potere, tortura e dissoluzione dell'io

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Corso di Laurea in Filosofia Tesi di Laurea Potere, Tortura e Dissoluzione dell’Io Una riflessione su alcuni fenomeni del tempo presente a partire da George Orwell Relatore Chiar.mo Prof. Luigi Vero Tarca Laureando Jonathan Jai Hamilton Matricola 828539 Anno Accademico 2012 / 2013

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Corso di Laurea in Filosofia Tesi di Laurea Potere, Tortura e Dissoluzione dell’Io Una riflessione su alcuni fenomeni del tempo presente a partire da George Orwell Relatore Chiar.mo Prof. Luigi Vero Tarca Laureando Jonathan Jai Hamilton Matricola 828539 Anno Accademico 2012 / 2013

“Al futuro o al passato, a un tempo in cui il pensiero

è libero, quando gli uomini sono differenti l’uno

dall’altro e non vivono soli… a un tempo in cui

esiste la verità e quel che è fatto non può essere

disfatto.

Dall’età del livellamento, dall’età della solitudine,

dall’età del Grande Fratello, dall’età del

bipensiero… tanti saluti!”

INDICE

I Introduzione

Parte prima

Dalla genealogia del totalitarismo a Nineteen Eighty-Four

1 1. Una genealogia del totalitarismo

12 2. George Orwell

14 2.1. Nineteen Eighty-Four

18 2.2.Il totalitarismo perfetto

Parte seconda

La logica del negativo

21 3. Il dominio del negativo

25 4. Il ruolo del dolore nella logica del potere

Parte terza

Il superamento del negativo

30 5. Oltre il dominio

35 6. L’etica del riconoscimento a partire dal puro positivo

39 Conclusione

41 Bibliografia

  I  

INTRODUZIONE

“Pianta effimera noi, cos'è il vivente? Cos'è

l'estinto? Un sogno d'ombra è l'uomo.”

(Pindaro, Pitica VIII, v. 135)

Verità, Libertà e Potere; tre angolature del triangolo problematico che rappresenta la nostra storia,

la nostra stessa caratterizzazione sociale, intersoggettiva e intenzionale. Tre dimensioni1

tipicamente umane che si implicano, costantemente, vicendevolmente; ma cosa accade quando è la

logica del Potere ad averne il primato? Che cosa avviene quando la verità diviene mezzo, quando la

libertà non è più quella “intelligenza desiderante e desiderio razionale”2, ma semplice apparenza

imposta, consolidata, istituzionalizzata e infine, perciò, vera?

L’epoca in cui viviamo, questa “età della tecnica”3, esprime, più di ogni altra epoca del passato,

siffatte complicanze. La volontà di potenza, la volontà di produrre qualsiasi cosa, persino l’uomo

stesso - pensiamo alle recenti innovazioni nei campi dell’AI e delle nanotecnologie - ci proietta in

quel punto dello sviluppo della civiltà denominato Singolarità Tecnologica4: periodo in cui la

tecnica stessa è oltre la nostra capacità previsionale-comprensiva, ove regna l’abitudine all’incerto;

luogo in cui il nostro pensiero, il nostro spirito passionale e pulsionale divengono un alcunché di

determinato, di regolare, di meccanico, di rimpiazzabile.

A tal fine, questo lavoro parte dall’idea che la nostra individualità, intesa principalmente come

libertà, è facilmente modellabile e assoggettabile dalla logica del potere, che, come vedremo, è

incontrastabile, illimitabile e innegabile.

L’esperienza, che sta alla base di questo assunto teoretico, è il tragico evento storico costituito dai

totalitarismi, è quindi fondamentale comprendere tali eventi tanto rispetto alla dimensione storica,

                                                                                                               1 “Dimensione” deriva etimologicamente da de-mensus (participio passato del verbo de-metiri, che vuol dire “misurare”). Dunque, “dimensione” vuol dire “misura” o “estensione”, è un aspetto di un ente che dice tutto l’ente (attraversandolo, misurandolo appunto per intero); anche se non dice tutto di quell’ente. 2 “Orektikòs nous proáiresis e órexix dianoetiké, kai e toiáute arché ánthropos” - trad. “La scelta è pensiero desiderante o desiderio pensante, e l’uomo è un principio di questa specie.” (cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, VI, 1139 b 4-5, trad. it. di C. Natali, ed. Laterza, Bari 2010) 3 Rimando, per un’analisi approfondita, al pensiero e alla vasta bibliografia di Emanuele Severino, in particolar modo alle opere Destino della necessità: Katà tò chreon, ed. Adelphi, Milano 1980; La tendenza fondamentale del nostro tempo, ed. Adelphi, Milano 1988; Il nulla e la poesia: alla fine dell’età della tecnica: Leopardi, ed. Rizzoli, Milano 1990; Oltre il linguaggio, ed. Adelphi, Milano 1992; Il destino della tecnica, ed. Rizzoli, Milano 1998; La gloria: hássa ouk élpontai: risoluzione di “Destino della necessità”, ed. Adelphi, Milano 2001. 4 Non potendo dilungarmi, in questa trattazione, sull’attuale tema della Singolarità e sulle relative implicanze dell’AI nella vita dell’uomo, si consiglia B. Joy, “Why the future doesn't need us”, in Wired Magazine, aprile 2000; invece, per un primo approfondimento critico si rimanda pensiero di John Searle, Hubert Dreyfus, Allen Newell, Douglas Hofstadter e Raymond Kurzweil.  

  II  

quanto nel loro aspetto sovra-storico e concettuale, cioè rispetto alla forma di dominio che essi

rappresentano.

Nel 1931, qualche anno prima della nomina a Cancelliere di Adolf Hitler, Kurt Gödel5 dimostra

matematicamente che la ragione ha dei limiti e con ciò la necessità di un pensiero che la trascenda.

I due “teoremi di incompletezza”, da lui formulati, dimostrano come qualsiasi sistema, non-

contraddittorio, sufficientemente interessante, comprenda necessariamente degli enunciati che non

sono dimostrabili al suo interno e che tuttavia si rivelano essere veri, questo comporta, di

conseguenza, che la sfera di ciò che è razionalmente dimostrabile non coincide più con quella di

ciò che è logicamente vero; il risultato più sorprendente che ne deriva è totalmente irrazionalistico,

anche se esito di una dimostrazione rigorosa: dato che l’ambito della verità incontraddittoria eccede

quello della dimostrazione razionale, essa dovrà essere conseguita con modalità diverse da quelle

logico-razionali, modalità che, per tale motivo, dovranno necessariamente essere non-razionali. Il

teorema di Gödel attesta che ogni sistema, il quale pretende di dimostrare la propria

incontraddittorietà, è contraddittorio, qualsiasi sistema può rilevarsi in antitesi con se stesso. La

contraddizione, dunque, non è limitabile.

Tale rilievo conduce a individuare nel capolavoro letterario di George Orwell, Nineteen Eighty-

Four6, un riferimento centrale per la riflessione teorica sul totalitarismo.

Nella distopia orwelliana non c’è spazio per la verità, l’individuo è annullato nello stato e vive di

contraddizioni.

“La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”7

L’antinomia e l’incoerenza qui sono radicali, investono interamente il sistema. Il punto sostanziale

qui, non è la negazione in sé, ma il suo continuo superamento, il suo continuo rovescio in una

nuova contraddizione, in una nuova antistesi, il Partito si rende infallibile, innegabile e

immodificabile, ma allo stesso tempo esso ha il potere di correggere i suoi errori, e continuamente

trasformare una menzogna in verità8. Unica certezza è il negativo. Cadiamo qui in una dialettica

incessante, in cui la verità è continuamente imposta, e in seguito superata, in un processo, non solo

logicamente, ma anche socialmente e politicamente infinito. Il sistema totalitario, ora delineato, si

                                                                                                               5 Le acquisizioni di Kurt Gödel (Brno, 28 aprile 1906 – Princeton, 14 gennaio 1978) hanno avuto enorme risonanza in matematica e in filosofia. Esse dimostrano una discrepanza decisiva fra dimostrabilità in un sistema formale e verità: nessun sistema, così formulato, può catturare completamente le verità aritmetiche; se dimostra solo cosa vere, non può dimostrarle tutte. Inoltre, se ne evince che nessun sistema coerente, che soddisfi le condizioni di applicabilità dei teoremi è autosufficiente, capace di dimostrare, con le sue sole forze, di essere, appunto, coerente. Vedi F. Berto, Tutti pazzi per Gödel. La guida completa al teorema d'incompletezza, ed. Laterza, Bari 2008. 6 G. Orwell, Nineteen Eighty-Four, 1949, trad. it. di G. Baldini, 1984, ed. Arnoldo Mondadori Editore, Milano (1950) 1989. Romanzo distopico ambientato in una Londra desolante e governata, secondo i principi del Socing, il Socialismo Inglese, dal Grande Fratello, onnipresente, onnisciente e onnipotente. 7 Questi sono i tre slogans del Partito (G. Orwell, 1984, op. cit., p. 8; cfr. p. 38 e 39 per una prima spiegazione del “bipensiero”). 8 Ibidem, p. 38; “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente, controlla il passato”.  

  III  

configura in termini di movimento, non può essere ostacolato e tali rischi vengono affrontati ed

eliminati in anticipo. L’assoluta verità, il vero Dio è il Potere9, potere che reiteratamente si auto

nega e pone come fine se stesso.

Nel mondo di Orwell la speranza è vana, il negativo è divinizzato, l’individuo è annullato nella

logica del Partito; qualsiasi ribellione è utile solo ai fini del potere: ogni contro-potere esiste

semplicemente per essere continuamente riprodotto nel suo venire sconfitto. La forma politica

viene meno, nella società del Grande Fratello, suo qualunque contenuto si riduce alla gestione del

potere, legittimandolo e intensificandolo. Non è possibile trovar rifugio nel privato, nell’amore,

nella moralità o nella spiritualità. Nella Stanza 101 l’umanità è lacerata, non vi rimane nulla, non è

una violenza soltanto corporale, ma una veemenza che distrugge l’apertura del sé sul mondo.

“Fatelo a Julia! Fatelo a Julia! Non a me! Julia! Non me ne importa niente di quel che le fate. Laceratele la

faccia, rodetela all’osso. Non a me! Julia! Non a me!”10

Sono le urla provocate dalla tortura, strazianti e doloranti, urla di chi, pur di porre freno alla propria

sofferenza, arriva a tradire l’unica persona amata. La rottura dell’individuo è compiuta, ogni

sentimento svanisce, la soggettività ora rientra nella logica del negativo e l’unico amore possibile è

quello per il Partito. Questa è la fine dell’umanità descritta da Orwell, una semplice estensione di

un organismo di potere.

Si tratterà, dunque, di mostrare come Nineteen Eighty-Four offra una lettura attuale e illuminante

dei sistemi totalitari, e di come il loro fine sia incentrato sulla realizzazione totale di ciò che hanno

già in atto.

“Il Partito ricerca il potere esclusivamente per i suoi propri fini. Il bene degli altri non ci interessa affatto;

ci interessa soltanto il potere. Né la ricchezza, né il lusso, né una vita lunga, né la felicità hanno un vero

interesse per noi; ci interessa soltanto il potere, il potere puro. […] Il potere non è un mezzo, è un fine. Non

si stabilisce una dittatura nell’intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione nell’intento

di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine

del potere è il potere. Cominci a capirmi, ora?”11

A questo scopo la tesi si struttura in tre parti. La prima ricostruisce, brevemente, una genealogia dei

totalitarismi principali sia a livello storiografico sia a livello teoretico e inquadra storicamente e

biograficamente l’autore e il suo orientamento come espressione di quel che potremmo chiamare,

seguendo una certa linea di pensiero, “élenchos sociale”. Nella seconda parte si analizza ciò che è

                                                                                                               9 Ibidem, p. 291; “Iddio è il potere” 10 Ibidem, p. 300 11 Ibidem, p. 276  

  IV  

peculiare del totalitarismo perfetto di stampo orwelliano e si indaga come il potere utilizzi la tortura

e il dolore per frantumare la soggettività individuale facendo divenire l’uomo, nella sua interezza,

parte integrante di un sistema irrazionale. La terza parte, invece, si pone, anche a partire da Kant12,

il problema di un possibile superamento della logica del negativo che caratterizza siffatto potere; e

forse così, una volta differenziato da questa logica, l’uomo potrà uscire dalla condizione di puro

determinismo, dal su essere ombra, e ritrovare la propria libertà, riconoscendosi, reciprocamente,

come soggetto sensibile all’intersoggettività umana capace di relazionarsi autenticamente con

l’altro da sé.

                                                                                                               12 La seconda Sezione (Abschnitt) della Grundlegung zur Metaphysik der Sitten (Fondazione della Metafisica dei Costumi) del 1785, Immanuel Kant (Königsberg, 22 aprile 1724 – 12 febbraio 1804) è dedicata alla individuazione della legge morale. Essa si esprime tramite l’imperativo categorico, di cui sono fornite tre formulazioni: “Si deve volere che una massima della nostra azione diventi una legge universale: ecco il canone del giudizio morale in generale”; “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”; “Agisci in modo tale che la volontà possa considerare se stessa come universalmente legislatrice”. Vedi I. Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, 1785, trad. it. di P. Chiodi, Fondazione della Metafisica dei Costumi, ed. Laterza, Bari 1985.

  1  

PARTE PRIMA

DALLA GENEALOGIA DEL TOTALITARISMO A NINTEEN EIGHTY-FOUR

“Che cos’è dunque la verità? Un mobile esercito di

metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve, una

somma di umane relazioni che, elevate poeticamente

e retoricamente, tradotte, vennero adornate, e che

dopo lunga consuetudine parvero a un popolo fisse,

canoniche, vincolanti: le verità sono illusioni, delle

quali si è dimenticato che siano tali […]”

(F. Nietzsche, Ueber Wahrheit und Lüge im

aussermoralischen Sinne, § 8 p. 375)

1. UNA GENEALOGIA DEL TOTALITARISMO

“Ciò che tutti subiscono ad opera di pochi, si

compie sempre come sopraffazione di singoli da

parte di molti: e l’oppressione della società ha

sempre anche il carattere di una oppressione da

parte del collettivo.”

(M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialektik der

Aufklärung. Philosophische Fragmente, p. 30)

Troviamo per la prima volta il termine totalitarismo il 12 maggio 1923 ne Il Mondo, nell’articolo di

Giovanni Amendola, il fascismo è dipinto come “sistema totalitario”, come “promessa del dominio

assoluto e dello spadroneggiamento completo ed incontrollato nel campo della vita politica ed

amministrativa”; poi, in un articolo di Lelio Basso, ne La Rivoluzione Liberale del 2 gennaio 1925

leggiamo “tutti gli organi statuali, la corona, il parlamento, la magistratura, che nella teoria

tradizionale incarnano i tre poteri e la forza armata che ne attuano la volontà, diventano strumenti

di un solo partito che si fa interprete dell’unanime volere, del totalitarismo indistinto”; e,

addirittura lo ritroviamo nelle parole del pontefice Pio XI (1930), il quale, in aperta polemica con il

fascismo, afferma che “se c’è un regime totalitario, è il regime della Chiesa, dato che l’uomo

appartiene totalmente alla Chiesa”. L’origine della parola, dunque, non sembra essere legata

direttamente a una dottrina autoritaria di stampo fascista né da ricercarsi nel pensiero di Mussolini,

  2  

ma, come fa notare Jens Petersen, propriamente “nell’ambito dell’opposizione antifascista liberale,

democratica, socialista e cattolica”1.

Nonostante la moltitudine dei contesti, molto diversi tra loro, in cui viene utilizzato il termine, le

caratteristiche comuni del primo impiego del concetto e delle parole ad esso relative sono:

l’assenza di strutture di controlli parlamentari, la presenza di un partito unico e il rifiuto del

pluralismo liberale a favore dell’unitarismo e dell’onnicomprensività2.

Sul finire degli anni venti, il concetto comincia a diffondersi nel resto del mondo occidentale ma,

sebbene il fascismo italiano sia stato il luogo d’origine del neologismo, non figura tra i paradigmi

di regime, nelle teorie classiche del totalitarismo, accanto al nazismo germanico e al comunismo

dell’Unione Sovietica. Particolarmente in Germania, con l’ascesa di Hitler e la diffusione del Mein

Kampf, vi è una radicale rottura con la politica tradizionale; lo stato è così inteso:

“[…] un mezzo per raggiungere un fine. Il suo fine consiste nella conservazione e nell’incremento d'una

comunità conducente una vita fisica e morale omogenea. Questa stessa conservazione include l'esistenza

d'una razza e con ciò permette il libero sviluppo di tutte le forze sonnecchianti in questa razza. Una parte di

queste servirà sempre in prima linea alla conservazione della vita fisica, mentre l'altra promuoverà la

continuazione dello sviluppo intellettuale. In realtà però, runa delle parti crea le premesse dell'altra.

Gli Stati che non servono a questo scopo sono fenomeni male riusciti, sono aborti. Ciò non è mutato dal fatto

della loro esistenza, così come il successo d'un'associazione di filibustieri non può giustificare la pirateria o

la rapina.”3

S’inizia da qui a dibattere sul significato di stato totalitario come superamento dello stato liberale

di stampo idealistico, tuttavia, la novità e l’inconcepibilità del programma di Hitler, rendono di

difficile assimilazione la portata del suo valore politico e socio-culturale tra gli accademici.

Il concetto di totalitarismo è ulteriormente sviluppato in Francia, grazie agli scritti di Victor Serge,

oppositore dello stalinismo, e viene negativamente definito come uno stato controllato dalla polizia

segreta, la quale ha il potere di condannare il cittadino senza giusto processo; fondato sul

monopartitismo; e in cui vi è totale assenza di libertà di stampa, espressione e voto4.

                                                                                                               1 Vedi J. Petersen, La nascita del concetto di “Stato totalitario” in Italia, in Annali dell’Istituto storico italo - germanico in Trento, 1975. Va ricordato anche Giovanni Gentile, il quale definisce totalitaria la dottrina fascista, cfr. G. Gentile, The Philosophical Basis of Fascism, in Foreign Affairs, vol. VI, n.2, 1928, pp. 290-304; e G.H. Sabine, State, in Encyclopedia of the Social Science, Macmillan, New York, 1934, vol. XIV, p. 330 in cui vengono definiti totalitari quei sistemi a partito unico, inclusa L’Unione Sovietica. Vedi D. Fisichella, Totalitarismo. Un regime del nostro tempo, ed. La Nuova Italia Scientifica, Roma 1987. 2 Cfr. op. cit. D. Fisichella, Totalitarismo. Un regime del nostro tempo. 3 Cfr. A. Hitler, Mein Kampf, 1925, trad. it. La mia battaglia, ed. Bompiani, Milano 1940, p. 15 4 Vedi V. Serge, Destine d’une revolution. URSS 1917 – 1936, ed. Plon, Paris 1937; Socialismo e Totalitarismo. Scritti 1933 – 1947, ed. Prospettiva, Roma 1997.

  3  

Altro testo centrale, per i futuri studi di regime, è il saggio pubblicato nel 1944 di Raymond Aron,

L’avvenire delle religioni secolari5; con riferimento al nazionalsocialismo e al socialismo, le

religioni secolari, che esse rappresentano, vengono intese come:

“[…] quelle dottrine che, nell’animo dei nostri contemporanei, prendono il posto della fede perduta, e che

collocano la salvezza dell’umanità in questo mondo, in un avvenire lontano, nella forma di un ordine sociale

da costruire. […] Esse […] danno un’interpretazione globale del mondo (quantomeno del mondo storico).”6

L’esito, dell’ideologia rivoluzionaria, è qui capovolto: considerata, inizialmente, come elemento

decisivo per l’escatologia socialista, al fine di raggiungere una libertà sovra-politica, il socialismo

per Aron è visto come un movimento che, in nome di un’ideale, conduce alla perdita della stessa

libertà per cui si è lottato, e quindi, di conseguenza, a un rovesciamento nel suo opposto7.

I grandi regimi totalitari, al pari delle religioni secolari, invadono l’animo umano, fanno leva sulle

simboliche ancestrali della massa8 e, in esse, vi creano un delirio ascetico e collettivo; è qui il punto

d’incontro tra la l’ideologia russa - dal carattere razionalista, umanista - e quella tedesca -

totalmente irrazionale e pessimista; le differenze tra le due dottrine svaniscono, regna la confusione

concettuale e ogni tentativo di oltrepassare la società capitalistica sfocia in una logica negativa.

“Al giorno d’oggi […] ogni rivoluzione sarà e resterà per sempre totalitaria, dal momento che, trasferendo

allo stato la responsabilità di decisioni che in passato, inconsciamente, venivano prese da ciascuno e da tutti

[…], lo si condanna a rendersi indipendente dalla pluralità e dalla concorrenza dei gruppi, diventando di

conseguenza proprietà del gruppo che detiene il potere”.9

Questi regimi sono religioni pragmatiche, deliranti, cariche d’illusioni e menzogne, sono rivolte

interamente al mondo terreno; il fine non può che essere tragico.

Come fa notare Forti “i sistemi totalitari non si accontentano di eliminare la distinzione tra Stato e

società e di affossare ogni tipo di pluralismo, ma si organizzano intorno a ideologie che, come le

dottrine religiose, offrono un orizzonte salvifico temporalmente differito, realizzabile tuttavia

grazie al regime instaurato”10; l’importanza del pensiero emerso da Aron ci consente di

                                                                                                               5 R. Aron, L'avenir des religions séculières, in La France libre, n.45, 15 luglio 1944, pp. 210-217 e n.46, 15 agosto 1944, pp. 269-277, trad. it. di L. Savarino, L’avvenire delle religioni secolari, in S. Forti (a cura di) La Filosofia di fronte all’estremo. Totalitarismo e riflessione filosofica, ed. Einaudi, Torino 2004. 6 Ibidem, pp.4-5 7 Interessante notare la vicinanza di pensiero tra le tesi aroniane e il romanzo di George Orwell, Animal Farm. Entrambi, di chiara posizione anti-stalinista, riflettono sulla dialettica del dominio del socialismo sovietico: la tesi è lo sfruttamento; l’antitesi la rivoluzione; e possiamo rintracciare la sintesi in una dittatura, potenziata dai passaggi precedenti. Cfr. G. Orwell, Animal Farm, London 1945, trad. it. di G. Bulla, La fattoria degli animali, ed. Mondadori, Milano 2010. 8 Per una riflessione sul ruolo della massa nella società, vedi G. Le Bon, Psicologie delle Folle, trad. it. di L. Morpurgo, ed. TEA, Milano 2004. 9 Op. cit. R. Aron, L'avenir des religions séculières, p. 30 10 Cfr. S. Forti, Il totalitarismo, ed. Einaudi, Bari 2001.

  4  

individuare una prima e radicale differenza tra totalitarismo e autoritarismo: le ideologie sono

ubique e superficiali per il secondo, ma la loro profondità e permanenza è di vitale importanza per

il primo.

Siamo in pieno conflitto mondiale, l’Europa è devastata dalla guerra e molti teorici sono costretti a

emigrare negli Stati Uniti; è proprio qui che la discussione teorica prosegue: sono individuate

nuove linee di rottura, soprattutto nell’analisi istituzionale del regime totalitario. Nell’opera di

Fraenkel, per comprendere a pieno il ruolo svolto dal diritto e dalla giustizia nella Germania

nazista, viene introdotto il concetto di doppio Stato11. Tramite questo criterio, egli individua nel

Terzo Reich la presenza simultanea di uno Stato normativo, il quale rispetta le proprie leggi, e di

uno Stato discrezionale, che agisce autonomamente, in quanto sistema di potere e violenza; la

peculiarità consiste nella compresenza dell’ordine con una radicale forma di caos. Analizzando

l’essenza di queste categorie vediamo come, in realtà, è il potere che crea il diritto, sono le “le

autorità di polizia che controllano i tribunali dal punto di vista dell’opportunità”12, non esiste più

un limite costituzionale, legale, il politico è soltanto ciò che le istanze politiche ritengano debba

essere. Lo stato, in quest’ottica, è soltanto la facciata del partito, detentore del vero potere.

“Lo stato in quanto tale scompare […], poiché nella teoria positivistica questo concetto nascondeva il fatto

che un gruppo sociale esercitava in effetti quella sovranità attribuita allo stato. Quando il potere politico è

così fortemente concentrato come nello stato fascista, diviene opportuno sostituire il concetto di stato e della

sovranità con quello della sovranità e del suo Führer.”13

Le parole qui sono di Franz Neumann, il pensiero di Fraenkel è così approfondito: nella condizione

di caos perenne da cui è travolta la Germania nazista, la fonte della legge diviene il Führer stesso,

nel nazionalsocialismo legge e stato scompaiono, a esse si sovrappone la volontà del Partito, della

comunità del popolo, tutto è in funzione dell’arbitrio assoluto del Führer che incarna quella stessa

volontà di sotto alla quale coesistono quattro diversi poteri, ciascuno operante secondo il principio

del capo: partito, esercito, burocrazia e industria. Non è quindi necessario uno stato, è sufficiente

che queste diverse sfere si accordino tra loro. “Un non-stato, un caos, un regno dell’illegalità e

dell’anarchia, che ha ‘soffocato’ i diritti e la dignità dell’uomo”14, in quest’ ottica diviene

impossibile identificare un organo che abbia il monopolio politico. La rivoluzione totalitaria è una

                                                                                                               11 Cfr. E. Fraenkel, The Dual State, 1941, trad. it. Il doppio Stato. Contributo alla teoria della dittatura, ed. Einaudi Paperbacks, vol. 150, Torino 1983. 12 Ibidem, p.62 13 Cfr. F. Neumann, Behemoth, 1942, ed. Feltrinelli, Milano 1977. 14 Ibidem.

  5  

rivoluzione permanente15; legittimato il disordine, esso risponde di necessità a una logica di

perpetuazione della guerra civile e del disordine sociale di origine16.

Pur condividendo la linea teorica di Neumann, Herbert Marcuse si allontana dell’idea di non-stato,

centrale nel Behemoth, e rintraccia proprio nella burocrazia – per il primo solamente uno dei

soggetti nella struttura del compromesso – una delle caratteristiche peculiari del totalitarismo.

“La struttura dello Stato nazionalsocialistica non è tuttavia sufficientemente delineata attraverso questa

sovranità tripartita fra industria, partito, esercito e il Führer come luogo del compromesso finale. Le forze in

competizione eseguono le decisioni prese attraverso una burocrazia che è nello stesso tempo fra le

amministrazioni più altamente razionalizzate ed efficienti dell’era moderna e l’ultimo elemento peculiare del

Terzo Reich […] Il terrore che tiene insieme la società nazionalistica non è solo quello dei campi di

concentramento, delle prigioni e dei pogrom; non è solo il terrore dell’assenza di leggi, ma anche quello

meno evidente, ma non meno efficiente, della burocratizzazione.”17

Con Marcuse non si parla più di non-stato, ma di uno stato che, pur nel suo aspetto nichilistico e

totalmente irrazionale, è altamente raziocinante, metodico e tecnico. Il terrore totalitario vive di una

violenza che oltrepassa il dolore fisico, sfrutta l’efficienza tecnologica per deumanizzare

l’individuo e ogni relazione intersoggettiva viene assorbita nella logica dello stato-macchina;

l’uomo diviene parte dell’ingranaggio collettivo, costituito dalla massa amorfa e senza volto,

sempre più atomizzata, isolata, ogni aspetto della vita pubblica e privata viene controllato e

misurato in termini di efficienza o utilità, la sola forma di libertà concessa è quella imposta del

regime tecnocratico.

L’aspetto del dominio razionale è bene evidenziato da Max Horkheimer e Theodor Adorno in

Dialettica dell’illuminismo18, come già Hegel aveva notato19, i due autori rintracciano l’origine

della dialettica del dominio nel secolo dei lumi – da Cartesio a Kant20, passando per Bacone,

                                                                                                               15 Cfr. S. Neumann, Permanent Revolution, The Total State in a World at War, ed. Harper & Brothers, New York 1942. 16 Op. cit. D. Fisichella, Totalitarismo. Un regime del nostro tempo. 17 Cfr. Herbert Marcuse, Stato e individuo sotto il nazionalsocialismo, 1942, in H. Marcuse, Davanti al nazismo. Scritti di teoria critica 1940 – 1948, trad. it. di R. Laudani, ed. Laterza, Bari 2001. Vedi anche Z. Baumann, Modernità e olocausto, 1989, ed. Il Mulino, Bologna 1992; in linea con Marcuse, Baumann sottolinea l’importanza della razionalizzazione e della burocratizzazione come condizioni necessarie del genocidio nazista. 18 Cfr. M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente, 1944, trad. it. di R. Solmi, Dialettica dell’illuminismo, ed. Einaudi, Torino 1997. Si consiglia inoltre Lucio Cortella, Una dialettica nella finitezza: Adorno e il programma di una dialettica negativa, ed. Meltemi Editore, Roma 2006. 19 Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda, 27 agosto 1770 – Berlino, 14 novembre 1831) notava già nella Fenomenologia come l’illuminismo, con un capovolgimento dialettico, finiva per risolversi, non in un’emancipazione, bensì nel suo opposto, in quel caso nel regime del terrore giacobino; Horkheimer e Adorno non limitano il modello al settecento ma lo estendono ad ogni epoca dell’umanità. Cfr. G.W.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, 1807, trad. it. di V. Cicero, Fenomenologia dello Spirito, ed. Bompiani, Milano 2000. 20 Cfr. I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, 1781, trad. it. di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Critica della ragion pura, ed. Laterza, Bari 2000. La cosiddetta ‘rivoluzione copernicana’ di Kant consiste nell’ipotesi gnoseologica secondo cui l’oggetto si da al soggetto secondo le modalità apriori proprie di quest’ultimo. Analogamente a Copernico (1473 – 1543), il filosofo tedesco opera la sua ‘rivoluzione’ nella conoscenza facendo dipendere gli oggetti dal soggetto conoscente: dunque, una posizione attiva e produttiva, che supera il realismo ingenuo del passato, per mostrare che la conoscenza acquista la sua caratteristica di ‘necessità’ e ‘universalità’ proprio grazie all’attività conoscitiva del soggetto. Ne

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Galileo e Newton. Essi ritengono che non vi sia alcuna differenza concettuale tra nazismo,

socialismo e capitalismo, sono tutti e tre parti di una logica di potere comune. I francofortesi

rovesciano la concezione classica della ragione, strumento dell’uomo, utilizzata per emanciparsi

dalla natura al fine di dominarla21, e sostengono come l’estrema razionalizzazione sfoci

inevitabilmente in un totalitarismo, quale conseguenza del declino della razionalità occidentale,

intesa come libertà, e, in definitiva, l’inevitabile supremazia della razionalità tecnocratica, in cui la

vita stessa è oggetto di ricerca a scopo di sottomissione e alterazione.

Altro punto di vista della Scuola di Francoforte22, è quello di Erich Fromm. Mediante un approccio

psico-sociologico, in Fuga dalla Libertà23, sottolinea come l’eccessiva libertà, che l’uomo ha

ottenuto attraverso una serie di conquiste, dal dominio sulla natura allo sviluppo intersoggettivo, ha

determinato una perdita valoriale di significato dell’esistente; in questo contesto l’uomo è anonimo,

isolato e insicuro, vive una vita spersonalizzata, percepisce la propria finitudine e limitatezza anche

nelle scelte più semplici. Siffatta insicurezza caratterizza alcuni aspetti che colpiscono ogni

elemento del sociale. Lo sviluppo di un regime totalitario, per l’autore, ha una spiegazione non solo

economica o sociale, ma anche, psicologica, poiché riguarda la tendenza dell’uomo a fuggire da

una libertà amara per sottomettersi all’autorità.

“Il genere di relazione con il mondo può essere nobile o meschino, ma anche l’essere in rapporto con il

modello più basso è immensamente preferibile all’esser soli. La religione e il nazionalismo, come tutte le

consuetudini e le fedi, per quanto assurde e degradanti possano essere, purché colleghino l’individuo agli

altri sono rifugi per proteggersi da quello che l’uomo paventa di più, l’isolamento.” 24

Con il secondo dopoguerra il concetto di totalitarismo si espande e diviene materia di studio per

numerosi accademici, essi riflettono sulle implicanze che il nazismo tedesco e il comunismo

sovietico hanno avuto sulla storia del mondo, e sull’origine delle ideologie che hanno ispirato

questi regimi – sono rilette, a volte non senza fraintendimenti, opere fondamentali della storia del

pensiero politico, che vanno dalla Repubblica di Platone ai Lineamenti di filosofia del Diritto di

Hegel, passando per i testi di Hobbes, Helvétius e Rousseau; la polisemia del termine si estende

oltre ogni ragionevole misura sia nello spazio sia nel tempo; inoltre, dagli studi condotti finora,

emerge il rapporto problematico tra democrazia e stato totalitario: le analisi precedenti dimostrano

                                                                                                               consegue che l’ontologia è vincolata alle condizioni apriori del soggetto e, pertanto, non è più vista come una disciplina a sé stante, indipendente dalla soggettività. 21 Per un approfondimento sulla storia della ragione umana e del suo percorso di emancipazione vedi U. Galimberti, Il tramonto dell’Occidente, nella lettura di Heidegger e Jaspers, ed. Feltrinelli, Milano 2005. 22 Introdurre qui un’analisi sulla Scuola di Francoforte, seppur interessante ai fini di una più completa comprensione, sarebbe una deviazione dal presente lavoro. Rimando per chi fosse interessato a un tale approfondimento a E. Donaggio (a cura di), La Scuola di Francoforte. La storia e i testi, ed. Einaudi, Torino 2005. 23 Cfr. E. Fromm, Escape from Freedom, 1941, trad. it. di C. Mannucci, Fuga dalla Libertà, ed. Mondadori, Milano 1994. 24 Ibidem.

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come vi sia una forte presenza di presupposti, circostanze, situazioni ed elementi democratici nelle

esperienze totalitarie, e come vi sia una presenza altrettanto costante dei tratti tipici del

totalitarismo nello stato democratico. S’individua, perciò, nel totalitarismo una varietà di tirannia a

legittimazione democratica, e nella democrazia un sistema politico costituito e fondato sul pensiero

illiberale, teso verso la realizzazione dello ‘Stato Totale’25.

In quest’apparente babele di teorie, il vero punto di svolta arriva da una donna: Hannah Arendt26.

Le origini del totalitarismo, un’opera densa e organica, in cui la pensatrice individua nell’estrema

follia dei campi di sterminio la radicale novità dei regimi totalitari, in tale insensatezza la

manifestazione del male assoluto.

Antisemitismo e imperialismo sono per l’autrice le due premesse storiche per il consolidarsi del

totalitarismo. La crisi classista e dei partiti assieme alla disoccupazione, l’inflazione, la

repressione, il disorientamento delle folle e il senso di sopraffazione e indesiderabilità sono le

precondizioni ideali per l’affermarsi della società di massa. Come già sostenuto da Marcuse27,

l’atomizzazione e l’isolamento sono i presupposti irrinunciabili per un regime totalitario, costituito

da individui omologati e isolati gli uni dagli altri; l’uomo in questa situazione è senza nome,

superfluo, scambiabile; ognuno è reso nemico dell’altro e il conformismo sociale è una costante

minaccia alla libertà politica. I regimi totalitari si rivolgono alle solitudini, alle masse, organizzate

materialmente e secondo l’ideologia alla quale appartengono. Nascono così i leaders carismatici,

ma non rispettano l’individuo, né le sue libertà fondamentali, rendono normale la delazione, la

tortura, la soppressione di potenziali nemici, aboliscono la separazione tra vita pubblica e privata e

organizzano ogni aspetto dell’esistenza dei singoli.

“I movimenti totalitari trovano un terreno fertile per il loro sviluppo dovunque ci sono delle masse che per

una ragione o per l’altra si sentono spinte all’organizzazione politica, pur non essendo tenute unite da un

interesse comune e mancando di una specifica coscienza classista, incline a proporsi obiettivi ben definiti,

limitati e conseguibili. Il termine ‘massa’ si riferisce soltanto a gruppi che, per l’entità numerica o per

                                                                                                               25 Cfr. L. Schapiro, Political Opposition in One-Party States, ed. Macmillan, London 1972; C. Schmitt, Le categorie del ‘politico’, ed. Il Mulino, Bologna 1972. Per il primo autore il totalitarismo è definito come “la tirannide dell’età della democrazia di massa” mentre il secondo definisce “del tutto illiberali” le forze della democrazia, “perché essenzialmente politiche e dirette verso lo Stato Totale”. In op. cit. D. Fisichella, Totalitarismo. Un regime del nostro tempo. 26 Hannah Arendt (Linden, 14 ottobre 1906 – New York, 4 dicembre 1975), la sua appartenenza al popolo ebreo ha condizionato la sua vita e la sua opera, è stata detenuta in un campo d’internamento francese prima di espatriare definitivamente negli Stati Uniti nel 1941. Allieva di Heidegger, Husserl e Jaspers l’opera che la rende è celebre è The Origins of Totalitarianism del 1951. Il testo fu scritto dopo il secondo conflitto mondiale, in piena guerra fredda, ed è una delle più importanti opere storico-politiche del ‘900. Tra le sue opere più importanti ricordiamo H. Arendt, The Origins of Totalitarianism, 1951, trad. it. Le origini del totalitarismo, ed. Comunità, Milano 1967; The Human Condition, 1958, trad. it. Vita Activa, ed. Bompiani, Milano 2000; On Revolution, 1963, trad. it. di M. Magrini, Sulla Rivoluzione, ed. Einaudi, Torino 2006; Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil, 1963, trad. it. di P. Bernardini, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, ed. Feltrinelli, Milano 2010. Si consiglia inoltre P. Costa, Hannah Arendt. Antologia, pensiero, azione e critica nell’epoca dei totalitarismi, ed. Feltrinelli, Milano 2006. 27 Vedi nota 16.

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indifferenza verso gli affari pubblici o per entrambe le ragioni, non possono inserirsi in un’organizzazione

basata sulla comunanza di interessi, in un partito politico, in un’amministrazione locale, in un’associazione

professionale o in un sindacato. Potenzialmente essa esiste in ogni paese e forma la maggioranza della folta

schiera di persone politicamente neutrali che non aderiscono mai a un partito e fanno fatica a recarsi alle

urne.”28

Su queste premesse di atomizzazione s’instaura il fondamento ideologico del dominio, il quale

esige una fedeltà totale – direttamente proporzionale all’isolamento dell’individuo. Un’ideologia

onnicomprensiva, con una caratteristica vitale: mantenere obiettivi astratti e irrealizzabili, ma per le

masse, comunque, tangibili; uno stato totalitario, giacché regime in perenne movimento, non può

permettersi il raggiungimento di un fine che sia altro da sé, pena il suo stesso annientamento.

All’uomo rimane soltanto la cieca obbedienza nel credo del partito, marchiato a fuoco allo strato

interno ed espresso sotto forma di propaganda per il popolo. La funzione organizzativa di tale

gerarchizzazione permette di categorizzare i fedeli e distribuirli in modo tale che la facciata del

regime sia sempre rassicurante. Il contenuto dottrinale del regime è totalmente marginale, la forma

è più importante della sostanza, l’ideologia è un’elaborazione della logica del dominio, la quale,

però, nonostante la sua interna mutevolezza, per i membri del movimento rimane un elemento

costante e inviolabile della loro quotidianità29.

Queste novità della struttura totalitaria rappresentano il vero elemento d’innovazione del regime,

tutto è concentrato nel Führerprinzip: un male radicale, fine a se stesso, la volontà del capo è

l’unica legge, il potere è distribuito in modo gerarchico secondo il maggior o minor grado di

vicinanza al leader, in questa organizzazione ognuno sa solo quello che succede nella propria sfera

e nient’altro; in un regime così fatto il potere comincia dove inizia la segretezza, la rete sociale è il

frutto di una menzogna tessa dal partito e la polizia segreta è l’unico organo a conoscere i veri

scopi del potere. Il regime si anima, è un organismo vivente, fluido, eternamente in movimento.

“Per quel poco che sappiamo della struttura sociologica e della recente storia delle società segrete, la

struttura dei movimenti, senza eguali se confrontata con quella dei partiti e fazioni, ricorda in modo

sorprendente certe caratteristiche di esse. Anche le società segrete formano delle gerarchie secondo il grado

di ‘iniziazione’, regolano la vita degli adepti in base a una concezione segreta che fa apparire ogni cosa

come se fosse diversa da quel che è, adottano una strategia di coerenti menzogne per ingannare le masse

esterne di profani, esigono obbedienza cieca dai loro seguaci, uniti dalla fedeltà a un capo spesso

sconosciuto e sempre misterioso.”30

                                                                                                               28 Op. cit. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, p. 427 29 Passim, H. Arendt, Le origini del totalitarismo. 30 Cfr. G. Simmel, Das Geheimnis und die geheime Gesellschaft, in Soziologie, 1908, trad. it. Il segreto e la società segreta, ed. Sugarco, Varese 1992.

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I movimenti sono intesi come società segrete operanti alla chiara luce del giorno31, creano uno

stato di instabilità perenne, camuffato dalle promesse di inalterabilità. Riecheggiano qui il doppio

stato di Fraenkel e le teorie di Neumann32, vi è una duplicazione nella quale le strutture

amministrative svolgono la funzione di apparenza istituzionale, mentre nel partito converge il vero

potere. Il terrore totalitario, con l’ausilio della polizia segreta, investe chiunque, dai cittadini senza

opinioni, agli stessi fautori del regime: sono qui introdotte le categorie di nemico oggettivo e di

delitto possibile, quali specificità e contributo originale del sistema totalitario. L’identità del

nemico oggettivo viene denunciato e perseguitato sulla base di una futura ostilità, che si esaurisce

solo quando quella classe viene liquidata, la sua scelta è a discrezione del partito e varia a seconda

delle circostanze. L’esasperazione del concetto è la nozione di delitto possibile, basato su

un’anticipazione ritenuta attendibile, ogni uomo è un possibile criminale, gli unici innocenti sono

chi sta al potere33. La polizia segreta, completamente soggetta alla volontà di chi detiene il

controllo, si pone come un organo indispensabile del totalitarismo, esso permea ogni strato della

società. In uno stato così organizzato, l’individuo è completamente isolato, in questa emarginazione

radicale la disumanizzazione diviene totale, la polizia segreta può far sì che una persona non sia

mai esistita, che ogni sua traccia si dissolva e non vi rimanga nemmeno il ricordo affettivo.

L’apparato tecnico per eccellenza, che incarna ogni aspetto qui presentato, è per la Arendt il campo

di sterminio, essenza stessa del totalitarismo. In questi laboratori l’uomo è eliminato prima

giuridicamente – finisce per essere un numero, un atomo, nella massa aploide, spogliato di ogni

individualità, non più Leib ma semplice Körper34; poi moralmente - la volontà è schiacciata e gli

internati confluiscono anonimamente nel nulla, nell’oblio, senza alcun atto di ribellione.

“Il terrore totalitario non è dunque più un mezzo rivolto a un fine; è l’essenza stessa di questo tipo di regime.

[…] L’ideologia totalitaria considera questa specie – la razza umana – come l’incarnazione di una legge

omnipervasiva e onnipotente. […] questa legge è in effetti la legge di un movimento che si dispiega

attraverso l’umanità, che trova la sua incarnazione nel genere umano ed è messa continuamente in moto dai

leader totalitari. […] All’interno della loro cerchia, Hitler e Stalin sono stati spesso accusati di essere dei

mediocri perché nessuno dei due ha arricchito la propria ideologia di neanche una briciola di nuove

insensatezza, ma in questo modo si trascura il fatto che questi politici nel seguire le prescrizioni delle

proprie ideologie non potevano far altro che scoprire la vera essenza delle leggi del movimento della natura

e della storia, e il loro compito era di accelerarne il moto. […] la legge dell’omicidio, la legge che i

movimenti totalitari hanno seguito per giungere al potere, rimane in vigore come la legge dei movimenti

                                                                                                               31 Cfr. A. Koyré, Sulla menzogna politica, 1943, in op.cit. A. Arendt, Le origini del totalitarismo. 32 Vedi nota 10 e 12. 33 Cfr. op. cit. D. Fisichella, Totalitarismo. Un regime del nostro tempo. 34 La terminologia è della fenomenologia husserliana. Körper è corpo-oggetto, res extesna, mentre Leib è il corpo in quanto unità vissuta di movimento e percezione. Vedi M. Scheler, Über Scham und Schamgefül, 1933, trad. it. Sul pudore e il sentimento del pudore, ed. Mimesis, Milano 2013.

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stessi; e le cose non cambierebbero se dovesse accadere ciò che al momento appare come altamente

improbabile, cioè il raggiungimento dell’obiettivo di assoggettare l’intera umanità.”35

Le critiche mosse a Hannah Arendt riguardano principalmente il carattere filologico-esplicativo del

suo pensiero, a esso si contrappone l’esigenza di una valutazione descrittiva, capace di evidenziare

la sostanza complessiva del regime totalitario, identificandone i lineamenti oggettivi. In

Totalitarian Dictatorship and Autocracy36di C.J. Friedrich e Z.K. Brzezinski tale carenza viene

meno. Con un approccio, nettamente più analitico e formalistico, i due autori identificano come

proprio del totalitarismo una serie di ‘sindromi’. L’eziologia del regime è rintracciata in una serie

di fattori: un’ideologia ufficiale, onnicomprensiva, unanimemente accettata e condivisa, almeno

passivamente, protesa al raggiungimento della perfezione dell’umanità, fondata sul diniego della

società presente ai fini della conquista del mondo per crearne uno nuovo; un partito populista,

gerarchicamente e oligarchicamente organizzato, guidato solitamente da un leader, composto da un

numero inizialmente limitato di seguaci, e integralmente intrecciato nella trama burocratica dello

stato; una sorveglianza poliziesca fondata sul terrore e scientificamente avanzata, con compiti di

supporto al partito, di eliminazione dei nemici diretti del regime e di classi intere della popolazione,

di volta in volta selezionate arbitrariamente; un monopolio esclusivo dei mezzi di comunicazione,

delle armi e degli armamenti; un controllo totale dell’economia, della burocrazia e delle

corporazioni. Va, inoltre, posto l’accento sull’importanza della fluidità, sia del sistema normativo,

sia del diritto positivo, modificati a discrezione del partito per adattarsi alle leggi superiori del

movimento. Ulteriore novità, che emerge da Totalitarian Dictatorship and Autocracy, è la

contingenza del capo; mentre la Arendt insiste sul monopolio assoluto del dittatore, per i due

analisti, anche il leader è soggetto alla logica del potere, egli è puro simbolo e in quanto tale

svincolato da un soggetto determinato. Il regime dispotico si prefigge come un apparato fine a se

stesso, da cui non si può evadere.

Il concetto di totalitarismo analizzato fino a qui è differente dall’interpretazione sovietica del

fenomeno. Industrializzazione, tecnicizzazione e massificazione convergono in un regime post-

totalitario fondato sulla menzogna istituzionalizzata, è questo il cardine degli studi svolti in Russia

dopo la morte di Stalin (1953) negli anni sessanta.

Superato il periodo caldo, costellato da una violenza inaudita, in Unione Sovietica troviamo ancora,

però, quei tratti tipici del regime totalitario: conformismo di massa, negazione di qualsiasi

                                                                                                               35 Conferenza trasmessa dall’università radiofonica della Rias (Roundfunk im amerikanischen Sektor – radiodiffusione del settore americano) il 23 marzo 1953. In op. cit. Hannah Arendt. Antologia, pensiero, azione e critica nell’epoca dei totalitarismi, cap.8, Umanità e terrore, pp. 105-106 36 Cfr. C.J. Friedrich, Z.K. Brzezinski, Totalitarian Dictatorship and Autocracy, ed. Harvard University Press, Cambridge 1956. Assieme a The Origins of Totalitarianism è considerato il grande classico per lo studio del totalitarismo.

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espressione di libertà, un apparato burocratico saldo, radicato e onnipresente. Secondo

Papaïoannou siamo alla presenza di una ideologia fredda37. Il potere è ora capace di mantenersi

senza i mezzi violenti adoperati in passato; il cuore di questa differente rotta si ritrova

nell’eliminazione dello scambio d’informazioni provenienti dall’esterno e nel controllo totale di

ogni relazione sociale, in questo modo il potere svuota la storia di ogni significato, ogni ricordo

viene cancellato, la memoria perduta.

Nel 1987 Havel38 vede, nell’assenza di storie, il processo di nientificazione messo in atto dal

totalitarismo; la guerra, che egli percepisce, è diventata invisibile, non più una carneficina

corporale ma spirituale, il nuovo sistema totalitario è più maturo del precedente, ha trasceso se

stesso e ora non necessità più di sangue per affermarsi. L’apparato si è evoluto e adattato alla

storia, ma permane ancora nella sua eterna mobilitazione. All’incessante disordine è subentrata la

ferrea burocrazia, il fanatico idealista è ora rimpiazzato dal burocrate ordinatore, privo di

immaginazione. Nell’attuale regime regna la monotonia; la noia si è istituzionalizzata al posto della

violenza. Per imporre il suo dominio, il potere non ha più bisogno di lottare, gli basta mantenere lo

stato depressivo di torpore generale. Il regime post-totalitario non uccide più, impedisce di vivere,

l’individuo non ha riconquisto la propria soggettività, rimane annullato nella logica del dominio,

ora più razionale, capillare, sotterranea.

Kołakowski39, indagando affondo nelle origini storico-ideologiche del regime, nota come esso sia

inseparabile dallo stato socialista. Nel momento in cui ogni interazione, sia privato sia pubblico, è

assorbito nello stato, centro del potere economico e sociale, la violenza e il terrore divengono

semplici mezzi per accelerarne il processo dialettico.

La menzogna istituzionalizzata, secondo l’autore, è uno strumento d’immane potenza, nonché dalle

solide basi logiche e epistemologiche: non avendo più una realtà paradigmatica esterna al partito,

non possedendo più un passato o un ricordo certo, stabilire con sicurezza cos’è vero o cos’è falso

diventa un procedimento impossibile e sempre opinabile. Non siamo mai usciti dal regno del “tutto

è possibile”. Il fine della menzogna totalitaria è l’eliminazione dell’essenza dell’uomo, la sua

ragione, il suo pensiero, la sua passione e la sua libertà. La nuova ideologia totalitaria è

un’ideologia di schiavitù, l’unica esistenza reale è quella conforme alla logica del partito, l’umanità

in tale situazione non si ribellerà mai, è ora incapace di pensare e creare, è un oggetto morto.

L’escatologia post-totalitarista risiede nella cancellazione di ogni realtà storica, naturale e mentale

esterna a se stessa. Per il regime l’uomo è tale poiché estensione anonima del movimento

inarrestabile.

                                                                                                               37 K. Papaïoannou, L'Idéologie froide: essai sur le dépérissement du marxisme, 1967, Éditions de l'Encyclopédie des Nuisances, Paris 2009. 38 Cfr. V. Havel, Storie e totalitarismo, in op. cit. S. Forti (a cura di), La filosofia di fronte all’estremo. Totalitarismo e riflessione filosofica. 39 Cfr. L. Kołakowski, Il totalitarismo e la virtù della menzongna, in op. cit. S. Forti (a cura di), La filosofia di fronte all’estremo. Totalitarismo e riflessione filosofica.

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2. GEORGE ORWELL

“L’uomo libero a nulla pensa meno che alla morte e

la sua sapienza è meditazione non della morte ma

della vita.”

(B. Spinoza, Ethica, IV, prop. LXVII)

Erich Arthur Blair nasce nel 1903 a Motihari, villaggio indiano confinante con il Nepal, figlio di un

funzionario dell’Indian Civil Service – organo amministrativo dell’Impero Britannico – la sua

famiglia è relativamente benestante. Cresciuto in Inghilterra, vive un’infanzia infelice e tormentata

caratterizzata da un forte complesso d’inferiorità40. Iscritto nell’esclusivo collegio St. Cyprian, a

Eastbourne, nel Sussex, descritto in seguito come un luogo di costrizione, menzogna e segretezza,

l’ancor giovane scrittore sviluppa una sensibilità profonda verso il male e la conseguente necessità

di resistergli, accompagnato però, dalla desolante consapevolezza della sua impotenza. Dal 1917

studia all’Eton College, dove stringe amicizia con Cyril Connolly – critico letterario e scrittore

inglese, fondatore della rivista Horizion (1940-1949) – e Aldous Huxley, professore che ebbe per

un semestre, e fonte di grande ispirazione41.

Nel 1922 decide di arruolarsi nell’Indian Imperial Police, in Birmania. Fino al 1928, anno in cui si

dimette, crescono in lui l’avversione e il disgusto verso la repressione e l’arroganza imperialista.

Nello stesso anno si trasferisce a Parigi, ne esplora i bassifondi, gli ambienti disagiati e sperimenta

la povertà. Tornato a Londra, l’esperienza ispira il suo primo romanzo, pubblicato sotto lo

pseudonimo George Orwell, Down and Out in Paris and London, una chiara critica sociale alla

borghesia del tempo. A questo seguono altre pubblicazioni - A Clergyman’s Daughter (1935) e

Keep the Aspidistra Flying – le nozze con Eileen O’Shaughnessy e l’opera, su commissione del

Left Book Club, un circolo intellettuale filosocialista, The Road to Wigan Pier (1936), indagine

sulla condizione proletaria nelle zone più colpite dalla depressione economica; il libro non fu

gradito dall’associazione, a causa del suo giudizio spietato nei confronti di un socialismo ambiguo

e sognante.

                                                                                                               40 Cfr. G. Orwell, Such, Such Were the Joys, Partisan Review, 1952, trad. it. di G. Bulla, in G. Bulla (a cura di), George Orwell, romanzi e saggi, ed. Mondadori, Milano 2000. 41 Aldous Leonard Huxley (1894–1963), autore di numerosi saggi e scritti, raggiunge la notorietà con il romanzo distopico Brave New World. Nell’opera il motto dello Stato Mondiale è “Comunità, Identità, Stabilità”. Vedi A. Huxley, Brave New World, ed. Chatto & Windus, London 1932, trad. it. di L. Gigli e L. Bianciardi, Il Mondo Nuovo, ed. Mondadori, Milano 1961; Brave New World Revisited, ed. Chatto & Windus, London 1959, trad. it. di L. Gigli e L. Bianciardi, Ritorno al Mondo Nuovo, ed. Mondadori, Milano 1961; The Devils of Loudun, ed. Chatto & Windus, London 1952, trad. it. di L. Sautto, ed. Mondadori, Milano 1980.

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La guerra civile spagnola (1936-1939) è un nodo cruciale nella vita dello scrittore. Nel dicembre

del 1936, attratto dalle sollevazioni popolari in atto, si unisce, con sottile indifferenza, al Partido

Obrero de Unificación Marxista (P.O.U.M.)42. Tale scelta non è da intendersi politicamente, ma

come espressione della sua volontà di combattere contro l’autoritarismo fascista. Dopo un breve

addestramento a Barcellona, in mano alle forze di sinistra, viene spedito al fronte, prima a

Alcubierre e successivamente a Saragozza. Al suo rientro in città, dovuto a una ferita alla gola, lo

spirito rivoluzionario è totalmente scomparso, le disparità sociali ed economiche si sono ripristinate

e, a causa di una massiccia campagna propagandistica anti-P.O.U.M., messa in moto dal partito

comunista spagnolo – teoricamente alleati - i membri dell’unione sono considerati fuorilegge.

Aiutato dalla moglie, evita l’arresto e trascorre qualche giorno in clandestinità, grazie

all’inefficienza della polizia riesce ad attraversare il confine e rimpatriare in Inghilterra. Homage to

Catalonia43 è il racconto, in prima persona, degli avvenimenti che ha vissuto in Spagna, dal

momento del suo arrivo sino al giugno 1937. Ne emerge un racconto antitetico: da un lato

l’esaltazione dello spirito anti-totalitario, dall’altro la sconfortante realizzazione dell’impossibilità

di rovesciare la logica del dominio che pervade, non solo la rete sociale, ma lo stesso animo

umano.

Nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale, rivede la sua posizione nei confronti

dell’Inghilterra e decide di arruolarsi, ma è dichiarato inabile al servizio militare. Nel ’43 diviene

redattore letterario del settimanale socialista Tribune e inizia a scrivere Animal Farm44, pubblicato

solo alla fine della grande guerra, a causa dell’alleanza con la Russia. L’allegoria è la storia della

dialettica del dominio e del fallimento della rivoluzione russa45. Aspetti centrali dell’opera satirica -

oltre alla logica del potere - emersi anche in Homage to Catalonia - sono il ruolo della propaganda:

le verità sono continuamente modificate da chi detiene il potere, ogni certezza viene meno e si

arriva addirittura a credere alle menzogne del regime; lo stato perenne di guerra interna,

istituzionalizzato dal capo e messo in atto dalla vigilanza rivoluzionaria: chiunque è in dissonanza

con la rivoluzione del potere centrale è un controrivoluzionario e come tale va eliminato; e

l’importanza del valore oggettivo attribuito ai ‘documenti ufficiali’: cadiamo, qui, in un circolo                                                                                                                42 Trad. it. Partito Operaio d’Unificazione Marxista. D’ispirazione trotzkista e antistalinista si oppose a Francisco Franco nella guerra civile spagnola. 43 Cfr. G. Orwell, Homage to Catalonia, 1938, trad. it. di R. Duranti, Omaggio alla Catalogna, Mondadori, Milano 1993. 44 Vedi nota 7. 45 Al fine di una più completa comprensione è necessario rilevare la vicinanza dell’autore con il pensiero di Michail Bakunin (1814-1876). Entrambi partono da una radicale critica alla dialettica rivoluzionaria di Marx (1818-1883), ritenuta ingenua perché implica la concezione di un potere che si auto sopprime. Sia Orwell sia Bakunin evidenziano come peculiare del potere sia la sua capacità conservativa e implementava, dove Marx vede la scomparsa dello stato, essi vedono la riformazione, ancora più feroce, del potere prima combattuto. Va inoltre fatto notare che una tale critica può sussistere solo in relazione a un’ideologia liberale, in questo senso il nazismo germanico è inferiore al regime sovietico, in quanto estraneo all’idea della volontà di libertà. Cfr. M. Bakunin, Gosudarstvennost' i Anarchija, 1873, trad. it. di N. Vincileoni e G. Corradini, Stato e Anarchia, ed. Feltrinelli, Milano 2000; K. Popper, The Open Society and its Enemies, 1945, trad. it. di R. Pavetto, ed. Armando, Roma 2002. Di quest’ultima si veda in particolare il secondo tomo, Hegel e Marx falsi profeti.

  14  

vizioso, tali documenti sono gestiti dallo stesso regime che vorremmo moderare, la contraddizione

qui è evidente. La verità perde di significato, diviene strumento nelle mani del potere, che di volta

in volta la adegua alle proprie necessità.

Merito del successo ottenuto da Animal Farm, lo scrittore è per la prima volta libero da problemi

finanziari, proprio quando moriva la moglie tragicamente durante un intervento chirurgico. Dopo la

collaborazione con l’Observer e ancora con il Tribune tra il ’45 e il ’47, si ritira assieme al figlio a

Jura, un’isola al largo della Scozia, e completa la prima stesura del suo capolavoro Nineteen

Eighty-Four, che uscirà per Secker & Warburg nel giugno del ’49; nel gennaio dello stesso anno

viene ricoverato per tubercolosi e si risposa con Sonia Brownell, allora redattrice dell’Horizon.

Il 23 gennaio del 1950 George Orwell passa alla storia come lo scrittore che ha colto, più di ogni

altro, il tratto peculiare, non solo del totalitarismo, ma, dell’essenza stessa dell’uomo.

2.1. Nineteen Eighty-Four

Opera maestra e romanzo centrale per la comprensione del pensiero nichilista, sofferente e

inevitabilmente sconfitto dell’autore. Sulla scia del celebre mito della caverna46 di Platone,

Nineteen Eighty-Four è la messa in scena di quello stesso percorso formativo, quella stessa

paideía, che porta alla verità, all’alétheia. Ma il sommo bene è il male assoluto, il viaggio

gnoseologico di Winston Smith47 è un viaggio, imposto dalla logica del potere, attraverso l’inferno,

non per uscirne, ma per trovare il suo punto più oscuro, la sua verità, dalla natura arbitraria, e lì

rimanerci. La chiave di lettura è l’individuo stesso, non più la collettività; il fallimento della

dialettica rivoluzionaria di Animal Farm è qui interpretato in modo solipsistico; la rivoluzione

crolla a causa dell’individuo, a causa della sua pretesa di libertà e di uguaglianza. Il collettivo è lo

strumento che egli adopera, ma poiché strumento, è semplice proiezione del soggetto performante.

Il ritmo triadico48, che possiamo rinvenire nell’opera, è l’iniziale descrizione del protagonista, della

società in cui è immerso e la consapevolezza del suo carattere totalitario – tesi; il tentativo di

ribellione personale, la segreta resistenza e il clandestino tentativo di sovversione collettiva –

antitesi; infine, il completo annientamento dell’umanità nel processo d’indottrinamento del Partito

tramite lavaggio del cervello, l’individuo è sconfitto nel funzionalismo del regime – sintesi.

Le uniche emozioni che l’uomo orwelliano è in grado di provare sono il terrore e la paura derivate

dallo stato d’angoscia perenne in cui si ritrova; l’impotenza, l’impossibilità di qualsiasi autonomia                                                                                                                46 Cfr. Platone, La Repubblica, Libro VII, 514 a – 541 b, trad. it. M. Vegetti, ed. BUR, Milano 2007; M. Heidegger, La dottrina platonica della verità, in F. Volpi, F.W von Herrmann, Segnavia, ed. Adelphi, Milano 1987. 47 Il nome del protagonista è di carattere simbolico, Winston – Churchill, e Smith – paradigma dell’uomo comune. Il significato risiede nella lotta, dell’uomo in generale, contro il totalitarismo. 48 Il termine è hegeliano, l’opera stessa è divisa in tre parti.

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al di fuori dallo Stato, paralizza l’anima, incapace ora di qualsiasi espressione di ragione o libertà,

la sola libertà è quella del partito, la sola ragione possibile è il credo mistico nel Grande Fratello. A

questo proposito O’Brien, il torturatore di Winston, è molto chiaro:

“Non immaginare di salvarti, Winston, per quanto ampio sia il grado di sottomissione e di resa a cui ti

piegherai. Nessuno che abbia deviato viene mai risparmiato. E anche se decidessimo di farti vivere fino al

termine naturale della tua vita, pure non riusciresti a sfuggirci. Quel che ti succede qui ora, resta per

sempre. Cerca di capirlo bene prima. Noi ti faremo scendere fino a un punto dal quale non c’è più alcuna

possibilità di risalire. Ti accadranno cose dalle quali tu non riuscirai a guarire anche se dovessi vivere mille

anni. Tu non sarai mai più capace di comuni sentimenti umani. Ogni cosa sarà morta dentro di te. Tu non

sarai mai più capace di sentire amore, amicizia, gioia di vivere, di ridere, di sentire curiosità, onestà. Sarai

vuoto. Ti spremeremo fino a che tu non sia completamente svuotato e quindi ti riempiremo di noi stessi”49

Il dominio è necessariamente totale e incontrovertibile; nel suo delirio di onnipotenza giunge

persino ad arrestare il corso naturale della storia, la sua estensione diviene atemporale e illimitata,

la sua tensione è l’eterno, di cui è già manifestazione:

“«C’è uno slogan del Partito che riguarda il controllo del passato» disse. «Ripetilo, per piacere.»

«Chi controlla il passato, controlla il futuro, chi controlla il presente, controlla il passato» ripeté Winston,

sottomesso. […] O’Brien sorrise debolmente. «Tu non sei un metafisico, Winston» disse. «Fino a questo

momento non hai mai considerato che cosa propriamente s’intenda per esistenza. Cercherò di essere più

chiaro. Il passato esiste forse concretamente nello spazio? C’è da qualche parte un luogo, un mondo

d’oggetti solidi, dove il passato sta ancora avvenendo?»

«No.»

«Quindi, dove esiste il passato, seppure esiste?»

«Nei documenti. Esso vi è registrato.»

«Nei documenti. E…?»

«E nella mente. Nella mente degli uomini.»

«Nella memoria, allora. Noi, il Partito, controlliamo tutti i documenti, e controlliamo tutte le memorie. E

quindi controlliamo il passato. Non è vero?»50

Questo il mondo prospettato da Orwell, un mondo dove ogni fatto è controllato e, se necessario

rivisto; un mondo in cui ogni istante della vita è sorvegliato, “il Grande Fratello vi guarda”51, dice

la scritta che si legge a ogni angolo della strada; il controllo è evidente, esplicito e esasperato52. In

                                                                                                               49 Cfr. op. cit. G. Orwell, Nineteen Eighty-Four, p. 269 50 Ibidem, pp. 260-261 51 Passim 52 Jeremy Bentham (1748-1832) aveva progettato, nel 1791, un carcere che permettesse di sorvegliare tutti i detenuti senza permettere a questi di capire se sono in quegli istanti controllati o meno. A tale piano attribuì il nome Panopticon. Per un’analisi introduttiva al panoptismo vedi B. Jeremy, Panopticon, ovvero la casa d’ispezione, (a cura di) M.

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questa vigilanza ossessiva la sola legge ammessa è l’obbedienza e la fiducia incondizionata nello

Stato, l’eterodossia, lo psicocrimine, non è ammessa, è il reato sommo e, per logica del dominio, va

prevenuto anticipandone l’atto. Il protagonista vive un’epoca senz’anima, uno sconfinato processo

dialettico inarrestabile, in cui non vi è spazio per l’intenzionalità; l’atomizzazione è abissale,

nemmeno la ‘famiglia’ si salva, e la vita si riduce a un triste moto perpetuo utilitaristico, dalla

nascita alla morte.

“Abbiamo abolito i legami tra figli e genitori, tra uomo e uomo, tra uomo e donna. Nessuno ha il coraggio di

fidarsi più della propria moglie, del proprio figlio; nel futuro non ci saranno né mogli, né amici. I bambini

verranno presi appena nati alle loro madri così come le uova vengono sottratte alle galline. L’istinto

sessuale verrà sradicato. La procreazione diventerà una formalità annuale come il rinnova della tessera

annonaria. Noi aboliremo lo stesso piacere sessuale. I nostri neurologi stanno facendo ricerche in

proposito.”53

Tutto questo è essenziale al Partito, un pensiero fuori dalla sua logica non può sussistere, il rischio

è troppo alto, anche la figura di Emmanuel Goldstein – leader della Fratellanza, un’organizzazione

segreta che combatte il regime - è ambigua, non si capisce fino a che punto la rivoluzione esista o

sia un altro mezzo, nelle mani dello Stato, per individuare futuri ribelli.

Nineteen Eighty-Four è il regno della contraddizione, gli slogans del Socing54 – l’ideologia del

Partito – sono in evidente contrasto:

“La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”55

Con questa formula, il continuo stato di guerra, voluto dal Partito, è giustificato; il popolo

comprende chiaramente la propria sottomissione; ed esprime lo stato di forza proveniente dalla

massa uniformata. Il motto è bastato su due concetti chiavi per il sistema, il Doublethink -

bipensiero – presupposto dal Newspeak – neolingua. Il risultato di questo procedimento è

l’illusione della verità, il carattere dogmatico dell’antinomia non permette certezze logiche, siamo

nella dimensione della follia. Proprio su questa base contraddittoria si comprendono alcune

necessità di siffatto potere che mira all’eternità: una guerra permanente permette di eliminare la

sovrabbondanza di risorse; l’accentramento tecnologico mantiene inalterato l’organizzazione

gerarchica della società; il collettivismo oligarchico giustifica l’assenza di un soggetto politico

reale, determinato, destinato inesorabilmente alla morte.

                                                                                                               Foucault, M.Perrot, trad. it. di V. Fortunati, Venezia 2002; M. Foucault, Sourveiller et punir: Naissance de la prison, ed. Gallimard, Paris 1975, trad. it. di A. Tarchetti, Sorvegliare e punire, ed. Einaudi, Torino 2008. 53 Op. cit. G. Orwell, 1984, p. 280 54 In neolingua sta per Socialismo inglese. 55 Ibidem, p. 8

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“Ci sono solo quattro modi per cui una classe dirigente può essere allontanata dal potere. O è vinta dal

difuori, o governa in modo talmente fiacco e inefficiente che le masse vengono naturalmente spinte a

rivoltarsi, o permette a un gruppo di gente Media, forte e insoddisfatta, di farsi le ossa, o, da ultimo, perde la

fiducia in se stessa e, con questa, la volontà di governare. Codeste cause non operano singolarmente ma si

danno, di regola, tutt’e quattro insieme, sebbene in varia misura. Una classe dirigente, in tal modo, che

riesca a guardarsi da tutt’e quattro può contare di tener il potere in permanenza. In definitiva, il fattore

determinante è costituito dall’atteggiamento mentale della stessa classe dirigente.”56

Nell’opera, tutti e quattro i fattori sono bloccati sul nascere. La guerra esterna è combattuta, fra tre

superstati57, al solo di fine di renderla continua e incessante; i prolet, come abbiamo visto, sono

emarginati, non conoscono la realtà oggettiva della storia, non hanno diritto al pensiero autonomo e

quei pochi coscienziosi sono eliminati o assorbiti all’interno dello Stato; il gruppo di gente Media,

è accolto nel Partito Interno58; il quarto modo è evitato dalla passione ideologica che ciascun

membro esercita sull’altro, dal forte cameratismo e dall’autorevolezza della struttura di cui fanno

parte. Proprio in quest’onnipotenza, la vita di Winston Smith prende senso, è l’errore nel sistema, è

la falla che dimostra la sua incompletezza, è la negazione del negativo59. L’acquisto di un quaderno

in cui annotare la propria dissidenza e il proprio pessimismo; l’amore puro per Julia; l’adesione alla

Confraternita. Sono queste le gesta del nostro eroe, che combatte contro un sistema divino pur

sapendo la tragicità che lo attende. I prolet non sono in grado di comprendere il problema

dell’esistenza del Partito; la confraternita si rileva essere una menzogna; e l’ultima speranza per

l’umanità, l’amore, è annientata proprio nel Ministero dell’Amore. La dialettica orwelliana non

lascia scampo, è il romanzo della nostra vita, della nostra impotenza, della nostra inutilità e infine

della nostra sconfitta.

“Non v’è sole senza ombra, e bisogna conoscere la notte. Se l’uomo assurdo dice di sì, il suo sforzo non avrà

più tregua. Se vi è un destino personale, non esiste un fato superiore o, almeno, ve n’è soltanto uno, che

l’uomo giudica fatale e disprezzabile. Per il resto, egli sa di essere il padrone dei propri giorni. In questo

sottile momento, in cui l’uomo ritorna verso la propria vita, nuovo Sisifo che torna al suo macigno, nella

graduale e lenta discesa, contempla la serie di azioni senza legame, che sono divenute il suo destino, da lui

stesso creato, riunito sotto lo sguardo della memoria e presto suggellato dalla morte. Così, persuaso

dell’origine esclusivamente umana di tutto ciò che è umano, cieco che desidera vedere e che sa che la notte

non ha fine, egli è sempre in cammino. Il macigno rotola ancora. Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si

ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i

                                                                                                               56 Ibidem, p. 216, tratto da La teoria e la pratica del collettivismo oligarchico, di Emmanuel Goldstein, cap. I, L’ignoranza è forza. 57 Ibidem, vedi p. 195 58 Ibidem, vedi p. 217 59 Sul tema del negativo tornerò nella seconda parte di questo lavoro, tenendo come riferimento gli studi di L.V. Tarca.

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macigni. Anch’egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile

né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte,

formano da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna

immaginare Sisifo felice.”60

2.2. Il totalitarismo perfetto61

Il regime descritto da Orwell trascende i totalitarismi sensibili, possiede tutte le caratteristiche

rilevate tanto dalla scienza politologica quanto dalla filosofia politica, analizzate brevemente in

precedenza62, oltrepassandole, ponendosi, in tal modo, come un apparato sovra-storico in grado di

determinare eternamente la vita e l’essenza stessa dell’uomo.

“Non esisterà più il concetto di lealtà, a meno che non si tratti di lealtà verso il Partito. Non ci sarà più

amore eccetto l’amore per il Grande Fratello. Non ci sarà più il riso, eccetto il riso di trionfo su in nemico

sconfitto. Non ci sarà più arte, più letteratura, più scienza. Non ci sarà più alcuna distinzione tra la bellezza

e la bruttezza. Non vi sarà più alcun interesse, più alcun piacere a condurre l’esistenza. Le soddisfazioni che

derivano dallo spirito di emulazione non esisteranno più. Ma ci sarà sempre, intendimi bene, Winston,

l’ubriacatura del potere, che crescerà e si perfezionerà costantemente e costantemente diverrà più raffinata

e sottile. Sempre, a ogni momento, ci sarà il brivido della vittoria, la sensazione di vivido piacere che si ha

nel calpestare un nemico disarmato. Se vuoi un simbolo figurato nel futuro, immagina uno stivale che

calpesta un volto umano… per sempre.”63

Quali sono le basi ontologiche su cui poggia un potere sì fatto? In quale modo esso si pone come

trascendente64? Come condiziona il reale?

Procediamo per gradi. A livello pratico, uno dei capisaldi della filosofia totalitaria, riprende la

locuzione latina divide et impera, dividi e domina, su cui è fondato tutto il processo di

atomizzazione, messo in moto dal Partito; prevede una forma di sorveglianza totale, basata sul

modello panottico65 di Bentham, e impone l’adesione ideologica a ogni membro del Partito, senza

distinzione di classi. Una partecipazione passiva è consentita solamente alla moltitudine – i prolet –

emarginata e insensata, composta di una serie d’individualità, ormai smantellate, che, pur di non                                                                                                                60 Immaginare felice Winston Smith è un’impresa ardua, ma nella sconfinata desolazione, sono convinto che prima di entrare nella Stanza 101, per pochi attimi lo sia stato. Cfr. A. Camus, Le mythe de Sisyphe, 1942, trad. it. di A. Borelli, Il mito di Sisifo, ed. Bompiani, Milano 2009. 61 Nel presente paragrafo considero acquisite le peculiarità dei regimi totalitari fin qui indagate, al fine di poter dedicare maggiore attenzione all’aspetto soprasensibile della problematica. 62 Vedi cap. 1. 63 Op. cit. G. Orwell, 1984, pp. 280-281 64 In questa sede mi avvalgo della distinzione kantiana fra trascendente - trascendentale e della relativa critica hegeliana. Vedi op. cit. I. Kant, Critica della ragion pura; G.F.W. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, in particolare i primi cinque capitoli. 65 Vedi nota 50.

  19  

essere nessuno, s’identificano, in un soggetto sovraindividuale, il regime - barattano la propria

insignificanza per perdersi nel senso del potere66. A un sistema perfetto, però, controllo incessante

e annullamento del singolo, non bastano. Prima di distruggere la persona, l’apparato deve

possederlo, riprogrammare il suo spirito, condizionare il suo pensiero.

“Tu sei una falla nel nostro disegno, Winston. Sei una macchia che dev’essere cancellata. […] A noi non

basta l’obbedienza negativa, né la più abietta delle sottomissioni. Allorché tu ti arrenderai a noi, da ultimo,

sarà di tua spontanea volontà. […] Noi lo convertiamo, ci impossessiamo dei suoi pensieri interni, gli diamo

una forma del tutto nuova. Lo riportiamo al nostro fianco non solo apparentemente, ma nel senso più

profondo e genuino, nel cuore e nell’anima. Ne facciamo uno dei nostri, prima di ucciderlo. È intollerabile,

per noi, che anche un solo pensiero partecipe dell’errore possa esistere in qualche parte del mondo, pur se

nascosto e innocuo Anche nello stesso istante della morte, non possiamo consentire alcuna deviazione. […]

rendiamo perfetto il cervello, prima di farlo saltare. Il comandamento dei vecchi regimi dispotici era: Tu non

devi. Il comandamento di quelli totalitari era: Tu devi. Il nostro comandamento è: tu sei.”67

Il comandamento68 del Partito è eterno. La terminologia utilizzata per descrivere il regime non è

casuale, rimanda al sacro, all’onnipotente; il potere orwelliano è un potere che oltrepassa lo

storicismo, è al di là dell’umana ragione; la sua dialettica è illimitata, il suo fine non è altro da sé, il

suo movimento è perenne. I totalitarismi storici sono modi di apparire della logica del dominio,

sono sua eterna manifestazione, che negandosi in altro da sé, si riaffermano nuovamente, arricchiti,

incrementati. Nella filosofia di Nineteen Eight-Four Dio è il Potere, e l’autore lo fa dire da

O’Brien, uno dei sacerdoti del Partito:

“Iddio è il potere. Ma in questo momento, per quanto riguarda te, il potere è soltanto una parola.”69

Il Dio di Orwell - al contrario del Dio cristiano, fondato sulla separazione ontologica fra creatore e

creazione – si configura come una realtà totale, di cui il mondo sensibile costituisce manifestazione

- monismo panteistico. Il tangibile è formato da una serie di eventi storicamente determinati che

fanno parte di una struttura globale, questo complesso non ha nulla fuori di sé e coincide con il

                                                                                                               66 Si faccia caso come la stessa democrazia rappresentativa sfrutti questo meccanismo: una moltitudine, in stato di “narcisistico torpore” - per usare le parole di McLuhan (vedi M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, trad. it. di E. Capriolo, ed. Il Saggiatore, Milano 2008) – votando, esercita, semplicemente, la scelta a quale collettività appartenere. 67 Op. cit. G. Orwell, 1984, pp. 267-268 68 Riporto la versione originale del testo al fine di chiarire quanto affermo in seguito. “The command of the old despotisms was “Thou shalt not”. The command of the totalitarians was “Thou shalt. Our command is “Thou art”.” Si noti che nella versione di Baldini il termine “command”, espressione polisemica nella lingua inglese, che letteralmente equivale a “comando”, “ordine” - di chiaro rimando marziale – è tradotto, giustamente, in “comandamento”. Cfr. G. Orwell, Nineteen Eight-Four. A novel, ed. Secker & Warburg, London 1949. 69 Op. cit. G. Orwell, 1984, p. 277

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Potere, l’Assoluto, l’Infinito70. Il totalitarismo perfetto è un soggetto sovra-storico in divenire, tutto

ciò che esiste, è un momento della sua realizzazione.

La sua specificità è la contraddizione, nel romanzo è il bipensiero, la neolingua come sua

esternazione necessaria e antecedente epistemico. Lo scrittore, inserendosi nella svolta linguistica71

del Novecento, considera il pensiero dipendente dal linguaggio72, cosicché il Potere, manipolando

la parola, condiziona il pensiero: un concetto inesprimibile è un concetto impensabile, la capacità

costruttiva e di conseguenza distruttiva del linguaggio si dissolve.

Il Potere è Dio, la contraddizione la sua arma; il totalitarismo perfetto è l’estrema manifestazione

del Potere Assoluto, essenza del mondo, dell’uomo e della storia; eternamente domina ed

eternamente evolve.

                                                                                                               70 La somiglianza tra Potere orwelliano e Spirito hegeliano appare qui evidente. “Il vero è l'intero. Ma l'intero è soltanto l'essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell'Assoluto si deve dire che esso è essenzialmente Risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità; e proprio in ciò consiste la sua natura, nell'essere effettualità, soggetto, o svolgimento di se stesso. Per quanto possa sembrare contraddittorio che l'Assoluto sia da concepire essenzialmente come risultato, basta tuttavia riflettere alquanto per renderci capaci di questa parvenza di contraddizione. Il cominciamento, il principio, l'assoluto, come da prima e immediatamente vien pronunziato, è solo l'Universale. Se io dico: “tutti gli animali”, queste parole non potranno mai valere come una zoologia; con altrettanta evidenza balza agli occhi che le parole: “divino”, “assoluto”, “eterno”, ecc. non esprimono ciò che quivi è contenuto; e tali parole in effetto non esprimono che l'intuizione, intesa come l'immediato. Ciò che è pié di tali parole, e sia pure il solo passaggio a una proposizione, contiene un divenir-altro che deve venire riassimilato; ossia è una mediazione.” Cfr. op. cit. G.F.W. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Prefazione. 71 Per un’introduzione alla filosofia del linguaggio del ‘900 rimando a A. Iacona, E. Paganini (a cura di), Filosofia del linguaggio, ed. Raffaello Cortina, Milano 2003; L. Perissinotto, Wittgenstein. Una guida, ed. Feltrinelli, Milano 2008. 72 Cfr. L.S. Vygotskij, Myšlenie i reč, 1934, trad. it. Pensiero e Linguaggio, Laterza, Bari 2008.

  21  

PARTE SECONDA

LA LOGICA DEL NEGATIVO73

“Dunque non è funzione del giusto quella di

nuocere, Polemarco, né a un amico né a chiunque

altro, ma del suo contrario, l’ingiusto. […] Se

dunque qualcuno sostiene che è giusto rendere a

ciascuno ciò che gli è dovuto, ma pensa con ciò che

da parte dell’uomo giusto si tratti di render danno

ai nemici e benefici agli amici – non sarebbe

sapiente chi dice queste cose, perché non direbbe il

vero. Ci apparve infatti che in nessun caso è giusto

nuocere a nessuno.”

(Platone, La Repubblica, libro I, 335 e)

3. IL DOMINIO DEL NEGATIVO

“Tutte le proposizioni sono di pari valore.”

(L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus,

prop. 6.4)

Come possiamo vedere, in virtù delle osservazioni sviluppate in precedenza74, la soluzione

orwelliana, alle riflessioni derivanti dalla proposizione di Wittgenstein75 (sopra citata), consiste

nell’attribuire al Potere la facoltà di decidere quale dei due enunciati contrapposti debba prevalere.

Nel incessante lavoro di alterazione della realtà conoscitiva, ad opera del Partito, il mondo è

dominato dalla contraddizione, una contraddizione negativa, im-mortale76, in-temporale, in-

negabile, in-evadibile.

                                                                                                               73 Centrale della parte seconda è il pensiero di L.V. Tarca. Vedi R. Màdera, L.V. Tarca, La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche, ed. Bruno Mondadori, Milano 2003 L.V. Tarca, Quattro variazioni sul tema negativo/positivo, ed. Ensemble 900, Treviso 2006; Tortura, dolore e potere. Per una lettura orwelliana del tempo presente, in L. Zagato, S. Pinton, La tortura nel nuovo millennio. La reazione del diritto, ed. Cedam, Milano 2010; Lo spirito della tecnica. Dal potere all'onnipotere, in G. Pasquale (a cura di), Ritorno ad Atene. Studi in onore di Umberto Galimberti, ed. Carocci, Roma 2012. 74 Vedi parte prima, cap.2. 75 “Se ogni enunciato è di pari valore, dati un qualsiasi enunciato e quindi necessariamente, con esso, la sua negazione, come si può decidere quale dei due è vero e quale no? Chi può decidere quale dei due enunciati deve essere affermato e quale deve essere negato?”

  22  

In siffatto modo, la logica del Potere regna incontrastabile sull’uomo, protetto dal procedimento

elenctico77. Ma, tale primato non riguarda solamente il Dio orwelliano, esso costituisce il cuore

stesso della filosofia.

Obiettivo di un sapere totale, incondizionato, non-ipotetico, infallibile e universale, com’è quello

cui mira il pensiero filosofico, sembra in tal modo realizzarsi nell’élenchos, e ciò che pare

necessariamente vero, ruota attorno alle nozioni di negazione e di negativo: la negazione della

negazione appartiene alla negazione; così il “negativo del negativo è a sua volta negativo, del

negativo non si dà negazione, e dunque il negativo è innegabile”78. Innegabili, perciò, sono quelle

posizioni la cui negazione conduce ad autonegazione: negandole siamo costretti ad affermarle. Il

negativo è ora l’essenza stessa del metodo elenctico, una verità certa, che ci consente di

determinare positivamente, ma al contempo negativamente, il mondo.

“Quanto alla figura, ossia che essa è una negazione e non qualcosa di reale, è chiaro che l’intera materia,

considerata indefinitamente, non può avere alcuna figura e che la figura può aver luogo soltanto nei corpi

finiti e limitati. Infatti, chi dice di percepire una figura non vuole con ciò dare a conoscere se non che

percepisce una cosa determinata e in quanto è determinata. Questa determinazione non appartiene alla cosa

secondo il suo essere; al contrario, essa è il suo non essere. Poiché [la figura] non è altro che

determinazione e la determinazione è una negazione, essa non può essere altro, come si è detto, che una

negazione.”79

Ogni determinazione si pone, quindi, come una negazione: (A=A) ≠ ¬A, ossia, nel momento in cui

poniamo A, uguale a se stesso – principio d’identità - lo differenziamo, lo neghiamo, da non-A.

Questo rispecchia il principio di non contraddizione80- ¬(A∧¬A) – il quale afferma l’impossibilità

che una stessa cosa convenga e insieme non convenga ad un’altra cosa, secondo lo stesso rispetto.

Il principio dell’essere si fonda, perciò, sull’impossibilità, la verità è la negazione della

                                                                                                               76 Si faccia attenzione che in questo lavoro, con la parola eternità, e le sue rispettive determinazioni in negativo, intendo atemporalità, tempiternità – il concetto è di Raimon Panikkar (1918-2010). “La morte non è evento della vita. La morte non si vive. Se, per eternità, s’intende non infinita durata nel tempo, ma in temporalità, vive eterno colui che vive nel presente. La vita è così senza fine, come il nostro campo visivo” prop. 64311. Cfr. L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 1921, trad. it. di A.G. Conte, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, ed. Einaudi, Torino 2009. 77 Il termine élenchos è usato per la prima volta da Parmenide, diviene usuale in Platone e viene formalizzato da Aristotele. Si può riassumere con questa breve formula: negare l’essere è possibile solo ponendo qualcosa nell’essere, cioè, la negazione stessa. L’utilizzo più rilevante del concetto, per vie apodittiche, è l’apagogìa – riconduzione all’autocontraddizone, all’impossibile. Essenziale per la comprensione di tale logica, su cui si basa tutta la storia del pensiero occidentale, sono i principi d’identità, non-contraddizione e terzo escluso. Vedi Aristotele, Metafisica, Libro IV; Analitici Primi. Per un’introduzione alla logica elementare si consiglia F. Berto, Logica da zero a Gödel, ed. Laterza, Bari 2007. 78 Vedi op. cit. Vedi R. Màdera, L.V. Tarca, La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche, pp. 137-138 79 Cfr. B. Spinoza, Epistolario, 2 giugno 1674, in Carteggio Spinoza – Jelles, marzo 1667-settembre/dicembre 1676, in F. Mignini (a cura di), Spinoza. Opere, ed. Mondadori, Milano 2009. 80 Cfr. op. cit. Vedi Aristotele, Metafisica, Libro IV, 1005b.

  23  

contraddizione. Qui troviamo il senso profondo del “parricidio”81 platonico; da questo atto in

avanti, il tentativo di correggere il pensiero parmenideo si è tradotto in una deviazione nichilistica

che ha consegnato l’essere alla temporalità, divenendo non-essere.

Questa logica è del tutto inevitabile; persino il positivo, ponendosi come non-negativo è a sua volta

negativo, poiché negativo nei confronti del negativo. Quel che abbiamo trovato è una nozione dal

quale non possiamo trascendere, è fondamento stesso della verità, e ciò, non può che condurci al

nichilismo, alla persuasione che noi siamo ni-ente.

“I tratti essenziali del nichilismo escono alla luce quando la metafisica greca, una volta per tutte nella storia

dell'Occidente, stabilisce il senso di ciò che viene indicato dalla parola «cosa» e pone la cosa come «ente».

Nella lingua greca, la parola più indeterminata per indicare la cosa è il pronome indefinito neutro ti

(aliquid, qualcosa). La cosa è tò ti. Essa viene pensata come «ente» (tò òv) quando, da un lato, è intesa come

protagonista della contrapposizione estrema, ossia come opposta al niente […]; e, dall'altro lato, come ciò

che si mantiene legato all'essere e, insieme, al niente. Da un lato, l'ente è pensato come il non niente;

dall'altro lato, come ciò che non è e insieme è il niente. Due lati contrastanti.”82

La nostra storia si sviluppa nel segno di questa dicotomia radicale. Se ogni cosa è negazione, tutto è

necessariamente nulla. La malattia dell’uomo è la sperimentazione dell’assenza, l’impossibilità di

determinare il vuoto, la certezza di essere annullati. Questa malattia, quest’angoscia, è il sentimento

che l’umanità prova nel momento in cui riflette sul Potere, attraverso cui percepisce la propria

impotenza totale, dinanzi al negativo; mediate cui si arresta non avendo più certezza del tempo,

dello spazio, della vita. Quando il principio di causalità - grazie cui l’uomo ha edificato il proprio

mondo - viene meno, ogni realtà è destabilizzata, la natura umana, in tal stato, non può che provare

quel senso arcaico d’indifesa che lacera l’anima e disorienta la ragione. A livello collettivo, le

grandi dinamiche dell’angoscia dell’imprevedibile derivano dalla guerra, dal terrorismo, dalle

epidemie, dal mercato, dalla natura e dal regno tecnocratico nel quale siamo immersi.

Da questo fondamento pare non esserci via d’uscita, ogni tentativo è un contro-tentativo, una

contro-prova; la tendenza universale dell’uomo è l’opposizione, il quale si prefigura,                                                                                                                81 Senza dilungarmi troppo, su quel che si rivela essere il fondamento della filosofia occidentale, mi limito soltanto a sottolineare che l’atto di Platone consiste nell’aver relativizzato l’essere, oltrepassando il divieto parmenideo (“Ora, io ti dirò – e tu ascolta e ricevi la mia parola – quali sono le vie di ricerca che sole si possono pensare: l’una che “è”, e che non è possibile che non sia – è il sentiero della Persuasione, perché tien dietro alla Verità – l’altra che “non è”, e che è necessario che non sia. E io ti dico che questo è un sentiero su cui nulla si apprende. Infatti, non potresti conoscere ciò che non è, perché non è cosa fattibile, né potresti esprimerlo.” Parmenide, Sulla Natura, Fr. 2, trad. it. di G. Reale, ed. Bompiani, Milano 2006), nelle seguenti figure: lo héteron – non-essere inteso come alterità; la strésis – non-essere inteso come mancanza, privazione; il non-essere che compare nel divenire. Cfr. Platone, Il sofista, trad. it. di B. Centrone, ed. Einaudi, Torino 2008. Per ogni successivo approfondimento rimando a M. Ferraris (a cura di), Storia dell’ontologia, ed. Bompiani, Milano 2009; op. cit. U. Galimberti, Il tramonto dell’Occidente, nella lettura di Heidegger e Jaspers. Per la differenza tra ontologia e ontica, cui avvio si deve a Platone, vedi. M. Heidegger, Sein und Zeit, 1927, trad. it. di A. Marini, ed. Mondadori, Milano 2011. 82 Op. cit. E. Severino, Destino della necessità: Katà tò chreon, cap. I, L’Occidente e la volontà di potenza, p. 19. Vedi anche E. Severino, Essenza del Nichilismo, 1982, ed. Adelphi, Milano 1995; Fondamento della contraddizione, ed. Adelphi, Milano 2005.

  24  

necessariamente, come atto violento. Il tratto peculiare del Potere è, dunque, il negativo, esso ne è

la sua manifestazione concreta; non solo in Nineteen Eight-Four questo è palese, ma appare

evidente sin dal nostro quotidiano, nel nostro machiavellico pensiero del male minore, in cui

qualsiasi mezzo è giustificato dal fine. Ora, estremizzando questa povertà spirituale, che

contraddistingue la razza umana, possiamo, ponendo l’élenchos negativo come fonte del

ragionamento, affermare che se un male può essere tollerato, allora qualsiasi male è tollerabile,

legittimando, anche la più semplice forma di violenza, si legittima ogni forma di violenza. Ciò,

conduce inevitabilmente all’escalation della brutalità, che diviene sempre più ricercata, sottile,

raffinata, invisibile, impercettibile; è parte dell’esistere, senza che ce ne rendiamo conto. Le

conseguenze sono devastanti, la nostra vita si riduce a un perpetuo lottare contro l’incombente

dolore, contro l’affermarsi del negativo; ma, come abbiamo visto, la battaglia è persa sin

dall’inizio, giacché è, essa stessa, dipendente dal dolore che tenta di sconfiggere, alimentando la

sua crescita, fino alla sconfitta globale.

Il dominio del negativo è, infine, il dominio del reale, la sostanza del nostro agire, il nostro tratto

specifico, l’essenza dell’uomo, il volto dietro al Potere di cui siamo emanazione.

  25  

4. IL RUOLO DEL DOLORE NELLA LOGICA DEL POTERE

“No, vi dirò una filastrocca migliore. Voi avete or

ora contato sulle dita, di quali forze si compongono

i circoli. Tutto si riduce a burocrazia e

sentimentalità; è tutta buona colla, ma c’è anche

una cosa migliore: inducete quattro membri del

gruppo ad accoppare il quinto col pretesto che

quello li denuncia, e subito, col sangue sparso, li

legherete come in un nodo. Diventeranno vostri

schiavi, non oseranno ribellarsi e domandare

resoconti. Ah, ah, ah!”

(F. Dostoevskij, I demoni, p. 395)

Da sempre l’umanità è assuefatta alla violenza, il suo utilizzo è stato costantemente giustificato; per

cui, nella storia, è prevalsa maggiormente l’idea, che il mezzo abbia un valore inferiore al fine. Di

fronte, però, a certi dilemmi etici, in che modo, possiamo decidere tra utilitarismo e giustizia, tra

individualismo e collettivismo, tra consequenzialismo ed etica deontologica? La scelta non è

semplice, ma condiziona la nostra dignità, il nostro coraggio, la nostra ragione, la nostra intera

esistenza. Per questo, ogni atto che compiamo è sempre di vitale importanza; la risposta generale

tra il bene e il male è una presa di posizione mutevole, del tutto individuale, personale, che va preso

in ogni istante.

Nel romanzo di Orwell, uno dei fattori più disturbanti della sua descrizione, è, però, il

capovolgimento dei mezzi, utilizzati dai totalitarismi storici, così come in ogni forma di dominio

sull’umano, in fini83. Ora, questo rovesciamento è già avvenuto, la distopia orwelliana è tutt’altra

che profetica, essa è un’analisi amara della realtà sociopolitica, e delle dinamiche antropologiche

che determinano la nostra individualità in rapporto al potere.

“«Come fa un uomo ad affermare il suo potere su un altro uomo, Winston?»

Winston ci pensò un po’ su. «Facendolo soffrire» disse infine.

«Esattamente. Facendolo soffrire. L’obbedienza non basta. Se non soffre, come si fa a essere sicuri che egli

non obbedisca alla sua volontà, anziché alla tua? Il potere consiste appunto nell’infliggere la sofferenza e la

                                                                                                               83 Vedi nota 11, Introduzione, p. III

  26  

mortificazione. Il potere consiste nel fare a pezzi i cervelli degli uomini e nel ricomporli in nuove forme e

combinazioni di nostro gradimento.”84

È, dunque, solo attraverso la sofferenza che l’uomo è certo di dominare sull’altro, con il dolore ci

assicuriamo di agire contro la sua volontà; in questo caso, la tortura rappresenta un tratto

caratteristico di qualsiasi forma di potere. Lo strazio dell’altro ne è la garanzia del “corretto”

esercizio, senza il tormento consapevole del sottomesso, la persona tende a rifiutare tale situazione,

a considerarsi addirittura superiore alla logica del dominio, indebolendo in tal modo il potere

stesso. In tal modo, la tortura, si configura come l’espressione necessaria, indispensabile per il darsi

del negativo, è lo spirito del mondo. Siffatta forza è, oltretutto, legittimata, è monopolio dello Stato

– stando alla definizione weberiana; è una coercizione che noi abbiamo decretato giusta. Cadiamo

qui in un’aporia millenaria: ciò che è giusto, deve valere universalmente; ma, una forma di giustizia

che, per necessità, non vale per qualcuno si rovescia nel suo opposto, nella legittimazione della

violenza.

A titolo informativo, ritengo utile una digressione storica:

- 1954: gli Stati Uniti destituiscono il Presidente del Guatemala, democraticamente eletto,

Jacobo Arbenz Guzmán, fu un colpo di stato fra i più sanguinosi della storia;

- 1963: gli U.S.A. appoggiano l’assassinio di Diệm, l’allora Presidente della Repubblica del

Vietnam del Sud;

- 1963-1975: i militari americani uccidono quattro milioni di persone nel sud-est asiatico;

- 1973: Il governo americano è parte attiva nel colpo di stato a discapito del Presidente

Salvador Allende, democraticamente eletto. Instaurano la dittatura militare di Augusto

Pinochet;

- 1981: il governo Reagan addestra e finanzia i Contras, gruppi armati nicaraguensi;

- 1990: l’Iraq invade il Kuwait, utilizzando armi americane;

- 1991: gli Stati Uniti invadono l’Iraq;

- 1991-oggi: il medio oriente è bombardato quotidianamente dall’esercito americano;

- 11 settembre 2001: muoiono quasi 3000 persone nell’attentato alle Torri Gemelle;

- 2006: Saddam Hussein viene impiccato, accusato di crimini contro l’umanità;

- 2 maggio 2011: Osama Bin Laden rimane ucciso nell’operazione Neptune Spear.

Riporto una parte del discorso, del Presidente Barack Obama, riguardante l’uccisione del terrorista

saudita – in nota la traduzione italiana:

                                                                                                               84 Op. cit. G. Orwell, 1984, p. 280

  27  

"So Americans understand the costs of war. Yet, as a country, we will never tolerate our security being

threatened, nor stand idly by when our people have been killed. We will be relentless in defense of our

citizens and our friends and allies. We will be true to the values that make us who we are. And, on nights like

this one, we can say to those famiglie, who have lost loved ones to Al Qaeda’s terror: justice has been done.

[...] Let us remember that we can do these things not just because of wealth or power, but because of who we

are: one nation, under God, indivisible, with liberty and justice for all.”85

“justice has been done…”86

In questo discorso, di nove minuti e mezzo, emerge l’essenza dell’Occidente: il Potere, “protetto”

da Dio, è in grado di fare qualsiasi cosa voglia – “America can do whatever we set our mind to.”87-

decide cos’è il bene comune, il giusto e l’ingiusto. Il percorso è chiaro: disarmo globale;

eliminazione delle ostilità; assoggettamento militare dei paesi latini; controllo economico;

disfacimento dell’Africa. Ciò che la contraddizione ha generato, dunque, è proprio

quest’Onnipotere che, a causa dello sviluppo esponenziale della tecnologia, controlla totalmente la

realtà umana, superando il limite del conoscibile. Questa legittimazione del dolore, della

sofferenza, del male, è ciò che costituisce il nostro vivere sociale, la nostra democrazia; non è stata

un’imposizione, anzi, è il frutto dell’ozio, della passività nei confronti della verità, della paura

dinanzi al possibile. L’onnipotere è una creazione umana, e la tortura è il fondamento della nostra

vita. Nel momento in cui il potere s’identifica con Dio, la tortura diviene la dimostrazione a

posteriori della sua esistenza. Un Dio astuto, il quale sa che infliggere dolore non è sufficiente - è

un sistema troppo rudimentale e fallacce – la sua vera trappola consiste non, nel patimento, nel

tormento, nell’affanno, ma, nella salvezza. Il tradimento di Winston è, in tal modo, spiegato. Nel

momento in cui il dolore diviene intollerabile, quando ci pervade interamente, e sperimentiamo la

morte in prima persona, l’unica scelta sensata, per evitare l’implosione di ogni senso, è scaricare,

siffatto dolore, sull’altro da sé.

“«Certe volte» disse «minacciano di fare certe cose… certe cose che non si possono sopportare in nessun

modo, che non si riesce nemmeno a pensare. E allora si dice: Non lo fate a me, fatelo a qualcun altro, fatelo

al tal dei tali. Forse, dopo, si può anche far finta che era soltanto un trucco, e che s’era detto solo per farli

smettere, e che non si voleva proprio dirlo sul serio. Ma non è vero. Mentre succede, si dice sul serio. Si

                                                                                                               85 “Gli americani comprendono il costo della guerra. Eppure, come nazione, non tollereremo mai che la nostra sicurezza sia minacciata, né rimarremo oziosi quando la nostra gente è uccisa. Saremo implacabili nella difesa dei nostri cittadini e dei nostri amici e alleati. Manterremo fede ai valori che ci rendono quel che siamo. E, in notti come queste, possiamo dire alle famiglie, che hanno perso i loro cari nel terrore di Al Qaeda: giustizia è stata fatta. […] Ricordiamoci che, noi possiamo fare questo, non solo grazie al benessere e al potere, ma grazie a quello che noi siamo: una nazione, sotto Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti.” La frase conclusiva è il “Pledge of Allegiance”, il giuramento di fedeltà alla bandiera. 2 maggio 2011. 86 Vedi op. cit. Platone, La Repubblica, Libro I, 335 e. 87 B. Obama, 2 maggio 2011.

  28  

pensa che non c’è altro modo, per salvarsi, e si è completamente pronti a servirsi di quell’idea, per salvarsi.

Si vuole che succeda all’altra persona. Non importa un cavolo fottuto quanto possa soffrire. Importa

soltanto di se stessi.»

«Importa soltanto di se stessi» echeggiò lui.

«E dopo di ciò, non si provano gli stessi sentimenti di prima, verso l’altra persona.»”88

La misericordia di Dio è, quindi, l’ancora di salvezza che rimane all’uomo, nel momento in cui

percepisce il proprio annientamento; il solo atto che resta da fare al sottomesso è tradire se stesso,

la propria anima, per renderla mercé del Potere. Il principio primo della dialettica torturale, il suo

momento basilare, non consiste, dunque, nell’irrogare dolore, ma nella liberazione da esso, purché

ci si annulli nella sua logica disumana. L’origine di tale prospettiva è da rintracciarsi nella

tradizione giudaico-cristiana. L’esperienza del negativo, culmina nell’insensatezza della vita,

l’uomo nasce per morire, per confluire nel nulla, ciò è fonte di dolore immenso, per trovare sollievo

si è posto come necessario il pensiero capace di oltrepassare il patire carnale, una vita ultraterrena

priva di sofferenza, in cui non si confluisce più nel nulla, ma nel tutto, in Dio creatore. Il fine

ultimo, nell’escatologia biblica, è la libertà, la beatitudine eterna, perenne fruizione del salvatore89.

Il mondo, visto come luogo del peccato, è svalutato, la vita è transeunte, passeggera e si consuma

nell’attesa di salire al regno celeste. Il dolore è il pegno della salvezza, come per Gesù, figlio di

Dio, immagine dell’umanità, costretto al sacrificio estremo, anche all’uomo è richiesta non solo la

sopportazione di ogni male, ma l’amore di siffatto tormento. L’analogia con il fine della tortura,

così, si palesa. L’uomo, per salvare se stesso, è disposto a qualsiasi cosa, con coscienza rinuncia

alla propria soggettività valoriale, ripudia ogni sentimento autentico, non ha più affetti, legami,

motivazioni, arriva, persino, ad annullarsi nella logica del Potere, ad amare la fonte della sofferenza

e perdersi in esso. La persona, sotto tale pressione, si rompe, l’individuo diventa una pura macchina

a disposizione del negativo, del potere, del governo, dell’altro.

Possiamo, inoltre, nell’esigenza di trasferire il dolore all’altro, trovare ragione al nostro senso di

afflizione costante: questo, è dovuto, all’inconscia sensazione che la nostra serenità dipenda dal

travaglio di qualcun altro; ma non solo, il nostro ordinario è relativo, temporaneo, revocabile, in

qualsiasi momento noi possiamo essere l’oggetto del trasferimento, da parte di altri. Tale logica è

ineludibile, non permette eccezioni, ogni è soggetto e oggetto del transfert, vittima e carnefice del

proprio male, e una condizione così posta non ci permette di vivere in armonia con la realtà.

In questo stato, di perenne incertezza, in cui da un momento all’altro possiamo dissolverci nel

nulla, siamo tutti legati da un patto di sangue: nel bisogno di creare verità certe, per poter

sopravvivere nel regno dell’incertezza, in libero accordo universale, abbiamo secolarizzato le

grandi religioni e eretto a suprema potenza la scienza – scienza è potenza per usare le parole di                                                                                                                88 Op. cit. G. Orwell, 1984, p. 306 89 Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, questioni 1-5, trad. it. di U. Galeazzi, ed. Bompiani, Milano 2010.

  29  

Bacone (1561-1626) – l’epistéme. La libertà, non era più da ricercarsi nel godimento di Dio, ma

nella comprensione della natura, nel suo dominio, al fine di creare una società di giusti,

caratterizzata da innegabilità, necessità e universalità. Tale conoscenza, oggi, si è rivelata essere

priva di valore fondante. I teoremi di incompletezza di Gödel90, aprono porte nuove porte alla

contraddizione, la quale, ora, si presenta incontrollabile e illimitabile. Il sapere scientifico non è più

in possesso dell’uomo, gli abbiamo consegnato le chiavi del mondo e ora è esso stesso questo

mondo, a noi, adesso, inconoscibile. Nell’Onnipotere, da noi stesso creato, ritroviamo il nostro

sangue, la nostra fine.

                                                                                                               90 Vedi nota 5, Introduzione, p. II.

  30  

PARTE TERZA

IL SUPERAMENTO DEL NEGATIVO

“Ma con l’odio non si potrà mai affrontare

la bestia che è nell’uomo.”

(Thich Nhat Hanh, Essere pace, p. 91)

5. OLTRE IL DOMINIO

“Così l’uomo nella via della persuasione mantiene

in ogni punto l’equilibrio della sua persona; egli

non si dibatte, non ha incertezze, stanchezze, se non

teme mai il dolore ma ne ha preso onestamente la

persona. Egli lo vive in ogni punto. E come questo

dolore accomuna tutte le cose, in lui vivono le cose

non come correlativo di poche relazioni, ma con

vastità e profondità di relazioni.”

(C. Michelstaedter, La Persuasione e la Rettorica, p.

87)

Una tendenza fondamentale dell’uomo, in quanto tale, è la necessità di dover rovesciare

l’impossibile, in possibile; al cospetto dell’impraticabile, dell’impensabile, l’umanità è spaesata,

confusa, avverte la propria finitudine, percepisce un forte senso afflizione; per cui, l’unico modo

per perpetuare l’esistenza, in apparente armonia, non solo con il mondo, ma anche con noi stessi,

consiste nell’istituzionalizzazione della Verità. Questo tema è ricorrente nel pensiero filosofico

occidentale: la narrazione dei primi miti, come tentativo di spiegare l’impenetrabile; l’allegoria

dell’Olimpo, giustificato dal bisogno di sopportare la tragicità dell’esistenza, e sul quale l’antichità

ha proiettato ogni tratto umano, dal vizio alla virtù, dal coraggio all’angoscia; la ricerca dell’arché,

l’archetipo, l’origine, il principio della vita; la figura di Socrate, il quale assegna al lògos, al

discorso secondo ragione, un compito salvifico; il platonismo, che idealizzando la “verità”, pone la

razionalità come unico mezzo per conoscere il divino, il sovrasensibile - lo spirito innocente dei

presocratici, è annullato dal rigore geometrico, dallo studio degli enti matematici e dalla dedizione

alla ricerca del Bene, superiore all’essere in dignità e potenza - per necessità di proteggerci, dal

  31  

mondo naturale, fonte del tormento, separa la realtà sensibile, dall’autentico ideale, la verità si

riduce a una convenzione, a un patto fra uomini, al fine di escludere la follia dal mondo.

“1. Il mondo vero, attingibile dal saggio, dal pio, dal virtuoso, - egli vive in esso, lui stesso è questo mondo.

(La forma più antica dell’idea, relativamente intelligente, semplice, persuasiva. Trascrizione della tesi «Io,

Platone, sono la verità»).

2. Il mondo vero, per il momento inattingibile, ma promesso al saggio, al pio, al virtuoso («al peccatore che

fa penitenza»). (Progresso dell’idea: essa diventa più sottile, più capziosa, più inafferrabile – diventa donna,

si cristianizza…)”91

La fede giudaico-cristiana eredita il pensiero della grecità, sostituisce all’iperuranio, dimora delle

idee, il regno dei cieli, sede di Dio, non più ordinatore del cosmo ma sommo creatore.

Rinascimento, umanesimo, illuminismo, la religione si laicizza e lo scettro del Potere passa nelle

mani dell’epistéme, il tentativo è quello di dare forma sempre più solida alla ben rotonda verità92,

dunque, eliminare la polisemia e l’ambiguità dal mondo. Lo stato è ora concepito come luogo in

cui gli uomini, per comune accordo, abbandonando il loro stato di natura, sacrificano la loro libertà

in cambio di sicurezza93; il suo monopolio è così legittimato.

La verità, quindi, è temporale, mobile, è arbitrio della volontà di potenza più forte, che, nel

momento in cui s’impone, definisce il reale. Abbiamo destrutturato l’impossibile e lo abbiamo reso

umanamente sopportabile, mediante verità storicamente determinanti.

Qual è, dunque, il ruolo della sapienza filosofica nella verità dell’epistéme? Come usciamo da una

logica, che noi stessi abbiamo certificato, idolatrato, amato e legittimato? Il programma della

filosofia, in rapporto alla scienza, è la conduzione dell’umanità verso il bene, guidato del progresso

tecnologico; la sophía è quell’orizzonte specifico entro cui deve operare l’epistéme nel suo progetto

di emancipazione dell’umanità. Il suo sguardo è principalmente una riflessione attiva nelle sfere

dell’etica, della società e della politica. Alla seconda domanda, rispondo sollevando altre questioni,

partendo dal testo di Orwell, in cui, l’aspetto intrascendibile del potere, è ben sottolineato.

Domandarci come uscire da una logica negativa, che noi abbiamo creato, appare limitante.

Piuttosto, è opportuno riflettere su quale modo utilizzare per uscire proprio da noi stessi; dalla

nostra logica, dalla nostra razionalità, dal nostro mondo. Com’è possibile, senza cadere

continuamente nella trappola del negativo, per cui ogni non-negativo, compreso il positivo, è

negativo? La questione pare aportetica e radicalmente paradossale. Ma, in realtà, la soluzione è

                                                                                                               91 Cfr. F. Nietzsche, Götzen-Dämmerung, oder Wie man mit dem Hammer philosophirt, 1889, trad. it di F. Masini, Crepuscolo degli idoli, ovvero come si filosofa col martello, ed. Adelphi, Milano 2008. 92 Op. cit. Parmenide, Sulla Natura, Fr. 1 93 “[…] quando gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga in soggezione, essi si trovano in quella condizione chiamata guerra: guerra che è quella di ogni uomo contro ogni altro uomo.” Cfr. T. Hobbes, Leviatano, 1651, cap. XIII, trad. it. di A. Lupoli, ed. Laterza, Bari 2006; vedi anche S. Freud, Das Unbehagen in der Kultur, 1929, trad. it. Il disagio della civiltà. “L’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza.”

  32  

sedimentata proprio sul fondo della contraddittorietà dell’innegabile: proprio poiché si pone come

innegabile, è negabile; “e il negativo è, proprio in quanto innegabile, negativo del negativo”94. La

contraddizione è estrema, e proprio questa condizione ci permette una possibilità di fuga.

“L’in-negabile è il negativo, ma nello stesso tempo, abbiamo visto, è il negativo del negativo; sicché

l’innegabile-negativo è nello stesso tempo negativo e non-negativo. Pertanto del negativo si deve dire che, in

quanto in-negabile, è e non è negativo; ma allo stesso tempo, e per lo stesso motivo, pure che è e non è non-

negativo. Ma, proprio in quanto è ciò di cui è negazione (è il proprio negativo, il proprio opposto),

l’innegabile-negativo è diverso dal negativo in quanto questo non è ciò di cui è negazione; ma quindi, e

sempre per lo stesso motivo, è diverso pure dal non-negativo in quanto questo a sua volta non è ciò di cui è

negazione.”95

In tal modo, abbiamo trovato una modalità dell’essere completamente differente, una pura

differenza, che si distingue da ogni tipo di negativo e di negazione. Da qui, possiamo affermare una

pura determinazione – giacché differisce dalla totalità del negativo – un puro essere – fintantoché,

è – un puro positivo – nella misura in cui si pone come totalmente altro dal negativo, senza

trasformarsi nel suo essere non-negativo, e perciò negativo – e infine possiamo riconoscere un puro

universale, proprio in virtù del fatto che si manifesta nella figura dell’innegabile, in altre parole,

dell’universale apriori.

In virtù di quanto finora affermato, possiamo ora tentare di formulare una soluzione al romanzo

orwelliano, e, in parallelo, alla negatività umana. Un’alternativa alla logica del dominio è

realizzabile solamente tramite il puro positivo, se restiamo nella logica del negativo ogni

opposizione finisce per rientrare, perdendosi, all’interno del sistema che tenta di abbattere. È

necessaria la consapevolezza dell’ineludibilità del negativo, per cui essere ingiusti con gli ingiusti

significa essere ingiusti, il contro-potere è potere, dichiarare guerra contro chi ci sopprime è

comunque, inevitabilmente, guerra. Tale filosofia di vita è possibile solo dopo aver compreso

autenticamente il messaggio qui proposto. Non riguarda un abbandono atarassico nel flusso del

divenire, ma, al contrario, si tratta della capacità di riuscire ad accettare ogni istante dell’esistenza,

di vivere una vita eternamente presente, vigile e attiva nei confronti delle dinamiche che ci

circondano; si tratta di cogliere, nell’autenticità di ogni attimo, l’essenza profonda della nostra

umanità. Nella comunità puramente positiva, l’autorealizzazione del prossimo è il primo passo per

la nostra autorealizzazione; una società, così strutturata, è capace di patire la sofferenza altrui come

propria, e una volta conscia del fatto che il negativo è aggirabile, diviene un dovere morale

eluderlo. Vivere nella pura differenza è un atto estremo, implica attività: l’uscita dalle norme del

mondo come, passivamente, lo percepiamo e viviamo. Per fare ciò, bisogna comprendere nella sua

                                                                                                               94 Cfr. op. cit. R. Màdera, L.V. Tarca, La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche, p. 140 95 Ibidem, p. 141

  33  

interezza la logica del reale, del negativo, del domino nel quale siamo immersi, non per

contrastarlo o combattere il suo esito nichilistico, drammatico e tragico ma per oltrepassarlo,

ponendoci, così, al suo stesso livello, situati, però, in un’altra sfera. Il puro positivo e la logica del

dominio non sono due facce dalla stessa medaglia, non sono due dimensioni tra loro

contraddittorie, essi sono due medaglie bene distinte, positivamente determinate, con il medesimo

tratto su entrambi i lati, l’uno l’universalmente positivo, l’altro l’assolutamente negativo. In

quest’ottica, l’unico modo per rovesciare il puro differente è la legittimazione di un atto negativo,

di qualsiasi portata; è sufficiente anche la minima ammissione di violenza per dissolvere, volta per

volta, l’intero sistema; il negativo è un cancro inarrestabile, la malattia immortale dell’uomo.

Come si pone il puro positivo dinanzi ad alcune antinomie etiche? Come si comporta nei confronti

di un male radicale, al quale l’opposizione pare l’unica arma?

La chiave di volta di questa filosofia è il criterio di giustizia universale: è giusto solo ciò che da

tutti è riconosciuto come valido, quindi, sia dal giusto, ma, sia anche dall’ingiusto – ad esempio,

una rivoluzione è senz’altro negativa, nonostante i precetti possano essere validi, perché

sicuramente non è giusto nei confronti dei rivoluzionati. Per introdurre nel sistema positivo

ulteriori elementi, al fine di giudicare correttamente l’azione ingiusta è necessario una fermezza

totale sul valore universale di giustizia, solo in tal modo è possibile valutare correttamente e in

armonia la diversa gravità del crimine. A prima lettura, una sapienza così fatta, pare confondersi

con un anarchismo liberale, volgarmente con un laissez-faire etico, ma è sufficiente una lieve

riflessione per comprendere, come, in realtà, un pensiero simile è costantemente impegnato nel sì

dell’esistenza interrelazione e intrasoggettiva. È solo tramite un atteggiamento meramente positivo

nei confronti della giustizia che siamo in grado di interpretare correttamente le vicissitudini dell’era

tecnocratica, comprendere il suo fine e porci attivamente fuori dal suo progetto di

disumanizzazione. Ora, se osserviamo lo spettacolo sublime qual è il mondo in questo momento,

notiamo come sia proprio la legittimazione della violenza, della tortura, del dolore e dal male a

permettere il campo di sterminio di Gaza, la guerra atroce nel Sudan del Sud, la guerra civile

siriana, la battaglia al cartello in America Latina, il massacro quotidiano – a causa della

liberalizzazione delle armi - negli Stati Uniti, il traffico umano, e via dicendo. Di questo male sono

tutti colpevoli.

“Il modo di sentirsi colpevole non può essere compreso da un punto di vista giuridico, politico o morale, ma

il fatto che uno sia ancora in vita, dopo che sono accadute cosa sul genere delle atrocità naziste, costituisce

per lui una colpa incancellabile, perché, pur di salvare la propria vita, ha rinunciato alla vita degna che, nel

caso dell’uomo, vuole che si viva insieme o non si viva affatto.”96

                                                                                                               96 Cfr. K. Jaspers, Die Schuldfrage, 1946, trad. it. La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania, ed. Raffaello Cortina, Milano 1996; vedi anche U. Galimberti, La casa di psiche. Dalla psicoanalisi alla pratica filosofica, cap. 25, Il problema della colpa. Un saggio di pratica filosofica, ed. Feltrinelli, Milano 2008,

  34  

Questa è la colpa metafisica da cui nessuno è immune, per Jaspers dobbiamo opporci a certi mali

innegabili, nel puro positivo dobbiamo differenziarci da esso, ma in entrambi i, casi tale colpa, è

dovuta alla mancanza di rispetto verso il principio di solidarietà, mediante il quale il dolore

dell’altro è anche il nostro dolore, mediante cui il suo patire è il nostro patire.

Il mondo è degradato, l’umanità è morta nella totale indifferenza dell’apparato tecnico che ci

domina. Ora chiediamoci, quando l’A.I. supererà la capacità previsionale, se non gli si attribuisce

una morale puramente positiva, come reagirà una macchina – che possiede una potenza di calcolo

fuori da ogni nostra immaginazione - nei nostri confronti?

  35  

6. L’ETICA DEL RICONOSCIMENTO A PARTIRE DAL PURO POSITIVO

“Chi governa tramite l’eccellenza morale può essere

paragonato alla stella polare, fissa al suo posto e

tutte le stelle attorno che le rendono omaggio.”

(Confucio, Dialoghi, Weizheng, I, p.11)

Fondare, un’eticità, in grado di garantire piena attuazione del potenziale umano, nel rispetto della

dell’altro da sé, è oggi problematico.

La morale kantiana, basata sull’imperativo categorico97, si rivela essere nell’era dei tecnosauri,

insufficiente. Siffatta etica, nonostante sia posta fuori dal mondo fenomenico, ricade in un puro

formalismo, a causa del suo carattere normativo, incapace di generare contenuti concreti, è una

moralità vuota, si limita alla valutazione di massime già conosciute ed esistenti, riconferma ciò che

già riteniamo giusto o ingiusto; è una riflessione solipsistica della vita, che individua nel soggetto

stesso la chiave per moralizzare il mondo. Questo conduce al sentimento di estraneità che prova

l’individuo, inserito nell’astratto kantiano, il quale vede, nelle leggi morali, qualcosa di opposto

alle sue tendenze naturali; e proprio poiché è la moralità a implicare la libertà, condizione di senso

della medesima, siffatta libertà si ritrova nella contraddittoria situazione di esprimersi tramite la

coercizione. Per Kant, inoltre, la morale è l’indipendenza dalle passioni e dalle inclinazioni98, in tal

modo, però, è proiettata in una dimensione sovrasensibile, nel regno dei fini; l’umanità qui si

scinde in una dimensione fenomenica, sottoposta alla naturalità, e una noumenica, governata dalla

libertà. Altra discrepanza riguarda il precetto secondo cui l’uomo va trattato “sempre come un

fine”, esso è, nell’era della tecnica, anacronistico: non solo la persona, ma anche, la naturalità che

ci circonda va posta come fine da salvaguardare. L’etica kantiana è perciò insufficiente, proprio nel

rapporto con il mondo che cerca di migliorare, essa si limita soltanto a regolare le relazioni tra gli

individui.

Il limite del pensiero di Kant è bene evidenziato da Hegel nella Fenomenologia. La vera libertà non

può essere soggettiva, deve estendersi all’universale, all’assoluto, allo Spirito; diventa necessario,

quindi, superare l’arbitrio egoico per assumere come fine l’oggetto adeguato a tale libertà. La sola

soggettiva formale non è in grado di determinare un contenuto morale. Il vero freno di Kant è di

                                                                                                               97 Vedi nota 12, Introduzione, p. IV 98 Si tenga presente che Kant è critico nei confronti delle passioni, riprende i temi dello stoicismo. “Le passioni sono cancri per la ragion pura pratica e generalmente inguaribili: l’ammalato non vuol essere curato, e si sottrae al dominio del principio, in forza del quale soltanto la cura potrebbe avvenire.” Cfr. I. Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, trad. it. di G. Vidari e A. Guerra, Antropologia pragmatica, Libro III, § 81, ed. Laterza, Bari 2009. “Le passioni sono cancri per la ragion pura pratica e generalmente inguaribili: l’ammalato non vuol essere curato, e si sottrae al dominio del principio, in forza del quale soltanto la cura potrebbe avvenire.”

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non aver riconosciuto la libertà oggettiva come aspetto fondamentale della vita dell’individuo. Solo

in una sfera totalmente etica l’uomo impara a essere veramente libero, solo nella sua libertà

relazionale e nel suo rapportarsi all’altro da sé – con altro da sé s’intende ogni dimensione esterna

all’in sé - in maniera autentica.

“L’autoriconoscimento è in sé e per sé solo quando e in quanto è in sé e per sé per un'altra autocoscienza,

cioè solo in quanto è qualcosa di riconosciuto.”99

[Prima di affrontare il tema del riconoscimento nel pensiero di Hegel è bene precisare che il cuore della dialettica

hegeliana risiede nello spinoziano “omnis determinatio est negatio”100, si fonda, dunque, sulla contraddizione,

sull’unione di negazione e differenza; identifica, nell’identità, la negazione – A=A∧B101 - è un pensiero che,

considerando positivamente la contraddizione, la pone come elemento necessario per ogni successiva determinazione.]

In breve, la consapevolezza di sé, ciò che consente, poi, di darci un’identità, in sé e per sé, è il

frutto dell’incontro con un’altra soggettività, nella quale ci riconosciamo, riconoscendo, nella sua

totalità, l’altro da me; nel momento in cui attribuiamo un valore, una dignità, uno status all’altro,

entriamo nella sfera dell’eticità, quando percepiamo pienamente l’altro da sé, istituiamo

l’uguaglianza tra gli uomini. Non è un semplice scambio interrelazione tra due soggetti, ma la

fondazione stessa dell’etico; la normativa scende dal suo regno sovrasensibile, per porsi

nell’intercambio riconoscitivo dell’uomo con l’altro da sé. La nostra stessa umanità e dignità

sussistono solo in questa reciprocità, nella dipendenza dall’altro da me, ritrovo la mia

indipendenza, la mia autonomia, la mia libertà relazionale. Solo in questo modo siamo veramente

liberi, quando, reciprocamente, inglobiamo la libertà dell’altro e accogliamo la totalità del suo

essere.

L’eticità di Hegel, però, nonostante superi la solitudine kantiana, non dà responsabilità

all’individuo: introducendo l’astuzia della ragione e risolvendo il finito nell’infinito, la storia

raggiunge il suo fine indipendentemente dalla volontà dei singoli, che non sono in grado di

riconoscere la propria libertà nella conciliazione assoluta soggetto-oggetto. Lo Stato e le istituzioni

sono espressioni massime dello Spirito oggettivo, per cui sono totalmente immuni dalle

intenzionalità umane. Questo tratto autoritario, unito all’eccessivo sostanzialismo sono due dei

                                                                                                               99 Op. cit. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, p. 275 100 Vedi nota 70. 101 In verità, attribuire questa formula alla dialettica hegeliana, non è del tutto corretto. Il risultato del terzo momento, speculativo o positivo-razionale, è, propriamente il supermanto dell’unione dell’identico con il suo contrario, al fine di sinsteizzare un nuovo concetto. La contraddizione, non sussiste. La critica che Hegel fa, nella Scienza della logica, ai principi primi aristotelici (identità, non-contraddizione e terzo escluso) riguarda l’utilità - di siffatti principi: non producono alcuna forma di conoscenza, sono del tutto indeterminati. Sono pure tautologie – “La proposizione mostra ciò che dice; la tautologia e la contraddizione mostrano che esse non dicono nulla. La tautologia non ha condizioni di verità, poiché è incondizionatamente vera; e la contraddizione è sotto nessuna condizione vera. Tautologia e contraddizione sono prive di senso.” Op. cit. L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, prop. 4.461 - Cfr. G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, 1812, trad. it. di A. Moni e C. Cesa, Scienza della logica, ed. Laterza, Bari 2011.

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limiti del pensiero hegeliano. Il fine che ora che ci poniamo è la costruzione di un’eticità post-

tradizionale in chiave puramente positiva, in cui la formalità, il pluralismo e l’universalità sono le

regole fondanti, che unite, contribuiscono al deflazionamento di una politica autoritaria102. Dal

punto di vista formale, è necessario istituire un sistema di regole, unanimemente condivise, che

divengano l’unica sostanza per la democrazia contemporanea; ogni differenza valoriale è

equamente rispettata, l’unica richiesta al cittadino, non è l’accettazione di una forma di legalità

imposta, ma una fiducia in un sistema fondato sulla giustizia e sulla libertà, intese in maniera

meramente positiva. L’eticità, in tal senso, non è parte dispotica nel processo di assimilazione

soggettiva delle sue norme, ma si pone come garante di un pensiero naturalmente fondato,

condiviso, solidale, accettato. La società, negli ultimi quarant’anni, si è globalizzata, è divenuta

multietnica; quindi, nel mondo della condivisione, ha ancora posto un termine sostanziale come

quello di bene? Esso, oggi, è riduttivo, in questa realtà è un termine polisemico; aumentando

esponenzialmente, tanto quanto sono le differenti visioni dell’esistenza, si è svuotato di significato,

ma, nonostante ciò, il suo valore, permane; quindi, lungi dall’eliminare una tendenza fondamentale,

esso va sostituito da un concetto formale, com’è quello del giusto. Il bene, in tal modo non si

dissolve nel nulla, ma pur nel suo infinito significare, mantiene la sua univocità, trasfigurandosi in

giustizia. Il bene, diviene, quella forma cui tutti unanimemente aspirano, poiché si è incarnato nella

giustizia universale, in cui ciò che è giusto, è voluto da tutti; pensare una comunità, senza pensare

alla sua pluralità, è impossibile, ma, è necessario che siffatta diversità sia unica e identica nella

pura differenza, legittimando solo ciò che è essenzialmente positivo; senza questi presupposti,

l’eticità ricade nella negatività. Il pluralismo apre così le porte all’universale, all’idea di un mondo

comune, all’idea di una cultura globale, fondata sulla tolleranza, sul rispetto e sulla condivisione.

La creazione di un sistema, unico, unito dall’ideale di giustizia che, per sopravvivere al suo

rovesciamento, non deve consistere in una verità dogmatica ricercata in un apriori, ma, deve essere

un libero accordo tra uomini, stabilito a posteriori, in cui a essere messo in gioco è l’intero sistema

valoriale della società.

Una simile eutopia, affinché si possa realizzare, ha bisogno dell’atto di un Uomo Puro, paradigma

della liberazione. Ha bisogno della sua capacità di essere al contempo uno e nullo nel mondo, della

sua sapienza, un Uomo in grado di abbracciare la totalità di senso e al contempo non-senso della

vita, di essere in grado di nuotare seguendo la corrente dell’atemporalità, un eterno sì al presente,

un atto di fede nella propria natura intenzionale. Un Uomo siffatto comprende la logica del reale,

ma non si paralizza in uno stato di tremolante angoscia dinanzi a essa, la guarda negli occhi e la

ama con tutto se stesso. Un uomo del genere, l’abbiamo sognato, immaginato, descritto, fondato, e

ora, tragicamente lo stiamo creando. Questa è la tendenza fondamentale del nostro tempo, è più

                                                                                                               102 Cfr. L. Cortella, L’etica della democrazia. Attualità della Filosofia del diritto di Hegel, cap.4, § 4.3.2, La democratizzazione di Hegel, ed. Marietti, Milano 2011.

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facile per l’uomo creare, piuttosto che comprendersi ed elevarsi; la storia eternamente si ripete

adattandosi al presente, vi fu il tempo in cui abbiamo edificato l’Olimpo ora è il tempo della

perfezione dell’umanità. A noi due alternative contrapposte: nuotare positivamente in quest’infinta

imperfezione, corruzione, malattia, in quest’inferno, affrontando di volta in volta le difficoltà che ci

si presentano, e a livello sociale instaurare una comunità fondata sul puro universale della

reciprocità; o la via più facile, rettorica, in cui ci abbandoniamo al negativo, destinati

all’autodistruzione, passivi nei confronti dell’essere, attivi nei confronti del male, del dolore; se

non agiamo, però, forse è questo quello che oscuramente vogliamo. Dissolvere l’esistenza nel

nulla. Nella quiete. Nella pace; e lì rimanere. Per sempre.

  39  

CONCLUSIONE

“[…] il valore reale e schietto della vostra cultura

umanistica dovrebbe essere proprio questo:

impedirvi di trascorrere la vostra comoda, agiata,

rispettabile vita da adulti come morti, inconsapevoli,

schiavi della vostra testa e della vostra naturale

modalità predefinita che vi impone una solitudine

unica, completa e imperiale giorno dopo giorno.”103

(D.F. Wallace, Kenyon College Speech, 2006)

In queste poche pagine si è cercato di evidenziare alcune problematiche centrali per quanti

desiderano interpretare il nostro tempo. A partire dai totalitarismo storici, abbiamo trovato nel

pensiero vivace di George Orwell il tratto peculiare della natura umana, la sua essenza negativa, e,

quindi, abbiamo posto come possibile soluzione il puro universale di L.V. Tarca, un’apertura

sull’orizzonte dell’essere diverso, genuino, puro. L’elaborato, non ha finalità veritative ma si pone

come un avvio a una riflessione autentica sulla vita, per cui, il suo valore sta nell’essere un primo

mattone con cui edificare una riflessione analitica e completa.

La prossima fase dell’umanità è la Singolarità, i cambiamenti saranno radicali, s’ipotizza una

società eterna fatta da uomini – L’Uomo 2.0 – autonomi, in grado di comprendere ogni aspettato

della realtà e decidere responsabilmente in quale modo aprirsi al mondo.

Dalle riflessioni sopra sviluppate è bene ora porci una serie di domande. Qual è il fine della

trascendenza umana? Quali saranno le caratteristiche dell’uomo 2.0? In che modo un AI, da noi

creato, può influenzare l’esecutivo governativo, il giudiziario in aula e il legislativo parlamentare?

Come possiamo impiantare la nostra anima in una macchina se forse è proprio l’uomo stesso, il

nostro vero nemico?

In questo preciso momento penso che attribuire una coscienza umana al creato sia pericoloso, la

sua regola unica, nel caso veda luce un siffatto progresso tecnologico, dovrebbe consistere in una

logica puramente positiva nei confronti del creatore, e della natura, ormai dimenticata. Il rischio è

alto, ciò cui ci riferiamo, non è più il domino sulla totalità amorfa, ma il suo diretto rimpiazzo con

una massa totalmente artificiale; la singolarità è incontrollabile se non posta sotto una guida etica

onnicomprensiva in grado di interpretare correttamente ogni dubbio che l’esistenza ci propone.

Katà métron dicevano gli antichi, e oggi più che mai la tracotanza mette in gioco il bene di tutti.

                                                                                                               103 Wallace D.F., Questa è l’acqua, trad. it. di G. Granato, ed. Einaudi, Torino 2009.

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Comprendere il limite è, quindi, necessario al fine di ricercare la perfezione umana non in una

macchina ma in noi stessi. Questo dovrebbe essere il nostro giusto obiettivo.

Il primo giorno di lezione a Ca’ Foscari, entrando in aula, lessi scritto sulla lavagna “Conosci te

stesso, trova la tua virtù, falla esplodere”, possiamo ora parafrasarlo nella seguente maniera

“Comprendiamo la logica che ci domina, in essa troviamo una virtù – il puro universale, viviamolo

pienamente”.

  41  

BIBLIOGRAFIA

Si avverte che la bibliografia comprende solamente i titoli di primaria consultazione, i riferimenti

bibliografici delle altre opere, citate nel presente lavoro, si trovano nelle note, alle quali perciò si

rinvia.

Preciso, inoltre, che il merito di molte riflessioni qui sviluppate va agli insegnamenti di G.

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