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Patrizio Pensabene Villa di Piazza Armerina: intervento della Sapienza-Università di Roma Premessa È noto come gli scavi di Gino Vinicio Gentili degli anni ‘50, pur nell’importanza dei risultati, avevano lasciato alcune zone d’ombra, quali l’impianto precedente alla Villa tardoromana, gli interventi di restauro e ricostruzione, come anche le vicende del periodo altomedievale e bizantino prima, e poi islamico; inoltre era limitata ai soli reperti ceramici la conoscenza della fase arabo-normanna, per la parziale distruzione dei relativi muri. Gli scavi di E. De Miro e di L. Guzzardi negli anni ’80 avevano però aggiunto altri tasselli di informazione, pur in presenza di pubblicazioni incomplete. Sono questi gli aspetti da noi approfonditi durante gli interventi di scavo e gli studi effettuati negli anni 2004-2010, e sui risultati finora ottenuti offriamo in questa sede una breve sintesi (figg. 1-2): ci occuperemo in particolare della decorazione pittorica con soggetti militari già resa nota nell’ultimo contributo di Gentili del 1999 della Villa e riesaminata alla luce della più recente storia degli studi, dei principali problemi ancora aperti (fasi di vita più antiche, interpretazione della decorazione, questione del proprietario, inserimento nel territorio); proseguiremo con un breve resoconto della scoperta del quartiere dei servizi tardoantico e della parte dell’abitato medievale immediatamente a sud della villa, per concludere con l’inquadramento storico al periodo medievale. La Villa: funzione degli ambienti La Villa del Casale si articola in tre grandi terrazzamenti alle pendici del Monte Mangone (fig. 3). Su una più alta spianata ad est, delimitata da un

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Patrizio Pensabene

Villa di Piazza Armerina: intervento della Sapienza-Università di Roma

Premessa

È noto come gli scavi di Gino Vinicio Gentili degli anni ‘50, pur nell’importanza dei risultati, avevano lasciato alcune zone d’ombra, quali l’impianto precedente alla Villa tardoromana, gli interventi di restauro e ricostruzione, come anche le vicende del periodo altomedievale e bizantino prima, e poi islamico; inoltre era limitata ai soli reperti ceramici la conoscenza della fase arabo-normanna, per la parziale distruzione dei relativi muri. Gli scavi di E. De Miro e di L. Guzzardi negli anni ’80 avevano però aggiunto altri tasselli di informazione, pur in presenza di pubblicazioni incomplete.

Sono questi gli aspetti da noi approfonditi durante gli interventi di scavo e gli studi effettuati negli anni 2004-2010, e sui risultati finora ottenuti offriamo in questa sede una breve sintesi (figg. 1-2): ci occuperemo in particolare della decorazione pittorica con soggetti militari già resa nota nell’ultimo contributo di Gentili del 1999 della Villa e riesaminata alla luce della più recente storia degli studi, dei principali problemi ancora aperti (fasi di vita più antiche, interpretazione della decorazione, questione del proprietario, inserimento nel territorio); proseguiremo con un breve resoconto della scoperta del quartiere dei servizi tardoantico e della parte dell’abitato medievale immediatamente a sud della villa, per concludere con l’inquadramento storico al periodo medievale.

La Villa: funzione degli ambienti

La Villa del Casale si articola in tre grandi terrazzamenti alle pendici del Monte Mangone (fig. 3). Su una più alta spianata ad est, delimitata da un

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acquedotto, si stendono la basilica, gli appartamenti c.d. del dominus e della domina e il corridoio della Grande Caccia; da qui si scende mediante tre scalinate e un diaframma colonnato verso il peristilio ad ovest, che forma la seconda terrazza, e mediante una scaletta a sud verso il complesso formato da Triclinio (o sala triabsidata) e Xystus. Su un terzo e ultimo terrazzamento, creato dal muro W dell’area del peristilio, si fondano le terme e le strutture d’ingresso a SE. Tali differenze di livello vanno sottolineate perché sulle pendenze da esse create si basa il sistema di canalizzazioni che attraversa il suolo della villa, subito sotto i pavimenti: essi distribuiscono attraverso centinaia di metri di tubi di piombo l’acqua proveniente dalle cisterne al termine degli acquedotti e soprattutto convogliano le acque di scarico delle fontane nei canali delle due grandi latrine all’entrata e presso le terme, per poi scendere a valle fino a scaricare l’acqua nel fiume Gela.

Ma i nuclei principali della villa, sui cui si organizzavano gli itinerari percorsi dai visitatori, vanno distinti in base all’asse attorno a cui si articolano i vari ambienti che li compongono. Il primo è rappresentato dall’aula basilicale che poteva contenere almeno 300 persone, dall’ambulacro della Grande Caccia, da considerare una grande sala d’attesa, e dal peristilio (anche se non perfettamente allineati), con tutti gli ambienti annessi: esso costituisce l’area ufficiale dedicata al ricevimento, all’amministrazione, al culto e alla residenza dei proprietari, che nei singoli appartamenti (c.d. del dominus e della domina) disponevano ugualmente di sale di rappresentanza e di ricevimento. Un secondo nucleo è formato dal Triclinio e dallo Xystus con relativi vani e ninfeo ed era adibito ai pranzi ufficiali – gli stibadia del triclinio potevano ospitare almeno 60 convitati – e a spettacoli d’acqua tenuti nello Xystus: anche questo nucleo disponeva sui fianchi di appartamenti minori e di stanze di servizio. Altri nuclei che seguono ancora un diverso orientamento sono da individuare nelle Terme, che erano riservate ai padroni e agli ospiti di riguardo, e nella porta monumentale di ingresso con l’annesso cortile poligonale dotato di banconi per i clientes in attesa di essere ammessi nella villa: esso è preceduto a sud da un grande cortile circondato da alti muri sui fianchi e chiuso sul lato opposto alla porta monumentale da un quartiere di servizi (di cui stiamo rimettendo alla luce uno stabilimento termale – v. oltre), che si disponeva ai lati di un monumentale propileo colonnato, dove entrava la strada che portava alla villa proveniente da sud.

Al di là delle funzioni generali della villa, si può affermare che gli ambienti si distinguono in base al tipo di decorazione pavimentale: mosaico geometrico (e cocciopesto) per gli ambienti di servizio, mosaico figurato per gli ambienti di soggiorno dei proprietari, a sua volta divisibile in mosaici

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con soggetti mitologici, riservati soprattutto agli appartamenti di abitazione e alla grande sala triconca, e mosaici con scene di cacce e pesca condotte o da adulti o da eroti alati e non, dove il soggetto della grande caccia ha il posto d’onore nel percorso per raggiungere la basilica, pavimentata con opus sectile marmoreo, dove compariva il dominus.

La storia degli studi degli ultimi anni sull’ «abitare in villa» nel periodo tardo-antico, sempre di più ne sottolinea l’aspetto non solo residenziale, ma di luogo per eccellenza di rappresentanza, data la sua funzione di centro di potere politico e amministrativo del territorio in cui sorge1, influenzando le nuove caratteristiche architettoniche assunte non solo dalle residenze urbane, ma anche da quelle rurali, in relazione, dunque, con uno stile di vita diverso delle élites tardo-romane: ora si preferisce condurre gli affari nelle proprie residenze private, sviluppandone gli spazi destinati al ricevimento (sale d’udienza e sale triclinari) che assumono maggiormente un aspetto ufficiale, dunque pubblico, all’interno della sede domestica. Così è possibile che la villa del Casale fosse sede anche di officium2, cioè di attività amministrative in rapporto al territorio, ai vici e altre comunità dipendenti da essa, come si potrebbe ipotizzare da quanto sappiamo a Roma per le grandi domus tardo imperiali, sulle cui funzioni pubbliche e la forma di “piccole città” con piazze, templi, fontane, terme, ippodromo, c’informa Olimpiodoro di Tebe3.

Sono questi aspetti, dunque, – amministrazione del latifondo, funzioni pubbliche – che spiegano anche i grandi apparati per il ricevimento presenti lungo il «sistema del percorso glorificante»4 della villa, i numerosi ambienti destinati a funzioni amministrative e anche il numero di «appartamenti» individuali, oltre quelli principali ai lati della Basilica, tutti dotati di tappeti musivi e molti di pitture parietali: essi erano destinati anche ad essere visti dai clientes e dipendenti che si radunavano alla villa in occasioni speciali e ad essi si rivolgevano i programmi figurativi rappresentati, che, dunque, non possono essere disgiunti dall’importanza sempre maggiore assunta in epoca tardo antica dai cerimoniali residenziali per il ricevimento (cfr. Amm. Marc., 28, 4, 8-12). Pur non potendo parlare di una diretta dipendenza tipologica della villa tardoantica dai palazzi imperiali, è evidente l’emulazione che i possessores privati «agiscono» nei confronti della vita di

1 Da ultima C. SFAMENI, Ville residenziali nell’Italia tardo antica, Bari 2006.2 Cf. D. SCAGLIARINI, Ville e domus. Otium, negotium, officium in campagna e in città, «Otium.

L’arte di vivere nelle domus romane», Catalogo della Mostra, Ravenna-Milano, 2008, pp. 33-38.3 SFAMENI, Ville, cit., p. 277.4 D. SCAGLIARINI, La villa di Desenzano. Vicende architettoniche e decorative, «Studi sulla

Villa Romana di Desenzano», 1, Milano 1994, pp. 25-58, sp. p. 55.

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corte e dell’architettura imperiale5, soprattutto a partire dal periodo in cui il sistema tetrarchico aveva moltiplicato le residenze imperiali. In tal senso richiameremo per i pannelli dipinti della porta monumentale d’ingresso della Villa del Casale (v. oltre) la grande megalografia della Domus Faustae di Roma in cui compaiono Costantino e i membri della famiglia imperiale. Anche la villa, dunque, può essere un luogo adatto all’esercizio dell’imperium, in ciò segnando la differenza tra villa residenziale e villa invece solo produttiva.

Le funzioni di rappresentanza e di ricevimento delle residenze tardo antiche, sullo sfondo di architetture sempre più prestigiose per forme e arredi marmorei è ancora più confermato dai nuovi ritrovamenti di ville con importanti fasi tra IV e V secolo anche in Italia Meridionale, che si aggiungono a quelle già note in Italia settentrionale, in Africa, in Hispania e in Gallia, nelle quali emerge in modo impressionante l’importanza data all’aula basilicale, data la grandezza e lo sviluppo in altezza che riceve rispetto alle altre componenti della villa: basti citare i casi di Oppido Lucano e di Ruoti (contrada S. Giovanni) in Lucania, di Faragola in Puglia.

Marmi e decorazione musiva

Si è detto come si vada delineando l’importanza di emulare gli edifici pubblici urbani quale palcoscenico per la competizione delle élites, trasferita nelle loro residenze private: questa competizione si trasporta anche sul piano degli elevati architettonici e degli arredi come l’uso delle colonne e lo sviluppo dei rivestimenti marmorei e musivi in relazione con le sale principali e la corte scoperta al centro del peristilio che ubbidisce proprio a esigenze di prestigio. Si spiega in questo modo il fatto che nella villa abbiamo potuto calcolare la presenza originaria di ben 83 fusti di colonne, di cui 24 in granito grigio misio e 26 in breccia di Sciro, 12 in bigio venato di Ippona, 5 di un alabastro di cattiva qualità, infine tre in proconnesio venato, due in troadense e due in sienite – queste ultime quattro le più grandi, collocate all’entrata rispettivamente della Sala Triconca e della Basilica. Solo nel peristilio sono utilizzati 32 fusti, in prevalenza in granito grigio con basi attiche e capitelli corinzi di marmo d’importazione orientale, eccetto le colonne angolari in bigio venato d’Ippona; queste ultime si alzano su

5 Cf. J.S. ACKERMANN, La villa. Forma e ideologia, Torino 1992.

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piedistalli in muratura rivestiti di lastre di marmo, tranne due che poggiano direttamente sul pavimento6. Il diaframma tra il braccio orientale del portico e l’ambulacro della Grande Caccia presenta 10 colonne in breccia di Sciro, di nuovo con prestigiosi capitelli corinzi marmorei d’importazione orientale. La differenza della pietra utilizzata (anche in altri punti del complesso), i piccoli accorgimenti per ovviare alla differenza di modulo tra i vari elementi e la sicura datazione, non oltre il III secolo, dei capitelli corinzi marmorei ritrovati, permettono di affermare che il materiale utilizzato nella costruzione della villa è di reimpiego e non ordinato appositamente nelle cave e in ateliers orientali; ma il fatto che il proprietario della villa possa aver potuto disporre di un così grande quantitativo di colonne (anche per la corte d’ingresso, per l’ingresso della basilica, per il propileo della sala triabsidata) è un importantissimo indizio del suo alto rango sociale e della sua vicinanza all’amministrazione centrale. Oltre al granito misio, va però notata la forte presenza di fusti in breccia di Sciro e in bigio venato d’Ippona, provenienti da cave apparentemente non di proprietà imperiale, e invece l’assenza di fusti in pavonazzetto, in africano o in cipollino euboico, estratti da cave controllate dal fisco imperiale. Facciamo queste osservazioni per rilevare di nuovo aspetti della committenza, in grado di assicurarsi grandi quantità di marmi di rivestimento di tutti i tipi, sempre costituito da materiali di reimpiego e di magazzini, insieme a fusti di buona qualità, ma non tra i più pregiati. Tenendo conto che i fusti in marmo colorato costituiscono gli elementi architettonici più costosi e che nell’Editto dei Prezzi di Diocleziano manca la menzione del marmo d’Ippona e del Misio, mentre tra i marmi più economici vi compare quello di Sciro e del Proconneso, risulterebbe che la spesa maggiore è stata operata per i due fusti in sienite, alti poco più di m 6, e per i due in troadense alti poco meno di m 5, entrambi all’entrata delle sale di ricevimento più importanti – l’Aula basilicale e la Sala Triconca7 – ed

6 I fusti superstiti furono trovati insieme a 12 capitelli marmorei alti cm. 42 e dal diametro inferiore di cm. 40 (del tipo microasiatico ad acanto spinoso): sono di granito misio grigio, eccetto gli angolari in breccia di Sciro e quelli contigui ad essi in «marmo grigio», e alti ca. m. 3,60 (diam.inf. cm. 50, diam. sup. cm. 45); va però rilevato che le colonne in marmo grigio, contigue a quelle angolari, sono erette su piedistalli in muratura rivestiti di lastre di marmo, eccetto le due a ovest dei colonnati nord e sud con basi poggianti direttamente sul pavimento. La presenza di questi piedistalli, la differenza della qualità delle pietre che si è cercato di utilizzare per distinguere gli angoli dai lati, insieme ai capitelli, ben databili al III secolo, hanno permesso di ritenere che tutto questo materiale era di reimpiego e non scolpito appositamente per la villa.

7 Sul calcolo dei costi delle colonne: P. PENSABENE, E. GASPARINI, Il contributo degli elementi architettonici per la definizione volumetrica degli ambienti della villa, in L’insediamento medievale sulla villa del Casale di Piazza Armerina, Galatina 2008, pp. 79-93; sui tipi di marmo impiegati

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entrambi da cave possibilmente controllate dallo stato, anche se in regime di appalti.

Le lastre di rivestimento non appaiono mai di primo impiego, cioè ricavate da blocchi di cava, bensì risultano lavorate da spoglie architettoniche costituite da lastrame precedentemente impiegato in altri edifici o da elementi architettonici appositamente segati, fino a pezzi utilizzati in funzione del tutto diversa da quella del primo impiego, perché collocati in posizioni secondarie o comunque poco visibili: basti citare le spoglie utilizzate per una vaschetta nella latrina ottagona (42), dove le pareti sono costituite da un capitello corinzieggiante di anta (fig. 4) e da due lastre di porfido e il fondo da un sottile capitello corinzieggiante di lesena8, o la soglia di una delle aperture dell’ambulacro (31) verso il peristilio (8) ottenuta da una spessa lesena rudentata reimpiegata orizzontalmente. Lo stesso per l’arredo statuario, la cui disomogeneità cronologica e stilistica è da inquadrare anche nell’ambito del fenomeno del collezionismo spesso testimoniato proprio dalle dimore di età tarda, come le domus di Ostia, dove vennero raccolte sculture più antiche, anche di divinità, esposte più per il loro valore decorativo e allegorico, che non religioso.

Già il Gentili aveva notato come la maggior parte delle crustae marmoree della villa derivavano dal reimpiego di elementi marmorei e citava come esempio le tre scale (quelle esterne larghe m. 3,60, la centrale m. 4,60) che mettono in comunicazione il braccio est del portico del peristilio con l’Ambulacro della Grande Caccia e che presentano i rispettivi sei gradini di arenaria (alt. cm. 29, pedata cm. 35) rivestiti di lastre marmoree riutilizzate, tra cui alcune contenenti iscrizioni frammentarie9.

Ma anche se di reimpiego, proprio i costi elevati del marmo ci aiutano a capire l’importanza di quegli ambienti, dove sulle pareti, invece della più consueta pittura, s’incontrano rivestimenti marmorei, come nella seconda fase della sala di ricevimento (Sala con Mosaico d’Arione) e di un cubicolo («Cubicolo ad Alcova») dell’Appartamento c.d. del dominus, sempre

nelle lastre di rivestimento: P. PENSABENE, Marmi bianchi e colorati nella Villa del Casale, «Marmi colorati e marmi ritrovati», Piazza Armerina 2008, pp. 31-33.

8 G.V. GENTILI, La villa romana di Piazza Armerina – palazzo Erculio, Osimo 1999, I, p. 196.9 GENTILI, La villa, cit., I, p. 67. Sono appunto solo in pezzi lasciati o rimontati in situ quelli di

cui si conosce la collocazione, mentre delle altre lastre marmoree di rivestimento non è deducibile la collocazione originaria, se non nel caso in cui la descrizione o la foto pubblicata ne permette il riconoscimento (v. ad esempio negli strati di abbandono del Vestibolo alla stanza delle Palestrite (25) il ritrovamento di «un pezzo angolare di base di lesena tuscanica, largo cm. 29, un capitello pure di lesena, alto cm. 30, e con abaco largo una quarantina di centimetri, con le foglie di acanto appiattite e rigide» (GENTILI, La villa, cit., I, p. 121).

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nella seconda fase di alcune delle vasche del frigidario delle Terme dove il mosaico parietale è ricoperto da lastre marmoree, e naturalmente nelle pareti, oltre che nel pavimento, dell’Aula Basilicale. È proprio quella che possiamo definire parsimonia nell’uso dei marmi per i rivestimenti parietali e pavimentali che ci chiarisce il minor valore dei rivestimenti musivi, in quanto i materiali con cui erano eseguiti incideva evidentemente molto poco rispetto al costo generale della stesura dei mosaici: la loro spesa totale era comunque inferiore a quella degli opera sectilia dove invece il materiale aveva un costo molto maggiore rispetto alla manodopera e già da solo doveva superare la spesa per i mosaici.

L’arredo della villa si discosta dunque da quello dei contemporanei palazzi imperiali proprio per la presenza abbastanza limitata di marmi di rivestimento, per l’uso di fusti in pietre colorate per lo più provenienti da cave non imperiali, e, in conseguenza di ciò, per una preponderante presenza di rivestimenti musivi per i pavimenti e pittorici per le pareti, dove, come vedremo, predomina negli esterni la decorazione dipinta a finto marmo. Anche da questo dato ricaviamo l’immagine di una committenza della villa non imperiale, ma altolocata, e di personaggi vicini all’amministrazione centrale che potevano disporre, come materiale di reimpiego, di marmi di rivestimento di tutte le qualità, ma di fusti di cave per lo più non imperiali.

Nei paragrafi che seguono mettiamo in evidenza la distribuzione dei mosaici, cercando di tener conto dei soggetti come mezzo per capire meglio la funzione degli ambienti.

Dalla porta monumentale d’ingresso a tre fornici, con capitelli ionici su colonne non conservate, si entrava nel cortile poligonale dotato di fontana centrale, circondato da un portico a 11 fusti in bigio d’Ippona e capitelli ionici di marmo bianco e base attica, e lastricato in calcare; da esso si accede, a nord, ad una grande latrina e all’impianto termale (attraverso il Sacello di Venere con pavimento musivo policromo e a disegno geometrico, intonaci parietali ad imitazione di marmi, come nel vano a lato), e a est al vestibolo del peristilio, decorato dal mosaico con scena di adventus.

Il vestibolo, passando davanti ad un’edicoletta absidata (Larario o Canopo), immette nel grande portico che circonda il giardino (viridarium) munito di vasca in muratura. Il pavimento dei quattro bracci del portico è decorato da mosaici a riquadri con protomi animali, rifiniti agli angoli con uccelli e foglie d’edera. Sulle pareti intonacate sono dipinti larghi rettangoli che inquadrano figure di soldati con ampio scudo rotondo e due lance, coronati di edera.

Sul lato settentrionale del peristilio si aprono due file di ambienti con mosaici a ottagoni e croci, e a esagoni e quadrati, più il lavatoio con fontana e

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bancone laterale pavimentato a cocciopesto che costituisce l’unico ambiente certamente di servizio. La sala detta della Piccola Caccia, da considerare una sala più piccola di ricevimento, prende il nome dal pavimento musivo con episodi di caccia generici, tipici delle ville tardo antiche: la partenza con i servi e i cani, il sacrificio a Diana, il pranzo ottenuto dalle prede; quindi immagini di caccia con il falcone, caccia alla volpe, alla lepre, al cervo e al cinghiale.

In mezzo a questi ambienti del braccio nord del peristilio, altri presentano diversi tipi di mosaici con soggetti che hanno fatto pensare di nuovo a nuclei di appartamenti privati: geometrico policromo a intreccio di quadrati; figurato con giovani coppie allacciate, nell’atto di mimare un rapimento o di danzare; ancora geometrico policromo basato su stelle a sei punte, con al centro tondi figurati (personificazioni delle stagioni con relativi attributi animali e vegetali). Quest’ultimo mosaico decora il vestibolo della stanza con amorini a pesca su barche, e facciate di ville costiere sullo sfondo. L’ultimo ambiente ad est di questo lato del portico è decorato da un mosaico a nastri con trecce colorate che formano ottagoni; al centro degli ottagoni tondi con bordi seghettati che incorniciano rosoni di vario tipo. Si tratta del vestibolo di un altro ambiente, anche con decorazione musiva geometrica: quadrati e losanghe con rosoni e girandole che riempiono i campi centrali. In tutti gli ambienti le pareti sono intonacate e dipinte ad imitazione del marmo, talvolta con qualche elemento vegetale.

Sul braccio porticato orientale del peristilio troviamo tre rampe di scale, di cui quella centrale innestata nel mosaico pavimentale (pannello con decorazione astratta affiancato da fasce con kantharos da cui fuoriescono edera o foglie affusolate, uno con l’iscrizione Bonifatius II, III, IV che acclama probabilmente un auriga), quelle laterali semplicemente sovrapposte ad esso, danno accesso all’ambulacro della Grande Caccia.

L’ambulacro prende il nome dall’apparato musivo, il più ricco dell’intera villa. Si tratta di un lungo corridoio absidato alle due estremità (l’abside nord è rinforzato da contrafforti), su cui si aprono gli accessi alla grande aula basilicale e agli appartamenti ai lati di questa. Le pareti dell’ambulacro sono rivestite di opus sectile. Il mosaico rappresenta una grande carta geografica del mondo romano, con al centro Roma, dove affluiscono animali dall’Oriente e dall’Occidente: vi deve essere un’allusione al proprietario della villa nella sua qualità di munifico organizzatore di venationes a Roma, in quanto probabilmente vi aveva ricoperto la carica di praefectus Urbi, e questo spiega la molta attenzione dedicata a rappresentare proprio l’organizzazione burocratica e militare necessaria all’impresa. Si è di fronte ad una successione di scene: l’abside nord mostra una personificazione

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della Mauretania, con un orso e un leopardo; la scena successiva riguarda la cattura di una belva in un paesaggio silvestre e roccioso (Atlante) e, in un ambiente più urbanizzato, la caccia alle antilopi (in Numidia), al leone e al cinghiale (nella Proconsolare); nella seconda scena si ha il trasporto degli animali fino al porto di Cartagine, con le operazioni di trasporto e imbarco effettuate da dipendenti servili sotto la supervisione di militari; la terza scena mostra l’arrivo in qualche porto del Lazio o della Campania di una nave, che viene accolta da alti funzionari; la quarta scena è ambientata presso Alessandria, nella zona del delta del Nilo, dove soldati provvedono a far imbarcare una tigre, un dromedario e un bufalo; nella quinta scena si assiste alla cattura di un rinoceronte in ambiente acquitrinoso; la sesta scena, ambientata ancora in Egitto, è occupata dalla figura del responsabile (il dux della provincia o un conductor della caccia) dell’invio di animali selvatici a Roma, e dalle immagini di leoni che divorano antilopi, di un leone ferito che assale un soldato, subito soccorso dagli altri, e di un carro che trasporta una gabbia; la settima scena raffigura la cattura di fiere indiane, grazie a stratagemmi, e il loro caricamento sulla nave; la serie si chiude con il mosaico dell’abside meridionale, in cui abbiamo una figura femminile con araba fenice, tigre ed elefanti, che rappresenta l’India o l’Arabia.

L’accesso all’aula basilicale avviene attraverso un’ampia scala, ed è scandito da due grandi colonne in sienite che sostenevano una trabeazione orizzontale in marmo proconnesio e pare coeva alla villa. Sul fondo, due colonne più piccole, di cui restano solo le basi attiche in proconnesio, accentuano la rientranza dell’abside, in fondo alla quale si apre una nicchia semicircolare, che doveva ospitare la statua di Ercole. L’abside ospita una struttura che accoglieva il trono, di fronte al quale sul pavimento c’era un tondo marmoreo, come marmoreo è il resto dell’aula, pavimentato con intarsi (opus sectile) a disegno geometrico, che anche rivestivano le pareti, almeno fino ad una certa altezza. La sala era coperta a capriate e soffitto a lacunari. Problemi di stabilità hanno determinato in fasi successive l’aggiunta, ai contrafforti dell’abside, di speroni ortogonali ai muri longitudinali dell’aula, nonché di ulteriori rinforzi ad arco di cerchio.

Uno spesso muro viene aggiunto tra l’aula basilicale e gli ambienti meridionali dell’appartamento del dominus. Questi si articolano attorno ad un atrio semicircolare porticato, con quattro fusti in bigio d’Ippona e in bigio antico, con basi attiche e capitelli ionici, e con pavimento a mosaico con amorini che pescano e nuotano (le pareti erano decorate da pitture con finte finestre e giochi atletici), mentre una fontana si innesta al centro della corte semicircolare lastricata. In asse si apre, con ingresso tra due colonne in proconnesio, la diaeta di Arione, aula absidata (anch’essa

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contraffortata in un secondo momento) le cui pareti si è detto furono rivestite in una seconda fase da intarsi marmorei, e che deve il proprio nome alla decorazione musiva del pavimento: un thiasos marino, con nereidi ingioiellate, ittiocentauri, pistrici, felini con coda di pesce e amorini, e al centro il poeta Arione che suona la lira; nella zona dell’abside una protome di Oceano. A nord si apre un vestibolo con lotta di Eros, sostenuto da due fanciulli e tre donne, e Pan, che ha dalla sua tre menadi e un satiro: l’arbitro Sileno deciderà a chi andranno i due sacchi di denaro e le corone della vittoria. Da questo vestibolo si accede al Cubicolo con Alcova, in cui di nuovo un rivestimento parietale ad opus sectile ricopre l’intonaco dipinto ad imitazione del marmo, con scene figurate di giovani e volatili. I mosaici pavimentali raffigurano, nell’alcova, due fanciulle che riempiono cesti di fiori, due donne che intrecciano ghirlande, un giovane che trasporta cesti di rose; nella stanza rettangolare, scene di caccia con giovani. A sud dell’atrio semicircolare si apre un vestibolo i cui mosaici mostrano corse di 4 fanciulli su bighe trainate da grossi volatili e palmipedi (allusione forse allo scorrere ciclico del tempo e delle stagioni). Nella stanza successiva, su tre registri troviamo episodi di gare musicali, drammatiche e poetiche; davanti all’abside, con due donne sedute su canestri rovesciati, una tavola con i premi dell’agone: corone, palme e una somma di denaro.

Nel settore a nord dell’aula basilicale troviamo l’appartamento della domina, dotato di un vestibolo con pareti intonacate con grandi tondi inseriti in quadri, con un mosaico pavimentale che raffigura Ulisse nell’atto di porgere la coppa di vino ad un insolito Polifemo con 3 occhi; l’ambientazione è nella grotta, con i compagni di Ulisse che attendono e le pecore che pascolano in basso: è chiaro il significato allegorico della ragione che vince le passioni e l’allusione alla cultura classica del proprietario della villa, ma forse anche un riferimento alla funzione di questo appartamento, di alloggiare cioè ospiti di riguardo, a cui allude scherzosamente il tema omerico del mosaico. Da questo vestibolo si ha accesso ad una stanza con alcova a nord. Sulle pareti dell’alcova figure dipinte di Menadi danzanti sono inquadrate da pannelli romboidali, mentre il pavimento è decorato da mosaico geometrico con cerchi intersecanti e al centro motivi floreali. Una fascia con giochi tra coppie di ragazzi lo separa dal mosaico geometrico della stanza: un dodecagono centrale in cui si inseriscono varie scene figurate: scena erotica, busti femminili delle stagioni, maschere teatrali. Ad est del vestibolo di Ulisse si apre una stanza absidata, con parete decorata dalla pittura di finte edicole entro cui si stagliano figure di giovinette nude stanti. Il mosaico dell’abside è a squame racchiudenti un fiore in boccio su stelo; sulla fascia di passaggio, mal conservata, ci sono tracce di due

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eroti; nella stanza, nove stelle dodecagonali contengono tondi circondati da ghirlanda d’alloro con rappresentazione all’interno di un piatto di frutta secondo la stagione.

Nell’angolo sudorientale del peristilio, preceduta da un vestibolo con decorazione musiva di quadrati riempiti da motivi a girandola, si trova una stanza con intonaci a imitazione dell’opus sectile e con mosaico di donne in costume che svolgono esercizi ginnici e ricevono i relativi premi, in chiara allusione alle attività sportive delle donne dei ceti superiori; tale mosaico ne copre uno più antico con disegni geometrici. Immediatamente a ovest si apre un grande ambiente absidato decorato da pareti intarsiate e adornato da un mosaico con il mito di Orfeo: togato e seduto su un masso, a lui rivolgono l’attenzione una moltitudine di specie animali.

Veniamo ora alle vie di comunicazione tra il grande peristilio e il complesso sala Triabsidata-Xystus. A sudest del peristilio si estende un piccolo cortile dalla pianta irregolare, risultante dal fatto di essere incastrato tra gli ambienti meridionali del peristilio e il complesso dello Xystus: accessibile da una porta ottenuta nel tratto terminale della parete del grande ambulacro, è dotato a nord di un’esedra con pavimento a mosaico e ad ovest di una piccola edicola; la quota del pavimento, rivestito questo in parte a mosaico, in parte di marmo, risulta dall’abbassamento del terrapieno a ridosso dell’abside nord dell’aula tricora (le cui fondazioni rimangono pertanto a vista). Presso l’angolo sudovest del peristilio troviamo un altro accesso a corridoio, che porta allo Xystus: esso venne ricavato in una seconda fase ed è decorato con mosaico pavimentale a girali d’acanto.

Lo Xystus, che si estende dinnanzi alla grande Sala Triabsidata, è costituito da una corte scoperta a pianta ovoidale che si sviluppa in senso ovest-est: è circondato da un ambulacro a pilastri, decorato da mosaici a girali d’acanto, con animali inseriti. Il cortile ha la parte scoperta decorata da cinque piccole fontane quadrangolari a zampillo centrale circondate da un mosaico a scacchiera di linee di quadratini disposti a spina di pesce; sulla sua parete di fondo, a ovest, s’innalza una fontana ad esedra con 3 nicchie. La parete esterna dell’esedra si presenta contraffortata per contenere il terrapieno su cui giace l’intera struttura.

Su entrambi i fianchi dello Xystus si dispongono ambienti con mosaici raffiguranti giovani e amorini che vendemmiano e pescano, da identificare con vani di servizio e piccoli appartamenti.

Dal cortile, una scala, innestata nel mosaico e quindi posteriore, e un ingresso scandito da due colonne di granito della Troade, immettono nella Sala Triabsidata, il cui mosaico pavimentale raffigura una moltitudine di soggetti che rimandano alla cultura classica del proprietario espressa dal

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ciclo mitologico delle fatiche di Ercole e dal significato allegorico di nuovo della ragione e della pietas verso gli dei che vince il caos e le passioni umane, che portano disordine e distruzione. L’eroe è rappresentato nel pavimento dell’abside settentrionale, mentre Giove lo cinge di una corona d’alloro; alla sua destra c’è Dioniso. Nell’abside orientale cinque giganti anguipedi cadono contorcendosi, colpiti dai dardi dell’eroe. In quella meridionale il tema è estratto dal ciclo dionisiaco: Licurgo cerca di uccidere la menade Ambrosia, ma da questa che si trasforma in pianta di vite viene avvolto dai tralci e soffocato, ancora una volta alludendo alla vittoria sulle passioni umane.

Dall’angolo nordoccidentale del grande peristilio si accede attraverso due porte, rispettivamente, ad una piccola latrina decorata a mosaico con le immagini di 5 animali da caccia (pernice, lepre, gattopardo, ottarda e asino), preceduta da un cortile con intonaci dai motivi naturalistici a giardino, e all’ambiente riconoscibile come apodyterium o spogliatoio delle terme, funzione suggerita dal mosaico pavimentale, che rappresenta una signora, la padrona di casa, che, in atteggiamento ieratico, accompagna al bagno due giovani schiavi dalle bionde chiome riccamente paludati, con un seguito di due ancelle recanti un cesto e un bauletto con biancheria e oggetti da toletta. Dall’apodyterium si ha accesso ad un grande ambiente allungato con absidi dotate di finestre e spazio interno suddiviso in tre campate pressoché quadrate che insistevano su quattro colonne di proconnesio e capitelli corinzi addossate alle pareti: si tratta della palestra, con pareti intonacate e dipinte ad imitazione del marmo e con mosaico pavimentale in cui si ha una grandiosa rappresentazione del Circo Massimo di Roma, visto dalla prospettiva della tribuna d’onore sul Palatino. Siamo nuovamente di fronte ad un’allusione al proprietario della villa, che aveva esercitato a Roma funzioni governative e tenuto l’incarico di organizzare i giochi nel circo, ma è presente anche il duplice messaggio dell’elevazione spirituale a cui alludono le quattro fazioni del circo che rappresentano simbolicamente la terra, l’acqua, il fuoco e l’aria, e i carceres e altre parti del circo in cui si è colto il richiamo alle sette sfere celesti, cioè le tappe per l’elevazione spirituale. Sono visibili, dunque, i carceres, da cui si apprestano ad uscire gli aurighi delle 4 fazioni, e sul lato opposto l’arco di Vespasiano e Tito, fiancheggiato da tribune provvisorie. La rappresentazione scende nei dettagli, ritraendo molti addetti agli spettacoli (tentores, sparsores, responsabili della distribuzione del pane) e senza tralasciare nulla nell’ambientazione: la spina del circo è realizzata con tutti le sue strutture (metae, phalae, ovaria, ecc.). Sono raffigurati, oltre il circo, anche vari edifici sacri urbani, tra cui un tempio di Cibele che era eretto subito dietro i carceres.

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Dalla palestra si entrava nel frigidarium, ambiente a pianta ottagonale su cui si aprono sei nicchioni e due piscine (una a nord, di forma allungata, riceveva l’acqua dall’acquedotto nord della villa). Le pareti sono rivestite in bianchi e venati marmi, mentre il pavimento è decorato da un mosaico con tiaso marino (nereidi, tritoni, ippocampi e animali marini disposti circolarmente intorno al giro centrale di 4 imbarcazioni con amorini pescatori), mentre i nicchioni propongono scene di mutatio vestis. Dal frigidarium si passa all’aleipterion, il locale per le unzioni, dove si trova la raffigurazione del proprietario mentre viene sottoposto a massaggio. Il tepidarium si sviluppa in senso nord-sud (come la palestra) ed è dotato di due absidi terminali. Il pavimento, costruito ad ipocausto, è decorato da un mosaico di lampadedromia (corsa a staffetta con le fiaccole). Il calidarium è costituito da due vasche da bagno laterali, con al centro il laconico, un ambiente riscaldato con aria secca. Ognuno dei tre ambienti è dotato di un praefurnium sul lato occidentale.

La decorazione pittorica della villa: nuovi dati

La grande porta a tre fornici di accesso alla Villa, larga m. 27,75, chiudeva il lato N di un vasto piazzale nel quale sboccava una probabile strada proveniente da S; il fornice centrale era alto m. 6,30, quelli laterali m. 4,75, richiamando evidentemente la forma dell’arco trionfale. La ricostruzione è facilitata dal conservarsi del crollo di parte dell’attico, al momento dello scavo rinvenuto direttamente sui piloni centrali10, entro i quali, due per parte, vi erano quattro nicchie, sovrapposte a quattro vasche monumentali. Non sono noti altri esempi di porte monumentali a tre fornici in ville private tardoantiche, anche se Sidonio Apollinare (Epist. II.2) menziona un triplex aditus per arcuata intervalla in ville di V secolo, e altri esempi potrebbero non essere a noi pervenuti11. Inoltre residenze tardo antiche importanti, come il Palazzo di Spalato o la Villa di Galerio a Romuliana (Gamzigrad), hanno grandi porte d’ingresso, però ad un solo fornice e anche con torri

10 GENTILI, La villa, cit., I, p. 31, fig. 2: la porta era stata scavata dal Cultrera che aveva messo in luce i ruderi medievali che occupavano il piazzale.

11 Cf. SFAMENI, Ville, cit., pp. 87-89, in particolare nota 32 sulla presenza di fontane ai lati di ingressi in ville, ma anche nell’Arco di Tiberio a Pompei. Cf. inoltre sul possibile riconoscimento di archi trionfali nelle ville tarde: G. FOUET, La villa gallo-romaine de Mountmaurin, «Gallia», Suppl. 20, 1969; sulla rappresentazione in mosaici R. BIANCHI BANDINELLI, Roma. La fine dell’arte antica, Milano 1970, fig. 206.

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ai lati, che evidentemente s’ispirano alle porte urbiche e meno agli archi trionfali.

I risultati di un nuovo studio delle pitture sul lato esterno dei piloni di questa porta monumentale, recentemente restaurate, hanno consentito di individuare grandi figure in abiti militari ai lati del pannello già noto con insegna militare12 (fig. 5). Tutte le superfici murarie della porta erano intonacate e dipinte, ma si distinguono ancora i resti di pannelli con figure solo sui piloni laterali del lato nord, mentre sul lato sud restano pochi elementi d’intonaco alla base di muri di spalla, dai quali si dedurrebbe la presenza di specchiature a finto marmo13.

Sul pilone orientale, nella facciata nord, si hanno tre riquadri rettangolari alti m 2,30: i due laterali, mal conservati, sono larghi m 1,30, e su di essi, appunto, si trovano le tracce delle figure maschili panneggiate14, limitate ai piedi calzati con calcei a rete, a frammenti degli abiti e a parte di bastoni: tutti gli elementi d’intonaco conservati sono stati rilevati durante il 2009-2010 ed è risultata possibile la ricostruzione, anche se frammentaria, di due figure di grandi dimensioni (fig. 6) e nella stessa posizione stante e frontale e con lo stesso abbigliamento dei personaggi al centro del mosaico della Grande Caccia (fig. 9). Il terzo riquadro, al centro, è molto più stretto e conserva ben visibile la raffigurazione di un’insegna militare tardoantica costituita da quattro phalerae con ritratti alternate a quattro tabelle rettangolari15 (fig. 7): il Gentili riteneva che i ritratti fossero quelli dei tetrarchi, in quanto credeva di riconoscere sulla seconda phalera da sotto, Galerio, «dal volto allungato incorniciato da corta barba»16; secondo Calderone invece si sarebbe trattato dei ritratti di Costantino Augusto e dei suoi tre figli Cesari17. Va subito rilevato che l’insegna con imago imperiale

12 P. PENSABENE, Villa del Casale e il territorio di Piazza Armerina tra tardoantico e medioevo. Le nuove ricerche del 2004-2009, in Villa del Casale e il territorio di Piazza Armerina tra tardoantico e medioevo, Roma 2010, pp. 1-32, sp. p. 7.

13 GENTILI, La villa, cit., I, p. 41.14 Ad esse accenna GENTILI, La Villa, I, p. 33: «due grandi riquadri … entro cui si colgono

scarse tracce di figure panneggiate, stanti su un piano verdognolo e stagliantisi su uno sfondo cilestrino».

15 GENTILI, La Villa, cit., I, p. 35: «quattro targhette rettangolari di color rosso purpura e a dentelli pur bianchi all’ingiro, alternate a quattro phalerae, che entro la cornice rosso porpora ed un cerchio bianco racchiudono un tondo giallo-oro con corona di dengelli a lobi bianchi, di cm 12 di diametro».

16 GENTILI, La Villa, cit., I, p. 35.17 S. CALDERONE, Contesto storico, committenza, cronologia, «La villa romana del Casale a

Piazza Armerina», Atti della IV riunione scientifica della Scuola di Perfezionamento in archeologia classica dell’Università di Catania (Piazza Armerina 28 settembre - 1 ottobre 1983), Roma 1988, pp. 13-57 e nota 3, propone di riconoscere nei ritratti della insegna militare dell’arco Costantino

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potrebbe richiamare una magistratura ricoperta dal proprietario, e non implica necessariamente una committenza imperiale18.

Anche sul pilone ovest si riconoscono due pannelli separati da uno centrale più stretto, con un’asta di insegna; sul pannello di destra si distingue una stola e un piede sinistro calzato con un calceus, simile a quello delle figure del pilone est. Dell’altro pannello a sinistra si conserva solo una parte del fondo. Gli affreschi ora descritti non paiono presentare una fase di pittura precedente, ma sono stesi direttamente, con il loro strato di preparazione, sulla muratura.

Per l’identificazione dei quattro personaggi rappresentati, possiamo subito escludere i Tetrarchi: il bastone a fungo di III-IV secolo era infatti prerogativa di dignitari o alti ufficiali, ma non certo degli imperatori, che nelle pitture dell’Aula di Culto Imperiale di Luxor, ad esempio, portano invece un lungo scettro tenuto discosto dal corpo, del tutto diverso dai bastoni con pomo a fungo dei personaggi al loro seguito che si trova in varie posizioni davanti al corpo19.

L’ipotesi più semplice è che i quattro personaggi raffigurati sui due piloni alludano all’alto rango dei proprietari della villa, come prova il bastone a fungo, e che essi hanno rivestito importanti cariche militari, come indica la presenza delle insegne. Sarebbero in accordo, dunque, con la tendenza da Costantino in poi ad affidare nuovamente ai senatori comandi militari.

Per inciso osserviamo che il richiamo al ciclo pittorico di Luxor, come anche a quello della Domus Faustae a Roma, non solo serve ad inquadrare le nostre pitture nella ben conosciuta categoria delle megalografie, che caratterizza la pittura tardo antica soprattutto di pieno IV secolo20 e non solo di Roma21, ma a comprendere il modello ispiratore della pittura sulla Porta d’ingresso della villa, dove evidentemente si volevano imitare, modalità di rappresentazione imperiale dell’epoca, adattandole però all’esigenza di celebrare i proprietari della villa.

Augusto e i tre Cesari, Costantino II, Costante e Costanzo datando l’affresco tra il 333 (nomina di Costante) e il 335 (cioè poco prima della nomina di Dalmazio come quarto Cesare); inoltre rileva che Ceionius Albinus era stato console nel 335.

18 A. CARANDINI, A. RICCI, M. DE VOS, Filosofiana, la villa di Piazza Armerina, Palermo 1982, p. 62.

19 J.G. DECKERS, Die Wandmalerei im Kaiserkultraum von Luxor, «Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts», 94, 1979, pp. 600-652, sp. pp. 636-639, figg. 24-25; sul lungo bastone dorato tenuto da uno degli imperatori, p. 642, fig. 29.

20 F. BISCONTI, Misteri nelle Catacombe romane, Citta del Vaticano 2000, p. 261.21 Cf. ad esempio A. DI VITA, L’ipogeo di Adamo ed Eva a Gargaresc, «Atti IX Congresso

Internazionale di Archeologia Cristiana», Roma 1975, pp. 199-255.

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Nel muro di recinto ad angolo con la porta abbiamo scoperto anche le tracce di una fila di cavalieri (restano alcune zampe di cavallo e uno dei piedi dei cavalieri), in origine alti almeno un metro e mezzo22: vi era anche una zoccolatura gialla e una serie di incorniciature destinate a racchiudere ognuno una figura, separate da lesene23. Tale muro limitava ad est il grande piazzale che precede la Porta e costituiva anche il muro di terrazzamento destinato a contenere il terrapieno su cui sorgeva l’ala dello Xystus. I fianchi della porta erano in parte ammorsati (nella parte superiore) e in parte appoggiati ai muri di recinto del piazzale24. Dietro il muro di recinto est vi era, ad un livello superiore del terreno il complesso dello Xystus; dietro il muro ovest, i due ampi magazzini a tre navate pilastrate sopramenzionati: tra di essi vi era il cortile che si apriva sul piazzale. Abbiamo detto come sul lato sud di questo piazzale, contrapposto alla porta monumentale, si stiano scoprendo i resti di un propileo collonnato e accanto un edificio termale che dovevano trovarsi a ovest della strada di accesso.

La componente «militare» dell’arredo della villa risulta così una parte importante nel percorso di accesso che dalla porta di ingresso conduce al Grande Ambulacro e alla Basilica attraverso il peristilio, perché tutta la parete del braccio sud e probabilmente di quelli ovest e nord del peristilio (sulla parete del lato nord restano solo tracce di specchiature) era dipinta con una schiera di soldati con grandi scudi circolari disposti paratatticamente (fig. 8), sotto i quali emergono i piedi con il sinistro di prospetto e il destro sempre di profilo: accanto a piedi si scorgono le estremità inferiori di due giavellotti, mentre al di sopra delle teste la punta che ne ha consentito la ricostruzione25. I soldati sono stati dipinti in una seconda fase, sovrapposta ad una più antica, come attestano le specchiature all’estremità est della parete di questo braccio sud del peristilio, che si adattano all’alzata dei gradini della scalinata sud del braccio est del peristilio, a sua volta sovrapposta al mosaico pavimentale di età costantiniana. Lungo il braccio sud necessariamente passavano i visitatori che, entrati nella villa attraverso la porta monumentale

22 Cavalieri e soldati con scudo circolare e giavellotti su uno zoccolo dipinto con pannelli decorati con motivi a scudo anche nella parete ovest della sala di culto.imperiale di Luxor: DECKERS, Die Wandmalerei, p. 624, figg. 13-15.

23 GENTILI, La Villa, cit., I, p. 33.24 Si è potuto calcolare che essi erano di solo un metro più bassi dell’arco, a giudicare

dall’altezza dell’ammorsatura sul fianco est, e dalla sua parte liscia limitata solo all’estremità superiore della muratura del fianco. Si è così ricostruito l’aspetto di una monumentale porta a tre fornici che sporgeva in altezza, anche se non di molto, rispetto ai muri di recinzione del piazzale. Questa porta presentava una muratura di pietrame e calce, con blocchi quadrangolari più grandi agli spigoli.

25 GENTILI, La Villa, cit., I, pp. 68-71, fig. 3a.

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d’ingresso e superato il vestibolo con il mosaico dell’adventus, si dirigevano al Grande Ambulacro e alla Basilica per il ricevimento, mentre per il braccio nord passava chi era diretto agli appartamenti e agli ambienti che si aprivano su questo lato del peristilio: in entrambi i casi, si doveva essere accompagnati dalla fila di soldati con grandi scudi.

La ripetizione insistente e paratattica di soldati, dispiegata su tre lati del peristilio, non poteva che alludere a importanti cariche militari dei proprietari. Essi venivano a mancare sul braccio est perché la presenza delle tre scalinate e soprattutto la «bassa parete-stilobate» tra di esse impediva uno sviluppo di figure: è stato possibile ricostruirvi invece una serie di specchiature che imitavano marmi policromi26.

Si è detto che le pitture che rivestono le pareti del peristilio appartengono ad una seconda stesura dell’intonaco. Infatti quello originario, evidentemente a causa del suo deterioramento, è stato scalpellato a colpi di martellina che sono serviti anche a far meglio aderire i nuovi intonaci dipinti27: non può escludersi però che anche nella prima stesura fosse rappresentato lo stesso soggetto. In ogni caso l’appartenenza delle pitture con schiera di soldati ad una seconda stesura dell’affresco parietale va messa in relazione al fatto che il rifacimento dell’area a sud della villa è da attribuire ad una seconda fase, quando il settore su cui sorgono il grande cortile esterno, la porta monumentale e la corte poligonale retrostante venne ribassato; è in occasione di questa seconda fase che si aggiunse lo Xystus con la Sala Triabsidata a sud del peristilio, questa volta rialzando il livello pavimentale che ricoprì i resti di una precedente corte rettangolare. Infatti, sia sotto il pavimento dello Xystus, sia sotto lo “spazio cerniera” sul retro e a nord del suo ninfeo, sia sotto il cortile antistante la porta monumentale sono apparse strutture rasate in occasione di tale sistemazione, tra cui quella riconosciuta come parte di un peristilio quadrangolare dietro il ninfeo dello Xystus, dove E. De Miro ha rilevato la posteriorità di questo complesso in base ai ritrovamenti monetari postcostantiniani nelle fondazioni del muro di congiungimento dell’abside ovest dello Xystus con il Grande Peristilio28, al cui angolo sud-ovest si addossa.

Se in base ai resti, anche se molto danneggiati, dipinti sulla parete del braccio sud del peristilio distinguiamo parte della colorazione degli scudi

26 GENTILI, La Villa, cit., I, p. 68.27 Ibid.28 E. DE MIRO, La villa del Casale di Piazza Armerina: nuove ricerche, in La villa romana

del Casale a Piazza Armerina, Atti della IV riunione scientifica della Scuola di Perfezionamento in archeologia classica dell’Università di Catania (Piazza Armerina 28 settembre - 1 ottobre 1983) Roma 1988, pp. 58-73, sp. p. 67.

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(alcuni dipinti a quarti colorati di rosso, bianco con margine azzurro; altri con fasce concentriche rosse, gialle e azzurre e campo giallo con umbone al centro, altri ancora rossi, con fasce azzurre concentriche e forse con stelle), non ne possiamo ricostruire però gli eventuali ornamenti e se eventualmente permettessero di riconoscere riferimenti a determinate vexillationes; la loro struttura è in ogni caso restituita dagli analoghi scudi rappresentati nei mosaici della villa, dove i colori e le decorazioni visibili riflettono la pratica corrente nell’esercito romano di scudi di legno rivestiti in cuoio su cui si applicavano colori e ornamenti che distinguevano i vari reparti. Gli stessi colori degli scudi dipinti nel peristilio si trovano infatti in scudi di diversi settori del mosaico della Grande Caccia: solo intorno al vecchio dux predominano gli scudi grigioverdi. Tuttavia la coloritura intensa degli scudi corrisponde a quanto tramandato dalla Notitia Dignitatum (di circa un secolo posteriore alla stesura dei mosaici) e alla ricostruzione dei colori di scudi ivi descritti delle varie vexillationes29: anche se non sono riconoscibili le stesse decorazioni che compaiono negli scudi del mosaico della villa, è però chiaro che questi riproducono approssimativamente una realtà degli armamenti tardo antichi. Che si tratti comunque di un’approssimazione è provato anche da quanto si può intravedere negli scudi del peristilio, che appaiono, quando riconoscibili, gli uni diversi dagli altri.

Ma al tema dei militari con scudo della Grande Caccia si devono destinare alcune considerazioni: infatti la cattura degli animali con l’aiuto di militari s’inserisce in un topos ricorrente che caratterizza proprio i mosaici con scene simili, come mostra ad esempio il mosaico della casa di Isguntus ad Ippona30; il formarsi di tale tradizione figurativa nei mosaici deve probabilmente derivare dal fatto che l’area africana in cui vivevano le belve era spesso «infestata» da tribù nomadi o comunque ribelli (come i Mauri) che rendeva necessario che tali spedizioni fossero accompagnate, se non pianificate insieme ai militari; questi forse dovevano far parte di unità locali limitanee. Un riflesso di ciò è in brani dalle opere di Iulius Africanus letterato del III secolo d.C. (muore dopo il 221), che descrive la cattura del leone per mezzo di una gabbia con l’esca di un capretto e con i soldati che si schierano a cerchio, sovrapponendo i loro scudi come le tegole di un tetto31,

29 Cf. G. CASCARINO, C. SANSILVESTRI, L’esercito romano. Armamento e organizzazione, III, Rimini 2009: con ricostruzione scudi desunte dal codice che conserva la Notitia Dignitatum in cui sono raffigurati grandi scudi rotondi, con vari colori e simboli, collegati con le diverse vexillationes di stanza nelle varie province dell’Impero.

30 K.M.D. DUNBABIN, The Mosaics of Roman North Africa, Oxford 1978, p. 55, fig. 29.31 H.I. MARROU, Sur deux mosaïques de la villa romaine de Piazza Armerina, «Christiana

Tempora», Roma 1978, pp. 253-295, sp. pp. 272-275.

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e dello stratega Urbicius, autore di scritti sotto l’imperatore Anastasio (491-518 d.C.), che descrive una scena di cattura che ritorna anche nel mosaico della Grande Caccia: essa è rappresentata come una manovra di esercizio militare utile anche a formare buoni soldati che in tal modo esercitano il loro coraggio. Si spiega così la presenza dei militari nel mosaico della Grande Caccia, e anche la distinzione che emerge nella prima scena del settore settentrionale del mosaico di tre categorie di personaggi: i militari-cacciatori riconoscibili per gli scudi, la clamide, il cingulum e la bandoliera, i servitori addetti al trasporto delle fiere per le venationes degli anfiteatri, con tunica senza cingulum, infine i dirigenti-ispettori addetti alla direzione e alla sorveglianza, individuabili in quattro figure con tunica, clamide, cingulum e bastone con pomo a fungo. Di questi solo tre hanno il copricapo pannonico: i due militari al centro del mosaico, di cui quello in primo piano stringeva nella destra un frustino32 (fig. 9), e il vecchio. Ma è proprio la presenza di personaggi di alto grado, con il copricapo pannonico e bastone, a qualificare il mosaico della Grande Caccia, nonostante il numero dei topoi che ritorna nelle singole scene di caccia: tanto più tale qualificazione risalta al confronto con altri mosaici di caccia africani dove la rappresentazione dello status sociale emerge proprio nell’ambito residenziale33.

Quanto ora detto ci conferma nuovamente come la presenza di militari solo schierati lungo la parete del peristilio e non occupati in imprese di caccia sia da interpretare come esplicito riferimento all’importanza del cursus honorum dei proprietari della villa. Abbiamo visto come la porta d’ingresso, con la sua forma monumentale a tre fornici con fontane addossate ai piloni, potrebbe alludere alla porta di una cinta muraria e richiamare un’eventuale funzione anche difensiva della villa34, ma per ora è più probabile una spiegazione che vede la porta a tre fornici come mezzo per enfatizzare gli onori del proprietario e la cerimonia dell’adventus Domini. Di questo dominus, dunque, è subito dichiarata all’entrata la virtus militare, per mezzo dei pannelli dipinti con insegne militari sulla porta / arco.

I nuovi ritrovamenti permettono di affrontare in modo più circostanziato il tema della funzione della Villa della Casale e forse anche dei suoi

32 Si deve aggiungere un terzo personaggio a sinistra, che però non sembra avesse il bastone a fungo, perché la sua estremità inferiore avrebbe dovuto comparire accanto ai suoi piedi, che sono l’unica parte conservata insieme al lembo inferiore della clamide rossa a sinistra; la figura doveva essere inoltre nella parte sinistra nascosta dall’elefante di cui si conservano le zampe posteriori.

33 DUNBABIN, The mosaic, cit., p. 208.34 Cf. l’analisi sui mosaici africani con ville fortificate con torri, rappresentate come praetoria,

di R. GRASSIGLI, Splendidus in villam secessus. Vita quotidiana, cerimoniali e auto rappresentazione del dominus nell’arte tardo antica, Napoli 2001.

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proprietari. Infatti alla luce della considerazione che i due personaggi che compaiono in abito militare tra stendardi nell’affresco del fornice di destra del grande Arco d’ingresso appaiono - in quel che resta di essi- molto simili ai due personaggi al centro del mosaico della Grande Caccia35 e in asse con l’abside della retrostante Basilica36 (fig. 9), si può riproporre l’ipotesi di vedere in essi la raffigurazione semplificata dei due proprietari, forse padre e figlio, che dovevano aver rivestito importanti cariche militari, oltre a quella di praefectus Urbi, se come allusione a tale carica rivestita dai domini della villa si vuol vedere la rappresentazione delle corse del Circo Massimo nella Palestra delle terme e l’approvvigionamento di animali per ludi venatores da tenere a Roma nel mosaico della Grande Caccia, la cui organizzazione era appunto responsabilità dei prefetti della città. Sono personaggi che possono aver utilizzato la tribuna imperiale della Domus Flavia sul Palatino per assistere alle corse del circo, e ciò si accorda con la posizione (più volte rilevata) della statua della Magna Mater su leone, posta sulla spina del circo, di spalle rispetto all’osservatore (fig. 10).

La questione dei proprietari

Qualche nuovo indizio non tanto sul proprietario o i proprietari della villa che dunque si sono succeduti nel corso del IV secolo37, quanto sulle

35 S. MUTH, Bildkomposition und Raumstruktur. Zum Mosaik der Grossen Jagd von Piazza Armerina, «Römische Mitteilungen», 106, 1999, pp. 189-212; P. PENSABENE, I mosaici della Villa romana del Casale: distribuzione, programmi iconografici, maestranze, «Mosaici mediterranei», Caltanissetta 2009, pp. 87-115, sp. p. 90, fig. 3.

36 Hanno in comune non solo il costume militare, ma anche il bastone, di una forma tipica dell’epoca tardo antica e i calzari miliari. Si consideri inoltre che il tratto di muro di recinto del piazzale d’ingresso alla villa presenta tracce di una sequenza di cavalieri di cui restano parte delle zampe dei cavalli e dei calzari, e che convergono verso i due personaggi dell’arco a confermarne il ruolo militare.

37 Si devono scartare le ipotesi sull’identificazione del proprietario con imperatori come Massimiano (H.P. L’ORANGE, È un palazzo di Massimiano Erculeo che gli scavi di Piazza Armerina portano alla luce?, «Studi classici e Orientali», 29, 1952, pp. 114-128) e Massenzio (S. SETTIS, Per l’interpretazione di Piazza Armerina, «Mélanges de l’Ecole Française de Rome - Antiquité», 87, 1975, pp. 873-994), non solo per le critiche mosse da S. MAZZARINO, Sull’otium di Massimiano Erculio dopo l’abdicazione, «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei», 8, 1953, pp. 417-421, ma anche per considerazioni archeologiche: elementi come l’aula basilicale rivestita di opus sectile fanno parte dell’architettura privata di IV secolo, e la prospettiva del Circo vista dal Palatino non esclude l’incarico di magistrato urbano del proprietario. Oggi si è concordi nell’affermare che la villa appartenesse ad un alto personaggio della classe senatoria romana,

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relazioni possibilmente familiari che intrattenevano nell’isola ci viene dal nome CLARI. POSTVMI che compare in tre laterizi bollati rinvenuti sul crollo sopra il pavimento del vestibolo nord con mosaico della lotta di Eros e Pan dell’Appartamento del Dominus38. È stato infatti accostato con Flavius Postumius Titianus, praefectus urbi nel 305, noto anche a Sabuci vicino a Gela, dove possedeva fornaci e nel contempo si è rilevata la parentela tra i Ceioni e i Postumi già postulata da Calderone sulla base del bolli sopracitati39. Anzi è stato proposto40 che alla gens Postumia appartenesse la moglie di C. Ceionius Rufus Volusianus, prefetto urbano e console nel 311 sotto Massenzio e Costantino, proprietario di grandi latifondi in Africa, padre di M. Ceionius Rufus Albinus, detto Philosophus (nell’unica iscrizione a lui dedicata, ILS 1222), console nel 335 e prefetto urbano, noto intellettuale della sua epoca, scrittore di geometria e logica, di metrica e musica; infatti, un loro nipote chiamato Postumianus presuppone una madre Postumia, moglie di uno dei due. Alcuni hanno voluto identificare il proprietario della Villa con uno dei due Ceionii o con ambedue41: una tesi che si adatta fra l’altro alla rappresentazione dei due personaggi al centro del mosaico della Grande caccia e – come si è visto – negli affreschi ai lati dell’Arco d’ingresso, che certamente hanno ricoperto importanti cariche nell’esercito e nell’amministrazione imperiale (come appare dal loro abito), e che per la loro vicinanza possono identificarsi con due parenti stretti: fratelli, o padre e figlio.

La Sabuci vicino Gela rappresenta probabilmente una delle eredità toponomastiche di una famiglia di ricchi possidenti siciliani, i Sabucii, già noti dalla fine del II sec. d.C., che hanno lasciato diverse tracce nei nomi di località dell’entroterra di Gela: il loro nome e probabilmente i loro

al centro di un latifondo (forse la massa Philosophiana dell’Itinerarium Antonini di IV secolo) formato dai numerosi possedimenti di tale personaggio. Allo stesso modo si tende a rifiutare l’ipotesi che si tratti semplicemente di una villa stagionale e di rappresentanza: la mancanza di una pars fructuaria, cioè di quelle strutture adibite alla produzione agricola, è preferibilmente da attribuirsi ai limiti della ricerca archeologica.

38 GENTILI, La Villa, cit., I, p. 184.39 A. CARANDINI, Intervento, «La villa romana del Casale a Piazza Armerina», Atti della

IV riunione scientifica della Scuola di Perfezionamento in archeologia classica dell’Università di Catania (Piazza Armerina 28 settembre - 1 ottobre 1983) Roma 1988, p. 102.

40 S. CALDERONE, Intervento, «La villa romana del Casale a Piazza Armerina», Atti della IV riunione scientifica della Scuola di Perfezionamento in archeologia classica dell’Università di Catania (Piazza Armerina 28 settembre - 1 ottobre 1983) Roma 1988, p. 132.

41 F. COARELLI, Sicilia, Guide Archeologiche Laterza, Roma-Bari 1981, p. 188: poiché i due personaggi, padre e figlio, andarono anche in esilio per un certo periodo, propone di attribuire loro i due appartamenti autonomi che si aprono sul Grande Ambulacro, quando si sarebbero ritirati in esilio nella Villa del Casale.

52 PATRIZIO PENSABENE

possedimenti in Sicilia, tra cui il fundus in cui si producevano i laterizi bollati CLARI POSTVMI, erano confluiti in Sabucius Pinianus vir clarissimus, noto da un contorniato del 410 appartenente alla famiglia dei Valeri, in quanto probabilmente collegato a Valerius Pinianus prefetto urbano del 385-387 che aveva sposato Valeria Melania Iuniore42: è noto come i Valeri fossero imparentati dalla fine del IV secolo con i Ceionii. In ogni caso è all’interno delle relazioni parentali dei Postumi che è possibile circoscrivere i proprietari della villa, siano essi di una stessa famiglia, ad esempio i Ceioni, o di personaggi imparentati che si susseguono nella proprietà, come i Ceioni e i Postumi o i Valeri del ramo di Sabucius Pinianus.

Per altri, il possibile proprietario della villa sarebbe L. Aradius Valerius Proculus Populonius, pretore nel 315, governatore della Sicilia nel 330 e praefectus urbi nel 351, un pretore urbano di età costantiniana: A. Carandini ha sottolineato l’importanza delle scene di cattura di animali selvaggi (Grande Caccia) per tale identificazione, in quanto si tratterebbe di un senatore impegnato nella fornitura di fiere per le cacce nei giochi dell’Urbe. Tuttavia la tematica dominante di tutte le composizioni è stata anche diversamente riconosciuta, ad esempio da S. Settis, nel controllo che la filosofia, ovvero la ragione umana, può esercitare sulla forza bruta della natura (le passioni) volgendola a suo vantaggio: Orfeo che doma con il canto gli animali terrestri, Arione quelli marini, la vittoria sugli animali data dalla caccia, e lo sfruttamento dei prodotti della terra. Nel Triclinio, aggiunto qualche decennio dopo la costruzione della villa, è invece l’acquisizione dell’immortalità a essere il tema dominante, con l’apoteosi di Ercole, ottenuta grazie alle sua fatiche; e con quella di Ambrosia, voluta da Bacco43.

Altre proposte (famiglie dei Symmachi e dei Nicomachi, o il retore Claudio Mamertino, prefetto del pretorio del 361-62) riguardano una cronologia che non scende oltre la seconda metà del IV secolo, mentre la villa è dei primi decenni del secolo, e dovrebbero essere rifiutate. I recenti ritrovamenti nelle province ispaniche di grandiose ville tardo antiche, dotate di mosaici e soluzioni originali nella pianta, che richiamano la disinvoltura degli accostamenti di corti ovali e sale triabsidate, vestiboli e aule basilicali che troviamo a Piazza Armerina (v. ad esempio le ville di Carranque, di Cercadilla a Cordova, di Gijón44), portano inoltre a vedere non necessaria

42 Cf. S. MAZZARINO, L’Impero Romano, 3, Roma-Bari 1982, p. 895 nota 5.43 SETTIS, Per l’interpretazione, cit., pp. 973-75.44 Rimando a C. FERNANDEZ OCHOA, V. GARCÍA ENTERO, F. GIL SENDINO (edd.), Las villas

tardorromanas en el Occidente del Imperio. Arquitectura y Función, IV Coloquio, Gijón 2008.

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l’identificazione della villa del Casale con un praetorium o un palatium del governatore della Sicilia45, che si vedono meglio collocati in una città importante, anche se non si può escludere che durante la loro visita nella provincia i correctores siano stati ospitati nella villa.

In effetti l’assetto pubblico, l’articolazione planimetrica con diretti confronti nelle grandi domus tardo antiche di Roma per la grandezza dell’aula basilicale46 e ancora il grande numero di colonne, e non solo di marmi di rivestimento, che rappresenta un caso abbastanza unico per una villa, si possono spiegare solo con uno stretto rapporto dei proprietari che si susseguono nel corso del IV secolo con l’amministrazione imperiale di Roma: si è detto come tale rapporto sia confermato anche da probabili allusioni alla carica del praefectus urbi nei mosaici del circo e della Grande Caccia, che hanno lo scopo di richiamare la vicinanza e la relazione privilegiata del dominus della villa con il potere imperiale e dunque il suo probabile rango senatorio47. I possessores della villa sono evidentemente da ricercare tra personaggi importanti che dovevano risiedere a Roma stessa e che avevano ricoperto alte cariche all’interno dell’amministrazione imperiale.

La Villa: prime fasi di vita

È noto come la Villa sia sorta su un sito già occupato da un precedente edificio, in cui si è di nuovo riconosciuta una villa datata da Gentili alla seconda metà del I sec.d.C. e dal De Miro tra la fine del I e l’inizio del II secolo (la c.d. villa rustica) con muri «di pietre a secco o cementate di fango», e pavimenti in signino, la cui disposizione avrebbe influenzato l’orientamento di almeno due dei settori della villa tardo-romana, quello delle terme e quello della Sala Triabsidata e del relativo Xystus. La cronologia di tale villa si può fissare tra il I secolo d.C., come suggeriscono due ritratti in marmo databili stilisticamente a quell’epoca, e la seconda metà del III secolo, essendo documentati, presso il portale e lo Xystus, strati di distruzione riferibili ad un periodo intorno al 270 d.C. Tale cronologia

45 Cf. invece G. MANGANARO, Note storiche ed epigrafiche per la villa (praetorium) del Casale di Piazza Armerina, «Sicilia Antiqua», 2, 2005, pp. 173-191.

46 F. GUIDOBALDI, L’edilizia abitativa unifamiliare nella Roma tardoantica, «Società romana e impero tardoantico. Politica, economia, paesaggio urbano», Roma 1986, pp. 165-237.

47 Cf. J. WEISWEILER, Aristocrats as Imperial Officials: Imperial Symbol Roman Aristocracy, «The world of Roman costume», Madison 1994.

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conferma quella fornita dalla colmata scavata in corrispondenza dei vani settentrionali dello Xystus, che ha restituito ceramiche e monete del periodo 250-280 d.C., che viene quindi accettato come terminus ante quem della villa rustica e terminus post quem della villa tardoantica.

Strutture della «villa rustica», dunque, sono state messe in luce nei saggi a sud della Villa del 1983, in particolare nel Recinto 12 e nel Cortile 1048. Nel Recinto 12, è stata rilevata nel corso degli scavi la forma rettangolare, tendente al trapezio, e la divisione interna in tre navate divise da due file di pilastri in muratura, e sono stati scoperti il livello del pavimento tardo-romano (distrutto dalle successive strutture normanne: v. oltre), uno strato di macerie che attesterebbe che i muri del recinto preesistevano alla villa tardo-romana, e l’evidenza di un livello pavimentale connesso a questa fase «intermedia» del recinto. Ma muri certamente attribuibili alla villa rustica sono stati trovati nel settore nord del Recinto (muro a secco lungo circa m.5, con direzione sud-est/nord-ovest) e nell’angolo sud ovest del Cortile 10, dove è apparso «un grande ambiente rettangolare con muri di pietra cementata con terra (spessore cm. 50) con orientamento questa volta, perfettamente parallelo a quello dell’impianto termale tardo-romano»49.

Un’altra parte della villa rustica è stata scoperta nel settore nord del cortile (56 numerazione Carandini) a ovest dello Xystus, dove sono emersi due ambienti (m.3,50 x 3,47; 3,59 x 4,30) che si affacciano ancora su un tratto di portico di cortile o piccolo peristilio, come si è dedotto in base ad una lastra d’imposta (larga cm.50) di colonnina50. Tutte queste strutture hanno andamento nord-sud poi rispettato dall’orientamento dello Xystus e della sala triabsidata, come anche l’ambiente termale munito di suspensurae rinvenuto dal Gentili al di sotto della palestra delle terme tardoantiche.

Non dipendente dall’orientamento delle precedenti strutture appare invece l’Aula Basilicale e il connesso peristilio: qui infatti strutture della

48 DE MIRO, La villa, cit., p. 62: subito a est del muro che li separa, lo scavo ha rivelato, sotto due strati medievali (1,1b), uno spesso strato tardo-romano (2), con sporadiche inclusioni più tarde, e sotto ancora vari strati (2b, 2b1, 2c) riferibili probabilmente alla “vita della villa rustica, comunque precedente alla costruzione della villa tardo-romana; le fondazioni della villa rustica hanno intaccato invece il sottostante strato (3) di formazione preromana, anzi preistorica.

49 DE MIRO, La villa, cit., p. 65: con lo strato 1 è identificata l’ultima fase tardo-romana interessata dalla fase medievale, con lo strato 2 il rialzamento tardo-romano, con lo strato 2b lo strato di distruzione della villa rustica datato alla seconda metà del III secolo in base alla ceramica e alle monete.

50 DE MIRO, La villa, cit., p. 65: strutture murarie della stessa fase «a ridosso della fondazione dell’aletta sud dell’abside del cortile ovoidale» nel settore sud del cortile 56. Inoltre i due ambienti e il tratto di portico furono obliterati dal pavimento intonacato di una vasca connessa con la costruzione del muro di congiungimento dell’abside della sala triabsidata con il peristilio.

55VILLA DI PIAZZA ARMERINA: INTERVENTO DELLA SAPIENZA-UNIVERSITÀ DI ROMA

villa rustica sono state viste in occasione dello strappo della parte centrale del mosaico dell’Ambulacro della Grande Caccia (31), quando sono emersi un tratto di muro in opera mista, spesso cm.70, intonacato e obliquo rispetto all’andamento dell’ambulacro in cui si è riconosciuto parte del muro perimetrale della villa, e un muro più sottile perpendicolare ad esso, riconosciuto come parete divisoria tra due ambienti, entrambi in relazione con una pavimentazione in opus signinum51. Un muro simile, parallelo al primo, è stato da noi messo in luce nell’angolo sudest del peristilio.

Il De Miro ha evidenziato una fase intermedia tra la «villa rustica» e la villa del IV secolo, a cui avrebbe connesso una prima monumentalizzazione delle strutture di cui potrebbero aver fatto parte le terme di prima fase e il nucleo originario del recinto 1252: se queste nuove strutture hanno convissuto con quelle della villa rustica del Cortile 10 e di altre parti, esse avrebbero vissuto fino alla nuova costruzione del IV secolo che le avrebbe inglobate. Già in questa fase è possibile che l’ingresso fosse nello stesso settore in cui si trova quello successivo, in quanto posto al termine della strada che portava alla villa53.

A questi dati già pubblicati si possono ora aggiungere i risultati degli scavi effettuati in occasione dei lavori per la conservazione dei mosaici nell’ambito del cantiere di restauro tra 2008 e 2009, intorno al complesso dello Xystus (saggi IX, X, XI, XIII, XV), all’area delle Terme (saggi I, II, XII, XIV), alle absidi dell’Appartamento della domina, della Basilica e della Sala Triabsidata (saggi III, IV, V, VI, VII) e al Peristilio (saggio VIII), che hanno segnalato la presenza di strutture e stratigrafie riguardanti le fasi di occupazione del sito prima del periodo tardoantico: si può ora affermare che gran parte dell’area della Villa di IV sec. fosse già occupata da strutture riferibili ad un periodo compreso tra il I e III sec. d.C., che ugualmente si estendevano sui terrazzamenti a diversi livelli con i quali era stato sistemato il pendio naturale54.

51 GENTILI, La villa, cit., I, p. 142, fig. 7.52 DE MIRO, La villa, cit., p. 67.53 Cf. DE MIRO, La villa, cit., p. 69.54 PENSABENE, Villa del Casale, cit., pp. 13-14.

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La Villa del Casale nel territorio della Sicilia centro-meridionale

Le osservazioni precedenti impongono di riprendere, anche se brevemente, i temi dell’identificazione del latifondo in cui sorgeva la villa: sono infatti la ricchezza e l’estensione del latifondo stesso ad aver resa necessaria una dimora che corrispondesse alla posizione sociale e alla cultura del dominus ed è il dominus che deve aver presieduto o suggerito o comunque influenzato per la sua stessa condizione di personaggio altolocato i soggetti del programma musivo.

Chiave di volta per il riconoscimento di questo come degli altri latifondi nella Sicilia del IV secolo è l’Itinerarium Antonini, nella sua redazione di IV secolo d.C.55, che, lungo una strada che congiungeva Agrigento a Catania, propone una serie di nomi di latifondi siciliani nella Sicilia orientale: Corconiana, Petiliana, Calloniana, Philosophiana, Capitoniana (da ovest verso est); i nomi derivavano dai gentilizi dei primi proprietari. Citiamo ancora il bollo Sireniana, dalla pianura di Gela, che nuovamente sembra indicare il nome del latifondo in cui avveniva la produzione laterizia56. Ad ogni massa faceva riscontro una mansio, stazione di posta e luogo di riferimento urbano, localizzate rispettivamente a Naro, Sommatino, Ciarfara, Sofiana, e Capezzana nella piana di Catania57. Forse tale strada nacque proprio in età costantiniana, per facilitare l’accesso ai latifondi granari della Sicilia centro-orientale, divenuti di grande importanza per Roma: sulla strada non appaiono infatti le città dell’interno, che erano da lungo tempo disabitate58. La massa Calvisiana è stata identificata nel territorio di Gela, con la mansio nell’insediamento di Casa Mastro59, mentre il centro abitato principale della massa, Philosophiana, è stato visto nel sito archeologico in contrada Sofiana, presso Mazzarino60, la mansio, dunque, posta lungo la strada tra Catania e Agrigento. Saggi di scavo condotti tra

55 Itinerarium Antonini, a cura di O. CUNTZ, pp. 12-13.56 D. ADAMESTEANU, Nuovi documenti paleocristiani nella Sicilia centro-meridionale,

«Bollettino d’Arte», 48, 1963, pp. 259-274. Cf. E. DE MIRO, Ricerche e valorizzazione dei monumenti paleocristiani e bizantini in Agrigento e nel territorio, «Kokalos», 32, 1986, pp. 285-296, sulla possibilità che Sireniana alludesse al personaggio che si era sostuito nella proprietà di Calvisiana.

57 CARANDINI et al., Filosofiana, p. 26; G. UGGERI, La viabilità della Sicilia in età romana, «Kokalos», 1997-98, p. 323; cf. A. LI GOTTI, Su Grassuliato e su altri abitati dell’interno e sul significato del nome “Bonifatius” rinvenuto al “Casale”, «Archivio Storico Siracusano», s. III, 9, 1957-58, pp. 167-203.

58 UGGERI, La viabilità, cit., pp. 310-311.59 D. ADAMESTEANU, Gela. Nuovi scavi, «Notizie degli Scavi di Antichità», 1960, pp. 211-246.60 ADAMESTEANU, Nuovi documenti, cit., pp. 259-274.

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1988 e 1990 da F. La Torre hanno confermato come il centro nasca già in età augustea, con cinta muraria e impianto ortogonale, e sia stato distrutto negli ultimi decenni del secolo III d.C., come la villa rustica che precede quella del Casale; sarebbe da identificare come la Gela dei «Gelani interni» di Tolomeo. Solo in età costantiniana fu ricostruita, nell’impianto termale, mutando il suo nome da Gela in Filosofiana, e l’Itinerarium la registra come Gela sive Filosofianis: sembra dunque che in età tarda Sofiana fosse la mansio di una massa, cui apparteneva anche la villa del Casale61, che ne dista solo cinque chilometri in linea d’aria; ed è a una villa padronale che sembra alludere il nome di Philosophiana dell’Itinerarium Antoninum, come dimora padronale destinata tra l’altro agli ozi letterari62. È in questo periodo che compaiono i mattoni bollati con il marchio FIL.SOF trovati in contrada Sofiana. I confini del latifondo sono stati ipotizzati tra il fiume Gela a ovest e nord, i torrenti di Passo Lasagna a sud, Gatta e Montagna Grande a est63, per un’estensione di 15000 ettari. La Villa del Casale doveva essere collegata alla mansio da un diverticolo della strada principale Catania – Agrigento.

Per ciò che riguarda l’identificazione con Filosofiana del latifondo a cui apparteneva la Villa, Wilson64 rileva che l’Itinerario Antonino, in cui compare la denominazione Gela sive Philosophiana, è databile al III secolo e indicherebbe la data in cui un latifondo con questo nome sostituisce come mansio il precedente sito di Gela, sottolineando come Philosophus sia probabilmente il cognomen di un proprietario che può aver vissuto alla fine del II secolo e dato il nome alla sua proprietà, che anche in occasione di successivi cambi di proprietari avrebbe mantenuto tale nome.

Ricordiamo brevemente che tra il III e il IV secolo d.C. l’agricoltura in Sicilia aveva ripreso forza, in quanto la sua produzione di grano era divenuta fondamentale per Roma, essendo quella egiziana interamente devoluta prima nelle capitali delle diocesi d’Oriente, e poi a Costantinopoli; ecco allora la nascita delle grandi ville tardoantiche in Sicilia di Piazza Armerina, del Tellaro, di Patti, con dei nuovi proprietari di rango senatorio provenienti da Roma o dalle province occidentali, che probabilmente sostituiscono il ceto latifondista siciliano precedente, che apparentemente nella media età imperiale non sembra interessato agli investimenti.

61 G.F. LA TORRE, Gela sive Philosophianis (It. Antonini 88, 2). Contributo per la storia di un centro interno della Sicilia romana, «Quaderni dell’Università di Messina», 9, 1994, pp. 99-139.

62 CARANDINI et al., Filosofiana, cit., p. 22.63 Ivi, pp. 23-25 e fig. 10.64 R. WILSON, Luxury retreat, fourth-century style: a millionaire aristocrat in Late Roman

Sicily, «Opus», 2, 1983, pp. 537-552, sp. p. 540.

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Vanno in questo contesto sottolineate le recenti scoperte delle ville di contrada Geraci e Rasalgone, collocabili tra III e IV secolo e relativamente vicine alla Villa del Casale: quella di Geraci si trova lungo la strada provinciale Enna-Barrafranca e a nordest di Montagna di Marzo forse l’antica Erbesso; è stata esplorata solo in parte per un’area di circa 500 metri quadrati65, che ha restituito una sequenza di almeno 5 vani affacciati su due lati di un peristilio e dotati di mosaici geometrici policromi d’influsso africano66 datati agli inizi o primi decenni del III sec. d.C.67 Vi si sono trovate inoltre numerose tegole con bollo laterizio PHILIPPIANI e contrassegno supplementare TVTELA che ha riscontri nel territorio di Gela68. Più vicina ancora è la villa di Rasalgone, a pochi km a est della Villa del Casale, ma scarsamente resa nota e indagata: presentava un’organizzazione su più livelli degradanti, in modo anche da sfruttare le pendenze del terreno per l’approvvigionamento dell’acqua dal soprastante torrente Liana, che avveniva tramite una tubatura plumbea ancora conservata nel muro. Dei mosaici pavimentali ne è stato reso noto uno geometrico con motivo a squame e confronti diretti con la villa del Casale, per cui si è proposta anche per Rasalgone una datazione nel IV secolo69 e si è richiamato il noto passo delle ville tardo romane nel territorio apud Hennam70.

Abbiamo quindi un’indicazione che la Villa del Casale non è un unicum nel territorio ennese71, nel senso di una struttura residenziale dotata di mosaici e in stretto rapporto con la produzione agraria e questo dato ci

65 Ma indizi di strutture archeologiche riguardano un’area di almeno 10.000 mq: E. CILIA PLATAMONE, Recente scoperta nel territorio di Enna: l’insediamento tardo-romano di contrada Geraci, «L’Africa Romana», Atti dell’XI Convegno (Cartagine, 1994), Ozieri 1996, pp. 1683-1689; E. CILIA PLATAMONE, Rinvenimenti musivi nel territorio di Enna tra passato e presente, «Atti IV Colloquio AISCOM», (Palermo, 1996), Ravenna 1997, pp. 273-280.

66 CILIA PLATAMONE, Rinvenimenti, p. 274; P. BARRESI, I mosaici nella Sicilia antica, «Mosaici Mediterranei», Caltanissetta 2009, p. 80.

67 Ma l’interesse per questa villa nasce anche dal fatto che pure essa, come la Villa del Casale, è stata oggetto di un insediamento medievale di X-XI secolo, di cui resta intero nel perimetro un grande ambiente che vi si sovrappone con orientamento diverso.

68 CILIA PLATAMONE, Recente, p. 1687, a sudest delle strutture abitative sono state in parte poste in luce tre fornaci; cf. G. FIORENTINI, Gela, la città antica e il suo territorio, Palermo 1984, p. 49.

69 L. GUZZARDI, L’attività della Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Enna nel settore archeologico: 1996-1997, «Kokalos», 43-44, 1997-98, pp. 291-310, sp. p. 304; L. GUZZARDI, Per il recupero conservativo della Villa di Piazza Armerina nel contesto delle ville circostanti, «Atti IV Colloquio AISCOM», (Palermo, 1996), Ravenna 1997, pp. 325-328, sp. p. 328; L. VILLARI, Storia ecclesiastica della città di Piazza Armerina, Messina 1988, pp. 55-56.

70 CALDERONE, Contesto, cit., pp. 55-56. 71 A nord di Enna vi sono stanziamenti agricoli a Carcaci e Femmina morta, a sud, oltre

Geraci e la Villa del Casale, anche a Runzi: CILIA PLATAMONE, Recente, p. 1689.

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porta ad osservare come la formazione dei grandi latifondi, come ad esempio quelli sopra citati, noti dall’Itinerarium Antonini, sia stata graduale, dovuta ad eredità e acquisti e che quindi si possano immaginare anche periodi in cui le proprietà non erano unitarie, costituite da fondi anche non confinanti. Facciamo quest’osservazione in base a possibili analogie con la Puglia tardo imperiale, dove il paesaggio agrario è da leggere in base all’estensione dei latifondi imperiali, senatoriali e ben presto ecclesiastici. Hanno però notato anche recentemente D. Vera72 e G. Volpe73, che, pur esistendo saltus e regiones, le grandi proprietà terriere non erano unitarie, ma potevano essere costituite da unità mediopiccole non necessariamente contigue, secondo quella che sembra essere la tipica organizzazione delle massae fundorum tardoantiche: Simmaco fa riferimento alle sue proprietà con la formula res nostra Apula, mentre descrive le proprietà terriere di Aradio Rufino come sparse per l’Apulia (res…per Apuliam). Anche in Puglia, il fatto che il grano dovesse essere destinato all’esportazione ha fatto pensare ad una produzione intensiva, specializzata per le esigenze dell’annona e del mercato e in questo senso si è parlato di latifondo produttivo, che, pur presupponendo la concentrazione della proprietà e la diminuzione del numero delle ville, non esclude la distribuzione frazionata e autonoma delle unità produttive. Tutto ciò è ancora da approfondire in Sicilia, anche in base ai ritrovamenti di ville rustiche e alla fine della loro attività.

Anche in Sicilia, comunque, questo nuovo ceto di proprietari si manifesta con la costruzione di grandi ville in campagna, o comunque con la sostituzione o trasformazione di precedenti residenze come è sicuramente attestato alla Villa del Casale. La presenza dei senatori era ovviamente limitata a certi periodi dell’anno, abbiamo visto però non solo come otium filosofico, ma anche per gestire meglio i lavori di semina e di raccolta74. Si tratta di senatori romani, titolari di proprietà grandi; le ville sono dunque ricche in proporzione, e devono mostrare il prestigio del proprietario.

In relazione alla Villa del Casale, una serie di somiglianze si notano con il panorama complessivo della villa tardoantica, che utilizza molti elementi già adoperati per le ville di età tardorepubblicana e imperiale, come la focalizzazione su un peristilio, la ricchezza della decorazione, l’articolazione in settore urbano e rustico. Tuttavia nuove tipologie di ambienti si

72 D. VERA, Sulla (ri)organizzazione agraria dell’Italia meridionale: origini, forme e funzioni della massa fundorum, «Modalità insediative e strutture agrarie nell’Italia meridionale in età romana», Atti del Convegno (Napoli, 1998), Bari 2001, pp. 613-633.

73 G. VOLPE, Paesaggi della Puglia tardoantica, «Atti del XXXVI Convegno di studi sulla Magna Grecia», Taranto 1998, pp. 267-330, sp. pp. 318-321.

74 CARANDINI et al., Filosofiana, cit., pp. 16-18.

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aggiungono, destinati al ricevimento di grandi quantità di persone, e si riformulano in senso monumentale le planimetrie tradizionali, adattando in conseguenza i codici architettonici e decorativi. Abbiamo visto come si moltiplichino così gli ambienti a pianta curvilinea e a complesso disegno geometrico, si estendano i rivestimenti marmorei e musivi, si concentrino i percorsi verso grandi aule di udienza e si inseriscano mostre d’acqua nei punti cruciali della villa. Si è detto come l’ispirazione sia probabilmente data dai palazzi urbani e imperiali, che fornivano i modelli aulici per le dimore dei più ricchi senatori delle province75, ma per il tema che c’interessa, della costituzione di proprietà decisamente più estese in epoca tarda, si rileva che tra la fine del III e il IV secolo, all’interno di territori già fittamente popolati di ville nel primo periodo imperiale, solo alcune ville venivano restaurate ed abitate dai proprietari; nella maggior parte delle altre, invece, dopo una fase di abbandono o di distruzione, le aree residenziali (terme, corti, sale di rappresentanza) erano utilizzate per attività industriali o connesse con la trasformazione di derrate agricole: vi erano installati torchi, cisterne, dolia, fornaci per ceramica o vetro, forge. Tale fenomeno si può osservare in ville come Torre Llauder in Spagna, o quella apula di San Giusto, o Liffole le Grand in Gallia e così via. La causa di un simile fenomeno si è identificata nell’accentramento della proprietà rurale, che conosce un aumento significativo con il III secolo: con l’accentramento di più proprietà nelle mani di un solo grande latifondista, questi avrebbe privilegiato e ampliato uno solo degli impianti residenziali, assegnando le altre vecchie ville padronali ai diversi fondi, perché i coloni potessero usarli come impianti produttivi76. Se tale schema dovesse essere applicato a Piazza Armerina, la Villa del Casale si troverebbe così ad essere il centro dei fondi costituenti la massa, con un popolamento rurale diffuso nei villaggi del territorio, sorti attorno alle vecchie ville dismesse.

Un quartiere di servizi a sud della villa padronale

Già nel 1983 R.Wilson, in occasione di un Seminario dell’Istituto Gramsci a Roma77 sul volume «Filosofiana, La Villa di Piazza Armerina»,

75 F. GUIDOBALDI, L’edilizia abitativa unifamiliare nella Roma tardoantica, «Società romana e impero tardoantico. Politica, economia, paesaggio urbano», Roma 1986, pp. 165-237

76 A. CHAVARRIA ARNAU, El final de las villae en Hispania (siglos IV-VII), Paris 2007.77 WILSON, Luxury: in tale occasione Wilson metteva in guardia dal considerare eccessivamente

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supponeva, che la villa non potesse ospitare tutti i dipendenti a servizio delle esigenze amministrative, domestiche e familiari: doveva esservi un quartiere separato dove essi risiedevano con le relative famiglie e dove anche si trovavano strutture connesse ad attività agricole78, che il Wilson proponeva di riconoscere nel settore a nord della villa, dove nella sezione dell’altura artificiale che corre lungo l’Aquedotto nord sono visibili strutture e scarichi di fornace tardo imperiali o bizantini, a cui si sovrappongono resti medievali79. Senza escludere la possibilità che futuri scavi possano confermare la presenza di strutture di servizio anche a Nord della Villa, gli scavi di De Miro successivi agli scritti di Wilson e quelli recenti da noi condotti hanno rivelato un importante quartiere di servizi a sud della villa.

Gli scavi De Miro degli anni ’80, non pubblicati in forma definitiva, avevano registrato infatti la presenza di un grande ambiente rettangolare, tripartito da pilastri, sul lato ovest del piazzale d’ingresso, definito provvisoriamente come stalla, ma la prosecuzione degli scavi ha poi portato all’individuazione di un secondo grande ambiente situato subito a sud di questa sala tripartita80. Interpretabili come magazzini per i prodotti agricoli (nella loro tipologia noti dalla descrizione di Columella e da una Villa nel suburbio di Roma presso Tor Vergata81), questi nuovi ambienti hanno portato all’identificazione della parte rustica a sud della Villa, e qui si poteva ipotizzare fossero collocati le cucine e gli impianti produttivi (torchi e depositi per olio e vino).

A sud del piazzale davanti alla villa, sul lato corto opposto alla porta monumentale d’ingresso a tre fornici, è stato anzitutto ritrovato un vano

importante il ritrovamento di tegole con il bollo FIL SOF, non rinvenuti direttamente nella villa, perché potevano essere prodotti in fundi anche di piccole dimensioni confinanti con quelli della villa stessa.

78 WILSON, Luxury, cit., p. 541, insiste sul fatto che il quartiere esterno poteva ospitare l’ufficio dell’amministratore del latifondo, oltre a impianti di produzione connessi alle funzioni economiche, in quanto la villa è nel cuore del latifondo, ma non isolata come «pleasure palace».

79 Cf. anche R. WILSON, Piazza Armerina, London 1983, pp. 69-70; riproduzione della sezione con visibile scarichi fornace in PENSABENE, Villa del Casale, cit., p. 15, fig. 15.

80 C. SFAMENI, L’insediamento medievale sulla villa del Casale: vecchi scavi, nuove considerazioni, in L’insediamento medievale sulla villa del Casale di Piazza Armerina, Galatina 2008, pp. 95-107.

81 S. MUSCO, Intervento n. 13, «Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma», 89, 1984, pp. 98-101, sp. p. 99, fig. 42, dove è stato riconosciuto nella pars rustica un magazzino di ampie dimensioni con numerosi pithoi ricostruibile a perimetro rettangolare e con due file di pilastri (restano quelli iniziali) a dividerlo in tre navate; a sud di questo, separati tramite una corte basolata (con basoli di reimpiego) da altri ambienti più piccoli (nn. I, III, IV, V, VI, VIII, IX) destinati a magazzini per attrezzi agricoli, per derrate alimentari e forse stalle; nell’ambiente V sul pavimento costituito da un battuto di terriccio e frammenti di cappellaccio vi è una serie di fori per i sostegni del tetto.

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absidato con vasca (fig. 11), dotata di gradoni all’interno, e che conserva anche la soglia e parte dell’intonaco di rivestimento; riutilizzato in età medievale, al suo interno è stato rinvenuto lo scarico di una fornace arabo-normanna con scarti di ceramica invetriata e di anfore. Subito a nord di questo vano sono comparsi altri resti murari (fig. 12) connessi ad ambienti contigui, tra i quali un’abside che presentava la parete con mosaico ad onde (fig. 13), uguale o molto simile a mosaici della villa, ad esempio la cornice del mosaico della Piccola Caccia o del mosaico con la rappresentazione dell’India nell’abside meridionale del Grande Ambulacro. Del mosaico è per ora (settembre 2010) emersa soltanto la parte superiore, ma è probabile che anch’esso facesse parte del rivestimento di una vasca, in modo analogo a vasche del frigidario delle terme della Villa, che in una prima fase erano rivestite di mosaici, poi nascosti, in una seconda fase, da una nuova impellicciatura a lastre di marmo. I resti sono da interpretare come parte di un piccolo stabilimento termale contemporaneo alla villa, come appunto prova il mosaico parietale messo in luce, che pare orientato grossomodo con i magazzini sopradetti e che ci consente di delineare un piazzale d’ingresso alla villa circondato da strutture di servizio. Il dato è tanto più importante in quanto la Villa si sta profilando non solo come luogo di rappresentanza, ma come centro di gestione economica di una vasta proprietà terriera che appunto necessitava di strutture per la produzione, l’immagazzinamento e la distribuzione delle derrate, e infine di servizi, quali si possono definire le piccole terme esterne alla villa82, destinate forse al personale della villa e ai coloni.

Ma che il quartiere dei sevizi non fosse solo costituito da un piccolo stabilimento termale, ma anche da ambienti con altre funzioni e che esso continuasse a vivere in epoca bizantina (V-VI secolo d.C.) è rilevato dal ritrovamento negli interri postantichi che lo ricoprivano di un mattone con decorazione traforata (fig. 14), frammentario, databile al VI secolo, forse di fenestella. Largo al massimo cm. 30, lungo al massimo cm. 36, spesso cm 4, è stato trovato durante le operazioni di allargamento dei nuovi ambienti termali sopradetti (saggio I), subito a sud del limite di scavo, e proviene dagli strati più alti di terreno. Del contorno originale rimane soltanto un angolo, probabilmente quello sinistro superiore, e la sua decorazione era costituita, in alto, da una serie di almeno tre croci; la prima a sinistra era accompagnata da due lettere apocalittiche, alpha e omega in corsivo, a

82 Notiamo come uno dei muri (il più lungo) dell’ambiente absidato mostra una risarcitura di epoca medievale come si evince anche dalla presenza di frammenti di tegole vacuolate nella muratura, rivelando in tal modo di essere rimasto in uso nell’abitato medievale.

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graffito, che probabilmente si ripetevano accanto alla terza croce (rimane solo l’omega). I motivi a traforo della fila al centro, meno ben conservata, erano costituiti da un motivo cruciforme (lettera ?), da una barra verticale (lettera ?), da una lettera maiuscola; in alto, un circolo sopra la , mentre un altro circolo si trovava sotto, bordato da un motivo a incisioni parallele. Le lettere apocalittiche a graffito e le lettere a traforo, interpretabili come I(| || || || || |) X(| || || || || || |) N(| || || |), indicherebbero che questo mattone, probabilmente una grata, fosse impiegato in un ambiente ad uso cristiano. Costituisce così una delle poco frequenti testimonianze cristiane del complesso della villa, finora fornite da alcune lucerne con simboli cristiani riscontrabili nel gruppo di 46 lucerne di fine V - inizi VIII secolo rinvenute nel frigidario delle Terme della villa e che hanno fatto supporre che quest’ambiente in età bizantina avesse avuto una funzione cristiana83. Per la tecnica a traforo su supporto fittile un confronto può essere fatto con il sostegno di un incensiere di Sofiana, dove ricorrono tra le figure traforate triangoli e croci84.

I nuovi ritrovamenti ci permettono di rivedere l’opinione che la villa di Piazza Armerina, come anche le altre ville tardoantiche siciliane, mancasse di una pars fructuaria, ossia di un settore dedicato alla produzione agricola, perché ambienti così grandi disposti ai lati dell’entrata ufficiale fanno ritenere molto possibile che, oltre a immagazzinare i prodotti, servissero anche alle attività produttive connesse all’agricoltura85, in analogia a quanto è noto in altre ville tardoantiche86. Possiamo dunque insistere anche per la Villa del Casale che non siamo di fronte ad una sorta di villa suburbana, a molti chilometri di distanza da grossi centri urbani, ma ad un’unità residenziale, amministrativa e produttiva. Sicuramente, altri settori della villa sono ancora da scoprire, considerato che i vani complessivamente messi in luce non sono sufficienti a ospitare un seguito numeroso, né vi si trovano cucine. Certo è che va sottolineato ancora un altro tratto distintivo della

83 GENTILI, La Villa, cit., I, p. 233; II, p. 87, n. 24; P. PENSABENE, Trasformazioni, abbandoni e nuovi insediamenti nell’area della Villa del Casale, in L’insediamento medievale sulla villa del Casale di Piazza Armerina, Galatina 2008, pp. 13-66, sp. p. 16, fig. 2.

84 M. LAURICELLA, I materiali, «La Sicilia centro-meridionale tra il II ed il VI sec. d.C.», Mostra Caltanissetta - Gela 1997 (2002), p. 217, n. 127, fig. 59. Sulle lettere associate alla croce, cf. M. GUARDUCCI, Epigrafia greca, Roma 1978, IV, pp. 310-311, dove è anche documentato il caso di lettere in ordine inverso ( ) come nel nostro caso. Le lettere alfa e omega si riferiscono ovviamente ad Apocalisse 21, 11.

85 Cf. WILSON, Luxury, cit., pp. 539 e 541.86 Ad esempio nella villa di Agnuli a Mattinata, nel Gargano (Puglia settentrionale), dove

la ristrutturazione tardoantica comportò l’ampliamento dell’oletum precedente con l’aggiunta di nuove strutture per la produzione olearia: VOLPE, Paesaggi, p. 312.

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villa, quello cioè della contrapposizione tra parte di rappresentanza e di abitazione del dominus87, delimitata da un perimetro chiuso, e pars rustica destinata ai magazzini, alle piccole terme e ad altre strutture, organizzata in un complesso unitario antistante e di fianco al piazzale d’ingresso. Sono tratti che la accomunano, insieme all’imponenza della costruzione ed alla pianta articolata, a molte altre ville nello stesso periodo, anche se lontane geograficamente, che tuttavia, come la villa del Casale, dominavano le campagne al centro di amplissimi latifundia.

Ribadiamo come si profili anche per la villa del Casale il tipico quadro tardo antico del ruolo dirompente del latifondo rispetto ai centri urbani, di alcune delle cui funzioni s’impossessa, quali il mercato, l’artigianato, la vita associativa, fino ad arrivare a modificare il sistema viario a suo vantaggio88. Secondo il trattatista di agricoltura Rutilio Palladio, che scrive tra IV e V secolo, la pars rustica e la pars fructuaria erano separate dal praetorium (ossia la parte residenziale) e si articolavano a distanze più o meno grandi dalla villa: più vicino si trova l’area aperta, il frutteto e l’orto, le cisterne, i bacini in pietra, gli alveari, il granaio (in un luogo asciutto), il frantoio; mentre le stalle, collegate a un cortile aperto e alle concimaie, poco sane, si collocano a distanza, assieme al pagliaio e alla legnaia, pericolosi in quanto infiammabili. La cantina deve però essere lontana sia dall’acqua (bagni, cisterne), che dal fuoco (fornaci) e dalla concimaia. Manca però ogni riferimento alle abitazioni del personale di servizio e alle coltivazioni della proprietà89. Sembra dunque che Palladio proponga una pars rustica fortemente separata dalla pars urbana, quasi con caratteri di abitato rurale annesso. In effetti, nella villa di Desenzano, con la fase di IV secolo si assiste allo spostamento della pars rustica in una zona marginale, riutilizzando nel praetorium ambienti prima inseriti nella zona produttiva, e presso la villa di Masseria Ciccotti è venuto in luce un impianto produttivo tardoantico, che si configura come una sorta di villaggio90.

87 Cf. per una casistica delle ville con perimetri chiusi, S. RINALDI TUFI, Esempi meno noti di grandi residenze tardoantiche nelle province europee, «Milano capitale dell’Impero romano», Milano 1992, pp. 147-156; SCAGLIARINI, La villa, cit., p. 5.

88 D. VERA, Temi e problemi della Villa di Piazza Armerina, «Opus», 2, 1983, pp. 581-593.89 SFAMENI, Ville, cit., p. 15490 SFAMENI, Ville, cit., pp. 110-111.

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Rifacimenti, ristrutturazioni e aggiunte nel tardo IV secolo

I saggi stratigrafici del 1970 operati da Carandini, con i relativi rinvenimenti ceramici al disotto dei pavimenti della villa, come anche le numerose monete rinvenute negli scavi con l’effige di Maximianus, hanno ristretto la datazione della villa tra la fine del III e i primi decenni del periodo costantiniano. I nostri recenti interventi di scavo, al seguito dei lavori di restauro della copertura e dei mosaici della villa, che hanno dato luogo a nuovi saggi lungo una buona parte del suo perimetro esterno, sembrano confermare tale datazione; tuttavia altri saggi che nella stessa occasione abbiamo effettuato sotto il pavimento della corte dello Xystus e nella zona di raccordo tra questo e il peristilio, insieme a varie osservazioni91, indicano con chiarezza come si possa considerare un’aggiunta o trasformazione di seconda fase tutto il complesso sala triconca - Xystus92 e l’arco d’ingresso, la cui retrostante corte poligonale fu ugualmente trasformata in tale occasione (se ne abbassò il pavimento e venne introdotto un colonnato ionico per il portico che la circondava). Tali importanti lavori di ristrutturazione, insieme a rifacimenti e restauri, come i nuovi rivestimenti marmorei sopramenzionati delle pareti di ambienti dell’Appartamento del dominus, prima solo intonacate93, e delle vasche annesse al frigidario delle terme, prima rivestite a mosaico, sono da collocare probabilmente ancora nel corso del IV secolo: furono causati forse, come ipotizzavano Carandini, Ricci e DeVos, dai danneggiamenti seguiti a un grande terremoto che colpì nel 365 l’isola94, ma certamente l’obiettivo fu anche quello di esaltare in maggiore misura il rango del proprietario, come mostra la marmorizzazione degli

91 Le osservazioni hanno riguardato i restauri antichi dei mosaici, i rifacimenti degli intonaci dipinti di molti degli ambienti, nuovi rivestimenti marmorei che abbiamo detto coprono i mosaici parietali di alcune vasche del frigidario e gli intonaci dei due cubicoli del c.d. appartamento del dominus, lavori di rinforzo delle absidi della Basilica, del grande Ambulacro (abside nord) e del c.d. appartamento del dominus attraverso contrafforti aggiunti: PENSABENE, Trasformazioni, cit., pp. 53-58; P. PENSABENE, E. GALLOCCHIO, Rivestimenti musivi e marmorei dello xystus di Piazza Armerina alla luce dei nuovi scavi, «Atti XV Colloquio AISCOM», (Aquileia 2009), Tivoli 2010, pp. 333-340.

92 PENSABENE, Trasformazioni, cit. Già CALDERONE, Contesto, cit., p. 194, riteneva che la costruzione della villa si fosse protratta nel tempo, ritenendo possibile addirittura che fosse cominciata dopo la pretura di Ceionio Lampadio tra il 335-340, con la cui famiglia identifica i proprietari.

93 GENTILI, La villa, cit., I, pp. 180-181 (Sala del Mosaico di Arione).94 CARANDINI et al., Filosofiana, p. 376, dove nella Fase III, datata tra il 365 e il 400, sono

collocati i restauri di due tra i più importanti mosaici della villa, quello dell’ambulacro 36 b e quello del grande triclinio 57 a; a questa fase è attribuito anche il rifacimento del tratto centrale del peristilio 19 d.

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ambienti in cui risiedeva quando in villa e ancora i personaggi di alto rango militare dipinti sui piloni della grande porta d’ingresso alla villa.

A questa fase, probabilmente ancora di IV secolo e forse da collocare in età teodosiana, è da attribuire l’aggiunta dello Xystus e della sala triabsidata al nucleo principale basilica-grande ambulacro-peristilio. Già in passato si era notato il collegamento poco organico tra i due complessi, ipotizzando fasi diverse95 a cui ora aggiungiamo l’osservazione che i recenti scavi archeologici hanno evidenziato una prima fase direttamente sotto il pavimento dello Xystus e sul retro: essa attesta come in età precedente vi fossero strutture imperniate intorno ad una corte rettangolare e dalle quali provengono testimonianze monetarie costantiniane96. Inoltre si è riscontrato che tutte le absidi relative alla Basilica, agli appartamenti del dominus e della domina e quella nord del Grande ambulacro hanno subito in un secondo momento un intervento di consolidazione dell’elevato tramite speroni e contrafforti, mentre questi mancano nelle tre absidi della sala triconca che risultano inoltre costituite da muri molto più spessi, che evidentemente hanno tenuto conto delle difficoltà strutturali determinate dai muri troppo sottili delle absidi della prima fase della villa. In particolare la Basilica presenta quattro massicci speroni alti quanto le pareti dell’abside e addossati perpendicolarmente alla curva e alle estremità del diametro, a cui si aggiungono contrafforti a quarto di cerchio negli angoli tra gli speroni lungo il diametro e la muratura. Anche queste strutture di consolidamento ebbero, come si è detto, la parete esterna rivestita da un’intonacatura bianca con una fascia rossa orizzontale che dunque sigla gli interventi di seconda fase; anche il lungo vano rettangolare aggiunto in un secondo momento al lato nord della villa (la c.d. cucina) presenta all’esterno del lato corto di fondo le stesse tracce di pittura, e si ha un’ulteriore conferma che tutto il muro esterno della villa era dipinto a finta incrostazione marmorea o motivi di giardino. Ad una seconda fase costruttiva rinvia anche il mosaico geometrico dello spazio aperto dello Xystus, che però si conserva in minima parte.

Il rialzamento del livello nello «spazio cerniera» tra il braccio sud del peristilio e lo Xystus determina la creazione di nuove scalinate per colmare i dislivelli, come quella piuttosto stretta con l’esiguo pianerottolo decorato con il mosaico del kantharos. Il ribassamento del livello della corte poligonale, invece, determina sia il taglio e l’eliminazione dello sbocco orizzontale di

95 G. LUGLI, Contributo alla storia edilizia della villa di Piazza Armerina, «Rivista dell’Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte», 20-21 (n.s. 11-12), 1963, pp. 28-82.

96 DE MIRO, La villa, cit., pp. 58-73.

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canali per acque di scarico, visibile ad esempio sul suo muro di recinto, in corrispondenza dell’angolo con il fianco della porta monumentale d’ingresso, sia l’aggiunta di una nuova scalinata, larga e con pochi gradini inserita tra di essa e il vestibolo del peristilio con il mosaico dell’adventus. Inoltre, al momento della costruzione di questa scalinata, vennero realizzati due banconi per sedersi ai lati dell’entrata dell’atrio, che confermano la costruzione seriore della porta: si tratta di una panca in muratura che si addossa al lato curvo ovest del cortile poligonale, interrotto per il pilone ovest della porta, ma che doveva continuare lungo tutto il lato est del grande piazzale d’ingresso. In effetti le fondazioni di un muro addossato a quelle della parete del lato est sono ora state trovate in un saggio al centro di questo lato, che proverebbe la continuità della panca se tali fondazioni le appartenevano.

Da considerare forse contemporanea all’aggiunta dei contrafforti all’abside è la costruzione di un secondo acquedotto – a muratura piena – ad est, mentre il primo, che da nord alimentava le terme, danneggiato dal crollo di alcune arcate, viene riarmato in parte innalzando un muro pieno che si appoggia ai piloni superstiti e in parte tamponando le arcate ancora in piedi.

La Villa del Casale in età bizantina

Nel corso dell’età bizantina (V-VII secolo) riteniamo si venne a consolidare una forma di villa fortificata, data proprio dal rinforzo delle strutture murarie che abbiamo verificato in particolare sul muro esterno dello Xystus, e da recinzioni difensive in cui furono inglobati gli acquedotti, caratterizzati dall’impiego di una tecnica muraria che prevede l’impiego di blocchetti di piccole e medie dimensioni legati con malta. Solo in tal modo spieghiamo la muratura piena dell’acquedotto est e la chiusura delle arcate dell’acquedotto nord (una sola arcata viene lasciata «aperta», dove s’inserì un portale d’accesso di cui restano i cardini delle valve (fig. 15) e che sembrano volte a garantire la protezione del settore nord del complesso. A questo si deve aggiungere la presenza di un muro di difesa, con relativo antemurale, ritrovato durante le recenti campagne di scavo nell’abitato medievale, ma che è allineato con la parte settentrionale dello stabilimento termale appena rinvenuto (fig. 16): presenta una tecnica costruttiva simile a quella degli acquedotti, ma con rinzeppature di frammenti di tegole che tendono a formare allineamenti orizzontali. Tali strutture possono essere

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comprese se inserite in un contesto storico di grande instabilità, quale viene a profilarsi nel tardo IV (v. i Visigoti di Genserico che arrivano fino alla Calabria) e nel V secolo per le incursioni dei Vandali e in quello successivo dalla guerra greco-gotica.

Per ciò che riguarda il primo periodo bizantino rileviamo che la continuità abitativa e l’esigenza di mantenere nella sua forma prestigiosa la villa è provata dai continui restauri del mosaico, in particolare nell’Ambulacro della Grande Caccia, nel braccio est del peristilio di fronte alla scale di accesso all’ambulacro (dove s’inserirono due fasce mosaicate con la probabile acclamazione di un auriga, Bonifatius) e nelle terme, anche se progressivamente si può parlare più di rappezzi che di integrazioni97. Si è anche proposto di mettere in relazione tale sforzo di mantenimento con un’eventuale appartenenza della villa in questo periodo ad un funzionario importante, richiamando il passo della Vita di S. Gregorio Agrigentino, redatta dal presbitero bizantino Leonzio, che menziona un esarca residente presso Filosofiana ( )98, dalla Cracco Ruggini però interpretato come allusione al pretore romano che avrebbe esercitato a Filosofiana la sua attività giudiziaria99. È in ogni caso probabile che già nel corso del VI secolo il latifondo connesso con la villa passasse sotto il controllo della chiesa, se possiamo identificare la massa Gelas, dove Gregorio Magno ordinò (in alternativa a Siracusa) di consegnare quote di produzione di patrimoni ecclesiastici100, con la mansio Gelas in Philosophianis citata nell’Itinerarium Antonini.

Certo, possiamo segnalare interventi di rafforzamento del muro perimetrale della villa, in quanto è ora possibile integrare in base a nuovi scavi nel settore subito a sud dello Xystus (Saggio XV) la ricostruzione proposta dal Gentili – che limitava solo a tre gli ambienti qui esistenti101 – con due avancorpi posti ai lati di questi che ci restituirebbero l’immagine di un recinto munito della villa, in quanto dotato di piccole torri sporgenti in funzione difensiva. A questa fase ne segue una successiva in cui viene

97 CARANDINI et al., Filosofiana, cit., pp. 376-377; SFAMENI, L’insediamento, cit., pp. 96-97; PENSABENE, GALLOCCHIO, Rivestimenti, cit.

98 Vita Greg. Agrig., 58-59, PG 98, col. 649; cf. A. RAGONA, Il proprietario della Villa romana di Piazza Armerina, Caltagirone 1962, p. 23.

99 L. CRACCO RUGGINI, La Sicilia tra Roma e Bisanzio, «Storia della Sicilia», III, Napoli 1980, pp. 3-96, sp. 66, 85; SFAMENI, L’insediamento, cit., p. 97.

100 GREG., Reg., IX, 236 (II, p. 232): cf. MANGANARO, Note storiche, p. 188 e bibl. citata.101 Sembrerebbe che al momento dello scavo il muro di fondo dei tre ambienti suddetti

si conservasse soltanto tra cm 20 e 60 e, in quanto l’unico riconosciuto, sia stato ripreso per un’altezza di poco inferiore ai due metri: LUGLI, Contributo.

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ricavato un vano stretto e lungo attraverso la costruzione di un nuovo muro gettato tra i due avancorpi, con muretti divisori che proseguono quelli già esistenti nord-sud tra i tre ambienti: data la strettezza del vano è possibile considerarlo l’alloggiamento per un terrapieno con lo scopo di irrobustire il recinto in funzione difensiva. Si è detto come un breve tratto di un più robusto muro di recinzione con un antemurale è stato scoperto invece ancora più a sud, con frammenti ceramici che lo situerebbero nel VI secolo102.

È probabile che, in analogia a quanto si verifica in Italia e in Africa durante il periodo bizantino, quando le attività produttive della campagna si spostano per motivi difensivi all’interno fortificato delle città, anche nel caso della Villa del Casale ci si trovi di fronte ad un processo di spostamento di tali attività all’interno del suo perimetro. Infatti in un saggio del 2008 (XIII) nello spazio di risulta tra l’angolo sudovest della Villa103 e il ninfeo dello Xystus è emerso dal terreno la parte nord di un ambiente rettangolare che inquadra una struttura circolare, che era stata messa in luce dagli scavi di De Miro negli anni ’80104 e di cui si conserva solo il primo filare di una muratura a blocchetti irregolari tenuti insieme da malta terrosa e non da calce: poiché questa struttura riutilizza come limite ovest il muro di recinto del piazzale della villa, a cui si appoggia, ne abbiamo dedotto una fase di occupazione degli spazi di risulta da ricollegare all’interno del periodo più tardo di vita della villa.

Più chiara è la funzione della struttura venuta alla luce nel saggio (IX) del settore più a nord, denominato da Gentili «cucina», perché lo scavo ha restituito un muro arcuato in ciotoloni e privo di calce che si ancora ad una piccola cisterna più a ovest, questa volta costruita in opera cementizia, foderata internamente con malta idraulica e provvista di due fori di adduzione e di scarico costituiti da fistole plumbee. È possibile che tale struttura sia collegabile con un ulteriore muro in blocchetti irregolari e senza calce da noi messo in luce sempre in quest’area, con andamento est-ovest, che taglia la canaletta e che a sua volta è interrotto da una fossa di scarico medievale in cui è stato ritrovato il vago in oro di un orecchino. Saremmo di fronte nuovamente ad approntamenti produttivi inseriti all’interno del perimetro

102 PENSABENE, Trasformazioni, cit., pp. 14, 21, 22, figg. 1, 10.103 L’angolo sud ovest della villa è costituito dall’estremità sud del muro che limita a est il

piazzale antistante l’arco d’ingresso e dal tratto di muro appartenente al lato sud del recinto che doveva circondare tutta la villa.

104 DE MIRO, La villa, cit., p. 61.

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della villa nel periodo bizantino, come già abbiamo visto a proposito del saggio XIII.

Infine, i ritrovamenti ceramici hanno permesso di considerare come parte di una necropoli tardo-imperiale/bizantina le numerose tombe trovate dall’Orsi sul Monte Mangone105 ai cui piedi sorge la villa del Casale: da esse sembra provengano tre frammenti d’iscrizioni funerarie in greco e forse una in latino106. In un recente sopralluogo (2007) abbiamo identificato una decina di tombe che appaiono molto simili nella loro forma a cassone con le pareti in muratura a quelle presso la basilica di Sofiana107 o la basilichetta bizantina di Serra Casazze a Rossomanno108 o ancora le tombe sempre di età bizantina di Montagna di Marzo.

Sul periodo di abbandono della villa alcune informazioni si ottengono da un’osservazione sistematica delle modalità di ritrovamento delle colonne, degli altri elementi architettonici e anche delle sculture: infatti l’area di caduta dei colonnati, nei casi in cui sono rimasti nella stessa posizione di crollo, la presenza o meno di interri tra gli elementi e il pavimento antico, o ancora lo spostamento e l’accumulo di marmi architettonici in luoghi distanti dal loro originario impiego contribuiscono a chiarire le attività di demolizione e di spoglio subite dalla villa e in parte anche a circoscrivere il periodo di progressivo abbandono tra VII e VIII secolo. Si è rilevato ad esempio che le colonne del Peristilio vennero rinvenute abbattute quasi direttamente sul pavimento della corte del peristilio «con i sommi scapi rivolti generalmente verso il suo interno», risultando come siano andate asportate dagli spogliatori, soprattutto quelle del lato occidentale109. Tuttavia il numero dei fusti del peristilio (10 nei lati lunghi e otto in quelli corti) per un totale di 32, ci è assicurato dall’aver ritrovato quasi tutte le basi-attiche (lato plinto cm. 65, diam. sup. cm. 55) in situ, perché inglobate nella muratura di sostegno dei plutei che in un secondo momento chiusero gli intercolumni.

105 G.V. GENTILI, Piazza Armerina. Grandiosa villa romana in contrada Casale, «Notizie degli Scavi di Antichità», s. VIII, 4, 1950, pp. 291-335, sp. 292-294: tra il materiale una brocchetta monoansata in sigillata africana – forma Hayes 180 – del V secolo; C. BONANNO, Dal Casale dè Saracini alla Villa romana, a Placea: la Villa del Casale dai più antichi ritrovamenti alle ricerche recenti, «Iblatasah Placea Piazza. L’insediamento medievale sulla Villa del Casale: nuovi e vecchi scavi», Catalogo della Mostra, Piazza Armerina 2006, pp. 71-80, sp. 75.

106 MANGANARO, Note storiche, cit., p. 188, figg. 27-30.107 L. BONOMI, Cimiteri paleocristiani di Sofiana, «Rivista di Archeologia Cristiana», 40,

1964, pp. 169-220. 108 P. BONANNO, C. BELLONE, L. BELLONE, Archeologia e Storia di Valguarnera Caropepe e

Rossomanno, Assoro 2006, p. 30, fig. 175.109 GENTILI, La villa, cit., I, p. 71.

71VILLA DI PIAZZA ARMERINA: INTERVENTO DELLA SAPIENZA-UNIVERSITÀ DI ROMA

I fusti del grande ambulacro sono stati rinvenuti invece su un interro abbastanza spesso, di ca. mezzo metro, che conteneva solo frammenti di sigillata D, insieme a frammenti d’intonaco e di parti di plutei marmorei: l’interro si era formato sul pavimento del braccio est del peristilio e indica che il crollo del colonnato del grande Ambulacro è successivo a quello del peristilio110.

Il ritrovamento da parte del Gentili di piccole cataste di lastre ha fatto pensare che a loro volta i marmi della villa avevano subito in età altomedievale l’inizio di un’operazione di spoglio per essere reimpiegati, ma questa operazione fu solo parziale e molto successiva all’abbandono della villa (quindi dopo che si erano formati i grandi strati di abbandono e di occupazione medievale), perché nella maggior parte dei casi i rivestimenti marmorei sono stati trovati o in posizione di crollo al di sopra di un primo strato di abbandono che si era formato sopra i pavimenti a mosaico della villa, o nei successivi strati. Quando l’altezza dei vari strati di abbandono e di occupazione era tale da aver impedito agli insediamenti medievali di sconvolgere gli strati di abbandono al di sopra dei pavimenti, più facilmente si sono incontrati i crolli dei rivestimenti parietali ancora nella loro posizione originaria.

Strutture medievali rinvenute durante gli scavi della villa

È probabile che nel corso del periodo altomedievale (dal VII secolo) le strutture della villa subiscano non solo abbandoni, ma una parziale rioccupazione, in un fenomeno di continuità o ripresa dello sfruttamento di territori seminativi. Per esempio, il ritrovamento sopracitato di numerose lucerne, alcune con simboli cristiani, all’interno del frigidarium delle terme fa supporre che questo ambiente, in epoca bizantina, sia stato utilizzato come oratorio. Il progressivo interramento della villa provoca il mantenimento solo di determinati settori: area dell’abside della basilica, palestra delle terme, ambienti a nord del peristilio, portale. In altri casi si assisterà alla costruzione di nuove strutture abitative che non mostrano alcun legame con quelle della villa. Questa situazione si protrae in epoca arabo-normanna quando l’insediamento, sicuramente a partire dal tardo X secolo, supera allora i limiti della villa antica e della cinta bizantina (quest’ultima interrata

110 V. più ampiamente PENSABENE, Trasformazioni, cit., pp. 51-53.

72 PATRIZIO PENSABENE

da successive alluvioni così come gli acquedotti), estendendosi a nord e a sud di essa, nonché a SW verso il fiume Gela.

I resti di edifici post-antichi da noi messi in luce (vedi oltre) sono da connettere con quelli già rinvenuti dai precedenti scavatori un po’ dappertutto sopra e accanto i ruderi della villa, e non in un’area determinata111: dai resoconti di Gentili e in parte anche da piante della villa in cui vengono riportati, sono attestati in particolare sulla Sala Triabsidata112, nella Palestra delle Terme, dove due muri medievali la dividono in tre ambienti, o ancora lungo tutto il lato nord, fino all’abside con mosaico dell’Africa dell’Ambulacro della Grande Caccia113, e lungo il lato est, dove i ruderi medievali s’inserivano tra la villa e il tratto di muro continuo dell’acquedotto che adduceva l’acqua al castellum aquae; ancora va menzionato il ritrovamento nel settore centrale dell’Aula Basilicale di «due grandi tombe polisome tarde», di cui non è data altra notizia114. Con

111 Gli scavi più antichi risalgono al 1812, quando un romano, Sabatino Del Muto, ebbe il permesso di cercare oggetti di antichità nella zona trovando, pare, un mosaico che fu interamente distrutto: GENTILI, Piazza Armerina, p. 291. Nel 1881 il Municipio di Piazza incaricò l’ing. Pappalardo di eseguire alcuni saggi, e fu trovata in tale occasione l’aula triabsidata con parte del mosaico delle fatiche di Ercole oltre a frammenti di un pavimento in opus sectile; i resti archeologici allora scoperti furono però subito reinterrati: GENTILI, Piazza Armerina, p. 292; cf. L. PAPPALARDO, Le recenti scoperte in contrada Casale presso Piazza Armerina, Piazza Armerina 1881. Gli scavi di P. Orsi e R. Carta del 1929, sia presso la necropoli cristiana di Monte Mangone, sia presso la Villa, dove fu ampliato lo scavo del Triclinio, furono seguiti dal 1935 al 1941 da quelli di G. Cultrera e D. Inglieri che scavarono in estensione il Triclinio, costruendo anche una copertura in muratura per i mosaici e provvedendo al loro consolidamento (GENTILI, Piazza Armerina, p. 295). Infine dal 1950 al 1951 la Soprintendenza della Sicilia Orientale, con L. Bernabò Brea e G. V. Gentili, completò lo scavo del settore del Triclinio, e l’intero monumento fu scavato nel giro di alcuni anni.

112 G. CULTRERA, Sicilia: Piazza Armerina, «Bullettino della Commissione Archeologica del Comune di Roma», 68, 1942, Notiziario. Appendice, p. 129; L. BERNABÒ BREA, «Notizie degli Scavi di antichità», 1947; GENTILI, La villa, I, p. 20: nel lato ovest della Sala Triabsidata «il pavimento subì le più gravi distruzioni, anche perché sull’ambiente romano si sovrapposero alcune casupole di carattere agricolo, i cui muri, di poverissima struttura in pietra e fango, furono per l’occasione rimossi».

113 GENTILI, La villa, cit., p. 23: nel 1953 «al di sotto del casale del Quattrocento e del sottostante abitato arabo-normanno, si sono individuate le due sale interne, la prima con una scena di danza, la seconda con Amorini Pescatori […] Ma in questo scorcio di anno lo sforzo maggiore è stato riservato all’esplorazione di tutta la zona ad oriente del corridoio della Grande Caccia. Il lavoro, condotto sempre secondo il metodo stratigrafico, dopo lo scalpellamento del terreno artificiale, ha rivelato anche qui la presenza dei resti di muri delle case tarde, e a maggior profondità le testimonianze dell’abitato arabo-normanno, che dovette costituire quella che fu la vecchia Piazza distrutta nel sec. XII da Guglielmo II, e che si era annidata tra le strutture superstiti, ed in qualche caso utilizzando gli ambienti stessi, dell’antico monumento romano».

114 GENTILI, La villa, cit., I, p. 23.

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queste strutture sono da collegare gli interventi che subisce l’acquedotto della villa, nel quale il tratto ad arcate che partiva dal castellum aquae fu di nuovo tamponato in epoca medievale forse ancora per esigenze di fortificazione – ma va notato lo scarso spessore della tamponatura – e anche per sostenere le reni delle arcate, mentre il tratto che portava l’acqua al castellum subì risarciture e anche in alcuni punti il raddoppio del muro115.

Il tratto dell’insediamento da noi scavato per un’ampia estensione, ma che già era stato individuato da un saggio di scavo eseguito negli anni ’90 da L. Guzzardi, ha confermato un dato già emerso durante gli scavi di Gentili, cioè la non coincidenza tra i muri medievali e quelli tardo-antichi, che pur sovrapponendosi, hanno raramente la stessa direzione e solo in pochi casi furono riutilizzati come pareti di nuovi vani, e a ciò forse si deve il fatto che non furono del tutto demoliti per ricavarvi pietre da riutilizzare nei muri dei nuovi edifici: basti citare il grande muro perpendicolare all’angolo sud-est della basilica, che già in antico era stato contraffortato da un muro a quarto di cerchio che si appoggiava anche alla curva dell’abside, e che in epoca medievale fu riutilizzato come parete ovest di un vano irregolarmente quadrangolare, di cui il Gentili aveva messo in luce le pareti est e sud, poi demolite116. Anche il vestibolo (17) sul braccio nord del portico del peristilio deve essere stato integralmente riadoperato in età medievale, perché fu modificato solo il suo mosaico pavimentale, sostituendolo con una “grossolana pavimentazione di rozzo pietrame”, e a ridosso della parete orientale si aprì un pozzetto di cm. 85 di diametro117.

Inerente alla tematica del riuso delle strutture murarie della villa, vanno rilevate quelle conservate per una notevole altezza e che, dunque, non subirono demolizioni e crolli perché molto probabilmente funzionali all’insediamento medievale: oltre alla zona absidale dell’Aula Basilicale (32), va citato in questo senso il settore orientale del Peristilio (8) dove i muri raggiungono nell’angolo sud-est ancora un’altezza di m. 3, mentre vanno digradando nel settore occidentale, dove i muri antichi sono alti circa m. 0,70118. Si sono conservati per una notevole altezza anche i piloni della monumentale porta d’ingresso a tre fornici, che era preceduto da un piazzale, sul cui interro il Cultrera aveva rinvenuto numerose strutture medievali119.

115 GENTILI, La villa, cit., I, p. 15, fig. 3.116 Ibidem.117 GENTILI, La villa, cit., I, p. 99.118 GENTILI, La villa, cit., I, p. 65.119 GENTILI, La villa, cit., I, p. 31, fig. 2: «… alle strutture tardo-medievali, delle quali davanti

al piedritto di sinistra del portale sino a m. 2 di distanza si sono riconosciute le tracce di una

74 PATRIZIO PENSABENE

Inoltre, in varie occasioni di scavo, anche precedenti a quelle di Gentili, sono stati ritrovati ad una quota molto superiore rispetto ai pavimenti antichi a mosaico resti di crolli che non sembrano necessariamente attribuirsi ai muri della villa, dato l’altezza del reinterro su cui poggiavano: ad esempio nello scavo dell’Atrio120 di cui è nota la misura dell’interro, pari a m. 3,50, «come tutti i quartieri della villa», all’interno del quale si distinse «uno strato di terra scura con abbondanti frammenti di coppi della rovina dell’abitato medievale spesso intorno al mezzo metro» sotto il quale gli strati successivi erano caratterizzati da «sparso pietrame» e da ceramiche acrome e invetriate arabo-normanne; ancora, nello scavo del vano centrale del Triclinio, dove nell’intervento del 1881 promosso dal Comune di Piazza Armerina, s’incontrò «un potentissimo banco sabbioso, frammisto di una grande quantità di pezzi di tegole laterizie e di pietre di varia grandezza, specie verso il fondo»121, che corrispondono esattamente agli strati di crollo su terreni alluvionali sabbiosi che abbiamo rinvenuto nel nostro scavo e che sono da connettere all’abbandono delle strutture medievali.

Vanno ancora menzionate le piccole cataste di crustae marmoree e di elementi architettonici evidentemente radunati al momento della spoliazione per essere riutilizzati altrove e di nuovo attribuibili al periodo medievale anche per il collegamento con muri di questo periodo122.

In particolare, rinvenimenti medievali123, quasi tutti completamente rimossi, sono segnalati nei seguenti ambienti:- Settore settentrionale del peristilio, dove in uno strato di pietrami quasi

pavimentazione a vespaio impostate sopra la rovina di coppi della vecchia Piazza normanna …».120 GENTILI, La villa, cit., I, p. 46.121 GENTILI, La villa, cit., I, p. 18122 GENTILI, La villa, cit., I, p. 44: sul piano del piccolo cortile pentagonale che ingloba la

latrina a nord est dell’Atrio «si trovò depositato quasi intenzionalmente un gruppo di marmi, rappresentati da crustae d’intarsi parietali, da cornici, da una colonnina alta cm. 73 e di cm. 12 di diametro e dal frammento di altra, da una base di parasta, da un capitello quasi completo alto cm. 22 e largo al collarino cm. 16 e da altri pezzi di capitelli pure di parasta, di cui due corinzi, l’uno dei quali di rosso antico … e quattro follari di rame normanni, da mettere in rapporto con un muretto rozzo, diretto da nord a sud, superstite per mezzo metro di altezza che aveva diviso al centro il cortile».

123 Non citiamo i casi in cui sono stati ritrovati solo strati di abbandono o di occupazione medievale, perché praticamente riguardano quasi tutti gli ambienti della villa. Abbiamo invece citato sopra solo alcuni strati di abbandono relativi al crollo degli elementi architettonici marmorei più grandi, mentre non possiamo menzionare tutti gli strati di abbandono in cui sono stati rinvenuti lastrami marmorei: ad esempio, nella Stanza con il Mosaico delle Palestrite (26), dove gli strati al di sopra del mosaico raggiungevano ben sette metri di altezza e dove si rinvenne intatto sopra il pavimento «un battume di terra nerastra» con vari detriti, tra cui frammenti di crustae marmoree, ecc.: GENTILI, La villa, cit., I, p. 125.

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suggellato da pezzami di cotto sono stati rinvenuti un «fornetto da pane con appresso la traccia di un muretto tardo», ancora «qualche scarso resto di muretti per un elevato di una quarantina di centimetri assieme ad un battume di terriccio argilloso di evidente rozza pavimentazione»124.

- Cortile in funzione di vestibolo (10) alla latrina del Peristilio, dove si è individuato uno scasso medievale nel pavimento per recuperare la fistula di piombo; nel vano (13) fu invece inserita una fornace per ceramica sfondando il pavimento a mosaico125.

- Vestibolo (17) sul lato nord del peristilio, dove l’originario pavimento a mosaico policromo figurato fu sostituito in età medievale da «una gros-solana pavimentazione di rozzo pietrame», mentre contro la parete est fu aperto un pozzetto126.

- Stanza col mosaico delle «Danze a Ratto» (18), divisa in età medievale da un muro nord-sud poggiante direttamente sul pavimento a mosaico, che si conservava per un’altezza di circa un metro.

- Vestibolo col Mosaico dei «Busti delle Stagioni» (19), dove si sono distinti ad una quota di cm. 80 al di sopra del mosaico «un nuovo piano in battume… creato nella sua riutilizzazione in età medievale» che deter-minò il rialzamento della soglia tramite il reimpiego di due diversi capi-telli ionici (diam. cm. 33 e 36), prelevati da altri ambienti, e un pozzetto nell’angolo nord-ovest che perforò il mosaico, mentre ad una quota di «quasi due metri sotto il piano di campagna… il resto di un rozzo muro di pietrame tardo-medievale»127.

- Sala col mosaico della Piccola Caccia (21), divisa in età medievale da un muro est-ovest, conservato per un’altezza di cm. 85 circa, con apertura all’estremità est ed eretto «sul letto di una ventina di centimetri della rovina delle parti superiori della dieta con detriti calcinosi e…pezzami di coppi».

- Vestibolo con Mosaico Geometrico (22), con strato di circa cm. 70 al di sopra del pavimento a mosaico, superiormente con «battume pavimen-tale per la frequentazione dell’ambiente in età medievale» e pozzetto (diam. cm. 50) che ha perforato il mosaico.

- Cortile a nord della villa (24) tra l’estremità nord dell’Ambulacro della Grande Caccia (31) e la c.d. cucina (15), con un originario interro di ca. m. 4: «nella stratigrafia, che lo componeva, si sono trovati affiora-

124 GENTILI, La villa, cit., I, p. 63.125 GENTILI, La villa, cit., I, p. 88.126 GENTILI, La villa, cit., I, p. 98.127 GENTILI, La villa, cit., I, p. 102.

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re dopo l’humus superficiale a cm. 60 di profondità resti di muri rozzi che dall’Abside della Grande Caccia si prolungavano verso ovest per un tratto di circa m. 11, dove risultarono delimitati dalle tracce di un muro diretto a nord, racchiudendo così il settore angolare di sud-ovest di una costruzione del borgo agricolo tardo-medievale, il Casale: i muri superstiti per un’altezza di circa cm. 45, s’impostavano su una fascia scura di pezzami di coppi estesa su tutta l’area». Va rilevato il «gettone monetale con scrittura cufica del diametro di mm. 22 ritrovato aderente al muro esterno della stanza degli Amorini Pescatori, al di sopra del piano antico»128.

- Stanza col Mosaico delle Palestrite (26) con pozzo medievale di oltre un metro di diametro nell’angolo sud-est129.

- Frigidario (57), con «ruderi di muri in pietrame dell’abitato tardo-medie-vale del Casale del sec. XIV-XV» trovati sotto «una fascia di pezzami di coppi». Sotto ancora, «le strutture murarie dell’abitato medievale normanno». Tra i materiali medievali «gettone monetale in vetro con scrittura cufica».

- Ambulacro della Grande Caccia (31), con interro originario da m. 5,80 a m. 4 (da nord a sud) dal livello di campagna.

- Basilica (32): all’esterno, nell’area tra il corridoio della Grande Caccia, l’abside dell’aula, il muraglione orientale dell’acquedotto e fin sopra la latrina ottagonale messi in luce «complesso di tratti di muri dell’abitato medievale arabo-normanno e del casale tardo medievale» che si addossa-vano alle strutture sopraccitate della villa, e nei quali si sono riconosciuti «ambienti di pianta rettangolare più o meno regolare»130. All’interno della basilica, in uno strato a circa cm. 70 al di sopra del pavimento antico, in uno strato a quasi quattro metri dal piano di campagna «sono state praticate due fosse-ossario rettangolari con orientamento est-ovest, la prima in muratura di pietrame di una trentina di cm di spessore, all’in-terno di m. 1,40 x 2,25» e con il fondo in laterizi rettangolari, dentro la

128 GENTILI, La villa, cit., I, pp. 117-118.129 GENTILI, La villa, cit., I, p. 126.130 GENTILI, La villa, cit., I, p. 145: «un ambiente rettangolare con disposizione est ovest,

largo m. 3 e lungo m. 7,50, di un abituro del casale, con resti di muri di pietrame, spesso cm. 45, che vanno scemando da un altezza di poco più di un metro ad est a mezzo metro ad ovest, impostati a m. 1,50 sotto il piano di campagna, ricadeva in corrispondenza dell’angolo nord est e del corrispondetentratto absidale della basilica; mentre altri due tronconi di muri pressoché paralleli, diretti a sud e a nord, distanziati di tre metri e superstiti per una lunghezza di circa otto metri l’occidentale e cinque metri l’orientale, ricadevano obliqui in corrispondenza del muro perimetrale sud della basilica prolungandosi in parte nel settore sud-ovest della sua aula».

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quale sono stati trovati una mezza dozzina di scheletri, la seconda con pareti meno curate di pietrame irregolare, di m. 0,80 x 1,90, con nove scheletri. Il Gentili riteneva si trattassero di scheletri prelevati da tombe bizantine, compreso i corredi.

- Vestibolo col mosaico di Ulisse e Polifemo (33): sopra il mosaico strato di ca. cm. 20 (a m. 4,30 sotto il livello di campagna) su cui furono rinve-nuti «parte del pietrame e dei detriti di rovina delle pareti».

- Il cubicolo orientale ad alcova ad esedra (35): «stratarello terroso di una ventina di cm sopra la pavimentazione», su cui si rinvenne, nel settore absidale, «rovina di tubi ad innesto con pezzate di pomici di volta del catino»131.

- Xystus (44): «resti di povere case di pietrame e pezzi laterizi legati con malta di terra del villaggio agricolo tardo-medievale… rimossi tra il 1944 e il 1950».Un discorso a parte meritano i saggi di scavo condotto nel 1983 da E. De

Miro nel piazzale che precede il portale d’ingresso a tre fornici (10 numeraz.Carandini) e il Recinto (12 numeraz. Carandini): l’area, subito a ovest del piazzale fu scelta per la presenza di «un banco di terreno risparmiato dagli scavi degli anni ’50 per essere stato lo spazio riservato all’alloggiamento di una baracca»132. Nei saggi all’interno del Recinto del piazzale si sono accertati tre livelli medievali, il primo relativo a muretti a pietrame legato con fango133, individuato al di sopra di uno strato di crollo «di tegole e intonaci e con ceramica di tipo c.d. arabo-normanno» che pare poggiasse sul piano di «calpestio tardo-romano»; il secondo, a 30 o 40 cm. al di sopra del precedente, al quale appartengono un grande ambiente con muri a pietre legate con calce, che utilizzano parzialmente le fondazioni di un muro romano est-ovest, e altri muri, tutti connessi con ceramica «invetriata e stagnata (dal XIV al XVI sec.) e monete aragonesi»134; il terzo «a circa m. 1,20/30 al di sopra del calpestio tardo-romano» relativa allo sviluppo a ovest del precedente ambiente con un «pesante muro (M1) sovrapposto in parte ai muretti suindicati di prima fase» e con ceramica di XVII secolo anche più tarda nei riempimenti135.

131 GENTILI, La villa, cit., I, p. 168.132 DE MIRO, La villa, cit., p. 58. 133 Ivi, p. 60: i muri sono denominati M1a, M2, M5, M5a, M6.134 Ibidem: i muri sono denominati M1bis, M1bisW per il grande ambienye, MR1 per il

muro romano, M6a, M6b, per gli altri muri.135 Ibidem.

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Nei saggi all’interno del piazzale d’ingresso i saggi hanno confermato quanto già visto dal Gentili136, che aveva comunque asportato le costruzioni medievali da lui rinvenute: si rivelata, dunque, l’esistenza di «muretti di fondazione di modeste casette medievali» ad una quota che corrispondeva al «livello del calpestio tardo-romano»; in particolare, presso il pilone ovest del portale sono stati riconosciuti due ambienti e una doppia vaschetta, attribuiti alla «prima fase medievale», su cui si sovrapposero «un muro e un selciato dell’ultima fase» i cui elevati erano stati demoliti duranti gli scavi del 1950137.

Altri saggi hanno riguardato gli ambienti a sud del cortile ovoidale (Xystus), dove si è rinvenuta una struttura circolare addossata al muro est del cortile d’ingresso138. Infine il De Miro cita alcuni saggi, di cui non fornisce la documentazione, effettuati «a circa 200 metri a Sud della Villa» e lungo una linea «suggerita dalla morfologia del terreno … limite che è stato segnato da un lungo muro in pietrame incerto a secco, a ridosso del quale si trovano strutture medievali»; ad esso sarebbe inerente uno «strato con crollo di tegole del livello tardo-romano»139. Viene ipotizzato che esso costituisse una «cinta di confine dell’insediamento medievale», ma di cui si deve approfondire il significato «nella organizzazione rurale del periodo medievale stesso»140.

Le strutture medievali rinvenute durante gli scavi 2004-2006

Il cantiere POR, da noi diretto, si è concentrato presso l’area meridio-nale, dove si era ipotizzata la presenza della Pars rustica della Villa: esso ha messo in luce un vasto settore dell’insediamento medievale, di cui abbiamo pubblicato il resoconto di scavo nel 2008141. La novità principale della nostra indagine archeologica è il riscontro sul terreno dell’ampiezza dell’in-sediamento medievale, già ipotizzato dal Villari a sud della Villa in base alle fotografie aeree: esso occupava non solo tutta l’area della Villa ed il terreno a sud di essa, ma anche – come attestano i risultati degli scavi recenti – un vasto settore a nord che è emerso sia subito dopo le Terme, sia oltre l’ex

136 GENTILI, Piazza Armerina, cit., p. 298.137 DE MIRO, La villa, cit., p. 60.138 Ivi, p. 61.139 Ibidem.140 Ivi, pp. 61-62.141 PENSABENE, Trasformazioni, cit.

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ristorante Imperial, dove gli scavi nell’area dell’intervento PIT (da destina-re ai nuovi parcheggi della villa), condotti dalla Soprintendenza di Enna nel 2007, hanno di nuovo individuato strutture medievali (cfr. fig. 1)142. L’insediamento continuava dunque anche a nord della villa, come provano i poderosi muri e strutture medievali destinate alla produzione, mentre è attestata la presenza di fornaci medievali lungo la sponda del fiume Gela.

La parte d’insediamento medievale da noi messa in luce consiste in circa 20 ambienti rettangolari, alcuni disposti intorno ad una corte centrale, altri dotati di stalle (fig. 18). Si ripartiscono in due fasi principali143: la prima di X- XI secolo, e forse estesa anche alla prima parte del XII, caratterizzata da una tecnica edilizia piuttosto accurata con muri a doppia cortina costituiti da ciottoloni di fiume e blocchetti di forma allungata rinzeppati con frammenti di tegole striate bizantine e, meno, vacuolate medievali e con riempimento di pietrame minuto (fig. 17); la seconda, invece, caratterizzata da una tecnica muraria nettamente diversa e inferiore alla precedente, con blocchetti di arenaria a clasti quarzitici rozzamente squadrati e irregolari, prelevati dalle murature della villa e con tracce di malta ancora attaccate, messi in opera con interi grumi di malta biancastra sempre presi dalla villa, e rinzeppati ora prevalentemente da frammenti di tegole vacuolate; meno rigorosa appare inoltre la spiombatura dei muri rispetto alla fase precedente (fig. 19). Va rilevato che questa seconda fase fu costruita direttamente sui muri crollati della fase precedente (fig. 20), addirittura riutilizzandone alcuni come fondazione: manca dunque uno strato consistente di terreno alluvionale tra le due fasi e ciò conferma l’immediatezza della ricostruzione che deve essere avvenuta poco dopo l’abbandono o comunque il crollo della precedente. Nel settore dell’insediamento da noi scavato, dunque posto a sud della villa, compaiono le tipiche case arabo normanne già indagate a Segesta, Rocca Entella, Monte Vago e Monte Iato, basate su un unico ambiente rettangolare allungato, in cui si svolgevano tutte le funzioni abitative e che si disponeva attorno ad una corte a L, o a U o quadrata144. Si tratta di una formula abitativa nota in siti maghrebini del XII secolo e messa in relazione con case intorno al cortile, dove si svolge l’attività lavorativa, legata al diffondersi della civiltà islamica145.

142 Lo scavo di quest’area è stato seguito nel 2007 da C. Bonanno e F. Sudano.143 Cf. P. BARRESI, I risultati delle campagne di scavo 2004-2005, in L’insediamento medievale

sulla villa del Casale di Piazza Armerina, Galatina 2008, pp. 133-157.144 BARRESI, I risultati, cit., p. 150 ss.145 Cf. anche A. MOLINARI, Segesta II. Il Castello e la Moschea (scavi 1989-1995), Palermo

1997, p. 109 su un’edilizia contadina che adatta le abitazioni a vari nuclei familiari di un clan, focalizzati intorno ad una corte interna.

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Infine si aggiunge una fase minore (meglio considerabile come un prolungamento «stentato» della seconda) di tardo XII- XIII secolo, nella quale si addossano muri alle costruzioni precedenti, per creare ambienti esterni di carattere provvisorio146: la cronologia proviene dall’uso in questa fase di ceramica da cucina diffusa tra il XII e XIII secolo e dal crollo di alcuni ambienti (V e VII) in cui sono state trovate monete di Guglielmo II; manca la tipica ceramica federiciana, cioè la Gela ware, ma si è rinvenuta una moneta di Federico II nella rasatura di un muretto dell’ambiente XVII, che può segnare la definitiva fine dell’insediamento, già ridotto e impoverito, agli inizi del XIII secolo147.

L’abitato medievale: formazione e inquadramento nella storia dei casali in Sicilia

L’insediamento medievale sull’area della Villa del Casale rientra in un fenomeno di continuità - ripresa dello sfruttamento di territori seminativi favorita dalla presenza di corsi d’acqua, come il fiume Gela e di fiumare che garantivano le condizioni per una buona produzione agricola, ma favorita anche dall’esistenza di edifici antichi in disuso che potevano costituire un’eccellente cava di materiali edilizi. Abbiamo visto come siano stati individuati strati di abbandono e di frequentazione al di sopra dei pavimenti a mosaico, sui quali avvenne il crollo delle colonne e dei rivestimenti marmorei delle pareti, che indicano un’occupazione probabilmente già dal VII secolo delle strutture della villa. In seguito queste furono soggette a ulteriori distruzioni e interri, che hanno avuto come conseguenza solo un parziale uso di ambienti antichi (Area dell’abside della Basilica, Palestra delle Terme, ambienti a nord del peristilio, Portale) e maggiormente la costruzione di nuove strutture abitative al di sopra degli interri e senza rapporti con i muri della villa, se non nell’uso dei pietrami di crollo. La tipologia delle strutture evidenziate dai nostri scavi (che hanno permesso di capire quelle rinvenute e distrutte negli scavi precedenti, genericamente definite «casupole») consentono di ricostruire l’immagine di un abitato medievale rivolto all’agricoltura, come conferma il ritrovamento di vomeri, coltellacci, falcetti, ferri di cavallo, e all’allevamento di animali destinati al consumo della popolazione locale (numerosissime le ossa suine rinvenute

146 MOLINARI, Segesta II, cit., p. 140.147 Cf. più dettagliatamente sulle fasi dell’insediamento, BARRESI, I risultati, cit.

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negli strati di abbandono): sono emerse unità abitative composte da un vano principale quadrangolare, con annessi minori, sia isolate, sia connesse da irregolari cortili in modo da formare una specie di «baglio» ante litteram. Vari indizi, soprattutto emergenti dalle trasformazioni subite dalle strutture dell’acquedotto, in alcuni casi raddoppiate, nel tratto ad arcate tamponate, fanno pensare ad opere di fortificazione; lo spessore dei muri medievali che si addossano all’abside della Basilica fanno inoltre ritenere che in età medievale qui si fosse costituita una specie di rocca dell’abitato, mentre la presenza di tombe nell’area interna della aula rettangolare sempre della Basilica potrebbe indirizzare ad una ricerca in questo spazio delle sede di culto dell’abitato.

L’insediamento rientra dunque in quegli abitati tipici dell’interno dell’isola, contrapposti per le dimensioni limitate ai centri costieri, e sorti presso strutture assimilabili a castelli o a rocche, presso cui appunto si svilupparono modeste abitazioni già dal periodo arabo. I documenti normanni di XII secolo ci testimoniano l’esistenza di alcune centinaia di questi casali, senza che tuttavia si possa parlare, come osserva il Peri, di un «reticolo» di stabilimenti rurali148: i rinvenimenti più recenti indicano anche per la Sicilia centro meridionale la vitalità di alcuni di questi casali o nuclei sparsi, insieme ad abitati dell’entroterra più vasti fino al XIII secolo (Soriana, Muculufa, Bitalemi), per molti altri anche dopo, fino al XV secolo (Castelluccio, Castellazzo, Castello di Pietrarossa), o fino ai giorni nostri (Caltanisetta, Enna)149, mentre le ricognizioni sul terreno condotte ad esempio nella pianura di Gela mostrano la presenza di nuclei abitati medievali sorti su strutture più antiche, probabilmente fattorie romane150, che confermano varie notizie ricavate dai documenti sull’esistenza di casali151.

148 I. PERI, Uomini città e campagne in Sicilia dall’XI al XIII secolo, Bari 1990, p. 8.149 S. FIORILLA, Considerazioni sulle ceramiche medievali della Sicilia centro-meridionale,

in L’età di Federico II nella Sicilia Centro Meridionale, Atti Giornate di Studio (Gela 1990), Agrigento 1991, pp. 115-169, sp. 150.

150 FIORILLA, Considerazioni, cit., p. 150.151 C.A. GARUFI, Per la storia dei secoli XI e XII, «Archivio Storico per la Sicilia Orientale»,

1913, pp. 349-357, sp. 355-356; C.A. GARUFI, Il Castrum Butera e il suo territorio dai Bizantini ai Normanni, Note e appunti di Storia e Toponomastica, «Archivio Storico per la Sicilia Orientale», 1914, pp. 145-170, sp. 161; FIORILLA, Considerazioni, cit., p. 151, che riferisce come dai documenti di XII secolo si abbia notizie dei casali di Maltanes, Arnadenes, Del Monaco, Iudecca (che indicherebbe un abitato ebraico), Lumedemes appartenente agli Ospedalieri di Butera dipendenti da S. Giovanni a Messina, Sabuci presso Licata, dipendente da S. Giovanni degli Eremiti a Palermo, e riporta la notizia citata dal GARUFI, Per la storia, cit., p. 147 nota 1, di un casale S. Vincentii quod est iuxta Sophianam.

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Nel nostro caso è di nuovo la possibilità di misurare l’estensione dell’abitato, che potrà chiarirne la natura di casale o di centro più importante: certo è che la presenza di crolli formati quasi integralmente da tegole permette di escludere che le case dell’abitato fossero costituite da capanne-pagliaio con fondazioni in pietre sovrapposte a secco e elevato in paglia e fango, o almeno non soltanto152, mentre permette di ricostruire case con muri in pietrame e malta terrosa con frequenti grumi di calce (forse da riutilizzo) insieme a tetti con intelaiatura di legno coperti di tegole, in alcuni casi dotate di un unico ambiente che ospitava famiglia e animali. Se non sono identificabili con gli hospitia magna e le mansiones costruite ad lapides et calces, rari anche nelle città, tuttavia sono costruzioni che denotano una certa accuratezza, come mostrano gli angoli spesso in pietre squadrate più regolari e l’accuratezza del rincalzo con frammenti di tegole e/o piccoli sassi della muratura in pietre più grosse153.

Per questa tipologia di case possiamo subito individuare confronti nel più grande abitato medievale di Monte Iato, del periodo svevo, dove è attestato un gran numero di abitazioni di «qualità spesso scadente»154 sovrapposte ai ruderi antichi: sono piuttosto semplici, dalla pianta irregolarmente rettangolare o comunque quadrangolare, che richiamano appunto le case del “borgo” sulla Villa del Casale. Entrato a far parte nel 1176, insieme al suo territorio, della chiesa di S. Maria la Nuova di Monreale, con il nome di Casale Iato, l’insediamento, del tutto arabo nella popolazione, venne distrutto e abbandonato nel 1246, ma prima di tale data è stato possibile riscontrare varie fasi di ricostruzione che si susseguono in un breve lasso di tempo (tra la fine del XII secolo e appunto il 1246). Anche a Segesta, la Calatabarbara delle fonti medievali, è stato possibile ricostruire, accanto al nucleo medievale più monumentale costituito dal castello, la moschea e

152 Cf. C. TRASSELLI, Aspetti della vita materiale, in Storia della Sicilia, III, Napoli 1980, pp. 601-619, sp. 607-608, sulla tipologia del pagliaio («quattro muretti di pietre e pietrisco raccolti nelle vicinanze, più o meno alti secondo la disponibilità del materiale; il resto di frasche e ramaglia; il tutto coperto da rami, paglia e canne») e della casa in muratura e con tetto di tegole («al livello inferiore stava la semplice domus, parola che nel Medioevo siciliano significò “ambiente”. La domus doveva essere solerata, cioè raddoppiata da un solaio; sopra si dormiva, sotto si lavorava. Le domus potevano essere allineate lungo una strada o raccolte intorno ad un cortile di uso comune, contenente anche la cisterna e il pozzo nero, laddove questi erano in uso; in tal caso riproducevano l’insula romana e si chiamavano tenimentum domorum»).

153 Da affrontare meglio è anche la dislocazione di altri casali medievali nelle aree circostanti alla Villa del Casale: qualche notizia su quelli di Rossomanno, Fundrò, Gatta, Montenavone. Cf. ora in PENSABENE, Villa del Casale, cit.

154 H.P. ISLER, Monte Iato, in Federico e la Sicilia dalla terra alla corona, archeologia e architettura, Palermo 1995, pp. 121-130, sp. 125.

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la chiesa, nuclei più poveri, da connettere con una rioccupazione del sito agli inizi del XII secolo da parte di popolazioni arabe: in essi ritornano le tipologie abitative già descritte e murature in blocchi sommariamente sbozzati e legati solo con terra e si è proposta una cronologia coeva alla moschea; oltre alle abitazioni, sono stati individuati ambienti più grandi in cui sono riconoscibili stalle e magazzini e una struttura fortificata, a non troppa distanza dal castello (più tardo) e dalla chiesa, che riutilizza sistematicamente ambienti più antichi accorpandoli con nuovi muri e vani, e nel quale è da riconoscere la testimonianza del «fenomeno» dell’incastellamento di un villaggio155.

Ma gli scavi degli ultimi anni hanno restituito in Sicilia insediamenti più simili a quello della Villa di Piazza Armerina, con un simile rapporto tra rocca o castello e abitato e con analoga documentazione di un abbandono avvenuto nello stesso periodo o poco dopo. Citiamo il caso di Calathamet, a meno di dieci km da Segesta, dove coesistono un castello e l’abitato rurale, di cui sono state evidenziate le piante di quattro case rettangolari di piccole dimensioni (di circa m2 15), con muratura in pietrame senza malta e coperte di tegole tonde (non è chiaro se esse si dispongono intorno ad un cortile), dunque con tecniche simile a quelle dell’abitato della vicina Segesta: se l’abbandono di questo abitato deve essere avvenuto non molto dopo il periodo di Guglielmo II (1166-1189), dato il ritrovamento di sue monete, insieme a quelle di Guglielmo I (1154-1161) e anche del califfo fatimida Al Hakim (996-1020), insieme a ceramica araba e normanna, si è proposto che la sua fondazione risalga al periodo islamico per la presenza ad uno o due angoli di ogni ambiente di una panchina rialzata, secondo modelli che s’incontrano nell’Africa settentrionale156.

Infine, anche l’abbandono del vasto abitato medievale sulla Villa del Casale si può far rientrare in un fenomeno di abbandono di abitati e casali registrato in Sicilia nel tardo XII secolo, che si è ricondotto alla depressione demografica e allo spopolamento delle campagne, a cui si aggiunsero cause naturali, come il terremoto del 1169 e vari altri fattori legati ai terreni seminativi; va anche ricordata la politica economica del periodo che privilegiava gli scambi commerciali con l’esterno157. Informazioni dirette

155 M. PAOLETTI, C. PARRA, Il villaggio medievale di Segesta, in L’età di Federico II nella Sicilia Centro Meridionale», Atti Giornate di Studio (Gela 1990), Agrigento 1991, pp. 194-198; A. MOLINARI, Segesta nel medioevo: il contributo degli scavi recenti, in Federico e la Sicilia dalla terra alla corona, cit., pp. 192-198.

156 J.M. PESEZ, Calathamet, in Federico e la Sicilia dalla terra alla corona, cit., pp. 187-189.157 Cf. V. D’ALESSANDRO, Paesaggio agrario, regime della terra e società rurale (secoli XI-XV),

in Storia della Sicilia, III, Napoli 1980, pp. 409-448, sp. 422.

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in tal senso le abbiamo da Edrisi, che scrive intorno alla metà del XII secolo ed è attento agli abitati abbandonati, registrando quando lo siano stati da molto tempo o solo di recente, ma anche a centri nuovamente rilanciati, come Marsala.

È per questo che, pur notando la coincidenza tra le informazioni che ricaviamo dagli strati di crollo e di abbandono dell’insediamento medievale sulla Villa del Casale e la data della distruzione della prima Piazza, operata da Guglielmo I (v. oltre), non possiamo indicare come sito dell’antica Piazza proprio l’abitato medievale della Villa del Casale. Solo quando sarà possibile accertarne l’originaria ampiezza, tale ipotesi potrà essere meglio vagliata.

Problema dell’identificazione e vicende storiche dell’universitas piazzese

Tuttavia, va cercato se dalla rielaborazione scientifica dei dati in nostro possesso emerge la possibilità almeno di riaffrontare il problema dell’identificazione del nostro insediamento con la Iblatasah vista da Idrisi nel suo viaggio in Sicilia svoltosi attorno al 1150, descritta dal Falcando come Placea nobilissimum Lombardorum oppidum in plano situm e che sarebbe stata distrutta nel 1161, durante la rivolta dei baroni lombardi e l’eccidio della popolazione musulmana dell’area158. Per giustificare la ripresa di questa problematica, che già il Gentili aveva posto in termini favorevoli a tale identificazione, non era sufficiente la vastità dell’insediamento messo in luce e la sua posizione in pianura alla base delle pendici del Monte Mangone (in plano situm del Falcando?), ma era necessario indagare se potessimo essere di fronte a un abitato fortificato, eventualmente dotato di una rocca: in tal senso abbiamo valutato sia i due bracci dell’acquedotto che ci sono sembrati poter essere inglobati in un sistema di fortificazione che è stato ripreso in età medievale, sia le strutture murarie collocate tra l’estremità nord del braccio est dell’acquedotto e l’abside della Basilica, che per spessore dei muri e presenza di pavimenti in mattoni ha fatto ipotizzare di trovarsi di fronte ad una rocca o comunque a una casa-torre medievale, del tutto differente dalle case più povere da noi trovate a sud della Villa159.

158 Rimando al mio contributo PENSABENE, Trasformazioni, cit., p. 42 ss.159 PENSABENE, Trasformazioni, cit., pp. 35-37. Cf. GENTILI, La Villa, cit., I, p. 145. Per una

tipologia degli insediamenti medievali cf. M.S. RIZZO, L’insediamento medievale nella valle del Platani, Roma 2004, pp. 128-132, dove essi sono divisi in due categorie, i siti in pendici apparentemente privi di strutture difensive e i siti d’altura dotati di difese: i siti del primo gruppo

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In ogni caso la data iniziale del nostro insediamento, come hanno rivelato i tipi più antichi della ceramica invetriata, da noi messa in luce, risale al X secolo sicuramente negli ultimi decenni o fine di questo secolo: esso è forse da mettere in relazione con la svolta impressa dal rescritto califfale di al-Mu’izz Ibn al-Hasah, del 966-967, che ingiungeva ai suoi rappresentanti in Sicilia di erigere per ogni distretto dell’isola un centro fortificato, dove si concentrasse la popolazione per evitare che vivesse sparpagliata nelle campagne160, se, come abbiamo detto sopra, sono da leggere come evidenze di fortificazioni le strutture sopra citate.

Per spiegare lo stretto rapporto di continuità temporale delle due fasi da noi individuate, o meglio di ristrutturazione del primo insediamento161, possiamo istituire due ipotesi: la prima è che il brusco abbandono dell’insediamento della prima fase coincida con l’arrivo dei Normanni in questa parte della Sicilia, che sappiamo essere conquistata intorno al penultimo decennio dell’XI secolo162; i frammenti di ceramica più tardi di XII secolo («Zeuxippos ware»), trovati nei pozzi medievali all’interno della Villa del Casale, per il loro scarso numero rispetto alla massa di materiale di X-XI secolo, non sarebbero tali da spostare la cronologia del primo abbandono; la fase successiva corrisponderebbe al periodo normanno. La seconda ipotesi, invece, legge le due fasi sulla base di eventi più tardi, cioè le distruzioni operate nel territorio di Piazza (da intendere come comprensorio territoriale – universitas secondo la terminologia medievale – in occasione della rivolta dei Baroni Lombardi nel 1160-61 (v. oltre), il terremoto che devasta questa parte della Sicilia nel 1169. Il presupposto è che la conquista normanna della Sicilia mussulmana avvenne senza particolari episodi militari quando si trattò dei casali, anche grandi e muniti, dell’interno, al contrario dei centri fortificati su altura con funzione strategica che opposero una strenua resistenza163: una conferma di ciò l’abbiamo dallo storico mussulmano Ibn Khaldun, che, raccontando la conquista normanna della Sicilia, sottolinea la facilità con cui vennero occupati i casali164. Che

occuperebbero le pendici di colline di modesta altezza, in genere senza fortificazioni, presso torrenti. Identificabili con i casali (abitato rurale, ma anche il territorio da esso dipendente – da 400 a 1500 ettari).

160 F. MAURICI, Castelli medievali in Sicilia, Dai bizantini ai normanni, Palermo 1992, p. 214.161 Sulla preferenza dei termini destrutturazione e ristrutturazione rispetto a discontinuità

e continuità v. A. ESCH, Strassenzustand und Verkehr in Stadtgebiet und Umgebung Roms in Übergang von der Spätantike zun Frühmittelalter (5.8. Jh), «Stadtverkehr in der antiken Welt», 2008 (Palilia, 18), pp. 213-237, sp. 227.

162 Così pensa BARRESI, I risultati, cit., p. 140.163 MAURICI, Castelli, cit., p. 214.164 MAURICI, Castelli, cit., p. 215.

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in effetti l’insediamento sulla Villa del Casale non potesse avere valore strategico, lo indica la sua posizione non sul Monte Mangone, ma alle sue pendici inferiori, quasi in pianura.

Per ciò che riguarda l’organizzazione dell’abitato medievale della Villa del Casale, abbiamo rilevato la forte possibilità che il suo centro, in cui dimorava la parte della popolazione più abbiente, sia da vedere nell’area corrispondente alla villa. Al momento in cui fu rioccupata dall’abitato, abbiamo detto che alla fine del X secolo la villa era per una buona parte, anche se non tutta, interrata165, per cui molti degli ambienti medievali erano costruiti sugli interri che ne coprivano i resti murari: è inoltre in questa parte che si addensano i pozzi medievali da noi ritrovati, ad indicare che ogni unità abitativa era dotata di pozzo, al contrario del settore dell’insediamento a sud della villa, dove invece mancano i pozzi.

La rivolta dei Baroni Lombardi sopracitata implicherebbe forse il riconoscimento della fase più antica dell’insediamento medievale da noi scavato con il centro fortificato in plano situm citato da Idrisi e da Falcando, che viene distrutto quando ad opera di Guglielmo I nel 1160-1161 furono represse e, non sappiamo in che misura, sterminate le comunità mussulmane che risiedevano nel territorio di Piazza166. Anche nel caso del terremoto, di cui tuttavia le fonti non ci dicono che colpì espressamente Piazza, potremmo spiegare in tal modo la situazione di crollo dei muri – ricordiamo tenuti insieme solo da malta terrosa – che pone termine alla prima fase dell’insediamento.

165 Soprattutto la zona orientale (eccetto il settore est e l’abside della basilica), meno la zona occidentale dove le terme e alcuni ambienti tardo antichi erano stati rioccupati al livello o poco sopra quello tardoantico: su un esame degli ambienti della villa riutilizzati nell’abitato medievale v. SFAMENI, L’insediamento, p. 99: negli ambienti 10, 13-13-15, 17, 18, 20, 23 materiali arabo-normanni sono stati rinvenuti direttamente a contatto con i pavimenti, insieme a materiali tardioantichi; nell’ambiente 13 il mosaico è stato tagliato per inserire una formace, nel 17 il mosaico è stato sostituito da un pavimento in pietre irregolari, mentre il 18 è stato diviso in due da un muro poggiante direttamente sul mosaico; altri ambienti sono stati riulizzati solo creandio un pavimento sopraelevato.

166 Queste vicende sono state spesso trattate nella storia degli studi della Sicilia nel periodo normanno (tra gli ultimi v. MAURICI, Castelli, cit., p. 116 ss.), arrivandosi a delineare un vero e proprio pogrom di Mussulmani nelle zone di immigrazione lombarda: su istigazione di Ruggero Sclavo e di Tancredi di Lecce, i Lombardi di Butera, Piazza e altre località vicine avrebbero assalito i mussulmani che vivevano insieme a popolazioni cristiane o in casali solo islamici e, in conseguenza di ciò si verificarono i primi abbandoni dei loro abitati rurali dell’interno (è noto dalle fonti ad esempio come il vescovo Gentile di Agrigento acquistasse sistematicamente dal 1159 casali vendutigli dai gayti mussulmani). La situazione si sarebbe ripetuta alla fine della dinastia normanna quando ricominciò lo “sterminio e l’espulsione violenta” della ormai minoranza araba (MAURICI, Castelli, cit., p. 117 e bibl. citata).

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La seconda fase, invece, dovuta alla ricostruzione avvenuta subito dopo, si prolunga stentatamente e termina con l’abbandono definitivo dell’insediamento che avrebbe perso d’importanza a causa della fondazione nel 1163 della nuova Piazza nel sito attuale, che ne avrebbe causato uno stentato prolungamento di vita fino gli ultimi anni del XII secolo o poco dopo. È comunque certo che le modalità dell’abbandono definitivo dell’insediamento non paiono potersi collegare ad un intervento traumatico quale una distruzione bellica o un terremoto, piuttosto ad un abbandono volontario preceduto dalla rimozione delle masserizie, che forse è meglio collegabile al fenomeno di spopolamento delle campagna che per varie ragioni investe in questo periodo proprio i casali dell’interno della Sicilia167.

Resta ancora da approfondire il significato dei tre ripostigli di tarì normanni rinvenuti da Gentili nella villa, con monete di Guglielmo II. Si è visto come anche in alcuni ambienti della seconda fase che subirono trasformazioni e riduzioni in occasione degli ultimi anni di vita (che abbiamo non del tutto appropriatamente chiamato terza fase) della parte dell’insediamento da noi scavata abbiamo rinvenuto monete di Guglielmo II168 e un’unica moneta di Federico II169 che in ogni caso confermano il periodo dell’abbandono definitivo. In seguito certamente si sono verificate frequentazioni e anche la costruzione di nuove murature170, che avremmo riconosciuto come parte di recinti per animali e per i quali si sono riutilizzate le pietre delle murature superstiti dell’insediamento.

Come presto vedremo dagli studi in corso di E. Gallocchio e E. Gasparini, che hanno seguito gli scavi occasionati dai restauri, anche le nuove evidenze emerse negli scavi all’interno della villa, che hanno portato alla luce più di trenta tra pozzi e fosse medievali (cfr. fig. 2), rivelano una concentrazione ceramica prevalentemente di X-XI secolo, tuttavia con presenze di frammenti che giungono fino al XII secolo.

La fase di vita di alcuni di questi pozzi si può forse collegare sia con la fase di riutilizzo delle terme che perdura fino all’età medievale, sia forse con gli ambienti sempre medievali, ma a una quota più alta rispetto alle terme, scoperti sotto il boschetto di pini: qui sono stati rinvenuti due gettoni monetali in pasta vitrea: uno è di colore verde (diam. 2,6, diam. impronta cm. 1,8, peso gr 5,5) con iscrizione solo sul dritto in caratteri cufici che

167 Sulle dinamiche dello spopolamento dei casali a cominciare dalla seconda metà del XII secolo, quando gli abitati tendono a concentrarsi negli insediamenti fortificati, che comunque non hanno un peso demografici rilevante cf. RIZZO, L’insediamento, cit., p. 165 ss.

168 BARRESI, I risultati, cit., p. 149.169 Ibidem.170 Ibidem: «recinto per il bestiame o un’area coltivata ad orto».

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riporta il protocollo completo del sesto califfo fatimida Al Hakim b-Amrilla del 996-1020, mentre l’altro (diam. 1,8, peso gr 2,3) in pasta vitrea azzurro con pigmento metallico su entrambe le facce, privo d’iscrizione, ma probabilmente riferibile al X-XI secolo. Ancora dal terreno di pulizia di questo saggio proviene un follaro in rame (diam. 1,2 cm, peso gr. 2,2), di cui è leggibile solo il fronte con iscrizione su tre registri in cufico che riporta il nome di Guglielmo I171 nonchè un frammento di alfabeguer databile anche questo tra X e XI secolo.

Un altro gettone monetale, in questo caso frammentario, proviene dal riempimento di uno dei due pozzi citati (quello est) del lato nord delle Terme: esso è in pasta vitrea di colore azzurro (diam. ricostruito cm 2,8 diam. ricostruito impronta cm. 1,8) con visibili parte dei due cerchi concentrici che circoscrivevano l’iscrizione non conservata, caratteristici del periodo fatimida e quindi databili al X secolo.

Pure in questo caso abbiamo avuto la conferma, dunque, di un periodo principale di vita dell’insediamento tra tardo o fine X e XI secolo, ma con una continuità fino almeno al XII secolo, quando riteniamo sia stata abbandonata la maggior parte dei pozzi nella loro funzione primaria e utilizzati come deposito di scarichi di ceramica e altri rifiuti (tra cui numerose ossa ovine e caprine e anche lo scheletro intero di un cavallo – pozzo dietro le terme – e di un giovane uomo – pozzo dietro la Sala Triabsidata –), forse appunto in occasione della parziale ripresa dell’abitato nella seconda fase.

Certo è che la fondazione della nuova Piazza, nella sua posizione attuale, rientra in un processo di ripopolazione delle campagne anche attraverso l’arrivo di gruppi d’immigrati provenienti dal nord d’Italia, che s’insediarono non solo a Piazza, ma anche ad Aidone, Nicosia, Novara, S. Fratello, Sperlinga. Abbiamo però anche notizie particolareggiate sulle circostanze che la dettarono: innanzitutto l’esistenza almeno fino alla metà circa del XII secolo di un abitato con lo stesso nome di quello attuale di Piazza, ma collocato in un altro sito, che era stato concesso dal signore del luogo, il conte Simone, al monastero di S. Andrea dell’ordine del S. Sepolcro (Placeam quoque veterem cum toto plano Aymerici), e che, ai tempi in cui scriveva Edrisi, possedeva un mercato molto frequentato172; abbiamo detto come questo abitato fosse distrutto durante la repressione dei disordini

171 Ringrazio Andrea Palma che mi aggiunge inoltre l’informazione che siamo di fronte ad un probabile falso d’epoca, perché coniato in rame e non in argento e perchè manca il giglio caratteristico tra la prima e la seconda riga dell’iscrizione.

172 I. PERI, La questione delle colonie lombarde in Sicilia, «Bullettino storico-bibliografico subalpino», 57, 1959, 3-4, pp. 3-30, sp. 15-18; PERI, Uomini, cit., pp. 53-54.

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che seguirono all’uccisione dell’ammiraglio Maione, come sappiamo dagli storici di allora Romualdo Salernitano e Falcando, e la sua popolazione fu probabilmente trasferita in altri casali. Il centro di resistenza contro Maione era stata la rocca di Butera, da cui nel 1161, ad opera di Ruggero Sclavo, figlio del Conte Simone, era iniziata l’aggressione ai Mussulmani: in seguito, proprio per questo, fu ordinata da Guglielmo I la distruzione di Butera, che da allora perdette la preminenza su questa parte del territorio, passata a Piazza173. La citta nuova, infatti, veniva trovarsi nella via di comunicazione tra Castrogiovanni, centro di confluenza di varie vie, e, attraverso la zona degli insediamenti lombardo-aleramici, Siracusa e Lentini174.

173 Ivi, pp. 54-55.174 Ivi, p. 60.

Fig. 1. Area occupata dall’insediamento medievale presso la Villa del Casale: scavi PIT 2007, scavi Gentili, scavi Università di Roma La Sapienza

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Fig. 2. Villa del Casale e insediamento medievale in corso di scavo da parte dell’Università di Roma La Sapienza

Fig. 3. Ricostruzione assonometrica della Villa del Casale

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Fig. 4. Capitello corinzio d’anta riutilizzato nella piccola latrina ad ovest dell’appar-tamento detto del dominus

Fig. 5. Ricostruzione di G.V. Gentili dell’arco d’ingresso a tre fornici, al quale so-no stati aggiunti i piloni delle ali est e ovest rivestiti di pitture, recentemente rilevate e studiate

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Fig. 6. Rilievo dei resti di affresco sul pilone dell’ala ovest dell’arco a tre fornici con insegna militare e due figure ai lati

Fig. 8. Acquerello di G.V. Gentili con ricostruzione degli affreschi raffiguranti sol-dati muniti di scudo rotondo sulle pareti del braccio sud del Peristilio della Villa (da Gentili 1999, I)

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Fig. 7. Particolare dell’inse-gna militare sul pilone ovest

Fig. 9. Due perso-naggi in abito militare e bastone a fungo nella parte centrale del mosai-co della Grande Caccia, davanti all’ingresso della Basilica

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Fig. 10. Mosaico del Circo (Palestra delle Terme): statua di Cibele su leone, collocata nella spina del Circo Massimo, vista posteriormente in prospettiva dal Colle Palatino

Fig. 11. Vasca rivestita di intonaco idraulico, con gradini di accesso, annessa al vano quadrato trovato nelle campagne di scavo 2008 e 2009, nel settore a sud della Villa

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Fig. 12. Strutture rinvenute durante la campagna di scavo 2010 a sud della Villa, con una vasca semicircolare rivestita di mosaico colorato

Fig. 13. Particolare del mosaico colorato nella vasca semicircolare, con motivo ad onde

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Fig. 14. Mattone traforato con croci e simboli cristiani tro-vato nella campagna 2010

Fig. 15. Arco dell’acquedotto presso le Terme della Villa, do-tato di cardini e trasformato in portale in età bi-zantina

97VILLA DI PIAZZA ARMERINA: INTERVENTO DELLA SAPIENZA-UNIVERSITÀ DI ROMA

Fig. 16. Tratto di muro di cinta bizantino con antemurale a sud della Villa, nel set-tore scavato durante le campagne 2004 e 2005

Fig. 17. Cortina del muro ovest del vano IV, attribuita alla I fase medievale (X-XI secolo)

98 PATRIZIO PENSABENE

Fig. 18. Pianta delle strutture medievali dell’abitato di X-XII secolo scavato nel 2004-2005

99VILLA DI PIAZZA ARMERINA: INTERVENTO DELLA SAPIENZA-UNIVERSITÀ DI ROMA

Fig. 19. Cortina del muro est del vano VI, attribuita alla II fase medie-vale (XI-XII secolo)

Fig. 20. Vano XIX, in cui è visibile la sovrapposizione di muri di II fase sui resti di quelli della I fase