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GIUSTIZIA E LETTERATURA

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GIUSTIZIA E LETTERATURA

GIUSTIZIA E LETTERATURA I

a cura di

Gabrio Forti, Claudia Mazzucato, Arianna Visconti

con il Gruppo di Ricerca del Centro Studi “Federico Stella”

sulla Giustizia penale e la Politica criminale

VITA E PENSIERO

www.vitaepensiero.it

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previstodall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o com-merciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effet-tuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, CentroLicenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail: [email protected] e sito webwww.clearedi.org

© 2012 Vita e Pensiero - Largo A. Gemelli, 1 - 20123 MilanoISBN 978-88-343-2283-3

Volume pubblicato con i fondi del Centro Studi “Federico Stella”sulla Giustizia penale e la Politica criminale dell’Università Catto -lica del Sacro Cuore e con il gentile contributo di UniCredit.

INDICE

Introduzione, Gabrio Forti IX

Guida alla lettura. Uno sguardo all’intelaiatura, tra trama letteraria e ordito giuridico, e al ‘backstage’ di «Giustizia e letteratura - I», Claudia Mazzucato - Arianna Visconti XXIII

parte primaPercorsi di giustizia nella letteratura moderna

I. Legge, giudizi e pregiudizi in William ShakespeareShakespeare alla sbarra. Giustizia e processi nel «Mercante di Venezia» e in «Otello», Arturo Cattaneo 4La discriminazione su base razziale nell’opera di Shakespeare: giudizi e pregiudizi ancora attuali, Francesco D’Alessandro 32

II. Tra ragione morale e ragione economica: colpevolezza e necessità del reato in Daniel Defoe Defoe, la letteratura criminale e il mondo della malavita nell’Inghilterra del Settecento, Giuseppe Sertoli 44Stato di necessità, tecniche di neutralizzazione e attendibilità delle dichiarazioni testimoniali: tre spunti di rifl essione giuridica dalla lettura delle opere di Daniel Defoe, Francesco D’Alessandro 55

III. Dostoevskij e i trasgressori della legge. «Memorie del sottosuolo» e «Delitto e castigo»Dostoevskij e l’al di là della legge e della trasgressione della legge, Adriano Dell’Asta 70Razionalità del crimine e signifi cato della pena in Dostoevskij, Alessandro Provera 84

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VI INDICE

IV. La ‘presunzione di colpevolezza’ come difesa del branco. Il caso Dreyfus: risonanze letterarie francesi 1896-1930 Proust e il caso Dreyfus: ideologia linguistica e teoria dello stile, Marisa Verna 92«Vi sono in gioco ben altri interessi…». Dell’‘Affaire Dreyfus’, delle «Note d’un bizantino» e della sorte della giustizia militare in Italia, Matteo Caputo 114Il senso della giustizia. L’‘Affare Dreyfus’ e altri casi tra letteratura e storia, Remo Danovi 143

V. Robert Musil e Hugo von Hofmannsthal: percorsi paralleli nella letteratura austriaca del primo NovecentoLa ‘dissoluzione’ dell’Io e il problema della responsabilità in Robert Musil, Ada Vigliani 168La ‘dissoluzione’ dell’Io e il problema della responsabilità in Hugo von Hofmannsthal, Elena Raponi 196Uno sguardo dal ‘ponte’. «I turbamenti del giovane Törless» tra letteratura e diritto, Gabrio Forti 212

parte secondaPercorsi di giustizia nella letteratura contemporanea

I. Il tema della giustizia in Carlo Emilio Gadda: dagli ‘incunaboli’ al «Pasticciaccio» e alla «Cognizione del dolore»Le disragioni della Giustizia in Gadda, Piero Gelli 258«La cognizione del dolore» e il dolore nella cognizione. Causalità e ‘spiegazione’ del crimine in Gadda, Alessandro Provera 265

II. Giudici e giustizieri nell’opera di Friedrich Dürrenmatt, scrittore di gialli e di commedie grottescheGiochi di sponda. Considerazioni sulla giustizia in Friedrich Dürrenmatt, Roberto Cazzola 272Friedrich Dürrenmatt, uno scrittore-detective: dalle congetture sulla giustizia alle indagini sul cervello, Eugenio Bernardi 289Per una giustizia della ‘pari dignità’: spunti di rifl essione a partire dall’opera di Friedrich Dürrenmatt, Gherardo Colombo 303

III. L’assassinio del vescovo. Francisco Goldman e «L’arte dell’omicidio politico»«L’arte dell’omicidio politico» di Francisco Goldman e la morte di monsignor Gerardi, Dante Liano 310

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INDICE VII

L’omicidio del vescovo: tra narrazioni del crimine, verità e processo, Pierpaolo Astorina 320

IV. La stupidità del male nel romanzo «La delazione» di Roberto CazzolaFra eclissi di Dio e stupidità del male, Roberto Cazzola 330«Stupidità del male» e «intelligenza delle emozioni»: compassione, pensiero e memoria come antidoti al male organizzato, Arianna Visconti 368

V. «Cosmologie violente» e frammenti cinematografici. Vite criminali tra realtà e «fiction»Violenza, dominio e cambiamenti del sé sullo schermo e per la strada, Adolfo Ceretti - Lorenzo Natali 400Principio di colpevolezza e scienze umane: una lettura interazionistica, Pierpaolo Astorina 423 VI. Il tema della giustizia nelle canzoni di Bob Dylan«To live outside the law you must be honest», Alessandro Carrera 436In difesa dei deboli, Armando Spataro 458Il retribuzionismo come rifugio dal male: il pellegrinaggio di Bob Dylan nei luoghi dell’ingiustizia umana, Vincenzo Dell’Osso 460

parte terzaNarrazioni della giustizia, giustizia della narrazione

I. L’‘arte’ della verità tra esperienze reali e rappresentazioni ‘letterarie’ La giustizia e le sue alternative. Saggio di tipologia letteraria, François Ost 470Il dramma del processo fra mito e realtà, Annamaria Cascetta 485Portare una rosa fuori dal ventre della balena: come ho cercato una ‘giustizia della narrazione’, attraverso e oltre i processi, Benedetta Tobagi 497La ‘poesia della verità’ nella ricerca della giustizia. Poesia, parresia, esemplarità, giustizia, Claudia Mazzucato 507«Tua è la colpa!»: narrative penali, narrative di «fi ction» e costruzione della ‘verità’, Alfredo Verde 548«La paura siCura». La giusta percezione dell’altro, Gabriele Vacis 574L’‘arte’ della verità tra esperienze reali e rappresentazioni ‘letterarie’. Uno sguardo d’insieme, Renzo Orlandi 581

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VIII INDICE

II. Verità e distorsioni nel racconto ‘mediatico’ della giustiziaUn’introduzione, Mario Romano 592Il giusto e l’ingiusto nei fi lm di Woody Allen, Roberto Escobar 596Lo sguardo responsabile. Giustizia e testimonianza nella «fi ction» cinematografi ca recente, Ruggero Eugeni 602Giustizia narrata o giustizia tradita?, Marta Bertolino 610Contro il ‘Far West’ delle notizie: o dare accesso trasparente agli atti o rassegnarsi ai ‘nobili accattoni’, Luigi Ferrarella 636Informazione e potere: chi custodisce i custodi?, Francesco D’Alessandro 645Verità e distorsioni nel racconto ‘mediatico’ della giustizia. Uno sguardo d’insieme, Carlo Enrico Paliero 667

Gli Autori 677

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ELENA RAPONI

La ‘dissoluzione’ dell’Io e il problema della responsabilità in Hugo von Hofmannsthal*

Quando si parla di Hofmannsthal e di ‘dissoluzione’ dell’Io, il pensiero corre immediatamente alla Lettera di Lord Chandos, pubblicata nel 1902 con il meno appariscente titolo di Ein Brief – Una lettera, ma soprattut-to alla memorabile introduzione che Claudio Magris premise all’edizio-ne italiana dell’opera nel 19741. Con una formulazione suggestiva, dive-nuta direi celeberrima, la lettera che il giovane Lord inglese scrive allo scienziato e fi losofo Francesco Bacone, «per scusarsi con questo amico della totale rinuncia all’attività letteraria», è stata defi nita «un manifesto

* Il presente saggio trae origine dalla relazione tenuta in occasione del seminario dal titolo La ‘dissoluzione’ dell’Io e il problema della responsabilità in Robert Musil e Hugo von Hofmanns thal: percorsi paralleli nella letteratura austriaca del primo Novecento, nell’ambito del Ciclo seminariale Giustizia e letteratura (Law and Literature), II edizione, 24 marzo 2011. La relazione è stata preceduta dall’intervento di Ada Vigliani su Musil (cfr. supra, A. Vi-gliani, La ‘dissoluzione’ dell’Io e il problema della responsabilità in Robert Musil, pp. 168-195). Sui rapporti tra i due scrittori austriaci cfr. E.V. Fanelli, «Ich will ein Dichter sein, der kein Dichter ist». Hugo von Hofmannsthal und Robert Musil: Dichterbilder, in M.L. Roth - P. Béhar (hrsg.), Musil an der Schwelle zum 21. Jahrhundert. Internationales Kolloquium Saarbrük-ken 2001, Bern u.a. 2005, pp. 79-97; il nome di Hofmannsthal ricorre spesso nei diari di Musil (R. Musil, Tagebücher, hrsg. A. Frisé, 2 B.de, Reinbek bei Hamburg 1976). Per le letture musiliane di Hofmannsthal si veda M. Hamburger, Hofmannsthals Bibliothek. Ein Bericht, «Euphorion», 55 (1961), p. 22 (ma cfr. ora H. von Hofmannsthal, Sämtliche Wer-ke. Kritische Ausgabe, Bd. XL, Bibliothek, hrsg. E. Ritter, Frankfurt a.M. 2012); B. Greiner, Die Liebe eines «Mannes ohne Eigenschaften». Hugo von Hofmannsthal: Der Schwierige, «Cahiers d’Études germaniques», 55 (2008), 2; I. Haag - K.H. Götze (éds.), L’amour entre deux guerres 1918-1945. Concepts et réprésentations. Actes du colloque international, 11, 12 et 13 octobre 2007, Aix-en-Provence 2008, pp. 159-171.1 C. Magris, Introduzione, in H. von Hofmannsthal, Lettera di Lord Chandos (1902), trad. it. di M. Vidusso Feriani, Milano 1974. Il saggio introduttivo di Magris, intitolato L’inde-cenza dei segni, è alle pp. 9-14. Del testo di Hofmannsthal esistono numerose traduzioni: H. von Hofmannsthal, Una lettera (La lettera di Lord Chandos) (1902), trad. it. di L. Tra-verso, in Id., L’ignoto che appare. Scritti 1891-1914, a cura di G. Bemporad, Milano 1991, pp. 135-146; Id., Lettera di Lord Chandos (1902), trad. it. di R. Ascarelli, Pordenone 1992; Id., Lettera di Lord Chandos (1902), trad. it. di G. Lacchin - A. Sandri, «Panoptikon, Rivista di cultura mitteleuropea», 2002, 2, pp. 26-38, ristampato in Id., Lettera di Lord Chandos (1902), a cura di G. Lacchin, Milano 2007 (con contributi di F. Cercignani, M. Donà, F. Rella, G. Rovagnati e altri).

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del deliquio della parola e del naufragio dell’Io nel convulso e indistin-to fl uire delle cose non più nominabili né dominabili dal linguaggio»2. Da allora il testo del poeta austriaco è stato ripreso e interpretato dagli studiosi di letteratura, di estetica e di fi losofi a come un documento della crisi dell’Io e della sfi ducia, o meglio, dello scetticismo radicale nei con-fronti del linguaggio, tematizzati dalla cultura austriaca nei primi anni del Novecento. Più di recente, la critica ha però attenuato e riformula-to3 un giudizio che è apparso in molti casi forzare il testo, ridotto a sem-plice esemplifi cazione di rifl essioni che di fatto esulano dall’ambito pro-priamente letterario, senza contare quanto di paradossale vi è in un te-sto che proclamerebbe l’insuffi cienza radicale del linguaggio a dire la realtà, e allo stesso tempo tende il linguaggio in un virtuosismo di im-magini e di metafore che non ha forse eguali nella storia della letteratu-ra4. In che cosa consistette la crisi descritta nella Lettera? Si tratta di una svolta, di un passaggio nella vita del giovane Lord, il quale confessa a Ba-cone, con un’anamnesi particolareggiata, di aver perduto per sempre quello stato di grazia nel quale era vissuto fi no ad allora e per il quale la vita gli era apparsa come indissolubile unità di sogno e realtà, di mondo spirituale e mondo fi sico, dove tutto era simbolo e ogni cosa poteva di-schiudergli l’universo intero. Non è diffi cile cogliere dietro il velo del-la fi nzione letteraria il contenuto autobiografi co di queste osservazio-ni, quasi un manifesto della poetica simbolista alla quale Hofmannsthal aveva aderito sul fi nire dell’Ottocento, agli esordi felici di una vocazio-ne artistica precocissima, salvo poi ripensarla in profondità. «Nel trova-re metafore [aveva scritto in quei primi anni] vi è una continua intuizio-ne dell’intima connessione dell’universo, […] è uno dei mistici gaudii dell’arte»5. Fine e attento interprete del decadentismo, Hofmannsthal

2 Magris, Introduzione, in Hofmannsthal, Lettera di Lord Chandos, p. 10.3 Si ricordano qui gli studi di M. Rispoli, Alle origini di una crisi: Hofmannsthal e il diario di Henri-Frédéric Amiel, «Annali di Ca’ Foscari», 40 (2001), 1-2, pp. 141-172; R. Helm-stetter, Entwendet. Hofmannsthals Chandos-Brief, die Rezeptionsgeschichte und die Sprachkrise, «Deutsche Vierteljahrsschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte», 2003, 3, pp. 446-480; F. Cercignani, Hofmannsthal fra teatro e fi losofi a. Con particolare riguardo a «L’uomo diffi cile», in A. Costazza (a cura di), La fi losofi a a teatro, Milano 2010, pp. 369-385; A. Rota, Ernst Mach e le epifanie di Lord Chandos, «Il confronto letterario», 44 (2005), pp. 485-498; G. Neumann, L’estetica di Hofmannsthal nella svolta della modernità, «Cultura Tede-sca», 8 dicembre 1997, pp. 7-21.4 Lo ha sottolineato lo stesso Magris in un saggio pubblicato a dieci anni di distanza dall’introduzione del 1974: C. Magris, La ruggine dei segni. Hofmannsthal e la «Lettera di Lord Chandos», in Id., L’anello di Clarisse. Grande stile e nichilismo nella letteratura moderna, Torino 1984, pp. 32-62.5 H. von Hofmannsthal - S. Gruss, Zeugnisse und Briefe, in K.K. Polheim (hrsg.), Lite-ratur aus Österreich. Österreichische Literatur. Ein Bonner Symposion, Bonn 1981, pp. 190-191; cfr. anche H. von Hofmannsthal, Philosophie des Metaphorischen (1894), in Id., Gesammelte

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aveva accolto delle poetiche e delle estetiche della fi n de siècle l’idea del-la funzione rivelatrice e conoscitiva dell’arte; aveva invece presto avver-tito l’ambiguità e il rischio insiti nell’assolutizzazione della parola poeti-ca e nella riduzione estetizzante della realtà6 che, mentre riafferma l’ef-fi cacia dell’artista e della sua inesausta potenza creatrice, fi nisce per ne-gare la vita con la sua irriducibile alterità. In altri termini la parola poe-tica, assolutizzata, sciolta cioè dal problema del signifi care, si trasforma, come dimostrava la parabola dannunziana seguita con grande attenzio-ne da Hofmannsthal7, in mera produttività formale, irresponsabile nei confronti dei contenuti e incurante di ogni altra persona che non fosse l’Io solitario dell’artista. Superare una concezione estetizzante della pa-rola poetica comporta dunque per Hofmannsthal il riconoscimento del rapporto ineludibile, ma anche della distanza, esistenti tra arte e vita. Il rapporto tra parola e cosa, tra parola e concetto si fa allora problema-tico, non nel senso di uno scetticismo gnoseologico, bensì perché la co-scienza del poeta si confronta ora con il problema del signifi care, con il problema cioè, per dirla con Manzoni, che Hofmannsthal ben conosce-va, della responsabilità «qui pèse sur toute parole»8. L’intuizione man-zoniana della «moralità intrinseca della lingua»9, pienamente condivisa dal poeta austriaco10, e per converso la drammatica consapevolezza che la parola, da strumento di socialità, capace di unire gli uomini11, può es-

Werke in zehn Einzelbänden, Bd. 8, Reden und Aufsätze I. 1891-1913, hrsg. B. Schoeller, Frank-furt a.M. 1979, p. 192.6 Riguardo al rischio di una deriva estetizzante del linguaggio poetico, per sua natura metaforico, bisogna ricordare che il 3 novembre 1902, rispondendo al fi losofo del lin-guaggio Fritz Mauthner che aveva creduto di ravvisare nella Lettera di Lord Chandos la prima eco poetica alla sua Kritik der Sprache, Hofmannsthal aveva solo concesso che i suoi pensieri «avevano seguito percorsi simili, ora più estasiato ora più inquietato dall’a-spetto metaforico del linguaggio» (M. Stern [hrgs.], Der Briefwechsel Hofmannsthal–Fritz Mauthner, «Hofmannsthal-Blätter», [19/20] 1978, p. 33).7 Sull’‘attraversamento’ dannunziano di Hofmannsthal si rinvia a E. Raponi, Hofmann s-thal e l’Italia. Fonti italiane nell’opera poetica e teatrale di Hugo von Hofmannsthal, Milano 2002 e al fondamentale saggio di A. Jacomuzzi, Una poetica strumentale: Gabriele d’Annunzio, Torino 1974. Hofmannsthal aveva defi nito D’Annunzio «l’artista latino più ardito per le metafore» (Raponi, Hofmannsthal e l’Italia, p. 159).8 A. Manzoni, Lettera a Victor Cousin (1829) citata da P. Frare, La parola che impedisce: il principe padre e Gertrude (I Promessi sposi, IX-X), in Id., Il potere della parola. Dante, Manzoni, Primo Levi, Novara 2010, p. 52.9 Ibi, p. 47 (dove si riporta l’espressione di Giovanni Nencioni).10 Nel presentare ai lettori tedeschi l’impresa editoriale di una nuova rivista, Hofmanns-thal scriveva nel 1922: «La lingua, sì, essa è tutto […]; ma, al di là e dietro c’è ancora qualcosa: la verità e il mistero. E quando non si dimentichi questo, allora si può dire: la lingua è tutto» (H. von Hofmannsthal, «Neue Deutsche Beiträge». Ankündigung (1922), in Id., Gesammelte Werke in zehn Einzelbänden, Bd. 9, Reden und Aufsätze II. 1914-1924, hrsg. B. Schoeller - R. Hirsch, Frankfurt a.M. 1979, p. 197).11 Hofmannsthal defi nì la parola e l’azione «le due magie capaci di unire gli uomini»

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sere banalizzata, alterata, falsifi cata, si ritrovano nello smarrimento del giovane Lord di fronte all’uso disinvolto e superfi ciale della parola nella conversazione sociale e familiare, di fronte ai giudizi espressi «alla legge-ra e con una sicurezza da sonnambuli»12. Invece di illustrare la dissolu-zione del soggetto travolto dal più «esasperato impressionismo»13 la Let-tera di Lord Chandos sembra dunque piuttosto preludere alla soluzione del problema, a quella ricomposizione dell’Io in uno spazio di socialità, che troverà compiutamente espressione, come vedremo, nelle comme-die della maturità di Hofmannsthal.

Ma la dissoluzione dell’Io c’è e ha anzi occupato fortemente la fan-tasia del poeta. La formulazione forse più esplicita del problema si tro-va in un’opera giovanile, lo studio drammatico Gestern – Ieri, pubblicato in due puntate il 15 ottobre e il 1° novembre 1891 sulla rivista viennese «Die moderne Rundschau». Hofmannsthal era allora giovanissimo, ap-pena diciassettenne, ma era già considerato l’enfant prodige della moder-nità letteraria viennese che si ritrovava nel café Griensteidl. Ne faceva-no parte una fi gura di critico eclettico e versatile come Hermann Bahr e scrittori come Arthur Schnitzler, Richard Beer-Hofmann, Felix Salten, sensibili alle sollecitazioni che provenivano dal mondo francese, dalle correnti dell’impressionismo pittorico e psicologico e dal simbolismo di un Mallarmé e di un Maeterlinck, più che non lo fosse la modernità ber-linese, ancora attardata nelle forme di un ormai ‘superato’ naturalismo.

L’opera è ambientata nell’Italia rinascimentale. Il protagonista, An-drea, è un giovane esteta, prigioniero di una visione impressionista del-la vita, per la quale contano solo la sensazione, l’attimo con il suo in-canto di sogno e di bellezza, il divenire continuo e mutevole degli sta-ti d’animo.

La scena si apre nella casa di Andrea. È mattina. L’azione è quasi as-sente: l’unica cosa che succede avviene dietro le quinte, prima che il si-pario si alzi: Arlette, l’amata di Andrea, lo ha appena tradito, a sua insa-puta, con il migliore amico di lui. Il dialogo è ridotto al minimo e la pre-senza degli altri personaggi serve solo a illuminare aspetti sempre nuo-vi del carattere e della visione della vita del protagonista, che ‘fi losofeg-gia’ in lunghi monologhi lirici composti da eleganti versi giambici rima-ti. L’assunto fondamentale della fi losofi a di vita di Andrea è che solo le

(Hugo von Hofmannsthal a Raoul Auernheimer, 20 ottobre 1921, citato da H. von Hofmannsthal, Sämtliche Werke, Bd. XII, Dramen 10, Der Schwierige (1921), hrsg. M. Stern - I. Haase - R. Haltmeier, Frankfurt a.M. 1993, p. 513). Sulla parola come elemento per eccellenza di socialità cfr. H. von Hofmannsthal, Ad me ipsum (1931), in Id., Gesammelte Werke in zehn Einzelbänden, Bd. 10, Reden und Aufsätze III, hrsg. B. Schoeller - R. Hirsch, p. 615.12 Hofmannsthal, Una lettera (La lettera di Lord Chandos), in Id., L’ignoto che appare, p. 140.13 C. Magris, Introduzione, in Hofmannsthal, Lettera di Lord Chandos, p. 10.

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sensazioni sono reali. Anche nei rapporti interpersonali: nell’amicizia, nell’amore, ciò che solo conta sono le sensazioni, immotivate e insonda-bili proprio perché non procedono da un centro volitivo, dalla libertà dell’uomo, ma dalle circostanze, dagli stimoli del momento.

Non ciò che io penso, credo, odo, vedo [protesta infatti Andrea ad Arlette], Il tuo fascino mi lega e la tua vicinanza… E se anche ingannassi me e il mio amore [conclude pericolosamente], rimarresti la stessa per il mio cuore14.

Di fronte al primato delle sensazioni, il soggetto scompare dunque co-me istanza cognitiva e volitiva, e Andrea coerentemente esclama: «Impo-tenti sono le azioni, vuote le parole»15, squalifi cando e screditando co-sì quelle realtà che stabiliscono legami profondi tra le persone proprio nella misura in cui presuppongono un soggetto cosciente e una volon-tà libera. L’elogio della sensazione diventa ora elogio dell’attimo, fugge-vole e irripetibile, mentre la volubilità e l’incostanza sono elevate a leg-ge di vita:

Lo ‘ieri’ mente e solo l’‘oggi’ è vero! [proclama Andrea ad Arlette]Lasciati sospingere da ogni istante Questa è la via per restare fedele a te stesso Segui l’umore che mai si attarda ad aspettarti16.

Così, travolto dal divenire continuo delle sensazioni e dalla mutevolez-za dei suoi stati d’animo, l’Io si frantuma e si dissolve come istanza me-tafi sica che sola potrebbe assicurare continuità ai desideri, agli impegni presi, alle promesse fatte. Un abisso ci separa dal nostro Io di ieri, pro-testa infatti Andrea ad Arlette, e al pittore Fortunio, che gli chiede dove sia fi nito il suo quadro raffi gurante Leda e il cigno che fi no al giorno pri-ma ornava la casa dell’amico, Andrea risponde con alcuni versi che pos-sono essere considerati il vertice drammatico della sua fi losofi a impres-sionista:

14 «Nicht was ich denke, glaube, höre, sehe / Dein Zauber bindet mich und deine Nähe. / Und wenn du mich betrögest und mein Lieben, / Du wärst für mich dieselbe doch geblieben!» (H. von Hofmannsthal, Gestern. Dramatische Studie (1891), in Id., Sämtliche Werke, Bd. III, Dramen 1, hrsg. G.E. Hübner - K.G. Pott - Ch. Michel, Frankfurt a.M. 1982, p. 10). La traduzione è mia, ma si rinvia qui anche all’edizione italiana tradotta e curata da Roberta Ascarelli: H. von Hofmannsthal, Ieri, Pordenone 1992.15 «Ohnmächtig sind die Taten, leer die Worte!» (Hofmannsthal, Gestern, p. 10).16 «Das Gestern lügt, und nur das Heut ist wahr! / Laß dich von jedem Augenblicke treiben, / Das ist der Weg, dir selber treu zu bleiben. / Der Stimmung folg, die deiner niemals harrt» (ibi, p. 13).

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Chi ci ha insegnato a dare il nome di ‘anima’alla giustapposizione di mille vite?Che cosa rende buono il vecchio e cattivo il nuovo? Chi può pretendere, chi promettere fedeltà?17.

A fare le spese di questo impressionismo non sono solo il quadro di For-tunio, ma anche il progetto per una nuova dimora, abbandonato da An-drea perché – lamenta – «tutto ciò che / nel marmo prende forma – a me nulla più dice! / perché la mia forza creatrice muore creando /e il compimento distrugge sempre il desiderio», e così pure il progetto per un nuovo pontile d’attracco per la sua barca. «Decidermi [confessa An-drea agli amici] è per me insopportabile / […] / Non posso scegliere, perché non posso evitare»18.

Cominciano a questo punto a delinearsi con evidenza quasi didascali-ca alcuni aspetti problematici della fi losofi a di vita di Andrea: l’incostan-za, il dilettantismo, l’abulia della volontà sono tutti esiti di un impres-sionismo psicologico estremo, per cui l’Io si frantuma in una miriade di sensazioni a nessuna delle quali Andrea può o vuole rinunciare, per-ché ognuna arricchisce, potenzia il suo mondo ‘nervoso’ che si dilata fi -no ad abbracciare l’universo intero, in una dimensione però di sterile virtualità che rifugge continuamente dal limite, dalla forma compiuta, dalla scelta. E infatti, nonostante tutta la sicurezza e la disincantata espe-rienza del mondo affettate da Andrea, un’inquietudine tormenta il gio-vane, l’intuizione confusa che il predominio delle sensazioni lo esponga all’arbitrio del caso, delle circostanze fortuite. Andrea teme di aver per-duto il meglio, teme che per ogni sensazione provata, mille altre gli sia-no irrimediabilmente sfuggite, forse proprio quelle che avrebbero dato al divenire continuo del suo Io la dignità di un ‘destino’:

Alla morte invidio tutto ciò che a sé reclama [esclama dolente], è forse il mio destino che lì frana, quell’altro, grande, non vissuto,che il caso, dispettoso, per me non ha tessuto19.

17 «Wer lehrte uns, den Namen “Seele” geben / Dem Beieinandersein von tausend Le-ben? / Was macht das Alte gut und schlecht das Neue? / Wer darf verlangen, wer verspre-chen Treue?» (ibi, p. 17).18 «Weil alles, was da wird und ragt, / In Marmorformen reift – mir nichts mehr sagt! / Weil meine Schöpferkraft am Schaffen stirbt / Und die Erfüllung stets den Wunsch ver-dirbt. / […] / Mich zu entschließen, ist mir unerträglich, / […] / Ich kann nicht wählen, denn ich kann nicht meiden» (ibi, pp. 21-22).19 «Dem Tode neid ich alles, was er wirbt, / Es ist vielleicht mein Schicksal, das da stirbt, / Das andere, das Große, Ungelebte, / Das nicht der Zufall schnöd zusammenklebte» (ibi, p. 12).

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Vera creatura del caso è invece proprio Arlette che, tradendolo, farà dolorosamente sperimentare ad Andrea i frutti di questa sua fi losofi a di vita.

La dissoluzione dell’Io tematizzata in Gestern si inserisce in un preciso contesto storico-culturale. Essa rifl ette, a ben vedere, i profondi cambia-menti intervenuti nella percezione della realtà e del soggetto con il pro-cesso di modernizzazione impresso sul fi nire dell’Ottocento dallo svi-luppo delle scienze e dalle trasformazioni sociali ed economiche a ogni ambito della vita e del sapere. Alcuni critici hanno però voluto ravvisa-re nel protagonista di Gestern l’alter ego dell’autore. Nell’estate del 1891 Hofmannsthal, allora in villeggiatura, aveva scritto a Hermann Bahr tra il serio e il faceto:

Mi sono […] abituato a guardare il tempo attraverso il microscopio. Ci si accor-ge così come sia menzognero il concetto di avvenimento e quanti pensieri, […] colori, immagini, domande, dubbi, versi, inizi, superamenti, sensazioni e sensa-zioncine vi siano dentro queste noiose tre settimane. Mi piacerebbe fondare la batteriologia dell’anima. Da quando sono qui ho mangiato anche tante ciliegie, che mi piacciono molto, e ho quasi fi nito di scrivere una commedia in versi, un poema didascalico azzurro come il cielo, che mi piace di meno. Ma se Lei mi fa arrabbiare, glielo dedico20.

La ricettività sensoriale, la giustapposizione di impressioni disparate e la propensione all’autoanalisi che emergono nel tono scherzoso e di-staccato della lettera suggeriscono in effetti un legame tra Andrea e Hofmanns thal, ma sono anche espressione, come si diceva, di un nuovo modo di sentire e di rappresentare l’Io e la realtà. Il protagonista di Ge-stern rimanda così non tanto all’esperienza personale del poeta, quan-to al tipo dell’esteta e del dilettante diagnosticato in tante opere del de-cadentismo europeo, da Oscar Wilde a Huysmans, da Amiel a Barrès21,

20 «Übrigens hab’ ich mir angewöhnt, die Zeit durchs Mikroskop anzusehen, da merkt man, wie der Begriff Ereignis lügt und wieviel in solchen langweiligen 3 Wochen drin-steckt an Gedanken […], an Farben, Bildern, Fragen, Zweifeln, Versen, Anfängen, Über-windungen, Sensationen und Sensatiönchen. Ich möchte die Bakteriologie der Seele gründen. Auch sehr viele Kirschen habe ich seither gegessen, die ich sehr gern habe, und beinah ein Lustspiel in Versen geschrieben, ein himmelblaues Lehrgedicht, das ich weniger gern habe. Wenn Sie mich aber ärgern, so widme ich es Ihnen» (Hugo von Hof-mannsthal a Hermann Bahr, 2 luglio 1891, ibi, p. 309).21 I modelli prossimi di Gestern sono da ricercare proprio nell’opera dello scrittore svizze-ro Henry Frédéric Amiel e del francese Maurice Barrès, che Hofmannsthal aveva letto in quei mesi e ai quali avrebbe dedicato due saggi apparsi su rivista tra il giugno e l’ottobre 1891. Il dilettantismo, l’abulia della volontà avvicinano Andrea ad Amiel, l’autore dei Fragments d’un journal intime, che Hofmannsthal non a caso aveva ribattezzato Il diario di un abulico. Amiel, fa notare Hofmannsthal, «disprezza il marmo modellato perché ogni colpo di scalpello è una rinuncia, una limitazione delle possibilità, una perdita di libertà»

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a Thomas Mann, e qui riproposto in una variante più lieve, impressio-nista. Allo stesso tempo, la crisi di una concezione positivista che in-tendeva l’Io come somma di ‘avvenimenti’ esteriori, e la scoperta del mondo interiore della psiche con tutta la sua fragilità e frammentarie-tà, avvicinano l’opera di Hofmannsthal alle scienze analitiche che anda-vano sviluppandosi proprio allora in ambito viennese. Penso agli studi di Sigmund Freud sulla psicologia del profondo, con la scoperta dell’in-conscio e della vita pulsionale dell’individuo, ma soprattutto agli scritti del fi sico e fi losofo austriaco Ernst Mach (1838-1916), in particolare al-le Osservazioni preliminari antimetafi siche premesse al volume L’analisi del-le sensazioni e il rapporto fra fi sico e psichico apparso in prima edizione nel 188522.

Partendo da studi di fi siologia della percezione ottica, Mach aveva messo in discussione l’esistenza della cosa in sé ed era giunto a un fe-nomenismo radicale che riconosceva statuto di verità alle sole sensazio-ni. «Non l’Io è il fatto primario bensì gli elementi»23, cioè le sensazio-ni, si legge nelle Osservazioni preliminari. La conclusione cui Mach per-viene è che l’Io non esiste come istanza metafi sica e che solo per prati-cità si dà questo nome a un complesso, a un fascio mutevole di sensa-zioni. «Nell’io di uomini diversi [aveva affermato] diffi cilmente posso-no presentarsi differenze maggiori di quelle che si presentano in un so-lo individuo nel corso degli anni»24. La somiglianza di queste osservazio-

(Hofmannsthal, Il diario di un abulico, in Id., L’ignoto che appare, p. 27). Nel diario dello scrittore svizzero, Hofmannsthal trovava anche l’affermazione che una notte era per lui suffi ciente a scavare «un abîme entre le moi d’hier et celui d’aujourd’hui» (cfr. Rispoli, Alle origini di una crisi: Hofmannsthal e il diario di Henri-Frédéric Amiel, p. 150): un passo, questo, che potrebbe aver ispirato espressioni analoghe attestate, come si ricorderà, in Gestern. Da Barrès, Hofmannsthal riprende invece l’esaltazione della vita sensoriale, il culto dell’Io come grembo ricettivo e sensibile, capace di abbracciare tutto l’universo, per cui anche gli uomini e le cose sono per lui «des émotions à s’assimiler pour s’en augmenter» (Hofmannsthal, Maurice Barrès, in Id., L’ignoto che appare, p. 44). Anche Andrea in Gestern considerava le cose e gli amici come un frammento di natura, fonte di similitudini per esprimere e nutrire i suoi stati d’animo e gli umori del momento, arrivando a formulare una poetica simbolista, qui ancora acerba e asservita all’impres-sionismo psicologico del protagonista: «Non è l’eterna intera natura // solo un simbolo per gli umori della nostra anima?» («Ist nicht die ganze ewige Natur // Nur ein Symbol für unsrer Seelen Launen?», Hofmannsthal, Gestern, p. 26). Va notato che nel saggio su Amiel, Hofmannsthal aveva ricordato la famosa frase dello scrittore svizzero: «Tout paysage est un état de l’âme», divenuta un manifesto del simbolismo (Hofmannsthal, Il diario di un abulico, p. 26).22 E. Mach, Osservazioni preliminari antimetafi siche, in Id., L’analisi delle sensazioni e il rapporto fra fi sico e psichico (1886), Milano 1975, pp. 37-63.23 Ibi, p. 53.24 Il passo continuava così: «Quando oggi torno col pensiero alla mia prima giovinezza, non potrei, prescindendo da alcuni pochi punti, non considerare un altro il ragazzo che ero se non avessi presente la catena dei ricordi» (ibi, p. 39).

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ni con il mondo spirituale di Andrea è innegabile. Questa analogia si fa ancora più sorprendente in un appunto di Hofmannsthal del 17 giugno 1891 che sembra riassumere nel pronome ‘noi’ la condizione spiritua-le di un’intera generazione: «Pensiero dominante: Non abbiamo alcu-na consapevolezza oltre l’istante, perché ognuna delle nostre anime vi-ve solo per un istante. […] Il mio Io di ieri mi riguarda così poco come l’Io di Napoleone o di Goethe»25. Tuttavia, nonostante le indubbie ana-logie, è diffi cile stabilire con certezza se Gestern risenta dell’infl uenza di-retta del pensiero machiano, che Hofmannsthal pare abbia conosciuto solo nel 189226. Bisogna inoltre considerare che le rifl essioni formulate da Mach ne L’analisi delle sensazioni costituivano un humus diffuso, larga-mente condiviso dalla cultura europea di quegli anni, tanto che rifl es-sioni analoghe erano ben attestate in ambito letterario, senza dover per questo supporre una dipendenza delle une dalle altre27. Lo stesso Bahr aveva elaborato autonomamente, a partire dai suoi studi sull’impressio-

25 Hofmannsthal, Gesammelte Werke in zehn Einzelbänden, Bd. 10, Reden und Aufsätze III, p. 333.26 È quanto risulta da un appunto inedito datato «estate 1892»: Hofmannsthal si era segnato sul retro di un biglietto da visita «Mach Die Analyse der Empfi ndung Phänomenali-stisch» (a questo riguardo desidero ringraziare Ellen Ritter e Konrad Heumann del Freies Deutsches Hochstift di Francoforte sul Meno, che con grande gentilezza mi hanno antici-pato questa e altre preziose informazioni sulle letture machiane di Hofmannsthal, di prossima pubblicazione nei volumi XXXVIII e XXXIX dell’edizione critica delle Sämtli-che Werke di Hofmannsthal, previsti in uscita nel 2012). Sempre a proposito della cono-scenza che Hofmannsthal aveva dell’opera di Mach, bisogna ricordare che nel semestre estivo dell’anno accademico 1896/97 Hofmannsthal, che da giurisprudenza era passato a fi losofi a, avrebbe seguito proprio il corso di Mach, dal 1895 professore di fi sica all’u-niversità di Vienna, intitolato: Su alcune questioni generali delle scienze naturali (Über einige allgemeine Fragen der Naturwissenschaft). (Si veda l’elenco delle lezioni universitarie seguite da Hofmannsthal, pubblicato in appendice a H. von Hofmannsthal, Ausstellung. Kata-log bearbeitet von F. Hadamowsky, Salzburg 1959.) L’anno successivo, R. Beer-Hofmann, al quale Hofmannsthal si era rivolto chiedendogli quali libri avesse da segnalargli e da prestargli, menzionava i Populärwissenschaftliche Vorträge – si tratta delle Populär-wissen-schaftliche Vorlesungen – di Mach, usciti nel 1896 (Richard Beer-Hofmann a Hugo von Hof-mannsthal, 5 agosto 1898, in H. von Hofmannsthal - R. Beer-Hofmann, Briefwechsel, hrsg. E. Weber, Frankfurt a.M. 1972, p. 81). Infi ne, in un elenco di libri letti dal poeta nel 1906, compare E. Mach, Erkenntnis u. Irrtum. Skizzen zur Psychologie der Forschung, Leipzig 1905. Cfr. E. Mach, Conoscenza ed errore. Abbozzi per una psicologia della ricerca, a cura di A.G. Gargani, Torino 1982 (devo anche questa preziosa informazione a Ellen Ritter e Konrad Heumann).27 Sui rapporti tra Mach e la letteratura austriaca si rinvia a A. Berlage, Empfi ndung, Ich und Sprache um 1900. Ernst Mach, Hermann Bahr und Fritz Mauthner im Zusammenhang, Frankfurt a.M. 1994; C. Monti, Mach e la letteratura austriaca: Bahr, Hofmannsthal, Musil, in R. Morello (a cura di), Anima ed esattezza. Letteratura e scienza nella cultura austriaca tra Ottocento e Novecento, Casale Monferrato 1983, pp. 128-148; M. Clark, Hugo von Hofmann-sthal’s Conception of Language and Reality in His Lyric Poetry and Theoretical Writings from 1890 to 1907, and His Relationship to Ernst Mach’s Theory of Sensations and Fritz Mauthner’s Critique of Language, Norwich 1979.

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nismo pittorico francese28, una teoria dell’Io molto simile, se non addi-rittura più radicale nel suo fenomenismo rispetto a Mach, il quale rico-nosceva pur sempre all’Io una persistenza relativa. In un saggio del 1891 intitolato Verità! Verità! Bahr aveva affermato che:

Solo le sensazioni sono la verità, verità affi dabile e inconfutabile; l’Io è già co-struzione, disposizione arbitraria, reinterpretazione e preparazione della veri-tà che a ogni istante si presenta in modo diverso, a suo piacimento, proprio se-condo l’arbitrio momentaneo dello stato d’animo, e si è altrettanto autorizzati a crearsi subito cento Io, a piacere, e a farsene una scorta: cosa, questa, che ha portato la Décadence a ritrovarsi senza un Io29.

Sappiamo che nel giugno 1891 Bahr donò a Hofmannsthal una copia del volume Die Überwindung des Naturalismus in cui aveva raccolto i sag-gi apparsi sino ad allora su rivista. Tra questi vi era anche Verità! Verità! e proprio di fi anco al passo più sopra citato, Hofmannsthal annotò: «fran-tumarsi dell’unità dell’Io – Gestern»30, riconoscendo così, forse a poste-riori, la vicinanza e il debito della sua opera verso le rifl essioni di Bahr, alle quali è dunque da ricondurre, almeno in parte, la fi losofi a di vita del protagonista di Gestern.

Il tema della dissoluzione dell’Io ha impegnato a lungo, come si ac-cennava, la fantasia di Hofmannsthal31. Andrea è solo il primo di una

28 Si vedano a questo riguardo le annotazioni contenute nei diari, ad esempio quelle sul pittore Giuseppe De Nittis, in H. Bahr, Tagebücher-Skizzenbücher-Notizhefte, Bd. 2, 1890-1900, hrsg. M. Csáky, Wien-Köln-Weimar 1994, p. 38. Nei diari di Bahr, il nome di Mach compare per la prima volta nel 1900 (ibi, pp. 406-407).29 H. Bahr, Verità! Verità!, in Id., Il superamento del naturalismo (1891), trad. it. di G. Tateo, Milano 1994, p. 76 (con una mia lieve modifi ca nella traduzione).30 Cfr. Hofmannsthal, Gestern, p. 329. Al volume ricevuto in dono alludeva evidentemen-te Hofmannsthal nella lettera del 2 luglio 1891 a Bahr, più sopra citata, là dove parlava celiando di «superamenti, sensazioni e sensazioncine».31 Il problema della dissoluzione dell’Io riemerge ad esempio nell’antinomia di essere e divenire, di costanza e metamorfosi che caratterizza molti personaggi drammatici di Hofmannsthal, come Elettra e Crisotemide, o Arianna e Zerbinetta nelle opere Elettra (1903/1906) e Arianna a Nasso (1912/1916). Ritorna anche in una variante ‘clinica’ del problema, nel motivo della personalità dissociata, che fa la sua comparsa nell’opera del poeta dopo la lettura, nel 1907, del volume del medico americano M. Prince, The dissociation of a personality. A biographical study in abnormal psychology, London-Bombay 1906. Cfr. H. von Hofmannsthal, Dominic Heintls letzte Nacht, in Id., Sämtliche Werke, Bd. XVIII, Dramen 16, Dramenfragmente, hrsg. E. Ritter, Frankfurt a.M. 1987, p. 538 e H. von Hofmannsthal, Andreas oder die Vereinigten, in Id., Sämtliche Werke, Bd. XXX, Andreas; Der Herzog von Reichstadt; Philipp 2. und Don Juan d‘Austria, hrsg. M. Pape, Frankfurt a.M. 1982, p. 360. Qui, a p. 273, si legge l’episodio di Maria/Mariquita nel quale la personalità di Mariquita scrive ad Andreas lettere d’amore all’insaputa della personalità di Maria. Questa, informatane da altri, esclama: «La mia mano è stregata, agisce contro la mia volontà. Sarei tentata di mutilarmi, ma questo va contro il quinto comandamento […]. (Problema: fi no a che punto sono responsabile per la mia mano)». Molti anni dopo, nel

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lunga teoria di personaggi che vivono nell’illusione dell’attimo e dell’in-canto di sogno e di bellezza di una visione estetizzante della realtà, schi-va e allo stesso tempo assetata di vita vera. Come Andrea anche Clau-dio, il protagonista del dramma lirico Il folle e la morte, del 1893, vive in-fatti un’esistenza spettrale, prigioniero del caso32, disgustato e inibito nell’agire dall’apparente relatività dell’esistenza, che gli si presenta co-me campo di molteplici possibilità tutte apparentemente uguali e indif-ferenti. Anche l’imperatore Porfi rogenito nel dramma lirico L’imperato-re e la strega del 1897 vive questa medesima condizione di spettralità, qui però trasfi gurata nel linguaggio simbolico della poesia, nell’immagine di una bellissima e giovane incantatrice che da sette anni tiene avvinto l’imperatore in un terribile sortilegio. Non l’aspetto problematico, ma il volto lieve e affascinante del caso, per cui ogni istante si trasforma in un’occasione da cogliere, si ritrova invece nel personaggio del maturo Casanova nella commedia L’avventuriero e la cantante del 1898. Casano-va si presenta a Venezia sotto le mentite spoglie del barone von Weiden-stamm: un nome simbolico – Weidenstamm signifi ca tronco di salice, una pianta che cresce sui terreni paludosi – scelto non a caso da Hofmanns-thal, il quale ebbe a dire che ciò che lo affascinava di questo personag-gio era l’immagine di un uomo che continua a camminare con passo lieve come sopra una palude, là dove chiunque altro sprofonderebbe33. Con passo lieve: dimentico cioè del passo precedente, e non appesantito da rimpianti, riguardi o responsabilità, ma pur sempre prigioniero del-la mutevolezza e della casualità dei suoi desideri, accesi da ogni nuovo volto femminile, e frammentato in mille Io, dal poeta simboleggiati nei suoi molti travestimenti34.

Con la loro dolente nostalgia per un’esistenza reale e non sogna-ta o spettrale, Andrea, Claudio e l’imperatore dimostrano come la dis-soluzione dell’Io sia per Hofmannsthal solo un momento di passaggio all’interno di un processo che tende come meta verso la ricomposizio-

1923, leggendo un fascicolo della «Nouvelle Revue Française» dedicato a Marcel Proust, Hofmanns thal sarebbe tornato a occuparsi dell’argomento, riscontrando l’analogia esistente tra la sua opera giovanile Gestern e le rifl essioni dello scrittore francese sulla dissoluzione dell’individuo e sul concetto di memoria e di tempo interiore come sostanza dell’Io (cfr. Hofmannsthal, Gestern, pp. 325-326).32 «Und Glück ist alles: Stunde, Wind und Welle» (Hofmannsthal, Der Tor und der Tod [1893], in Id., Sämtliche Werke, Bd. III, Dramen 1, p. 67).33 «Was mich an ihm interessierte, war ein Mensch, der leicht weitergeht – wie über einen Sumpf –, wo jeder andere einsinkt», in H. von Hofmannsthal, Der Abenteurer und die Sängerin oder die Geschenke des Lebens (1898), in Id., Sämtliche Werke, Bd. V, Dramen 3, Die Hochzeit der Sobeide; Der Abenteurer und die Sängerin, hrsg. M. Hoppe, Frankfurt a.M. 1992, pp. 514-515.34 Cfr. H. von Hofmannsthal, L’avventuriero e la cantante o i doni della vita, in Id., Liriche e drammi, trad. it. di L. Traverso, Firenze 1988, p. 225.

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ne del soggetto: tutti i personaggi aspirano infatti a superare il potere del caso, a uscire da quella condizione di iniziale estraneità alla vita che li costringe nell’indeterminatezza di un’esistenza sempre e solo virtuale, nella quale ogni passo compiuto e ogni parola detta appaiono privi di un’intima necessità e per questo ritrattabili a piacere secondo l’arbitrio del proprio umore o del proprio interesse35. La soluzione intravista da Hofmannsthal traspare già nell’accorato ammonimento rivolto dall’im-peratore Porfi rogenito al giovane Tarquinio:

Ricordati: ogni passo nella vita è più profondo. Parole! Parole! […] Non una parola, nemmeno l’ineffabile nulla di uno sguardo potrà mai essere cancellato, ciò che hai fatto, lo devi portare un sorriso come un omicidio36.

Solo calandosi pienamente nei passi compiuti, nelle parole dette – sem-bra suggerire dunque Hofmannsthal – la vita perde la sua spettralità e il caso si trasforma in ‘necessità’, perché – per riprendere un’immagine usata dal poeta – l’azione e la parola fanno passare l’uomo «da una con-dizione potenziale a una in atto, come per ogni pezzo della scacchiera giunge prima o poi nel corso di una partita il momento in cui in forza della posizione che occupa e delle forze che gli sono attribuite esso deci-de del destino proprio e di quello di tutti gli altri pezzi in campo»37. La

35 Claudio, il protagonista del dramma lirico Il folle e la morte, aveva protestato con ama-rezza alla morte di non aver mai incontrato sul suo cammino «il dio con cui l’uomo lotta fi nché non ne viene benedetto» («Bin nie auf meinem Weg dem Gott begegnet, / Mit dem man ringt, bis daß er einen segnet», Hofmannsthal, Der Tor und der Tod, p. 72). A Claudio fa da specchio Guido, lo spregiudicato protagonista della tragedia incompiuta Die Gräfi n Pompilia – La contessa Pompilia – tratta da R. Browning, The Ring and the Book (1868-1869), il quale vuole disfarsi della moglie e per questo esclama con cinismo: «Vo-glio semplicemente fare un passo indietro, liberare di nuovo il gioco delle possibilità. A questo scopo mi occorrono tre o quattro circostanze. Che devono essere procurate. Il proverbio: “Chi dice A deve dire anche B”, è per gli sciocchi.» («Ich will einfach einen Schritt zurück machen, das Spiel der Möglichkeiten wieder entfesseln. Dazu brauche ich drei oder 4 Umstände. Die müssen herbeigeführt werden. Das: Wer A sagt muss auch B sagen, ist für dumme Leute», in H. von Hofmannsthal, Die Gräfi n Pompilia, in Id., Sämt-liche Werke, Bd. XVIII, Dramen 16, Fragmente aus dem Nachlaß 1, hrsg. E. Ritter, Frankfurt a.M. 1987, p. 200, appunto 55).36 «Merk dir: jeder Schritt im Leben // Ist ein tiefrer. Worte! Worte! // […] // Nicht ein Wort, nicht eines Blickes // Ungreifbares Nichts ist je // Ungeschehn zu machen, was // Du getan hast, mußt du tragen, // So das Lächeln wie den Mord!» (H. von Hofmanns-thal, Der Kaiser und die Hexe (1897), in Id., Sämtliche Werke, Bd. III, Dramen 1, p. 187).37 Cfr. E. Raponi, Hofmannsthal e la commedia. Dalle prime esperienze alle opere della maturità: «L’uomo diffi cile» e «L’incorruttibile», «Cultura tedesca», gennaio-giugno, 30 (2006), p. 163.

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dissoluzione dell’Io si supera dunque per Hofmannsthal nell’esercizio della responsabilità intesa come scelta di una sola tra le molte vie pos-sibili. L’uomo, cioè, acquista un ‘destino’, un Io, una ‘personalità’38 in forza delle scelte che compie. Qui – dice Hofmannsthal – è la vera liber-tà, non nel vagheggiare l’infi nità dei possibili39. Si tratta, cioè, di pren-dere molto seriamente il carattere defi nitivo della vita. Allo stesso tempo non vi è in questa visione alcuna costrizione, alcun opprimente deter-minismo moralistico40, poiché l’azione cercata da Hofmannsthal muo-ve sempre dalla verità più profonda del personaggio per portarlo a sua volta sempre più alla luce41, mentre l’attenzione costante per i molti de-stini che variamente si incrociano tra loro ridimensiona, relativizza e va-

38 Già nel saggio dedicato a Henri Frédéric Amiel nel 1891, Hofmannsthal aveva affer-mato: «Come gli elfi , che dopo le carole notturne non ritrovano la loro veste di piume in cui soltanto possono sopportare la luce del giorno, la sua anima non si ritrova più nella limitazione, nell’esistenza del singolo, nella personalità, nel destino umano toccatogli per caso in sorte, nella tyche». Poco sotto si chiedeva ancora: «che può insegnare di partico-lare colui per il quale la sua particolarità, il suo Io, il suo destino (tyche lo chiamavano gli Elleni, ciò che per caso è toccato in sorte) evapora come una goccia sul ferro rovente? Che beandosi nell’attingere l’inattingibile, nel sognare e risognare le possibilità disprezza la creatura del caso, la realtà?» (Hofmannsthal, Il diario di un abulico, in Id., L’ignoto che appare, pp. 23-24).39 In questo senso si comprende allora anche un aforisma contenuto nel Libro degli amici: «Ciò che nella rappresentazione poetica si chiama il rilievo, la vera e propria forza plasti-ca, ha la sua radice nella giustizia» (H. von Hofmannsthal, Il libro degli amici. Appunti e diari – Ad me ipsum [1922], trad. it. di G. Bemporad, Firenze 1963, p. 67). Solo ciò che ha acquistato una forma compiuta, defi nitiva, ciò che ha accettato il limite, rende giustizia alla vita, che è per Hofmannsthal lo spazio della realizzazione di una sola tra le infi nite possibilità. 40 Quanto Hofmannsthal fosse lontano da ogni moralismo che, come ricorda nelle sue rifl essioni Pierluigi Galli Stampino, induce a «ritenere oneroso e faticoso il bene», emer-ge da un appunto della commedia Der Schwierige – L’uomo diffi cile, nel quale il poeta aveva affermato che «le prove della vita non sono solo così fatte, che la cosa sbagliata appare facile e allettante e la cosa giusta faticosa e austera. Talvolta la cosa giusta, l’unica, se ne sta lì, così inoffensiva, come una tra tante possibilità, che la facilità di sceglierla o di di-sdegnarla – l’apparente facilità – è proprio ciò da cui l’anima si lascia ingannare» («Denn die Prüfungen des Lebens sind ja nicht nur so, dass das Falsche leicht und verlockend ausschaut und das Richtige schwer und streng: zuweilen steht das Richtige, das Einzige so harmlos da als wie eine unter vielen Möglichkeiten, und die Leichtigkeit, es zu wählen oder zu verschmähen, [die scheinbare Leichtigkeit] gerade die ist es, von der die Seele sich betrügen lässt», in Hofmannsthal, Sämtliche Werke, Bd. XII, Dramen 10, Der Schwieri-ge, p. 396; cfr. anche p. 272).41 Al 1916 risale un appunto riguardante il tema della scelta, che testimonia l’infl uenza del pensiero di Kierkegaard sulle rifl essioni della maturità di Hofmannsthal: «Ich erblick-te Kierkegaards geistige Miene: Werden was man ist, sich selbst wählen in gottgewollter Selbstwahl. Nicht die Wahrheit wissen, sondern die Wahrheit sein, nicht ausgehen von der Persönlichkeit, sondern hinstreben zu ihr» (H. von Hofmannsthal, Aufzeichnungen zu Reden in Skandinavien, in Id., Gesammelte Werke in zehn Einzelbänden, Bd. 9, Reden und Aufsätze II. 1914-1924, p. 29; traduzione italiana: «Io scorsi il volto spirituale di Kierkeg-aard: diventare ciò che si è, scegliere se stessi in libera scelta voluta da Dio. Non cono-

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nifi ca le pretese o i pregiudizi anche autolesivi del singolo, lasciando af-fi orare, tra le mille possibili, l’unica naturale, legittima e umanissima so-luzione42.

I due termini del tema di questo nostro incontro: la ‘dissoluzione dell’Io’ e il problema della ‘responsabilità’ risultano dunque collegati in Hofmannsthal, in questo senso preciso, ontologico prima che mora-le: l’Io si ricompone in unità, si defi nisce e si determina in forza dei pas-si compiuti e delle parole dette, in forza cioè della responsabilità assun-ta nei confronti di ogni gesto, di ogni parola. «Non sono un santo!» – concede Theodor nella commedia L’incorruttibile – «Ma quando compio un’azione amorosa, la compio con tutto il cuore e ne rispondo con tut-ta l’anima»43.

Ma quale Io emerge ora dall’opera di Hofmannsthal? Non un Io as-soluto, incondizionato, ma un Io ‘relativo’ nel senso etimologico del ter-mine, che si costituisce cioè nella relazione44, in uno spazio di reciproci-tà che trova nel genere letterario della commedia la sua naturale espres-sione. Già i protagonisti dei drammi lirici giovanili di Hofmannsthal ave-vano del resto manifestato la propria dolente nostalgia per la vita come desiderio di relazione, di socialità, di legami vicendevoli. A differenza della tragedia, che colloca i personaggi in uno spazio incondizionato e assoluto, la commedia inserisce gli uomini in un tessuto lieve, ma coe-so, dove nulla sta per sé, isolato, ma tutto entra in rapporto con tutto. In questo modo, però, la verità dell’Io viene relativizzata, si frantuma, ri-fratta dalle voci, dai punti di vista, dagli interessi contrastanti in gioco, sottraendosi a una comprensione evidente. Le due più belle commedie in prosa di Hofmannsthal – L’uomo diffi cile (1921) e L’incorruttibile (1923) – non ci restituiscono l’immagine di un Io granitico, ma piuttosto di un Io ‘relativo’, tanto elusivo da apparire debole o addirittura ipocrita allo sguardo disattento o malevolo45. Quella dissoluzione dell’Io che alla fi -

scere la verità, ma essere la verità, non partire dalla personalità, ma tendere a essa», in Hofmanns thal, Appunti per discorsi in Scandinavia, in Id., Il libro degli amici, pp. 242-243).42 Sul tipo di commedia sviluppato da Hofmannsthal negli anni Venti, incentrato mo-dernamente non sui ‘caratteri’ tradizionali, ma sul tessuto cangiante delle mille e mille possibilità di vita che si incrociano l’un l’altra, si veda quello che il poeta scrisse a Carl J. Burckhardt il 10 luglio 1926 (H. von Hofmannsthal - C.J. Burckhardt, Briefwechsel, hrsg. C. J. Burckhardt - C. Mertz-Rychner, Frankfurt a.M. 1991, p. 197).43 H. von Hofmannsthal, L’incorruttibile (1923), trad. it. di E. Raponi, Torino 2007, p. 18.44 Viceversa, quando la relazione si spezza, anche l’Io si smarrisce. Ne fa drammaticamen-te esperienza, quasi come di uno straniamento fi sico, il personaggio di Anna, la giovane sposa tradita con leggerezza da Jaromir nell’Incorruttibile. Confi dando al marito i timori che l’hanno assalita al mattino, ella racconta come a un tratto qualcosa si fosse impadro-nito di lei, «qualcosa di così terribile, come se nulla al mondo fosse più mio, neppure le mie mani, o i miei piedi, neppure il mio viso!» (ibi, p. 68).45 È la sorte che tocca a Hans Karl, il protagonista della commedia L’uomo diffi cile, per la

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ne dell’Ottocento era il portato di un nuovo modo di percepire l’indivi-duo e la realtà, di una concezione impressionista dell’uomo e del mon-do, sembra così riemergere sotto altra forma negli anni della maturità di Hofmannsthal. Essa diventa ora, paradossalmente, un tratto peculiare del carattere austriaco, contrapposto alla tendenza prussiana all’esage-razione, all’ostentazione. Risalgono agli anni della Prima Guerra Mon-diale alcune rifl essioni del poeta, condensate in uno schema: Prussiani e Austriaci, nel quale al tratto di «ostinata esagerazione» – «harte Über-treibung» – del Prussiano, fa da contrappunto un’«ironia fi no alla dis-soluzione» – «Ironie bis zur Aufl ösung» – dell’Austriaco46. La rifl essione che Hofmannsthal conduce in questi anni sul concetto di ironia, non so-lo come tratto del carattere – secondo la contrapposizione classica della Untertreibung – eirwneia – alla alazoneia di aristotelica memoria, ma an-che come percezione della realtà e come sua rappresentazione estetica nei termini moderni dell’ironia romantica47, risente con ogni certezza sia della drammatica tensione alimentata allo scoppio della Prima Guer-ra Mondiale dalle diffi denze che la Germania guglielmina nutriva ver-so l’alleato asburgico, accusato di ‘pressappochismo’48, sia delle minac-ce annessioniste avanzate dagli Austro-tedeschi nel 1918, dopo il crollo della compagine sovranazionale della duplice monarchia austro-ungari-ca. A queste tensioni, alla drammatica esperienza del confl itto e al clima di disperato titanismo che caratterizza per Hofmannsthal la cultura te-desca del primo dopoguerra, assetata di assoluto e per questo però disu-mana come chi, «esigendo in maniera sfrenata la verità, strappasse agli uomini il viso, per scoprirvi sotto la verità dei tratti»49, il poeta austriaco risponde nelle commedie degli anni Venti con il garbo e con la misura

quale lo scrittore aveva pensato anche al titolo vagamente musiliano Der Mann ohne Ab-sichten – L’uomo senza intenti –, mal compreso, quando non strumentalizzato dagli intenti altrui: dal prussiano Neuhoff, al segretario Neugebauer fi no al nuovo domestico Vinzenz. Anche nella commedia L’incorruttibile, l’immagine di Theodor, pur nel capovolgimento ironico subito dal riserbo quasi ipocondriaco di Hans Karl nel dispotismo egocentrico dell’incorruttibile maggiordomo, è sfaccettata, non univoca. A essere distorto non è solo il giudizio sul personaggio; anche l’enunciato morale della commedia – quella apologia della felicità coniugale affi data come congedo fi nale al commento ‘socratico’ di Theo-dor – ne viene relativizzato e come indebolito. Del resto anche nella commedia L’uomo diffi cile, il fi danzamento felice tra i due protagonisti non impediva di avvertire la mestizia sospesa sulle vicende umane, spazio della speranza più che di una ostentata certezza.46 Cfr. H. von Hofmannsthal, Prussiani e Austriaci, in Id., L’Austria e l’Europa. Saggi 1914-1928, trad. it. di G. Cavaglià, Casale Monferrato 1983, p. 71.47 Cfr. E. Raponi, «Dopo una guerra infausta bisogna scrivere commedie». A proposito de L’«ironia delle cose» di Hugo von Hofmannsthal, «Testo», 52 (2006), pp. 7-17.48 Cfr. H. von Hofmannsthal - E. von Bodenhausen, Briefe der Freundschaft, Berlin 1953, in particolare la lettera di Bodenhausen a Hofmannsthal del 31 ottobre 1914, ibi, pp. 180-181, e di Hofmannsthal a Bodenhausen, del 4 novembre 1914, ibi, pp. 181-183.49 H. von Hofmannsthal, «Neue deutsche Beiträge». Anmerkung des Herausgebers (1922-

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insieme etica ed estetica di un Io apparentemente ‘debole ed elusivo’, ma attento e umanissimo, che non scavalca mai l’altro per brama di as-soluto, ma che nel limite, nella forma fi nita, visibile sa cogliere l’aspetto metaforico, il rimando a un infi nito che sempre lo trascende50.

1927), in Id., Gesammelte Werke in zehn Einzelbänden, Bd. 9, Reden und Aufsätze II. 1914-1924, p. 203.50 Cfr. C. Magris, Vienna. Dove muore la retorica, «Corriere della Sera», 17 ottobre 1995, p. 29 (ringrazio Gabrio Forti che gentilissimamente mi ha segnalato e fatto avere il testo di questo articolo).

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