la fornace nell'economia preindustriale e il caso di castelnovo
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MAGISTRI SCODELARI Produzioni ceramiche a Castelnovo del Friuli nel Cinquecento
COMU E DI CASTEL OVO DEL FRIULI
MI lSTERO PER I BE I E LE ATTIVTT À CULTURALI
SOPRI TENDENZA ARCHEOLOGICA E PER I BE I
AMBIE TALI E ARCHITETTO ICI, ARTISTICI
E STORICI DEL FRIULI-VENEZIA GIULIA
MINISTERO PER l BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA E PER I BENI A.A.A.S.
IDEAZIONE E COORDINAMENTO
DEL ''PROGETTO CASTELNOVO":
Serena Viui, Gianna Malisani, Paolo Casadio
COORDINAMENTO TECNICO-AMMINIS'I'RATIVO:
Antonio Bella
PROGETTAZIONE DELLA MOSTRA
"SCODELLE - LA CERAMICA
DI CASTELNOVO DEL FRil1LI":
Gianna Malisani, Ferruccio Montanari
ALLESTIMENTO:
Ideainterni, Udine
Il progetto è stato finanziato dal Comune di Castelnovo del Friuli con il contributo dell'Unione Europea Iniziativa Comunitaria Leader 11
DEL FRIULI-VENEZIA GIULIA
COMUNE DI CASTELNOVO DEL FRIULI
VOLlTME A CITRA DI:
Serena Viui, Paolo Casadio
C.o\TALOGO DELLE CERAMICHE
E REPERTORI A Cl'RA DI:
Angela Bor.tacconi
FOTOGRAFIE DEl REPERTI IN CATALOGO:
Archivio Soprintendenza Archeologica
e per i B.A.A.A.S. del Friuli-Venezia Giulia (Gianpaolo Trevisan, Stefano Scuz)
DISEGNI:
Martina Bragagnini
RILIEVI:
Archivio Soprintendenza Archeologica
e per i B.A.A.A.S. del Friuli-Venezia Giulia
(Museo Archeologico Nazionale di Aquileia);
Comune di Castelnovo del Friuli (Antonio Bella)
INDAGINI ARCHEOLOGICHE:
Soprintendenza Archeologica e per i B.A.A.A.S. del Friuli-Venezia Giulia
(direzione Paola Lopreato)
RESTAURI:
Raffaella Turco
A!''AI.ISI GEOLOGICHE:
Dipartimento di Georisorse e Territorio
dell'Università degli Studi di Udine
ANAI.ISI ARCHEOMETRICIIE:
Istituto di Ricerche Tecnologiche per la Ceramica-C:-JR, Faenza
COORDINAMF.NTO EDITORIALE:
Roberta Costantini
I'ROGETTO GRAFICO,
REDAZIONE E IMPAGI!'o!AZIONE:
Il Paragrafo, Udine
RIPROI>I IZIONI:
Fotolito Udinese
STAI\II'A:
Arti Grafiche Friulane, Tavagnacco
Le riproduzioni di beni di proprietà dello Stato sono state effettuate nell'ambito della convenzione tra la Soprintendenza Archeologica e per i B.A.A.A.S. del FriuliVenezia Giulia e il Comune di Castelnovo del Friuli. È vietata l'ulteriore riproduzione senza l'autorizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Copyright: Comune di Castelnovo del Friuli Soprintendenza Archeologica e per i B.A.A.A.S. del Friuli-Venezia Giulia
[!] Con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone
INDICE
6 Presentazione del Sindaco
7 Presentazione del Soprintendente
9 Il progetto Castelnovo Serena Vitri
12 Lo scavo Paola Lopreato
16 La ceramica di Castelnovo Angela Borzaawzi
34 Analisi dei materiali Bnmo Fabbri, Sabtitta Gualtieri, Andrea Ruffini
46 Origine e provenienza delle argille Roberto Avigliano, Andrea Marrhesùzi, Giovanni ,J-!onegato, Adriano Zatifenmi
56 Il restauro delle ceramiche Raffaella Turco
58 « .•• cavasi· terra buona a compor vasi d'ogni sorte ... »
Alberta il/aria Bulfon
72 La fornace nell'economia preindustriale e il caso di Castelnovo Paolo lanris
78 Fornaciai di Castelnovo tra emigrazione e Grande Guerra Alberta ,Uatia Bulfon
84 Considerazioni conclusive Roberta Costa11tini
93 Tavole a colori
114 Catalogo delle ceramiche
143 Repertorio grafico
166 Tavole delle concordanze
169 Biblio.,-afia
LA FORNACE NELL'ECONOMIA PREINDUSTRIALE
E IL CASO DI CASTELNOVO
l. \'.-\SC:HE l TII.IZZ.ITF. PER l.. l
I'RF.Po\IHZIO'E I>EI.I.'.\IHiiLL \ ("E,c:YCLOP~:I>IE··. 17SI-1772).
Paolo Iancis
L o studio della produzione ceramica di Castelnovo abitua subiw alla persistenza di un ventaglio di sfumature attorno al concctw principale di un'industria cinquecentesca in cima al colle dci CrOz. Un compromes
so verso la sentenza sfaccettata imposto dalla complessità degli elementi d'indagine e da una non infrequente irrisolutezza delle fonti. I saggi di scavo innanzi tutto: interessano un 'ampia superficie del colle, disvelano l'esistenza di una discarica di vasellame rinascimentalc, ma non individuano i resti (e quindi la configurazione) dell'impianto. Nella ricerca di un edificio resta forte l'ambizione che le attuali abitazioni coprano antiche fondamenta, avvalorata dai convergenti indizi sulla composizione del terreno e quindi sulle probabili cave d'argilla (cfr. A\'IGLI.\:\'0 et al., s11pra), ma si preferirà qui non ricorrere all'ineluttabilità dell'organizzazione univoca. L'ubicazione non sfoltisce l'ambiguità: un dosso, certo non elevato, ma dalle pareti ostiche e poco riforniw d'acqua (il corrente Cosa scorre discosto a occidente ). E l'importanza della localizzazione è rimarcata per esempio dal confronto con il borgo di Baseglia, non troppo distante da Castelnovo, dove nel 1576, nel cortile di casa Pascalis, una fornace
73 LA FORNACE NELL'ECONOMIA PREINDUSTRlALE
sorge <<in gretum Cosae». 1 Sui Cruz sembra prevalente invece l'importanza della vicinanza alla zona di estrazione. Infine le carte d'archivio (vi si ritornerà ovviamente con pita detta~lio), che lanciano sprazzi, forniscono appigli, ma si fermano di fronte all'attestazione definitiva. La storia della tecnolo~ia è implacabile nel ricordare il significato allar~ato del termine fornace in epoca preindusrriale rispetto a quello- pita rigoroso ma rassicurante- di edificio stabile in muratura dorato di forni per la cottura di calcari e argille. Risponde infatti alla stessa definizione anche un impianto a cielo aperto oppure la più incerta cottura in cataste, secondo una tecnica che in alcuni centri rurali dell'Europa ocçidentale sa protrarsi tranquillamente fino alla prima età moderna (jOPE 1993).- A Castelnovo solo il ritrovamento ne~li scavi di numerosi treppiedi di cottura (utilizzati per il sostegno del vasellame nelle camere da fuoco) riconduce all 'esistenza di almeno un forno. Si delinea (o si impone) un angolo di osservazione molto aperto (e una certa cautela). Subito allora una panoramica che fissi le principali tecniche di lavorazione dell'epoca. Di rado le argille, pure molto diffuse in natura, sono messe in lavorazione come estratte. Nella maggior parte dei casi la materia grezza (c impura) viene preliminarmente spappolata con abbondante acqua in grandi vasche scavate nel terreno (fig. l) e sottoposta a setacciatura e decantazione, per l'ottenimento dopo prosciugata di un impasto omo~eneo e plastico. La persistcnza di bolle d'aria, causa di deformazioni durante la cottura, è eliminata dopo un'ulteriore impastatura e con lo sbattimcnto dei blocchi di creta uno contro l'altro. Fasi preliminari queste che non presentano sostanziali varianti. L'intervento del fornaciaio si limita all'aggiunta di correttivi (sabbia o poco altro) che intervengono sul grado di grassezza dell'ar~illa. Le operazioni sono rigorosamente manuali e la meccanizzazione dell'impastatura in periodo rinascimentale è di là da venire. La creta è pronta per essere modellata, al tornio secondo la tecnica più tradizionale, oppure premuta entro stampi, dove si vo~lia ottenere superfici lavorate. Tra i reperti ceramici di Castelnovo domina il contorno liscio e la forma essenziale (piatti, catini, scodelle), a sancire la prevalenza del semplice moto rotatorio. Ci si soffermi. Il principio della ruota da vasaio è antichissimo: foggiatura dell'ar~illa collocata su un piano in rapida rotazione. Tra le diverse epoche cambia solamente la modalità di generazione del movimento, rimanendo prevalente tuttavia la spinta autonoma dell'arti~iano (generalmente a pedale) e l'accumulo dell'energia cinetica in un pesante volano (collegato al piano con albero) per una distribuzione più uniforme e continua del moto (fi~. 2). L'argilla modellata è fatta essiccare all'aria, in condizioni di temperatura possibilmente costanti, per evirare screpolature. Dal periodo medievale (ma solo negli impianti più evoluti) subentra anche l'utilizzo di forni di essiccazione. Sull'oggetto, che ormai ha raggiunto 1'8-15% di umidità, si effettua comunemente la brunitura, ovvero un processo di ulteriore levigatura mediante pressioni della superficie per ridurre la porosità del materiale. Ma sarà la temperatura di cottura a determinarne successivamente la definitiva impermeabilità. I rivestimenti invece, che certamente ovviano alla bassa tenuta delle ceramiche più scadenti, già dal 1\ledioevo assumono anche una funzione ornamentale. Nella tipolo~ia graffita, la più diffusa a Castelnovo, un velo di argilla molto fina e liquida (i11gobbio) viene steso sulla superficie dell'oggetto lavorato. Graffiando I'i11gobbio si può far riaffiorare lo strato di argilla sottostante (di solito diversamente colorata), ottenendo decorazioni talora semplici e stilizza-
2. TOIC\10 IH \".\SAIO
( "E'\CYCI.Ol'lofm:··, 175 1-1772).
l. \ SI' • .Vot(lli/r :li/liro. b. 1182. fase. 8308. c. 1 S.
2. \la si confronti GRI 1987. p. 118. che per i laterizi friulani. accanto ai forni. attesta la sopran·i,·cnza della cottura all'aperto in catasrc (ortllfÌk) tino a rutto il XIX secolo.
MAGISTRI SCODELARI
3. Per il comparto ,·erra rio si confronti la storia itinerante della ,·erreria goriziana di Tribussa nel corso del Settecento in L\'\CIS
1999. pp. 122-126.
.ì. FoR'\o YERTIC.-\LE
( "E'\CYCLOP~: IJIE" . 1751-1772).
4. SCIIE\IA Ili FOR'\0
ORIZZO'\T\LE.
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te, talora elaborate e preziose. Sul manufatto sottoposto a una prima cottura, il biscotto, successivamente dipinto con svariate tonalità di colore (giallo e marrone dai composti di ferro e antimonio, verde dal rame, porpora dal manganese, azzurro dal cobalto), viene quindi applicata un 'invetriatura silicata al piombo, trasparente e lucida, che aderisce definitivamente al supporto se sottoposto nuovamente al calore del forno (CLO\\' e CLO\V 1993; COSTANTINI 1994). L'epilogo è nella cottura ovviamente, sfaccettata e complessa. Cambia il risultato sul prodotto finale a seconda delle diverse modalità di esposizione al calore. Incide la composizione dell'argilla, la temperatura del processo (e la velocità con cui la si ottiene), la natura dei gas che si producono. È determinante però l'inseguimento di una stabile presenza di combustibile (in un'infamata il volume dei ciocchi può essere diverse volte superiore a quello dei vasi), che condiziona fino a poter segnare le sorti del settore e può quindi discostarsi facilmente rispetto al preponderante impiego del legno (con la torba, per esempio). La storia della manifattura di età moderna, nello studio di strutture a elevata richiesta energetica come fornaci, fucine e vetrerie, in particolare se di zona montana o pedemontana, sottolinea spesso il problema del disboscamento, che normalmente procede allargando progressivamente il proprio perimetro attorno al centro di consumo. Oltre un certo livello l'approvvigionamento del legname diventa procedura insopportabilmente costosa, fino a poter rendere preferibile il trasferimento degli impianti a quello continuo e crescente dei carichi di combustibile. ' Le differenze si divaricano se le ceramiche si cuociono in forni oppure in focolari aperti. Una camera di cottura consente ovviamente temperature più elevate e un migliore controllo dell'atmosfera attorno al vasellame. La cottura all'aperto non sa superare invece gli 800 oc, distribuisce la temperatura con disomogeneità sui diversi pezzi e aumenta di conseguenza la percentuale di scarti. Spesso perciò coperture della pila almeno grossolane tentano l'emulazione di una volta di fornace. A 500-700 oc vengono comunque già espulse le particelle d'acqua combinate con l'argilla e per i manufatti più rudimentali è sufficiente. Temperature superiori (900-950 °C, come per i reperti di Castelnovo, cfr. FABBRI et al., supra) garantiscono un 'ulteriore contrazione del materiale con cambiamento della struttura cristallina e maggiore resistenza e impermeabilità . Se si persevera, e il combustibile lo permette (1200-1400 oC), l'argilla comincia a fondere, i pori si chiudono completamente e la terra vetrifica. Tra le varie sostanze che accompagnano nell'impasto l'argilla pura va segnalato il comportamento dei composti ferrosi che, se presenti in sufficiente quantità, sono responsabili di un forte sbilanciamento del colore della creta verso il rosso (con alta temperatura e ambiente ricco di ossigeno) oppure verso il nero (con atmosfera riducente), condizioni ambientali peraltro facilmente ricreabili per favorire un rudimentale processo di tintura. Solo nel forno chiuso si ottengono temperature elevate e un calore più uniformemente irradiato. Il controllo del tiraggio limita inoltre le escursioni nel tempo. Di contro, rispetto alla cottura all'aperto, carichi notevolmente inferiori e maggiori spese di combustibile: qualità a dispetto della quantità. Si sussegue fino in età moderna la dicotomia tra forno verticale e orizzontale. Di concezione più essenziale, il primo (fig. 3) si compone di una vano di cottura riscaldato alla base da una camera di combustione. I gas caldi del focolare attraversano i cocci e fuoriescono da una cappa, talvolta anche solo temporanea per la durata del processo e demolibile al suo termine per facilitare il
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recupero delle terrecotte. Gli oggetti appoggiano su un solido ripiano forato in materiale refrattario, che argina tra l'altro il contatto diretto con la fiamma. La necessità di mantenere in sospensione il carico limita però lo sviluppo in estensione del forno verticale, che trova in una disequilibrata distribuzione del calore tra parte alta e bassa un'ulteriore penalizzazione. Tenta di avviarvi la fornace orizzontale, con un sistema di tiraggio in cui l'aria incandescente attraversa in lunghezza la camera di cottura prima di uscire dal camino (fig. 4). La disposizione del vasellame all'interno del forno è affidata a sostegni refrattari di differente foggia e misura, che impediscono nel cumulo il contatto tra gli oggetti e, per i cotti più fini che utilizzano coperture avvolgenti, anche una meno impetuosa esposizione alla fiamma e al calore. Tra i reperti di Castelnovo la schiacciante presenza di "galletti", ossia di essenziali sostegni tripodi, testimonia di prevalenti produzioni seriali. Per il colle dei Crùz prendono stentatamente forma i tratti di una fornace di modeste dimensioni e dalle aspirazioni limitate: un numero imprecisato di cotture all'anno di non eccelsa fattura, soprattutto stoviglie e altri oggetti fittili di largo consumo per un mercato locale ristretto attorno al luogo di fabbricazione. La freddezza delle carte cinquecentesche rafforza la tesi di una produzione marginale. Nel XYI secolo Castelnovo è feudo della nobile e potente famiglia Savorgnan,~ meticolosa contabile dell'assetto amministrativo ed economico delle proprie giurisdizioni. La gran mole di incartamenti che rimangono (puntigliosi resoconti di proprietà, appunti sulle rendite, ragguagli sulle attività) costituiscono un indispensabile punto di partenza,' ma restituiscono di Castelnovo l'immagine di un centro prevalentemente agricolo su un territorio già allora caratterizzato da una forte polverizzazione dei nuclei abitati. Si rovista inutilmente anche tra il patrimonio della casa giurisdicente, volendo inseguire una tendenza regionale confermata nei secoli successivi di una proprietà delle fornaci friulane concentrata in mano nobiliare, con gli impianti orientati al soddisfacimento prevalente delle necessità interne e solo nei tempi morti dati in affitto a fornaciai per lavori di commissione (1\lORASSI 1987). È poco fruttuosa la ricerca di una deviazione produttiva verso il laterizio, sconsigliata dall'evidenza archeologica perimetrata attorno al reperto ceramico e confermata comunque dalla beffarda abbondanza di case con tetto di paglia segnalate in diversi estimi immobiliari fino a tutto il Settecento.'' L'attenuante è nell'assenza di un centro urbano di rilievo all'interno del feudo e quindi nel condizionamento degli stili architettonici e della scelta dei materiali che, con una domanda edilizia cittadina poco sostenuta, rimangono agganciati all'inerzia costruttiva rurale della pietra, del legno e della paglia/ Permette sentenza più definitiva solo l'oceano della carta notarile, ostica e sterminata. Non la limitata attività di rogito che si svolge a Castelnovo solo dal 1690,R inoltrandosi rapidamente nel Settecento e allontanandosi drasticamente dal baricentro della ricerca, ma quella dei centri vicini, a cui gli abitanti di Castelnovo si rivolgono per i propri atti pubblici nel :X\'1 secolo. Spilimbergo innanzitutto, e poi Travesio. Qui il percorso di indagine archivistica si ramifica in rivoli, spesso interrotti dall ' impraticabilità della carta (che ha attraversato i secoli per essere alluvionata negli ultimi decenni). Si susseguono confusamente toponimi inequivocabili ( «loco detto fornasati» )" a tracce onomastiche indicative (<<Pietro F ornarij» ), 10 ma sempre difficilmente rapportabili alla zona di Castelnovo. Solo nel 1543 una transazione fondiaria tra mastri "ollari", cioè vasai, sancisce l'intenzione più precisa per l'insediamento di una fornace in
4. Per uno sguardo rapido sulla storia della dinastia si ricorra a ZF."\A
ROLA PASTORF. 1993.
S. Il Fondo Savorgnan è conservato in pane aii'Archi\·io di Stato di l! dine. Le bb. 20 e 21 si occupano dci feudi di O soppo. Belgrado e Castelnovo.
6 . . \ s l ·, Fondo SrtL'Of'/!,lltlll , bb. 20-Z1,passim.
7. Sull'habitat rurale di età moderna si veda senz'altro BRAl ·DEL 1993, pp. 245-254. Del caso friulano si occupa invece GRI 19H7.
8. ASl' • .Voffnile Anrim. bb. 181 e scgg.
9 .. \ SP, Nora n/e .4.nriro. b. Il HZ. fase. H309, c.4&:.
l O .. ·\SI' •• V orari/e il11tiro, b. 1182. fase. H309. c. 14r.
MAGISTRI SCODELARI
11. Per il dettaglio si veda il contributo di Alberta l\.laria Bulfon (.wpml.
12. ~st·. Giurisdizirmi fmdali. b. 142, Stampo de" povni Jlic!Jid f l.. Hattista .lillzrtto tn· .. cc. 24-26.
U .. \st·, Gi111isdizioni fmdali. h. 142, Pmas.ro del S~ft.r Carlo Ttm/(/sini err .. c . . U . l756.
14 .. \SI', Catasto /ombardo-t:t'l/eto (1830-1!!47). mappe di Casrclno,·o.
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loro. 11 Non più di un progetto, ma probabilmente il tassello mancante. Amargine spuntano, pur confusamente, altri "scodellari", che rinvigoriscono l'ipotesi del mestiere diffuso. Lo stesso contratto notarile del '43 è tra artigiani, dato rilevante, anche se troppo poco per attestazioni definitive sull'assetto proprietario degli impianti. Alla ricerca di una tradizione nel settore che si consolida anche in epoca successiva, si compie un balzo di quasi due secoli. Nel 1713 riemerge dalle carte di Castelnovo una <<cocina da fuoco con altra annessa>>, mentre il terreno (precisamente <<bearzo>> più <<OTto>>) che confina a sud compare come <<loco detto sotto la casa da fuoco >> ,12 dipingendo debolmente, in assenza di indicazioni toponomastiche, l'esistenza di un dislivello (come quello dei CrOz?). Sono carte distanti dalla nostra datazione archeologica, quindi, a volersi cautelare: il <<Sotto>> della casa da fuoco può facilmente riferirsi alla posizione cardinale del mezzogiorno piuttosto che a quella di un degrado del terreno, ancor più per una pedemontana che sale velocemente verso nord. Inoltre, e con accento critico maggiore, "casa da fuoco" (o "cocina") è termine versatile che filtra solamente l'esistenza di un processo manifatturiero basato su una combustione e, volendo escludere un troppo generico forno per la cottura del pane e una troppo sofisticata vetreria, l'espressione non può non allineare almeno una fucina per la lavorazione di metalli. Non viene in soccorso un'altra casa da fuoco <<tutta in mal stattO>>, che si mostra nel 1756 a Forgaria (anche giurisdizione dei Savorgnan) e che, oltre ad essere <<coperta di coppo>> e <<con camera sopra>>, non sa dare altra descrizione di sé.11 Nel tentativo di affermare l'improbabile sopravvivenza della fornace di Castelnovo fino a tutto il Settecento, interviene a ridimensionare le eccentriche aspettative un dettagliato resoconto delle <<rendite, prerogative e diritti feudali>> che i Savorgnan vantano ancora in periodo napoleonico, ma risalenti alle "primitive investiture" del X\"1 secolo. Si presume che un'importante manifattura come quella ceramica (o almeno la cava di argilla, eventualmente pili legata a pretese feudali) non vi possa sfuggire, ma nella lunga lista di mulini, battiferri, segherie, non compaiono attività di estrazione o cottura della terra. Volendo, oltre interviene anche la mappatura del territorio ad opera degli austriaci, ma il 1830 (anno di inizio della catastazione) è veramente troppo in là per confidare nella sopravvivenza di tracce. 1 ~
II singhiozzo delle carte non deve tuttavia impedire Io specchio più ristretto. È la stessa collocazione cronologica dell'impianto che può avviare al cauto ragionamento sull'organizzazione del lavoro: un mestiere che si trasmette di padre in figlio, al di fuori di una regolamentazione statutaria che, se fissa norme corporative, le chiude lontano, all'interno della cerchia urbana. Si moltiplicherebbe il numero di lavoranti solo in presenza di una fornace di laterizi, dove la standardizzazione della produzione nella preparazione del materiale crudo permette l'allineamento (e l'appiattimento) della manodopera, ma il conto si ritrae nel manufatto ceramico, nel quale la ricerca pur blanda della forma complessa spezza la serialità produttiva. Induce ancora alla riflessione il grado di accentramento del processo, soprattutto in un'economia come quella preindustriale, che tende a disperdere la filiera produttiva sul territorio. Il colle dci Crftz, quindi, sicuramente come zona (pur non esclusiva) di estrazione della materia prima (cfr. A\"IGLIANO et al., supra) e luogo di completamento del processo produttivo, cioè sito di cottura. considerando come non trascurabili la convenienza di una discarica
77 LA FORNACE NELL'ECONOMIA PREINDUSTRIALE
nelle immediate vicmanze del forno e la sicurezza data da un 'adeguata distanza dal centro abitato. PitJ incerte le altre fasi del ciclo . .1\Ia la collina, pure aspra, appare esposta e ben ventilata, quindi anche favorevole (e probabile) luogo di essiccazione del materiale crudo. Infine il momento della modcllazione, dove sull'ipotesi del mestiere diffuso (più botteghe di vasai disperse nei borghi e riunioni periodiche in cima ai Cn1z nell'appuntamento dell'infornata) grava la difficoltà di trasporto dell'argilla grezza o di quella modellata. Un invito quindi a uno spostamento verso il colle anche del lavoro al tornio (fig. 5). A margine delle figure centrali, vasai e fornaciai, poco quantificabili, si allarga, se pure in maniera molto discontinua, la cerchia della manovalanza coinvolta nell'approvvigionamento del combustibile, il quale alla fine inciderà sui costi complessivi anche fino al 60% (GOLOTWAITE 1984). È il mestiere di chi raccoglie e poi «fende il faggio a tavolette» (MORELLI m SCIIONFELLJ 1972, p. 161 ), preparandolo per il processo industriale (che predilige questa qualità di legno) e andando ad alimentare un'attività frenetica, ma spesso insufficiente alla domanda energetica (MALAè\ili\IA 1995, pp. 84-91 ). Anche dove (ma si compie un balzo di un secolo almeno) nella Patria si tenta pionieristicamente la sostituzione della legna con la torba, un esercito di raccoglitori (sottratti al lavoro dei campi) disegna una piramide a base larga che si chiude bruscamente nei pochi fornaciai (MORASSI 1983 ). Per l'impianto di Castelnovo un epilogo più rassicurante, ma un giudizio definitivo ancora sospeso. È fin dall'inizio caso in bilico tra economia e arte, diviene in fondo archeologia industriale senza industria o forse semplicemente tradizione senza storia.
S. L.\\ ORO Al. TOil,IO
E corn " R~ " l ., FOR'O .-\ CIELO \l'ERTO (:\<;JUCOI..\ 1556).