzatura). Sebbene per tutto l’anno venganoportate avanti manovre di contenimento dellaspesa pubblica e privatizzazioni (peraltrointramezzate da un secondo prestito da 130miliardi di euro targato Fmi), la situazionerimane disperata, al puntoche Papandreou getta laspugna e viene rimpiazzato anovembre da LucasPapademos, già governatoredella Banca di Grecia evicepresidente della Bce,sostenuto in un governo di unità nazionaleproprio dal Pasok, dai conservatori di NeaDimokratia e dal Laos, il partito della destraconfessionale. Anche l’esecutivo a guidatecnica, viste le tante “sforbiciate” previste,viene subissato dalle proteste: ad aprilePapademos scioglie il Parlamento e fissa la datadelle elezioni, che si tengono il 6 maggio. Latornata elettorale vede l’incertezza regnaresovrana, col risicato successo di Nea Dimokratiache non consente la formazione di un nuovoesecutivo e il niet di Alexis Tzipras, giovaneleader di Syriza (partito della sinistra radicale

Le manovre dicontenimento non

bastano: a novembrePapandreou si dimette

Luca Papademos, già governatore della Banca diGrecia e vice presidente Bce, rimpiazzaPapandreou con un governo tecnico

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intenzionato a ridiscutere la politica economicadi austerità propugnata dai vertici europei,considerato il vero outsider di questa fasepolitica ellenica) a un governo di “largheintese”. L’impasse che mette i brividiall’eurozona pare risolversi con il ritorno alleurne di domenica: nonostante il “replay” abbiafornito, in termini di esito finale, risultatipressoché equivalenti a quelli dei mese scorso,stavolta l’ausilio del premio di maggioranza(che attribuisce al primo partito 50 seggiaggiuntivi ndr) e l’appoggio esterno di Pasok –terza forza con oltre il 12% di consensi – e deisocialdemocratici di Dimar (sesto partito dellacontesa elettorale al 6,25%) spiana la strada al“nuovo che avanza”: si scrive esecutivo Samaras,si legge “governo dei mercati”.

Il nuovo che avanza? Ilpremio di maggioranza

spiana la strada algoverno Samaras

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*Un tema a settimana,un aggiornamento ogni sera.