le relazioni con le sorelle, in la regola di frate francesco: eredità e sfida, (franciscalia, 1), a...

39
Editrici Francescane franciscalia 1

Upload: antonianum

Post on 25-Mar-2023

0 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Editrici Francescane

franciscalia 1

la regola di frate

francescoeredità e sfida

a cura di

Pietro Maranesi

Felice Accrocca

Editrici Francescane

Che i frati non entrino nei monasteri delle monache

1Comando fermamente a tutti i frati di non avere relazioni o conversazioni sospette con donne, 2e di non entrare nei monasteri delle monache, eccetto quelli ai

quali dalla Sede apostolica è stata concessa una licenza speciale. 3Né si facciano padrini di uomini o di

donne, affinché per questa occasione non sorga scandalo tra i frati o riguardo ai frati.

capitolo 11

557

Le relazioni con le sorelle

I. Il testo nel suo contesto

Il tema generale di Rb xi (FF 105-106) è quello della salva-guardia della castità e della libertà dei frati da quei legami che possono impedire loro di vivere la sequela di Gesù Cristo promessa nella regola. A tutela del voto di castità, Francesco comanda fermamente a tutti i frati di non dare occasioni di sospetto nel rapporto con le donne (v. 1), con i monasteri del-le monache (v. 2) e con i nuclei familiari attraverso il compa-ratico (v. 3).

Alla base di questa normativa c’è una ricca serie di influs-si che si possono far risalire: ai passi neotestamentari su ma-trimonio e verginità (cf. Mt 19, 1-12 e 1Cor 7, 1-40); ai pro-blemi legati al celibato dei chierici; alla legislazione antica e medievale riguardante monaci e monache; per certi aspet-ti, anche ad una concezione negativa della donna che, dall’an-tichità classica e poi cristiana, era giunta sino al Medioevo. L’uomo medievale – fatte salve autorevoli eccezioni – è in-fatti concorde nel sostenere l’imperfezione e la “infermità” della natura della donna. È attraverso l’interpretazione pa-tristica della Scrittura che gli uomini di Chiesa difendono e diffondono tale modo di pensare. La creazione di Eva dalla costola di Adamo e la sua sottomissione a lui dopo il pecca-to (cf. Gen 2-3), sono i fondamenti scritturistici della condi-

Marco Guida

capitolo 11

558

zione della donna, alla quale, secondo l’insegnamento di 1Cor 14, 34-35 e 1Tm 2, 11-12, è vietato parlare nelle assemblee, insegnare e dettare legge all’uomo. Questa visione “teologi-ca” della donna determina la sua collocazione giuridica nel-la società, sottoponendola alla tutela dell’uomo ed escluden-dola dalle pubbliche attività. Tale concezione della donna an-drà sempre più consolidandosi con l’affermarsi del celibato ecclesiastico e con l’esaltazione dell’ideale monastico, fatto-ri che contribuiranno a ritenere impura la sessualità e a guardare alla donna come causa di peccato. Sarà la vita re-ligiosa, paradossalmente, a riscattare questa visione nega-tiva e stereotipata, facendo dei monasteri dei luoghi di affer-mazione delle donne – almeno di quelle delle classi aristo-cratiche – che poterono così esercitare un ruolo di comando e di giurisdizione sulle persone e sui territori di loro perti-nenza, in alcuni casi trovandosi persino alla guida di comu-nità miste di monaci e monache, come nel significativo esem-pio del monastero doppio di Fontevraud1.

I divieti presenti in Rb xi erano stati lungo i secoli già pre-scritti nei Concili e nelle regole monastiche che ne avevano recepito le disposizioni. Pertanto ci troviamo di fronte a nor-me che la legislazione minoritica eredita dall’antica tradizio-ne canonica della Chiesa confluita nel Decreto di Graziano del

1. Per approfondire la questione si rinvia almeno a Idee sulla donna nel Medioevo: fonti e aspetti giuridici, antropologici, religiosi, sociali e letterari della condizione femminile. Antologia di scritti a cura di M.C. De Matteis (Il mondo medievale. Sezione di storia delle istituzioni, della spiritualità e delle idee, 10), Bologna 1981; Storia delle donne in Occidente. Il Medioevo (Economica Laterza, 24), a cura di C. Klapisch-Zuber, Roma-Bari 1994; e. Pásztor, Donne e sante. Studi sulla religiosità femminile nel Medio Evo. Pre-sentazione di M. Bartoli (Religione e Società. Storia della Chiesa e dei movi-menti cattolici, 37), Roma 2000; J. dAlArUn, Claire d’Assise et le mouvement féminin contemporain, in Clara claris præclara. L’esperienza cristiana e la memoria di Chiara d’Assisi in occasione del 750° anniversario della morte. Atti del Convegno internazionale. Assisi 20-22 novembre 2003, “Convi-vium Assisiense” 6 (2004) 381-401.

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

559

xii secolo2. Sarà opportuno, pertanto, indicare almeno i testi più significativi che possano aiutarci ad inserire il dettato di Rb xi nella plurisecolare tradizione riguardante la vita reli-giosa. Già il Concilio Niceno ii (anno 325) stabiliva che: «Non vivano in uno stesso monastero monaci e monache, perché l’adulterio suole accompagnare la coabitazione. Il monaco e la monaca non abbiano possibilità di parlarsi a tu per tu. Un mo-naco non dorma presso il monastero delle monache, e non si trattenga a mangiare da solo con una monaca»3. Dai Conci-li della Chiesa antica tali preoccupazioni passarono a quelli di epoca medievale, a conferma che quella della regolamenta-zione dei rapporti tra gli uomini religiosi e le donne è un pre-occupazione che – mai del tutto sopita – con il passare del tem-po richiese sempre maggiori attenzioni a motivo del mutare delle situazioni di vita e del nascere di nuove forme di vita re-ligiosa maschile e femminile. Ecco allora che il Concilio Late-ranense ii (anno 1139) stabilì di abolire:

Il dannoso e detestabile costume di certe donne che, pur non vivendo secondo la regola del beato Benedetto, di Basilio o di Agostino, desiderano tuttavia passare per monache dinanzi al popolo. Quelle che vivono nei monasteri secondo la loro regola, devono condurre vita comune sia in chiesa che in refettorio e in dormitorio; le altre invece si fanno costruire dei luoghi di ri-tiro e case private, in cui sotto l’apparenza dell’ospitalità non si vergognano di ricevere continuamente ospiti e persone affat-to religiose, contro i sacri canoni e i buoni costumi. Poiché ogni uomo che fa il male odia la luce e anche queste donne, nasco-ste nella tenda dei giusti, credono di poter sfuggire agli occhi del Giudice che vede tutto, noi proibiamo in tutti i modi che si

2. Decretum magistri Gratiani, cura A. Friedberg, Lipsiæ 1879, pars se-cunda, causa xviii, questio ii, c. xx (Neque commatres sibi facere, neque ad feminas accedere monachis licet); c. xxi (Cum sanctimonialibus monachis habitare non licet); c. xxii (Monachi et monachæ in nullo simul cohabitent loco), coll. 834-834; pars tertia, distinctio iv, c. ciii (Abbati vel monacho non licet commatres habere); c. civ (De eodem), col. 1394.3. Canone xx, in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, 154.

capitolo 11

560

perpetui uno scandalo così vergognoso e detestabile e lo vietia-mo sotto pena di anatema4.

Inoltre, si proibì «alle monache di recarsi in chiesa nello stesso coro con i canonici o con i monaci per recitare i salmi»5. Un altro problema che la Chiesa medievale dovette affronta-re fu quello del clero concubinario, fenomeno che il papato ri-formatore e i sinodi locali vollero arginare con tutte le forze, e del quale si occuparono anche i Concili6.

Quanto stabilito in tali sedi venne recepito dalla tradizio-ne monastica, che nella plurisecolare storia delle sue regole di vita non ha omesso di regolare i rapporti tra i monaci e le monache, e tra i monaci e le donne in generale. Trattandosi di una vita fondamentalmente stabile, nelle antiche regole monastiche le relazioni dei monaci con le donne sono stretta-mente legate al loro accesso al monastero. Non così per i fra-ti Minori, che conducono uno stile di vita itinerante soggetto a incontri e relazioni lungo la via. Nella Rb non vi è alcun di-vieto per le donne di entrare nei luoghi dei frati; è invece vie-tato ai frati entrare nei monasteri delle monache. Le disposi-zioni della regola minoritica circa la salvaguardia della casti-tà da parte dei frati non sono “originali” del pensiero e della volontà di Francesco d’Assisi, ma si ritrovano già nelle anti-che regole monastiche7.

4. Canone xxvi, in ibidem, 203.5. Canone xxvii, in ibidem, 203.6. Sull’obbligo per i chierici della continenza e della castità si pronuncia-rono il Lateranense iii (anno 1179) con il canone xi e il Lateranense iv (an-no 1215) con il canone xiv: cf. Conciliorum Œcumenicorum Decreta, rispet-tivamente 217-218 e 242.7. Cf. Terza regola dei Padri, iv (anno 535); Regola di Cesario ai monaci, xi, 1 (anni 534-542); Regola di Aureliano ai monaci, xv, 1 (metà del vi seco-lo); Regola Tarnantense, iv, 1-3 (anni 551-573); Regola di Ferréol, iv, 1-2.5-6 (anni 553-573); Regola di Colombano ai monaci (anni 591-630); Regola di Isidoro, xvii, 2 (anni 615-619); Regola comune, xv (anni 665-680); Regola di Cassiano, v (anni 640-660); Regola di un padre ai monaci, xviii, 1-2 (vii se-

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

561

La tradizione monastica maschile e femminile precedente alla regola francescana, dunque, regolamenta e disciplina con divieti e pene correttive sia le relazioni dei monaci con le don-ne (e delle monache con gli uomini) sia gli ingressi nei mona-steri, al fine di custodire e preservare il voto di castità profes-sato e costitutivo della vita monastica. Pertanto, la Rb rece-pisce al capitolo xi tale normativa ancora attuale – e vedremo meglio perché – per un Ordine del xiii secolo, i cui membri vi-vevano a contatto con la gente in modo più diretto e continuo rispetto al monachesimo tradizionale, in virtù della loro voca-zione apostolica. Per di più, a salvaguardia della castità dei frati e per evitare scandali, Rb xi proibisce ai frati di farsi pa-drini di uomini o di donne, divieto anche questo ereditato dal-la tradizione monastica precedente. La Regola per le vergini di Cesario, xi (anni 512-534) dispone infatti che: «Nessuna pensi di tenere a battesimo la figlia di ricchi o di poveri»; un manoscritto aggiunge: «poiché, per amore di Dio, ha rinuncia-to alla possibilità di figli propri, non deve chiedere o avere i figli degli altri, perché possa dedicarsi continuamente a Dio senza alcun impedimento»8. Stesso divieto nella Regola per le vergini di Aureliano, xvi (anni 546-551): «Nessuna riceva un

colo); i testi di queste regole si possono leggere in Regole monastiche d’Oc-cidente, a cura di E. Bianchi (I Millenni), Torino 2001. Vi sono, poi, le dispo-sizioni di testi monastici cronologicamente più vicini a Francesco d’Assisi: Regola di Grandmont, xxxix (anni 1156-1188) e Consuetudini della Certo-sa, xxi, 1-2 (anno 1127 circa); i testi di queste due regole si possono leggere in Regole monastiche d’Occidente da Agostino a Francesco d’Assisi. Intro-duzione, traduzione e note a cura di E. Arborio Mella e C. Falchini, Magna-no (vc) 1989. Testimonianze utili alla comprensione del tema troviamo an-che nelle regole monastiche femminili che, allo stesso modo di quelle ma-schili, si preoccupano di regolamentare i rapporti delle monache con gli uo-mini, al fine di salvaguardare il voto di castità delle vergini consacrate: Re-gola per le vergini di Cesario, xxxvi, 1-2 (anni 512-534); Regola di Leandro (anno 580 ca.); Regola di Abelardo, vii, 31-34 (prima metà del xii secolo); Regola di Fontevraud, vii, 6 (anno 1119); i testi di queste regole si possono leggere in Regole monastiche femminili, a cura di L. Cremaschi (I Millen-ni), Torino 2003.8. Ibidem, 35 e nota 21.

capitolo 11

562

bambino a battesimo»9 e nella Regola di Donato, liv, 1 (an-ni 640-658): «Nessuna pensi di tenere a battesimo le figlie di ricchi e di poveri»10. Passando così alle regole maschili, la nor-ma proibitiva è presente nella Regola di Aureliano ai mona-ci, xx: «Nessuno accetti di tenere un bambino appena nato a battesimo»11 e nella Regola di Ferréol, xv:

Dopo aver riflettuto, abbiamo giudicato che, come avviene negli altri monasteri, non è bene che dei bambini piccoli sia-no battezzati nel monastero; e, allo stesso tempo, che in nes-sun luogo i monaci accettino di diventare padrini di un figlio di chicchessia, perché non succeda che a poco a poco, come suo-le accadere, finiscano per unirsi ai parenti di lui con illecita e turpe familiarità. E se qualcuno avrà la presunzione di fare ciò, sia corretto come trasgressore della regola12.

II. Il testo e il suo contenuto

Il capitolo xi della Rb è introdotto da un fermo comando di Francesco espresso in prima persona e rivolto a tutti i frati senza distinzione alcuna: «Comando fermamente a tutti i fra-ti (precipio firmiter fratribus universis)». Tale espressione è presente in Rb iv, 1 (FF 87) per vietare ai frati di ricevere de-nari o pecunia13, e in Rb x, 3 (FF 101) per prescrivere loro di obbedire ai propri ministri14. In 2Test 25 (FF 123) Francesco

9. Ibidem, 74.10. Ibidem, 210.11. Regole monastiche d’Occidente, 114.12. Ibidem, 167.13. «Comando fermamente (precipio firmiter) a tutti i frati che in nessun modo ricevano denari o pecunia, direttamente o per interposta persona» (Rb iv, 1: FF 87). Gli scritti di Francesco sono tratti da Scripta.14. «Perciò comando loro fermamente (firmiter precipio eis) di obbedire ai loro ministri in tutte quelle cose che hanno promesso al Signore di osser-vare e non sono contrarie all’anima e alla nostra regola» (Rb x, 3: FF 101).

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

563

rafforza tale formula di comando aggiungendo «per obbedien-za» nel proibire ai frati di chiedere privilegi alla Curia roma-na15, e in 2Test 38 (FF 130) – esplicitando che la prescrizione è rivolta ai frati sia chierici che laici – nel vietare loro di glos-sare la regola16. Dunque si tratta in ogni occorrenza di un fer-mo comando nell’osservare aspetti costitutivi e caratterizzan-ti la forma di vita evangelica professata dai frati Minori17.

1. Le relazioni con le donne

Il primo divieto che Francesco rivolge ai frati è quello di «non avere relazioni o conversazioni sospette con donne». È importante notare subito che l’Assisiate non vieta i rapporti dei frati con le donne: il divieto riguarda solo relazioni o con-versazioni «sospette». È tale aggettivo, infatti, a chiarire il te-nore di questa prima prescrizione, che non va intesa come una totale chiusura verso le donne, motivata da sfiducia o da per-cezione negativa delle stesse da parte di Francesco18. Ciò che

15. «Comando fermamente per obbedienza (precipio firmiter per obedien-tiam) a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera al-cuna [di privilegio] nella curia romana, né personalmente né per interpo-sta persona, né a favore di chiesa o di altro luogo, né sotto il pretesto della predicazione, né per la persecuzione dei loro corpi, ma dovunque non sa-ranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio» (2Test 25: FF 123).16. «E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbe-dienza (precipio firmiter per obedientiam), che non inseriscano spiegazioni nella regola né in queste parole dicendo: “Così devono essere intese”» (2Test 38: FF 130).17. È proprio nel difendere l’intangibilità e l’inviolabilità della regola che con una simile formula imperativa rafforzata dal verbo ordinare (iniunge-re), Francesco si esprime in chiusura della Rnb: «E da parte di Dio onnipo-tente e del signor papa, e per obbedienza io, frate Francesco, fermamente comando e ordino (firmiter precipio et iniungo) che, da quelle cose che sono state scritte in questa vita, nessuno tolga via o vi aggiunga qualche parte scritta, e che i frati non abbiano altra regola» (Rnb xxiv, 4: FF 73).18. La presenza ed il valore della donna negli scritti di Francesco d’Assisi sono sapientemente tratteggiate da c. PAolAzzi, Francesco per Chiara (Pre-

capitolo 11

564

la regola vuole preservare è la vita casta dei frati, proibendo loro situazioni sospette con donne che potrebbero metterla in pericolo e generare scandalo. L’espressione suspecta consortia risale a san Gerolamo nella lettera al monaco Rustico19, ma è più probabile che nella redazione della loro regola i frati ab-biano fatto riferimento a norme che la Curia romana aveva dato a gruppi religiosi loro coevi, reintegrati da Innocenzo III nella comunione della Chiesa. Nel Propositum del 1210 dei “Poveri riconciliati”, infatti, si legge: «E avendo promesso di nuovo la continenza, evitino del tutto il sospetto rapporto con le donne». Ed in quello del 1212 si dice: «Per conservare invio-labilmente la continenza perpetua e la castità o la verginità, eviteranno il sospetto rapporto con le donne [...]»20.

L’ingiunzione di Francesco, tuttavia, è abbastanza generi-ca, perché non entra in casi particolari né spiega in base a quale criterio giudicare sospette le relazioni dei frati con le donne. Il giudizio è reso ancor più difficile dal fatto che la per-cezione di chi osserva dall’esterno è diversa da quella dei pro-tagonisti della relazione o della conversazione che può essere giudicata sospetta. La vita itinerante dei frati li poneva in si-tuazioni che potevano metterne a rischio la castità professa-ta. Già le norme della regola del 1221 circa i rapporti con le donne sono una testimonianza esplicita di queste difficoltà e delle rispettive contromisure prese dai frati nel corso degli anni, finalmente inserite nella legislazione minoritica21. Nel

senza di san Francesco, 40), Milano 1994. Per l’analisi delle testimonianze delle Vite del Santo, cf. J. dAlArUn, Francesco: un passaggio. Donna e don-ne negli scritti e nelle leggende di Francesco d’Assisi. Postfazione di G. Mic-coli (I libri di Viella, 2), Roma 1994.19. Cf. Ad Rusticum monachum, 6, citato in Expositio Quatuor Magistro-rum super regulam Fratrum Minorum (1241-1242), 191.20. I testi delle fonti sono tratti da ibidem, 191; cf. G.G. MeersseMAn, Dos-sier de l’Ordre de la pénitence au xiiie siècle (Spicilegium Friburgense, 7), Fribourg 1961, rispettivamente 286 § 12 e 289 § 9.21. Sui rapporti tra i frati e le donne nella Rnb cf. F. AccroccA, Francesco e la sua «fraternitas», 94-102.

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

565

capitolo xii della Rnb – Degli sguardi cattivi e della frequen-tazione delle donne – è detto che «Tutti i frati, dovunque sono o dovunque vanno, evitino gli sguardi cattivi e la frequenta-zione delle donne. E nessuno si trattenga da solo in colloqui con loro» (Rnb xii, 1-2: FF 38). Anche in questo caso la regola proibisce solo le relazioni che possono compromettere la ca-stità dei frati: sguardi impuri, incontri frequenti e colloqui pri-vati. Tali occasioni erano senza dubbio possibili per dei frati itineranti, dediti a lavori manuali per conto terzi che li porta-vano a contatto con i nuclei familiari in case private (cf. Rnb vii: FF 24-27) ed impegnati in un tipo di predicazione mobile che li vedeva percorrere città e villaggi in compagnia anche di donne (cf. Rnb xvii: FF 46-49). Quest’ultimo aspetto della vita dei frati – si tratterebbe di un’itineranza mista – è testi-moniato da Angelo Clareno, nel cui testo della regola del 1221 è prescritto ai frati che con le donne «nessuno […] vada solo per la strada né mangi alla mensa in uno unico piatto»22. Di-sposizioni dello stesso tenore sono presenti nel già citato Pro-positum del 1212 dei “Poveri riconciliati”: «Nessuno di noi da solo si accosti ad una (donna) sola, neppure per parlare, se non con legittimi testimoni e sicure persone che ascoltino e vedano». E ancora: «Mai fratelli e sorelle presumano di dor-mire in una sola casa, mai di sedere ad una sola mensa»23. Ciò testimonia indubbiamente una consuetudine comune ai gruppi religiosi di matrice evangelica e pauperistica del tem-po; una prassi evidentemente non tollerata dalla Curia roma-na, che interviene in modo restrittivo.

Le norme di Rnb xii si riferiscono poi ai frati sacerdoti nei loro rapporti con le donne: «I sacerdoti parlino con loro one-

22. La testimonianza del Clareno – recepita nelle edizioni della Rnb di Flo-od e di Esser – non è accolta nella recente edizione critica di Paolazzi. Sul-la scelta dell’ultimo editore critico, motivata ed ineccepibile secondo le re-gole della filologia, è intervenuto recentemente F. AccroccA, Scritti di Francesco e storia del francescanesimo. L’edizione degli Scripta curata da Carlo Paolazzi, “Miscellanea Francescana” 110 (2010) 562-565.23. G.G. MeersseMAn, Dossier de l’Ordre de la pénitence, 289 § 9 e 10.

capitolo 11

566

stamente quando danno la penitenza o qualche consiglio spi-rituale» (Rnb xii, 3: FF 38). Anche in questo caso le relazioni con le donne sono autorizzate per l’esercizio del ministero sa-cerdotale: l’amministrazione del sacramento della penitenza (confessione) e la direzione spirituale (consiglio), a patto che il parlare con le donne avvenga onestamente. Il dettato di Rnb xii continua con un divieto rivolto a tutti i frati: «E nessuna donna in maniera assoluta sia ricevuta all’obbedienza da al-cun frate, ma una volta datole il consiglio spirituale, essa fac-cia vita di penitenza dove vorrà» (Rnb xii, 5: FF 38). La rego-la vieta ora ai frati una prassi precedentemente seguita, il cui esempio più emblematico è la promessa di obbedienza che Chiara fece a Francesco insieme alle sue sorelle, ricordata dal-la stessa santa nel suo Testamento:

Dopo che l’altissimo Padre celeste si fu degnato, per sua mise-ricordia e grazia, di illuminare il mio cuore perché incomincias-si a fare penitenza, dietro l’esempio e l’ammaestramento del beatissimo padre nostro Francesco, poco tempo dopo la sua con-versione, io, assieme alle poche sorelle che il Signore mi aveva donate poco tempo dopo la mia conversione, liberamente gli promisi obbedienza (TestsC 24-25: FF 2831)24

e testimoniata anche dalla Legenda ufficiale: «Promise ob-bedienza al beato Francesco, e mai si allontanò dalla promes-sa» (LegsC viii, 2: FF 3179)25.

24. Questo evento è narrato anche nella RsC vi, 1. La RsC dice espressa-mente che le monache promettono obbedienza a Francesco e ai suoi succes-sori; per ulteriori approfondimenti su questo tema si rinvia a M. gUidA, Il Vangelo come forma di vita: considerazioni sulla regola di Chiara d’Assisi, “Studi Francescani” 107 (2010) 246-255.25. Su questa importante informazione della Legenda ufficiale di Chiara d’Assisi si rimanda a M. gUidA, Una leggenda in cerca d’autore: la Vita di santa Chiara d’Assisi. Studio delle fonti e sinossi intertestuale (Subsidia hagiographica, 90). Préface de J. Dalarun, Bruxelles 2010, 164-167.

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

567

Questo divieto, in contrasto con il diritto comune, non si ritrova pertanto nella regola bollata del 1223, con la quale «veniva restituita anche ai frati Minori la possibilità di av-valersi delle disposizioni del diritto canonico comune»26. Il capitolo xii della Rnb si conclude con l’esortazione: «E tutti dobbiamo custodire con molta cura noi stessi e dobbiamo mantenere incontaminate tutte le nostre membra, poiché di-ce il Signore: “Chiunque avrà guardato una donna per desi-derarla, ha già commesso adulterio con lei, nel suo cuore”(Mt 5, 28)» (Rnb xii, 5: FF 38), un monito rivolto a tutti i frati per-ché si impegnino a custodire la purezza del cuore e la casti-tà del corpo.

Strettamente legato al capitolo xii è il capitolo xiii della Rnb, un severo castigo per i frati fornicatori: «Se qualche fra-te, per istigazione del diavolo, cadesse in fornicazione, depon-ga del tutto l’abito che ha già perduto per il suo turpe pecca-to, e sia espulso totalmente dalla nostra Religione. E dopo fac-cia penitenza dei suoi peccati (cf. 1Cor 5, 4-5)» (Rnb xiii: FF 39). Nella regola di Agostino iv, 9 (anno 397 circa) stessa sor-te è segnata per il religioso che non si ravvede:

Se questi, tuttavia, una volta ammonito non vorrà corregger-si, prima di farlo comparire davanti agli altri – dai quali se ne-ga deve essere convinto – deve essere mostrato al preposito, in modo che mediante una correzione più segreta abbia la possi-bilità di non divenire noto a tutti gli altri. Se poi nega e dice di non saperne nulla, allora si facciano venire anche gli altri, in modo che ora, davanti a tutti, possa non tanto essere rimpro-verato da un solo testimone, ma esser convinto da due o tre. Una volta convinto, deve subire la punizione correttiva, secon-do la decisione del preposito, o anche del presbitero, il cui in-carico tali cose riguardano. E se rifiuterà di sottomettersi ad essa, anche se egli non si separa da voi sia scacciato dalla vo-stra comunità. E anche questo non per crudeltà, ma per mise-

26. A. boni, La Novitas franciscana nel suo essere e nel suo divenire (cc 587/631), 493.

capitolo 11

568

ricordia, perché attraverso il suo contagio mortifero egli non mandi in rovina molti27.

La Regola di Benedetto (anni 530-555) non presenta alcu-na norma circa i rapporti fra i monaci e le donne, ma nel ca-pitolo iv che riguarda gli strumenti delle buone opere, esorta i monaci a «non commettere adulterio […] non alimentare la concupiscenza […] non portare a compimento i desideri della carne […] amare la castità»28. Nel lungo e dettagliato capito-lo riguardante l’accoglienza degli ospiti, le donne non sono mai nominate29; forse una preoccupazione circa il possibile incon-tro e la permanenza dei monaci con le donne si può intrave-dere nel dettato del capitolo li: «Il fratello che per una qual-siasi commissione viene mandato in viaggio e si prevede che rientri in monastero in giornata, non pretenda di mangiare fuori, anche se ciò gli venisse richiesto con insistenza da chiun-que si voglia, a meno che non gliene abbia dato il permesso l’abate. Se farà diversamente, sia scomunicato»30.

Il castigo previsto in Rnb xiii – l’espulsione dalla fraterni-tà del frate fornicatore – forse per la eccessiva durezza, è as-sente nella regola del 1223. Lo ritroviamo, invece, sempre nel-la Rnb in riferimento ai frati che abbandonano la fede catto-lica:

Tutti i frati siano cattolici, vivano e parlino cattolicamente. Se qualcuno poi a parole o a fatti si allontanerà dalla fede e dalla vita cattolica e non si sarà emendato, sia espulso totalmente dalla nostra fraternità. E riteniamo tutti i chierici e tutti i re-

27. Regole monastiche d’Occidente, 20. Tutto il capitolo iv della regola ago-stiniana è dedicato alla custodia della castità e alla correzione fraterna, soffermandosi non poco sull’immodestia degli sguardi rivolti dai frati alle donne.28. Regola di Benedetto, iv, 4.6.59.64, in Regole monastiche d’Occidente, 204.20629. Cf. Regola di Benedetto, liii, in ibidem, 246-247.30. Ibidem, 245.

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

569

ligiosi per signori in quelle cose che riguardano la salvezza dell’anima e che non deviano dalla nostra Religione, e veneria-mone l’ordine sacro, l’ufficio e il ministero nel Signore (Rnb xix: FF 51-52).

La fornicazione è assimilata all’apostasia. Tuttavia, in quest’ultimo caso, ravvedendosi il frate può evitare l’espulsio-ne dall’Ordine, diversamente da quanto stabilito per il pecca-to di fornicazione per il quale ipso facto il frate è tenuto a de-porre l’abito dei Minori. Francesco nei suoi scritti si esprime con durezza in altre occasioni: nella LOrd quando si riferisce ai frati che vagano fuori dalla regola e non dicono l’Ufficio31, e nel 2Test sempre a proposito della cattolicità e dell’Ufficio32.

31. «Perciò prego in tutti i modi frate [Elia], ministro generale, mio signore che faccia osservare da tutti inviolabilmente la regola, e che i chierici dica-no l’Ufficio con devozione davanti a Dio, non preoccupandosi della melodia della voce, ma della consonanza della mente, così che la voce concordi con la mente, la mente poi concordi con Dio, affinché possano piacere a Dio me-diante la purezza del cuore, piuttosto che accarezzare gli orecchi del popo-lo con la mollezza della voce. Io poi prometto fermamente di custodire que-ste cose, come Dio mi darà la grazia; e queste stesse cose insegnerò ai fra-ti, che sono con me, perché le osservino riguardo all’Ufficio e alle altre di-sposizioni della regola. Quei frati, poi, che non vorranno osservare queste cose, non li ritengo cattolici, né miei frati; inoltre, non li voglio vedere né parlare con loro, finché non abbiano fatto penitenza. Lo stesso dico anche di tutti gli altri che vanno vagando, incuranti della disciplina della regola; poiché il Signore nostro Gesù Cristo diede la sua vita per non venir meno all’obbedienza del Padre santissimo (cf. Fil 2, 8)» (LOrd 40-46: FF 227-230).32. «E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraterni-tà e ad altro guardiano che gli sarà piaciuto di assegnarmi. E così voglio es-sere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l’obbe-dienza e la volontà sua, perché egli è mio signore. E sebbene sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico, che mi reciti l’Ufficio, co-sì come è prescritto nella regola. E tutti gli altri frati siano tenuti ad obbe-dire così ai loro guardiani e a dire l’Ufficio secondo la regola. E se si trovas-sero dei frati che non dicessero l’Ufficio secondo la regola, e volessero va-riarlo in altro modo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque sono, sia-no tenuti, per obbedienza, ovunque trovassero qualcuno di essi, a farlo comparire davanti al custode più vicino al luogo dove l’avranno trovato. E

capitolo 11

570

La sua mitezza e misericordia verso i frati che peccano, stra-ordinariamente manifestate nella Lettera ad un ministro, sem-brano infrangersi di fronte a coloro che non vivono cattolica-mente. Nella proposta circa il capitolo dei peccati da inserire nella regola del 1223 che Francesco comunica al ministro de-stinatario della sua bellissima lettera, non ci troviamo davan-ti ad un testo severo quanto Rnb xiii33. Eppure quella di Lmin sarà una proposta non accolta dal Capitolo, dato che non la si ritrova con la stessa formulazione nel testo di Rb vii:

Se alcuni tra i frati, per istigazione del nemico, avranno pecca-to mortalmente, per quei peccati per i quali sarà stato ordina-to tra i frati di ricorrere ai soli ministri provinciali, i predetti frati siano tenuti a ricorrere ad essi quanto prima potranno, senza indugio. I ministri, poi, se sono sacerdoti, loro stessi im-pongano con misericordia ad essi la penitenza; se invece non

il custode sia fermamente tenuto per obbedienza a custodirlo severamen-te, come un uomo in prigione giorno e notte, così che non possa essergli tol-to di mano, finché non lo consegni di persona nelle mani del suo ministro. E il ministro sia fermamente tenuto, per obbedienza, a mandarlo per mez-zo di tali frati che lo custodiscano giorno e notte come un uomo imprigiona-to, finché non lo presentino davanti al signore di Ostia, che è signore, pro-tettore e correttore di tutta la fraternità» (2Test 27-33: FF 124-126).33. «Riguardo poi a tutti i capitoli che si trovano nella regola, che parlano dei peccati mortali, nel capitolo di Pentecoste, con l’aiuto del Signore e il consiglio dei frati, ne faremo un solo capitolo di questo tenore: Se qualcuno dei frati per istigazione del nemico avrà peccato mortalmente, sia tenuto per obbedienza a ricorrere al suo guardiano. E tutti i frati che fossero a co-noscenza del suo peccato, non gli facciano vergogna né dicano male di lui, ma abbiano grande misericordia verso di lui e tengano assai segreto il pec-cato del loro fratello, perché non i sani hanno bisogno del medico, ma i ma-lati (Mt 9, 12; cf. Mc 2, 17). E similmente per obbedienza siano tenuti a mandarlo con un compagno dal suo custode. Lo stesso custode poi provve-da misericordiosamente a lui, come vorrebbe si provvedesse a lui medesi-mo, se si trovasse in un caso simile. E se fosse caduto in qualche peccato ve-niale, si confessi ad un suo fratello sacerdote. E se lì non ci fosse un sacer-dote, si confessi ad un suo fratello, fino a che avrà a disposizione un sacer-dote che lo assolva canonicamente, come è stato detto. E questi non abbia-no potere di imporre altra penitenza all’infuori di questa: Va’ e non pecca-re più! (cf. Gv 8, 11)» (Lmin 13-20: FF 238).

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

571

sono sacerdoti, la facciano imporre da altri sacerdoti dell’Ordi-ne, così come sembrerà loro più opportuno, secondo Dio. E de-vono guardarsi dall’adirarsi e turbarsi per il peccato di qual-cuno, perché l’ira e il turbamento impediscono la carità in sé e negli altri (Rb vii: FF 93-95).

L’evoluzione giuridica delle regole manifesta anche dal pun-to di vista delle pene una mitigazione: in Rb non è menzionato alcun peccato per il quale il frate perde il diritto di appartene-re all’Ordine, piuttosto si richiede a tutti i fratelli un atteggia-mento di misericordia e comprensione verso i peccatori.

2. L’ingresso nei monasteri

Il secondo divieto che Francesco rivolge a tutti i frati in Rb xi è quello «di non entrare nei monasteri delle monache, ec-cetto quelli ai quali dalla Sede apostolica è stata concessa una licenza speciale». La norma che vieta di entrare nei monaste-ri – come si è visto nella introduzione – fa riferimento alla le-gislazione conciliare e monastica, confluita successivamente nelle Decretali di Gregorio IX. Si tratta di una problematica della Chiesa di ogni tempo e regolata da norme comuni, tese a preservare monaci e monache dai pericoli contro la castità; la questione non riguarda dunque solo l’ambito francescano, ma attraversa in maniera trasversale tutta la tradizione mo-nastica: «Che non si entri nel monastero delle donne»34.

In ogni caso, il problema si pone con una certa peculiarità per l’Ordine dei frati Minori, dal momento che fin dai primor-di dell’esperienza evangelica di Francesco si unirono a lui e ai suoi frati Chiara e altre donne. Risale a quegli anni uno scritto dell’Assisiate – la Forma di vita per Chiara e sorelle – con il quale egli impegnava se stesso ed i suoi compagni ad aver cura di queste donne. Lo scritto ci è tramandato dalla stessa Chiara che lo inserisce nel capitolo vi della sua regola:

34. Vitæ Patrum, iii, 33, citato in Expositio Quatuor Magistrorum, 191.

capitolo 11

572

«Poiché, per divina ispirazione, vi siete fatte figlie e ancelle dell’altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate al-lo Spirito santo, scegliendo di vivere secondo la perfezione del santo vangelo, voglio e prometto di avere sempre di voi come dei miei frati, per mezzo mio e per mezzo loro, cura diligente e sollecitudine speciale» (Fvit: FF 139). E Chiara chiosa: «Ciò che adempì diligentemente finché visse, e volle che fosse sem-pre da adempiere dai frati» (RsC vi, 5: FF 2789)35.

Dal 1212-1213 – anni a cui risale questo scritto di France-sco – al novembre del 1223 in cui fu confermata da Onorio III la regola bollata, i rapporti tra la fraternitas di Francesco e la comunità di San Damiano si adeguarono allo sviluppo isti-tuzionale che stava caratterizzando l’Ordine dei frati Minori (di cui le due regole sono una testimonianza) e alla regola-mentazione della stessa comunità di Chiara della quale ella divenne abbadessa e verso la quale si concentrarono le atten-zioni del cardinale Ugo, incaricato da Onorio III di promuo-vere e tutelare le nascenti fondazioni monastiche femminili dell’Italia centro-settentrionale36. Si deve allo stesso cardina-

35. Nell’introdurre questo scritto di Francesco, Chiara ne delinea circo-stanze e motivazioni: «Dopo che l’altissimo Padre celeste per sua grazia si fu degnato di illuminare il mio cuore, perché seguendo l’esempio e l’inse-gnamento del beatissimo padre nostro san Francesco facessi penitenza, po-co dopo la sua conversione, insieme con le mie sorelle volontariamente gli promisi obbedienza. Considerando poi il beato padre che non temevamo nessuna povertà, fatica, tribolazione, abbassamento e disprezzo del mondo, che anzi li consideravamo come grandi delizie, mosso da benevolenza scris-se per noi una forma di vita in questo modo: […]» (RsC vi, 1-2: FF 2787-2788). Il testo della regola di Chiara è tratto da FederAzione s. chiArA di Assisi delle clArisse di UMbriA-sArdegnA, Il Vangelo come forma di vita, 269. Fondamentale ed imprescindibile per approcciare la regola clariana è lo studio della FederAzione s. chiArA di Assisi delle clArisse di UMbriA-sArdegnA, Chiara di Assisi e le sue fonti legislative. Sinossi cromatica (Se-cundum perfectionem sancti evangelii. La forma di vita dell’Ordine delle Sorelle povere, 1). Postfazione di F. Accrocca, Padova 2003.36. Per approfondire il tema si rinvia a M.P. Alberzoni, Chiara e San Da-miano tra Ordine minoritico e Curia papale, in Clara claris præclara, 27-70; FederAzione s. chiArA di Assisi delle clArisse di UMbriA-sArdegnA,

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

573

le la redazione di una Forma di vita per questi monasteri che – esentati dall’autorità vescovile e direttamente soggetti al papa – cominciavano ad essere indicati come «Religione (reli-gio) delle povere donne», denominazione che all’aspetto pau-peristico aggiunse successivamente anche quello della reclu-sione: «Religione delle povere donne recluse». Ai monasteri di questa «Religione» – per desiderio e volontà del cardinale Ugo – si unì quello di San Damiano, che tuttavia continuò ad es-sere legato ai frati Minori e ad avere un’identità peculiare.

È importante notare che, in relazione al tema dell’ingres-so nei monasteri, la Forma di vita di Ugo d’Ostia, la cui pri-ma menzione risale al 1219, usa un’espressione che ritrovia-mo letteralmente in Rb xi:

Quanto all’ingresso di persone nel monastero, comandiamo fer-mamente e rigorosamente (firmiter ac districte præcipimus) che mai nessuna abbadessa o le sue sorelle permettano a qual-che persona religiosa o secolare o di qualsivoglia dignità di en-trare in monastero. Ciò non sia assolutamente lecito ad alcu-no se non a chi e per quelle cose per le quali sarà stato conces-so dal sommo pontefice, o da noi, oppure dopo di noi, da colui al quale, come anche a noi, il signor Papa avrà stabilito di af-fidare la sollecitudine e la cura speciale da esercitarsi nei vo-stri confronti in modo particolare37.

Chiara di Assisi. Una vita prende forma. Iter storico (Secundum perfectio-nem sancti evangelii. La forma di vita dell’Ordine delle Sorelle povere, 2). Postfazione di F. Accrocca, Padova 2005.37. La versione del 1219 della Forma di vita di Ugo è pubblicata da g. boc-cAli, La «Cum omnis vera religio» del cardinale Ugolino. Forma vite primi-tiva per San Damiano ed altri monasteri, “Frate Francesco” 74 (2008) 468-469 (tutto 435-477). Il testo ugoliniano del 1228 destinato alle monache di Pamplona è edito in Escritos de Santa Clara y documentos complemen-tários. Edición bilingüe. Introducciones, traducción y notas de I. Omaeche-varria y colaboradores (Biblioteca de autores cristianos, 314), Madrid 19933, 225-226; la traduzione italiana in s. chiArA d’Assisi, Scritti e docu-menti, a cura di G.G. Zoppetti - M. Bartoli, S. Maria degli Angeli - Assisi 1994, 311-322; FederAzione s. chiArA di Assisi delle clArisse di UMbriA-sArdegnA, Chiara di Assisi, 128-138.

capitolo 11

574

Il testo di Ugo così formulato già nel 1219 consentirebbe di sostenere che lo stesso cardinale poté inserire tale divieto in Rb xi, avendo egli assistito Francesco nella redazione della pre-detta regola. Non meno interessante è che lo stesso breve testo della Forma di vita succitato utilizza alcuni significativi voca-boli che troviamo nella Forma di vita scritta da Francesco per Chiara: de vobis […] curam diligentem et sollicitudinem specia-lem (Francesco) → sollicitudinem atque curam specialem […] de vobis (Ugo): l’impegno assunto da Francesco e dai suoi frati verso la comunità di San Damiano, viene esteso dal cardinale all’Ordine femminile da lui istituito e regolamentato. Il divie-to di Rb xi, tuttavia, non può essere inteso come un riferimen-to diretto alla comunità di Chiara o ai monasteri ad esso colle-gati, ma alla stregua di un divieto riguardante tutti i monaste-ri di monache, come voleva la tradizione canonica della Chie-sa. È un altro scritto di Francesco a Chiara e alle sue sorelle – anch’esso inserito dalla plantula sancti Francisci nel capitolo vi della sua regola – a darci conferma dell’immutato legame e della ancor valida promessa di aver cura di loro:

Io, frate Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissi-ma Madre e perseverare in essa sino alla fine (cf. Mt 10, 22). E prego voi, mie signore, e vi consiglio che viviate sempre in que-sta santissima vita e povertà. E guardate con grande cura di non allontanarvi mai da essa, in perpetuo e in nessuna manie-ra, per insegnamento o consiglio di alcuno (Uvol: FF 140).

Uno scritto risalente all’autunno del 1226 di cui è la stes-sa Chiara a fornirci il tempo e il motivo della scrittura: «E af-finché in nulla deviassimo dalla santissima povertà che ave-vamo scelto, e nemmeno quelle che sarebbero venute dopo di noi, poco prima della sua morte di nuovo scrisse per noi la sua ultima volontà dicendo: […]» (RsC vi, 6: FF 2790)38.

38. FederAzione s. chiArA di Assisi delle clArisse di UMbriA-sArdegnA, Il Vangelo come forma di vita, 269. L’autenticità di Fvit e Uvol è dimostrata

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

575

Il progetto di Ugo poté ulteriormente consolidarsi con la sua elezione pontificia avvenuta nel marzo del 1227. Da quel momento Gregorio IX, forte della propria autorità e della con-solidata familiarità e stima dei frati Minori, premette sull’ac-celeratore perché questi assumessero la cura di quello che dal-la fine degli anni ‘20 comincerà ad essere chiamato Ordine di San Damiano, prendendo il nome proprio dal monastero cla-riano di Assisi scelto dal papa come capostipite di tutti i mo-nasteri39. Con la bolla Quoties cordis del 14 dicembre 1227 de-stinata al ministro generale dell’Ordine, Gregorio IX affidò ai frati Minori la cura dell’Ordine di San Damiano: «Ora, consi-derando che l’Ordine dei frati Minori tra tutti gli altri è gra-to e accetto a Dio, a te e ai tuoi successori affidiamo la cura delle predette monache in virtù di obbedienza, ordinandovi rigorosamente di avere verso di esse cura e sollecitudine co-me pecore affidate alla vostra custodia»40. Frate Pacifico sa-rà il primo visitatore ufficiale dei monasteri delle “Povere don-ne recluse”, al quale nel 1228 succederà frate Filippo Longo.

Con il forte aumento del numero di monasteri femminili, ve-rificatosi in diversi Paesi dell’Europa occidentale a partire dai decenni immediatamente precedenti la metà del xii secolo, la cura monialium, dapprima accettata pacificamente, presto ven-ne avvertita sempre più come un impegno gravoso. Si assiste, così, ad una serie di ricorsi ai papi per abbandonarla o almeno

definitivamente da Paolazzi con una rigorosa analisi filologica dei testi: cf. C. PAolAzzi, Per l’autenticità degli scritti di Francesco alle «pauperes do-minæ», in Clara claris præclara, 307-337. Per una attenta e approfondita analisi RsC vi, si rinvia a FederAzione s. chiArA di Assisi delle clArisse di UMbriA-sArdegnA, Il Vangelo come forma di vita, 269-310.39. Per un quadro puntuale ed esaustivo della cura monialium dagli anni ’20 alla fine degli anni ’40 del Duecento si rimanda a FederAzione s. chiArA di Assisi delle clArisse di UMbriA-sArdegnA, Chiara di Assisi, 56-60; 92-101.40. Il testo latino della lettera è in Bullarium Franciscanum, i, studio et la-bore J.H. Sbaralea, Romæ 1759, 36, n. 16; la traduzione italiana in s. chiA-rA d’Assisi, Scritti e documenti, 395.

capitolo 11

576

per limitarne gli obblighi. Con il pontificato di Innocenzo III ta-li ricorsi proseguirono, diventando con il passare del tempo sem-pre più frequenti, perciò la Sede apostolica cercò negli Ordini maschili la soluzione all’annoso problema della cura monialium. Innocenzo III si servì dei Cistercensi e il suo successore Onorio III contò sul sostegno dei Domenicani: entrambi i tentativi, pe-rò, non offrirono la risposta sperata. Gregorio IX, da parte sua, poteva disporre dei frati Minori, della capillarità dei loro inse-diamenti e di quell’originario e fondativo legame che l’Ordine di Francesco aveva con il monastero assisano di Chiara.

In realtà, anche ai Minori la cura di tanti monasteri – che aumentavano continuamente di numero – cominciò a risulta-re sempre più gravosa e difficilmente gestibile41. Nel Capito-lo generale del 1230 decisero quindi di rivolgersi al papa Gre-gorio IX affinché chiarisse i punti dubbi e oscuri della regola del 1223 oltre che il valore da riconoscere al Testamento di Francesco. Il pontefice rispose con la lettera Quo elongati del 28 settembre 123042, il cui ultimo paragrafo era dedicato pro-prio ai rapporti tra i frati e i monasteri femminili: è chiaro che i frati si chiedevano come andava interpretato correttamente il divieto espresso in Rb xi e cosa era da intendere per “mona-stero”; ciò a conferma che la cura monialium era diventata una caratteristica rilevante dell’apostolato dell’Ordine. Il pa-pa precisava che la disposizione della regola era estesa a tut-ti i monasteri delle monache43.

41. Cf. h. grUndMAnn, Movimenti religiosi nel Medioevo; Movimento reli-gioso femminile e francescanesimo nel secolo xiii. Atti del vii Convegno in-ternazionale della Società internazionale di studi francescani. Assisi 11-13 ottobre 1979, Assisi 1980; F. AccroccA, Chiara e l’Ordine francescano, in Clara claris præclara, 339-379.42. Il testo latino della lettera è in Bullarium Franciscanum, i, 68-70, n. 56; l’edizione critica in h. grUndMAnn, Die Bulle «Quo elongati» Papst Gregors IX, “Archivum Franciscanum Historicum” 54 (1961) 3-25; la traduzione italiana in FF 2729-2739.43. «Finalmente, poiché è scritto in detta regola: Che i frati non entrino nei monasteri di monache, a eccezione di quelli ai quali sia stata concessa li-cenza speciale dalla Sede apostolica; sebbene fino ad ora i frati abbiano

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

577

Dal testo di Gregorio IX si evincono alcuni elementi inte-ressanti: ancora nel 1230 il papa parla dei monasteri delle Po-vere monache recluse e non di Ordine di San Damiano44; si fa riferimento ad una costituzione del Capitolo generale viven-te san Francesco, della quale non conosciamo null’altro che questa informazione; con il permesso dei loro superiori, per la predicazione e la questua i frati possono entrare nelle zone dei monasteri in cui hanno accesso anche i secolari e tuttavia tale facoltà non riguarda i monasteri delle Povere monache re-

creduto di riferire questa prescrizione ai monasteri delle Povere monache recluse poiché di esse la Sede apostolica ha una cura particolare, e si ri-tiene che questa interpretazione sia stata dichiarata dai ministri provin-ciali in un Capitolo generale per mezzo di una costituzione particolare del tempo stesso della regola, vivente ancora il beato Francesco, tuttavia avete chiesto di sapere con più chiarezza se ciò vada inteso in generale di tutti i monasteri, dal momento che la regola non ne esclude nessuno, op-pure dei soli monasteri delle predette monache. Noi rispondiamo che la proibizione va intesa rispetto a tutti i conventi di monache. E con il nome di monastero intendiamo indicare il chiostro, la casa e i laboratori inter-ni, perché agli altri reparti dove hanno accesso anche i secolari, pure i frati possono accedere, per motivo di predicazione o di questua, natural-mente quelli ai quali sia stato concesso dai rispettivi superiori, tenuto conto della loro maturità o idoneità. Sono eccettuati sempre però i mona-steri delle predette recluse; a nessuno è concessa facoltà di accedere ad essi se non con speciale licenza della Sede apostolica» (Quo elongati, 11: FF 2739).44. Parlerà invece di Ordine di S. Damiano la dichiarazione pontificia Ordi-nem vestrum di Innocenzo IV del 14 novembre 1245 (Bullarium Francisca-num, i, 400-402, n. 114): «Riguardo poi a quanto è contenuto nella regola che i frati non entrino nei monasteri delle monache ad eccezione di coloro che ne abbiano avuta speciale licenza dalla Sede apostolica, dichiariamo che l’ingresso sarà loro proibito solo nei monasteri delle monache recluse dell’Ordine di San Damiano, nei quali a nessuno è lecito entrare se non a chi sarà concessa una speciale facoltà dalla Sede apostolica. E con il nome di monastero intendiamo che siano inclusi il chiostro, le case e i laboratori interni. Ma ai cenobi delle altre monache possono recarsi ed entrare per predicare, per chiedere l’elemosina, o per altre cause convenienti e ragio-nevoli, quei frati come anche gli altri religiosi a cui sia stato concesso dai rispettivi superiori, tenuto conto della loro maturità e idoneità» (Ordinem vestrum, 9: FF 2739/10, sebbene la traduzione italiana di questo paragra-fo sia incompleta).

capitolo 11

578

cluse nei quali, secondo l’interpretazione pontificia, occorre avere una speciale licenza anche per tali incombenze. Ciò pe-rò contrastava con la prassi seguita dai frati Minori verso la comunità di San Damiano, così Chiara reagì tenacemente al-la disposizione papale, secondo quanto ci racconta la Legen-da scritta da frate Tommaso da Celano:

Una volta il signor papa Gregorio aveva legiferato che nessun frate andasse ai monasteri delle donne senza sua licenza; do-lente la pia madre che le sorelle avrebbero ricevuto più rara-mente il cibo della sacra dottrina, sospirando disse: “Ci tolga d’ora in poi tutti i frati, dacché ci ha tolto quelli che ci offri-vano il nutrimento vitale”. E subito rispedì al Ministro tutti i frati, non volendo avere quelli che questuavano il pane ma-teriale, dal momento che non aveva più gli elemosinieri del pane spirituale. Il papa Gregorio, udito questo, subito rimise nelle mani del Generale quel divieto (LegsC xxiv, 7-10: FF 3232)45.

La dura reazione di Chiara lascia intuire che l’applicazio-ne della Quo elongati non solo non avrebbe facilitato la pre-senza dei predicatori nel monastero, ma che – e questo era il vero problema – avrebbe mutato i rapporti e le relazioni fino ad allora intercorse tra i frati ed il monastero di San Damia-no. Chiara rivendicava una sua peculiare identità non assi-milabile a quella delle Povere monache recluse: il papa, asse-condandone le giuste e legittime pretese, rimise la disposizio-ne nelle mani del ministro generale frate Giovanni Parenti, riconoscendogli un ruolo istituzionale nei confronti del mona-stero assisano.

Tuttavia, stando al testo della Quo elongati, la reazione di Chiara pone degli interrogativi. Il testo papale afferma che i frati riferivano la prescrizione di Rb xi ai monasteri delle Po-vere monache recluse con una dichiarazione capitolare del tem-

45. Cf. M. gUidA, Una leggenda in cerca d’autore, 172-175.

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

579

po di Francesco. Perché, dunque, la comunità di San Damia-no reagì a questa interpretazione solo nel 1230 e in risposta alla lettera papale? Ciò vuol dire che Chiara e la sua comuni-tà non erano parte dei monasteri delle Povere monache reclu-se o che per loro non si applicava tale norma? Se così fosse, re-sta ancor più inspiegabile il motivo della reazione: perché man-dar via i frati questuanti se potevano accedere alle zone dei monasteri cui già erano ammessi i secolari? Oppure la spie-gazione sta nel fatto che con la Quo elongati – dichiarando in modo esplicito cosa debba intendersi per monastero – si vie-tava definitivamente ai frati l’accesso al chiostro, alla casa e ai laboratori interni a San Damiano, privilegio di cui il pro-cesso di canonizzazione e la Legenda clariana danno poche ma significative testimonianze46? La questione – pur non rilevan-te in senso stretto con il divieto di Rb xi – rivela quanto diffi-cilmente la comunità di Chiara possa essere collocata fuori dall’Ordine dei frati Minori e sottostare a norme che ne sna-turino l’identità e la fisionomia di monastero che è e si perce-pisce come una casa dell’Ordine minoritico47. Al di là di que-ste considerazioni e dell’originalità del monastero clariano, resta valido il divieto espresso in Rb xi di garantire e salva-guardare la castità dei frati nei confronti non solo delle don-ne, ma anche delle monache, comprese pure le sorelle dimo-ranti a San Damiano.

46. Si ricordi almeno la presenza in San Damiano dei frati Bentivenga, Stefano, Ginepro, Rainaldo, Leone ed Angelo, la cui frequentazione del mo-nastero assisano è significativamente testimoniata dalle fonti.47. È importante notare che, a poco più di un ventennio di distanza dalla Quo elongati, a proposito degli ingressi all’interno del monastero la regola di Chiara stabilisce che «non si apra affatto a chi volesse entrare, se non a coloro cui sia stato concesso dal sommo pontefice o dal signor cardinale. Non permettano le sorelle che alcuno entri in monastero prima del sorge-re del sole, né alcuno rimanga dentro dopo il tramonto, a meno che lo esiga una causa manifesta, ragionevole e inevitabile» (RsC xi, 7-8: FF 2813-2814) (FederAzione s. chiArA di Assisi delle clArisse di UMbriA-sArdegnA, Il Vangelo come forma di vita, 445. Per approfondimenti cf. le pagine 455-457).

capitolo 11

580

3. Non si facciano padrini

Il terzo divieto di Rb xi rivolto ai frati è che non «si faccia-no padrini di uomini o di donne, affinché per questa occasio-ne non sorga scandalo tra i frati o riguardo ai frati». Quest’ul-tima norma, come le due precedenti, è assunta dal diritto e dalla tradizione monastica ed è finalizzata a tutelare la casti-tà dei frati e la loro libertà verso i rapporti familiari e gli ob-blighi conseguenti al comparatico: «essere padrino implicava certi doveri gravosi e, secondo gli usi, manifestazioni sconve-nienti di parentela (il bacio tra padrino e madrina e tra pa-drino e figlioccia). I frati dovevano evitare ogni ombra di scan-dalo, essere fedeli alle norme della Chiesa ed essere conse-guenti con la prima opzione della sequela, rinuncia a ogni vin-colo di parentela (Rnb i, 4-5: FF 4; Rb ii, 4-6: FF 77)»48. La proi-bizione della regola riguardava ambo i sessi.

Un’interessante ed illuminante rassegna di fonti concer-nenti questo divieto è offerta dal padre Oliger in apparato all’edizione della Rb posta in appendice al commento dei Quat-tro Maestri49: si riportano di seguito perché – così come le fon-ti già segnalate nell’introduzione – aiutino a comprendere che il divieto di Rb xi non costituisce una norma esclusiva della legislazione minoritica. Oltre che nella già segnalata regola di Ferréol, xv, la proibizione appare abbastanza diffusa: «Non è lecito all’abate o al monaco accogliere figli dal battesimo né avere madrine» (Conc. Antissiodorense, a. 578); «I monaci non abbiano padrini o madrine, e non bacino le donne» (Capitula-ria, a. 817); «Non si accolga per il battesimo nessun bambino»

48. J. gArrido, La forma di vita francescana ieri e oggi, Padova 1987, 258. Esser afferma che «questa terza proibizione si pone dunque sulla stessa li-nea delle prime due: si tratta sempre del retto atteggiamento dei frati con le donne. Francesco cerca di allontanare le tre occasioni sopraddette che potrebbero essere pericolose alla “vita in castità”. Nel capitolo xi dunque egli si limita a mettere in guardia dai pericoli, senza dire una parola co-struttiva per questi problemi» (k. esser, «Melius catholice observemus», 215).49. Cf. Expositio Quatuor Magistrorum, 191-192.

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

581

(Reg. ad monachos S. Aureliani Arelatensis Ep.); «[I reclusi so-litari] non facciano assolutamente anche da padrini o madri-ne» (Grimlaicus, Reg. Solitariorum, sæc. ix, c. xvi); «Né i mo-naci siano padrini né le monache siano madrine» (Conc. Lon-dinense, a. 1102, c. xix); «Che nessuno d’ora innanzi divenga padrino. Ordiniamo quindi a tutti in generale, sia militari che vassalli, che nessuno assolutamente presuma di levare bam-bini dal fonte, e in così grande sacramento non si vergogni di rifiutare i padrini e le madrine, perché una tale vergogna ap-porta più gloria che peccato e senza dubbio non procura un bacio di donna, anzi scaccia il disonore» (Reg. Templariorium, a. 1128, c. lxxi).

Anche la regola di Chiara d’Assisi, rivolgendosi alle «sorel-le che servono fuori del monastero», stabilisce che queste si «guardino fermamente dall’avere rapporti o conversazioni so-spetti con alcuno, né facciano le madrine di uomini e di don-ne, perché per questa circostanza non abbia a sorgere mormo-razione o turbamento» (RsC ix, 13-14: FF 2804)50. Si noti lo stretto legame, anche letterale, con Rb xi: a proposito del com-paratico, «l’unico cambiamento che Chiara apporta rispetto alla regola bollata riguarda le conseguenze di questi rappor-ti: Francesco coglie il pericolo dello scandalo tra i frati o a cau-sa loro, mentre Chiara mitiga questo scandalum in murmu-ratio vel turbatio, “mormorazione o turbamento”»51. Dai testi appena menzionati si evince che il rapporto di comparatico si instaura con l’amministrazione del sacramento del battesimo, il quale è pertanto interdetto ai monaci a motivo dei legami parentali e di familiarità anche con donne che ne verrebbero.

50. FederAzione s. chiArA di Assisi delle clArisse di UMbriA-sArdegnA, Il Vangelo come forma di vita, 373. I rapporti di questo testo della Forma di vita clariana con le regole precedenti sono ben mostrati in FederAzione s. chiArA di Assisi delle clArisse di UMbriA-sArdegnA, Chiara di Assisi e le sue fonti legislative, 90-91.51. FederAzione s. chiArA di Assisi delle clArisse di UMbriA-sArdegnA, Il Vangelo come forma di vita, 404.

capitolo 11

582

Francesco chiede ai frati che sia evitato lo scandalo all’in-terno e all’esterno della fraternità. È importante notare come l’affermazione «affinché per questa occasione non sorga scan-dalo tra i frati o riguardo ai frati» riguardi soltanto l’ultimo divieto e non tutto il capitolo. Il testo fa esplicito riferimento al divieto del comparatico (hac occasione); diversamente avrem-mo avuto un riferimento ad occasiones di scandalo. Negli scrit-ti di Francesco la parola scandalum ricorre solo un’altra vol-ta in Rnb vii, 1: «Tutti i frati, in qualunque luogo si trovino presso altri per servire o per lavorare, non facciano né gli am-ministratori, né i cancellieri, né presiedano nelle case in cui prestano servizio; né accettino alcun ufficio che generi scan-dalo o che porti danno alla loro anima (cf. Mc 8, 36); ma sia-no minori e sottomessi a tutti coloro che sono in quella stes-sa casa» (FF 24)52. Il malum exemplum lo si trova in Am iii, 11: «Vi sono infatti molti religiosi che, con il pretesto di vede-re cose migliori di quelle che ordinano i loro prelati, guarda-no indietro (cf. Lc 9, 62) e ritornano al vomito (cf. Pr 26, 11; 2Pt 2, 22) della propria volontà. Questi sono degli omicidi e a causa dei loro cattivi esempi mandano in perdizione molte anime» (FF 151), e in Rnb iv, 6: «E si ricordino i ministri e ser-vi che il Signore dice: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire” (Mt 20, 28), e che a loro è stata affidata la cura delle anime dei frati, e se di essi qualcuno si perdesse per lo-ro colpa e cattivo esempio, nel giorno del giudizio dovranno renderne ragione (cf. Mt 12, 36) davanti al Signore Gesù Cri-sto» (FF 14). Il buon esempio per Francesco è quello felicemen-

52. Il verbo “scandalizzare” ricorre in Am xiv, 3: «Ci sono molti che, appli-candosi insistentemente a preghiere e occupazioni, fanno molte astinenze e mortificazioni corporali, ma per una sola parola che sembri ingiuria ver-so la loro persona, o per qualche cosa che venga loro tolta, scandalizzati, subito si irritano» (FF 163) e in Rnb xxii, 15: «Quello poi che cadde su terra sassosa, sono coloro che, non appena ascoltano la parola, subito la accolgo-no con gioia; ma quando sopraggiunge una tribolazione o una persecuzione a causa della parola, immediatamente ne restano scandalizzati; e questi non hanno radice in sé, sono incostanti, perché credono per un certo tempo, ma nell’ora della tentazione vengono meno» (FF 58).

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

583

te descritto in 1Lf 10: «Siamo madri [del Signore], quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo (cf. 1Cor 6, 20) per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplen-dere in esempio per gli altri (cf. Mt 5, 16)» (FF 178/2; lo stes-so testo anche in 2Lf 53: FF 200). Il buon esempio è il santo operare che ci permette di generare il Signore portandolo nel nostro cuore e nel nostro corpo, vivendo cioè una maternità di lui che ci mette in grado di donarlo agli altri attraverso l’esem-pio, appunto, della nostra vita. Ciò che invece allontana o di-stoglie dal Signore e dalla sua sequela è considerato cattivo esempio. Il cattivo esempio è una pietra d’inciampo sul cam-mino della sequela. Cattivo esempio e scandalo non sono equi-valenti né sinonimi, ma il primo può generare il secondo quan-do colui che ne è colpito inciampa o cade nel cammino di se-quela e nel vivere la propria vocazione (tra cattivo esempio e scandalo c’è dunque una relazione di causa-effetto). Nel caso di Rb xi lo scandalo tra i frati e circa i frati impedirebbe loro di vivere totalmente e liberamente il vangelo così come pre-scritto dalla regola professata.

La lettura di Rb xi non può pertanto che aprirsi a questi temi più ampi della sequela del Signore, pena il rischio di ri-manere imprigionati nei divieti e nei precetti. Del resto, que-sti non sono fine a se stessi, ma hanno come unico obiettivo di aiutare i frati a vivere il vangelo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità.

III. Il testo nel nostro contesto

1) L’amore preferenziale per Cristo e per il suo Regno è la ragione della nostra vita evangelica, vissuta nella castità, che ci permette di crescere nella libertà del cuore, per amare tut-ti in Dio con cuore indiviso. Per mezzo della castità consacra-ta, la nostra vita e le nostre fraternità diventano un segno

capitolo 11

584

profetico del Regno di Dio in mezzo a noi e un annuncio della vita futura nel Signore53.

Quello della castità è un dono-impegno da custodire e ali-mentare con fedeltà, nell’accettazione delle privazioni e delle difficoltà che esso comporta. La vita sacramentale e la pre-ghiera, la vita fraterna in comunità ed il generoso servizio ai fratelli, l’amicizia liberante ed il lavoro assiduo vissuto come «grazia» (cf. Rb v, 1: FF 88), sono gli “strumenti” a cui ricorre-re per far crescere e per sostenere la fedeltà al voto di casti-tà, oltre che per raggiungere quella necessaria maturità che ci permetta di passare dall’amore egoistico e possessivo a quel-lo generoso, libero e liberante. È l’impegnativo e mai conclu-so cammino della custodia del cuore: secondo l’insegnamento di Gesù ripreso da Francesco «“Dal cuore degli uomini proce-dono ed escono i cattivi pensieri, gli adulteri, le fornicazioni, gli omicidi, i furti, l’avarizia, la cattiveria, la frode, l’impudi-cizia, l’occhio cattivo, le false testimonianze, la bestemmia, la superbia, la stoltezza (Mc 7, 21-22; Mt 15, 19). Tutte queste co-se cattive procedono dal di dentro, dal cuore dell’uomo, e sono queste cose che contaminano l’uomo” (Mc 7, 23; Mt 15, 20)» (Rnb xxii, 7-8: FF 57). Per noi frati Minori, la vita fraterna de-ve costituire un’opportunità per favorire amicizie profonde e autentiche, libere ed inclusive, grazie alle quali sia favorita la crescita umana e spirituale, e sia garantito l’equilibrio psico-logico indispensabile per affrontare i rischi che minacciano il nostro celibato: apatia, isolamento, individualismo, ricerca di una vita comoda e agiata, compensazioni indebite, disordini affettivi, ecc..

I divieti di Rb xi hanno una finalità positiva, quella cioè di salvaguardare la castità dei frati e di tutelare la loro libertà in ambito affettivo, nella disponibilità e nell’impegno aposto-lico, nel contesto delle relazioni familiari e amicali. La sinte-

53. Alla castità dedicano alcuni articoli le attuali costituzioni generali degli Ordini minoritici: cf. Cost. Ofm., artt. 5 § 1; 6 § 1; 9; Cost. OfmCaP., artt. 21 § 1 e § 2; 168-173; Cost. OfmCOnv., artt. 18-19; 96 § 1, § 2 e § 3.

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

585

tica normativa della regola non specifica nel concreto la por-tata dei divieti: a questo scopo, i frati del xiii secolo ricorsero alle interpretazioni papali e ai commenti di dotti esponenti dell’Ordine (nonostante l’ingiunzione di Francesco di non fa-re glosse alla regola!). Ebbene, se già per i frati del Duecento tale normativa risultava insufficiente e poco chiara, lo è an-cor più per noi adesso, a distanza di otto secoli, per le mutate condizioni sociali, culturali e religiose del nostro tempo. Re-sta invariato e fatto salvo il valore – la castità nella libertà – ma cambiano notevolmente le sfide e i rischi con cui la fedel-tà al voto deve confrontarsi. Oggi, per grazia di Dio, viviamo in una società che non frappone barriere fra uomo e donna: si lavora insieme, ci si confronta, si intrecciano relazioni ed ami-cizie, ci si frequenta per stare insieme e condividere gioie e fa-tiche: tuttavia, «nonostante che oggi si siano chiariti tanti con-cetti come, per esempio, il valore della sessualità, il rilevante ruolo della donna nella società, la sua grande importanza per equilibrare la stabilità affettiva dell’uomo ecc. la vigilanza mai cessa d’essere necessaria. È quasi un assioma che, senza di-sciplina interiore ed esteriore, la castità è un mito»54.

La sfida per noi oggi è altrettanto o ancor più impegnativa che per il frate medievale. Internet, ad esempio, con le sue ri-sorse e potenzialità, è per noi non solo una grande opportuni-tà, ma sempre di più una condizione indispensabile per il la-voro e le relazioni. A questo aspetto positivo della Rete, non-dimeno, si contrappone quello negativo che genera in molti dipendenza dal computer o dallo smartphone – soprattutto a motivo dei social network o delle chat – con il rischio di una estraneazione dalla realtà per rifugiarsi in relazioni virtuali (che non è escluso possano diventare reali), sottraendo tempo prezioso ai fratelli in carne ed ossa, e in definitiva al Signore, con conseguenze negative sulla vita affettiva e religiosa dei frati.

54. F. Uribe, La regola di san Francesco. Lettera e Spirito, 302.

capitolo 11

586

La maggior parte dei fratelli che lasciano l’Ordine, testi-moniano che alla base di tale scelta vi è una forte crisi di fe-de irrisolta, alla quale, in molti casi, si aggiunge come effetto la relazione con una donna55. Saremmo, altresì, degli ingenui se pensassimo che per noi oggi la donna sia l’unico o il mag-gior “rischio” alla vita celibataria. È la stessa Rb a dirci, con il divieto riguardante il comparatico, che la castità esige che siano disciplinate anche le relazioni con gli uomini: «Cercan-do una pur sempre faticosa integrazione di tutte le nostre istanze e tendenze – siano esse eterosessuali o omosessuali – non possiamo scendere a compromessi con le nostre inclina-zioni e giustificare così una “terza via” o una “doppia vita” per vivere la nostra sessualità e castità»56.

2) Il tema delle relazioni affettive e della castità dei frati Minori riguarda anche i rapporti con le monache. La norma di Rb xi, che vieta ai frati di entrare nei monasteri delle mo-nache, è da intendere in modo ampio e generale; come la re-gola, pertanto, si rifà alle disposizioni del diritto e alla disci-plina dell’antica tradizione monastica, così oggi occorre rifar-si a quanto la Chiesa legifera circa il tema in questione. An-che su questo aspetto della nostra vita occorrerà rifarsi alle costituzioni generali, che rappresentano in concreto il modo in cui vivere oggi la regola, riconoscendo anche il giusto valo-re ai documenti della Chiesa riguardanti la vita contemplati-va e claustrale57.

55. Garrido, nel suo commento alla Rb, afferma giustamente che «la que-stione fondamentale dell’affettività non sia la donna, ma il Padre», dal mo-mento che «la verginità si nutre del mistero di Dio. Inseparabile, perciò, dalla contemplazione» (J.gArrido, La forma di vita francescana ieri e oggi, 264.265).56. g. bini, L’Ordine Oggi: riflessioni e prospettive, Roma 2000, 38.57. Tra i diversi documenti si tenga conto almeno delle seguenti Istruzioni: sAcrA congregAtio Pro religiosis et institUtis sæcUlAribUs, Venite seor-sum (15 agosto 1969), AAS 61 (1969) 103-120; congregAzione Per gli isti-

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

587

Nel panorama del monachesimo e della vita religiosa fem-minile, un ruolo di primo piano ricoprono, per noi frati Mino-ri, le sorelle Clarisse del II Ordine. Per sgombrare il campo da ogni ambiguità, va subito detto che il divieto di Rb xi circa l’in-gresso nei monasteri delle monache, non può diventare un pretesto per non aver cura ed interesse delle sorelle del II Or-dine di santa Chiara. Tutt’altro: «Fin dal periodo della forma-zione, i frati imparino a tenere nella massima considerazione il valore della vita e del carisma delle Clarisse. Siano perciò sempre disposti ad assicurare loro ogni assistenza spirituale e materiale» (Stat. OfmCOnv., art. 88). Memori dell’impegno preso da Francesco per sé e per i suoi frati di avere sempre, per Chiara e le sue sorelle, cura diligente e sollecitudine spe-ciale, i frati Minori riconoscono nelle sorelle del II Ordine la stessa vocazione evangelica che lo Spirito suscitò in France-sco ed in Chiara d’Assisi58. Nelle costituzioni generali il rap-porto tra Francesco e Chiara è preso a modello del rapporto tra i frati e le donne: «Dovendo amare il Signore in tutte le creature con cuore puro, casto corpo e sante azioni, il compor-tamento dei frati anche verso le donne, specialmente quelle consacrate a Dio, sia rispettoso e delicato sull’esempio di san Francesco» (Cost. OfmCOnv., art. 19, § 3); «Sull’esempio dell’af-fetto nobile di frate Francesco per sorella Chiara, il nostro comportamento con le donne sia caratterizzato da cortesia, ri-spetto e senso di giustizia» (Cost. OfmCaP., art. 172, § 2). Le costituzioni generali, inoltre, chiedono ai frati Minori di pren-dersi cura e di promuovere la vita contemplativa delle sorel-le Clarisse: «Un particolare legame dobbiamo averlo verso le nostre sorelle che, nella vita contemplativa, offrono quotidia-

tUti di vitA consAcrAtA e le società di vitA APostolicA, Verbi sponsa (13 maggio 1999), Città del vaticano 1999.58. Per una esaustiva e puntuale trattazione dei rapporti carismatici e giu-ridici tra oFM., oFMcAP., oFMconv e l’Ordine di S. Chiara (Clarisse, Claris-se Cappuccine, Clarisse Urbaniste, Concezioniste), si rinvia a c. dUrighet-to, I monasteri di monache associati agli Ordini mendicanti (can. 614) (Studi Giuridici, 88), Roma 2010, 229-292.

capitolo 11

588

namente il sacrificio della lode, cercano nella solitudine e nel silenzio l’unione con Dio e dilatano la Chiesa con segreta fe-condità apostolica» (Cost. OfmCaP., art. 94, § 3); «I Superiori provvedano loro con premura confessori capaci, predicatori, assistenti spirituali e cappellani; tutti costoro promuovano ef-ficacemente la vita contemplativa delle monache, la quale de-ve avere sempre un posto privilegiato nella Chiesa, e la vita spirituale e apostolica delle altre religiose» (Cost. OfmCOnv., art. 115, § 2); «Affinché la vita contemplativa dei medesimi monasteri fiorisca più perfettamente e con maggiore efficacia nella Chiesa e nel mondo, gli Assistenti spirituali aiutino le monache a formarsi nello spirito di orazione, nella testimo-nianza viva di sorella povertà e nello zelo missionario» (Cost. Ofm., art. 58)59. Basti questa breve rassegna di articoli delle costituzioni generali per comprendere, qualora ve ne fosse bi-sogno, l’intimo rapporto che lega, ancora oggi, noi frati Mino-ri alle sorelle Clarisse. Reciprocità vitale riconosciuta e riven-dicata dalle stesse sorelle del II Ordine: «Poiché “un solo e me-desimo Spirito ha fatto uscire i frati e le donne poverelle da questo mondo” (2Cel 204), i nostri rapporti siano più familia-ri e più stretti con i frati Minori, tanto sul piano spirituale quanto su quello giuridico e materiale» (art. 121, § 1); pertan-to, «memori dell’obbligo che san Francesco assunse per sé e per il suo Ordine, dobbiamo sollecitare l’aiuto spirituale dei frati Minori e preferire che siano essi i nostri cappellani, i pre-dicatori degli Esercizi spirituali, i confessori e ad occuparsi della nostra formazione permanente» (art. 121, § 5)60.

59. Cost. Ofm., art. 56 § 1 «I frati, del tutto riconoscendo lo stesso carisma ed i mutui legami, abbiano sempre diligente cura ed attenzione verso le monache del II e del III Ordine di san Francesco. § 2 È dovere del Primo Ordine mantenere e tutelare l’unità spirituale con le monache del Secondo e Terzo Ordine, e promuoverne le Federazioni, salva sempre la loro autono-mia di vita e soprattutto di governo».60. Regole e Costituzioni generali dell’Ordine delle Sorelle Povere di Santa Chiara, a cura delle Federazioni delle Clarisse d’Italia, S. Maria degli An-geli - Assisi 1989, 147-148. Per approfondimenti sulle costituzioni delle di-verse famiglie dell’Ordine di S. Chiara (Clarisse, Clarisse Cappuccine, Cla-

Marco Guida: Le relazioni con le sorelle

589

La comunione tra i e II Ordine ha il suo fondamento non solo nell’esperienza personale di Francesco e Chiara, ma an-che nei valori fondamentali della loro vita evangelica che ac-comunano le regole dei due distinti Ordini, i quali riconosco-no la loro scaturigine da un unico carisma fontale. La Rb e la RsC, infatti, indicano ai fratelli e alle sorelle come «osserva-re il santo vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità» (Rb i, 1: FF 75; RsC i, 2: FF 2750), raccomandano loro di «desiderare sopra ogni cosa di avere lo Spirito del Signore e la sua santa opera-zione» (Rb x, 8: FF 104; RsC x, 9: FF 2811), «così che, allonta-nato l’ozio nemico dell’anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altre cose temporali» (Rb v, 2: FF 88; RsC vii, 2: FF 2792)61. Dunque, a motivo di tale fondamento ispirazionale e carisma-tico, «l’esperienza di questa comunione ci obbliga ad andare ben a di là di ogni “compensazione affettiva”: non ci si avvici-na per “strategie pastorali-vocazionali” o per il bisogno di “ap-poggiarci” gli uni alle altre, di “sentirsi bene” gli uni accanto alle altre. Ci si avvicina per comunicarci “qualcosa di nuovo riguardo al Signore”, per accelerare il passo verso di lui. È una ricerca in comune, trepida e sincera, di Colui che sta all’origi-ne della nostra avventura»62. Sarà solo conoscendo e rispet-tando la vocazione e l’identità di ciascuno, che i rapporti tra fratelli e sorelle potranno diventare cura reciproca nella gra-tuità e nella libertà, senza banalizzazioni, pretese o rivendi-cazioni, nel rispetto delle persone e nella custodia dei luoghi, osservando con sapiente e discreta fedeltà quanto indicato dalle regole, dalle costituzioni generali e dalle norme della Chiesa.

risse Urbaniste, Concezioniste), si rimanda al già citato studio di dUri-ghetto, I monasteri di monache associati.61. La significativa dipendenza della RsC dalla Rb è visivamente riscon-trabile in FederAzione s. chiArA di Assisi delle clArisse di UMbriA-sArde-gnA, Chiara di Assisi e le sue fonti legislative.62. g. bini, Chiara d’Assisi. Un inno di lode, Roma 2002, 22.