plurilinguismo in il sorriso dell'ignoto marinaio di vincenzo consolo

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Themen der Italianistik

Herausgegeben in Verbindung lOit del' Zeitschrift ItaLienisch

Gefordert von

del' Frankfurl(',r S'liftHng fuI' deLllsch-itali(~lIi.sdl(' SwdiclI

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Zarko Muljacié (Hrsg.)

L~italiano

e le sue varietà linguistiche

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C0l'yriglu © 1<)1)8 'Ibl, IlIlIsl,."I;"''':1I 111111 AlIsslallllllg by Verlag fi.i,. delllscl,-ilali".lIi.-wlll: Slodi"11 S,""·rlii"dl'l". Aa",IJ!Swilz.'TI,",,1

J)i,~,ws Werk isl w"llwl'il Il rI ",1 ":"1"1'1"1 Il li..l, g,·sdliilzl. Da, H,·..I'I, da, WI',.k Il,ill,.ls il'g(~II(I(~jn~s Medi Il Il l:-i (I('.cllliiscll~ cj('klrolli:-wll IIlId/od!'1' digil;d) ZtI iii H't'1 rilg(·II.,

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L'italiano e le sue val"ielà linguislidw / :/:arko iVlIdjat:if' (1Irsg.). !ledo del voi.: [stiluio di Filogia Il,"na,,za, l,'ril'd,·id,-S...I,illl'l"-ll"ivl'l"siliil Aarau/Swilzerland . Verl. fiir Dl.-hni. SllIdi"" Sallerliilllk... 1')'m (Themen del' liaJianistik ; Bd.3) ISBN 3-7941-4239-6

Indice

Premessa 7

Neri Binazzi <Italiano> e <dialetto> a Firenze: 50 giovani giudicano il loro lessico d'uso 13

Pura Guil Le necrologie giornal istiche: Un approccio pragmatico-testuale 33

Clara Mavellia

i Il sessismo nella lingua 45

Odile Martinezl: Fenomen i recenti nel cam po dei prestiti in ital iano: I. Il caso dei francesism i 63

I Elisa Martinez-Garridor

i" L'influenza di D'Annunzio sulla retorica di Mussolini 75

Nicolò Messina Plurilinguismo in Il sorriso dell'ignoto marinaio di Vincenzo Consolo 97

Zarko Muljacié Di quale lingua sono dialetti i dialetti italiani? 125

Resoconti dei contributi in tedesco Deutsche Zusammen fassungen del' Beitrage 137

Notizie sugli autori 143

Indice 147

5

D'Annunzio, G.: Prose di Ricerca, di Lotta e di Comando, VoI. I, Milano: Mondadori 1958

D'Annunzio, G.: Prose di Romanzi, a. cura di Raimondi, E., Milano: Meridiani Mondadori 1989

Gramsci, A.: Letteratura e Vita Nazionale. Torino: Einaudi 1966 Desideri, P.: Teoria e Prassi del discorso politico. Roma: Bulzoni 1984 Isnenghi, M.: lf mito della grande guerra. Bari: Laterza 1970 Isnenghi, M.: Le guerre degli Italiani. Milano: Mondadori 1989 Kerbrat-Orecchioni, C. / Mouillaud, M.: Le discours politique. Lyon:

Presses Universitaires de Lyon 1984 Ledda, E.: Fiume e D'Annunzio. Chieti: Marino Solfanelli 1988 Leso, E.: «Aspetti della lingua del fascismo. Prime linee di una ricerca».

In: Storia linguistica dell'Italia del Novecento. (Atti del V. Convegno Internazionale della S.L.I.) Roma: Bulzoni 1973, 139 158

Leso, E.: «Osservazioni sulla lingua di Mussolini». In: Rosiello, L. (ed.): La lingua italiana e ilfascismo. Bologna: Consorzio Provinciale della Pubblica Lettura 1976, 15-51

Martinez Garrido, E.: «La huella trecentista en la prosa dannunziana». In: Revista de Filologia Romanica 8 (1991), 3 17-332

Montale, E.: Ossi di Seppia. Milano: Lo Specchio, Mondadori 1969 Mussolini, B.: Scritti e Discorsi, VoI. Il, III, IV. Milano: Hoepli 1934 A.A.V.V.: La lingua italiana e iljascismo (ed. L. Rossiello). Bologna:

Consorzio Provinciale Pubblica Lettura 1976 Simonini, A.: Il linguaggio di Mussolini. Milano: Bompiani 1978 Tranfaglia, N.: Labirinto Italiano. Il fascismo, l'antifascimo, gli storici.

Firenze: La Nuova Italia 1989 Valesio, P.: Gabriele D'Annunzio. The Dark Flame. New Haven, London:

Yale University Press 1992

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NICOLÒ MESSINA

Plurilinguismo in Il sorriso dell'ignoto marinaio di Vincenzo Consolo *

E cos'è la Storia sin qui, egregio amico? Una scrittura continua di privilegiati.

(V. Consolo: II sorriso dell'ignoto marinaio. 1976, 96)

1. Il libro <scritto> tra romanzo storico e negazione della storia

Il sorriso dell'ignoto marinaio è senz'altro di quelle opere che spiazzano il lettore, ne mettono in discussione le capacità di lettura, lo coinvolgono al massimo, anzi ne reclamano l'intervento, nel rituale gioco emissione-ricezione. Da analoghi effetti non sono rimasti peraltro immuni neanche i lettori (professionisti>. Tnvero, un libro a tal punto «(scritto> in ogni riga e parola» e così «tutto

* La base dell'articolo è costituita dalla relazione presentata al Il Convegno della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Downing College, University of Cambridge, 24-27 marzo 1991). Quelle riflessioni, con l'aggiunta di altre maturate nel frattempo, sono state proposte in un Blockseminar, dal titolo: «Italiano e <italiani> in V. Consolo. Il caso del Sorriso», tenuto nel giugno del 1992 all'lnstitut luI' Romanistik della Martin-Luther-Universitdt di Halle­Wittenberg.

Per i limiti editoriali imposti è stata eliminata l'originaria Appendice con i passi cui si rimandava nel testo a fini esemplificativi. Ne è andata in qualche modo pregiudicata la perspicuità (e la fruibilità) dell'articolo. Per sopperire almeno in parte a tale mancanza, si fornisce di seguito un lndex locorum con l'indicazione delle pagine (ed. Torino: Einaudi 1976) che conviene avere sott'occhio, e dei paragrafi in cui sono state richiamate: § 1.1. (3, 4, 59), § 1.1.1. (22-25,95-101, 103-114, 115-120), § 1.1.2. (121-127, 128-13\, \32-133), § 1.2. (86, 3\-32, lO, \5, 16, 18,37,63,72-73,109,29-31,77,3-5,8-9, \2-13, 83,43-44, 21, 34-35, 37-41, 71-76).

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Nicolò Messina

[...] di testa»l, condiziona, anzi può persino fuorviare, l'approccio di chicchessia. Non c'è da sorprendersi, perciò, se quanti ne hanno scritto finora - a caldo e a decantazione avvenuta - siano stati ten­tati dall'approccio onnicomprensivo, poi ridotto a singole incur­sioni, di necessità non approfondite, su questo o quel tratto distin­tiv02

Nell'attuale panorama bibliografico non restano quindi che i contributi specifici di Alessandro e Mughetto Finzi sulla ritmicità della prosa, e di Salvatore Trovato sull'elemento linguistico più straniante3

. Solo da poco si sono aggiunte la dotta prefazione di Cesare Segre alla ristampa del romanzo; l'altra, puntuale e sugge­stiva, di Gianni Turchetta alla ristampa di Le pietre di Pantalica; infine, la monografia di Flora Di Legami, intesa ad assolvere l'ar­duo compito di coniugare l'accademico con il divulgativ04 Ad•

ogni modo, pur con indubbi meriti, questi studi S non tolgono che le

I Cfr. rispettivamente Giuliani 1976 e Debenedetti 1976. Ricordato il lungo tempo di gestazione del Sorri:;o, da acuto polemista qual era, Sciascia, in Cruciverba, lo difende proprio dall'accusa di costruito: «Certo che lo è: ed è impensabile che i buoni libri non lo siano (senza dire dei grandi), come è impensabile non lo sia una casa. L'abitabilità di un libro dipende da questo semplice e indispensabile fatto: che sia costruito e - appunto - a regola di abitabilità. I libri inabitabili, cioè senza lettori, sono quelli non costruiti; c oggi sono proprio tanti.» (Sciascia 1989,997-998) 2 Si risalta ora l'ironia o l'amarezza dell'emblematico sorriso (Ferretti 1976; Dalla­mano 1976), ora il simbolo della chiocciola (Gramigna 1976), ora il presunto gaddismo (G. Gramigna 1976; Manacorda 1987, 298; Spagnoletti 1987, art. dal titolo ingegnoso che recensisce però Retablo), ora l'antigattopardismo (Debenedetti 1976; Sinibaldi 1988), ma alla fine si rinuncia a chiudere il cerchio interpretativo.

3 Finzi / Finzi 1978; pur individuando uno degli aspetti più rilevanti del libro, limitano lo studio al solo cap. VII. A Convegno concluso, mi perveniva, gentilmente inviato dall'Autore, che vivamente ringrazio: Trovato 1989, di cui non avevo notizia. Soprattutto incentrato sull'apporto di tale dialetto all'elocutio dei due libri, anche se non lesina attenzioni alle altre componenti linguistiche, il saggio s'impone per rigore di analisi ed è stato tenuto nel dovuto conto nel rivedere queste pagine.

4 Segre 1987; Turchetta 1990; Di Legami 1990. 5 Cfr. anche Rossi 1976, in particolare 157-159; Biondi 1977; Luperini 1981, 867-868; Amoroso 1983,71-73; Fusco / Bessière 1984; Morace 1984,21-36 e 1985; Di Legami 1985; Gioviale 1985 (<<L'isola» e «Vincenzo Consolo»); Tedesco 1989 e 1990.

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Plurilinguismo in <lI sorriso dell'ignoto marinaio>

non molte interviste rilasciate da Consolo rappresentino ancor oggi, fatte le dovute tare, uno degli apporti bibliograficamente più attendibili sul libro, anzi un punto di riferimento obbligat06

Alla mia ricorrente frequentazione del Sorriso soggiacciono Retablo e Le pietre di Pantalica. L'uno, per la lingua composita e l'incrocio di due storie, e ancor più l'altro, per l'articolazione tri­partita, ma unitaria, e con alcuni quadri all'insegna dell'invenzione linguistica, non possono non rimandare al Sorriso, opera dalla lin­gua multistratificata e dalla struttura altrettanto mossa, anche se più scopertamente unitaria?

Il plurilinguismo del Sorriso va esemplificato, secondo me, prendendo le mosse proprio dalla definizione del libro e dall'arti­co!azione-strutturazione della materia narrativa. Da parte sua, Consolo ha sempre rifiutato per l'opera l'etichetta di «forma mista» e rivendicato quella di «romanzo storico»8. Le due definizioni sembrano però contemperabili: se nel Sorriso nulla sarebbe lasciato all'inventiva, la storicità non sarebbe tuttavia «rotonda», come ammette lo stesso Autore, anzi il suo carattere «franto» sarebbe accresciuto e sottolineato dall'inserimento di documenti storiografici originali9

. A rigore, quindi, non sarebbe del tutto da rifiutare la prima <etichetta>, che riecheggia la nota categoria manzoniana lO D'invenzione, anche se documentata, è la struttura •

portante, l'articolato dei capitoli; sono invece storia, o meglio

6 Spiccano Fusco 1980; Durante 1987; Cherchi 1989; Finzi 1990. ? La stessa cifra stilistica è dato a grandi linee riscontrare in Nottetempo, casa per casa. Milano: Mondadori 1992. 8 Finzi 1990, 89-90 e Consolo 1991 (<<Viaggi»), Il.

9 L'uso di tale tecnica non è isolato in Consolo. Cfr. in «Ratumemi» (Le pietre di Pantalica, 47-74), gli inserti Nel cuore della Sicilia (56-57), La vicenda (58), Li sciorti di furmentu pi siminari (59), 11 regime fondiario (60-61), 1/ mercato del lavoro (62-63). Lo scrittore dichiara di aver mutuato il procedimento dai tedeschi K. Kluge e H.M. Enzensberger (Fusco 1980, 16), e asserisce che esso assolve la funzione di «far partecipare il lettore alla comprensione del romanzo» (Finzi 1990,89). IO Cfr. Manzoni, Del romanzo e in genere dei componimenti misti di storia e in­venzione (1845), in cui però si condanna l'invenzione in letteratura, e quindi tutto il genere romanzesco, contraddicendo la posizione, mantenuta prima e durante la lunga e laboriosa stesura dei Promessi sposi, favorevole all'integrazione d'inven­ione e storia per meglio illuminare fatti e sentimenti.

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Nicolò Messina Plurilinguismo in <11 sorriso dell'ignoto marinaio>

portante, l'articolato dei capitoli; sono invece storia, o meglio cronaca, quelle parti correttamente indicate come Appendici, le quali, pur scritte da una mano diversa ll

, cospirano insieme ai capitoli di mano consoliana a realizzare il progetto di un libro uno, con un tempo che si svolge ordinatamente senza soluzioni di continuità, e con personaggi e vicende che s'incastonano perfettamente, solo a patto che il lettore accetti la provocazione dell'autore e ne diventi complice.

2.0 Per uno schema della lingua del Sorriso

Ad ogni modo, se il Sorriso è un romanzo storico, lo sarà tutt'al più nel senso ciceroniano di una storia come opus oratorium maxi­mum l2

, con un'oratorietà riscontrabile non solo nell'inventio del narrato (la fabula) e nella sua dispositio, pressoché musiva (il plot), ma anche, in stretto collegamento con esse, nell'elocutio (il discorso vs. la storia). Di tale lingua composita vorrei almeno for­nire uno schema documentato, rapportandola appunto alla com­plessa struttura narrativa.

II Lettera di E. Pirajno barone di Mandralisca al barone A. Bivona da servire da prefazione al «Catalogo dei molluschi terrestri e jluviatili delle Madonie e luoghi adiacenti» (Palermo 1840, 22-24); Nota di talune specie di molluschi terrestri e fluviatili di Sicilia, di Enrico Piraino barone di Mandralisca (Palermo 1842, 25); F. Guardione: 1l moto politico di Cefalù nel 1856 (Cefalù 1907, 47-52); G.c. Abba: Noterelle d'uno dei Mille (1880, ed. definitiva 1891, 53-27); L. Scandurra: Una deliberazione celebre almeno come paradosso, ovvero L'assassinio in trionfo (Palermo 18.12.1860, 134-139); Certificato di morte di Giuseppe Sirna Papa (Patti, 21.8.1860, 140); Proclama del prodittatore Mordini (Palermo, 15.10.1860, 141). Si cita sempre - si ricorda di nuovo - dall'editio princeps Torino: Einaudi 1976. Del libro erano stati però pubblicati il cap. I in Nuovi Argomenti (1969), e due capitoli, con un'acquaforte di R. Guttuso, in edizione numerata di 150 copie firmate dall'Autore (Milano: Libreria antiquaria G. Manusè 1975). 12 Per Giuliani 1976, la storicità del Sorriso è da intendere al modo di Duride di Samo (III-II sec.. a.c.), caposcuola della cosiddetta storiografia mimetica, secondo il quale lo storico deve mediare mimeticamente tra la realtà storica e il pubblico che la recepisce, sottoponendo «il vero e l'utile», il razionale della storia, all'imitazione degli elementi tragici, emozionali, del comportamento umano, anch'essi presenti. Giuliani rimanda poi opportunamente a B. Gentili I G. Cerri: Le teorie del discorso storico nel pensiero greco e la storiografia romana arcaica. Roma: Ed. dell'Ateneo 1976.

2.1. I poli estremi

li Sorriso rivela immediatamente le sue tante anime linguistiche. Basta considerare ad esempio gli avvii dei capp. I e LII. Nell'Ante­fatto (3) solo un farmacista saprebbe distinguere, nelle scansie sti­pate, tra fiaschi bussoli unguentari alberelli scatole burnie, ma senza la consulenza di un amico siciliano non riuscirebbe certo a identificare l'ultimo recipiente «barattoli». Più avanti (4) in:

«Riguardò la volta del cielo con le stelle, l'isola grande di fronte, i fan i sopra le torri. Torrazzi di arenaria e malta, ch'estollono i lor merli di cinque canne sugli scogli, sui quali infrangonsi di tramontana i venti e i marosi. Erano del Calavà e Calanovella, del Lauro e Gioiosa, del Brolo... AI castello de' Lancia, sul verone, madonna Bianca sta nau­seata. Sospira e sputa, guata l'orizzonte. Il vento di Soave la contorce. Federico confida al suo falcone

O Deo, come fui matto quando mi dipartivi là ov'era stato in tanta dignitate E si caro l'accatto e squaglio come nivi ...»

fani è un grecismo siciliano plurale tantum « phan6s <fiaccola> < phélOS, ph6s duce» e designa i fuochi che si accendevano sulle torri di guardia e avvistamento site lungo il litorale; estollono è proprio d'estrazione virgiliana, se non enniana, latinismo rivalutato nel Cinquecento l

); le canne sono un'unità di misura di lunghezza, localistica e datata; e l'ordo rectus è eluso da infrangonsi di tra­montana i venti e i marosi, con l'enclisi poetica e l'iperbato. Non

13 Enn. apud Macrob. 6 Saturn. 2 [Venti] mari magno jluctus extollere certant. In Virgilio l'alta frequenza di extulit accompagna di solito parti del corpo, come e.g. Aen. 1,127 prospiciens summa placidum caput extutit unda; 5,427 bracchiaque ad superas interritus extulit auras. Cfr. anche Vitruv. De archilectura 10,13,6 tectum fastigium non minus cubita duo, et supra extollebatur turricula cubitorum qual/uor. Nel XIII sec. è attestato estollenzia, nel senso metaforico di <superbia> (DEI, s.v.), mentre il verbo estollere ricorre, tanto in senso proprio che traslato, in testi cinquecenteschi. Per tutti, cfr. Ariosto 31,72: Dal fiume il capo e il pel/o e i

fianchi estolle (GDL!, s.v.).

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Nicolò Messina

solo, sul verone, vagamente leopardiano, la madre di Manfredi sospira per l'amato imperatore che, connotato come falconiere e poeta siciliano modo, prima di essere evocato per nome, lo è con la citazione dantesca vento di Soave l4

Il discorso e l'approccio si complicano per l'incipit fin troppo costruito del cap. III (59), in cui ogni elemento ha una sua funzione. Il titolo in latino (Morti sacrata) allude alla vittima dello stupro necrofilico perpetrato da frate Nunzio. L'occhiello goyesco (Tristes presentimientos de lo que ha de acontecer), unito all'indicazione notarile del luogo e della data, sembra significare che i preparativi dei braccianti e l'imminente esplosione di perversa sessualità non siano che l'anticipo di truculenze ben maggiori, la scanna dei cappeddi del 17 maggio. L'excerptum in latino agiografico (ad aridas profectus cautes, siti enectus fontem poposcit, monitusque baculo ferire silicem, e saxo rivum...ys descrive fedelmente e a contrario il paesaggio di Santa Marecuma, in cui risaltano, in uno sfoggio mirabile di delicata coprolalia, certe metaforiche rarità gastronomiche (pani di vacca, cipolle di mulo, olive di capra). Segue, nella forma dell'erlebte Rede, a tal punto spinta da divenire diretta, l'invocazione-invettiva contro s. Nicolò Politi, del quale vengono in modo blasfemo contestati e commentati gli attributi di santità (Zito (...] vergine (...] e ce l'avevi?, per paura di sticchio romito e santo), viene vilipeso

14 Per Dante Federico sarebbe il terzo ed ultimo monarca svevo (Soave, Soàvia < Schwaben <Svevia». Cfr. IlI, 3, 118-120: Quest'è la luce della gran Costanza / Che del secondo vento di Soave [Enrico VI] / Generò il terzo e l'ultima possanza. È nota la passione dell'imperatore per la caccia al falcone, tale da farne l'autore del Tractatus de arte venandi cum avibus. Nel brano vengono poi citati versi della st. 3 della canzone Oi lasso' non pensai (ed. Panvini: XLIII, 12, 21-25). L'attribuzione fridericiana è incerta (B. Panvini 1962), perché i mss. discordano: per il Vaticano Latino 3793 l'autore sarebbe Rugierone di Palermo, per il Laurenziano-Rediano 9, Rex Federigo. 15 La citazione non è tratta dagli Acta b. Nicolai, dove si legge (AASS Aug. IlI, 514): Exsurge Nicolae, et saxum [...] baculo tuo percute [...] statimque aqua e saxo promanavit. Le altre due tarsie agiografiche: 59 per poenitentiam instar lucernae ardentis ante Deum; 60 Sint benedictae mammae quas suxisti et benedictus venter qui te gestavit, derivano dall'Hymnus ad b. Nicolaum (AASS citt.: 5 I6 e 517). Cfr. anche inf. n. 28.

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Plurilinguismo in <11 sorriso dell'ignoto marinaio>

l'abito del romitaggio con l'enumerazione 16 di radiche scorze erbe larve cavallette chiocciole, brusca e striglia, contrappuntata dalla rima ottenuta solo grazie a un sicilianismo italianizzato l7

: selci alle ginocchia, cenere e caniglia « canigghia <crusca»; viene derisa la mummia (pupo di paglia d'avvampare), degradata per contrasto, grazie a un altro abile innesto agiografico (per poenitentiam instar lucernae ardentis ante Deum), da fiaccola di fede a pagana torcia carnevalesca; viene infine sminuita la scelta di vita, svalutandone la motivazione con argomenti buoni solo a riflettere pregiudizi campanilistici e la tendenza alla trivialità (e si, nato d'Adrano, paese di mascoli bianchi, greci di culo fiacco trapiantati).

Aprendo a caso il libro, perciò, il diagramma linguistico che si può tracciare abbraccia tutti gli strati possibili dell'italiano com­presi tra i due poli tradizionalmente estremi, l'alto e il basso, l'au­lico-letterario e il gergale-dialettale.

2.1.1. Il polo alto

Lo spunto originario del Sorriso sarebbe il ricordo infantile del quadro dell'ignoto marinaio, sul quale s'innesta la ricerca docu­mentaria su Enrico Pirajno e Giovanni Interdonato, personaggi reali le cui strade si erano divise dopo l'esperienza autonomista del 1848, per poi incrociarsi di nuovo per i fatti di Cefalù (1856) e di Alcara Li Fusi (1860Y8.

16 Tale espediente è frequentemente usato. Cfr. e.g. (3) rabeschi girigogoli svolazzi; (7) bacini, canali, laghi, insenature; (8) divora lati spigoli contorni; (9) carichi di sacchi barilotti damigiane; (61) falci accette forconi zappe coltelli for­bicioni [...] stigliole salsicce soppressata coste gelatina lardo; (63) beni mogli figli bestie [...] macine riverse rocchi capitelli sparsi; (65) pane pecorino fave; (67) parata a festoni stendardi bandiere nappe; (73) vicarie, bagni, fossi o colombare, Noto, Procida Nisida Trapani Milazzo Favignana; e passim. 17 Per i sicilianismi italianizzati o adattati Trovato 1989, 122 mutua da Tropea 1976, 50 e Sgroi 1981, 557-558, la terminologia: regionalismi «Iessicali» o

«segnici». 18 L'inizio della stesura del libro rimanda al 1969, a un'Italia squassata dalla strategia della tensione (Milano sta per ricevere la ferita del 12 dicembre a Piazza Fontana), la stessa di Il sipario ducale di P. Volponi. Mandralisca è il malacologo, il «retore» (95), travolto da avvenimenti grandi più di lui, e il suo travaglioso titubare riflette il dramma del cos'è «écrire, pour un intellectuel,

103

Nicolò Messina

Scelta una trama vera e <datata>, con personaggi altrettanto veri e <datati>, l'approccio formale di Consolo al narrato è linguisticamente camaleontico. Inseriti nella narrazione, in chiave complementare e straniante, documenti originali, i più con­temporanei ai fatti, la scrittura sembra assuefarvisi, riprendere o fare il verso alla lingua del tempol9. Nel Sorriso, pertanto, il <polo alto> della lingua sarà costituito dai documenti aggiunti in appendice ai cappI I, n e IX, e da quei capitoli che nella fiction sono presentati come scritti direttamente dal Mandralisca: l'epistola all'Interdonato (cap. VI), la memoria sulla strage e sulla repressione seguitane (cap. VTI), l'erudita descrizione del Castello­carcere del principe Granza Maniforti a Sant'Agata (cap. VIU). Tra le Appendici conviene metodologicamente trascegliere, in un primo momento, quelle al cap. l (22-25), perché firmate dallo stesso Mandralisca, anche se non si prescinderà dalle altre. Il gioco

devant une crise historique» (Fusco 1980, 16) così nel bel mezzo dell'Ottocento, come nel momento in cui Consolo ne scrive. L'intreccio di possibili «moventi» del libro si complica, se si considera come negli anni Sessanta fosse viva la tendenza a demistificare la visione agiografica del Risorgimento (anche nei mass media più diffusi come il cinema) e s'imponesse una sensibilità diffusa per i fatti linguistici e della comunicazione, insieme a un gran dibattito di rinnovamento sociopedagogico (cfr. e.g. la Lettera ad una professoressa [19671 e il movimento sorto dalla Scuola di Barbiana di don L. Milani), con la rivalutazione delle lingue subalterne intese come base insopprimibile per la conquista della «lingua dei padroni». Oltre all'ormai classico De Mauro 1963, cfr. i saggi scritti tra il 1965 e il 1976, e raccolti poi in De Mauro 1977, e il prezioso volume a quattro mani sulla questione lingua-dialetti nella scuola dell'obbligo, frutto di un'esperienza pilota del 1967 (De Mauro / Lodi 1979). Per il caso specifico del Sorriso, v. anche Segre 1987, x-xi; Di Legami 1990,21-22.

19 L'inserzione di sicilianismi nel contesto aulico - e.g. (59) caniglia, (86) ciancianelle, (106) scecchi, in endecasillabo - determina uno scarto ironico. L'intento parodico non è peraltro da escludere. Cfr. Durante 1987, 13: «li canto spiegato di certi tenori mi fa ridere, e allora, quando mi sento cantare, uso questo correttivo dell'ironia.»; Fusco 1980, 17: «l'ai essayé de m'inspirer du langage des érudits du Xlxe siècle, en le poussant à ses conséquences extremes et en lui donnant une dimension comique. le voulais peut-etre me moquer de ces gens qui écrivent, et donc aussi un peu de moi-meme. C'est peut-etre une espèce de pudeur.»

\04

Plurilinguismo in <lI sorriso dell'ignoto marinaio>

di specchi con le pagine consoliane attribuite al barone è quasI

perfetto20 •

Quali fenomeni, infatti, risaltano nelle pagine del vero Man­dralisca? Intanto il lessico di patina giocoforza antiquata: gli scontati (23) quivi, ivi e (25) poscia; il trecentesco (22) di leggieri; gli aggettivi (22 e 25) fluviatile e (22) alemanno; i sostantivi (23) intrapresa, sorgive e l'unità di misura (23) canne; i latinismi (22) negletta, (23) arbori, lucubrazioni, infradiciati, (24) dovizie; i verbi (23) olezzare e (24) erborare. Dal punto di vista fonetico­grafico colpiscono: l'oscillazione tra l'analitico di (23) in vero e il sintetico, con raddoppiamento fonosintattico trascritto o no, di (22) sempreppiu, (22 e 23) perciocché, (22) comeché, (23) diguisaché; il vero e proprio vezzo dell'-j- semiconsonante in (23) buje; il vocalismo ipercorretto di (22) coltori, contraddetto nello stesso testo da (24) cultore; le elisioni (23) l'eccelse e l'erte, e la non eli­sione arbitraria (23) dello amore; l'apocope abusata di (22) son venuti, han potuto, dir, (23) vien detto, or, lor; la paragoge di (25) isdebitarmi. La morfologia è arcaizzante. Spiccano il morfema dell'impf.: (22) descrivea, (23) doveami, (25) promettea, contrad­detto da (23) succedeva; il ger. (24) sendo e l'altro con preposi­zione (22) in leggendolo, il pr. (24) dee e il fut. (24) fia; le fre­quenti enclisi: (22) siasi accresciuta, potrebbesi, sonosi loro parate dinnanzi, (23) avvi, sarebbemi. Sintatticamente si notano fenomeni di iperbato: 22 addentrati non si sono, e d'inversione en­fatica dell'aggettivo: (23) le cosmiche influenze, le dotte sue lucu­brazioni; la tmesi: (25) avendo la Siciliana malacologia esteso. L'ordine delle parole è a volte SOV: (22) poche !Jpecie di mollu­schi descrivea, Jan poche altre notavane. S'intravedono poi costrutti latineggianti come (23) olezzano (...] grata fragranza, con

20 Se la collalio tra le lettere al Bivona (App. I) e all'Interdonato dà nell'analisi

linguistico-formale risultati sorprendenti, l'App. II, che pur conferma le stesse caratteristiche, assolve forse nel romanzo una funzione narrativa più strategica: serve a completare il tutto tondo del Mandralisca scienziato, e nel tempo interno del romanzo (che sembra meritare tutta l'attenzione, pur ironica, di Consolo, come dimostra la metalessi di pago 3\-32) informa di un'ulteriore fase dell'opera magna, dalla cui stesura il barone è interamente preso, quando riceve nel cap. II (1856) la visita dell'lnterdonato. Altri echi formali tra testo e Appendici si riscontrano in: (97:22) come(c)ché, (100: 137) ricolta, (5:22) in guardandolo: in leggendolo (in+ger.), (15:22) sendo, (38,82:54,55) sclamò, sclamava, sclamarono.

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reggenza accusativale, e (22) È opera questa da intraprendersi dai siciliani, quasi trasposizione di una perifrastica passiva.

Se si guarda ora al Mandralisca consoliano, è metodologica­mente più corretto limitare la collatio all'epistola all'lnterdonato (95-101), quale testo certo più affine per genere, estendendo in un secondo momento l'analisi ai capp, VU e VIII. Da questo punto di vista, la stessa allocuzione iniziale (95) Egregio Interdonato, caro amico, pur se formulare, sembra calco ed amplificazione dell'altra (22) Egreg-io amico della lettera al Bivona. Se il lettore curioso seguisse poi la griglia di poc'anzi, scoprirebbe che le analogie di certo non mancan021

Da parte loro, anche i capp, VII e VIII (103-114, 115-120), come il resto della diegesi in cui il narratore si atteggia a colto, sem brano postulare come term ine d i riferimento sicuro e verifica­bile, quasi cartina di tornasole dell'ottocentismo prosastico, i docu­menti originali. I quali sono, per così dire, le estremità visibili dell'iceberg- delle letture documentarie, storiografiche, fatte dall'autore per narrare con cognizione di causa, ed anche di altre letture (letterarie e no?2, alcllne delle quali si fanno riconoscere

21 Anche qui la grafia oscilla tra analitico c sintetico: (97) poi che vs. comecché, (101) dappoù:hc;; c non si rifugge dall':j- scmiconsonante: (98) gioja, (99) Savoja, giojoso, ma non (100) xioiello. L'elisione con i plurali non viene scartata: (95) all'occupazioni, (98) l'ossessioni. I fcnomeni di apocope abbondano: (95) or, venir; (96) esser, que' (anche 97, 98), narrar; (97) sian, passion, son, possediam, abbiam; (98) intender, gettar, smetter, ripeter, al/or, creazion, son, si nutron; (99) liberar, imprixionar; (I DO) hen, scriveran, vergar; (lO I) agiron, son, vien. Si riscontra la paragoge: (95) istesso; (97) istrumento. Morlologicamcnte, non man­cano arcaismi vcrbali: (96) averia, (99) aveano, mi dicea. Quasi sistematico è il troncamento delle preposizioni articolate: (96) a', de', (97) da', (98) de', ne'. Non si è ancora uniformato il plurale dei nomi in -io: (95,97) vizi, (IO I) martirii. Nella sintassi della frase, si nota qualche inversione enfatica: (95) greca creta cotta, (99) sveva discendenza, (100) aeree spirali; in quella del periodo, grandi architetture latineggianti. li lessico presenta forme desuete: (95) immerito, donatario; (96) more; (97) cade acconcio, Egualità, pandette, conquisi; (98) intieramente; (99) vessil/ifèro; (100) ricolta, simigliante, infino; (IO I) ònfalo; e almeno un sicilianismo adattato: (96) inteso « 'ntisu <conosciuto con il soprannome> ).

22 Consolo ne dà a volte la chiave, come quando si allude a V. Hugo e D. Guerrazzi (105). Si notino poi le ripercussioni intertestual i provocate dalle citazioni di brani di M. Pagano e C. Pisacane (101) o del gesuita F. Buonanni (115)

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dal lettore medio, perché inserite in modo volutamente scoperto nel testo, dopo essere state tolte dal comune scaffale delle memorie scolastiche23

. Ma qui è certo il lessico a imporsi all'attenzione insieme, soprattutto nel cap. VII, a quel <versificare> già studiato dai due Finzi24

• È un lessico ricercato con voci desuete, o almeno non comuni, non esente, pur nel contesto aulico, da sicilianismi, in linea con la cifra linguistica caratteristica del resto del libro, anzi, a mio avviso, modello che riverbera su tutti gli altri capitoli.

Non mancano poi specimina di altre lingue. Scontata la pre­senza del latino, in vari registri: dalle formule convenzionali: (l 18) vulgo e antique, all'iscrizione che campeggia sul muro del castello Maniforti 25

, alla citazione dal Rudens plautin026• Il latino letterario

23 Echi si avvertono di Leopardi: (98) E sedendo e mirando mi .l'avvenni, (108) e .Ièsteggiare soleano nei quartieri; Montale: (98) i punti morti (cfr. <cl limoni»: 25 ss. talora ci si aspetta / di scoprire uno sbaglio di natura, / il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, / il filo da disbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità); Carducci: (101) il dolce melograno (verde in Carducci: «Pianto antico», 3); Dante (111,3,119; 1,5,22): (4) il vento di Soave, (112) E in cosi dire riprese il suo .Iàtale andare; e almeno una vaghissima allusione alla lauda iacoponica «Donna de paradiso», (76) E io comenzo el corrotto in (108) E ora è la volta I...Jdel pianto rotto. Il corsivo (non letterario) di (IO) due piedi ecc. è da addebitare al principe Landolina (Sciascia / Guglielmina 1991, 414), mentre '"11

l'altro di (86) stando cosi ccc. rimanda al Rcnzo manzoniano (Promessi sposi, XXI). 24 Non sembra però che Consolo tenda solo all'endecasillabo. S'individuano sette­nari, combinati con questo metro, quasi a ricreare la struttura della canzone leopardiana: (108) Madri, sorelle e spose / in fitto gruppo nero / di scialli e mantelline; (110) AI suon di trombe, zoccoli e ferraglia, / calano in piazza, il colonnello in testa, / ardito sul cavallo. La metricità è poi della prosa di tutti i capitoli, come ammesso dagli stessi Finzi.

25 TEMPORE DOMINI EXC. D. HIERONYMI (COCALI) GALLEGO PRINCIPIS MILITELLI AC MARCHIONIS SANCTAE AGATHAE. ANNO DOMINI MDCLXXV (l 16). Per altre epigrafi latine, v.: (17) ANTE DECESSUM TUMULUM POSUI (formula pronunciata ad effetto dal duca d'Alberi, orgoglioso della monumentale tomba di famiglia); (36) CEPHALED SICILIAE URBS PLACENTISSIMA (cartiglione della pianta a volo d'uccello di Cefalù); (63) Arcara hoc placido sp<l>endidafonte bibit (iscrizione della fontana di Alcara, dove va interpolata una -1-).

26 (I 18) Namiotae va emendato: è Plaut. Rud. (310): Saluete fures maritimi, con­chitae atque hamiotae, / Famelica hominum natio: quid agitis? ut peritis?, saluto

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consente anzi un abile escamotage retorico per introdurre le scritte del cap. IX: (120) cochlias legere / leggiamo questa chiocciola. Giocando, infatti, sul doppio significato di legere <raccogliere>,

l:, <leggere>, prima viene citato ad orecchio un passo ciceroniano, in cui si allude al passatempo del raccogliere conchiglie27

, e poi si esorta a leggere la chiocciola-carcere28

• Accanto al titolo greco di un'opera di Archimede: (120) Peri elicon29

, si riscontrano lemmi spagnoli: (116) caracol, o spagnoleggianti: (119) jasmino « lat. iasminum, persiano yasaminYo. Quando poi il Mandralisca ricorre al mimetico del discorso diretto, è possibile sentire due lingue galloitaliche, l'una peninsulare settentrionale: (109) Uuh, uuh, broeuta bestia, marouchi poa te!, e l'altra insulare sanfrateJlana: (113) Mart! Cam t'affuoddi stumatin / chi t'arcuogghi u garafu 'ntra usa gigghP'.

pieno di disprezzo per quei mOl1i di fame che raccolgono conchiglie e pescano con l'amo (hamiota, hamator < hamus).

27 Cfr. Cic. de orat. 2,22: so/et narrare Scaeuo/a, conchas eos et umbilicos ad Caietam et ad Laurentum /egere consuesse et ad omnem animi remissionem /udumque descendere, inserito in un contesto in cui si tratta dell'otium e della re/matio.

28 Nel capitolo del latino cristiano vanno annoverati, oltre agli excerpta agiografici citati nel cap. III, la formula di saluto (63, 64) Lausdeo e l'avvio del (110) Te Deum /audamus, intonato da padre Adorno. Una deformazione di tale latino si può considerare la blasfema giaculatoria di frate Nunzio (66). I~ un ossequio al migliore stile dei naturalisti, l'elenco di nomi di chiocciole enumerati spasmodicamente dal barone: (99) ancy/us vitrina he/ix pupa clausilia bulinus auricu/a.

29 Cfr. anche la citazione dagli Ethnica del grammatico Stefano di Bisanzio (secc. V-VI d.C.): (82) p/esion A/ontinon cai tes Cales Actes [... ] cora demennon. 30 Spagnoleggianti sembrano i giri: (106) che passa?, (115) si dà il caso. Altrettanto potrebbero essere (107) violate (detto delle monache) e (111) vanguardie, lemmi pur esistenti in italiano. Altrove, v. anche gli ispanismi: (8, 33, 64) criato, (79) plaia, (87) lio (pur inserito in un'imprecazione che sembra piuttosto una bestemmia eufemizzata). Per il francese, al di là di questi capp., v. inf. n. 42. 31 Per altre allocuzioni in sanfratellano (opportunamente tradotte dall'A.), v. anche

79, 80, 8 I. Termini sparsi (adattati) sono: (82) sanfraridei, flggh, mentre tutta in sanfratellano è la chiusa della scritta XII (132-133). Per questa lingua, v. Piazza 1921, e anche Devoto / Giacomelli 1975,150-151. Le origini dell'enclave gallo­italica di Sicilia risalgono ai secco XI e XII, quando i Normanni e gli Svevi favorirono il trasferimento di nuclei di popolazione di questo gruppo linguistico dal Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia e Romagna, nelle zone di San Fratello,

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2.1.2. Il polo basso

In questa impostazione, la cui terminologia, inficiata da tradizionali pregiudizi puristici, bisognerebbe semmai capovolgere, restituendo una volta per tutte a basso e alto il loro senso cronologico, il <polo basso> del Sorriso sarebbe quello mon nazionale>, costituito da Le scritte del cap. IX, le quali, in linea con le posizioni ideologiche esposte dal Mandralisca (e fatte sue da Consolo) nei capp. VI e VII, sarebbero l'unica risposta possibile all'alalia ed agrafia cui l'intellettuale si sente condannato, nella svolta storica del momento, di fronte a fatti così terrestri e poco lumacheschi (100-101).

L'uso del condizionale è d'obbligo, perché nel nostro schema non sfigurerebbe affatto un polo antitetico omogeneamente caratterizzato, sulla cui esistenza induce peraltro a credere buona parte della bibliografia. Il fatto è però che, esaminando attentamente le dodici scritte, solo l'ultima è decisamente mon italiana>. Le altre presentano, in genere, soltanto tratti siciliani o sicilianeggianti, e si direbbe addirittura elevato il tasso di italianità delle scritte I-VII, nelle quali la sintassi franta e propensa alla paratassi è da addebitare forse più al genere dei graffiti, alla condizione di prigioni degli autori e al supporto materiale, che non allo scarso livello d'istruzione (peraltro indubbio) e alla subalternità degli scriventiJ2

.

Acquedolci, Novara, San Basilio, Fantina (prov. di Messina) e Nicosia, Sperlonga, Aidone e Piazza Armerina (prov. di Enna); si attcnde un lessico già annunciato: S. Riolo: «Lessico del dialetto di Sanfratello». Lessici siciliani 9. Palermo: Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani. Per il valore e la funzione del sanfratellano nel Sorriso (e in Lunaria), l'ultima parola è detta ineccepibilmente da Trovato (v. sup. n. 3). J2 [n realtà, l'autore della scritta I sembra un piccolo proprietario, o figlio di un

piccolo proprietario; l'autore di II è certo un galantuomo fuori dai giochi della sua stessa classe, un liberale alla Ignazio Cozzo (88-89, 96) o alla Nicolò Vincenzo Lanza (88-89), quasi pentito d'aver sobillato le masse. Contadini soggetti ai soprusi dei proprietari, del sindaco, dell'esattore, ecc. sono gli autori di III (uccide Salvatorino Bartolo), IV (uccide il padre di questi, Ignazio), V; e membri anonimi della folla vendicatrice, quelli di VI e VII.

109 III

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Gli autori di I-VII (121-127) <maneggiano> una lingua com­prensibile per un non siciliano, il quale potrà al massimo avere qualche titubanza di fronte ai rari (121) discassai e mobiglia; al diminutivo (121) mammuzza; ai tecnicismi, non certo siciliani, (122) allodiali e decuria; a (122) s'appropriaro e avea, non necessariamente sicilianismi adattati s'appropriaru, avia, ma sem­plici arcaismi; all'aferesi di (123) scesa, forse dovuta ad aplografia proprio da di discesa; a (123) saria stato, più arcaismo che dege­minazione di un sic. sarria statu, il più delle volte sostituito dal congo avissi statu33

• Qualche dubbio supplementare si potrebbe avere con la duplice aferesi, la prima poetica di (124) (in)verno, la seconda popolare di (124) (l)Gnazio, con i tecnicismi (125) cam­bio e mora (interessi per il ritardo di un pagamento), che in una parola sembrano sicilianamente un pizzo, e con i sicilianismi, pur adattati, (126) schioppetta < scupetta <schioppo>, sape < sapi <sa>, incocciai < 'ncucciai <colpii>, Tano <Gaetano>, Ciccio <Francesco>, (127) vinditta < vinnitta <vendetta>, comarca <combriccola> (anche sup. p. 67), attassò <gelò>, <agghiacciò>. Ma (126) Tesorere e misso, e (127) galantomo non hanno un vocalismo impenetrabile; e (127) Talia, deformazione popolare di Italia, solo se decontestua­lizzato, potrebbe confondersi con l'omografa musa della commedia.

Dalla scritta VIII in poi il <tasso di italianità> sembra invece diminuire. In VIII (128), orbo e vacante non sono voci dotte, ma il solo modo di designare <cieco> e <vuoto> in siciliano; riappare il perfetto apocopato portaro[no]; bracciali è il sinonimo siciliano di <braccianti>; e siciliani sono lessico e morfologia di azziccò li ugna «ficcò le unghie». L'autore di IX (129) è il figlio di un arrendata­rio, chiaro ispanismo di fronte all'adattato arrendatore <appaltatore privato di gabelle>, che ha ucciso Pasquale Artino (135), una san­guisuga e una vipera, stroncata con di falcicella nova stralucente [...] un colpo, un iperbato con l'adattamento di sic. falcicedda <falcetto> e il raro superlativo stralucente. Il colpo viene inferto sulla canna (feria < laLferula) del collo. La causa di tanta violenza è lo sfruttamento subito con il gran sfardito <consumo> di utensili

33 Pitrè 1979, 72. Per Giuliani 1976 «notaro saria stato pure lui» è citazione da Verga.

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Plurilinguismo in <Il sorriso dell'ignoto marinaio>

fatto mietendo i cereali altrui, di padroni canazzi <cagnacci> e maliditti <maledetti>. In X e XI (130-131) compaiono l'art. adattato lo, e fenomeni di vocalismo già notati: vinditta, Libirtà (­det-, -ber-), more (muo-), fere (fie-), core (cuo-). In X sparve è letterario rispetto a sparì; buttana è la sonorizzazione siciliana di <puttana>; istissi sarà più l'agglutinamento di i stissi <gli stessi>, che un fenomeno di paragoge. In XI, accanto alle due imprecazioni iniziali deformanti contro la Talia (anche sup. 127) e Garibardo (anche sup. 109), risalta la minaccia amaro a chi [...] si appresenta, con il dantesco (II, 31,49) appresentare.

Fin qui per una definizione tecnica dell'ordito linguistico di queste scritte non si potrebbe invocare il termine, peraltro impro­prio, <dialettale> (queste scritte percentualmente non lo sono), ma si dovrebbe semmai ricorrere al tecnicismo <italiano popolare>, ov­viamente «d'estrazione meridionale estrema»34. La scritta XII (132-133) non ha invece niente a che vedere con l'italiano, usa due lingue altre. Sembra una lapide e lapidario è invero il modo in cui descrive i fatti, i moventi e i fini della rivolta. L'incipit è da «contastorie» (Questa è la storia vera) e, come tutta la prima parte (Chista [...] cappedda), in siciliano; la seconda parte (Cantaa [...] libirtaa) è in sanfratellano. Da un lato, si notano il vocalismo ten­dente alla chiusura, il consonantismo con i gruppi cacuminali -dd­e -tr-, l'assimilazione -nd->-nn- (niscennu); le preposizioni ri <di, da>, cu <com, ppi <per>; il vero e proprio gioiello filologico chista <questa>, con l'esito meridionale Ikl della labiovelare Ikw/, manife­sto già nei Piaciti campani, e la conservazione dell'Iii latina. Dall'altro, colpisce il vocalismo settentrionale (cutieu), la caduta di tutte le vocali finali diverse da -a, la caduta e velarizzazione della­1- mau < male, cutieu < coltello, il dittongo -au- in pauvr,faun vs. <povero>, <fondo>. Accanto a fenomeni settentrionali come questi, si nota poi il tipico passaggio siciliano da 1- a d- cacuminale: daa vs. dà>35.

34 Per tutti cfr. Cortelazzo 1972; De Mauro 1970, 43-75. Contra: Berruto (1978). 35 La traduzione sarebbe: Questa è la storia vera / di Alcara / maggio e giugno dell'anno sessanta / raccontata dalla gente / che la fece / scritta con il carbone / sulla pietra / per Michele Fano di San Fratello / che da monaco divenne zappatore / Se entri dentro / questo pozzo storto / sappi come successe / e statti zitto / di' uscendo che la / prossima volta / il popolo incazzato di Alcara / di Bronte, Tusa

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2.2. Gli strati intermedi

Con tutte le cautele del caso, e con i ridimensionamenti operati, per cui il «basso» si ridurrebbe alla scritta XII36 e l'<<alto>> non è esente da sicilianismi lessicali e semantici, si può affermare che i poli estremi della lingua del Sorriso sono chiari e caratterizzati da una monoglossia tendenziale, statisticamente prevalente. Chiara è peraltro nella fiction l'impostazione strutturale: da un lato, l'abdicazione del narratore, e la scrittura in prima persona dello scienziato aristocratico secondo le regole del genere epistolare e

1

della relazione erudita dell'Ottocento; dall'altro, i graffiti di qualche pecora nera della vecchia classe dirigente e dei pochi subalterni in grado di scribacchiare sulle pareti del carcere37

• Ma cosa si riscontra al di là di questi capp. VI-IX?

[ capp. I-V sono strutturalmente più mossi e linguisticamente più vari, quasi altalenanti. Un narratore onnisciente imbriglia la narrazione e s'atteggia diversamente a seconda delle situazioni e dei personaggi, ma in fondo cruscanteggia38

, non lesinando forme

oppure Caronia / non lascia sulla faccia di questa terra / neanche il seme di / sorci e cappelli / / Cantò il cuculo, l'assiolo e il gufo / uniti tutti e tre un giorno cantano / Male di San Biagio / doppietta e coltello / Morte a tutti i ricchi / il povero esclama / al fondo di tanto abisso / terra pane / l'origine è là / la fame senza fine / di / libertà. - Cfr. anche Trovato 1989, 134 che diverge in qualche punto. 36 Rango di citazioni hanno i lacerti poetici e d, canzoni siciliane di (4, 15, 19, 82, 92). 37 La percentuale di alfabeti doveva essere minima nella Sicilia del 1860. I primi dati disponibili riguardano l'intero territorio del nuovo regno. Il censimento del 1861 «aveva portato alla clamorosa scoperta dei 17 milioni di analfabeti sulla popolazione totale» (Faccini / Graglia / Ricuperati 1987, 773). Nel 1871 l'analfabetismo in Sicilia oscillava tra il 60-80 % della provincia di Palermo e l'oltre 80% del resto (Faccini / Graglia / Ricuperati 1987, 768, tav. 53). Per i dati relativi al 1871 l'alfabetizzazione si fa consistere nella sola abilità di lettura alla fine della scuola primaria (non si esclude quindi che fra quanti sapessero leggere ci potessero essere persone incapaci di scrivere) e le percentuali sono comprese tra un massimo del 25-30% e un minimo del 15% (Faccini / Graglia / Ricuperati

Il 1987, 775, tav. 57). V. anche le tabelle dell'estremamente documentato Lo Piparo 1987,787-792. 38 Cfr. e.g. le descrizioni di (5-6) il marinaio, (7-8) la spiaggia e il monte di Tindari, (14) il salone del Mandralisca, (18) la collezione d'arte del barone, (20) il

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Il

Plurilinguismo in <Il sorriso dell'ignoto marinaio>

letterarie ed arcaiche, e citando a piene mani, se non verbatim, almeno rilevando le atmosfere. Si rilegga la descrizione del feudo di Sollazzo Verde (86), in cui dopo il corsivo mutuato da Manzoni il tondo procede, ora ritmato da qualche endecasillabo e settenario (s'espande torno la campagna piana, / gli orti i prati le messi / i boschi le terre gerbide, vibrando / per l'aer terso, cremisi lucente); ora punteggiato di sintagmi poetico-aulici (per l'aure vespertine, l'umi! saluto, di clivo in clivo, per l'aer terso); ora mescidando il lessico letterario e quello popolare: 1 miseri villani, tirando giit la coppola (copricapo tipico), scovrono (consonantismo desueto) il capo; ora inserendo un sicilianismo in un endecasillabo: allegro tintinnar di ciancianelle « ciancianeddi <sonagl i»; ora seminando il dubbio sull'identità lessicale delle parole: in si scioglie [...] come gruppo di seta la pena del travaglio, sono gruppo e travaglio arcaismi (il primo e.g. usato da Manzoni) o italianizzazioni del sic. (g)ruppu e travagghiu?

Come qualsiasi narratore ottocentesco, il nostro non si perita di far sentire la sua voce: dal modo più scoperto, con chiarissima metalessi di tono medio: Dobbiamo ancora dire [...] Quindi lo riportiamo qui di sotto, avendo del lettore gran rispetto ecc. (31­32), all'inciso insinuante ed ironicamente scandalizzato: (barone!?) (lO), o soltanto esplicativo-informativo, come nella lunga parentesi libresca (15) sulle angherie e perangherie imposte dal vescovo di Cefalù, al semplice aggettivo valorativo: (18) poverette (per lui). E fa naturalmente filtrare anche la voce dei

ritratto di Antonello, (27) l'arrivo a Cefalù del S. Cristoforo, (32-33) lo sbarcatoio di Cefalù, (35-36) lo studio del barone, (41) la tavola imbandita, (60) Il sole [... ] sete (la trazzera per Alcara), (61) Ora [...] maiali? (il rinvenimento di Nunzio a Santa Marecuma), (63) Allo sbocco [...] cacare (località Palo, la diarrea di Nunzio), (65) Sedette [...] trombe (l'interno della chiesa del Calvario), (66-67) Spari [... ] l'alto (l'uscita di Nunzio dopo lo stupro). Si noti che le pagine 60-67 (come tutto il cap. III) sono fortemente espressionistiche. Per altre descrizioni, cfr. (69) il porto di Sant'Agata, con lingua media, (70) Raimondo [...] bombetta (il principe perde la bombetta, con tono comico), (70-71) Guardò [...] Cefalù (la costa), (71) S'udirono ...bauli (il cortile del castello Maniforti), (78-79) incrocio di standard alto e siciliano settoriale, (83-84) Era depresso r...] lardo (il viaggio e l'arrivo ad Alcara), (85) il feudo e Peppe Sirna, (86) Ed ecco r...] zapponi (il clima <idillico) della vigilia dell'Assunzione), (87) Le montagne [...] lontani, (93) Ardevano [... ] profferire (l'arrivo dei braccianti ad Alcàra).

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III I ~

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personaggi con la tecnica dell'indiretto libero, alzando o abbassando il ton039

.

Ma nel libro non manca il monologo interiore, ora informato alla retorica patriottarda del tempo, quale potrebbe uscire solo dalla bocca dell']nterdonato (37); ora risentito e confuso, com'è lo stesso Nunzio, sicilianeggiante (malicarni, satanassi), ma con voci dotte (tòrre, ruinare) e la citazione di un'epigrafe (63). Né manca il soliloquio citato tra virgolette, come la riflessione del Mandralisca - libresca, ma con le solite oscillazioni (proprii, o pure, siam, nobil uomo; e arraffato, scapricciarsi) sull'inconsistenza dei fondamenti, dell'essere e delle prospettive della propria classe (72-73). Né mancano certo, come si vedrà subito, i dialoghi si/dissimmetrici tendenti a riprodurre la variegata realtà sociale dell'Ottocento.

Nella mimesi linguistica propria del Sorriso sembra scontato il <dialettale> o <tendenzialmente dialettale> della struttura genettia­

III namente mimetica, soprattutto nei passi in cui appaiono personaggi non appartenenti alla classe egemone del tempo. MaIII non bisogna certo escludere tendenze analoghe tra l'aristocrazia, il clero o il terzo stato per le ben note condizioni linguistiche dell'ltalia unita. La diatopia del Sorriso, da questo punto di vista, è presto detta. Fatta eccezione per il soldato di origine settentrionale

III (l09) e lo zappatore sanfratellano, picchiato dal principe Granza Maniforti e incarcerato nel suo castello, che parla una «romanza lingua passata per gole galliche e teutoniche» (82), tutti gli altri personaggi rientrano nell'area meridionale o, soprattutto, meridionale estrema.

,; 39 V. e.g. (lO) come 'na latomia, lode piena di orgoglio e ammirazione, che può pronunciare solo chi è di Mazzarà e conosce quei vivai. Dopo il lungo referto I archeologico (lO) l'esclamazione forte (Uh, ah, cazzo, le bellezze) e l'interrogazione dal lessico ricercato, circonvoluto e inventivo (alla volta di Siracusa bianca, euriala e petrosa, o di Palermo, rossa, ràisa e palmosa?), riflettono il sentire e l'eloquio del Mandralisca. Più avanti (16) la voce del borbonico duca d'Alberi, prima s'intravede camuffata in sintagmi magniloquenti: idra dell'anarchia, in singole parole fisime, vessiche, nelle maiuscole di Sua

Il Maestà il Re (Dioguardi) e di Santa Religione, poi si rivela decisa nell'ordine delle parole di troppo buono era e di subito, subito la forca ci voleva', o addirittura come discorso diretto citato tra parentesi: (santo diavolone', non era /1'1 bastato il quarantotto?)

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Il

Plurilinguismo in <lI sorriso dell'ignoto marinaio>

Nel cap. ]] (29-31) si fa avanti lo sbirro Bajona, che intride già di napoletanismi la stessa digressione che gli fa da piedistallo, nella forma sia dell'indiretto libero: (29) teneva passione per le fardelle (con lo scambio tenere/avere efardelle <gonnelle> <farda <gonna>, cfr. sp. falda), a 'na cert'ora; sia del discorso diretto citato: (29) «Songo Bajona, a ligge, aprite! Tengo notizie do marito vosto» (con lo stesso scambio di prima, e la posposizione e dissimilazione del possessivo, oltre alla particolarità fonetica di ligge e quelle morfologiche di songo, 'a, do). A maggior ragione, nel presente del racconto, Bajona si esprime così: (29) -Si vede nu cazzo!; (30) [.,,] -Che capiste? che dicite?! r.,,] - ...Solo 'na cosa bianca".; (31) [".] -E 'sta Madonna? [".] -Va buono. E con il suo peculiare vocalismo dà adito al qui pro qua: (30) Kore/Sacro Core, che lo ridicolizza.

Nel flash-back del cap. IV (77) i due feroci (<sbirri» esordi­scono con l'insulto fortemente dialettale: -Fetiente, sfaccime, fac­cia 'e mmierda, mentre il napoletano del commissario Condò è piu sorvegliato, sembra quasi limitarsi alle inversioni del possessivo: nella casa vostra, la fede vostra, la consorte vostra, al paese vostro; al semiconclusivo capimmo. 11 suo eloquio è da alto buro­crate, con l'apocope san solo i capi principali, l'aulico di Meglio sarfa e immantinente, illatinorum d'obbligo Memento, memento, il desueto Putacaso. Che il tono tenda all'alto è poi confermato dagli adattamenti a specchio della struttura diegetica limitrofa: Ei scattò r".] e [.,,] fe', con un Ei che contraddice l'egli sentì di qualche riga più sopra, nei dintorni del quale si scorgono tuttavia l'enfatica in­versione dell'aggettivo di sotto l'azzurro cielo e la serie dei tre de'.

Più ampio, ovviamente, il capitolo del siciliano, che sembra si­stematicamente adattato sin dalla sua prima apparizione: (3) bur­nie, che assume il morfema italiano del plurale (burnie non bur­nii). ]n (3-4)fani, invece, l'adattamento morfologico sembra inesi­stente, dato che i due plurali coincidono. Ma più avanti (5) aglia­stra ha poco a che vedere con <aglio>, derivando da agghiastru <oleastro>. Né deve ingannare (5) il torace spigato, che è certo connesso con spiga, lat. spica, donde il sic. spicari <allungare>, <crescere (detto dei ragazzi», e qui dunque probabilmente, <lungo e stretto>, <striminzito>. L'adattamento sembra quindi un principio generale. D'altra parte, che questi termini appaiano nella diegesi

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Nicolò Messina

non inficia l'ipotesi. Semmai è proprio il narratore, dopo un lungo elenco di stoviglie di ceramica dal nome italianizzato (9) pignatte quartare lancelle «brocche» piatti lemmi «catini» e mafarate «piattelli>tO, e dopo l'altro adattamento (13) potia, a introdurre il primo sicilianismo «grezzo»: (13) zammu (spirito di vino con essenza di cimino). In questa modalità adattata di siciliano, a volte più un neo-siciliano curiale che un italiano regionale, si riflette il monolinguismo o al massimo la diglossia dei subalterni. Basta

I~; Il seguire l'interloquire di Sasà con il Mandralisca (8-9); poi con i Il,

pescivendoli, i carcerati e l'acquaiolo (12-13); infine con ilJ cocchiere MatafU (83). Anche nel brano (43) di cui è protagonista

"I la moglie di Sasà, Rosaliuzza, abbondano i sicilianismi: le esclamazioni lh e Bellamadre, gli aggettivi spetittato <inappetente> e saporito <grazioso, carino>41, il non verbale mulinello con la mano.

40 Altre italianizzazioni del narratore, nel senso indicato: (19) baglio, vaneIla, carusi, (27) sàuri, anciove (anche 42), (29) cacocciole, babbaluci, (33) catoi, (41) pasta zito, (59) sticchio, (60) vulturuni, trazzera, (61) perde i sentimenti «sensi», omazzi, (63) occhio mangiato, mondezze < munnizzi (benché anche romanesco),

l,II: grasce, vicarioti, cannoli, (64) tallaride, (64 e 65) tabuto, (66) sardisco, (719 s'assellarono, (72) tosti e mafiosi, (75) cocuzzella longa, (81) zolla, (85) tomazzo, bracciale, sènia, (86) ciancianelle, gruppo, nutrichello, troffe, (87) bòmbola, tru­scia, viòlo, santiare, (89 e 91) birrilla,(92) timpa, becco, (92) santiare, (93) dimo­rarono, (93) gerbo «acerbo», nascando. In attesa del Glossario in preparazione, v. Segre 1987, xiv. 41 Prima dell'entrata in scena di Rosalia, v. anche come parlano lo sbirro Chinnici e il sedicente mercante Gaetano Profilio, eteronimo dell'Interdonato. Il primo, soprannominato (29) trel/ari, oscilla tra il suo siciliano travestito d'arcaismo: (29) «Che fa mi scangia?» e (31) fiaccata, e il napoletano del degno collega Bajona, ripetendo pappagallescamente: (31) -Va buono. 11 secondo introduce una serie di tecnicismi dell'artigianato conserviero: (31) T'onnina, ventresca, bollarga, cuore, ficazza, lallume e buzzonaglia, con almeno tre sicilianismi. Si potrebbe comunque continuare, ricordando: il colloquio di frate Nunzio con i braccianti di Santa Mareclll11a, con (61) stigliole, (62) malicarni (il. <malecarni», Ha stracangiato, trazzera, travaglio,festazza, ma anche il dissonante eufemismo (62) E il controllo di sfintere; e dello stesso Nunzio con gli alcaresi seduti in piazza, con (64) -Tardi faceste, frate Nunzio. -Tardi mossi dall'eremo (con il gusto del pf.); la reazione del notaio Bàrtolo al delirio del frate nella Matrice, eon (67) -Solità [... ]; l' (81) Iiihhh'! di MatafU, armeggiando la zolla; l'incontro tra Peppe Sirna e i cospiratori di Santa Marecuma, con (87) travaglio, 'sto, 'sta, Cacazzo, (88) Animo l···] finimmo il lastimare'; l'allocuzione di Turi Malandro (89-90) e i commenti

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Fissando le variazioni diatopiche e diastratiche, ci si è indiret­tamente accorti che la diafasia non è esclusivo appannaggio dei padroni della lingua, perché tutti lo sono: almeno della propria, i monolingui, e delle due di ambito più ristretto e più ampio, i privi­legiati. È il caso, come s'è visto, del barone Mandralisca, che tanto nella scrittura quanto nel parlato, passa con disinvoltura da un registro all'altro o li mescida. Basta ricordare, a questo proposito, come parla con Sasà sul bastimento (8-9) e a casa, come con gl i ospiti alla presentazione del quadro di Antonello (21), come con l'Interdonato prima e dopo l'agnizione (34-35,37-41), come con il principe Granza Maniforti (71-76) e con Raimondino, il di lui figlio (75)42. Se non occorre poi risottolineare le abilità diafasiche del narratore, in grado di variare non solo nell'ambito dell'italiano e del siciliano, ma anche del latino, nel libro anche Sasà e Rosaliuzza lasciano insinuare l'intenzione di un certo cambio di registro, adeguata però alla loro condizione diglottica, che tutt'al più ingenera un (44) Sarà servito forlllulistic04J .

In questo intreccio di pian i strutturaI i un denom inatore co­mune, oltre al siciliano adattato, è costituito anche da quegli ele­menti che allo stato attuale della ricerca si potrebbero definire come idiolettismi consoliani. Si tratta di singolari incroci dei vari strati linguistici, come attesta: (70) sulla testa blunda d'un Rug­gero, in cui dall'etimo germanico blund si farebbe derivare blunda, attraverso il sic. biunna, laddove la forma arcaica, tràdita ad esem­pio dai Siciliani, è blando « fr. blond, provz. b/on), donde il cor­

conseguenti e paralleli, con (92) vociare. timpa (<luogo elevato, poggio, monterozzolo», bullana, ammazzacani « mazzacani <sasso da tirare», porcicelli. 42 Anche don Galvano dimostra la stessa spigliatezza con il figlio e il Mandralisca, trascorrendo dal realista (69) mi sto incazzando, Che Cristo vedi? Uh, la bestia' (70) porco d'un diavolo, al (75) fransé: (73,74) Bon, bon (che potrebbe anche essere apocope di bonu, bonu), rivolto al Mandralisca, e opposto al (75) Va be', va be' usato col figlio. Gli altri francesismi usati sono di solito in corsivo. Cfr. e.g. (14) peluche, potiches, pou/, (19) brioches, choux" (21, anche 45, 78) pince-nez, ma anche (14) «jacobpetit». Viene anche citato in originale il titolo del celebre scritto di P.-J. Proudhon: (37) Qu'est-ce que la propriété (1840). Nel cap. 1, un anglismo isolato: (19) cherry. 43 Da questo punto di vista, interessante anche lo scambio di battute tra Bajona e il presunto mercante, quando si determina lo scatto dall'informalità iniziale alla for­male, anzi formulare presentazione dei documenti: (30) Mi rassegno.

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rente <biondo>44. Lo stesso si potrebbe dire del passo: (lO) alla volta di Siracusa bianca, euriala e petrosa, o di Palermo rossa, ràisa e palmosa, in cui dà quanto meno nell'occhio il parallelismo­opposizione delle aggettivazioni (bianca:rossa, euriala:ràisa, pe­trosa:palmosa), ed è avvertibilissima la rima che rivela una coppia di endecasillabi (Siracusa [...] petrosa:Palermo [...] palmosa). Ma qui preme, non tanto riconoscere che sono proprio quelli i colori delle due città, o scomodare Dante e Foscolo per petrosa e pal­mosa, quanto soffermarsi sulle creazioni euriala e ràisa: la prima, un calco del gr. euryalos <spazioso>45, la seconda, aggettivazione denominale da ràis/ràisi. Ma con il grecismo non alluderà Consolo anche all'imponente fortezza fatta costruire da Dioniso l nel IV sec. a.c. nella parte occidentale di Siracusa, all'estremità dell'Epi­pole? E con l'arabismo <capo>, ancora usato per designare chi di­rige la tonnara e la mattanza del tonno, non alluderà forse al capo di Punta Ràisi? o allo status di capitale di Palermo? In ogni caso, si ha qui un'ulteriore prova dell'inventività linguistica del Sorriso,

Il;1111 come incrocio e decantazione dei vari repertori e strati costitutivi del suo codice espressivo.

3. Motivazioni e finalità del pastiche

Passate in rassegna le varie componenti della lingua del Sorriso, e visto il loro intrecciarsi con i diversi piani della narrazione, è ormai diventato luogo comune citare Gadda ed affibbiare a Consolo l'etichetta di ennesimo nipotino dell'ingegnere. AI riguardo, oltre alle precisazioni dell'autore, soccorrono i distinguo di Sciascia e Segre. Il primo tende a sottolineare l'estraneità di Consolo a «quel volontaristico e arteficiato gaddismo [...] che ha prodotto [...] testi, proprio dal punto <di vista> linguistico, di assoluta gratuità e improbabilità»; il secondo individua sottili differenze tra l'impostazione consoliana e quella gaddiana, in quanto il plurilinguismo sarebbe in Consolo indizio di una

44 Cfr. la celeberrima canzonc «lo m'agio posto in core a dio servire» di Giacomo da Lentini (ed. Panvini: 1,21,6): quella c'à blanda testa e clara viso. 45 Piacerebbe con Y. Consolo 1991, 51-52 vedere nell'agg. «eu, rao, <h>als» <sale, mare>, ma euryalos sottende invece eunls <ampio> e halos <aia>.

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Plurilinguismo in <lI sorriso dell'ignoto marinaio>

«plurivocità» propria più dei piani intermedi della diegesi che della struttura m imetica46. D'altra parte, la ragione del mélange linguistico non è l'imitazione di un Gadda poliglotta, ma il riflesso della multistratificazione linguistica della Sicilia47 .

Se l'impostazione e le incrostazioni alloglottiche sono diverse, Consolo e Gadda hanno almeno un obiettivo in comune: il recupero dello spessore della lingua, contro le imposizioni monoglottiche dell'arteficiata tradizione letteraria e dei convenzionalismi dello standard parlato, spaziando in lungo e in largo, in senso cronologico e (in Gadda) anche geografico. È dunque un'operazione filologica, addirittura archeologica48, quella consoliana, guidata dalla consapevolezza dell'esistenza e del diritto di sopravvivenza dei diversi strati della lingua di un'area ben definita49. Ma filologia e archeologia non sono fini a se stesse, perché Consolo intende, per così dire, riacchiappare le parole «centrifugate» dalla Storia, quale continua scrittura di privilegiati e vincitori. In altri termini, la coscienza filologica è sostanziata da un inequivocabile intento ideologico. La lingua così scritta di Consolo, il suo «yiddislm, ha una funzione critica contro

46 Sciascia 1989,996; Segre 1987, xiv.

47 Fusco 1980, 17: «il y a la question du mélange de la langue et du dialecte, non pas pour imiter Gadda, mais parce que la Sicile est un pays de stratifieations linguistiques: .i'ai essayé de tenir compte de ces divers vestiges». 48 Sinibaldi 1988, 12: «Fin dal mio primo libro ho cominciato a non scrivere in italiano. Per me è stato come un segnale, il simbolo di una ribellione alle norme, dell'uccisione del padre [... ] Ho voluto creare una lingua che esprimesse una ribel­lione totale alla storia e ai suoi esiti. Ma non è dialetto. È l'immissione nel codice linguistico nazionale di un materiale che non era registrato, è l'innesto di vocaboli che sono stati espulsi e dimenticati. [...] La terra da cui vengo è contrassegnata storicamente e quindi anche linguisticamente da stratificazioni molto profonde: ci sono stati gli arabi e gli spagnoli, i bizantini e i piemontesi. Il mio è un lavoro archeologico.» 49 Sciascia 1989, 996: «Quel che più attrae Consolo è, di questi paesi, forse

l'impasto dialettale, lafonda espressività [il corsivo è nostro] che è propria alle aree linguistiche ristrette, le lunghe e folte e intricate radici di uno sparuto rameggiare.» Nel lessico consoliano confluirebbero, oltre alle parole emerse dal ricordo, «le parole dell'infanzia», quelle frutto della «continua ricerca di vocaboli, espressioni, terminologie sui libri, le antiche memorie, i dizionari, le opere di eruditi locali». (Sinibaldi 1988, 13).

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l'«impoverimento linguistico» dell'italian050, perché la scrittura, di per sé oppositiva5

!, induce a sperimentare, per evitare la lingua piatta, inespressiva, massificata, del potere che rischia di seppellire tutti quanti, scrittori e/o semplicemente parlanti52 .

Nel caso specifico del Sorriso, come già intravisto da Giuliano Gramigna, è ideologico anche il nodo di intersezione dei vari piani linguistico-strutturali del libro: il travaglio dell'intellettuale una volta scoperti i limiti, addirittura l'impotenza, della sua scrittura di fronte a fatti quali quelli di Alcara; limiti ed impotenza che, come vengono dichiarati dalle scritte del cap. IX, così lo sono a contra­rio dall'opulenza dei capitoli precedenti.

4. I risultati. Conclusioni provvisorie

Il risultato di tali premesse non è il pastiche gratuito dello speri­mentalismo avanguardista53, ma un plurilinguismo preteso dalle I'I'I motivazioni storico-ideologiche (il far parlare gli esclusi delle de­lusioni di una rivoluzione mancata come il Risorgimento)54 e ideo­

50 La definizione è di Sinibaldi 1988, 12. Cfr. anche Durante 1987, 13: «La mia è una scrittura di tipo critico verso l'impoverimento della nostra lingua [...] Vuole sottrarsi alla superficializzazione che è ormai un portato dei mass-media. La , 'I letteratura mi appare sempre più giornalistica, televisiva. Neutra, senza echi. E siccome noi, bene o male, siamo figli della cultura, diventiamo persone senza

11 identità. Imbarbariti. Ecco, credo che in questo stia la funzione della scrittura: non il solo il gusto della parola, bensì una funzione critica che sia tutt'uno con la storia

raccontata» . 51 Per Consolo la scrittura deve essere «oppositiva rispetto a quelli che sono i

'I responsabili di questa società», ed anche la lingua «deve essere oppositiva, acuminata, aguzza, che cerca di far vedere i mali della società» (Finzi 1990, 90).

52 Se la lingua dello scrittore è oppositiva, la «sperimentazione» diventa quindi un obbligo, perché lo scrittore non può usare la lingua del potere (<<un linguaggio morto da cui rischiamo di essere seppelliti»). «II suo linguaggio lo scrittore ogni giorno deve riscoprirlo, disseppellirlo perché fa parte della storia.» (Finzi 1990, 91). 53 Il termine ricorre, tra gli altri, in Trovato 1989, 113, eTani 1990, 82. Cfr. anche Sciascia 1989,996. Per Consolo l'avanguardia «opera in astratto inventando degli strumenti artificiali.» (Finzi 1990,91). 54 C'è un'esigenza di compatibilità di fondo tra narrato e lingua, che e.g. è viva

III

IIII~I ! anche in Filosofiana (Le pietre di Pantalica), racconto a proposito del quale Consolo afferma: «sarebbe stato impossibile scriverlo in termini toscani, ne

~~ ! 120

Plurilinguismo in <11 sorriso dell'ignoto marinaio>

logico-linguistiche (l'opporsi al nazionalismo linguistico italiano in nome delle altre lingue preunitarie e subalterneY5, e da altrettanto forti ragioni costruttive. In altre parole, è la plurivocità distribuita su più livelli strutturali ad esigere il plurilinguismo, e il pastiche non è «un fatto di ricerca formale ma di contenuto», perché la tecnica e l'intento consoliani non sono l'innesto e l'esornativo espressionistico, ma il ripristino di elementi funzionali, di parole dissonanti che sono cose e sentimenti, storia e cultura censurate, espulse dai canoni linguistici vigenti56. Nel diasistema italiano, in cui esistono ancora ampie sacche dialettali più o meno nascoste dagli italiani regionali57, opere come il Sorriso offrono totali garanzie di credibilità linguistica e anche letteraria. Densità e spessore, oltre a rigore d'attestazione documentaria, non mancano alla lingua del libro, e quando s'associa Federico II a Plauto, come e qualmente a calacausi, controllo dello sfintere a culo e camicia, è la lingua tutta a farsi risentire, finalmente.

sarebbe venuta una discrepanza, uno stridore terribile nel mio orecchio.» (Finzi 1990,92).

55 La mescolanza lingua-dialetto «c'est aussi une forme d'opposition au nationa­lisme linguistique italien. On sait que c'est le toscan qui s'est imposé comme langue natio naie, mais, pour moi, je revendique cette indépendance linguistique du dialecte sici lien.» (Fusco 1980, 17).

56 Finzi 1990, 90-91: «è il fatto di stare raccontando che esige, che parla un deter­minato linguaggio».

57 Russo 1991, 36-38 rende noti i dati di Lingua italiana e dia/ella, Notiziario ISTAT, serie 4, foglio 41, X 18 (dic. 1989), diffuso però solo nel marzo del 1990. L'italofonia avrebbe raggiunto la punta record dell'85% nei rapporti con gli estranei, ma in famiglia e con gli amici la «dialettofonia» esclusiva è, rispettivamente, del 31,9% e del 26,4%, cui bisogna aggiungere nell'ordine il 25% e il 27,1% di coloro che alternano italiano e «dialetto». Il trend è confermato dai risultati dell'ultima indagine DOXA (tra gli altri, v. La Repubblica. 4.7.1992, 19; La Stampa. 4.7.1992, IO).

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ZARKO MULJAClé

Di quale lingua sono dialetti i dialetti italiani?*

Con la formulazione del presente titolo non ho voluto fare un'inter­rogazione retorica e ancora meno una domanda del tipo: «Quale fiume scorre sotto i ponti dell'Arno?» con cui i pedagoghi si rivol­gono a bambini deficienti. Tutt'altro! Questo tema mi è sembrato degno di discussione perché non viene affrontato, forse perché considerato come scontato, nelle opere più recenti in materia l

.

Esso si complica se vogliamo studiarlo lungo l'asse della storia. Per concentrarmi sull'essenziale lascerò in disparte il sardo e il friulano pur sapendo che vi sono ancora oggi degli autori che considerano queste lingue (qualcuno anche il romancio) come dialetti italiani (o «italo-romanzi»).

Dirò innanzitutto alcune parole sulla genesi dell'italiano. Esi­stono in sostanza due punti di vista:

a) l'italiano sarebbe «nato» in blocco (ossia come un insieme di dialetti corrispondenti grosso modo ai dialetti attuali eccezion fatta per quelli dovuti a colonizzazioni seriori);

b) l'italiano non sarebbe nato «dalla frantumazione del latino ma dal processo di lenta e costante riunificazione regionale delle parlate locali che da quei frantumi si evolvono», dunque da un progressivo «accorpamento»2.

l fautori della prima ipotesi datano la genesi dell'italiano, se pre­stiamo fede alle ricerche più recenti3, relativamente tardi, ossia al­

*Questo saggio è stato letto al secondo Convegno della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (SILFI) (Cambridge, 24-27 marzo 1991) i cui atti non saranno pubblicati. l Cortelazzo 1988; Benincà 1988. 2 Altieri Biagi 1985,64; 86-87. 3 Wright 1991.

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