filosofia - religione e storia dell'india e dell'asia centrale

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1 GASPARE LOMBARDO FILOSOFIA-RELIGIONE E STORIA DELL’INDIA E DELL’ASIA CENTRALE SHIVA INDRA KRISHNA AGNI 1

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GASPARE LOMBARDO

FILOSOFIA-RELIGIONE E STORIA DELL’INDIA E DELL’ASIA CENTRALE

SHIVA INDRA

KRISHNA AGNI

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BUDDA

FILOSOFIA – RELIGIONE E STORIA DELL’INDIA E DELL’ASIA CENTRALE

INDICEPREFAZIONE PAG 2

CAP I LA RELIGIONE DEL VEDA PAG 6

CAP II LE GRANDE ERESIE PAG 31

CAP III I SISTEMI FILOSOFICI PAG 56

CAP IV L’INDUISMO PAG 62

BIBLIOGRAFIA PAG 84

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Gaspare Lombardo proclamato Dott. In Filosofia e Scienze Etiche. Dipartimento di Scienze Umanistiche e Moralità Università degli studi di Palermo 29/luglio 2010

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DOTT. GASPARE LOMBARDO PROCLAMATO DOTT. IN SCIENZE FILOSOFICHE DELLA LAUREA MAGISTRALE ALL’ UNIVERSITÀ DI CATANIA FIG. AUDITORIUM GIANCARLO DE CARLO

Gaspare Lombardo

Filosofia- Religione e Storia dell’India E DELL’ASIA CENTRALE

Prefazione

Il piano di quest’opera abbraccia solo la filosofia la religione e la storia dell’India.

Nel presentare il quadro delle religioni indiane, l’autore ha tentato, per quanto lo permettono le fonti, di dimostrare le loro relazioni con la razza del popolo in cui ciascuna di esse è sorta, con l’ambiente fisico, con la vita e la civiltà nazionale di tali popoli, e di tracciarne la storia mettendo in luce le cause del loro progresso e della loro decadenza, e l’azione delle influenze esterne sulle loro forme e sul loro

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contenuto dottrinale. In questa storia si dà speciale importanza alle concezione religiose , sia implicite nei miti e nel rituale, sia espresse da poeti, filosofi e profeti; ed importanza ancora più grande allo sviluppo più elevato del pensiero teologico, dell’etica e della filosofia religiosa, nell’India questo sviluppo ha un grande valore intrinseco ed ha influito in modo vitale sul pensiero religioso del mondo intero.

La maggior parte delle religione fanno la loro comparsa sulla scena della storia come politeismi nazionali, con elementi morali più o meno sviluppati: quanto precede tale stadio della loro evoluzione sfugge alla nostra conoscenza storica, come del resto è il caso con i principi della civiltà umana. Però queste religioni, anche nel periodo storico, presentano molte sopravvivenze di usanze e di idee dello stadio di cultura preistorico, incorporate sia nel rituale e nei miti delle religioni pubbliche, sia nelle superstizioni delle masse del popolo. Questi elementi persistono con la tenacia propria dei caratteri organici ereditari, ed in tempi di demoralizzazione e di decadenza rivivono e prevalgono sugli altri elementi della vita e del pensiero religioso. Il fatto che essi sono così radicati nella tradizione spiega pure la resistenza passiva contro la quale il progresso di idee più elevate ha dovuto lottare, la violenza delle reazioni contro le riforme, e la rapidità della decadenza di varie religioni. Da questo punto di vista, e solo in quanto influiscono così sulle religioni storiche, tali elementi debbono essere tenuti presenti dalla storia delle religioni, ma per quanto riguarda le loro origini e le loro affinità con altri elementi, essi, come le religioni dei popoli selvaggi dei nostri tempi, appartengono al dominio dell’antropologia.

Ma anche nello stadio più elevato del politeismo naturale, le varie religioni hanno molto in comune. Però in tale stadio l’individualismo nazionale comincia ad acquistare maggiore importanza in tutte le manifestazioni della cultura di ciascun popolo, e diventa ad ogni piè sospinto più distinto e più efficace nella religione. A questo punto si trovano differenze profonde tra le varie religioni che hanno raggiunto un certo livello più o meno uguale: alcune hanno avuto un sviluppo autonomo, seguendo l’indole della razza, altre sono venute ben presto sotto l’influenza di civiltà più elevate di popoli vicini, e questa influenza ha arrestato lo sviluppo autonomo, o lo ha incanalato in altre correnti.

Le religioni locali e di singoli tribù si fondano dapprima in politeismi nazionali; il progresso della civiltà quindi moralizza in gradi diversi la religione; in seguito la mitologia e la filosofia nascente affrontano il problema della cosmogonia e raggiungono il concetto dell’unità del potere creativo, ossia l’idea di un primo

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principio; anche l’esigenza di un’unità nell’ordine morale del mondo spinge verso il monoteismo, o almeno verso un politeismo organizzato in forma monarchica; frattanto le nozioni vaghe di una continuazione della vita dopo la morte cedono il posto ad immaginazioni più vivide, la sorte dei mortali sembra più triste in paragone di quella degli dèi; la credenza in una retribuzione divina, o nelle conseguenze inesorabili della azioni umane, viene estesa anche al di là di questa vita, e l’uomo si affatica per sfuggire al suo destino e domanda alla religione che gli mostri la via e gli assicuri la liberazione.

Da ciò nasce una religione di tipo nuovo, dalla quale l’uomo non richiede più i beni di questa vita, ma di essere esaltato al di sopra delle limitazioni della natura umana, oppure di essere salvato dalle conseguenze delle azioni, o in modo positivo di esser fatto partecipe della felicità degli dèi, o di raggiungere l’unione con la divinità. La salvazione può ottenersi- come, per esempio,secondo il tipico schema analitico indiano- o per le opere, o per la conoscenza, o per la fede; ed i metodi naturalmente variano a seconda della vita che si sceglie. La religione di questo tipo rivolgono il loro appello agli individui, e perciò sono logicamente vie di salvazione per tutti gli uomini, senza distinzione di nazionalità e di razza. Spesso esse formano comunità religiose organizzate e si diffondono per mezzo di attività missionarie. L’insegnamento dei loro fondatori è riunito in un canone di scritture rivestite di autorità e sistematizzato in un corpo di dottrine, sia pratiche che filosofiche.

Le grandi religioni di questa classe ebbero i loro inizi nel periodo che va dal secolo decimo al secolo quinto prima dell’era cristiana. Fu questa l’epoca di Zoroastro nell’Iran, del movimento orfico-pitagorico in Grecia, dei profeti ebrei, del taoismo in Cina , delle Upanisad, del Buddismo, e dei precursori dell’Induismo nell’India. Le religioni dei popoli civili dei nostri tempi appartengono quasi tutte a questo tipo – Buddismo, Induismo, Giudaismo, Cristianesimo ed Islamismo- quantunque la religione attuale dei popoli che professano queste varie fedi contenga molte sopravvivenza di stadi anteriori, sino a risalire a quelli più bassi delle origine della civiltà. Queste storie si riducono inevitabilmente ad una serie di monografie.

Dott. Gaspare Lombardo

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Ho iniziato il progetto per le Università le scuole secondarie di II grado e per tutte le educazioni, sia formali che informali, nel 2008 quando ero allievo della Professoressa Agata Pellegrino dell’Università di Palermo la facoltà di lettere e filosofia. E’ stata fatta una ricerca molto intellettuale, studiata in tutte le sue parti, Usando libri di molta fama non più in commercio delle più prestigiose Università

Dopo la caduta dell’Anciem Regim i dott. Hanno aperto le porte alle culture di tutto il mondo; l’interesse serve per aumentare il nostro bagaglio culturale, perché conoscere di più e meglio di conoscere di meno; e inoltre si possono fare collegamenti con il nostro occidente, per vedere chi siamo da dove veniamo, e se è vero che siamo una sola famiglia, e perché non unirla? Per fare questo bisogna conoscere gli altri io propongo per ora come nel titolo: un libro fuori di mercificazione ma dentro una cultura vera dell’Oriente il libro si può mettere nella vostra biblioteca dopo averlo letto, si può consigliare,e si può assegnare per le scuole.

Dalle pagine che seguiranno potete decidere se acquistarlo, grazie a chi compra, e grazie a chi leggerà. Cordiali saluti Gaspare Lombardo

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CAP I LA RELIGIONE DEL VEDA

Gli Arì nell’India.- Gli Inni del Rig- Veda- Divinità vediche. – Indra, Varuna e Mitra - Dèi della natura.- Agni e Soma .- Ninfe ed Elfi. - Demoni. – Culto: Sacerdozio. Sacrifici, Espiazioni. – Elementi magici nell’ Atharva-Veda.- I morti e le loro dimore. – Gli inizi della speculazione filosofica. – La filosofia delle Upanisad. – Brahman- Atman. – Rinascita e liberazione. – Filosofia dualista. – Mezzi pratici per la salvazione.

La penisola indiana fu occupata in tempi antichissimi da popoli di razza e lingua diverse, tra i quali i più numerosi, se non i più antichi, furono i Dravidi, i quali ora formano il gruppo più importante della popolazione del Deccan, ma una volta si estendevano molto più lontano al nord nel Panjab e nella pianura del Gange. Al nord e ad oriente di quest’ultima ragione vi erano pure della tribù mongoloide, affini alle popolazioni del Nepal e dell’altipiano del Tibet, le quali in seguito si fusero con i Dravidi. Nel secondo o forse nel terzo millennio prima dell’era cristiana, tribù arie cominciarono a penetrare nell’India dal nord- ovest. Il movimento era una vera e propria migrazione ad ondate successive, piuttosto che un’invasione, e senza dubbio continuò per parecchi secoli.

La conoscenza che noi abbiamo di questo popolo e della sua civiltà nel periodo più antico, deriva dal Rig-Veda. Veda (dalla radice sanscrita vid; cfr. il greco oìòa) significa conoscenza, e specialmente conoscenza religiosa, ed in seguito questo nome venne applicato all’intera letteratura sacra, considerata quale rivelazione1.

Gli inni del Rig-Veda son ben lontani dall’essere, come si pensò durante gli anni dell’entusiasmo prodotto dalla loro scoperta, poesia primitiva, ossia espressione spontanea di una religione primitiva, espressione spontanea di una religione primitiva, semplice e non inquinata da altri elementi.

Una classificazione indigena e molto autorevole degli dèi vedici li divide, secondo la sfera in cui si manifestano principalmente le loro attività, in dèi del cielo, dèi l’atmosfera ( cioè dello spazio tra il cielo e la terra)e dèi della terra; però tale distinzione non implica nessuna differenza sia di grado, sia d’importanza religiosa.

Il primo posto tra gli dèi dell’età vedica spetta senza dubbio ad Indra; quasi un quarto di tutti gli inni del Rig- Veda sono dedicati a lui, ed in altri cinquanta vi si cantano incidentalmente le sue lodi.

Nella dedica degli inni ed in altre occasioni, Varuna è accoppiato con un altro dio di carattere somigliante, Mitra. Mitra è identico col Mithra degli iranici, .

1 I libri del Veda sono quattro: il Rig – Veda, di cui gli inni più antichi non risalgono oltre al 1200 a. C. ed i più recenti non sono posteriore all’800 a. C. ; il Sama – Veda, anch’esso collezione d’inni ( molti dei quali trovasi pure nel Rig – Veda) scelti per essere contati nella liturgia; il Vajur – Veda, che contiene forme liturgiche in verso ed in prosa; e L’Aiharva – Veda, che è un’antologia di formule d’incantesimi, di maledizioni, di preghiere ed insieme d’inni teosofici e cosmogonici, scritti in forma più cruda e popolare che gli altri Veda. Nella sua forma attuale quest’ultimo libro non è anteriore al 500 a. C. Tutte queste date assegnate ai vari libri del Veda dagli indianisti sono approssimative ed hanno più o meno carattere di congetture.

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Strettamente associato con Varuna è Rita, ossia Ordine. La la parola Rita corrisponde a quella di Asha degli Avesta, la quale è ugualmente connessa con Ahura. Nei Veda Veda, Rita rappresenta l’ordine della natura, l’ordine sociale e l’ordine del rituale, i quali dal punto di vista indiano

Il cielo luminoso, Dyaus, è anch’esso un dio. La parola è identica a quella greca di Zeus, però nella religione vedica il dio non occupa una posizione eminente.

Ushas (cfr. Hòc, Aurora) è l’aurora rosea, giovinetta bellissima, vestita a festa, per nulla ripugnante a mostrare le sue incantevoli bellezze, che sorge ad incontrare il suo amante o marito, il sole. La personificazione è trasparente: però il modo con cui questo mito viene presentato è molto più poetico di tutti gli altri miti delle altre divinità vediche .

Surya è il sole che noi vediamo nel cielo: egli attraversa la strada tracciata per lui da Varuna, sopra un carro tirato da rapidi destrieri, oppure vola attraverso il cielo come un grande uccello rosso; oppure è l’occhio di Mitra e di Varuna, o di Agni. Egli vede tutte le azioni buone o cattive degli uomini: sveglia gli uomini e li sprona a compiere il loro lavoro, scaccia via l’infermità e le malattie ed ogni sogno cattivo, poiché i poteri maligni esercitano le loro mali arti nell’oscurità della notte.

Savitar,colui che fa sorgere e sprona, pare essere stato in origine un epiteto del sole, ma, essendo stato spesso usato da solo, divenne finalmente il nome di una divinità distinta. Siccome il nome designava un’attività molteplice, e non un oggetto concreto, Savitar fu capace di uno sviluppo più ampio di quanto non fu possibile a Surya. Non è forse senza ragione, che la maggior parte degli inni di Savitar sono contenuti nei Libri di famiglia , mentre quelli di Surya sono principalmente nel Libro primo e nel decimo.

I Maruti, ai quali sono dedicati più di una trentina d’inni, sono pure probabilmente divinità dei venti e della tempesta. Essi sono figli di Rudra,

Un dio che nel Rig-Veda ha un’importanza secondaria, ma che era destinato a prendere in tempi posteriori il posto supremo, fu Vishnu. Comparisce ripetutamente in compagnia di Indra, ed in alcuni inni è il suo alleato nella lotta contro Vritra

Uno degli dèi più grandi del Rig-Veda è Agni, a cui sono dedicati più di duecento inni, il numero maggiore dopo quelli di Indra. Agni (ignis) è il fuoco in tutte le sue forme, in cielo e in terra, ma è quale fuoco del focolare nel rituale domestico, e quello dei tre fuochi dalle più solenni cerimonie del sacrificio, che esso ha la sua primaria importanza religiosa.

Gli dèi del Rig-Veda sono potenze benigne: l’uomo ha fiducia nel loro buon volere e si rallegra della loro presenza. Anche Rudra, un dio possente ma terribile è invitato graziosamente a visitare le case dei devoti, specialmente per scacciare o guarire malattie, e nello stesso tempo è implorato perché non uccida i suoi devoti, i loro genitori e figlioli, gli uomini, le gregge ed i cavalli; perché storni da loro la sua ira ed il fulmine, e si astenga dal lanciare contro di loro i suoi dardi che fanno strage di vacche e di uomini. Nell’Atharva-Veda e nei Brahmana, Rudra è ancora più terribile di aspetto e di gesta; anche gli dèi hanno paura che le sue saette non li distruggano. Quando gli altri dèi ascesero al cielo per stabilirvi la loro dimora, Rudra rimase indietro.

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Occorre ricordare anche certi altri dèi, i nomi dei quali sono indizio che la speculazione, o almeno la riflessione teologica dei sacerdoti era già incominciata, come per esempio quello di Brihaspati, il

sacerdote pregante tra gli dèi, ossia il Signore della preghiera, cioè la formula religiosa deificata; quello di Vicvakarman, il Creatore di tutto , e quello di Prajapati, il Signore delle creature, dei quali parleremo più in là.

Le divinità femminili, come divinità indipendenti hanno un posto inferiore nella religione vedica; Ushas, l’Aurora, è l’unica a cui sono dedicati molti inni, e dopo di lei per questo riguardo viene Sarasvati. Vi è pure un inno alla Notte, la sorella dell’Aurora. Altre divinità femminili sono Vac, la Parola deificata, ed alcuni personificazioni dell’Abbondanza. Le mogli degli dèi, come per esempio Indrani (femminile di Indra), piuttosto che figure religiose sono figure mitologiche e non molto prominenti.

Gli dèi di cui il Rig-Veda canta le lodi sono pertanto vari per natura e per importanza religiosa;

Le potenze che operano nel mondo non sono tutte benigne e benefiche: vi sono moltitudini di demoni e spiriti malvagi che, sia per malignità propria, sia perché mossi dalla magia maligna, danneggiano in vario modo gli uomini nella persona e nella proprietà. Questi esseri ostili all’uomo sono divisi in varie classi. Nell’Atharva-Veda ed anche più tardi gli Asura sono gli antagonisti mitici degli dèi e quindi nemici degli uomini. Nel Rig-Veda al contrario, il nome Asura designa alcuni dèi o un gruppo di divinità delle quali Varuna è il capo, come nell’Avesta Ahura è il Dio più grande; più di rado, e solamente nel decimo libro, gli Asura sono opposti agli dèi e combattuti da loro: Indra è invocato per disperdere i malvagi Asura, ed Agni promette di comporre un inno con cui gli dèi vinceranno gli Asura.

I demoni che danno più disturbo agli uomini sono i Rakshas (chiamati qualche volta anche Yatu, ossia stregoni persecutori). Essi hanno, o assumano a volontà, le formi di animali, di uccelli di malaugurio, come gufi e avvoltoi; oppure hanno, come generalmente nell’Atharva-Veda, forma quasi umana, con due teste, quattro occhi, con i piedi rivolti all’indietro e così via.

Poiché gli dèi erano concepiti quali poteri benevoli o di aiuto agli uomini, il culto aveva prevalentemente il carattere di propiziazione.

Perché il sacrificio si faccia nelle forme dovute, si richiede, si richiede l’assistenza di sacerdoti esperti nel rituale, i quali conoscano le invocazione proprie della circostanza e possono recitare gli inni antichi in lode e preghiera agli dèi ed anche comporne di nuovi. I re ed i personaggi di grande importanza avevano un consigliere sacerdote,

L’offerta del soma era senza paragone il sacrificio più elevato del rituale vedico: ed il Rig-Veda è in modo speciale associato con questo rito. Tale preminenza è dovuta probabilmente e sino ad un certo punto a preferenza sacerdotale, quantunque l’importanza del soma, anche nei tempi indo-iranici, è fuori di ogni dubbio. Gli dèi che partecipavano della pressione mattutina erano Indra e Vayu, Mitra e Varuna, gli Asvini, Sarasvati,i Tutti-dèi. La sera, secondo il rituale dei Veda più recenti, partecipavano gli Aditya, Savitar,Tutti-dèi, Agni ed Indra.

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Prima e durante il sacrificio, erano di obbligo certe disposizioni, come il digiuno, l’astinenza sessuale, dormire sul suolo, bagnarsi, farsi la barba, rivestire abiti nuovi e simili. La durata ed il rigore di tali restrizioni dipendevano dalla solennità dell’occasione: nelle grandi offerte di soma

Le nozioni dell’opera e degli effetti del sacrificio, come si rivelano dai Veda, sono abbastanza semplici. L’uomo vuole la protezione e l’aiuto degli dèi,

Tale è il concetto prevalente nel Rig-Veda intorno al sacrificio: ma insieme con esso vi è la credenza che i riti hanno per se stessi la potenza di deviare i mali che minacciano e che sono prodotti dalla volontà malefica, sia di uomini che di demoni. La credenza nell’efficacia del sacrificio di rendere propizi gli dèi e di attirare le loro benedizioni tende dappertutto a trasformarsi in fede nell’efficacia infallibile del rito e delle formule per se stesse, ad ottenere lo scopo desiderato quando sono usate convenientemente. Nelle dottrine del sacerdozio brahamanico, il sacrificio divenne uno strumento di potere verso e proprio sugli dèi, che logicamente conduceva all’esaltazione del possessore di questo potere al grado di dio umano, il quale può forzare ad agire gli dèi della natura.

Nel Rig-Veda, essendo questo una collezione di inni dedicati agli dèi, non vi sono che allusioni incidentali a ciò che avviene negli ambienti religiosi più bassi che sono quelli proprie della magia. L’Atharva-Veda d’altra parte è una collezione d’incantesimi magici come il nome stesso dice. Questa collezione, in quanto tale, è posteriore al Rig-Veda e contiene molti inni più recenti, ma l maggior parte dei versi magici in essa contenuti, in sostanza se non nella forma attuale, poiché alcuni di essi furono rimaneggiate dai brahmani, risalgono ad epoche antichissime. Gli incantesimi accompagnavano le cerimonie magiche, e si possono comprendere soltanto quando ci è nota, come per esempio dal Kaucika Sutra, la natura dei riti

Le nozioni primitive che questo rito suppone avevano già anche nel Rig-Veda ceduto il posto ad altri concetti, secondo i quali i morti beati dimorano in un cielo di luce dove sta Yama, il primo uomo a morire, è sovrano del regno dei morti. “Dove piaceri e beatitudine, dove gioia e appagamento,dove tutti i desideri sono soddisfatti, quivi fa che io sia immortale!” (Rig-Veda,IV,113,7 sgg). In questa splendida dimora le anime godono delle offerte che i parenti pietosi fanno loro..

Che i malvagi avessero una sorte del tutto opposta è raramente, ma chiaramente asserito nel Rig-Veda: “Indra e Soma, scagliate l’autore di male azioni nella prigione, nelle tenebre senza fondo, d’onde nessuno ritorna! Così possa la vostra potenza terribile opprimerli”.”Sotto terra dimoreranno coloro che giorno e notte tesserono inganni contro di noi.” “Coloro che vagabondano come fanciulle senza fratelli, che vivono una vita malvagia come mogli che tradiscono i loro mariti, che sono maligni, falsi e senza fede, costoro hanno preparato per sé quel luogo profondo.” L’Atharva-Veda ed altri testi posteriori, tanto brahmanici che eretici, dipingono a neri colori gli orrori dell’inferno e sviluppano più a fondo la teoria della retribuzione. Dalla trasmigrazione delle anime, che occupa un posto tanto importante nei periodi seguenti, il Rig-Veda

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I Brahmana sono principalmente una serie di prescrizioni minuziose per compiere i riti religiosi; ma alle prescrizioni sono aggiunte spiegazioni sulla origine ed il significato delle cerimonie nell’insieme, o di certi particolari di esse e queste interpretazioni sono talvolta mitologiche

In alcuni inni del Rig-Veda, i quali da vari segni sono riconosciuti come i più recenti della collezione, ed in composizioni similari dell’Atharva_Veda, s’insegna la dottrina dell’unità della divinità.

L’inno cosmogonico (Rig-Veda, X, 129) fa anche un passo più indietro, al tempo in cui non vi era né essere né non-essere. Non fa il nome di alcun dio, solo di quell’Uno oltre al quale non vi era più nulla. Il come il quando della cosmogonia sono un mistero inscrutabile. Gli dèi stessi vennero alla esistenza dopo di questo mondo, e non ne sanno nulla. Solo colui che portò il creato all’essere, sia che l’abbia fatto o che non l’abbia fatto lui, solo egli lo sa, oppure egli stesso non lo sa ? Il poeta non osa decidere se il mondo fu fatto, oppure se l’Uno, la base e causa dell’universo, sia un agente cosciente. Una concezione ancora diversa dell’origine delle cose è messa avanti nell’inno del Purusha (Rig-Veda, X , 90). L’uomo, come il microcosmo, è stato spesso opposto all’universo-macrocosmo; qui al contrario l’universo è immaginato come l’uomo infinito

Quando noi parliamo della filosofia delle Upanisad, non bisogna pensare che esse contengono ciò che noi diremmo un sistema, o qualcosa somigliante ad un sistema, e neppure che esse sviluppino in modo consistente certe concezioni fondamentali. Le Upanisad rappresentano l’insegnamento di vari pensatori e di varie scuole, lungo un periodo di vari secoli; e vanno dritte alla discussione dei supremi problemi della metafisica, la natura della realtà, le relazioni tra l’apparenza e la realtà, del molteplice all’uno e così via.

Le Upanisad trovano la base dell’universo, la realtà unica, in un principio che spessissimo è chiamato Brahman.

Questo Brahman esistente per sè, la realtà unica, è chiamato pure con un nome che ha un’origine psicologica, L’Atman . L

Il grande mistero delle Upanisad è che l’Atman nell’uomo è identico con l’Atman nell’universo, il Brahman. L’anima dell’uomo non è una particella, un’emanazione del principio universale, ma è quel principio, intero e singolo. Così nella Chandogya-Upanisad (III , 14) si dice:

Veramente l’universo è Brahman. Che colui che ha l’anima in pace lo veneri, come quello che sarebbe felice di conoscere.

In verità l’uomo è fatto di conoscenza. Qual è la sua scienza in questo mondo, tale, quando andrà di là, egli dovrà divenire. Che egli quindi si affanni dietro la scienza.

Ciò di cui la sostanza è spirito, il corpo è vita, la forma è luce, lo scopo è la verità, l’essenza è l’infinito, l’uno, tutto- operante, tutto- desiderante, tutto- odorante, tutto- gustante, che abbraccia l’universo2 , che è silenzioso, indisturbato.

2 Cfr. IRENEO , ADV. HAER. I, 12, 2: “cum sit totus cogitatus et totus sensus et totus oculus et totus auditus et totus fons omnium bonorum” .Cfr. Pure col passo di JACOB BOEHME, Aurora, c.3.

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Che è il io spirito dentro il mio cuore, più piccolo che un grano di riso o d’orzo o un granello di seme di senapa: più piccolo che un granello di miglio od anche un granello di miglio sgusciato.

Questo mio spirito dentro il mio cuore è più grande che la terra, più grande dell’orizzonte, più grande dei cieli, più grande di tutti i mondi.

L’uno, tutto- operante, tutto desiderante, tutto odorante, tutto gustante, che abbraccia l’universo, che è silenzioso, indisturbato, questo è il mio spirito dentro il mio cuore è Brahman.

E colà, quando andrò via da qui, io sarò. Chi sa ciò, egli, in verità, non ha più dubbi. Così parlò Candilya, Candilya.

Il Brahamn, il potere che ci si presenta incorporato in tutti gli esseri, che porta all’esistenza tutti i mondi, li mantiene e li regge, e di nuovo poi li riassorbe in se stesso, questo potere eterno, infinito, divino, è identico con l’Atman, con che, dopo aver tolto via tutto ciò che è esterno, noi troviamo in noi stessi, qualche nostro intimo e vero essere, il nostro noi reale, l’anima 3. La formula piena di significato di questa identità di Brahman ed Atman è contenuta nella grande parola: Tat tvam asi, cioè questo sei tu4.

Nella sua forma più pura,l’identità di Brahman-Atman, per usare la frase tecnica delle Upanisad, è un consistente monismo idealista.

Nelle Upanisad fa la sua prima apparizione la dottrina della trasmigrazione delle anime, che in seguito occupa tanta parte delle religioni dell’India.

Le Upanisad possiedono il segreto della salvazione nella dottrina dell’identità di Brahaman-Atman. Per colui che ha raggiunto questa conoscenza, l’illusine dell’individualità separata, con tutte le conseguenze, sparisce. Egli resta libero da ogni desiderio - poiché cosa può desiderare chi è tutto? - , le sue azioni precedenti sono consumate come ruggine al fuoco, e le azioni fatte dopo aver raggiunto la conoscenza non aderiscono a lui, più di quanto l’acqua non aderisca alle foglie di loto.

Colui che è senza desiderio, che non brama, che ha raggiunta la meta del desiderio, poiché ha fissato il desiderio in sé (Atman), non è abbandonato dal suo spirito vitale, ma è brahman ed in Brahman egli è assorbito. Come dicono i versi:

Quando tutte le passioni sono in riposo

Che stanno in agguato dentro il cuore umano,

Allora il mortale non è più mortale,

Ma qui ed ora egli possiede Brahman.

Come la spoglia di un serpente che abbia mutato la pelle giace morta sul formicaio, così giace questo corpo; ma il senza- corpo, l’immortale, la vita, è puro Brahman, è luce pura (1).

3 DEUSSEN, Allgemeine Geschichte der Philosophie, I, 2 (1899), P. 37.4 Chandogya Upanisad, VI, 8, Z.

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Il monismo idealista delle Upanisad non fu la sola soluzione del problema dell’universo escogitata dai pensatori indiani di quel tempo. Tanto il Jainismo che il Buddismo devono molto ad un’altra filosofia che, divergendo dalle Upanisad, sosteneva la realtà oggettiva del mondo dei fenomeni ed attribuiva a forze inerenti alla sostanza primaria che è alla base di questo mondo, non solo l’eterno fluire della natura, ma anche i nostri stessi pensieri e sentimenti, e, dall’altra parte, escludeva per definizione l’anima, ossia l’ego, da questa sfera d’attività sempre mutevoli. Questa filosofia ci è nota nella sistemazione fattane in seguito (Sankhya), ma abbiamo molte ragioni per credere che le sue dottrine fondamentali fossero formulate prima che sorgessero la grandi eresie.

Il sistema è dualista. Da una parte vi è la sostanza primaria, Prakriti, eternamente attiva e produttiva, sorgente e fede di ogni mutazione; e d’altra parte un largo numero di anime individuali (Purusha), semplici, eterne, immutabili.

IL TEMPIO D’ORO È UN TEMPIO SIKH SITUATO NELLA LOCALITÀ DI AMARITSAR, NELLO STATO DEL PENJAB, IN INDIA. È CONSIDERATO DAI SIKH IL TEMPIO PIÙ SACRO DELLA LORO RELIGIONE (IL LORO “SANTO DEI SANTI”) È UN LUOGO DI PELLEGRINAGGIO IN CUI RECARSI ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA PER PREGARE E OFFRIRE LE PROPRIE SUPPLICHE OLTRE AD ESSERE DIVENUTO ATTUALMENTE UN’ATTRAZIONE TURISTICA DI LIVELLO MONDIALE.

CAP. II. LE GRANDI ERESIE

Ordine ascetici – Le origini del Jainismo.- La Via della salvazione.- L’Ordine.- Il Buddismo.- La vita di Budda.- La Verità salvatrice.- Le Fratellanze mendicanti.- Gli ultimi giorni di Budda.- La primitiva Dottrina Buddista.- Rinascita, non trasmigrazione.- L’ottuplice Sentiero.- La meta, il Nirvana.- L’Ordine e la sua Regola.- Storia del Buddismo in India.- Concili e scismi.- La meta più alta del Mahayana.- Metafisica.- Influenza della religione popolare.- Decadenza ed estinzione del Buddismo in India.- Buddismo in altri paesi.

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Nel sesto secolo vi era un gran numero di persone che, abbandonate le loro case e rotto ogni legame sociale, vivevano da eremiti o da mendicanti, dediti in vari modi alla ricerca della salvazione. Si concedeva universalmente che i sacrifici agli dèi, l’integrità morale, la bontà verso il prossimo, non conducessero alla meta: poiché le opere, per quanto buone, erano sempre opere, ed ogni azione volontaria era seguita dalle inevitabili sue conseguenze in un’altra vita, ribadendo così gli anelli della catena senza fine delle vite successive. Solo la conoscenza suprema, che rendeva l’uomo capace di dire: “Questa non è azione mia, questo non sono io”, poteva dare la liberazione.

I cercatori di salvazione erano forse dapprima degli asceti solitari, come ve ne sono stati molti in tempi più recenti; ma nel secolo sesto noi troviamo che si riunivano in compagnie attorno ad uomini i quali, con il loro insegnamento ed il loro esempio, facevano sperare a quelli che li seguivano che dietro le loro tracce potrebbero raggiungere la meta. Quantunque le nostre informazioni più antiche su questi ordini o sette provengano da fonti buddiste e janniste, pure vi sono buone ragioni per credere che tale movimento fosse incominciato uno o forse due secoli prima.. Secondo quello che narrano i libri jainisti5 , questo non fu però il principio della loro religione, ma solo un risveglio ossia restaurazione; e molti studiosi europei sono inclinati a considerare come un personaggio storico Parcva, il quale sarebbe stato il predecessore di Varmana nella serie dei ventiquattro Jina, e sarebbe vissuto duecento cinquant’anni prima.

Vardhamana6 , chiamato più comunemente Mahavira, il grande eroe, e Jina, cioè il vittorioso (da cui i suoi seguaci ebbero il nome di jainisti) era figlio di un principotto o barone di Magadha. All’età di trent’anni lasciò la sua casa e divenne un asceta. Dopo dodici anni di mortificazioni ascetiche, raggiunse la meta delle sue ricerche. Allora cominciò a proclamare le verità che prima di lui erano state insegnate da Parcvae dai Jina

Il Jainismo è anti-brahmanico, poiché rigetta i Veda e l’autorità dei sacerdoti. È ateista nel senso in cui anche il Buddismo è chiamato così: infatti, nella sua classificazione degli esseri, il Jainismo ammette una classe di dèi (deva) che sono, come gli uomini, legati alla catena delle rinascite, ed assegna ad essi dei luoghi di dimora nei cieli durante gli intervalli tra un’esistenza e l’altra, ma nega l’esistenza di un dio supremo (Icvara). È un sistema dualista, come il sankya, poiché nega l’unità dell’Essere, tanto in senso trascendente che panteista: ciò che esiste è un numero infinito di anime individuali, incorporee, eterne, ed una materia sottile o grossolana, anch’essa eterna, sempre mutevole e costruita a basa di atomi. Le anime non emancipate si reincarnano senza fine, come uomini o dèi o inquilini dell’inferno, a causa del Karma, come nel buddismo ed in altre filosofie religioni indiane. Ma il Jainismo, al contrario del sankaya, non concepisce l’anima come inattiva ed impassibile per natura. Anche nella sua nozione circa la natura e le operazioni del Karma, il Jainismo differisce largamente da tutti gli altri sistemi.

Secondo la teoria del Jiainismo, come viene formulata nelle esposizioni sistematiche della dottrina, attraverso le attività del corpo, della parola e dello spirito, avviene un influsso di materia sottile

5 Le scritture jainiste consistono di quarantacinque Agama, di cui le undici Anga sono le più antiche e sembra contengano in sostanza l’insegnamento di Mahavira. Volumi XXII e XLV della collezione “Libri Sacri dell’Oriente”.6 Nei libri buddisti comunemente è chiamato, col suo nome di famiglia. Nataputta.

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dell’anima. Le passioni, come l’ira, l’orgoglio, l’illusione e l’avidità, che si alloggiano nell’anima, agiscono come una sostanza adesiva, la quale fa si che questa materia sottile si appiccichi all’anima ed entra con essa in una specie di combinazione, che nel linguaggio tecnico si chiama Legatura. La materia sottile così legata all’anima si trasforma in otto specie di Karma, che oscurano e disturbano la capacità conoscitiva e l’integrità dell’anima stessa.

Per la salvezza tre cose sono necessarie, fede retta, conoscenza retta e vita retta i cosìdetti Tre Gioielli. Retta fede è credere che il Jina (il vincitore) ha superato il mondo, ha trovato la via della salvezza ed è divenuto il rifugio dei credenti; retta conoscenza è quella della metafisica e della psicologia della religione insegnata dal fondatore, le sue dottrine circa ciò che è il mondo e ciò che è l’anima, e come l’anima può emergere vittoriosa dalla lotta; vita retta significa vivere secondo i precetti del fondatore, in modo da sciogliere la legatura e impedire il formarsi del Karma nell’anima, col sopprimere le passioni. Gli effetti delle azioni delle vite anteriori o di quella presente sono cancellati dalla mortificazione. Quando la morte si avvicina, il jainista può estinguere gli ultimi rimasugli del Karma lasciandosi morire di fame. Nel valore che dà all’ascetismo, il jainismo segue la corrente dominante del tempo, ed è più vicino al Brahmanismo di quel che non lo sia il Buddismo.

La meta di tutti gli sforzi è il Nirvana, uno stato di spirito in cui l’anima diventa libera dal grave peso del Karma e da ogni attaccamento corporeo. L’anima stessa è indistruttibile, e la grande liberazione non implica a quanto pare, cessazione di coscienza.

L’ateismo primitivo della setta non soddisfaceva i bisogni religiose delle masse, e la venerazione del fondatore nel corso del tempo si trasformò in culto

Il fondatore di questa religione, Siddhartha (questo era il suo nome personale) nacque secondo i calcoli più probabili verso il 560 a. C. e morì verso il 480 a. C.

Finalmente dopo sette anni da che s’era messo alla ricerca della salvezza, un giorno mentre sedeva in meditazione all’ombra di un albero, venne l’ora dell’illuminazione, ed egli vide in un lampo la causa della miseria del mondo: in quell’istante egli divenne il Budda, l’illuminato.

Il discorso che Budda tenne ai cinque asceti è spesso chiamato il Sermone di Benares, e contiene i fondamenti della fede. Il cercatore di salvazione dovrebbe essere messo in guardia contro i due estremi, tanto della soverchia indulgenza verso se stesso, quanto del soverchio rigore nella mortificazione: l’una e l’altra sono cose indegne ed inutili.

La questione della causa di questo universale soffrire degli uomini, e specialmente la causa della sua continuità da un’esistenza a l’altra, aveva da lungo tempo tormentato i pensatori indiani. Budda trovò questa causa nella brama (letteralmente, sete) che produce la rinascita, ed è accompagnata da piaceri e desideri sensuali, cogliendo qua e là qualche gioia, la brama di possedere, la brama di essere, la brama di star bene. La soluzione che Budda offriva non era nuova: in alcuni passi delle Upanisad, come in quelle che abbiamo già citati, il desiderio è presentato come la radice da cui deriva l’attività umana con tutte le sue fatali conseguenze, e la liberazione del desiderio come rimedio che mette fine a tutto ciò: però Budda fu il primo a far di

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questo concetto la pietra angolare del sistema. Una volta compresa in questo modo l’etiologia della malattia, era evidente che una cura radicale poteva ottenersi soltanto con l’estirpazione della causa, l’estinzione, cioè, di quella brama fatale, il che era possibile sottomettendosi al salutare regime degli Otto Sentieri

La nuova dottrina incontrò opposizione da varie parti. Agli occhi dei brahmani era un’ eresia, perché rigettava i Veda ed i sacrifici vedici, il Vedanta ed il Yoga; ma i brahmani non avevano una organizzazione ecclesiastica e nessuna arma temporale nelle loro mani: sembra altresì che la loro influenza sulle classi che ascoltavano Budda più volentieri fosse molto leggera. Nelle controversie con essi, i buddisti sono quasi sempre gli aggressori. Ma un ostacolo più formidabile contro il Buddismo erano le altre sètte eretiche rivali. La tradizione buddista ci ha conservato il nome di sei di esse, le più potenti delle quali erano quelle degli Ajivika, i seguaci di Gosala 7, e dei Nigganta o Jainisti, col loro capo Nataputta.

Tanto i buddisti che i jainisti mostrano un’animosità speciale contro Gosala, che essi accusano di fondare un libertinismo pratico sulla base di un fatalismo teoretico.

I Sutta danno una nozione abbastanza chiara del metodo e della forma dell’insegnamento di Budda.

Il Buddismo, come tutte le religioni e le filosofie religiose che fiorirono in quell’epoca, era una via di salvazione ed aveva in comune con esse certi principi fondamentali. Il più importante è quello che la salvezza deve raggiungersi da ciascun uomo da se stesso: l’opera della salvazione è individuale. Nessun dio può salvare l’uomo.

Vi è pure una differenza fondamentale tra la concezione buddista del problema della salvazione e quella dei sistemi contemporanei. Questi assumevano generalmente che vi è un’anima, un ego, che passa col suo carico di azioni da una esistenza all’altra, per ricevere la giusta ricompensa di esse; il punto di partenza di tale dottrina era la nozione comune della trasmigrazione delle anime. Le Upanisad potevano negare che l’anima fosse in realtà individuale e dichiarare che l’individualità non era che un’illusione fatale, ma era sempre vero, che sino a che l’illusione durava, l’anima andasse per la sua via separata, individuale, di vita in vita.

Ma quantunque Budda non ammette la trasmigrazione delle anime nel senso che si dava a questa dottrina, perché non esiste un’entità permanente detta anima, che possa emigrare da un corpo all’altro, Il problema che a questo punto non poteva mancare di sorgere era: in che modo un’esistenza nuova dipende da quella anteriore, in che modo la seconda è determinata dalla prima? Questo è, se non mi sbaglio, il problema che la formula dell’origine dipendente pretenderebbe risolvere. La formula è costituita così: il punto di partenza e primo anello della catena è: 1) l’ignoranza, dalla quale dipende 2) la diatesi; e da questa 3) l’intelligenza (potenziale)

CONTINUA NEL LIBRO

7 Tutte le informazioni che possediamo circa Gosala e gli Ajiivikas sono state raccolte ed esposte ordinatamente da A. F. Hoernel, nell’articolo Ajivikas nell’Encyclopedia of Religion and Ethics, I 259 e sgg.

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Oscura per quanto sia questa teoria sulla catena che lega l’una all’altra le esistenze, non vi è dubbio che l’unico modo di romperla è quello di metter fine al prodursi del Karma.

Il metodo per raggiungere questa meta sublime è quello della vita religiosa quale è descritta nell’Ottuplice sentiero.

Il contenuto di tali esperienze, che viene determinato dalla suggestione, è specificamente buddista

L’unica via per raggiungere la santità era quello di seguire gli Otto Sentieri

I Dieci Comandamenti, che sono la legge fondamentale del monaco buddista proibiscono: 1) la distruzione della vita sotto qualsiasi forma; 2) il furto; 3)……

Sotto i re greco-indiani, il più grande dei quali fu Menandro (circa 100 a, C.), il Buddismo guadagnò terreno anche nelle regioni al nord-ovest. Il loro impero fu seguito da quello dei re indo-sciti, dei quali Kanishka8

Che immediatamente dopo la morte di Budda siasi tenuto un concilio ed in esso siasi fissata in modo definitivo la dottrina e la disciplina, quali sono contenute nelle due prime divisione del triplice canone stesso e con la storia che seguì.

Questi termini stessi indicano quanto lontano si fosse andato dal Buddismo primitivo. La meta che il Buddismo si proponeva, come tutte le altre religioni redentrici dell’India, era strettamente

8 Sembra sicuro che i re di questa dinastia fossero tartari.20

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individuale: ciascun uomo doveva lottare per conto suo, conquistare le Quattro Certezze, seguite gli Otto Sentieri,

Molte storie circolavano sulle esistenze anteriori di Budda, in forma di uomo o di animale, e tutti miravano a celebrare principalmente la sua indole pronta al sacrificio di se stesso per gli altri. In tutte queste vite, attraverso migliaia di anni, egli aveva coltivato incessantemente tutte le virtù perfette che un Budda deve possedere, cioè generosità, moralità, rinuncia, sapienza, perseveranza, longanimità nel soffrire, veracità, fermezza di propositi, carità, ed equanimità, e tutte le altre qualità superiori che sono condizioni necessarie per raggiungere la meta sublime. Quelli che abbracciano il buddismo più elevato del Mahayana si propongono di imitare in ciò il loro grande modello, e di sforzarsi di divenire non degli Arhat, ossia santi, ma dei Bodthisattva (che s’interpreta comunemente: uno che è intelligenza per essenza),cioè uno che si è reso degno di essere un Budda9.

I nomi più famosi che la tradizione buddista ha congiunto con questo sviluppo sono quelli di Acvaghosha, Nagarjuna, ed i fratelli Asanga e Vasubandhu.

L’ontologia del Mahayana ammette un assoluto che trascende il conoscere e l’essere 10.

L’influenza della religione indiana si rivela in modo meno favorevole. La vecchia nozione di una successione di Budda fu allargata in modo da far posto non solo per innumerevoli aspiranti-Budda (Bodhisattva),

Nel Tibet, dove il Buddismo fu introdotto verso il 650, si sviluppò nel secolo nono una religione nuova, nata dal miscuglio di superstizioni e pratiche magiche locali con un Buddismo adulterato, e , dal nome del supremo dignitario ecclesiastico, prese il nome di Lamaismo. Il patriarca della chiesa tibetana, il Lama, è l’incarnazione di un Budhisattva. I Tibetani possiedono traduzioni di molti libri buddisti, oltre ad un gran numero di libri propriamente lamaisti, di modo che il canone delle loro scritture ha preso larghissime proporzioni. Ai primi del secolo decimoquinto ebbe luogo una riforma che divise i lamaisti in due sette, distinte esteriormente dai colori degli abiti dei loro seguaci, cioè il rosso che è portato dai non riformati ed il giallo dai riformati.

9 In lingua pali, la parola satta sarebbe il corrispondente fonetico non solo di sakta, dedito a, ma anche di sattva, essenza. Il significato originario di bodhisattva sarà probabilmente quello di “uno che è dedito ( al raggiungimento della trascendente) illuminazione”. Ma l’altra interpretazione “uno la cui essenza è illuminazione” era più attraente e fu quella preferita. (C. R. Lanmn.)10 Questi lineamenti generali del Mahayana sono derivati principalmente dal libro di Suzuki, Outlines of Mahayana Buddism, 1907. Non èperò superfluo l’osservare che il Mahayana ha preso aspetti così diversi, che non è facile impresa il darne una descrizione d’insieme.

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IL GRANDE BUDDA

CAP. III. I SISTEMI FILOSOFICI

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Vedanta. – Monismo idealista di Cankara. – Metafisica: Brahman, l’Assoluto.- Teologia: Brahma, Dio personale.- La conoscenza superiore e la conoscenza inferiore.- Il Vedanta teista di Ramanuja.- Il Realismo pluralista del Sankhya.- Il Yoga.- Suoi metodi pratici.- Altre filosofie ortodosse.- Materialismo ateista.

Nei secoli durante i quali le grandi eresie fiorivano in India, le filosofie brahmaniche in parte in opposizione alle eresie stesse, furono sistematizzate, quella monista delle Upanisad nel Vedanta, e quella dualista, che presentava maggiori affinità col Janismo e col Buddismo, nel Sankhya. I Brahma- Sutra di Badarayana, nell’esposizione fattanteda Cankara, nel nono secolo d. C, presentano il Vedanta nella forma in cui è stato più largamente accettato in India. Il testo più antico del sistema rivale del Sankhya è il Sankhya- Karika.

Il Vedanta pretende di fondarsi non sulla speculazione filosofica, ma sulla rivelazione: è all’insegnamento del Veda, e specialmente alle Upanisad, che il Vedanta si appella come all’autorità suprema ed irrefragabile. Ma le Upanisad, essendo opera di pensatori diversi e di scuole diverse contenevano molte incoerenze riuscivano tanto più imbarazzanti quanto più riguardavano il punto vitale del sistema, cioè la natura del Brahman. Da una parte, ontologicamente, Brahman era l’essere assoluto; ma d’altra parte Brahman era concepito sia in modo panteista, come la base dell’essere e l’anima dell’universo, sia in modo teista, come un dio personale, il Signore supremo.

La metafisica del Vedanta sviluppa la prima di queste concezioni, cioè la dottrina superiore delle Upanisad. Brahman è la realtà unica, senza attributi né distinzioni o determinazioni: di esso null’altro può dirsi se non “neti neti”, cioè esso è nulla di tutto ciò che può dirsi che egli è: puro essere. Quando le Upanisad attribuiscono a Brahman varie perfezioni, - così dice Cankara- esso è considerato come oggetto di adorazione, ed è solo per accomodarsi alle limitazioni dell’intelligenza umana che si adotta questo modo di presentare la verità11 .

Un sistema radicalmente diverso, ma anch’esso esposto in forma di commenti al Vedanta_Sutra di Badarayana , fu formulato da Ramanuj, nel secolo undecimo.

Da questa catena senza fine non possono liberare le opere della legge: ma colui che nello studio delle Upanisad, nella meditazione e nell’amore di Dio, cerca la conoscenza del Brahman

La filosofia dualista ricevette la sua sistemazione prima della dottrina monista. Sembra che per lungo tempo fosse considerata come eretica a causa delle sue gravi, divergenze dalle tendenze principali del pensiero brahmanico, ma in seguito venne ritenuta come ortodossa, il che significa che ebbe largo corso tra i brahmani, e perciò si cercò di rafforzare le posizioni con prove e citazioni dalle Upanisad. Infatti non solo l’epica, ma anche i libri legali mostrano chiaramente che nei primi secoli dell’era nostra la filosofia dualista era molto diffusa. I caratteri essenziali del sistema Sankhya sono stati brevemente esposti sopra. È un realismo pluralista, che riconosce da una parte una materia universale ed eterna, e dall’altra anime individuali ed eterne

11 La distinzione di Cankara dei due brahman si trova in modo più esplicito nelle Upanisad stesse: “Vi sono due manifestazioni di Brahman, l’una personale, l’altra impersonale: quella personale è irreale, quella impersonale è reale” (Maitri Upanisad, VI, 3) e nella Brihadaranyaka Upanisad, II, 3, I si dice: “Due sono le forme del Brahman, la corporea e l’incorporea l’una è chiamata reale (sat), e l’altra quella (tyan)” traduzione di Belloni-Filippi, p. 48.

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Nello stato evoluto, ossia attuale dell’universo,l’anima assoluta è sempre associata con un meccanismo psichico e con un corpo etereo, composto di un sottile elemento materiale, che a sua volta produce la materia comune di cui consistono i corpi. La salvazione dell’anima è nella conoscenza di sé come un io metafisico e non un io empirico.

Questa emancipazione non si raggiunge per mezzo delle opere: le offerte e le cerimonie vediche non hanno neppure un valore pedagogico;

Il sistema è altamente intellettualistico e si propone di risolvere il problema della vita con mezzi puramente razionali.

Vi sono altri tre sistemi filosofici che sono classificati come ortodossi, perché riconoscono l’autorità del Veda. Nella stessa relazione in cui sta il Vedanta col Veda, per quanto riguarda la conoscenza rivelata nella filosofia vedica, sta pure il sistema detto Mimansa col Veda per quanto riguarda le opere prescritte dal Veda, cioè il rituale e tutto quanto si riferisce al cerimoniale. Esso infatti si occupa principalmente di discussioni casuistiche sui frutti o benefizi che si ricavano dalla osservanza dei veri riti e delle cerimonie. Il sistema Niyaya è essenzialmente un sistema di logica ed eristica; e quello Vaiceshika è una filosofia atomica della natura. A tutte queste scuole si opponeva il sistema dei Carvaka, materialisti confessi, i quali consideravano l’anima (intelletto) come un mero prodotto della combinazione dei quattro elementi che formano il corpo, nel modo stesso come le bevande inebrianti sono un prodotto della fermentazione. Gli Indù ed i Musulmani sono due foglie dello stesso albero: quelli chiamano i loro maestri Pandit, questi li chiamano Mollah, ma sono due pentole fatte della stessa creta.12

CAP. IV. L’INDUISMO

L’emergere delle religioni popolari. – Loro caratteri. – Salvazione per grazia divina.- Tipi vari. – Vishnu e le sue incarnazioni.- Krishna.- Il Bhagavad-Gìita.- Rama.- Sette Vishnuite.- Ramanuja. – Controversie sulla Dottrina

12 Sui Carvaca vedi: A. M. Pizzagalli, Nasti a, Carvaca e Lokayata, in “annali della Scuola Superiore di Pisa”, vol. XXI, pp. 116 sgg.

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della Grazia.- Madhvas.- I Vallabha.- I Caitanya.- Siva.- Sette Sivaite.- Gli dèi del Circolo Di Siva.- Templi, Idoli e Sacerdoti:- Pellegrinaggi.- Religione domestica. – I morti e l’al di là. – L ‘influenza dell’Islamismo in India.- I Sikh.- Il Brahma- samaj e altre Sette teiste della Riforma.

Sinora non abbiamo trattato, quasi esclusivamente, delle filosofie degli ultimi tempi vedici e di quelle del periodo postvedico, le quali si presentano tutte come vie di salvazione per mezzo della conoscenza; abbiamo parlato pure delle grandi eresie, il Jainismo ed il Buddismo, le quali – non ostante la profonda antipatia di Budda per la metafisica – sono essenzialmente anch’esse filosofie di salvazione.

Tuttavia, durante quei secoli, grandi cambiamenti ebbero luogo per altri motivi, anche nelle religioni popolari. Le antiche divinità vediche non furono dimenticate ma Indra ed i suoi pari dovettero cedere la precedenza ad altre divinità che negli inni figurano solo in posti secondari e di poca importanza, quali Vishnu e Siva. In qual modo i culti di queste divinità iniziarono il loro movimento ascendente verso la supremazia ci è sconosciuto. Megasthene, che visitò l’India verso il 300 a.c. quale incaricato di Seleuco Nicatore presso Sandracottus (Candragupta), riferisce che Dioniso (Siva) era venerato sui colli, mentre il culto di Ercole (Krishna) prevaleva nella vallata del Gange, dove si diceva che egli avesse fondato, tra le altre, anche la citta di Palimbothra (Patna), capitale del regno di Sandracottus. Nelle parti religiose e didattiche dell’epopea nazionale, il Mahabhrata (il periodo di redenzione dal quale si stende lungo parecchi secoli prima e dopo l’era cristiana), Vishnu comparisce come la figura dominante, ma alcuni poeti di religioni rivali che contribuirono pure all’epopea vi esaltano Siva al posto supremo. I Purana, il più antico dei quali risale probabilmente al quarto o quinto secolo d. c, sono le scritture sacre propriamente dette di queste religioni più giovani, ed hanno per esse la stessa importanza che i Veda hanno per i brahmani13.

Uno di tali dèi, chiamato dai suoi devoti il Grande Iddio, (Mahadeva), oppure il propizio (Siva), ottenne una legittimazione brahmanica per via d’identificazione con Rudra 14, col quale aveva realmente molta affinità di carattere, specialmente col Rudra dell’Atharvan ed ei Brahman. Un’altra di quelle divinità fu identificata con Vishun, dio molto onorato negli inni dove alcune imprese d’Indra sono già attribuite a lui. Vishnu è un dio più civilizzato di Siva, come si conveniva al dio di tribù o paesi più avanzati in civiltà. Tanto la religione di Siva quanto quella di Vishnu rivelano l

La dottrina dell’incarnazione è specificamente visnuita: “Ogni qualvolta la religione è in pericolo e l’iniquità trionfa (dice il dio nel Bhagavad – Gita ) io vengo fuori. Per la difesa dei buoni e la soppressione dei malvagi, per lo stabilimento della giustizia, io mi manifesto di età in età”. Una perfetta Avatara non è una mera manifestazione di Dio in forma umana, e neppure la venuta all’esistenza 13 I Purana pretendendo di essere collezioni di traduzioni antiche (la parola purana significa vecchio, antico) sulla creazione e distruzione del mondo, il culto degli dèi, il raggiungimento di poteri soprannatural, e l’unione con l’Essere Supremo. I Purana hanno tutti caratteri settario e lo scopo speciale di promuovere il culto di qualche dio o di qualche luogo sacro in particolare. Quindi si dilungano a narrare i miti del dio e le sacre leggende del tempo a cui fanno la reclame, insieme con molte altre cose che si suppone siano istruttivi o edificanti.14 Questa identificazione fu resa più facile dal fatto che nei veda la parola Siva è usata spesso come epiteto di Rudra, quantunque non vi diventasse mai nome proprio.

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L’incarnazione di Krishna è forse la più antica di tutta la serie, ed è possibile che sia stato il punto di partenza della teoria delle incarnazioni: è certo pertanto che nella storia di questa religione rimane le più importante. La leggenda di Krishana in breve sarebbe la seguente: Krishna era della razza dei Yadava ed era nato a Mathura (sul Janna, tra Delhi ed Agra); suo padre fu Vasudeva, sua madre Devaki. Il re Kamsa, suo zio, era stato avvisato da un oracolo che l’ottavo figlio di questa coppia l’avrebbe ucciso, e per evitare questo destino egli faceva uccidere i suoi nipoti appena nascevano.

La teologia brahmanica sarebbe pure la sorgente della dottrina della setta che fa di krishna il Paramatman, cioè l’Anima Suprema,una, eterna, senza qualità, esente dall’illusione cosmica (Maya) , conferendo così a Krishna gli attributi di Brahman. Un’ipotesi più semplice sarebbe quella che fa di Krishna originariamente il dio di un clan (forse un eroe deificato),.

Di tutta la voluminosa letteratura sacra dell’India nessun libro ha esercitato un’influenza profonda e più universale sul pensiero religioso e sulla vita dell’Induismo in tutte le sue ramificazioni quanto il Bhagavad – Gita.

In esso Krishna figura come dio personale e supremo; l’anima umana è pure eternamente personale, ed il suo bene più elevato è quello di dimorare per sempre in un’esistenza divina alla presenza di Dio.

Il concetto dell’universo che prevale nel poema è pluralistico; però mentre nel Sankhya scolastico la materia è eterna ed ha inerenti in sé tutte le forze evolutive, non lasciando così posto per un autore divino sia della materia primeva, sia dell’ordine cosmico esistente, al contrario nel Bhagavad – Gita, come nel teismo delle sette, il Dio supremo è non solo salvatore, ma anche creatore.

Dopo Krishna, l’incarnazione più importante di Vishnu è Rama, ed anche su questo punto vi sono dei problemi difficili a risolvere. Non vi è dubbio che Rama fosse un eroe epico 15, prima di divenire incarnazione di Vishnu, ed il motivo di questa trasformazione ci è ugualmente oscuro come di quella di Krishna. La storia di Rama, contenuta nell’epopea del Ramajana si può riassumere così16

Nella foresta dove si sono ritirati, Rama e Lakshmana guerreggiano contro mostri demoniaci: un demonio di sesso femminile, attirato dal valore di Rama, s’innamora di lui e gli si offre: respinta dai due fratelli, ed infuriata per l’insulto, fa ricorso al proprio fratello, il demonio Ravana, un mostro con dieci testi che fa paura agli stessi dèi, e lo incita ancor di più col descrivergli la meravigliosa bellezza di Sita. Mentre Rama e il fratello sono lungi nella foresta, Ravana rapisce Sita e volando per l’aria la trasporta nel suo regno nella rimota Ceylon. Avendo appreso ciò che era divenuto di lei, i fratelli fecero alleanza col re delle scimmie Hanumat, il più furbo di tutta la tribù scimmiesca e nello stesso tempo il gran campione dei salti mortali. Hanumat con un salto attraversa lo stretto

15 Non è improbabile che anche Rama fosse stato un dio di qualche tribù dell’India orientale.16 Il Ramayana fu composto dal poeta Valmiki durante il terzo o quarto secolo a. C.. Però il primo e l’ultimo libro (il settimo) sono addizioni dovute a mani diverse e ad epoche più recenti: vi sono inoltre numerosi interpolazioni anche nei libri genuini. Ed è soltanto in queste parti secondarie del poema che Rama comparisce come incarnazione di Vishnu.

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che divide Ceylon dal continente, scopre il luogo dove Sita prigioniera, la riconforta promettendole una prossima liberazione e torna da Rama.

Il numero delle discese di Vishnu in terra è quasi infinito: molte di tali discese però non sono che incarnazioni parziali, in cui il dio non viene con la pienezza della sua natura divina, e molte altre sono mere figure poetiche, senza un significato religioso più concreto. I fondatori di sètte, sia in vita, sia dopo morte, sono stati spesso riconosciuti dai loro seguaci come incarnazioni di Vishnu, e ciò si è anche detto qualche volta dei capi di sètte ostili o eretiche; per esempio, che il Signore si fosse incarnato in Budda onde fuorviare i suoi nemici e portarli alla rovina. 17 Quando Vishnu scende sulla terra e s’incarna come uomo, sua moglie Sri ossia Lakshmi viene anche lei in terra allo stesso tempo e s’incarna come donna. Così la moglie favorita di Krishna, Radha, è un’incarnazione di Lakshmi, come lo è sita, la moglie di Rama.

Dopo i Ramanuja la setta più importante è quella dei Madhava, i quali trovansi quasi esclusivamente nel sud. Il fondatore di cui portano il nome si dice sia vissuto nel secolo decimoterzo ( 1200 – 1275) e sia stato zelantissimo nell’opposizione al monismo di Cankara

Una terza setta fuori ai principi del secolo decimosesto, ed è quella dei seguaci di vallabla che espose le sue dottrine in commento al Bhagavata – Purana. Egli dedusse al fil di logica le conseguenze antiascetiche della dottrina della salvazione per mezzo della grazia, cioè che Dio non si compiace affatto che gli uomini mortifichino se stessi, e che perciò la soddisfazione degli appetiti naturali ed il godimento delle gioie della vita non sono cose cattive per se stesse e non formano ostacolo alla salvezza.

Il fondatore di un’altra setta vishnuita, Caitanya, nacque nel 1485 nel Bengala, dove sinora i suoi aderenti sono più numerosi. Dalla dottrina sulla grazia egli dedusse un’altra conseguenza, e cioè che “la misericordia di Dio non tiene conto di tribù o di famiglie”; tutti i credenti sono uguali davanti a Dio senza distinzione di casta: ma nella pratica attuale questa uguaglianza non va oltre i limiti delle cerimonie religiose: nella vita sociale anche i Caitanya rispettano le ordinarie linee di separazione tra le caste. L’unica via di salvazione è la fede divina in Krishna; secondo quel che s’insegna nel Bhagavata – Purana.

Il fondatore della setta è considerato come un’incarnazione di Krishna ed i suoi due discepoli principali come parziali incorporazione dello stesso dio: i loro successori sino ad oggi, come i guru, ossia maestri di altre sette, esercitano grande autorità e sono oggetto di onori quasi divini. Il ripetere senza cessare i nomi di Krishna, e specialmente il nome di Hari, fa guadagnare al devoto il paradiso di Vishnu; come nella setta di Jabo fra i buddisti giapponesi, il ripetere il nome di Amida Budda assicura l’ingresso nel Paradiso Occidentale.

In tutte le sette indiane i nomi delle divinità hanno una grande importanza; Vishnu ne ha un migliaio in cifra rotonda, ed il catalogo di quelli di Siva oltrepassa questa cifra con otto nomi di più.

Col diventare il dio supremo di una delle grandi manifestazioni dell’Induismo, Siva non ha perduto questo carattere: però anche altri tratti della sua natura sono stati messi in evidenza, mentre quelli 17 Ma vi è una setta che adora Budda, come incarnazione di Vishnu, quale vero maestro di religione.

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odiosi sono stati conferiti alla dea sua moglie. Siva è l’autore e il distruttore della vita, e personifica le forze riproduttrici della natura, per cui il toro ed il fallo (lingam) sono i suoi simboli più comuni. I caratteri orgiastici del suo culto che mossero Megasthene ad identificarlo con Dionisio, la sua predilezioni per la caccia, per il bere e per la danza, sono solo uno dei lati, e senza dubbio il più antico, del suo carattere abbastanza complesso. D’altra parte Siva apparisce come un dio ascetico, che siede nudo con i capelli ed il corpo imbrattati di cenere, sotto l’albero di fico 18; oppure come il grande Yogino19 , il quale con l’auto – mortificazione e con meditazioni lunghissime ha raggiunto conoscenza e potere soprannaturale. Inoltre egli è il filosofo ed il saggio divino, ed è rappresentato come un brahmano dotto nei Veda; la grammatica di Panini, infatti sarebbe una rivelazione di Siva20.

Il Sivaismo originariamente aveva affinità teologiche più strette col pluralismo del Sankhya – Yoga, anziché col monismo del Vedanta: ma le modificazioni

Una caratteristica del Sivaismo, quantunque non esclusiva21 , è la venerazione di divinità femminili quali poteri attivi (Cakti) del Dio supremo.

L’unica salvazione, secondo uno dei loro Tantra, è quella che si ottiene col bere liquori, mangiar carne e coabitare con donne. Queste orgie sono

Accanto a Vishnu ed a Siva si pone anche Brahma 22, il Tutto – Padre, il dio personale che la religione teista derivava dall’assoluto metafisico Brahman (neutro), e con essi formava una triade ( Trimurti). Nella forma che può dirsi ortodossa, cioè quella brahmanica, di questa triade, Brahman, l’Assoluto, si manifesta in tre persona dello stesso grado, Brahma il creatore, Vishnu il preservatore e Siva il distruttore. Kalidasa23 canta così:

In queste tre persone l’unico dio si mostra,

Ciascuno primo e ciascuno l’ultimo – non uno solo –

Di Siva, Vishnu e Brahman ciascuono può essere

Primo, secondo, terzo fra i tre Beati.

Nella dottrina Puranica le tre persone sono connesse con le tre qualità o fattori del Sankhya.

18 In sanscrito pippala. L’albero sacro dell’India (ficus religiosa) che raggiunge proporzioni gigantesche ed ha vita lunghissima.19 Eran chiamati Yogin certi asceti delle sètte sivaite. Vedi più sotto. Il titolo Grande Yogino sarebbe equivalente a quello di Grande Asceta.20 Panini è l’autore della più antica grammatica sanscrita che ci sia stata conservata, a cui veniva attribuita una grande autorità. È incerto quando visse: ma non più tardi del IV sec. a C.21 Il Buddismo Tantrico ha le sue Tara che sarebbero le Cakti di Siva sotto altro nome. Vi sono anche delle Cakti vishnuiti.22 Pochissimi templi sono dedicati a Brahma ed egli non ha adoratori dedicati esclusivamente a lui.23 Kalidasa, il più famoso dei poeti indiani ed autore del dramma Cakuntala. Si crede sia vissuto verso il terzo secolo d.C.

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I luoghi che hanno grande fama di santità sono meta di pellegrinaggi anche da grandi distanze, e in occasioni di feste solenni vi si riuniscono folle enormi di devoti da tutte le parti. Fra le città sante dell’India, Benares tiene il posto più importante: ciascun pio indiano aspira di andarvi almeno una volta in pellegrinaggio, ed è credenza comune che

Le prime invasioni musulmane non ebbero nell’India effetti durevoli, ma nella seconda metà del secolo decimo, sotto Mahmud di Ghanzi, la potenza islamistica si stabilì solidamente, e sotto varie dinastie e varie vicissitudini vi si mantenne ed estese i suoi domini non solo nell’Indostan, ma, dal secolo decimo quarto in poi anche il Deccan. Al tempo dell’invasione di Baber (1525) la maggior parte della penisola era sotto governo musulmano e nel nord – ovest i musulmani erano in numero considerevole tra la popolazione. Questo contatto con l’austero monoteismo dell’Islam svegliò e diresse gli sforzi delle religioni indigene a liberarsi dei loro caratteri politeistici e idolatrici ed a formare un teismo eclettico, in cui musulmani ed induisti potessero unirsi. Il grande imperatore Akbar (regnante dal 1556 al 1605) si dedicò con gran zelo a questo compito, ma la sua religione sintetica morì con lui.

Un’altra setta teista, che sorse nel secolo decimosettimo, è quella dei Dadupanthi, il fondatore dei quali, come Nanak, riallacciva la sua discendenza spirituale, attraverso Kabir , alla ramificazione del Ramananda della religione vishnuita. I loro principi religiosi sono molti simili a quelli dei Sikh, ma i Dadupanthi non presero mai parte alcuna nella politica. Non hanno né templi né immagini, e non portano alcun marchio settario in fronte; il loro culto consiste principalmente nell’adorare Dio sotto il nome di Rama, e nell’invocazione dello stesso nome sacro. A differenza dei Sikh non mangiano carne, ed osservano strettamente le regole del non fare male agli esseri viventi. Il loro fondatore non impose l’obbligo di abbandonare la famiglia e le ordinarie occupazioni della vita, ma quelli che ne sentono la vocazione sono liberi di seguire l’esempio datone dal fondatore stesso. Oltre agli asceti e ai capi di famiglia, molti aderenti di questa setta una volta si mettevano al servizio del principi Indù, in qualità di soldati: si dice che il Rajah di Jaypur ne avesse diecimila nel suo esercito. Gli estratti dei loro libri sacri che sono stati pubblicati fanno una impressione favorevole.

I riformatori teisti del secolo decimonono subirono l’influenza del Cristianesimo protestante, non che quella dell’Islamismo. Il primo di essi fu Rammhun Roy (1774 – 1833), un brahmano bengalese, e fondatore del Brahma –Samaj (Società teista, organizzata nel (1830). Lo scopo dell’associazione, come si dice nell’atto di costituzione, era il culto dell’Essere uno, eterno, incerabile ed immutabile, l’autore ed il conservatore dell’universo ; la promozione della pietà, della moralità e della carità, e il rafforzare i vincoli di unioni tra gli uomini di tutte le religioni e di tutte le classi. Immagini e sacrifici erano esclusi dal culto, che consisteva in letture dai Veda e dalle Upanisad, in un sermone e nel canto di inni.

A parte queste organizzazioni di cui non possiamo parlare più a lungo, è evidente da molti segni che uno spirito di rinascenza agita l’induimo, in parte almeno come conseguenza o come accompagnamento della rinascente coscienza nazionale. Coloro che sono animati da tale spirito son ben convinti che risorgimento implica riforma: però mentre i riformatori del secolo passato

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confessavano qualche volta in termini sensazionali la loro ammirazione per il Cristianesimo, o almeno per Cristo, e riguardavano la cristianizzazione dell’India come un destino inevitabile, oggidì al contrario la tendenza riformatrice ha volto le spalle all’Occidente: l’atteggiamento prevalente si è che l’India ha molto da apprendere dall’Europa e dall’America per quanto riguarda le cose materiali, ma nulla per quanto riguarda la religione. Molti altri vanno anche più lontano, sino ad affermare che l’India sarà la maestra delle nazioni occidentali, nelle dottrine e nella pratica della religione, e nella vera meta e nei veri metodi della vita umana.

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Varanasi, India

Varanasi, nota anche come Benares, si trova sulla riva occidentale del Gange. È una città santa sia per l’induismo che per il buddismo ed è per questo considerata la capitale spirituale dell’India. La tradizione vuole che sia stata fondata dal dio Shiva nel IV secolo A. C, ma alcuni ritrovamenti archeologici datano i primi insediamenti umani all’XI secolo. A. C.

Di questa città, Mark Twain (scrittore e docente) diceva: “ Benares e più antica della storia stessa, della tradizione, della leggenda, e sembra almeno due volte più vecchia di tutte queste cose messe insieme.

Città millenaria, Gaspare Lombardo (l’autore del libro) dice: che sembra macchina del tempo: è quella in cui la presenza dell’uomo è la più antica, primissimi incubatori di civiltà, luogo che non smette di parlare al presente.

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SALVATORE LO BUE. Gli altari della parola Poesia orientale vedica Inni e Mahabharata. Editore Francoangeli

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