e il trend è in crescita: in due l’11% dei nuclei familiari anni sono ... · vatorio sulla...

7
“Io, sola con due ragazzi” ecco l’Italia dei figli con un unico genitore (segue dalla prima pagina) R OSY Bindi, al ministero, sta preparando la confe- renza nazionale sulla famiglia che si terrà a maggio a Firenze. Affluiscono dati dall’Associa- zione famiglie numerose (una rarità, ormai: intorno al 7 per cento), dalla Caritas e dalla fondazione Zancan, dai Centri famiglia delle Asl e dall’Osser- vatorio sulla famiglia di Bolo- gna, da miriadi di associazioni che versano numeri e storie e alla fine dicono questo: il sacro vincolo di cui parla la Chiesa, la famiglia fondata sul matrimo- nio e “benedetta” dall’arrivo dei figli, è già da anni in mino- ranza nella vita reale. Sono 42 su cento, meno della metà con tendenza al ri- basso. Gli altri, le 58 famiglie “di- verse”, sono for- mate in preva- lenza (25) da persone sole, single o anziane, in larga parte da coppie senza fi- gli che ferma- mente non ne desiderano (22), da genitori soli coi figli (11). I fi- gli naturali, quelli nati fuori dal matrimonio, sono uno su 5: in ogni classe di scuola elemen- tare che ne sono almeno quat- tro. Ci sono regioni, la Liguria, in cui le coppie con figli sono meno del 30 per cento: una su quattro è la famiglia dei vesco- vi, le altre tre no. Fine delle sta- tistiche, inizio delle storie. “Famiglie monogenitoria- li”, c’è scritto con formula or- renda sui rapporti. Per esem- pio questa. Gina Larocca ha 43 anni, due figli di 14 e 7, una gat- ta. Vive al piano alto di un con- dominio, Roma Nord. In casa libri, stoffe, disegni. Fa la co- stumista, «in verità sarei stili- sta ma si deve campare», ha un contratto a termine per nove mesi con una produzione tv, ne restano sette «per un po’ stiamo tranquilli». Il padre dei ragazzi è andato via da casa due anni fa, «il 5 aprile del 2005». Piccolo altare buddista in salotto. Riviste di musica sul tavolo, dietro alla porta scarpe da tango. Piano settimanale di attività e turni attaccato al fri- gorifero. Ha un aiuto? «No, fac- ciamo da soli. Le madri dei compagni di classe, gli amici. Qualche rara sera una baby sit- ter. Poi soli. Il grande, Tiziano, certe volte cucina». È frequen- te, dice Gina: non è una storia eccezionale, capita. Certo che capita: a più di una coppia su dieci, ecco, vede l’Istat. «Sì, se il matrimonio non funziona co- sa vuoi fare, noi ci eravamo sposati anche in chiesa, è stato per compiacere i miei che sono cattolici. Visti da fuori sembra- vamo una famiglia felice, una coppia di riferimento per gli amici ma non era vero, tante volte la realtà è così diversa da quello che sembra. Quando è arrivato Ludovico eravamo già in crisi fonda ma lui si era na- scosto benissimo, fino al quar- to mese di gravidanza risulta- vo negativa ai test perciò quan- do l’ho visto in ecografia gli ho detto va bene, ok, hai vinto tu. Mi sono avvicinata al buddi- smo. Meno male che è nato». Due figli, lavoro precario, nessun aiuto domestico, orari incompatibili coi tempi della scuola e delle attività del po- meriggio, dei prendilo-ac- compagnalo-portalo. Qual- che desiderio di leggerezza, anche, perché a 43 anni la vita non è mica finita. «All’inizio è stata durissima. Sono anche andata in Africa a lavorare in una missione umanitaria: due settimane, ho lasciato i bambi- ni a lui. Sono tornata, non ce la facevo. Ho cominciato a man- dare curriculum, cercavo lavo- ro stabile. Mi hanno aiutato, ci hanno aiutato anche gli psico- logi dalla Asl. Un Centro fami- glia, sì. I ragazzi hanno sempre saputo tutto dal principio. Il piccolo pensava che il papà non volesse più stare con lui e piangeva e allora lo prendevo in braccio e gli dicevo “non è con te, è con me che non vuole stare più”. Però penso che sia bene che abbiano visto la mia fragilità: si può affrontare un grande dolore e si può conti- nuare a vivere. Il male si af- fronta si attraversa e si supera». I soldi, c’è il problema dei sol- di. Molti lavori a contratto ma nessuna sicurezza. Il padre dei ragazzi precario anche lui, ha un lavoro solo da pochi mesi. Come si fa coi soldi? «Certo con lavoro sicuro sa- rebbe diverso: a noi per vivere ci servono 1500 euro al mese, con 1800 facciamo un po’ di vacanza ma non sempre ci so- no e non sempre ci sono stati. Adesso abbiamo comprato la casa, è costata poco era una ca- sa degli enti. L’abbiamo ri- scattata insie- me, il padre dei ragazzi ed io, an- che se siamo se- parati: per loro. È un pensiero in meno e un impe- gno in più. Soldi da buttare non ce ne sono, ecco, per niente. Non sono mai stata a sindacare su quanto mi dava il padre e se me lo dava. Se non po- teva pazienza. Non abbiamo fondi pensione, non abbiamo altra assistenza sanitaria che quella pubblica. Lavoro da quanto ho 18 anni. Vorrei poter spendere cento euro per un corso serale per me senza sentire che li sto toglien- do a loro. Il corso di coro gospel non costa quasi i figli restano i miei maestri preferiti». niente, pochissimo «ma sapesse quanto aiuta cantare in coro, ascoltare le voci degli altri, il canto mette pace nei cuori». C’è il tango, anche. «Ecco sì il tango. Per una come me, che ha sempre fatto tutto da sola come un carroarmato, che si è sempre portata dietro anche quelli che arrancavano sapes- se che risettaggio è camminare all’indietro a occhi chiusi, farsi portare. Un’ora la domenica, niente. Ma è proprio come fare reset al computer, ricomincia- re da capo». Il piccolo gioca al- la play station, il grande è a ba- sket. Vuole giocare da profes- sionista nella Nba. «Allora gli ho detto ok, ci dobbiamo met- tere a studiare inglese. Que- st’estate si va in Inghilterra. Non so come faremo ma fare- mo. Loro mi insegneranno co- me. Tra i tanti insegnanti che ho trovato per strada i miei maestri preferiti sono i figli». (1- continua) E il trend è in crescita: in due anni sono aumentati del 28% Già oggi è composto così l’11% dei nuclei familiari SEPARAZIONE All’inizio, quando lui se ne è andato, è stata dura. Specie il piccolo piangeva sempre. Allora lo prendevo e gli dicevo: non è con te, è con me che non vuole stare più La realtà parla. Dice che la «famiglia tradizionale», quella a cui si riferiscono le gerarchie ecclesiastiche, è da tempo solo una delle famiglie possibili. Quella con padre, madre e due bambini è un’istantanea vecchia e sbiadita. La fotografia della famiglia italiana di oggi è cambiata. E non ce n’è più una sola, come un tempo. Ce ne sono tante. Famiglie con un solo genitore, come quella che raccontiamo in questa prima puntata della nostra inchiesta. Famiglie allargate, miste, omosessuali. Un viaggio nell’Italia che sta cambiando. Madre sola con figli negli ultimi due anni +28,4% STABILITÀ Ho un lavoro precario, per i prossimi sette mesi i soldi ci sono poi si vedrà. Un po’ di stabilità, ecco cosa vorrei: pensare al futuro senza tutta questa incertezza MAESTRI È dentro di te che trovi la forza per andare avanti E poi ci sono i miei figli che mi insegnano tanto: tra tutti, sono i miei maestri preferiti CONCITA DE GREGORIO LA REPUBBLICA 19 MARTEDÌ 20 FEBBRAIO 2007 Repubblica Nazionale

Upload: ngokhanh

Post on 23-Feb-2019

215 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: E il trend è in crescita: in due l’11% dei nuclei familiari anni sono ... · vatorio sulla famiglia di Bolo-gna, da miriadi di associazioni che versano numeri e storie e alla fine

“Io, sola con due ragazzi”ecco l’Italia dei figli

con un unico genitore

(segue dalla prima pagina)

ROSY Bindi, al ministero,sta preparando la confe-

renza nazionale sulla famigliache si terrà a maggio a Firenze.Affluiscono dati dall’Associa-zione famiglie numerose (unararità, ormai: intorno al 7 percento), dalla Caritas e dallafondazione Zancan, dai Centrifamiglia delle Asl e dall’Osser-vatorio sulla famiglia di Bolo-gna, da miriadi di associazioniche versano numeri e storie ealla fine dicono questo: il sacrovincolo di cui parla la Chiesa, lafamiglia fondata sul matrimo-nio e “benedetta” dall’arrivodei figli, è già da anni in mino-ranza nella vita reale. Sono 42

su cento, menodella metà contendenza al ri-basso. Gli altri, le58 famiglie “di-verse”, sono for-mate in preva-lenza (25) dapersone sole,single o anziane,in larga parte dacoppie senza fi-gli che ferma-mente non nedesiderano (22),da genitori solicoi figli (11). I fi-gl i naturali ,quelli nati fuoridal matrimonio,sono uno su 5: in

ogni classe di scuola elemen-tare che ne sono almeno quat-tro. Ci sono regioni, la Liguria,in cui le coppie con figli sonomeno del 30 per cento: una suquattro è la famiglia dei vesco-vi, le altre tre no. Fine delle sta-tistiche, inizio delle storie.

“Famiglie monogenitoria-li”, c’è scritto con formula or-renda sui rapporti. Per esem-pio questa. Gina Larocca ha 43anni, due figli di 14 e 7, una gat-ta. Vive al piano alto di un con-dominio, Roma Nord. In casalibri, stoffe, disegni. Fa la co-stumista, «in verità sarei stili-sta ma si deve campare», ha uncontratto a termine per novemesi con una produzione tv,ne restano sette «per un po’stiamo tranquilli». Il padre deiragazzi è andato via da casadue anni fa, «il 5 aprile del2005». Piccolo altare buddistain salotto. Riviste di musica sultavolo, dietro alla porta scarpeda tango. Piano settimanale diattività e turni attaccato al fri-gorifero. Ha un aiuto? «No, fac-ciamo da soli. Le madri deicompagni di classe, gli amici.Qualche rara sera una baby sit-ter. Poi soli. Il grande, Tiziano,certe volte cucina». È frequen-te, dice Gina: non è una storiaeccezionale, capita. Certo checapita: a più di una coppia su

dieci, ecco, vede l’Istat. «Sì, se ilmatrimonio non funziona co-sa vuoi fare, noi ci eravamosposati anche in chiesa, è statoper compiacere i miei che sonocattolici. Visti da fuori sembra-vamo una famiglia felice, unacoppia di riferimento per gliamici ma non era vero, tantevolte la realtà è così diversa daquello che sembra. Quando èarrivato Ludovico eravamo giàin crisi fonda ma lui si era na-scosto benissimo, fino al quar-to mese di gravidanza risulta-vo negativa ai test perciò quan-do l’ho visto in ecografia gli hodetto va bene, ok, hai vinto tu.Mi sono avvicinata al buddi-smo. Meno male che è nato».

Due figli, lavoro precario,nessun aiuto domestico, orari

incompatibili coi tempi dellascuola e delle attività del po-meriggio, dei prendilo-ac-compagnalo-portalo. Qual-che desiderio di leggerezza,anche, perché a 43 anni la vitanon è mica finita. «All’inizio èstata durissima. Sono ancheandata in Africa a lavorare inuna missione umanitaria: duesettimane, ho lasciato i bambi-ni a lui. Sono tornata, non ce lafacevo. Ho cominciato a man-dare curriculum, cercavo lavo-ro stabile. Mi hanno aiutato, cihanno aiutato anche gli psico-logi dalla Asl. Un Centro fami-glia, sì. I ragazzi hanno sempresaputo tutto dal principio. Ilpiccolo pensava che il papànon volesse più stare con lui epiangeva e allora lo prendevo

in braccio e gli dicevo “non ècon te, è con me che non vuolestare più”. Però penso che siabene che abbiano visto la miafragilità: si può affrontare ungrande dolore e si può conti-nuare a vivere. Il male si af-fronta si attraversa e si supera».I soldi, c’è il problema dei sol-di. Molti lavori a contratto manessuna sicurezza. Il padre deiragazzi precario anche lui, haun lavoro solo da pochi mesi.Come si fa coi soldi?

«Certo con lavoro sicuro sa-rebbe diverso: a noi per vivereci servono 1500 euro al mese,con 1800 facciamo un po’ divacanza ma non sempre ci so-no e non sempre ci sono stati.Adesso abbiamo comprato lacasa, è costatapoco era una ca-sa degli enti.L’abbiamo ri-scattata insie-me, il padre deiragazzi ed io, an-che se siamo se-parati: per loro. Èun pensiero inmeno e un impe-gno in più. Soldida buttare nonce ne sono, ecco,per niente. Nonsono mai stata asindacare suquanto mi davail padre e se me lodava. Se non po-teva pazienza.Non abbiamo fondi pensione,non abbiamo altra assistenzasanitaria che quella pubblica.Lavoro da quanto ho 18 anni.Vorrei poter spendere centoeuro per un corso serale per mesenza sentire che li sto toglien-do a loro. Il corso di coro gospelnon costa quasi i figli restano imiei maestri preferiti». niente,pochissimo «ma sapessequanto aiuta cantare in coro,ascoltare le voci degli altri, ilcanto mette pace nei cuori».C’è il tango, anche. «Ecco sì iltango. Per una come me, cheha sempre fatto tutto da solacome un carroarmato, che si èsempre portata dietro anchequelli che arrancavano sapes-se che risettaggio è camminareall’indietro a occhi chiusi, farsiportare. Un’ora la domenica,niente. Ma è proprio come farereset al computer, ricomincia-re da capo». Il piccolo gioca al-la play station, il grande è a ba-sket. Vuole giocare da profes-sionista nella Nba. «Allora gliho detto ok, ci dobbiamo met-tere a studiare inglese. Que-st’estate si va in Inghilterra.Non so come faremo ma fare-mo. Loro mi insegneranno co-me. Tra i tanti insegnanti cheho trovato per strada i mieimaestri preferiti sono i figli».

(1- continua)

E il trend è in crescita: in dueanni sono aumentati del 28%

Già oggi è composto cosìl’11% dei nuclei familiari

SEPARAZIONE

All’inizio, quandolui se ne è andato,è stata dura. Specieil piccolo piangevasempre. Allora loprendevo e glidicevo: non è conte, è con me chenon vuole stare più

La realtà parla. Dice che la «famiglia tradizionale»,quella a cui si riferiscono le gerarchie ecclesiastiche,è da tempo solo una delle famiglie possibili. Quellacon padre, madre e due bambini è un’istantaneavecchia e sbiadita. La fotografia della famigliaitaliana di oggi è cambiata. E non ce n’è più una sola,come un tempo. Ce ne sono tante. Famiglie con unsolo genitore, come quella che raccontiamo in questaprima puntata della nostra inchiesta. Famiglieallargate, miste, omosessuali. Un viaggio nell’Italiache sta cambiando.

Madre sola con figli

negli ultimi due anni

+28,4%

STABILITÀ

Ho un lavoroprecario, per i

prossimi sette mesii soldi ci sono poi

si vedrà. Un po’ distabilità, ecco cosavorrei: pensare alfuturo senza tuttaquesta incertezza

MAESTRI

È dentro di te chetrovi la forza perandare avantiE poi ci sono

i miei figli che miinsegnano tanto:

tra tutti, sono i mieimaestri preferiti

CONCITA DE GREGORIO

LA REPUBBLICA 19MARTEDÌ 20 FEBBRAIO 2007

Repubblica Nazionale

Page 2: E il trend è in crescita: in due l’11% dei nuclei familiari anni sono ... · vatorio sulla famiglia di Bolo-gna, da miriadi di associazioni che versano numeri e storie e alla fine

LA REPUBBLICA 21VENERDÌ 23 FEBBRAIO 2007

La famiglia patchworkuna seconda vita

per i figli dei separati

(segue dalla prima pagina)

QUANDO il primo dipinto —dai toscani ribattezzato “l’al-

bero dei piselli” — è stato restau-rato, qualche anno fa, la Curia haavuto da ridire che tanto interes-se per un’opera così bizzarra pa-reva esagerato. Oggi è di nuovocoperta da assi di legno: un nuo-vo restauro, dicono. Dieci metripiù su vivono Antonella Cocolli eGiampaolo Sfondrini, genitori diquattro figli: due di lei, due di lui.Quando sono andati in Comunea chiedere notizie di un eventua-le registro delle unioni civili, altrecittà toscane lo hanno fatto, si so-no sentiti rispondere: per caritàdi dio, questa città è sede vescovi-le. «Ho scritto alla Bindi per ralle-grarmi, capisco il suo travaglio e

ammiro la suasensibil i tà. Sedavvero faranno iDico i primi a regi-strarci saremonoi: ci spetta, sonosedici anni cheaspettiamo. All’i-nizio è stata duris-sima. Sa, il paese èpiccolo, la gentemormora».

Antonella eGiampaolo, 53anni, sono una“famiglia ricom-posta”. Vitefragili, il rapportoCaritas e fonda-zione Zancan sul-l’esclusione so-

ciale in Italia, dedica un intero ca-pito del rapporto 2006 — dunqueil più aggiornato, i dati Istat sonofermi al 2005 — alla condizionedei bambini nelle “famiglie rico-stituite”: quelle “particolari si-tuazioni che comprendono figlinati da una prima unione, i nuovipartner, i loro figli eventuali, la re-te parentale di entrambi”. Pezzidi famiglie diverse, patchwork,che ora formano una nuova fami-glia. In Italia, dice la Caritas, vivecosì quasi tre milioni di persone.Ai figli di uno o dell’altro, o di en-trambi, si aggiungono spesso inuovi figli della coppia con diffi-coltà non sempre banali di inte-grazione, di equanimità da partedegli adulti, di senso di esclusio-ne o di precarietà dei bambini.Vite fragili si sofferma a lungo sulconcetto di “resilienza”, unabrutta parola per una bellissimanozione che indica il processoche permette alle persone diadattarsi a condizioni di vita sfa-vorevoli. Alcuni, più di tutti ibambini, manifestano una resi-lienza sorprendente. Antonella,che non conosce la parola, dice «inostri figli hanno sofferto dellarottura delle unioni dei loro geni-tori ma si sono abituati e alla fine,penso, sono diventate personepiù ricche, più elestiche, più tol-leranti e più capaci di adattarsi ditante altre».

In queste vicende di vita spes-so il conflitto con la famiglia diorigine è devastante: anziani ge-nitori che non rivolgono più pa-rola ai figli, ex coniugi che condu-cono battaglie decennali in nomedi un affronto subito e imperdo-nabile, guerra sui figli, carabinie-ri a casa e carte da bollo. La nuo-va unione deve avere una forzaformidabile per resistere all’urto:Everyman, il nuovo romanzo diPhilip Roth, racconta anche que-sto. Quando la realtà entra nei ro-manzi è segno che tutti sappiamodi cosa stiamo parlando.

La storia di Antonella e Giam-paolo è esemplare e consolatoria.Hanno fatto sedici anni fa in unpaese di seimila anime quello dicui in Parlamento si discute se sialegittimo fare oggi. E’ una storiache mette di buon umore perchépensi che anche quando è anda-ta male alla fine può sempre an-dare meglio: e anche che quandoè scritto è scritto, non si scappa.«Siamo stati ragazzi negli anniSettanta», sono quella generazio-ne lì. Lei in paese, figlia di un par-tigiano della terza brigata Gari-baldi, Dino. Lui a Milano in via DeAmicis, quella della foto del ra-gazzo con la p38, figlio di un ope-raio. Si sono conosciuti a 22 anni,«lui veniva in vacanza qui in cam-pagna, si andava la sera con lachitarra a fare i falò al lago del-l’Accesa». Si sono sposati nel

1980, insieme ma con persone di-verse: lui con una milanese, leicon un massese. Hanno avuto iloro primi figli nell’82: lei Emilia-no, lui Francesca. I secondogeni-ti sono arrivati tre anni dopo aqualche mese di distanza: lei Raf-faello, lui Vasco. I loro matrimonisono entrati in crisi all’unisonoalla fine del 1990. Lui si è trasferi-to in campagna, a Massa, coi duefigli bambini. Si sono visti, final-mente. Si sono incontrati. Da se-dici anni vivono insieme in unacasa medievale storta poetica egrande abbastanza per i figli ditutti, i loro figli coetanei. «Si puòimmaginare cosa sia stato all’ini-zio, in un piccolo centro comequesto: uno scandalo. In stradaabbassavano lo sguardo, sentivoi discorsi: chissà quanto dura. In-vece eccoci, i ragazzi sono grandie sono persone serene: due lau-reati, uno al lavoro, il piccolo al-l’università. Si vogliono bene e siaiutano. Ci siamo inventati il ce-none della vigilia, che in Toscananon si usa, per fare sempre il Na-tale insieme. Perché certo lorohanno anche gli altri genitori, cimancherebbe. Guardi cosa hascritto Francesca nei ringrazia-menti della sua tesi: “a tutti i mieigenitori”. Tutti, capisce?». La re-silienza, appunto.

Antonella lavora in una coopche ha contribuito a fondare, èbionda e felicemente rotonda,

porta orecchini di perla e capellida maschio, tiene appesa in cor-ridoio una foto di Norma Parentieroina partigiana. Lui fa il fale-gname, ha i baffi folti e gli occhiverdi, parla ancora milanese, haappeso in salotto una foto di Jan-nacci. «Mi dispiace che non vedai ragazzi, sono fuori a studiare elavorare». Emiliano, il grande, èin Inghilterra. Si è laureato a Sie-na con una tesi sulla violenza e iltifo nel calcio e del baseball, orastudia inglese e si mantiene dasolo. Francesca si è laureata al-l’Orientale di Napoli in tibetano,è stata un anno a Parigi con l’Era-smus poi un anno in Tibet, coi no-madi in tenda. Ora abita col suoragazzo, qui a Massa. Raffaello fal’operaio alle acciaierie di Piom-bino e vive coi genitori. Vasco,che ha 20 anni,studia a Milano.Frequenta l’uni-versità coi soldiche gli ha lasciatoil nonno, l’ope-raio milanese:una somma co-spicua a entrambii nipoti perché po-tessero studiare.Giampaolo sorri-de: «Eh già, il non-no era una perso-na semplice e sag-gia: sapeva primadi noi di cosa ci sa-rebbe stato biso-gno».

Perché poi soldida scialare non cene sono mai stati: con le lire permantenere la famiglia bastavano3 milioni, ora servono 3000 euroche sono molti, moltissimi. Lei almuseo ne guadagna 1200. Lui di-pende, se c’è lavoro «ma le caseda ristrutturare per gli inglesi e itedeschi qui intorno sono finite».

Antonella e il suo ex maritohanno avuto l’affidamento con-giunto dei figli, hanno trovato unaccordo economico senza biso-gno di avvocati, spese divise ametà. L’ex moglie di Giampaolosi è trasferita a Massa nella vec-chia casa colonica, si è sposatacon un ragazzo vedovo padre diuna bambina, hanno avutoun’altra figlia. Giampaolo: «Coiragazzi abbiamo fatto così: ungiorno tutti insieme qui da noi,tre giorni i miei e tre giorni i suoi.Ecco la settimana». La geografiadei loro rapporti di parentela èuna mappa piuttosto completadi cosa siano le famiglie oggi. Lamamma di lei, vedova: famiglia diuna persona sola. La figlia di lui,Francesca: coppia di fatto senzafigli. Il figlio Vasco, ventenne: sin-gle. L’ex moglie di lui, famiglia ri-composta con due figli, uno in co-mune. Loro: famiglia ricompostacon quattro figli, nessuno in co-mune. A Massa marittima, paesedi vescovi e di partigiani, di affre-schi nemici e di fecondità.

(2- continua)

Situazioni non sempre facili,spesso a causa degli “ex”

In Italia sono quasi tre milionile persone che vivono così

PICCOLO CENTRO

All’inizio eravamouna specie discandalo. Per lastrada, quandopassavamo, lagente abbassavalo sguardoSa, questo è unpiccolo centro

famiglie “ricostituite”in Italia

nel 2005in Italia

942mila

RINGRAZIAMENTI

Guardi che cosaha scritto

Francescanei ringraziamenti

della suatesi di laurea:

“a tutti imiei genitori”Tutti, capisce?

CONCITA DE GREGORIO

(disegno di Gipi)

A sinistra Antonella e Giampaolo al mare con due amici: l’anno è il 1977. A destra la coppia oggi

Repubblica Nazionale

Page 3: E il trend è in crescita: in due l’11% dei nuclei familiari anni sono ... · vatorio sulla famiglia di Bolo-gna, da miriadi di associazioni che versano numeri e storie e alla fine

LA REPUBBLICA 19MARTEDÌ 27 FEBBRAIO 2007

GENOVA — Christian ha 27 anni, dor-me. Sono le due del pomeriggio ma ie-ri sera ha fatto tardi, si scusa sua ma-dre. Al lavoro? «No, era con la sua ra-gazza a una festa di compleanno, l’hosentito rientrare che saranno state letre». Parla piano per non svegliarlo,non vuole turbare l’undicesima ora disonno del primogenito. «E’ un bravis-simo ragazzo, sa?». La casa è stretta ebuia, vicolo del centro di Genova. En-zo, il padre, 58 anni, lavora al porto:gruista. I due piccoli sono a scuola:elementari a tempo pieno, letti a ca-stello con disegni della Sirenetta, tvcon lettore di dvd in camera. Anna Ca-demartori ha 51 anni, ne dimostra pa-recchi di più, nella vita ha cresciuto i fi-

gli e tenuto inordine la casa.Campano incinque coi1800 euro delmarito che fi-nito il turno ar-rotonda conqualche lavo-retto: torna acasa tutti igiorni alle ottodi sera, esce al-le sei del matti-no. Anche Ch-ristian lavora,commesso inun negozio dinoleggio vi-deo, e guada-gna, certo,

«ma poco, quei 500 euro che gli servo-no per i suoi bisogni». Caspita. Qualibisogni? «Le sigarette, la benzina del-la moto, la pizza con la fidanzata, le va-canze: sa, sono ragazzi».

I sociologi la chiamano “famigliatana”, quella di Christian la “sindro-me del giovane adulto”. E’ stata la piùgrave malattia sociale degli ultimivent’anni del secolo, in Italia, ma nonse ne parla quasi per niente: la genera-zione degli anni Ottanta è rimasta a vi-vere dai genitori. Sette giovani uominisu dieci fra i 25 e i 29 anni vivono at-tualmente nella cameretta dove sonostati fasciati da neonati. In alcune re-gioni 9 su 10, praticamente tutti. Ledonne un po’ meno: la metà. 55 perso-ne su 100 sotto i 34 anni non vivono an-cora in coppia o non ci vivono più: sel’hanno fatto, in un batter di ciglia, so-no tornate a casa dei genitori. Quandosi racconta questa storia, la più italia-na di tutte, si attribuisce la colpa allasocietà: non c’è lavoro, non ci sono ca-se, gli affitti sono carissimi, questi ra-gazzi come fanno. E’ solo una parte diverità. L’altra parte è, come si dice,culturale: vivere in casa a 25 e 30 anniè più comodo, consente di tenere ilcerto e scartare l’incerto, evita rischi eresponsabilità. Soprattutto: è possibi-le, è lecito, non è socialmente censu-rato. Puoi portare a casa la fidanzata echiuderti in camera, uscire senza diredove vai, tornare e aprire il frigoriferoper servirti senza limite di quello che

qualcun altro ci ha messo dentro pa-gandolo con soldi non tuoi. Non co-nosci una coda alle poste, non sai co-sa sia una bolletta, ti dimentichi dispegnere la luce perché non sai quan-to costa. Puoi «conciliare stili e esigen-ze di vita da single e di coppia pren-dendo soltanto gli aspetti più graditi diciascun modello», dice Roberto Volpi,statistico, che alla “dittatura del figlio”dedica un intero capitolo del suo ulti-mo libro, La fine della famiglia (Mon-dadori). «Questo figlio resta in fami-glia, se ne nutre in tutti i sensi, la piegaai propri bisogni senza in realtà esserechiamato a dar conto di alcunchè».Perché i genitori glielo lasciano fare?«Perché siamo di fronte ad un’irre-sponsabilità non solo tollerata macertificata: questi figli sono personealle quali non si chiede di crescere,studiare, lavorare, metter su famiglia,fare la loro vita ed andarsene ma benpiù modestamente di non fare troppidanni, di non cacciarsi nei guai, di nondrogarsi, di non finire ingalera o restare vittime diincidenti, insomma dinon dare preoccupazioniai genitori fino a che non sisentiranno pronti ad usci-re di casa». Fino a che nonlo vorranno, perché que-sto dicono le sentenzedella Cassazione che ob-bligano le famiglie almantenimento del figliomaggiorenne fino a checostui non abbia trovatoun’occupazione che lui stesso ritienerispondente alle sue aspirazioni: ap-propriata a suo insindacabile giudi-zio. Questo dice la giurisprudenza e lalegge che condannano i genitori del«figlio maggiorenne e convivente» apagare i suoi debiti fino al pignora-mento dei mobili perché si presume,articolo 513 del codice di proceduracivile, che «i beni presenti nell’abita-zione appartengano al debitore fino aprova contraria». La prova contrariaprevede un ricorso giudiziario dei ge-nitori contro il figlio. Di solito pagano.

Alle due e mezza la porta della ca-meretta di schiude. Ne escono un uo-mo coi soli pantaloni dei pigiama e un

forte odore di fumo. Christian accen-na un saluto e passandosi una manonei capelli ricci si chiude in bagno.«Suo padre ed io avremmo voluto cheandasse all’università, certo che loavremmo mantenuto, ma lui ha prefe-

rito lavorare. Sa, per avere un po’ di au-tonomia. Ci sono stati anche dei mo-menti di crisi con il papà, è stato quan-do il ragazzo frequentava cattive com-pagnie, le droghe, eravamo cosìpreoccupati, sparivano i soldi dal por-tafogli ma io preferivo non dire nientea mio marito perché magari perdeva lacalma. Ci sono i piccoli, in casa, nonvoglio che assistano alle scenate, seposso evito». E la fidanzata? «Anche leilavora ma guadagna poco, 400 euro.Hanno la stessa età. Non se la sentonodi andare a vivere da soli, è presto».

A 27 anni, con 1000 euro al mese indue, non se la sentono. D’altra partegodono, nella casa di lui, «della loroprivacy» come dice Anna che è buffosentir parlare in inglese. Lei alla loroetà aveva un figlio di 3 anni e la privacynon sapeva cosa fosse. GiampieroDalla Zuanna, demografo, insegnaTeoria della popolazione all’Univer-sità di Padova. Controlla le cifre, diceche la crisi demografica (1 figlio virgo-

la 2 per ogni donna, unadelle percentuali più bas-se del mondo, ora legger-mente in crescita per l’ap-porto degli immigrati)non si deve al fatto che «gliitaliani non vogliono figlima che vogliono, per cosìdire, troppo bene a quelliche hanno». Nel Nord Eu-ropa la “protezione” deifigli coincide con lo sti-molo della loro autono-mia, «da noi c’è una proie-

zione sui figli dei genitori che si pro-lungano in loro, pensano che sia lorocompito assicurargli condizioni di vi-ta migliori di quelle di origine». Di do-vergli comprare una casa, per esem-pio, o pagare un affitto. Aspettare chese la sentano. Il danno culturale sulgiovane adulto a cui la madre lava e sti-ra le camicie e rifà il letto ogni giornosenza chiedergli, per esempio, alme-no un contributo alle spese domesti-che come in quasi tutti i paesi d’Euro-pa è normale fare in età ben più pre-coce (al compimento della maggioreetà in Germania, al ventesimo anno inSpagna) si traduce in «un’idea sbilan-ciata di genere». Vuol dire che si met-

te in moto una deresponsabilizzazio-ne per cui il figlio maschio abituato aquesto trattamento si aspetterà poiche la donna un giorno al suo fianco sicomporti come sua madre. Che lo sve-gli la mattina, che gli prepari da man-giare, che lavi e stiri per lui. Un verospaventosissimo ritorno al passato,ma c’è di più. Ancora De Zuanna: «Labassa fecondità non dipende dall’as-senza di un figlio, che riguarda solo il20% delle donne oggi quarantenni,ma dalla carenza di secondi e terzi fi-gli. Gli studi ci dicono che le coppie piùpropense ad avere secondi e terzi figlisono quelle che hanno un maggiorebilanciamento di genere». E’ ovvio, èun’esperienza di senso comune: puoiaffrontare unimpegno piùoneroso se haiaccanto qual-cuno che tiaiuta. I secon-di e i terzi figliarrivano piùf a c i l m e n t enelle coppiedove a cucina-re, passare lostraccio, pre-parare la cola-zione per tuttie a rileggere icompiti sonosia lui che lei,indifferente-mente. Nonc’è bisogno diarrivare agli standard di pari opportu-nità della Catalogna, dove è esentassel’acquisto della lavatrice che ricono-sce le impronte digitali e che non simette in moto se non sono alternati-vamente quelle dell’uomo e delladonna. «Basterebbe ricominciare dal-la scuola». Certo la scuola, la scuola ela famiglia: dietro ogni persona c’èuna madre che propone un modello.Se è una madre che accudisce il figliofino a trent’anni fa un danno — sap-piamo ora — anche demografico:mancheranno al conto, fra qualcheanno, i secondo e terzogeniti del suo“bambino”. «Però sono ottimista, ve-do che nelle ultime generazioni il fe-nomeno rallenta: escono un po’ pri-ma di casa, e comunque non è dettoche l’autonomia coincida con l’anda-re a vivere da soli. In Danimarca esco-no dalla casa paterna a 20 anni ed han-no comunque il primo figlio a 27»,conclude Dalla Zuanna. In quei setteanni, in ogni caso, i danesi intanto siarrangiano. Frequentano la vita.

Christian esce dal bagno, sono letre e mezza, prende il casco e il giub-botto, dice «vado». Sua madre lo guar-da amorevole senza chiedergli dove.D’altra parte è una bella giornata, c’èil sole. Adesso che è rimasta sola chie-de scusa ma «devo andare che è tar-di». Non ha ancora fatto la spesa per lacena, fra un’ora escono i piccoli dascuola.

(3 - continua)

Nella famiglia-tanaè troppo dolce la vita

dei giovani adultiSIGARETTE

Mio figlioguadagna quantobasta per rendersiautonomo: cosìa 27 anni non devechiedermi i soldiper le sigarette.E’ davveroun bravo ragazzo

55%

MILLE EURO

Ha una fidanzatadella stessa età, eanche lei lavora.

Arrivano a mettereinsieme 1000 euroal mese, ma non se

la sentono dicercarsi una casa

e fare un figlio

CONCITA DE GREGORIO

(disegno di Gipi)

55 persone su 100sotto i 34 anni non vivono

ancora con il proprio/apartner oppure sono tornate

a vivere con i genitori

IL SOCIOLOGO

Così concilianostili e esigenze di vitada single e di coppia

prendendo soltanto gliaspetti più graditidi ciascun modello

In alcune regioni 9 “ragazzi” su 10abitano ancora in casa con i genitori

Una “sindrome” che condanna l’Italiaad avere solo 1,2 figli per donna

Repubblica Nazionale

Page 4: E il trend è in crescita: in due l’11% dei nuclei familiari anni sono ... · vatorio sulla famiglia di Bolo-gna, da miriadi di associazioni che versano numeri e storie e alla fine

LA REPUBBLICA 15MARTEDÌ 6MARZO 2007

TORINO — Sono più o meno l’interapopolazione della Danimarca. Unamoltitudine. A volte vivono sullostesso pianerottolo, si incrociano perle scale: si sfiorano senza trovarsimai. Sono quasi sei milioni di perso-ne. «Famiglie unipersonali», s’intito-la il capitolo del rapporto Istat che necertifica la maggioranza relativa: ilgruppo omogeneo più numeroso delPaese. In italiano si dice: gente sola.Viene persino il dubbio che si possa-no chiamare famiglie, uno consultalo Zingarelli e alla voce corrispon-dente trova: «nucleo fondamentaledella società umana costituito da ge-nitori e figli». E allora questa, dovenon ci sono né genitori né figli, cos’è?

Olga Varetto,che fra due an-ni va in pen-sione dopotrentacinquepassati a inse-gnare l’italia-no nelle scuo-le medie, cipensa in silen-zio poi dice:«No, non po-trei dire “lamia famigliasono io”: èun’afferma-zione un po’i d e o l o g i c a ,non trova?Però non sonouna persona

senza famiglia: ci sono mia madre,mia sorella, i miei nipoti. Loro sono lamia famiglia. Non mi sono mai spo-sata, è vero. Ma se mi fossi sposatanon avrei avuto duemila bambini inAfrica, due a Torino, una in Unghe-ria». Non avrebbe avuto la vita che haavuto fatta di viaggi e di libere scelte,di sconfitte e di sorprese, di generosadedizione per gli altri. La solitudine èun concetto relativo. «Una scopertaterribile e stupenda imposta dal no-stro tempo fatuo e feroce — scrivevaGiorgio Manganelli nell’agostodell’1980 — non occorre essere ere-miti: c’è solitudine per tutti». Anchein famiglia, intendeva, dove tantospesso «la solitudine è sostituita dal-l’isolamento. Famiglie sull’orlo dellacronaca nera sono state redente daun gatto». Essere soli non è mai unacircostanza biografica. Mai soloquella, almeno.

Dei milioni di persone di cui par-liamo la gran parte sono anziani: unquarto del gruppo vedovi e vedove. Iltema, qui, è quello del prolungamen-to della vita media — indice positivo,in Italia più alto che nel resto d’Euro-pa — incrociato alla necessità di assi-stere questa massa crescente di per-sone spesso non autosufficienti, onon del tutto: come si attrezza un go-verno ad affrontare i bisogni di unapopolazione in cui i vecchi sono giàadesso più dei ragazzi. In Liguria sucento persone ci sono 11 bambini e

26 anziani: uno scenario da quadro diBruegel, un’emergenza demograficacon scenari apocalittici. Di seguito,nell’insieme del Paese, ci sono i singleper scelta: i giovani che non hannocasa né lavoro, che non hanno reddi-to sufficiente e anche quelli che ma-gari potrebbero rischiarema «non se la sentono»,stanno meglio così. Tema:la precarietà giovanile - ifattori strutturali, econo-mici - e quelli culturali. Lacarenza di senso di respon-sabilità, la disabitudine alsacrificio. L’invecchiamen-to di una civiltà in cui «farefamiglia e avere figli non èpiù l’obiettivo primario»,scrivono anche i sociologi.Infine, e sono la parte piùconsistente, le persone ri-maste sole non perché loabbiano desiderato maperché è andata così: uomi-ni e donne tra 40 e 60 an-ni, non più ragazzi nonancora vecchi, milioni dipersone con una storia daraccontare, a volte un lut-to da dimenticare, moltaenergia da spendere, an-cora. Olga, per esempio.

Figlia di contadini, se-conda di due sorelle.Pantaloni e scarpe basse,fisico da ragazzina, ca-pelli corti e frangia sugliocchi. «Ho vissuto coimiei genitori fino a 33 anni. È moltodice? Ma guardi: mi sono laureata, a26 anni ho conosciuto un ragazzo inbiblioteca, siamo stati fidanzati quat-tro anni ci dovevamo sposare, poi luiha sposato un’altra. Io ero precaria, ascuola. Stavo coi miei. Soldi da butta-re non ce n’erano. Ho cominciato apensare di comprar casa ma avevopoche lire ed ero così demoralizzatache mi sono detta: faccio un viaggio».È andata in Nepal, da sola. L’anno do-po in Perù, quello dopo in Marocco.Intanto ha incontrato quelli che sa-rebbero diventati i suoi «primi due fi-gli». «Ho risposto all’annuncio di unafamiglia di importanti imprenditori

torinesi che cercavano un’istitutriceper i loro due ragazzi in affido, 6 e 11anni. Ragazzi impegnativi, si capisce.Sono rimasta con loro dieci anni: lamattina insegnavo, il pomeriggio an-davo da loro. Li ho cresciuti, ancoraadesso ci sentiamo sempre. Sono i

miei ragazzi». Nel frattempo è arriva-to il Kenya. «Avevo appena letto “Lamia Africa”, sono partita con quattroamici, volevo arrivare sul lago Turca-na». Il giorno che sono arrivati al lago,macchina a noleggio, è finita la ben-zina. Loyiangalani, il nome del villag-

gio di capanne. C’era unamissione italiana, hannobussato per chiedere aiu-to. «Erano preti dellaConsolata, un ordine re-ligioso di Torino. Si rendeconto? Una parte da Tori-no, arriva sul Turcana do-po un viaggio pazzesco etrova i preti di Torino». Lavita, certe volte. Olga, chenon aveva quarant’anni,non sentiva affatto la vo-cazione da single. «Poileggo le statistiche e vedotutta questa gente sola,gli esperti nei dibattiti sichiedono perché: ma co-me perché? Perché certevolte, parecchie volte misembra, non va comevorresti e allora cosa devifare? Niente, vai avanti».

Avanti con la scuolatutte le mattine d’inver-no, poi nelle vacanze unaltro viaggio. «Il Turcanaè il posto più bello che ab-bia mai visto, due annidopo ci sono tornata. C’e-ra un bambino che nonaveva soldi per studiare,

ho cominciato a mandarglieli, l’homantenuto fino al liceo: si chiamaLowoi, ha 26 anni, è il mio primo figlioafricano». Adesso i figli africani sonoduemila. «Raccoglievo soldi fra leamiche, a un certo punto il movi-mento di denaro è diventato tale chela mia banca sospettava che facessichissà quale attività illecita. Ho capi-to che dovevamo organizzarci. Ab-biamo fatto una onluss, “Fata Turca-na”. Oggi con trentamila euro all’an-no manteniamo duemila bambini in25 asili costruiti da noi, ogni inse-gnante ci costa 25 euro al mese. 25 eu-ro, sì». È un modo di essere soli, que-sto. Di non avere famiglia. Di non es-

sere famiglia. Poi certo ci sono le vi-cende private: un’altra storia d’amo-re lunga e impossibile, gli anni dimezzo della vita che passano senzache succeda quel che si vorrebbe enella sua attesa. «Quando i miei duebambini torinesi sono andati via dacasa ho sentito il bisogno di andar-mene anche io. Ho fatto un concorsoal ministero, sono andata a insegna-re l’italiano in Ungheria. Dura, eh?Non parlavo la lingua non conoscevonessuno, mi hanno dato un apparta-mento in un casermone grigio, nonpotevo nemmeno andare al cinemache tanto non capivo niente. C’erasolo la musica». Tre anni. In Unghe-ria ha “adottato” un’altra ragazzina,Betty. «Avevabisogno diuna mano perstudiare e tro-vare lavoro,l’ho aiutata:ora è una don-na, vive in Sve-zia, è felice».

Certo cheOlga avrebbeadottato un fi-glio suo seavesse potuto«ma in Italianon si può:una personasola non può.Che peccato,no? Perchéguardi, io unfiglio biologico da sola non l’avrei fat-to e difatti non l’ho fatto, credo chedavvero un bambino per venire almondo abbia bisogno di un padre e diuna madre. Ma i bambini già nati,quelli da soli negli orfanotrofi, nonstarebbero meglio con una personaper esempio come me, in una casacon un letto e una cucina, con un af-fetto costante e la premura di qualcu-no che gli rilegge i compiti di scuola?».Non si poteva, non si può. «Ho vistoche anche nell’ultima Finanziaria leuniche a non avere nessun aiuto so-no le persone sole della mia fascia direddito: guadagno 1600 euro al mesedopo 35 anni di servizio, non sonopochi ma ci viviamo io i miei ragazziafricani e mia madre che è rimasta so-la. Al supermercato gli unici prodottiscontati sono quelli formato fami-glia. Tre per due. È come se per noi cifosse una disapprovazione sociale,mi pare proprio ingiusto. Non ho mi-ca deciso io di restare da sola. Sareb-be stato meglio avere figli, bisognafarne se no ci estinguiamo ma io nonho avuto il dono di una famiglia: mela sono creata, capisco che non sia lastessa cosa ma non mi sento per que-sto menomata. Sto bene così, a que-sto punto della vita mi sarebbe anchedifficile cambiare». Subito si inter-rompe, però, sorride con malizia:«No, meglio che questo non lo scriva.Magari capita di incontrare qualcu-no, non si sa mai».

“La mia vita da singlecon duemila bambiniadottati a distanza”

DIVIETI

Se avessi potutoavrei adottato unfiglio mio, ma quinon è permesso. Edè un peccato: tantipiccoli starebberomeglio con personecome me chein un orfanotrofio

OSTACOLI

Al supermercatogli unici prodotti

scontati sono quelliformato famiglia

È come se perquelli come me cifosse una sorta didisapprovazione

sociale

CONCITA DE GREGORIO

(disegno di Gipi)

FAMIGLIE UNIPERSONALIIn Italia sono 5 milioni e768 mila, il 25,8% del

totale. Negli ultimi 5 annisono aumentate di 1

milione e 174 mila unità

SOLIDARIETÀ

Dopo i miei viaggi hoiniziato a raccoglieresoldi tra le amiche e amandarli laggiù: se mifossi sposata non avrei

avuto tanto affetto

Sono quasi 6 milioni le famigliecomposte da una sola persona

Molti l’hanno voluto, altri sonovedovi, al resto è andata così

25,8 %

Olga Varetto nella sua casa a Torino

Repubblica Nazionale

Page 5: E il trend è in crescita: in due l’11% dei nuclei familiari anni sono ... · vatorio sulla famiglia di Bolo-gna, da miriadi di associazioni che versano numeri e storie e alla fine

LA REPUBBLICA 17GIOVEDÌ 8MARZO 2007

NAPOLI — Daniela ha 40 anni, èl’ultima di quattro fratelli, lavoracome infermiera in ospedale. Vive aPortici insieme ai genitori quasi ot-tantenni e ad una zia, sorella del pa-dre, nello stesso appartamento do-ve è stata bambina. Quando si èsposata è rimasta a vivere coi suoi.Quando è nata sua figlia anche. Incasa oggi sono in sei: i genitori, lazia, Daniela e suo marito, la figliaMarta che ha 9 anni. Accudisce l’an-ziana madre ammalata, si occupadella figlia, lavora. «Adesso sono ioche devo assistere mia madre ma fi-no a pochi mesi fa era lei che mi aiu-tava con Marta. È un regime di mu-tuo soccorso. Certo che mi piace-

rebbe andarea vivere da so-la con miomarito e conla bambinama f inoranon è statopossibile: pri-ma non avevolavoro, poi isoldi non ba-stavano. Orastiamo cer-cando unacasa, ci piace-rebbe restarevicino ai mieianche se qui aPortici è peri-coloso, c’è ilvulcano, mi

mette l’ansia. Vedremo».Non è vero che le famiglie nume-

rose non ci sono più. Sono solo di-versamente numerose. Nella suarelazione di inizio mandato il mini-stro Rosy Bindi diceva con una cer-ta preoccupazione che le coppiecon almeno quattro figli si sono ri-dotte all’uno per cento: erano duemilioni negli anni Sessanta sonotrecentomila oggi, quasi scompar-se e soprattutto povere. Una su cin-que sotto la soglia di povertà: con-dizioni abitative e sociali disastro-se, da assistenza di servizi sociali. Ifigli a multipli di due nascono or-mai solo nelle famiglie molto riccheo indigenti: in quelle che se lo pos-sono permettere e in quelle che nonpossono evitarlo, in quelle che nonhanno altra ricchezza che le bracciada mettere al lavoro. Tuttavia i nu-clei familiari composti da almenosei persone sono tornati a crescerenegli ultimi dieci anni. La loro ca-ratteristica è che comprendono al-meno tre generazioni: nonni, figli,nipoti.

Gli analisti le chiamano “famigliesandwich”, rende l’idea. Un paninoin cui la generazione di mezzo,quella dei quarantenni, è stretta frai genitori ed i figli: in principio è unanecessità, strada facendo un van-taggio in termini di aiuto reciproco,in finale diventa per la generazionedi mezzo un peso. Figli dei loro pa-

dri e insieme padri dei loro figli,stretti nel sandwich, i due di mezzofiniscono per assumersi la respon-sabilità della cura dei vecchi e deigiovani, entrambi da accudire. “E’ iltrionfo della famiglia verticale —dice Giampero DallaZuanna, demografo —una peculiarità tutta ita-liana. Si registra nel tem-po una grande stabilitàdei rapporti di sangue, lalinea che va dai nonni aifigli ai nipoti. La novità diquesti ultimi anni è laprossimità abitativa: nonoccorre che vivano insie-me, spesso sono vicini.Nella grande maggioran-za dei matrimoni cele-brati negli anni ‘90 la cop-pia è andata a vivere a me-no di un chilometro daigenitori di entrambi i co-niugi. Significa che si so-no sposati tra vicini dicasa e che sono rimasti astare lì”.

La ragione della con-vivenza (o della prossi-mità) è sempre, special-mente nelle grandi città,economica. Daniela:“Sono stati i miei ad insi-stere perché restassicon loro anche doposposata. La casa era ab-bastanza grande pertutti, io non potevo per-mettermi un affitto dignitoso.Quando è nata Marta è stato nor-male restare: loro aiutavano me,che nel frattempo avevo iniziato iturni in ospedale, io aiutavo loroanche nelle spese. Mio marito poinon c’è, più di sei mesi all’anno è inAngola”. Il marito si chiama HelderDe Andrade, ha 53 anni, insegnageologia all’Università di Luanda.Si sono conosciuti quando lui face-va il dottorato di ricerca all’Univer-sità di Napoli. Di madre angolana edi padre portoghese di origine in-diana Helder è nero di pelle così co-me Marta, la figlia. Matrimonio“misto”, tipologia in crescita del 20

per cento negli ultimi due anni. So-lo uno dei coniugi italiano. La vita siincarica di mischiare le carte — e lecategorie sociologiche — assai piùdel previsto: famiglie allargatecomposte da coppie di fatto che

convivono coi nonni. Famiglie mi-ste ma anche sandwich. Famigliesenza figli che abitano coi fratelli,con gli zii. Non sono eccezioni, so-no la norma: il nucleo tradizionale— padre madre figli — è già da anni

minoritario: 42 per cen-to. 58 famiglie su centonella realtà del Paese so-no diverse da quel mo-dello a cui sempre si rife-riscono le gerarchie ec-clesiastiche. Eppure an-che le altre ugualmentefamiglie, certo.

“Sentiamo sempreparlare dello choc cultu-rale delle unioni cosid-dette miste — dice Da-niela — noi non abbiamoavuto nessuno choc. Imiei genitori, papà tassi-sta in pensione mammacasalinga, hanno accoltoHelder per quello che è:una persona di valore.Certo che poi le crona-che ci restituiscono sto-rie tragiche di incom-prensioni fra culture di-verse, storie di segrega-zioni e soprusi familiaridovuti alle diverse origi-ni delle persone che siuniscono però io credoche i giornali parlino so-prattutto di quello chenon funziona e moltomeno di quello che fun-

ziona. E poi ci sono tanti pregiudizi:guardi cos’è successo a Erba, quan-ti immediati sospetti sul ragazzonordafricano, e invece…”. Helderracconta che quel po’ di diffidenzache ogni tanto sente a Napoli non èdiverso da quello che Daniela hasperimentato quando vivevano inAngola, sono stati lì due anni: “Erapallida, era straniera, era diversa.Quando ci siamo sposati, nel muni-cipio di Luanda, i funzionari laprendevano in giro: è un matrimo-nio di convenienza, le dicevano, sisposa per avere il permesso di sog-giorno…”. Lui ha provato a trasfe-rirsi a lavorare in Italia ma “un geo-

logo qui è uno su milioni, in Angolasiamo pochi e preziosi”. Parla unitaliano perfetto, “a scuola studiavoMachiavelli nel testo originale”, lasua lingua madre è il kikongo, anti-ca lingua del Congo, quella paternail portoghese. “Il padre di Danielal’ho conosciuto quando è nata Mar-ta, in ospedale. E’ stato lui a dirmivenite a stare da noi: non spendetesoldi inutilmente. Certo che un po’la convivenza mi pesa ma non è per-ché mi senta costretto, anzi: è chenon mi piace togliere spazio agli al-tri, è una questione di rispetto”.

Daniela dice che ormai non è piùun problema di soldi. Lei guadagna1600 euro al mese, lui circa 2000dollari. Po-trebbero far-cela moltobene, conuna bambi-na, “peròadesso chemia madre haavuto un ic-tus come fac-cio ad andarevia, sono pas-sati gli anni e imiei si sonofatti anziani,quando Hel-der non c’è iomi sento me-glio a starecon loro, so-no più sicurae poi Marta è cresciuta coi nonni econ la zia: anche mia zia ci ha aiuta-ti tanto”. Fra pochi anni Helder an-drà in pensione, ne ha già più di 30di servizio, e allora sì che cerche-ranno una casa da comprare: “ma-gari qui a Napoli, magari a CapoVerde”, ride. Daniela vorrebbe unaltro figlio. “Finchè Marta era pic-cola mi sembrava di non farcela mami sento più sicura, adesso, nono-stante la malattia di mamma. Lamia famiglia mi chiede tanto ma midà tanto, riempie le assenze di Hel-der, fa le mie veci con mia figliaquando non ci sono. Ora sì che misento serena abbastanza per avereun altro bambino. Vediamo se arri-va. In casa c’è posto, certo. La zia hala sua stanza, i miei genitori la loro eHelder ed io la nostra, Marta sta connoi. Per una culla basta pochissimospazio. E poi comunque ora comin-ciamo a cercare una casetta in affit-to, non si sa mai: magari per qual-che periodo dell’anno, provvisoria.Nel raggio di casa dei nonni, sì cer-to, Marta va a scuola lì come faccia-mo a spostarci”. Però, il vulcano.“Mannaggia sì: il vulcano. Non dor-me, anche Helder lo dice e lui lo sa.Sonnecchia. Quando arrivano a ca-sa i fogli coi piani di evacuazione miviene una paura… Però insommapoi quella è casa mia. Dico dico maalla fine vede vede? Alla fine restodove sono nata”.

Vivere con i nonni in casaecco la famiglia sandwichregno del mutuo soccorso

LA SCELTA

Sono stati i mieia insistere perchérestassi con loroanche doposposata. La casaera grande per tuttie io non potevopermettermi unaffitto dignitoso

5,3%

LO STRANIERO

Noi siamo ancheuna cosiddettacoppia mista,

lui è originariodell’Angola

I miei comunque lohanno accolto perquello che è: unapersona di valore

CONCITA DE GREGORIO

(dis

eg

no

di G

ipi)

FAMIGLIE ESTESEÈ così che l’Istat definisce

quelle famiglie con duenuclei o membri aggregati:

sono il 5,3% del totale

LA NASCITA

Quando è nata miafiglia è stato normale

restare: loro aiutavanome e io loro. E poi

se mio marito non c’èmi sento più sicura

I nuclei numerosi sono tornatia crescere negli ultimi dieci anni

Spesso è perché sotto lo stessotetto ci sono tre generazioni

Repubblica Nazionale

Page 6: E il trend è in crescita: in due l’11% dei nuclei familiari anni sono ... · vatorio sulla famiglia di Bolo-gna, da miriadi di associazioni che versano numeri e storie e alla fine

LA REPUBBLICA 21MARTEDÌ 13MARZO 2007

ROMA — Fare futuro.Anni fa parlando ai ra-gazzi di un liceo roma-no con un linguaggio,dunque, per nulla dot-torale la sociologa Chiara Sarace-no rispose ad una studentessache le chiedeva “ma perchéesista una famiglia sono ne-cessari i figli?”. In un certo sen-so sì, disse Saraceno. “Non sipuò negare che quando unacoppia rinuncia ai figli rinun-cia a fare futuro”.

La realtà dell’Italia, quindi,ci apparecchia una tavola dacui sta scomparendo il futuro.Se ci contiamo troviamo unbambino ogni sette abitanti:una delle medie più basse d’Eu-ropa. Il saldo fra nati e morti,nella popolazione non immigra-ta, è negativo: i morti sono 13 mi-la di più. Ventidue famiglie sucento in Italia sono composte dacoppie senza figli: ventidue sucento, quasi una su quattro. Spo-sate o non sposate, è lo stesso: ilpunto non è il tipo di vincolo. Laquestione è, piuttosto, che quasiun quarto delle famiglie italianenon desidera avere figli: preferi-sce di no. Si può ormai moltospesso dire che “preferisce” dalmomento che i casi di impossibi-lità oggettiva di averne – non tut-ti, certo - sono stati da tempo soc-corsi dai progressi della medici-na, l’aumento delle adozioni hafatto il resto. Volendo avere un fi-glio oggi molto più spesso di pri-ma si può: a costo anche di aggi-rare le nostre leggi andando inpaesi dove è più facile farne, odottenerne. Ciononostante quel22 su cento cresce ancora: del19,6 in due anni. Diminuiscono,anche se molto meno, le coppiecon figli.

Bruno Melappione, 56 anni,ascolta tutto questo mentre lamoglie quarantenne prepara un

caffè: “Mis e m b r achiaro chel’istinto dic o n s e r v a -zione dellanostra spe-cie decrepi-ta, dopo mil-lenni, si èc o n s u m a -to”, ride. Lamoglie arri-va con le taz-ze: “A me ib a m b i n inon piaccio-no, quell idegli altri sì,i n t e n d i a -moci: i miei

nipoti sono meravigliosi ma perme non ne ho mai desiderati. Stobene così, stiamo molto bene co-sì”. Quando ha conosciuto suomarito aveva 31 anni, ora ne ha42: undici anni di cene con gliamici, pomeriggi al cinema, viag-gi. Non è stata una questione eco-nomica, dicono: non è che i figlinon siano arrivati perché costa-no e non c’erano soldi, perchémancava la casa o il lavoro. Ci so-no state difficoltà, certamente,ma non è a causa di quelle chehanno rinunciato. E’ facile capireche davvero è quasi sempre così.C’è il buon senso, c’è l’esperienzae ci sono studi che lo certificano:

specialmente quandosi tratta del primo fi-glio il conto dei soldi èsecondario. Sono altrele ragioni che spingo-no a farlo, le difficoltàsi superano. Semmai èal secondo e al terzo fi-glio che si rinuncia pernon aggiungere spesee rinunce, non al pri-mo: quasi mai al pri-mo. “Certo che avrem-mo potuto farlo, sem-plicemente non ab-biamo voluto”.

Bruno Melappione eMaricetta Lombardosono nati in famiglienumerose.

Lui romano, settimodi nove fratelli. Artigia-no specializzato, co-struisce scenografieper il cinema. Scriveracconti, vorrebbesceneggiare un film. Primo ma-trimonio a 24 anni: due figli di 34ed 32, è già nonno di un bimbo di4. Lei agrigentina, terza di sei figli.E’ arrivata a roma 16 anni fa perfrequentare il centro sperimen-tale di cinematografia, fa il tecni-co del suono. Per passione foto-grafa. In salotto alle pareti ci sonosono foto sue: un incontro diboxe, un autoritratto con AlbertoGranado quello che ha fatto colChe il viaggio della motocicletta,“un vecchio bellissimo l’ho cono-

sciuto a Berlino”. Vi-vono in una casa di 70metri quadri, “una ca-sa dei preti”: l’affitto èbasso, mille euro almese. Non fumano,non bevono. Il gior-nale ogni tanto, “ci so-no quelli gratuiti”. Li-bri molti, “cinematutti i giorni”. Tutti igiorni? “Sì, in un cine-ma di San Lorenzo alprimo spettacolo il bi-

glietto per le prime vi-sioni è di due euro. Ciandiamo tutti i pome-riggi. Se si può, certo.Ogni giorno un film di-verso”. E’ la loro spesaprincipale. Nientemacchina (“c’è, ma so-lo per i viaggi in Sici-lia”, quando vanno inestate a casa di lei), tes-sera dei mezzi pubbli-

ci. Maricetta: “Per il mangiare sìche si spende. Io adoro cucinare,si vede no?, guardi che taglia ab-biamo raggiunto fra tutti e due…Ecco, questo sì: invitiamo moltospesso amici a cena”.

Si sono conosciuti undici annifa, sette anni dopo si sono sposa-ti. Perché il matrimonio? Bruno:“Io prima convivevo con una ra-gazza finlandese ma non avevomai preso l’impegno di sposarla,non ho mai pensato fino in fondoche avrei voluto stare per sempre

con lei”. Il matri-monio perché è unimpegno. “Sì è così.Convivi se stai benein quel momento, tisposi se ti prendi un

impegno per la vita. È anche unregalo che fai all’altra persona:per me non ci dobbiamo lasciaremei più, le dici. Delle volte mi di-spiace averla sposata perché nonla posso risposare”. La moglie glisorride. E perché niente figli?Maricetta: “Non ho pazienza.Non ne ho voluti. Lui aveva i suoigià grandi, io lavoravo moltoviaggiavo. C’è stato un momen-to, forse, ma poi ho preferito dino. Mi piace stare con i miei ni-poti ma non torno mai a casapensando vorrei un figlio an-ch’io. E’ poi vede quante storieinfelici ci sono, che inferno puòessere la famiglia, quei poveri fi-gli… abbiamo visto un film pro-prio ieri no Bruno?. “Ieri. La ri-produzione è un istinto animale,lo fanno le bestie senza essere fa-miglia. Fra uomini si può stareinsieme anche in modi diversi, sidecide cosa è meglio, cosa è pos-sibile, cosa si desidera davvero”.Loro desiderano principalmentestare insieme: “Siamo felici così,col cinema al pomeriggio, le cenecon gli amici la sera, il nostrocomputer, qualcosa da leggere eda scrivere, la macchina fotogra-fica che ci accompagna nei viag-gi”. Bruno progetta di scrivere unlibro sui templari, la sua passio-ne. “E’ chiaro che il tesoro se l’èmagnato Filippo il Bello e che ilpapa era d’accordo”, questa latrama. Maricetta ha lavorato a unfilm di Pasquale Scimeca sullosfruttamento dei bambini “e oraspero che esca, poi spero di ave-re presto un altro lavoro perché almomento non ce n’è”. Cosa ser-virebbe per stare meglio? Lei:“Qualche soldo in più ma nonper esserericchi, la ric-chezza portap r o b l e m i .Per andare ateatro, fuoria vedere unamostra, perviaggiare unpo’ di più.Prima avevodelle manie,gli occhialigli orologi,poi sono sta-ta in Africa emi sono pas-sate tutte.Bisognereb-be che fosseobbligatorioper tutti passare almeno una set-timana in africa nella vita, cosìuno si rende conto del mondodove viviamo”. Il futuro com’è?“Il futuro siamo noi, i nostri ami-ci. Le serate a base di piatti sici-liani e greci, brasiliani. Abbassole diete, per carità, non sopportoil velinismo. Sono contro la taglia38 a favore della 46”. Il futuro,Bruno? “Il mio futuro è lei, Mari-cetta. Forse un libro, forse unfilm: se vengono, chissà. Di certoci siamo noi. La nostra famigliacioè noi, la nostra casa cioè qui: ilnostro futuro è questo, ce l’ho da-vanti agli occhi”.

(6 - continua)

La famiglia dimezzatache non vuole figli

“Il futuro? Siamo noi”

L’ISTINTO

Mi sembra chiaroche l’istinto diconservazionedella nostraspecie decrepita siè consumato. Certoche avremmopotuto averne, manon abbiamo voluto

22%

MEGLIO ZIA

A me i piccoli nonpiacciono, quelli

degli altri sì,intendiamoci:

i miei nipoti sonomeravigliosi, maio non ne ho mai

desiderati,sto bene così

CONCITA DE GREGORIO

(dis

eg

no

di G

ipi)

FAMIGLIE SENZA FIGLIVentidue famiglie su centoin Italia sono composte da

coppie (sposate oconviventi) senza figli

LA SOCIOLOGA

In un certo sensoperché esista famigliasono necessari i figli,quando una coppiarinuncia, rinuncia

a fare futuro

Quasi un quarto delle famiglieitaliane non desidera bambini

Un “modello” in crescitamentre calano le coppie con figli

Repubblica Nazionale

Page 7: E il trend è in crescita: in due l’11% dei nuclei familiari anni sono ... · vatorio sulla famiglia di Bolo-gna, da miriadi di associazioni che versano numeri e storie e alla fine

LA REPUBBLICA 23VENERDÌ 16MARZO 2007

ALBA — Questo articolo è dedicato aquelli che protestano perché i giorna-li non scrivono mai storie normali, aquelli che sentendosi normali leg-gendoli non ci si ritrovano mai. Unpo’ hanno ragione, anche se tutti san-no che le storie normali non esistono.Ciascuna è diversa dunque unica,dunque un po’ eccezionale: in qual-cosa speciale. La famiglia Capra, peresempio. La famiglia Capra vive adAlba, è composta da una coppia (nelsenso di un uomo e una donna) che siè fidanzata e poi sposata, ha avutoquattro figlie, vivono tutti insiemenella stessa casa in sostanziale armo-nia. Quando gli abbiamo chiesto seavrebbero voluto essere intervistati

per conclude-re l’inchiestasulla “nuovafamiglia” laprima obie-zione è stata:ma i giornalinon racconta-no storie nor-mali. La se-conda: noi co-munque nonsiamo norma-li. Nel senso?Nel senso chesiamo propriofuori norma:siamo tanti,quasi nessunoha più quattrofigli. Siamo gli

unici nel nostro gruppo di amici, sia-mo mosche bianche anche fra i cono-scenti e i compagni di classe delle ra-gazze. Siamo una minoranza, insom-ma.

È vero: sono una minoranza. Lecoppie con figli sono (erano nel 2005)il 43 per cento del totale delle famiglieitaliane. Una minoranza numerosama ancora in calo negli ultimi dueanni: oggi siamo forse già sotto il 42.Le coppie con almeno tre figli sono 7su 100: molto povere oppure moltoricche oppure fermamente cattoli-che. Scrive Miriam Mafai nella prefa-zione del bel libro di Silvia Ferreri,Uno virgola due: viaggio nel paesedelle culle vuote, che «la maggioranzadelle famiglie italiane non può per-mettersi questo lusso». Hanno avutootto figli il direttore del Censis De Ri-ta, li portava a scuola col pulmino, Et-tore Bernabei storico direttore dellaRai, Margherita Agnelli la figlia del-l’Avvocato. Solo sei ne ha avuti sua ziaSusanna, tre volte ministro degliEsteri. Il professor Pietro Scoppola,storico cattolico, cinque. La sua ipo-tesi è che oltre alle cause materiali, al-le difficoltà economiche, alla preca-rietà che caratterizza la vita dei giova-ni «una delle ragioni per cui si tendead assumersi ben poche responsabi-lità sia la carenza di idea di futuro uni-ta ad un’errata idea di libertà: la li-bertà non è arbitrio, assenza di con-dizionamento. La libertà è costruzio-

ne della propria vita sui condiziona-menti dati». Anche con pochi mezzi econ pochissime garanzie insomma— Silvia Ferreri racconta come molteaziende facciano illegalmente firma-re lettere di licenziamento in biancoalle donne che assumo-no, nel caso restino in-cinte — rischiare per unprogetto è possibile, au-spicabile. La vita premiachi ci crede.

La famiglia Capra nonè molto ricca né moltopovera, e nemmeno cat-tolica. Lei, Antonella, èlaureata in chimica etecnologia farmaceuti-ca. Viene da Mango, unpaese in collina: «In casamia c’era solo una stufa alegna in cucina, quandomi sono trasferita in cittài primi tempi d’invernostavo sul balcone colcappotto: non sopporta-vo i termosifoni». Da ra-gazza «pensavo che nonmi sarei sposata né avreiavuto figli. Poi ho incon-trato Fabrizio». FabrizioCapra, 48 anni, ha eredi-tato dal padre un’aziendaartigiana di lavorazionedel vetro, 17 addetti. Si so-no sposati nell’86, Giuliaè nata l’anno dopo. Ad in-tervalli di due anni sonopoi arrivate Sara, Giovan-na e Monica. Vent’anni la prima, tre-dici l’ultima. «La mia moto enduroBmw è in garage da 15 anni: ci abbia-mo fatto le vacanze in Grecia nell’84,poi quasi più nulla. La userò da vec-chio come Claudio Villa».

Antonella ha lavorato — gestivaun’erboristeria — fino alla nascitadella quarta figlia: «Da allora mammaa tempo pieno, le assicuro che di tem-po vuoto non ne resta». Da qualchemese ha cominciato a dare una manoal marito in vetreria. Le macchine: unpulmino a 7 posti, un’utilitaria per lacittà. Gli sport: «Quelli che le bambi-ne ci hanno permesso: settimanebianche con una nel marsupio e due

per mano, l’estate al mare in campeg-gio. Kajak, windsurf, arrampicate,sci». Le nozze: «Ci siamo sposati di sa-bato. Il lunedì io ero a lavorare a An-tonella all’università. In chiesa per-ché non volevamo dare dispiaceri né

spiegazioni ai parenti, per noi tantoera lo stesso». Le figlie sono tutte bat-tezzate, «non volevamo imporre lorouna diversità», hanno fatto la comu-nione «poi dopo hanno scelto da so-le: Sara non ha fatto la cresima, Giulia

è capo scout insieme alsuo moroso».

Gli studi. La maggiore,vent’anni, è all’univer-sità a Torino, geologia,vive in affitto con altristudenti. Sara fa il primoliceo classico, suona ilpiano, disegna fumetti, èstata scout per tre anni,vuole aprire un bar in Au-stralia. Giovanna suonail clarinetto, fa il primo li-ceo artistico: pallavolo,scout, danza moderna.«È vegetariana, è la misti-ca di famiglia. Sarà forseperché ha sofferto diasma da piccola». Moni-ca, seconda media: flau-

to, break dance.Giornata tipo. La ma-

dre si sveglia alle sei menoun quarto: lava i piattidella sera, stende i pannidella lavatrice, stira. Allesette colazione. Fabrizio:«Io spremo le arance, An-tonella cuoce le crepes,Monica ci mette la Nutel-la». Sette e venticinquetutti fuori. «Verso l’una civediamo mezz’ora a casa

per il pranzo». Il calendario dei rien-tri pomeridiani è un algoritmo: musi-ca parrocchia palestra danza molti-plicati e ridivisi per quattro. A casa al-le sette, sei docce, cena, un’ora di tv.Questa settimana, in più, scambi cul-turali fra scuole: Sara parte per la Ger-mania poi arrivano ad Alba le tede-sche, a seguire scambio con le ameri-cane, gita a Pompei di Giovanna, esi-bizione musicale in sala Nervi, dal Pa-pa, di Monica.

Della famiglia le ragazze hannouna buona opinione. Nessuna èscappata, nessuna si ripromette di vi-vere quando potrà in solitudine e si-lenzio. Giulia dice che è contenta di

stare a Torino durante la settimanama «torno a casa molto volentieri nelweek end». Giovanna che essere intanti è un po’ strano ma «utile per spa-recchiare». Anche lei andrà all’uni-versità, architettura, «però pensarciadesso un po’ mi dispiace». Monicada grande vuole aprire un bar ma «quivicino, non mi piacciono le grandicittà». Si somigliano molto, capelli li-sci volti ovali grandi occhi. Somiglia-no molto alla madre che potrebbe es-sere — a vederle tutte insieme — la so-rella maggiore. «Io mi auguro per lo-ro che ad un certo punto si rendanoindipendenti: non intendo mandarlevia di casa, certamente no, se vorran-no restare potranno farlo fin quandovogliono madovrà esserein modo auto-nomo». Orapoi non c’è piùnemmeno ilproblema deibagni, che fin-ché stavano incasa vecchiaera uno solo:nella nuovacostruita unpo’ fuori cittàce ne sono tre,fine dei turni.

F a b r i z i o :«Certo che ar-riverà il mo-mento in cuirecuperere-mo la nostra vita di coppia ma non ab-biamo mai vissuto nell’ansia di arri-vare lì: sono stati anni intensi, a voltefaticosi e difficili ma sempre belli. Losono ancora». La sera, prima e dopoquell’ora di tv — «a volte anche du-rante» — si parla delle cose della fa-miglia e della vita. «Dei Dico abbiamodiscusso, certo. Ne ho parlato moltoanche col capo scout di Giulia, mi in-teressava l’opinione di un cattolico.Dice che non bisogna esagerare mache non vede il rischio che la nuovalegge danneggi la famiglia. Sono si-tuazioni che già esistono, bisognaprenderne atto, no? Regolarle, rispet-tarle. Ciascuno d’altra parte fa in li-bertà le sue scelte e non c’è chi possadire quali siano le migliori».

La famiglia ideale, dice Fabrizio,non esiste. La moglie e le ragazze at-torno a lui annuiscono, la piccola ri-de. «La famiglia non si può idealizza-re e non ce n’è una migliore delle al-tre. A noi è andata così, abbiamo scel-to così ed è venuto questo. Ci sonostati momenti di stanchezza e a voltequalche paura. Abbiamo avuto — finqui — fortuna. Ma come si fa a dire:ecco, seguite il nostro esempio?». An-tonella: «Tutt’al più si può dire: co-raggio. A chiunque si trovi in qualun-que situazione, per necessità o perscelta. Va bene tutto, l’importante èguardare avanti e non mollare». Co-raggio.

( 7 - fine)

Lui, lei e quattro figlieche impresa la famiglia

formato extralargeSTORIA NORMALE

Ma perché vioccupate di noi?La nostra è unastoria normaleO forse no: siamogli unici nel nostrogruppo di amicia essere cosìtanti a casa

7%

ACCETTARE I DICO

Dei Dico abbiamodiscusso, certoPerfino il capo

scout di una delleragazze, dice di

non vedere rischiSono situazioni che

esistono, bisognaprenderne atto

dal nostro inviato CONCITA DE GREGORIO

(disegno di Gipi)

CON PIÙ DI TRE FIGLIIn Italia le coppie con piùdi tre figli sono poco piùdi un milione, appenail 7 per cento del totale

MODELLI IDEALI

La famiglia non si puòidealizzare, non ce n’è

una migliore dellealtre. Non si può direa nessuno: seguiteil nostro esempio

In Italia le coppie con almeno trebambini sono solo sette su cento

Succede se si è molto poveriO molto ricchi. O molto cattolici

Con questa settimapuntata si concludeil nostro viaggio nellefamiglie italiane. Leprecedenti sono uscite inqueste date: 20 febbraio(un solo genitore), 23febbraio (famigliaricomposta), 27 febbraio(figli adulti a casa),6 marzo (single), 8 marzo(famiglie sandwich) e 13marzo (coppie senza figli)

la altre puntate

Repubblica Nazionale