la religione dei daci in eta romana

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Matteo Taufer (ed.) Sguardi interdisciplinari sulla religiosità dei Geto-Daci

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Matteo Taufer (ed.)

Sguardi interdisciplinari sulla religiosità dei Geto-Daci

ROMBACH WISSENSCHAFTEN · REIHE PARADEIGMATA

herausgegeben von Bernhard Zimmermann in Zusammenarbeit mit Karlheinz Stierle und Bernd Seidensticker

Band 23

Matteo Taufer (ed.)

Sguardi interdisciplinari sulla religiosità

dei Geto-Daci

Bibliografische Information der Deutschen NationalbibliothekDie Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über <http://dnb.d-nb.de> abrufbar.

Gedruckt mit Unterstützung der

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

© 2013. Rombach Verlag KG, Freiburg i.Br./Berlin/Wien1. Auflage. Alle Rechte vorbehaltenLektorat: Sarah WitteUmschlag: typo|graphik|design, Herbolzheim i.Br.Satz: Martin Janz, Freiburg i.Br.Herstellung: Rombach Druck- und Verlagshaus GmbH & Co. KG, Freiburg im BreisgauPrinted in GermanyISBN 978-3-7930-9751-8

SORIN NEMETI (Cluj-Napoca)

La religione dei Daci in età romana1

AbstractThe identification of autochtonous deities in the province Dacia is difficult for several reasons. There are no written sources about the religion of the Dacians just before the conquest of the Dacian Kingdom, no Dacian names or local theonyms and epithets in the inscriptions from Dacia, no local iconographies and so on. The problem of the existence of the Dacians in the province Dacia, the so-called ›Dacian paradox‹ has worried scholars since the time of the birth of national historiographies. The solutions found by each in their own time are very different and their inventory could be relevant. Our analysis put in the light the various solutions proposed in order to solve the aporia of Dacian religion in the Roman age, grouped into the following categories: 1. epigraphic fakes; 2. hapax deities; 3. predilect adoration and the ›Dacian triad‹; 4. nameless gods of the Dacians: the regional iconographic types; 5. exterminated gods.

KeywordsDacians, religion, Roman Empire, epigraphy

Sono trascorsi quasi cinquant’anni da quando Nicolae Gostar pubblicò il suo saggio sui »culti autoctoni nella Dacia romana«. L’articolo s’apriva sì in posi-tivo, poiché l’epigrafista intendeva dimostrare l’esistenza di alcune divinità daciche, velate sotto nomi romani, nel pantheon provinciale (la Dea Placida, la Dea Regina, Diana mellifica, nonché Silvano, il Padre Libero, Ercole o la Madre Terra), ma terminava con una nota scettica: Gostar ammetteva infatti l’impossibilità di provare la continuità dei culti dacii in età romana.2

Qual è lo stato attuale della ricerca? Benché nell’ultimo mezzo secolo le scoperte siano andate moltiplicandosi, e iscrizioni/monumenti scultorei siano stati catalogati in corpora,3 risulta tuttavia impossibile redigere una storia della religione dei Daci in epoca romana, ovvero, in più ampia prospettiva, una

1 Il presente lavoro s’inserisce entro il progetto CNCSIS, PN-II-RU-TE-2011-3-0131, »Digital Corpus for the Virtual Exploration of the Antiquity. Art and Text on Roman Monuments from Dacia«. Ringrazio il Museo di Storia della Transilvania di Cluj-Napoca per l’autoriz-zazione a riprodurre in fotografia alcuni reperti della sua collezione.

2 Cf. Gostar 1965, 237-254.3 Cf. Nemeti 2012, 21-38.

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storia dell’acculturazione della popolazione dacica indigena.4 Il problema risiede nella mancanza pressoché totale di fonti. L’identificazione d’alcune divinità daciche nella provincia Dacia è difficile per molteplici ragioni: le nostre conoscenze quasi nulle sulla religione dei Daci prima della conquista del loro territorio;5 le ridotte informazioni sull’onomastica dacica, segnatamente nelle epigrafi votive della Dacia;6 la mancanza di teonimi ed epiteti epicorii nelle iscrizioni; l’assenza d’iconografie locali e così via.7 Vi sono varî criteri per identificare divinità autoctone entro l’Impero romano. Il più ovvio verifica l’attestazione di teonimi ›barbarici‹, di epiteti epicorii in iscrizioni votive, o quanto meno di tipi iconografici che rappresentino sì una divinità classica, ma in atteggiamenti o con attributi non conformi ai canoni classici. In taluni casi l’interpretatio è meno agevole, poiché la rappresentazione di divinità barbariche è mal decifrabile a causa di un abbigliamento ›classico‹. Gli dèi del pantheon ›funzionalistico-familiare‹ greco-romano sono meglio strutturati, presuppongono una ricca mitologia e una teologia coerente; si manifestano inoltre in modo ›imperialistico‹, per cui la rappresentazione della divinità barbarica diviene sovente irriconoscibile nel nuovo composi-tum sincretistico. Nondimeno, siamo in grado di ravvisare il profilo di una divinità indigena se sussistono indizi, in una determinata area provinciale, dell’adorazione prediletta d’un dio greco-romano da parte di una comunità indigena. In tal caso occorre identificare l’origine etnica dei fedeli.8 Il problema dell’esistenza dei Daci nella provincia Dacia – il cosiddetto ›para-dosso dacico‹ – ha preoccupato gli studiosi sin dalla nascita delle storiogra-fie nazionali. Varie sono le soluzioni avanzate da ciascuno a seconda delle epoche: sarà istruttivo passarle in rassegna.

1. Falsi epigrafici

Già tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo i Daci figuravano nei rac-conti storici della Transilvania. L’ultima sconfitta di Decebalo avrebbe avuto luogo sul Prato di Traiano, vicino all’odierna Turda, mentre il suicidio del re dei Daci veniva localizzato sulla collina della cittadella di Cluj, l’antica Na-

4 Cf. Nemeti 2005, 185-218.5 Cf. Dana 2008.6 Cf. Dana 2003, 166-186; Dana 2004, 430-448.7 Cf. Bărbulescu 2003, 286-291.8 Cf. Toutain 1907-1920.

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poca.9 L’iscrizione funeraria di Potaissa riguardante Aia Nandonis, Andrada Bituvantis, Bricena, Iusta e Bedarus10 era considerata fin dal tempo di Zamo-sius come prova della presenza dacica nelle città della provincia.11 Andrada sarebbe stata una daca, visto il nome Androdus in Gellio; ma in quel passo delle Notti Attiche (V 14, 10), a ben vedere, si era verificato un guasto nella tradizione a stampa: si lesse infatti a lungo ad pugnam bestiarum Dacus, servus viri consularis; ei servo Androdus nomen fuit anziché, come nei codici, ad pugnam bestiarum datus, servus viri consularis; ei servo Androclus [Ἀνδροκλῆς] nomen fuit.Se i Daci abitavano appunto in una provincia romana, dove troviamo le loro divinità? Perché esse non compaiono in iscrizioni provinciali? Per rispondere positivamente a tali interrogativi – in sé certo legittimi – un pastore riformato di Turda, Harkányi Miklós (1757-1835), pensò bene di pubblicare una serie d’iscrizioni, a detta sua rinvenute negli anni 1796-97 tra le rovine del campo della Legio V Macedonica a Potaissa (Turda);12 alcune di esse, tuttavia, furono considerate falsi epigrafici, dunque opera di un falsario. Una di queste iscri-zioni, di presunta scoperta nel 1796, svelerebbe una dedica a Zalmoxis,13 il celebre e favoloso dio dei Geti ricordato da Erodoto:

Zamolxi / o(ptimo) m(aximo) / Get(arum) p(o)p(ulari) / Ermidi(us) Sigauus / sac(erdos) eiu(s) / v(otum) s(olvit).

Un’iscrizione di Micăsasa, copiata da Johann Seivert, parlava invece d’un dio altrimenti sconosciuto, un certo Sarmandus.14 Siccome il teonimo conteneva la radice sarm-, attestata pure nel nome dei Sarmati e nel toponimo Sarmize-getusa, molti si convinsero dell’origine dacica del dio. Harkányi suppose un secondo altare dedicato a questo dio,15 che sarebbe stato rinvenuto nel 1797 entro le succitate rovine del campo legionario:

Opt(imo) m(aximo) / deo Sarmando popul(ari) / ala Quintil(ia) [et] l(egio) V Macedo(nica) / v(otum) s(olverunt) pr(o) s(alute) Dac(iae).

9 Cf. Boner 1865, 433s.; Marțian 1921, 19.10 Cf. CIL III 917. 11 Cf. Zamosius, Analecta X: Androdus apud Gellium lib. XV cap. XIV Dacus servus est (Mihály/

Monok 1992, 82s.).12 Cf. Bărbulescu 2012, 29-31.13 Cf. Neigebaur 1851, 206 n° 45; Ackner/Müller 1865, 441 n° 663.14 CIL III 964; IDR III/4 92.15 Cf. Neigebaur 1851, 205 n° 33; Ackner/Müller 1865, 441 n° 664; CIL III 44*.

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L’altare visto da Seivert fu poi ritrovato a Micăsasa circa trent’anni fa e il nome del dio fu correttamente ripristinato nella forma Saromandus.16

2. Le divinità hapax

Una seconda categoria per l’identificazione di dèi indigeni nella provincia Dacia è costituita dai teonimi hapax, designanti cioè dèi unici, che parrebbero altrove ignoti nell’Impero. Ai tempi di Alexandru D. Xenopol e di altri rappresen-tanti della scuola critica, si ritennero autoctone divinità quali Sarmandus, Turmazgada, Sule e Badones,17 attestate nelle seguenti iscrizioni:

Micăsasa (jud. Sibiu), CIL III 964 = IDR III/4 92: Deo Sar/omando / Demetri/us Antoni /votum libe/ns posuit

Romula (Reșca, jud. Olt), CIL III 8027: Turmasgada / Max(imus) Maximinus et / Iulianus Maximinus / ex voto pos(uerunt)

Apulum (Alba Iulia, jud. Alba), CIL III 14471 = IDR III/5 43 (scoperta nel 1898): Badonib(us) / reginis / Sextia Au/gustina / ex voto

Apulum (Alba Iulia, jud. Alba), CIL III 1156 = IDR III/5 359 (vista a fine XVIII sec.): Sule(viae) / Fl(avius) Atta/lus votum / l(ibens) s(olvit).

Di queste divinità, ora, solo Turmazgada è riconosciuta dagli studiosi mo-derni come certamente siriaca. Di essa ci sono finora note sette iscrizioni, tre dalla Dacia (da Romula [jud. Olt] e da Micia [jud. Hunedoara]) e quattro ri-spettivamente da Roma, Treviri, Dura-Europos (Siria) e Cesarea di Palestina. Il contesto delle scoperte, l’iconografia e gli attributi, nonché l’origine degli adoranti mostrano che si tratta di un dio siriaco adorato dai Commageni come deus patrius, lontano dal paese d’origine.18 Diversamente, nell’iscrizione di Apulum citata per ultima, l’integrazione Sule(viae) e il richiamo alla dea britannica Sulis o alle Matres Suleviae sono mere ipotesi;19 il teonimo Sule – sempre che sia stato rettamente trascritto da Eckhel e Reinbold – rimane uno hapax. Analoghe considerazioni valgano per le Badones reginae, inserite

16 Cf. Mitrofan 1991, 188.17 Cf. Xenopol 1998 (1884) 25 (Turmazgada, Deus Sarmandus, Sule); Stech 1914, 472 (Bado-

nes). 18 Cf. Sanie 1981, 99-103; Nemeti 2005, 235-238.19 Cf. Macrea 1947, 40-46; Husar 1999, 254-256.

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nel pantheon gallo-romano in virtù delle radici celtiche badu-/bodu- (si pensi ad es. al Baduhennae lucus in Tac. Ann. IV 73 e alle Boudunnae matres in CIL XIII 8217).20 Queste quattro divinità hapax – Deus Sarmandus, Turmazgada, Badones e Sule(viae) – furono ritenute autoctone in quanto testimoniate, entro l’Impero romano, nella sola provincia traianea. Non possiamo tuttavia valerci, oggi, della medesima logica di fine Ottocento. Attestazioni uniche nella provincia Dacia potrebbero rispettivamente presupporre divinità oscure, poco note, ivi invocate da coloni e migranti venuti da ogni regione dell’Impero. Del resto, gli stessi nomi dei dedicanti – Sextia Augustina, Flavius Attalus, Demetrius Antoni – non paiono affatto dacii, bensì tipici di aree grecofone (almeno Demetrius ed Attalus21).

3. L’adorazione prediletta e la ›triade dacica‹

Una terza via per identificare divinità indigene nelle province si fonda sul principio dell’adorazione prediletta, ossia della diffusione di ex voto, consi-stenti in iscrizioni e monumenti scultorei, consacrati a una precisa divini-tà in una certa area dell’Impero (ad es. Mercurio in Gallia,22 Saturno in Africa23 ecc.). In base a indagini statistiche si è appurato che larga parte dei monumenti dedicati al Padre Libero, a Silvano e a Diana nelle province dell’Illirico celerebbero, dietro ai nomi classici, culti di divinità locali. Tale metodo fu applicato da Jules Toutain nella sua monografia Les cultes païens dans l’Empire romain, e degna di nota, per la Dacia, fu l’ipotesi di Alfred von Domaszewski, secondo cui Libero sarebbe stato il nome romano del più grande dio dei Daci.24 L’idea d’una triade dacica composta da Libero, Diana e Silvano si deve al criterio con cui von Domaszewski decodificò l’iconografia dell’arco di Be-nevento.25 Sul lato esterno (quello rivolto alla campagna) del parzialmente conservato pannello di sinistra troviamo il cosiddetto »omaggio alle divinità agresti provinciali«. Nel rilievo si riconoscono Traiano accanto agli dèi Sil-

20 Cf. Daicoviciu 1945, 154; Husar 1999, 222s.21 Cf. Ruscu 1998, 156 (Attalus), 160s. (Demetrius).22 Cf. Duval 1993, 69s.23 Cf. Leglay 1966, 61-71.24 Domaszewski 1895, 54. Cf. Tocilescu 1902, 22-28; Daicoviciu 1945, 147.25 Cf. Domaszewski 1895, 56.

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vano, Libero, Diana e Cerere; di fronte all’imperatore, poi, compare una personificazione femminile in ginocchio identificata con la Dacia. Sul lato interno, a sinistra, vediamo invece Traiano, Roma, i Penati del popolo ro-mano e le divinità di Stato (triade capitolina, Ercole, Libero e Mercurio). Lo storico interpretò il gruppo delle divinità campestri come »gli dèi protettori delle province danubiane«, ricordando la popolarità dei culti di Silvano, Li-bero e Diana nell’Illirico: un’›adorazione prediletta‹, dunque, statisticamente dimostrabile.26 A nostro avviso, però, le nuove scoperte e le ricerche di àmbito storico-religioso del XX secolo non hanno confermato le ipotesi di von Doma-szewski.27 Epigrafi e monumenti scultorei in Dacia che rispettivamente citano ed effigiano Silvano, Libero e Diana non esibiscono alcunché di specifico ascrivibile a un fondo religioso autoctono. Vediamo i tre casi in questione.Per il culto di Silvano nelle province danubiane, la recentissima sintesi di Mihály Loránd Dészpa rileva che, dei monumenti dedicati al dio agreste, il 75% proviene da Pannonie e Dalmazia, il 5% dalle Mesie, dal Norico e dalla Rezia (dove Silvano aveva un ruolo minore)28 e circa il 20% dalla Dacia: in quest’ultimo caso, tuttavia, gli epiteti in uso (Domesticus, Silvester, Augustus) e i tipi iconografici denotano influssi religiosi da Pannonie e Dalmazia anziché provare la diffusione di un culto locale.29

La sola iscrizione speciale riguardante il culto di Libero in Dacia resta l’altare di Ampelum dedicato dalla coppia Romanus ed Aurelia Chreste Libero Patri et Liberae. Ivi si parla, inoltre, di Hercliani et Cervae, due entità collettive interpre-tate già da Mommsen quali congregazioni dionisiache per uomini e donne.30

CIL III 1303 = IDR III/3 319: Libero P/atri et Li[b]/er(a)e Herclia[n]/i et Cervabu[s] / Romanus aug(usti) n(ostri) / et Ayr(elia) Creste [sic] vo[t(um)] / l(ibenter) posuerun[t].

Quanto infine a Diana, il suo culto provinciale in Dacia non ha nulla di specifico,31 tolto l’isolato epiteto mellifica in un’iscrizione dovuta a un certo Marcus Aurelius Comatius Super:32

26 Identica interpretazione in Fears 1981, 83s.27 Secondo Simon 1994, 666s., nei rilievi X e XI dell’attico la triade Cerere-Libero-Libera e

Diana apparterrebbero all’»Olimpo […] tipicamente romano in senso ufficiale«.28 Dészpa 2012.29 Ibid. 61-70.30 Così Th. Mommsen in CIL III 1303: »Hercliani et Cervae fuerunt fortasse collegia dua

virorum feminarumque […]«; si veda anche Bruhl 1953, 216.31 Cf. Bărbulescu 1972, 203-223.32 Cf. Gostar 1965, 242-245.

143La religione dei Daci in età romana

CIL III 1002 = IDR III/5 62: Dianae / mellificae / sacrum / Com(atius) Sup/er.

Mette tuttavia conto additare una coincidenza: tutte e tre le iscrizioni votive rimasteci di M. Aur. Comatius Super33 sono dedicate ai membri della co-siddetta ›triade dacica‹ di von Domaszewski. Vi troviamo infatti Liber Pater, Libera, Diana (mellifica), Silvanus:

CIL III 1095 = IDR III/5 241: [Libero Pa]tri et Liberae […iu]s M(arcus) Aur(elius) Co- […]tus mat(ius) Super […]? CF antistes ? eq(uo)] p(ublico).

CIL III 1154 = 7775 = IDR III/5 349: Silvano Silves/tri et Dianae / M(arcus) Aur(elius) Comat(ius) / Super dec(urio) an[t]is/tes pro salute / sua et Comatior(um) / Superiani Supe/res Exsupera(n)/tiani / Super/stitis filior(um) / v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito).

4. Gli dèi anonimi dei Daci: tipi iconografici regionali

L’assenza di teonimi ed epiteti epicorii in iscrizioni della provincia Dacia pone un forte limite alla nostra discussione sulla continuità dei culti dacii. Poiché le evidenze epigrafiche sono assai ridotte, gli storici volsero la propria atten-zione ai cosiddetti ›dèi anonimi‹. Vi sono infatti culti del cui dio ignoriamo il nome (ex voto privi di teonimi), ma che nondimeno offrono copiose e complesse iconografie. È il caso dei cosiddetti Cavalieri Danubiani, raffigurati su più di 350 monu-menti scoperti in area danubiana (con particolare diffusione nelle province di Pannonia, Mesia e Dacia). Quando Teohari Antonescu, nel 1889, lavorava alla sua prima monografia, gli erano noti solo 24 monumenti, 15 dei quali scoperti a nord del Danubio.34 Dumitru Tudor sostenne allora, con argo-menti diversi, che al centro di questo culto v’era una triade divina adorata da tribù daciche nord-danubiane. Eppure, già nel 1976 erano stati rinvenuti ben 232 rilievi con l’effigie dei Cavalieri Danubiani,35 e la statistica, di per sé, non suffragava piu l’idea dell’origine dacica, dato che la maggior parte dei monumenti era emersa nelle province di Mesia e Pannonia. Ma la tipo-

33 Nemeti 2005, 190-193; Szabó 2007 a, 53.34 Antonescu 1889, 1-29.35 Cf. Tudor 1969 e Id. 1976.

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logia e la cronologia elaborate da Tudor – che aveva datato i rilievi con un solo cavaliere (classe A) alla prima metà del II sec. e ipotizzato la diffusione iniziale in Dacia dei monumenti di tale classe – valsero ad argomentare la tesi dell’origine dacica di tale culto. Questi due fattori divennero il fulcro del suo sistema. Tuttavia, se non dovessimo più ammettere l’anteriorità dei monumenti di classe A – mera ipotesi di Tudor –, non potremmo più soste-nere l’origine dacica del culto. Meglio, a nostro avviso, attenersi al quadro diffusionista, e supporre che il luogo di nascita del culto sia stato nei pressi del Danubio nelle province di Mesia Inferiore e Superiore. In tale prospetti-va, le iconografie dei Cavalieri Danubiani sarebbero sorte nella medesima regione di provenienza delle stele del Cavaliere Tracio, riproponendo un mito locale con due cavalieri e una dea. Il culto godé di straordinaria popolarità fra i soldati dell’età del Principato, il che spiega la presenza dei numerosi rilievi in Dacia.36 Un altro caso d’iconografia regionale reputata autoctona è quella d’una coppia di divinità in trono – un uomo e una donna – senza attributi. La coppia anonima compare in una serie di terrecotte votive: si tratta di statuine prive d’iscrizioni, scoperte nelle città daciche di Apulum, Sarmizegetusa, Po-taissa e Porolissum.37 Gli dèi raffigurati furono a suo tempo ritenuti autoctoni da Constantin Daicoviciu, in quanto la produzione e circolazione di queste terrecotte parrebbe limitata alla Dacia.38 Ma visti l’anonimato della coppia e la mancanza d’attributi obiettò a buon diritto Alföldi che non si comprende »perché dovrebbero essere divinità daciche il dio barbuto che siede accanto alla dea moglie […].«39 Per quanto attiene ai teonimi, significativo è un piccolo calco per statuine in terracotta scoperto a Cristești. Sulla base delle statuine si leggeva soltanto Domina et Dominus propitii: gli appellativi lasciavano quindi nell’anonimato gli dèi venerati.40 La coppia Dominus et Domina / Domnus et Domna, notaci dall’epigrafia, era peraltro diffusa nella stessa zona danubiana, visti gli 11 ex voto scoperti in Pannonia, Mesia, Dacia e Dalmazia.41

Va opportunamente precisato che i varî tentativi di dare identità agli dèi dacii risentirono di sostrati ideologici di volta in volta diversi. Dapprima i Daci

36 Rinvio a Nemeti 2005, 200-218.37 Cf. ibid. 187.38 Daicoviciu 1945, 154.39 Alföldi 1940, 33.40 Cf. Panczél 2010, 77-84.41 Cf. Szabó 2007 b, 150-158.

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costituirono una curiosità storica, conferendo, per così dire, un ›colore locale‹ alla storia patria; in un secondo momento, allorché cominciò ad affermarsi l’idea di uno stato nazionale, si videro in loro gli antenati dei Romeni; in una terza fase, infine, la continuità daco-romana e il ruolo significativo dei Daci nel processo di etnogenesi romena assurse a vero e proprio dogma.

5. Eccidio di uomini e dèi con Traiano?

Dopo il 1989, il processo di erosione e dissoluzione dell’identità daco-romana ha investito pure la ricerca sulle divinità dei Daci. Le interpretazioni dogma-tiche del periodo nazional-comunista sono apparse eccessive a molti storici, e la questione è stata più o meno accantonata. La ricerca attuale tende a rifiu-tare le ipotesi di lavoro di Xenopol, Pârvan, Daicoviciu, Gostar, ammettendo piuttosto il ›paradosso dacico‹: dalla documentazione epigrafica provinciale non emergono infatti né nomi di dèi o uomini dacii, né informazioni su civitates peregrinae. Tale assenza, secondo certi studiosi, non par doversi imputare allo sterminio dei Daci nelle guerre traianee. L’eccidio non sarebbe stato totale, come pensò Roesler; i Romani avrebbero invece sterminato la sola aristocrazia guerriera e religiosa di una teocrazia barbara.42 I santuari di Sarmizegetusa sarebbero finiti distrutti, i sacerdoti perseguitati, esiliati, e il rituale di evocatio deorum non si sarebbe svolto come di consueto.43 Ciò sarebbe equivalso a una sorta di proibizione religiosa data la peculiarità della fede dei Daci, consistente in un monoteismo, quello di Zalmoxis, simile al culto di Yahweh, che esaltava l’aristocrazia guerriera a detrimento delle masse.44 La proibizione di tale

42 Compendiano tale posizione Ardevan/Zerbini 2007, 43s.: »Le fonti parlano di perdite uma-ne immense e quindi di un vero e proprio spopolamento della Dacia. E se la realtà non poté essere così dura, quantunque la debolezza demografica dei Daci, dopo le guerre, sia da ritenersi ovvia, il numero dei morti e dei prigionieri diventati schiavi fu grandissimo. La popolazione rimasta non solo era ridotta numericamente, ma anche minata nella sua struttura: deprivata dei ceti superiori, senza leggi e regole, con un statuto giuridico sospeso e con la religione in crisi. […] Nella realtà provinciale non si conosce nessuna istituzione, nessun culto e nessun aristocratico di sicura origine dacica. […] I Romani privarono dei vecchi abitanti alcune zone importanti: ad esempio, Sarmizegetusa, la capitale preromana, fu totalmente distrutta e sulle sue rovine venne stanziata una guarnigione, per vietare ogni futuro acceso agli autoctoni. Si cercò così, senza alcun dubbio, di cancellare la religione statale, che aveva animato la resistenza.«

43 Cf. Glodariu 2006, 113-126; Pupeză 2010, 155-166; Florea/Pupeză 2008, 281-295.44 Cf. Ruscu 2003, 61-63; Piso 2008, 316s.

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forma monoteistica, in specie per via dei sacrifici umani invisi al mondo ro-mano, fu paragonata al trattamento riservato dai Romani al druidismo.45 Tali teorie, a mio parere, non offrono spiegazioni soddisfacenti: paiono piuttosto speculazioni fantasiose di una generazione (alla quale peraltro appartiene chi scrive) che non voleva ripetere gli errori delle precedenti.

6. La religione dei Daci nella prospettiva odierna

Potremmo formulare varie ipotesi riguardo all’assenza di divinità nelle iscri-zioni e nell’arte della provincia Dacia. Certo estrema è la posizione di chi ammette, con il presunto sterminio dei Daci, anche l’estinzione dei loro dèi. Va piuttosto evidenziato che il territorio di quell’antica provincia risulta solo in parte conosciuto: iscrizioni e monumenti provengono per lo più dai centri urbani, mentre il mondo rurale ci resta pressoché ignoto. Dan Dana è incline a ipotizzare, più che una scomparsa dei culti dacii o una conversione dei vinti al pantheon dei vincitori, un processo di complessa trasformazione dei culti indigeni originari.46 Posizione condivisibile, se solo avessimo qualche esempio in più di ex voto dedicati a divinità locali; il solo caso finora noto, però, risulta una laminetta aurea consacrata alle Ninfe, che un certo Decebalus Lucii avrebbe gettato nella sorgente calda di Germisara (l’odierna Geoagiu).47

La mancanza di divinità autoctone nel pantheon dacico rimane tuttora in-esplicata. Non si tratta, forse, di un falso problema; piuttosto, dovremmo concludere con Wittgenstein che »di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.«48

45 Cf. Bărbulescu 2003, 289s.46 Dana 2011, 45-47.47 Cf. Piso/Rusu 1990, 12 n° 5.48 Wittgenstein 2012, 189 (trad. mia).

147La religione dei Daci in età romana

Illustrazioni

Tav. I: Rilievi dei Cavalieri Danubiani

Fig. 1: Rilievi in pietra (da Tudor 1976, n° 9)

148 Sorin Nemeti

Fig. 2: Rilievi in pietra (da Tudor 1976, n° 182)

149La religione dei Daci in età romana

Fig. 3: Rilievo in piombo del Museo Nazionale di Storia della Transilvania, Cluj-Napoca (foto di Sergiu Odenie)

150 Sorin Nemeti

Tav. II

Fig. 1: Coppia di divinità anonime (Alba Iulia). Collezione del Museo Nazionale di Storia della Transilvania, Cluj-Napoca (foto di Sergiu Odenie)

151La religione dei Daci in età romana

Fig. 2: Coppia di divinità anonime (Turda). Collezione del Museo Nazionale di Storia della Transilvania, Cluj-Napoca (foto di Sergiu Odenie)

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Riferimenti bibliografici

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