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Scuola di Scienze Politiche “Cesare Aleri” Corso di Laurea Magistrale in Scienze della Politica e dei Processi Decisionali Comunicazione e Consulenza Politica Tesi di Laurea in Analisi e Teoria Politica Il populismo tra malessere democratico ed esigenza partecipativa: il caso di Beppe Grillo e del Movimento 5 stelle Relatore: Marco Tarchi Candidata: Cecilia Biancalana Anno Accademico 2012/2013

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Scuola di Scienze Politiche

“Cesare Aleri”

Corso di Laurea Magistrale in

Scienze della Politica e dei Processi Decisionali

Comunicazione e Consulenza Politica

Tesi di Laurea in

Analisi e Teoria Politica

Il populismo tra malessere democratico

ed esigenza partecipativa:

il caso di Beppe Grillo e del Movimento 5 stelle

Relatore: Marco Tarchi Candidata: Cecilia Biancalana

Anno Accademico 2012/2013

Published as: Cecilia Biancalana (2013) Il populismo tra malessere democratico ed esigenza partecipativa: il caso di Beppe Grillo e del Movimento 5 stelle, in «Trasgressioni» vol. 28, n. 1-2.Winner of the 2nd “Enrico Melchionda” prize (University of Salerno, 2015).

Indice

Introduzione 3

1. Populismo e democrazia 8

1.1 Dualismi democratici 9

1.2 Metamorfosi democratiche 12

1.3 Malesseri democratici 18

1.4 Il populismo come tensione costitutiva della democrazia 23

Dualismi democratici, ovvero la discrasia tra ideale e realt� 26

Globalizzazione, indebolimento dei partiti, personalizzazione 27

L’insoddisfazione e il malessere democratico 29

Populismo come alternativa all’exit 30

2. Un “malessere democratico” italiano? 32

2.1 Il malessere democratico:

partiti, sostegno alla democrazia, cultura politica 34

I partiti politici tra forza e legittimit� 34

Sostegno e soddisfazione democratici in Italia 40

La cultura politica degli italiani 44

2.2 2011-2013: il default dei partiti 49

Una stagione di scandali 49

2011: le elezioni amministrative e i referendum 52

La crisi nanziaria e il governo Monti 54

2012: le elezioni amministrative e le primarie della coalizione di centro-sinistra 56

2013: le elezioni politiche 57

2.3 Un malessere partitico pi5 che democratico 60

1

3. Il populismo alla prova di internet:

il caso di Beppe Grillo e del Movimento 5 stelle 64

3.1 Il M5s e Beppe Grillo come movimento e leader populisti 65

Il “capo politico” e il Movimento: “Quis custodiet ipsos custodes?” 66

Il popolo e i nemici del popolo: cittadini contro i partiti 72

Il progetto politico: i cittadini si fanno stato 81

Stile e retorica 84

3.2 Internet e democrazia 86

3.3 Internet e M5s: concezione e uso 94

Internet come risorsa retorica “redentrice” 101

4. Conclusioni: tra malessere democratico

ed esigenza partecipativa 105

Beppe Grillo e il M5s come leader e movimento populisti: cittadini contro i partiti 105

Il M5s e il caso italiano: uno sbocco al malessere partitico 108

Dualismi e malesseri democratici: il M5s tra “perfezionismo” e promesse non realizzate 111

Il populismo alla prova di internet: sde e opportunit� 113

Il populismo tra malessere democratico ed esigenza partecipativa 115

Bibliogra8a 118

Monogra8e 118

Articoli in riviste 121

Articoli in quotidiani, periodici e siti web 123

Siti internet consultati e altre risorse web 124

Analisi dell’Istituto Cattaneo 124

Paper presentati ai convegni Sisp 125

Movimento 5 stelle 125

Post dal sito www.beppegrillo.it 126

2

Introduzione

«1 difcile e, al tempo stesso, suggestivo indagare intorno al MoVimento 5 Stelle (M5S) e al suo ispiratore,

portavoce, garante, controllore, megafono e, inne, capo... Insomma, Beppe Grillo. Difcile: perch5 presenta e

propone diversi piani di lettura. Perch5 impone diversi approcci, diverse interpretazioni. In fondo: non sai come

prenderlo. Suggestivo: per le stesse ragioni. Perch5 permette di utilizzare diversi piani di lettura e diversi approcci

interpretativi. Che funzionano, soprattutto, se vengono incrociati. Se si contaminano reciprocamente. Suggestivo.

Perch5, alla ne, se ne possono cogliere e ricavare suggerimenti, piuttosto che denizioni denitive. Perch5

l’oggetto di indagine – e di discussione – sfugge, cambia di segno e immagine non appena si tenta di ssarlo e di

riassumerlo in modo conclusivo.»1

Questo lavoro è dedicato allo studio di un fenomeno attuale, controverso e cangiante,

costantemente in evoluzione. E, come ci spiega Ilvo Diamanti, se da una parte la consistenza

dell’oggetto prescelto ne scoraggia l’indagine, d’altra parte la stessa dif8coltà diventa uno

stimolo, un pungolo, una s8da costante ad af8nare l’analisi per arrivare sempre pi5 in

profondità nella sua comprensione. Ma l’importanza di questo fenomeno non risiede, a nostro

parere, solo nella sua natura mutevole e nella s8da che ne consegue per arrivare sempre pi5 in

profondità, 8no a capirne precisamente la natura e le dinamiche. Possiamo affermare,

metaforicamente, che non è solo il lavoro stratigraco – dello scavare in profondità – quello che

bisogna affrontare, ma anche quello cartograco: allargare il perimetro, esplorare territori

circostanti per avere una rappresentazione dell’esistente, in un’ampia prospettiva.

E l’argomento consente appunto di ampliare il campo dell’analisi a fenomeni pi5 ampi.

Trattando del fenomeno di Beppe Grillo e del Movimento 5 stelle abbiamo la possibilità di

allargare la visuale verso molteplici argomenti: possiamo parlare della democrazia, dei suoi

mutamenti e delle s8de che deve affrontare, dell’ambigua relazione che intrattiene con il

populismo, considerato da alcuni pericolosa patologia e da altri bene8ca doccia fredda per le

democrazie contemporanee. L’oggetto della nostra ricerca ci dà inoltre la possibilità di

approfondire lo studio del caso italiano: sia guardandolo da una prospettiva pi5 ampia – dal

punto di vista dei partiti, del sostegno alla democrazia e della cultura politica – sia

analizzandolo in un’ottica di breve periodo, esaminando gli avvenimenti degli ultimi anni per

trovarvi un 8lo conduttore. Ci permette in8ne di entrare in un altro campo: la vasta area dei

rapporti tra politica e nuove tecnologie – tra internet e democrazia nello speci8co – e nel

discorso sugli sviluppi futuri, utopici o distopici, di questi strumenti in politica. Può essere,

ultima notazione ma non in quanto a importanza, un’occasione per una lezione di metodo:

1 I. Diamanti, Una mappa della crisi della democrazia rappresentativa, in «Comunicazione Politica», 2013, 1, pagg. 3-4.

3

quella di guardare ai fenomeni politici e sociali, anche (e soprattutto) i pi5 attuali e i pi5

divisivi, i pi5 controversi, sempre tenendo a mente la lezione weberiana della avalutatività.

Questo in sintesi il percorso che seguiremo. Il punto di partenza, la condizione preliminare

alla comprensione del fenomeno prescelto, non può essere che l’indagine sui rapporti tra

populismo e democrazia. Si possono dare essenzialmente due interpretazioni di questo

rapporto: l’una che considera il populismo come una patologia, una minaccia per la

democrazia, e l’altra che lo considera al contrario come una componente costitutiva della

democrazia, una manifestazione di una patologia che affigge i regimi democratici, e che arriva 8no

a vederne alcune funzioni “positive” per il funzionamento di questa forma di governo.

Credendo che l’impostazione migliore per comprendere il populismo sia quest’ultima,

individueremo alcune dinamiche delle democrazie contemporanee che lo favoriscono e da cui

scaturisce, tre in particolare: le tensioni e ambivalenze costitutive nell’idea stessa di

democrazia, come quella tra una visione prescrittiva e una descrittiva, tra l’ideologia e la

pratica democratica; le sue metamorfosi e trasformazioni, tre in particolare: quelle relative alla

globalizzazione, il processo di indebolimento dei partiti politici – vedremo meglio sotto quali

punti di vista – e la personalizzazione della politica; in8ne l’insoddisfazione che la democrazia

sembra sempre pi5 provocare, che scomporremo nei suoi vari livelli per non cadere nella

trappola di una supposta ma mai veramente accertata “crisi della democrazia”. Questo primo

percorso ci porterà quindi a considerare il populismo come un fenomeno che trova una

struttura di opportunità favorevole nelle democrazie contemporanee e che può avere funzioni

“positive”, come quella di mantenere all’interno del sistema quanti avrebbero potuto

allontanarsene o di dare uno sbocco politico al malessere e all’insoddisfazione, 8no a

rafforzare le richieste di cittadinanza attiva e partecipativa. Tutto ciò sempre tenendo presente

che quelle di cui stiamo trattando sono democrazie consolidate, per le quali esiste una salda

legittimità a livello di principi; in caso contrario il populismo può mostrare il suo “lato

oscuro”, e portare potenzialmente a derive autoritarie.

Esplicitata la premessa generale, tratteremo nel secondo capitolo del caso italiano, analizzando

a fondo il contesto in cui l’oggetto della nostra analisi è nato e si è sviluppato. Questa è

un’operazione molto importante, in quanto i partiti e i movimenti populisti sono opportunisti,

cambiando i loro contenuti di programma a seconda dell’élite che contestano e del contesto

sociale e politico in cui operano. A partire quindi dall’interrogativo sull’esistenza di un

“malessere democratico” italiano, che il vasto sviluppo di fenomeni populisti segnalerebbe, ci

concentreremo su due macro versanti d’analisi. Nel primo, pi5 generale, analizzeremo in

primo luogo l’evoluzione e lo stato di salute dei partiti politici; scomporremo poi il sostegno

4

alla democrazia nelle sue varie componenti, per capire a che livello si situi l’insoddisfazione

per la democrazia; tratteremo in8ne della cultura politica degli italiani, considerata come una

concausa del “malessere” e dell’emergere del populismo. Analizzeremo successivamente gli

avvenimenti recenti della politica italiana, dalle elezioni amministrative e dai referendum del

2011 8no alle elezioni che hanno segnato il grande successo del M5s, esaminando al

contempo il ruolo degli scandali politici, basso continuo della cronaca politica italiana. Questo

secondo percorso si chiuderà con due parziali conclusioni: la nostra interpretazione,

coerentemente con quanto affermato in linea generale per i partiti e i movimenti populisti, è

che il M5s ha avuto la funzione di mantenere dentro il sistema coloro che, privi dell’alternativa

populista, si sarebbero rifugiati inevitabilmente nell’astensione. L’analisi ci consente inoltre di

affermare che il malessere italiano non è un malessere che riguarda la democrazia o la politica

tout court, ma pi5 speci8catamente i partiti politici: un’alta aspettativa riguardo alla democrazia

in principio si scontra con l’immagine che della democrazia danno i partiti politici, istituzione

che forse pi5 di ogni altra rappresenta nell’immaginario dei cittadini i meccanismi della

democrazia rappresentativa. E nella retorica del Movimento 5 stelle – che vedremo essere

essenzialmente la retorica di Beppe Grillo – il nemico è individuato principalmente e

primariamente nei partiti politici e negli uomini che ne fanno parte.

Dato quindi un quadro teorico generale su populismo e democrazia e analizzato il contesto

italiano, passeremo in8ne a trattare nel terzo capitolo del vero e proprio oggetto della ricerca:

Beppe Grillo e il M5s. Una premessa necessaria: questo lavoro non sarà né una ricostruzione

cronologica di tutte le fasi attraversate dal Movimento in questione o della storia personale e

di impegno politico del suo fondatore, né una descrizione analitica di tutti gli aspetti di questo

fenomeno. Convinti che il M5s e Beppe Grillo rientrino nella categoria dei partiti o movimenti

e leader populisti, di cui daremo una de8nizione minima, comprendente l’eticizzazione del

popolo, che deve riprendere il posto che gli spetta, ovvero quello di unico e autentico referente,

vero timone del potere politico; la protesta anti-elitaria, soprattutto nei confronti della classe

politica, rea di aver tradito la volontà popolare; l’insofferenza per le mediazioni, di qualsiasi tipo

esse siano, da cui deriva la caratteristica quasi onnipresente in questo tipo di soggetto politico

di leaders che aspirano a farsi tramite diretto della volontà popolare, cercheremo di rispondere

alle seguenti domande: chi è il popolo mobilitato da Grillo e dal M5s? Qual è l’élite contro cui

si scaglia e che gli dà forma? Quali il progetto politico e le soluzioni proposte? Come

descriverne lo stile e la retorica? Senza dimenticare di trattare del ruolo del leader, delle

contraddizioni tra questo e il Movimento e di quelle interne allo stesso M5s. Ci preme

sottolineare inoltre che non ci interessano tanto i contenuti programmatici di questo attore

5

politico quanto una dinamica, uno “schema ideologico”: quello di cui i partiti e i movimenti

populisti sono portatori è infatti un ampio schema di visione della società pi5 che un insieme

di proposte programmatiche, e vedremo che quello di Grillo e del M5s corrisponde

all’idealtipo quasi alla perfezione. Mostrato quindi che Grillo e il M5s possono essere de8niti

come populisti, e sviscerate le dinamiche loro proprie, l’oggetto della ricerca ci permette di

ampliare nuovamente il campo verso altri temi che lo toccano e lo riguardano.

Caratteristica peculiare del M5s è infatti una speci8ca retorica e un certo uso della rete

internet, fatto che ci permette – per tracciare un quadro teorico al 8ne di comprenderne

meglio le dinamiche – di affrontare il rapporto tra internet e democrazia. Tratteremo quindi

dei rapporti tra il nuovo mezzo di comunicazione e la democrazia, distinguendo le posizioni

dei cosiddetti “deterministi tecnologici” od “ottimisti” da quelle dei “deterministi sociali” o

“pessimisti”, scegliendo tra i due approcci la strada di una rifessione “realistica”, che permette

di capire quali sono le potenzialità e le caratteristiche peculiari di questo strumento, senza

però cadere nella trappola delle troppe “mitologie” che vengono alimentate da una certa

cultura del web.

Per quanto riguarda nello speci8co il M5s distingueremo in primo luogo tra la retorica su

internet e l’uso di internet, un punto molto importante in quanto si rileva una discrasia tra

quello che viene affermato sulla rete e il reale uso dello strumento da parte del Movimento in

questione. E se l’analisi del discorso di Grillo ci permette di affermare che, sotto il punto di

vista della retorica, il M5s si rifà senza dubbio alla categoria dei deterministi tecnologici od

ottimisti, per quanto riguarda invece l’uso si riscontrano varie criticità – che verranno

esaminate – rispetto alla retorica sulla rete internet come strumento di un’ipotetica

democrazia diretta.

A partire dalle rifessioni sulla concezione e l’uso della rete internet nel caso da noi

considerato, l’interrogativo che in8ne ci porremo è se il discorso ottimista sulla rete possa

essere un’importante risorsa retorica per i partiti e i movimenti populisti in generale e, in caso

affermativo, in che modo. In base all’approccio realistico che utilizzeremo, crediamo sia pi5

ragionevole supporre – rispetto a scenari deterministi in cui la rete favorisce l’emergere di

partiti e movimenti populisti – che la rete internet possa essere un’importante risorsa nelle

mani di attori populisti, nel senso che alcune sue caratteristiche sono congeniali alla loro

mentalità. Ne individueremo tre: la risoluzione tramite internet, in linea teorica, del dilemma

della consultazione di tutto il popolo prima di ogni decisione, risoluzione che rende potenzialmente

inutile ogni mediazione alla volontà popolare. Da ciò deriva anche un cambiamento del ruolo

del leader, avendo quest’ultimo come referente un’entità pi5 concreta dell’astratta idea di

6

popolo, ma non esente da manipolazioni. In secondo luogo, nella prospettiva del controllo degli

eletti e della trasparenza la rete può essere un importante strumento per i populisti; rilevante è

inoltre la questione della disintermediazione tramite internet, di cui tracceremo una tipologia.

Ma se il discorso ottimista sulla rete può essere una risorsa retorica e organizzativa per i

movimenti e partiti populisti, crediamo che anche altri movimenti se ne possano

avvantaggiare. Se quindi esistono delle caratteristiche di internet che sono sfruttabili in una

mentalità populista, crediamo che queste lo siano anche per i movimenti che Margaret

Canovan de8nirebbe come “redentori”, quelli cioè che – come i populisti – reclamano una

democrazia che sia veramente of the people, by the people, for the people.

Nel capitolo conclusivo cercheremo di mettere insieme tutti i frammenti disseminati e di

chiudere tutte le parentesi lasciate aperte, al 8ne di dare un’interpretazione del caso Grillo che

possa essere esaustiva nella comprensione delle dinamiche del fenomeno – che scavi quindi in

profondità –, possa comprenderne la nascita e il successo in un’ottica pi5 ampia – in relazione

al fenomeno populista e alle trasformazioni democratiche in generale, e al caso italiano nel

particolare – e riesca in8ne a fare luce, con una prospettiva di ancora pi5 ampio respiro, su

una serie di fenomeni politici e sociali di cui il nostro caso può essere considerato un simbolo.

La nostra interpretazione, in conclusione, è che il populismo nelle democrazie contemporanee

si trova all’incrocio tra due vettori di segno inverso, che producono spinte contrastanti tra loro,

confondendo e rendendo arduo il lavoro di quanti cercano di comprendere le dinamiche di

questo fenomeno, di ssarlo e di riassumerlo in modo conclusivo. Il populismo si trova fra la

manifestazione di un “malessere democratico”, declinato di volta in volta verso le istituzioni e

gli attori pi5 visibili del governo rappresentativo, e una sempre maggiore esigenza di

partecipazione dei cittadini, che sovente richiedono di essere rimessi al centro di una vita

politica che sembra ignorarli. Crediamo che il caso da noi prescelto possa essere

un’esempli8cazione precisa e dettagliata di ciò che sosteniamo.

Quello che cercheremo di svolgere è quindi un lavoro sul caso Grillo che però parte e arriva

molto lontano dal caso Grillo: un’occasione per analizzare le contraddizioni, le criticità e le

ambiguità della nostra democrazia e della democrazia in generale.

7

1. Populismo e democrazia

Il populismo è stato talvolta interpretato e analizzato come una patologia, una minaccia, un

vulnus per i regimi democratici1. Al contrario, crediamo che possa essere meglio compreso

come una componente intrinseca delle democrazie contemporanee. In questo capitolo

analizzeremo tre dinamiche delle democrazie contemporanee che a nostro avviso facilitano

l’emergere del fenomeno populista.

In primo luogo, esistono delle ambivalenze nella stessa idea di “democrazia”. Rintracceremo

in letteratura varie interpretazioni che con8gurano quello che può essere de8nito un

“dualismo” della democrazia. Questo dualismo può essere declinato nell’opposizione della

forma e della sostanza, dell’ideale e della realtà oppure di due componenti costitutive,

contrastanti ma allo stesso tempo complementari. Ed è proprio in forza di questa ambivalenza

che la democrazia è riuscita ad adattarsi fessibilmente ai cambiamenti del contesto in cui

opera. Non solo ma soprattutto negli ultimi decenni le società occidentali hanno subito delle

profonde trasformazioni dal punto di vista politico, sociale ed economico sotto la spinta della

cosiddetta globalizzazione2. Queste trasformazioni hanno inciso sulla forma di governo

egemone in questa parte del mondo, facendola mutare e con8gurando una struttura di

opportunità favorevole per lo sviluppo del populismo. In terzo luogo assistiamo a

manifestazioni di malessere e insoddisfazione verso la democrazia. Con le dovute

precisazioni3, alcuni indicatori per questo fenomeno – oltre alle risposte ai sondaggi

sull’argomento – sono il crescente astensionismo, il declino del voto ai cosiddetti partiti di

1 Una delle prime interpretazioni di questo tipo risale al saggio di P. Wiles A Syndrome, Not a Doctrine, in E. Gellner e G. Ionescu (a cura di), Populism, Weidenfeld-Nicholson, London 1969, pagg. 166-709. Possiamo far derivare la de8nizione del populismo come patologia da due 8loni principali: il primo fa riferimento all’assimilazione del concetto a una sua espressione particolare, ovvero i partiti di estrema destra; il secondo discende dall’approccio realista o elitista alla democrazia, per cui qualunque contestazione della visione di questa forma di governo come competizione di élite è considerata patologica. Crediamo, come altri autori hanno sottolineato, che sia pi5 corretto affermare che il populismo rappresenta la manifestazione di una patologia pi5 che una patologia in sé. Cfr. Y. Mény e Y. Surel, Populismo e democrazia, il Mulino, Bologna 2004, pagg. 23-26.

2 Il termine designa primariamente la produzione di globalità, un processo costituito da effetti voluti e non voluti che comprende come attori stati, organizzazioni internazionali, gruppi economici multinazionali, associazioni e gruppi di pressione che agiscono in modo sistematico per espandere alla totalità del globo l’economia di mercato, i suoi modelli di organizzazione della produzione, di governo delle imprese, di tecnologia, scambi commerciali e mercato del lavoro nonché sistemi politici, tratti culturali e mezzi di comunicazione. In particolare intendiamo qui il processo che dagli anni ottanta in poi ha portato all’accelerazione del processo di sviluppo di un’economia mondiale di mercato, con l’aumento dell’interdipendenza delle economie e il predominio delle tecnologie dell’informazione e comunicazione. Cfr. L. Gallino, Dizionario di Sociologia, Utet, Torino 2006, pagg. 323-331.

3 Come avremo modo di osservare in seguito, l’insoddisfazione può essere situata a livello di principi, a livello delle istituzioni e del loro funzionamento, a livello delle persone che ricoprono i ruoli nelle istituzioni. E poi, cosa intendono le persone per “democrazia”? Un grande de8cit dei sondaggi, spesso rilevato nella letteratura sul tema (cfr. M. C. Pitrone, Sondaggi e interviste, FrancoAngeli, Milano 2009), è infatti la vaghezza dei termini riportati nelle domande dei questionari, che possono portare a risposte diverse a seconda della diversa porzione di realtà che richiamano nella mente di ogni intervistato.

8

governo, le forme di partecipazione non convenzionale. Queste manifestazioni sono

concettualizzate da alcune scuole di pensiero come una “crisi” della democrazia, da altre

invece sono considerate un’inevitabile conseguenza del maggior grado di benessere, istruzione

e quindi di so8sticazione politica dei cittadini; in ogni caso crediamo siano un terreno fertile

per il fenomeno populista.

Dopo aver analizzato le tre dinamiche, concluderemo esaminando le risposte che il populismo

offre a questi fenomeni, mostrando come nasca, cresca e si sviluppi tra le pieghe della

democrazia stessa e sia quindi da considerare una sua componente essenziale, anche se critica.

1.1 Dualismi democratici

Analizzando anche solo una parte della cospicua letteratura in materia, spesso si individua

quello che potremmo de8nire un “dualismo” della democrazia. Dualismo declinabile in vari

modi: come opposizione tra essere e dover essere ovvero tra realtà e ideale, tra forma e

sostanza, tra due componenti costitutive in competizione fra loro. Sembra cioè che questo

concetto si presti ad essere scomposto in due parti, complementari e confittuali fra loro.

Esaminiamo quindi il pensiero di alcuni autori in materia.

Giovanni Sartori4 mette in luce il dualismo tra l’elemento prescrittivo e quello descrittivo della

democrazia. Da un punto di vista prescrittivo il dover essere della democrazia coincide con la

sua de8nizione etimologica, ovvero “governo del popolo”; al contrario, descrittivamente la

democrazia è semplicemente un sistema basato su partiti competitivi nel quale la maggioranza

al governo rispetta i diritti delle minoranze. Sartori afferma che nel mondo moderno

democrazia è prima di tutto una parola normativa che non descrive ma prescrive, anche

perché l’immagine realistica della democrazia è un’immagine disincantata che non regge alla

concorrenza dell’aspetto utopico.

Una rifessione simile è quella di Margaret Canovan5. Per questa studiosa la democrazia ha

due volti inseparabili e indispensabili l’uno all’altro: uno che mira alla redenzione e l’altro

pragmatico. Rielaborando le teorizzazioni di Michael Oakeshott secondo cui la politica europea

è stata contrassegnata negli ultimi cinquecento anni dalla tensione tra lo stile della politica della

fede e quello della politica dello scetticismo, Canovan afferma che la democrazia moderna si trova

all’intersezione tra gli stili politici redentore e pragmatico. In cosa consistono questi due stili? La

politica della fede è denominata tale in quanto si connette alla possibilità di ottenere la

“salvezza”, non necessariamente in termini religiosi ma anche secolari. Comporta quindi in

4 Cfr. G. Sartori, Elementi di teoria politica, il Mulino, Bologna 1995, pagg. 33-55.5 Cfr. M. Canovan, Abbiate fede nel popolo! Il populismo e i due volti della democrazia, in «Trasgressioni» XV, 31, 2000,

pagg. 25-40.

9

vista di questo scopo una “mobilitazione dell’entusiasmo popolare”, nella convinzione che il

potere per conseguire questo obiettivo possa essere af8dato “senza rischi” agli esseri umani.

Questo volto della democrazia che Canovan ride8nisce come redentore si può riassumere nei

due famosi motti “vox populi, vox dei” e “governo del popolo, da parte del popolo, per il

popolo”. La politica dello scetticismo, per cui l’unico obiettivo realisticamente conseguibile è il

mero mantenimento dell’ordine all’interno di una società, è al contrario “sospettosa nei

confronti sia del potere che dell’entusiasmo e coltiva aspettative assai minori sui risultati che i

governi possono conseguire”. Canovan lo ride8nisce il volto pragmatico della democrazia.

Quindi, mentre guardando al suo volto redentore la democrazia si con8gura come

un’ideologia salvi8ca che dà agli uomini – al popolo – un pieno e immediato – ovvero senza

intermediazioni – potere, guardando a quello pragmatico la democrazia appare

semplicemente una forma di governo, un insieme di norme e prassi con cui risolvere

paci8camente confitti attraverso la mediazione delle istituzioni preposte. Ne nasce un

inevitabile e insanabile contrasto in quanto i due stili sono indispensabili l’uno all’altro per

frenare le loro rispettive degenerazioni e – non da ultimo – il consenso e la legittimità della

democrazia come sistema pragmatico dipendono perlomeno in parte, come accennato anche

da Sartori nell’evidenziare la discrepanza tra un’immagine disincantata e una utopica, dai suoi

elementi redentori.

Collegandoci a quest’ultimo punto, possiamo notare come ancora Margaret Canovan6 colga

un altro simile dualismo nelle democrazie: quello tra la sua “ideologia” e la pratica. Visto che

si tratta delle forme di governo pi5 inclusive, le democrazie hanno bisogno di un’ideologia che

le renda intellegibili a livello popolare e che provochi il coinvolgimento dei cittadini. Allo

stesso tempo però l’ideologia dà della democrazia una visione distorta e non corrispondente

alla realtà enfatizzando oltre misura tematiche come la sovranità del popolo e l’immediatezza

dei processi decisionali. Questo dualismo porta a un paradosso in quanto, ancora una volta, il

consenso di massa per la democrazia deriva dal contenuto dell’ideologia e non dalla realtà

della prassi.

Possiamo rintracciare un altro tipo di dualismo nell’opera di Mény e Surel7, i quali –

riprendendo una teorizzazione di Jean Leca – evidenziano una tensione costante tra due

componenti fondamentali della democrazia, due pilastri: il costituzionalismo e il populismo.

Secondo i due studiosi, la maggior parte se non la totalità delle democrazie rifette questa

“composizione dualistica”, de8nita come un “codice genetico” indissociabile da questa forma

6 Cfr. M. Canovan, Taking Politics to the People: Populism as the Ideology of Democracy, in Y. Mény e Y. Surel (a cura di), Democracies and the Populist Challenge, Palgrave, New York 2002, pagg. 25-44.

7 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pagg. 42-43.

10

di governo. Le democrazie sono infatti narrate come l’espressione della volontà e del voto

popolare, sono “potere del demos” e i cittadini e in certa misura anche gli uomini politici

parlano della democrazia come se si riducesse esclusivamente a quello. Ma la realtà è diversa e

tutte le democrazie sono in un certo senso “impure”, ovvero uniscono al principio popolare

quello costituzionale ereditato dalla tradizione liberale. L’equilibrio tra le due componenti non

è 8sso – varia nel tempo e nello spazio – e tutti i dibattiti sulla democrazia, sul ruolo del

popolo, dei partiti, sui dispositivi costituzionali, sul rispettivo ruolo dello stato e del mercato

sono secondo Mény e Surel espressioni di questa “ambivalenza congenita” delle democrazie

costituite. Quello che viene de8nito il “miracolo istituzionale” delle democrazie

contemporanee nasce infatti dalla combinazione “inattesa” del principio di rappresentanza

con il principio democratico.

Sulla stessa lunghezza d’onda troviamo Bernard Manin8 quando osserva che il governo

rappresentativo prevede sia caratteristiche democratiche che non democratiche ovvero

“oligarchiche”; il dualismo è insito nella sua stessa natura di sistema misto. Manin evidenzia

tre aspetti di questo dualismo. In primo luogo, l’assenza di mandati imperativi, di promesse

giuridicamente vincolanti e della possibilità di rimozione in qualsiasi momento dei

rappresentanti conferisce a questi ultimi un certo grado di indipendenza dagli elettori. Ma la

libertà dei cittadini di esprimere opinioni politiche impedisce agli eletti di sostituirsi a coloro

che rappresentano, diventando i soli attori sulla scena politica. “La libertà dell’opinione

pubblica così fornisce un contrappeso democratico all’indipendenza non democratica dei

rappresentanti”9. In secondo luogo, i rappresentanti non sono vincolati alle promesse fatte ai

loro elettori. La tanto decantata volontà del popolo è in realtà solo un desiderio. Ma i

rappresentanti sono soggetti a rielezione, devono rendere conto del proprio operato e quindi

tramite questo meccanismo il desiderio torna a essere una volontà da rispettare. In8ne, anche

le elezioni coniugano elementi democratici e non democratici. Se i cittadini sono visti come

candidati potenziali, allora le elezioni con8gurano un metodo non egualitario; se si guarda

invece ai cittadini non come coloro che devono essere scelti ma come coloro che scelgono i

propri rappresentanti, allora le elezioni mostrano la loro faccia democratica.

Molti sono i punti di contatto fra queste teorizzazioni sulla duplicità della democrazia. Si

osserva in primo luogo una discrasia tra quello che la democrazia signi8ca idealmente e forse

potremmo dire “intuitivamente” e quello che realizza nella sua visibile pratica quotidiana.

Questa discrasia dipende dalla natura composita di questa forma di governo, in cui si

8 Cfr. B. Manin, Principi del governo rappresentativo, il Mulino, Bologna 2010, pagg. 263-265.9 Ibidem, pag. 264.

11

uniscono elementi popolari, populisti, etimologicamente democratici con elementi

costituzionali, oligarchici o non democratici.

La democrazia è un concetto dalle molte facce; guardarlo da una prospettiva rispetto a

un’altra comporta come conseguenza il parlare di cose completamente diverse fra loro.

Citando Sartori10, potremmo dire che non è un caso che i greci abbiano coniato il termine

democrazia per descrivere una forma di governo possibile mentre i moderni l’hanno

resuscitato per prescrivere una forma di governo impossibile. E se per i comuni cittadini delle

democrazie contemporanee la democrazia ha un signi8cato che non corrisponde alla realtà

non dobbiamo dimenticare che se gli uomini deniscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro

conseguenze.

1.2 Metamorfosi democratiche

Ma forse è proprio questa sua indeterminatezza, questa ambiguità costitutiva, a rendere la

democrazia una forma di governo altamente fessibile e capace di adattarsi ai contesti e alle

condizioni pi5 disparate. Numerose sono state le trasformazioni delle società da quando

questa forma di governo è stata istituita nei diversi contesti nazionali. Cercheremo, attraverso

una ricognizione della letteratura in materia, di isolare i vettori di cambiamento pi5 rilevanti

per poi mostrare come queste trasformazioni politiche, sociali ed economiche con8gurino una

struttura di opportunità favorevole per l’emergere del populismo.

Non possiamo non cominciare il nostro excursus con l’analisi di Bernard Manin11 sulla

metamorfosi del governo rappresentativo dal parlamentarismo alla democrazia del pubblico

attraverso la democrazia dei partiti. Il nocciolo dell’argomentazione di Manin è che quella che

taluni sostengono essere una crisi della rappresentanza nei paesi occidentali – crisi causata dal

venir meno del rapporto di 8ducia tra elettori e partiti, dalla decrescente stabilità del voto e

dalla minore identi8cazione partitica – altro non è che la crisi di una forma particolare di

rappresentanza, l’affermarsi di una nuova élite e il declino di un’altra. La supposta crisi

odierna sarebbe dovuta in realtà all’erosione di alcune delle caratteristiche che distinsero la

democrazia dei partiti dal parlamentarismo, ovvero principalmente l’avvento sulla scena

politica dei partiti e dei loro programmi. Se infatti nel parlamentarismo la 8ducia tra eletto ed

elettore è di carattere essenzialmente personale, in quanto il rappresentante ha un rapporto

diretto con coloro che rappresenta ed è libero di votare secondo il proprio giudizio, non

essendo vincolato dai desideri di quelli che l’hanno eletto, nella democrazia dei partiti queste

10 Cfr. G. Sartori, op. cit., pag. 43.11 Cfr. B. Manin, op. cit,, pagg. 216-260.

12

caratteristiche cambiano di segno. L’elettorato si allarga e di conseguenza non può pi5 esistere

un rapporto personale con il rappresentante. La 8ducia – le elezioni di fatto rimangono una

questione di 8ducia – scaturisce dal senso di appartenenza e identi8cazione, non per una

persona ma per un partito. È quest’ultimo a essere votato e non pi5 la persona, e questo risulta

evidente dal fenomeno della stabilità elettorale. La stabilità deriva dal fatto che, in questo

particolare periodo storico, le preferenze politiche vengono determinate da fattori socio-

economici e le contrapposizioni elettorali rifettono le divisioni fra classi. Inoltre il

rappresentante nella democrazia dei partiti non è pi5 libero di votare secondo la propria

coscienza ma è impegnato – attraverso il programma12 – con il partito a cui deve la propria

elezione.

Nell’ultima metamorfosi del governo rappresentativo, quella che Manin de8nisce “democrazia

del pubblico”, gli elettori tornano a votare pi5 per una persona che per un partito. Questo

segna una rottura rispetto al comportamento di voto considerato in precedenza “normale”, e

crea l’impressione di una “crisi” della rappresentanza. In realtà il ruolo predominante dei

partiti è caratteristico solo di un tipo particolare di rappresentanza ossia della democrazia dei

partiti. Possiamo osservare – con i necessari distinguo – il ritorno a una caratteristica del

parlamentarismo quale la natura personale del rapporto di rappresentanza. Quello che Manin

precisa però è che i partiti non scompaiono: hanno ancora un ruolo centrale in diversi ambiti

della vita politica – ad esempio quello parlamentare o le campagne elettorali – ma diventano

essenzialmente strumenti al servizio di un leader. Vengono individuate due cause di questa

situazione: la prima ha a che fare con i canali della comunicazione politica e con la loro

infuenza sulla natura del rapporto di rappresentanza. Attraverso radio e televisione i

candidati possono comunicare direttamente con gli elettori senza la mediazione del partito,

inoltre la televisione fa rivivere la natura faccia a faccia del legame rappresentativo che

contraddistingueva il parlamentarismo13. In secondo luogo il ruolo maggiore delle personalità

12 Nella democrazia dei partiti il parlamento diventa quindi uno strumento che misura e registra la forza degli interessi sociali contrastanti; si massimizza così il rischio di uno scontro aperto, accresciuto dalla stabilità elettorale. Per evitare tale esito i partiti arrivano a compromessi, principalmente quello di non realizzare tutte le promesse del manifesto elettorale. Per questo la democrazia dei partiti in realtà non abolisce l’indipendenza parziale dai desideri dei votanti di coloro che sono al potere: l’indipendenza diventa prerogativa del gruppo dei rappresentanti, in parlamento o nella direzione del partito.

13 Interessante a questo proposito è un paragone con le teorie di J. B. Thompson (cfr. J. B. Thompson, Mezzi di comunicazione e modernit�, il Mulino, Bologna 1998, pagg. 169-209). Thompson tratta della trasformazione della visibilità operata dai mezzi di comunicazione di massa, e di come questi abbiano assottigliato la distanza tra pubblico e privato specialmente per quanto riguarda gli uomini di potere. Prima dello sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, chi occupava posizioni di potere era invisibile alla maggior parte di coloro che erano posti sotto il suo governo, era insomma costretto a controllare la sua immagine solo davanti a una ristretta cerchia di persone e in determinati momenti. Oggi i leaders politici appaiono davanti a moltissimi individui e appartengono a un mondo pubblico – aperto allo sguardo di tutti – anche se per la maggior parte delle persone l’incontro reale con costoro non si realizzerà mai. Questo perché se prima la notorietà signi8cava condivisione di un luogo comune – un avvenimento era pubblico quando aveva luogo di fronte ad una

13

rispetto ai programmi è una risposta alle nuove condizioni in cui gli eletti esercitano il loro

potere. L’ambito dell’attività di governo si è esteso e l’ambiente è diventato pi5 complesso; per

i candidati è pi5 dif8cile fare promesse precise e i problemi da affrontare sono sempre meno

prevedibili, per questo essi non sono inclini a legarsi le mani con un programma dettagliato.

Per governare al meglio, vista l’imprevedibilità degli eventi, si richiede sempre pi5 un potere

discrezionale14. I candidati presentano quindi come doti per essere eletti le proprie qualità

personali e la propria predisposizione a prendere buone decisioni.

Un’altra caratteristica peculiare della democrazia del pubblico è quella che Manin de8nisce la

dimensione reattiva del voto: il comportamento di voto varia infatti a seconda dei termini

della scelta elettorale e i votanti sembrano rispondere pi5 che esprimersi. Prima degli anni settanta

la maggior parte degli studi sulle elezioni giungevano alla conclusione che le preferenze

politiche potevano essere spiegate dalle caratteristiche sociali, economiche e culturali dei

votanti, poi i risultati delle elezioni hanno cominciato a variare anche quando il retroterra dei

votanti rimaneva invariato. Nella democrazia dei partiti i politici sanno prima delle elezioni

quale elemento di separazione sfruttare perché esistono nella società divisioni durature e

salienti: i termini della scelta offerta dai politici appaiono come la trasposizione di una

divisione preesistente. Nella democrazia del pubblico invece le linee di divisione sociali e

culturali sono numerose e trasversali e mutano in continuazione, sta ai politici – che hanno in

questo modo pi5 autonomia ma anche l’onere di identi8care continuamente le decisioni giuste

da sfruttare – decidere quali di queste divisioni potenziali saranno pi5 ef8caci; l’iniziativa

spetta ai politici e non all’elettorato.

“In realtà, in tutte le forme di governo rappresentativo il voto costituisce, in parte, una reazione

all’elettorato messo di fronte ai termini proposti. Tuttavia, quando questi stessi termini sono il rifesso di

pluralità di individui 8sicamente presenti –, prima con la stampa e poi con la televisione la pubblicità diventa indipendente dalla condivisione dello stesso luogo. Certo è che la televisione – a differenza della stampa – fa recuperare alla visibilità gli antichi tratti legati alla percezione sensoriale, alla vista e all’ascolto, anche se (oltre al fatto che gli eventi sono visibili da pi5 persone in luoghi diversi) il campo visivo e la direzione dello sguardo sono controllati. Fatte queste considerazioni, Thompson critica la visione del Panopticon di Foucault (cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino 1993), rovesciandola. Foucault sviluppa una visione dell’organizzazione del potere nelle società moderne e della sua relazione con la visibilità per cui mentre nelle società antiche e di ancien régime si dava visibilità ad un numero limitato di persone (ad esempio con esecuzioni pubbliche spettacolari) per rafforzare il potere dei pochi su molti, a partire dal XVI secolo le cose sono cambiate. L’ostentazione spettacolare del potere lascia spazio a nuove forme di disciplina e sorveglianza che danno origine alla “società disciplinare” in cui i molti – i cittadini – sono visibili ai pochi, a chi ha potere. Il Panopticon è proprio la metafora della permanente visibilità dei sorvegliati che assicura il funzionamento automatico del potere. Thompson rovescia questo modello, sostenendo che lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa fornisce uno strumento attraverso il quale molti – i cittadini – possono raccogliere informazioni sui pochi, i potenti. “(...) i leader delle società liberal-democratiche non hanno scelta: devono sottomettersi alla legge della visibilità.” (J. B. Thompson, op. cit., pag. 194).

14 Potere discrezionale non signi8ca potere irresponsabile: i votanti possono in ogni caso rimuovere i rappresentanti dalle loro cariche a 8ne mandato se li trovano insoddisfacenti.

14

una realtà sociale indipendente dalle azioni dei politici, l’elettorato appare come l’origine dei termini ai

quali risponde nelle elezioni. Il carattere reattivo del voto è oscurato dalla sua dimensione espressiva.

Quando invece i termini della scelta sono soprattutto conseguenza delle azioni relativamente

indipendenti dei politici, il voto rimane un’espressione dell’elettorato, ma la sua dimensione reattiva

diventa pi5 importante e pi5 visibile. Così, l’elettorato appare soprattutto come un pubblico che risponde

ai termini che sono stati presentati sulla scena politica”15.

A chi parla di crisi della rappresentanza Manin risponde quindi che le istituzioni del governo

rappresentativo sono rimaste sostanzialmente invariate. C’è stata certamente una metamorfosi

da una forma di rappresentanza a un’altra, e questa metamorfosi è stata causata da importanti

trasformazioni sociali ed economiche cui il governo rappresentativo si è adattato, ma ciò non

toglie che questo “rimane ciò che è stato sin dalla sua fondazione, ossia un governo delle élite

distinte dal grosso dei cittadini per posizione sociale, stile di vita e istruzione. Ciò cui

assistiamo oggi altro non è che l’affermarsi di una nuova 5lite e il declino di un’altra”16, l’élite dei

politici e degli esperti di media che si distinguono nettamente dal resto della popolazione.

Dinamiche simili sono evocate dalle evoluzioni della politica europea “vecchia maniera”

tracciate da Mény e Surel17: indebolimento degli apparati di mediazione tradizionali e in

particolare dei partiti politici, crescita della personalizzazione e sempre maggiore infuenza dei

media. A partire dagli anni settanta ma soprattutto nel corso degli ultimi due decenni i partiti

politici – dopo aver raggiunto il punto del loro massimo splendore – trasformano le loro

condizioni di esistenza: cambiamenti profondi avvengono a vari livelli: la base di militanti è

sempre meno numerosa, gli apparati sempre pi5 professionalizzati e la loro capacità di

mobilitazione calante. La personalizzazione si con8gura come una risposta a questo stato di

cose e accompagna il declino dei partiti che – non pi5 attraenti e incapaci di fornire visioni

alternative del mondo – devono ricorrere all’identi8cazione con i governanti attraverso

l’immagine del rappresentante.

Anche la mediatizzazione porta a una riduzione del peso delle cinghie di trasmissione

tradizionali tra cittadini e istituzioni. “Una mediazione ne caccia un’altra” e i media si

sostituiscono progressivamente ai partiti sia dal punto di vista della selezione della classe

politica sia da quello della mobilitazione dell’opinione pubblica e della de8nizione

dell’agenda.

Un’altra metamorfosi che possiamo osservare a partire dalle teorizzazioni di Mény e Surel è lo

squilibrio creatosi a favore del pilastro costituzionale di cui abbiamo trattato in precedenza. Allo

15 B. Manin, op. cit., pag. 248.16 Ibidem, pag. 258.17 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pagg. 85-124.

15

squilibrio a favore di un polo consegue necessariamente un’erosione dell’altro, il pilastro

popolare e populista. Secondo i due studiosi18, l’equilibrio tra i due poli è contingente e deriva

dalla visione dominante del mondo nel periodo storico. Così possiamo osservare come nel

secondo dopoguerra – a fronte dei crolli democratici e del disastro della guerra – il pilastro

costituzionale fu oggetto in Europa di tutte le attenzioni sotto la tutela dei vincitori statunitensi

allo scopo di contenere il potere quantunque derivante da maggioranze popolari.

Allo stesso modo dopo il crollo del muro di Berlino il ri8uto del passato si è esplicitato nella

delegittimazione dell’intervento statale in economia, con conseguenze sul contenuto della

democrazia. Queste conseguenze possono essere sintetizzate in un passaggio di potere dallo

stato al mercato con lo sviluppo di nuovi modi di regolazione che sfuggono alla politica, ai

partiti e quindi indirettamente al pilastro popolare della democrazia. In8ne la globalizzazione

e il passaggio di competenze da un livello nazionale a quello sovranazionale hanno complicato

ulteriormente l’attribuzione della responsabilità politica, rendendo il polo popolare sempre

meno infuente o meglio rendendo gli attori politici nazionali sempre pi5 sotto processo per

capi d’imputazione di cui non hanno la piena responsabilità. Per dirla con Al8o

Mastropaolo19, la politica è insomma diventata un capro espiatorio di responsabilità non solo

sue.

Questo autore affronta tematiche simili a quelle di Mény e Surel quando tratta di una

“depressione politica” assimilabile alla grande depressione economica degli anni venti20. La

depressione politica che segna il paesaggio politico occidentale da un quarto di secolo a questa

parte è speculare a quella economica degli anni venti ma pi5 prolungata di essa. Secondo

Mastropaolo, a conclusione del lungo ciclo governato da “istituzioni imponenti” che si era

aperto con le terapie interventiste contro la grande depressione economica, alla 8ne degli anni

settanta si è aperta una nuova grande depressione politica, segnata dal declino delle precedenti

forme organizzative del regime democratico. Questa depressione ha riportato in auge

l’economia di mercato e ha fatto sì che venissero create nuove istituzioni non elettive. Mentre

la grande depressione economica ebbe la funzione di rilegittimare la politica dopo i fallimenti

dell’economia liberale, la grande depressione politica sta compiendo il medesimo percorso

all’incontrario. La politica si scredita come principio di organizzazione sociale, come autorità

e azione collettiva. Due fenomeni avrebbero provocato questa inversione di rotta: la 8ne del

fordismo e la globalizzazione. Caratteristiche del periodo contemporaneo sono in effetti le

18 Cfr. ibidem, pagg. 42-58.19 Cfr. A. Mastropaolo, La mucca pazza della democrazia: nuove destre, populismo, antipolitica, Bollati Boringhieri, Torino

2005, pag. 98.20 Cfr. ibidem, pagg. 110-111 e A. Mastropaolo, La democrazia è una causa persa?, Bollati Boringhieri, Torino 2011,

pagg. 152-153.

16

pressioni interne ed esterne ai sistemi politici dovute alla rottura di equilibri politico-

istituzionali e strutture socioeconomiche tradizionali. Tra le pressioni interne possiamo

indicare la scomparsa di alcune linee di divisione fondamentali per i sistemi di partiti21 mentre

sul versante esterno la globalizzazione e la smaterializzazione dell’attività economica segnano

la transizione verso una società postindustriale e minacciano le forme tradizionali

dell’organizzazione politica. Le due strutture fondamentali dei regimi politici occidentali – lo

stato nazione e lo stato assistenziale – sono le due istituzioni maggiormente sottoposte a queste

pressioni22. Anche su questo versante osserviamo come le dinamiche sopra descritte rendano

sempre pi5 potenti attori sovranazionali privati e pubblici che sfuggono al quadro nazionale

tradizionale, complicando oltremodo i circuiti di responsabilità e legittimità.

In conclusione possiamo notare come la metamorfosi che si osserva è trainata da un certo

numero di vettori. È utile in primo luogo cercare di dividere analiticamente le dinamiche

interne al sistema politico da quelle esterne, anche se nella realtà gli effetti delle une e delle

altre si confondono e interagiscono.

Partendo dalle dinamiche esterne, un elemento che accomuna la maggior parte degli approcci

presi in considerazione è la constatazione delle mutate condizioni in cui gli eletti esercitano il

potere; stiamo parlando del processo derivante dalla globalizzazione per cui l’ambito

dell’attività di governo si estende e l’ambiente in cui il governo opera diventa sempre pi5

complesso. Possiamo osservare come da questo processo ne derivino altri: in primo luogo un

aumento di potere a favore di istituzioni non elettive e una complicazione dei meccanismi di

attribuzione delle responsabilità politiche; in secondo luogo – come ha messo in evidenza

Manin – la personalizzazione della rappresentanza, risposta alla necessità di prendere

decisioni in condizioni sempre pi5 dif8cili. La personalizzazione della rappresentanza non è

però solo conseguenza di ciò, ma anche delle mutazioni avvenute sul versante comunicativo,

ovvero delle mutate funzioni e poteri dei mezzi di comunicazione e di informazione e

dell’indebolimento dei partiti come strumenti di mediazione tra le istituzioni e i cittadini.

Ci troviamo in questo frangente in una situazione ibrida di dinamiche interne ed esterne al

sistema politico, in quanto possiamo vedere l’indebolimento elettorale dei partiti tradizionali

21 Le divisioni (fratture o cleavages) sono principi di divisione stabile dei comportamenti politici fondate su strutture di interessi e/o orientamenti normativi concorrenti tra gruppi de8niti attraverso riferimenti a criteri socio-economici, politici e/o culturali. I paesi europei attraverso rivoluzioni successive sono stati progressivamente interessati dalla formazione delle quattro linee di divisione che hanno contribuito alla struttura delle opposizioni e delle forze politiche (cfr. S. Rokkan, Cittadini, elezioni, partiti, il Mulino, Bologna 1982, pagg. 131-229). Dagli anni ottanta, l’accresciuta volatilità dell’elettorato associata a una crescente disaffezione alla partecipazione elettorale e l’affermazione di valori nuovi che sfuggono alla struttura delle divisioni tradizionali hanno contribuito al dissolversi di questo “grande edi8cio della sociologia”. Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pag. 211-213.

22 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pagg. 128-129.

17

come conseguenza del mutare delle divisioni socio-economiche e culturali nella società ma

anche della maggiore autonomia dei cittadini rispetto alla politica, dinamica favorita dalle

migliori condizioni economiche ma anche forse da una maggiore circolazione di conoscenza,

grazie alla globalizzazione comunicativa?

Insomma, trovare una tendenza chiara nelle metamorfosi di cui abbiamo parlato è dif8cile se

non impossibile; non esiste infatti una direzione univoca dei mutamenti delle società, cause ed

effetti si confondono e varie dinamiche retroagiscono le une sulle altre. Dovendo cercare di

riassumere la complessità della realtà e tracciare dei punti fermi che ci aiutino nell’analisi dei

fenomeni scelti, possiamo osservare come un ruolo fondamentale abbiano giocato due

processi: la globalizzazione, da cui deriva la complicazione di attribuzione delle responsabilità, e

l’indebolimento dei partiti come strumenti di mediazione, causa ed effetto dell’affermarsi di nuovi

strumenti di mediazione, i media appunto. La personalizzazione della rappresentanza può

derivare – come abbiamo visto – dall’una o dall’altra dinamica. Inoltre questi processi si

rifettono in quella che Poguntke e Webb chiamano la “presidenzializzazione” della politica23,

ovvero nell’emergere e nel rafforzarsi a tutti i livelli (elettorale, di governo e di partito) di 8gure

monocratiche e della maggiore autonomia del capo dell’esecutivo dall’infuenza partitica.

Concludiamo l’analisi delle dinamiche delle democrazie contemporanee che favoriscono

l’ascesa del populismo con uno studio dei sentimenti e delle manifestazioni di malessere e

insoddisfazione che crescono nelle democrazie attuali.

1.3 Malesseri democratici

«Uno dei racconti di maggior successo che circolano attorno alla democrazia è quello secondo cui tra i governati

serpeggerebbe un sentimento – internazionalizzato, stabile, concernente tutte le istituzioni e indifferente a ogni

divisione ideologica – di malcontento e insofferenza verso la politica.»24

Non c’è niente di pi5 scontato e accettabile di questo “racconto di successo”. È infatti ormai

diventato senso comune rilevare come l’insoddisfazione sia il sentimento pi5 sentito nei

confronti del mondo politico. Cerchiamo in prima battuta – per andare oltre quel senso

comune – di scomporre il concetto nei suoi vari livelli: cosa è, come si manifesta, quali

spiegazioni in8ne si danno per comprenderlo. È utile cominciare con la classica de8nizione

generale di cosa siano la legittimità, l’ef8cacia e l’ef8cienza di un regime di Juan Linz25.

Per Linz l’obbedienza dei cittadini a un governo dipende da motivazioni che vanno dalla

23 Cfr. T. Poguntke e P. Webb, The Presidentialization of Politics: a Comparative Study of Modern Democracies, Oxford, New York, Oxford University Press 2005.

24 A. Mastropaolo, La democrazia è una causa persa?, cit., pag. 220.25 Cfr. J. J. Linz, Il crollo dei regimi democratici: un modello teorico, in J. J. Linz, P. Farneti e M. R. Lepsius, La caduta dei

regimi democratici, il Mulino, Bologna 1981, pagg. 36-44.

18

paura al sostegno positivo. La maggior parte delle persone obbedisce per abitudine o per

calcolo razionale dei vantaggi ma in linea di principio i regimi democratici si basano su

qualcosa di pi5 di questo, dipendono infatti molto pi5 che qualsiasi altro regime dall’adesione

e dal sostegno attivo dei cittadini, in altre parole nella fede nella legittimità del governo.

“Nella sua accezione minima la legittimità è la convinzione che, nonostante tutti gli

inconvenienti e i fallimenti, le istituzioni politiche esistenti sono migliori di qualsiasi altre

possano essere instaurate e perciò meritano obbedienza”26. La legittimità dipende sia dal

particolare Zeitgeist – “spirito del tempo” – ovvero dal convincimento condiviso al di sopra

delle frontiere nazionali che un particolare tipo di sistema politico sia il pi5 auspicabile, sia

dalle altre due qualità che caratterizzano un sistema politico: l’ef8cacia e l’ef8cienza. Queste

possono rafforzare, mantenere o indebolire la legittimità ma la loro percezione è a sua volta

distorta dal convincimento iniziale su quest’ultima. Questa opera come una “costante

positiva” che moltiplica qualsiasi valore positivo raggiunto dall’ef8cacia e dall’effettività.

L’ef8cacia consiste nella “capacità di un regime di dare ai problemi fondamentali, che si

pongono per ogni sistema politico (e a quelli che diventano rilevanti in uno speci8co momento

storico), soluzioni tali da essere percepite come soddisfacenti da parte di cittadini

politicamente coscienti”27. Non viene, secondo Linz, giudicata in base alle azioni di un

particolare governo in un periodo breve di tempo ma in base alla somma di azioni relative a

un periodo pi5 lungo e in rapporto ai risultati di altri sistemi di governo. L’effettività è invece

la capacità di attuare le politiche che si sono elaborate, ottenendo i risultati previsti.

Crediamo sia utile cominciare con queste de8nizioni generali in quanto, come abbiamo già

avuto modo di evidenziare, la parola democrazia – come altre parole che si riferiscono al

sistema politico – non ha un signi8cato univoco per i cittadini che vivono sotto questa forma

di governo. Prima quindi di parlare – come spesso disinvoltamente si fa – di una “crisi della

democrazia” bisogna capire per quale livello i cittadini provino insoddisfazione. Infatti è chiaro

che è completamente diverso parlare di un’insoddisfazione per i principi democratici rispetto a

un’insoddisfazione nei confronti delle istituzioni o per il funzionamento delle istituzioni, o ancora

per le persone che ricoprono incarichi in quelle istituzioni. Per usare la terminologia di Linz, un

conto è non avere fede nella legittimit� di un regime – situazione che con8gura una volontà di

cambio radicale del regime stesso – un altro è non avere 8ducia nella sua efcienza –

desiderando magari la riforma di certe istituzioni – o nella effettivit�, che può essere ascritta

all’operato di un singolo governo.

26 Ibidem, pag. 37.27 Ibidem, pag. 44.

19

Secondo Mény e Surel non è infatti in gioco una crisi della democrazia in quanto principio

ma è il funzionamento dei sistemi democratici a essere messo sempre pi5 sotto processo.

“Fiducia nella democrazia, s8ducia nei confronti delle istituzioni, delle procedure, degli

uomini del sistema, questa sembra essere la caratteristica principale del malessere democratico

contemporaneo”28. I due studiosi individuano sei livelli del malessere democratico29: il livello

dei partiti politici, considerati ciechi davanti ai problemi reali della popolazione; quello delle

promesse elettorali e della loro distanza dalle realizzazioni effettive; l’incapacità di inserire nel

dibattito pubblico alcuni problemi; la mancanza di strumenti istituzionali o procedurali che

permettano di incanalare e fare emergere le idee non convenzionali; il livello delle politiche

economiche e sociali e in8ne la perdita di 8ducia negli uomini politici, nelle istituzioni, nelle regole

democratiche a fronte di scandali e corruzione.

Quali manifestazioni possiamo scegliere come indicatori di tale insoddisfazione? Oltre alle

risposte ai sondaggi che ormai quotidianamente vengono commissionati e pubblicizzati dai

media, possiamo indicare l’astensionismo, il calo dei consensi ai partiti di governo, la volatilità

elettorale, il calo di iscrizioni a organizzazioni di mediazione tradizionali come partiti e

sindacati, l’emergere di movimenti sociali ad hoc.

Ognuno di questi indicatori presenta dei problemi; è infatti nella natura dell’indicatore essere

in rapporto di indicazione con pi5 aspetti dell’intensione di un concetto. Allora, si potrebbe

obiettare che l’astensionismo può essere sintomo di una totale 8ducia del cittadino nei

confronti di qualsiasi governante vinca le elezioni oppure un mezzo per esprimere il dissenso

verso la linea del proprio partito in elezioni minori30; il calo di consensi ai partiti tradizionali

potrebbe semplicemente mostrare che sono organizzazioni non pi5 in grado di rappresentare

l’elettorato, che sceglie nuovi attori per questo scopo; la volatilità elettorale e l’avvento dei

movimenti single issue potrebbero signi8care una maggiore autonomia e senso critico dei

cittadini nella sfera pubblica. E sul tema dei sondaggi, come interpretare risposte a domande i

cui termini non sono ben de8niti? Cosa signi8ca infatti “essere soddisfatti per il

funzionamento della democrazia”31?

Ma una combinazione di tutti questi fattori dimostra quantomeno che i fenomeni di cui

28 Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pag. 30.29 Cfr. ibidem, pag. 29.30 Cfr. D. Tuorto, La partecipazione al voto, in P. Bellucci e P. Segatti (a cura di) Votare in Italia: 1968-2008, il Mulino,

Bologna 2010, pagg. 53-79.31 Morlino e Tarchi (cfr. L. Morlino e M. Tarchi, La societ� insoddisfatta e i suoi nemici. I partiti nella crisi italiana, in L.

Morlino e M. Tarchi (a cura di) Partiti e caso italiano, il Mulino, Bologna 2006, pagg. 207-243) individuano due forme di insoddisfazione per la democrazia: l’insoddisfazione pragmatica, cioè immediata, instabile ma anche politicamente pi5 responsabile di scontento nei confronti del funzionamento delle istituzioni e l’insoddisfazione ideologica, profondamente radicata e conseguente a una disaffezione al regime collegata a valori alternativi a quelli vigenti. Tratteremo ampiamente l’argomento nel seguito di questo lavoro.

20

stiamo parlando – in qualsiasi modo li si voglia intendere – sono rilevanti. Venendo alle

spiegazioni, possiamo individuare due 8loni: uno che vede le manifestazioni di insoddisfazione

come indicatori di una situazione negativa da imputare principalmente agli attori politici e

l’altro che le vede come sintomi di una maggiore autonomia dei cittadini dalla politica.

Ma, prima di tutto ciò, non si può non dare spazio alla constatazione che – tenuto conto

dell’espansione universale e incontrastata della democrazia – il malessere nei suoi confronti

sembra quanto meno paradossale. Mény e Surel32 individuano tre ordini di motivazioni per

questa situazione.

In primo luogo, non appena non esiste pi5 un’alternativa al sistema dominante, critiche e

malcontento si concentrano inevitabilmente sul solo oggetto rimasto sulla scena. Inoltre, in

mancanza di concorrenti la democrazia liberale perde i suoi anticorpi pi5 preziosi. I regimi

comunisti erano al contempo una minaccia e una benedizione in quanto permettevano di

relativizzare le de8cienze delle democrazie esistenti. In8ne, per i due studiosi il malessere è

parte integrante della democrazia stessa in quanto le democrazie in attività sono costruzioni

imperfette. “L’insoddisfazione dei cittadini nei confronti dei vari aspetti del sistema è una

costante”; non è l’insoddisfazione in quanto tale infatti a costituire il problema ma la sua

intensità, la natura e la sua manifestazione.

Torniamo a un aspetto già evidenziato quando parlavamo della natura duale del concetto di

democrazia. Abbiamo osservato come per Sartori esistano una dimensione prescrittiva e una

descrittiva della democrazia e un dislivello incolmabile tra l’ideale e il reale. Per Sartori33 il

perfezionista è colui che non considera quel dislivello come un dislivello costitutivo. Gli ideali

nascono dall’insoddisfazione per il reale, reagiscono alla realtà, la loro funzione è contrastarla

e controbilanciarla. Si tratta di uno stato di cose desiderabile che però non coincide mai con

l’esistente; sono infatti irrealizzabili quando si vogliono attuare per intero mentre quando in

qualche misura riescono e diventano realtà vengono trasformati. Se nelle democrazie esistenti

si vuole attuare l’ideale per intero o in altre parole se la deontologia democratica, il dover

essere, viene riformulata in modo estremo e massimizzante allora la democrazia (prescrittiva)

comincia a operare contro la democrazia (descrittiva).

“Le democrazie, nel loro grigio operare quotidiano, spesso meritano poco credito. Ma lamentarsi del

loro operato quotidiano è un conto, screditarle in principio è un altro. C’è un discredito meritato, e c’è

un discredito immeritato: quello che deriva da un perfezionismo che senza sosta alza troppo la posta.

L’ingratitudine che sembra caratterizzare l’uomo contemporaneo e la delusione che si accompagna così

32 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pag. 26 e ss.33 Cfr. G. Sartori, Democrazia: cosa è, Rizzoli, Milano 2007, pagg. 45-46.

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spesso agli esperimenti democratici, sono anche il contraccolpo di una promessa troppo irraggiungibile

per poter essere mantenuta. Il vero pericolo che minaccia una democrazia che non ha pi5 uf8cialmente

nemici, non sta nella concorrenza di controideali; sta nel reclamare una «vera democrazia» che scavalca

e ripudia quella che c’è.”34

Quindi in una situazione in cui lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, erige la democrazia a

“migliore forma di governo possibile”, i rischi di una crisi di legittimità o di una mancanza di

8ducia nelle capacità di ef8cienza ed effettività di un regime non derivano pi5 dal confronto

con un alternativa esistente, ma dal confronto con un ideale irrealizzabile. Sartori ci suggerisce

così che una molla cardinale dell’insoddisfazione contemporanea è proprio la composizione

duale della democrazia di cui abbiamo trattato sopra. Dobbiamo sempre tenere conto di

questa relazione – e vedremo come sia una linfa vitale per il populismo – anche quando

analizziamo le cause pi5 contingenti del malessere.

Per quanto riguarda la famiglia di spiegazioni che imputano la responsabilità per

l’insoddisfazione agli attori politici possiamo far riferimento ad Al8o Mastropaolo35, per cui

sono i partiti di opposizione che non hanno pi5 la capacità di drenare il disagio sociale e

l’insoddisfazione, organizzandoli. Per gli insoddisfatti la politica era una opportunità di riscatto

da cui traeva bene8cio l’intero regime democratico, visto che con il loro scontento si elevava la

percentuale di quanti trovavano ragione per recarsi alle urne. Oggi invece il disagio sociale si

confonde nell’universo del malessere ed è sprovvisto di sbocchi politici. Ma pi5 in generale

sembra – secondo Mastropaolo – che i regimi democratici siano divenuti un “marchingegno

per suscitare malessere”. È la politica stessa che recita la parte del capro espiatorio di quanto

non funziona nella società e gli attori politici hanno accettato la parte assegnata loro dalla

retorica antipolitica per cercare di scaricarne i danni sui concorrenti. Ma se la manovra riesce

nessuno resta indenne e l’insoddisfazione cresce a livello sistemico.

Bernard Manin fornisce una spiegazione che riguarda la distanza tra governanti e governati e

la loro capacità di incidere sull’agenda pubblica36. In de8nitiva per il politologo francese il

malessere deriva da una delusione riguardo alle aspettative sulla direzione della storia: con

l’affermarsi della nuova élite della democrazia del pubblico la storia sta prendendo una piega

inaspettata. La sostituzione dei notabili con i burocrati – nel passaggio dal parlamentarismo

alla democrazia dei partiti – aveva infatti segnato un accorciamento delle distanze tra élite e

cittadini. L’avvento dell’élite della democrazia del pubblico – fatta di politici carismatici ed

esperti di media – non accorcia questa distanza, anzi la amplia, e ciò genera insoddisfazione.

34 Ibidem, pag. 57.35 Cfr. A. Mastropaolo, La democrazia è una causa persa?, cit., pagg. 248-351.36 Cfr. B. Manin, op. cit., pagg. 258-259.

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“Pi5 che la sostituzione di un’élite con un’altra, è la persistenza, e forse persino

l’aggravamento, della distanza fra i governati e l’élite di governo che ha provocato un senso di

crisi”37. Inoltre, quando i cittadini votavano per un partito con un programma avevano pi5

capacità di pronunciarsi sulle politiche di quando eleggevano un notabile. Oggi gli elettori,

come abbiamo visto, hanno sempre meno voce in capitolo su quello che farà l’eletto e questo

genera un senso di frustrazione da cui deriva l’insoddisfazione.

Le manifestazioni di insoddisfazione possono però anche essere indicatori di una tendenza

inversa. Per esempio, per la teoria dei valori post-materialisti38 il malessere non con8gura una

situazione drammatica di distacco tra governanti e governati ma è il risultato di un livello pi5

elevato di informazione e di istruzione che rende gli individui pi5 critici e pi5 esigenti, meno

condizionati da vincoli partitici, pi5 autonomi dalla politica.

1.4 Il populismo come tensione costitutiva della democrazia

Abbiamo 8no a ora descritto alcune dinamiche democratiche affermando che possono

costituire un terreno fertile per il populismo contemporaneo, essendo quest’ultimo una

componente costitutiva degli odierni regimi democratici. Non si tratta però, ed è importante

ribadirlo, di un processo del tipo “causa ed effetto” oppure “stimolo e risposta”. La realtà

sociale e quindi anche quella politica sono troppo complesse perché si possano individuare con

chiarezza relazioni di questo tipo. Possiamo affermare che i regimi democratici hanno in sé il

germe populista, e che esistono delle strutture di opportunità o spazi di manovra pi5 favorevoli

di altri per il suo emergere. Ne abbiamo individuati tre: la discrasia tra ideale democratico e

realtà; i processi di trasformazione delle democrazie contemporanee (la globalizzazione,

37 Ibidem, pag. 259.38 Per i seguaci della teoria dei valori post-materialisti è il pi5 elevato livello di istruzione e informazione a

rendere gli individui pi5 critici ed esigenti, meno condizionati dai vincoli partitici, associativi e religiosi e pi5 inclini sia a pronunciarsi in funzione dei singoli candidati e delle singole issues sia ad astenersi, protestare cambiare partito e dichiarare nei sondaggi la propria insoddisfazione. Cfr. A. Mastropaolo, La democrazia è una causa persa?, cit., pag. 232. Anche per Pierre Rosanvallon (cfr. P. Rosanvallon, Controdemocrazia, Castelvecchi, Roma 2012) la s8ducia dei cittadini nei confronti del potere non può essere considerata solo un fenomeno negativo di passività e mancanza di interesse per la politica, ma può essere un modo per compensare il fenomeno contemporaneo dell’erosione della 8ducia. Il manifestarsi della s8ducia non è secondo lo studioso francese un fenomeno del tutto nuovo e ha storicamente preso due strade, quella liberale – ovvero la dif8denza nei confronti del potere popolare – e quella democratica, per cui il potere eletto deve rimanere fedele ai propri impegni. Da quest’ultima deriva la contro-democrazia, la democrazia della s8ducia organizzata di fronte alla democrazia della legittimità elettorale. Anche se il nome potrebbe farlo intendere, contro-democrazia non è il contrario della democrazia, anzi si può dire che fa sistema con le istituzioni democratiche legali e mira a prolungane e ad estenderne gli effetti. I tre contro-poteri che delineano i contorni della contro-democrazia individuati dallo studioso francese sono: i poteri di sorveglianza, la vigilanza dei cittadini sul potere e la costante ispezione del suo operato; le forme di interdizione, una sorta di potere di veto dei cittadini; l’espressione di un giudizio, un’estrema richiesta di rendicontazione dell’operato del potere, alle soglie del processo. Ma da questi tre poteri che con8gurano la contro-democrazia e che possono aiutare a migliorare la democrazia elettorale e rappresentativa – essendone un contrafforte – possono derivare anche insoddisfazione e quella che Rosanvallon chiama impolitica, ovvero la tendenza contemporanea alla dissoluzione del politico.

23

l’indebolimento dei partiti e la personalizzazione); l’insoddisfazione nei confronti del

funzionamento dei regimi democratici.

Prima di andare oltre, però, urge de8nire ancorché minimamente l’oggetto di cui stiamo

parlando. Esiste una letteratura sterminata e variegata che tenta di de8nire l’oggetto

“populismo” e non è nostra intenzione ripercorrerla. Non tratteremo volutamente in queste

righe di un “contenuto programmatico” del populismo, poiché siamo dell’idea che questo

fenomeno possa essere meglio studiato spostando l’attenzione dall’ideologia e dal contenuto

verso “considerazioni strutturali”39. Questo perché i partiti e i movimenti populisti sono

opportunisti, cambiano cioè i loro contenuti di programma a seconda dell’élite che contestano e

del contesto sociale e politico in cui operano.

De8niamo in questa sede il populismo tramite le concettualizzazioni di Flavio Chiapponi40 e

Mény e Surel41 come un fenomeno politico che presenta tre dimensioni: eticizzazione del popolo,

protesta anti-elitaria e insofferenza verso le mediazioni istituzionali e la cui argomentazione, la dinamica

ideologica42, è basata su tre livelli: il popolo è il fondamento della comunit�, questa superiorit� è stata

derisa da un certo numero di attori, bisogna rimettere il popolo al suo posto nel quadro di una

rigenerazione della società. Chiapponi individua quindi tre elementi invarianti che

con8gurano il nucleo de8nitorio del concetto; cerchiamo di de8nirli meglio. Per eticizzazione del

popolo si intende il fatto che il popolo – buono di per sé – è considerato intrinsecamente

portatore di dignità etica e posto a fondamento di qualsiasi principio di legittimazione43. Ma il

39 Questo è l’approccio di Margaret Canovan (cfr. M. Canovan, Abbiate fede nel popolo! Il populismo e i due volti della democrazia, cit., pagg. 25-30), che de8nisce il populismo nelle moderne società democratiche come un appello al popolo contro la struttura vigente del potere e le idee e i valori dominanti a livello sociale.

40 Cfr. F. Chiapponi, Il populismo nella prospettiva della scienza politica, Coedit, Genova 2012, pagg. 75-114.41 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit.42 Secondo Mény e Surel (cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pagg. 170, 277-278) il populismo, anche se non

costituisce un sistema ideologico capace di dar vita a una tradizione politica particolare, può essere de8nito un’ideologia nel senso inteso da Clifford Geertz, secondo cui le ideologie sono “le carte di una realtà sociale problematica e le matrici per la creazione di una coscienza collettiva” che permettono agli individui di interpretare il mondo in cui vivono. Sono sistemi cognitivi culturalmente e storicamente determinati con cui esprimere interessi o risolvere tensioni sociali soprattutto quando le strutture cognitive e normative sperimentate non sembrano funzionare. Il populismo come ideologia fornisce quindi dei vettori di senso sia per comprendere l’esistente sia per elaborare soluzioni a una crisi. Tarchi (cfr. M. Tarchi, Il populismo e la scienza politica: come liberarsi dal “complesso di Cenerentola”, in «Filoso8a politica», XVIII, 3, 2004, pag. 419) propone di de8nire il populismo come una forma mentis connessa a una visione dell’ordine sociale alla cui base sta la credenza nelle virt5 innate del popolo di cui si rivendica il primato come fonte di legittimazione dell’azione politica. La mentalità si può esprimere come schema ideologico, come registro retorico, come formula di legittimazione alla base di un regime e presenta intensità diverse a seconda del contesto.

43 Fondato sulla valorizzazione del popolo, il populismo raccoglie tutte le ambiguità di una parola ricca di una grande varietà di signi8cati. Mény e Surel (cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pagg. 167-207) ne individuano tre accezioni principali: sovrano (popolo come fondamento della legittimità del potere, in contrasto alle élites e al loro tradimento dei principi originari della democrazia), classe (i “piccoli” contro i “grandi” in un’accezione economica) e nazione (un’accezione culturale, in questo senso le rivendicazioni populiste si avvicinano al nazionalismo). Mobilitate in modo separato o concomitante, queste tre accezioni di popolo costituiscono un serbatoio al quale attingono i discorsi populisti. Margaret Canovan (cfr. M. Canovan, Abbiate fede nel popolo! Il populismo e i due volti della democrazia, cit., pagg. 27-28) invece ne individua quattro: united (il popolo non diviso dalla faziosità dei partiti), common, ordinary (la gente comune contro l’élite privilegiata) ed ethnic (la comunità

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popolo non incarna solo il fulcro della legittimità, ispira anche il pro8lo di un progetto politico

che consisterebbe nel ripristino della piena sovranità popolare usurpata e tradita dalle élite al

potere (come sottolineato anche nello schema argomentativo di Mény e Surel). A questa

dimensione – e veniamo al secondo punto – si accompagna inevitabilmente una protesta contro

le 5lites44. Si tratta di uno schema dicotomico, di un polo positivo e di un polo negativo, della

contrapposizione tra virt5 e vizio. In8ne il populismo nega ogni mediazione, strutturale o

procedurale. Questa negazione discende da due aspetti: in primo luogo si riscontra una scarsa

tolleranza verso i vincoli delle istituzioni rappresentative che frappongono una barriera tra

popolo e potere; in secondo luogo viene esaltato il contatto diretto tra leader45 e seguaci,

impedito dalle istituzioni rappresentative. Popolo, leader e sovranità: tutto ciò che ostacola

questo rapporto lineare viene rigettato dai populisti. Non si tratta però di un ri8uto del

principio di rappresentanza tout court, ma di una modi8ca della sua natura verso un’omologia

sostanziale tra rappresentante e rappresentato46.

Il populismo non può essere infatti considerato, come vedremo, anti-sistema: perlomeno nei

regimi democratici non propone una contro-ideologia avversa al sistema democratico ma al

contrario un’interpretazione radicale del nucleo dei valori del sistema. Inoltre va sottolineato

che l’ostilità verso la politica rappresentativa non è una inclinazione speci8ca degli attori

populisti, che sono peraltro molto critici anche verso istituzioni che non si reggono sul principio

di rappresentanza.

A partire da questa de8nizione minima di populismo e dalle dinamiche individuate in

nazionale, gli appartenenti allo stesso ceppo etnico).44 Quale élite? Secondo Margaret Canovan (cfr. M. Canovan, Abbiate fede nel popolo! Il populismo e i due volti della

democrazia, cit., pagg. 26-27) il populismo non s8da solo i detentori del potere in carica ma anche i valori delle élites, non solo quindi contro l’establishment politico ed economico ma anche contro coloro che formano la pubblica opinione attraverso l’accademia e i media. I contenuti del populismo, come già accennato, dipendono quindi dall’establishment contro cui si mobilita, ciò che rende populisti i populisti è la reazione contro la struttura di potere. Ovviamente è pi5 facile politicizzare il risentimento verso i governanti in momenti di crisi. Le congiunture critiche sono un terreno favorevole per il populismo, aumenta la probabilità di de8cit di rispondenza delle élite e si produce a livello di massa la diffusione di sentimenti di scontento per lo scarso rendimento del sistema.

45 “La presenza di un leader che sappia dare voce al popolo, rassomigliargli nei comportamenti, captarne e orientarne le aspirazioni, insomma che dimostri di volerne e saperne incarnare caratteristiche e bisogni, è uno dei tratti fondamentali delle manifestazioni politiche del populismo: è quasi sempre un singolo esponente a conferire credibilità al movimento che lo incorona e lo segue, af8dandogli le proprie sorti.” Il leader populista non va però assimilato al capo carismatico, che si distingue per le sue caratteristiche straordinarie. Il leader populista deve al contrario mostrarsi simile all’uomo comune al quale si rivolge, deve proporsi come un esempio della semplicità che il movimento intende restituire alla politica dimostrando che le istanze dei cittadini possono essere espresse senza far ricorso alle lungaggini del processo rappresentativo. “Il rapporto di 8ducia illimitata che lega i sostenitori al capo in un patto di reciproca solidarietà è la prova che una politica diversa, fondata sul rapporto faccia a faccia tra governanti e governati, è possibile, e ripropone il contrasto che è alla base della considerazione populista dei processi politici: da una parte la spontaneità della comunicazione che si svolge fra il comune cittadino e chi sa interpretarne immediatamente le istanze, dall’altra la chiusura delle classi dirigenti in sedi inaccessibili all’uomo della strada e sorde alle sue richieste”. M. Tarchi, op. cit., pag. 426.

46 Cfr. ibidem, pagg. 427-428.

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precedenza, vediamo come queste ultime possono creargli una struttura di opportunità

favorevole.

Dualismi democratici, ovvero la discrasia tra ideale e realt�

«1 proprio perch5 la democrazia all’opera non è mai quella che affermano i suoi sostenitori e soprattutto i suoi

attori, che nasce un senso di frustrazione, un vuoto che l’appello al popolo può facilmente colmare.»47

Abbiamo concluso la trattazione sui dualismi democratici riassumendoli in una discrasia tra

quello che la democrazia signi8ca idealmente e “intuitivamente” e quello che realizza nella

sua visibile pratica quotidiana. Abbiamo anche osservato come questa discrasia dipenda dalla

natura composita della forma di governo democratica, in cui si uniscono elementi popolari e

populisti con elementi costituzionali e oligarchici. Perché dunque questa discrasia favorisce il

populismo? Democrazia e populismo nascono in uno stesso humus culturale: ne è un chiaro

esempio il riferimento al popolo, condiviso dai due e referente fondamentale e

progressivamente unico di legittimazione del potere nell’epoca moderna. Ma i populisti, a

differenza di altri attori democratici, pretendono di incarnare la vera democrazia, sviata a loro

dire dai suoi obiettivi fondamentali, e di creare un governo del popolo, da parte del popolo e

per il popolo. Il populismo non si presenta quindi come un movimento antidemocratico ma al

contrario si concentra nella denuncia delle perversioni che affiggono le democrazie e sulla

necessità di trovarvi rimedio. “Lungi dal raccomandare un’altra forma di regime, i populisti si

impegnano il pi5 delle volte in una sorta di gioco al rialzo delle aspettative democratiche, utilizzando

le ambiguità e la polisemia che caratterizzano il termine democrazia”48. Utilizzando le armi

che vengono fornite loro dalla stessa teoria democratica, i populisti riprendono i temi fondanti

della democrazia che non sono mai applicati per intero nella realtà, denunciando questa

discrasia e proponendo un ritorno a essi. È in un certo senso la stessa retorica democratica

necessaria per avere il consenso attivo dei cittadini verso la forma di governo, in una parola

per avere legittimit� nel senso inteso da Linz, a incentivare questo processo. Questo perché la

democrazia non può fare a meno del popolo e il populismo lo ricorda in modo insistente. I

populisti sono insomma i “perfezionisti” di Sartori, che non rincorrono contro-ideali ma

reclamano una “vera democrazia”, fondamentalmente irrealizzabile.

Secondo Margaret Canovan la coesistenza tra i due volti – redentore e pragmatico – della

democrazia è uno sprone costante alla mobilitazione populista. “Quando si apre uno scarto

troppo grande tra la democrazia circondata dall’alone sacro e i sudici affari della politica, i

47 Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pag. 10.48 Ibidem, pag. 35.

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populisti tendono a trasferirsi sul terreno vacante, promettendo al posto dello sporco mondo

delle manovre di partito lo scintillante ideale della democrazia rinnovata”49. Anche Canovan

osserva che qualche grado di promessa di salvezza è necessario per lubri8care il macchinario

della democrazia pragmatica e che, se non è presente nella corrente principale del sistema

politico, è probabile che essa affermi la sua presenza sotto forma di s8da populista. Il

contenuto della promessa della democrazia redentrice (e, aggiungiamo, dell’ideale

democratico, della sua versione prescrittiva) è “potere al popolo”, ma questa promessa è in

contrasto con la democrazia vista alla fredda luce del pragmatismo e lo scarto fra le due è un

fecondo terreno di coltura per il populismo.

La democrazia può essere una forma molto potente di governo nella misura in cui gode di

suf8ciente legittimità ma per funzionare deve assumere forme istituzionali molto lontane dalla

spontanea espressione popolare. I populisti fanno appello “al di là delle ossi8cate istituzioni” al

popolo vivo proclamando la vox populi senza intermediazioni. E se è vero che la democrazia

non può funzionare senza istituzioni, è altrettanto vero che queste per lavorare al meglio

hanno bisogno di un occasionale soprassalto di fede.

Globalizzazione, indebolimento dei partiti, personalizzazione

Con la globalizzazione interi settori della vita collettiva sfuggono al controllo dei cittadini, le

responsabilità politiche si complicano, diventano sempre pi5 importanti istituzioni non

elettive. Tornando alla de8nizione di populismo di Chiapponi, è chiaro come questa dinamica

doni ai populisti enormi risorse retoriche: un punto fondamentale del loro discorso è infatti

l’ostilità a ogni mediazione che si può frapporre tra il popolo e il controllo della sovranità. E se

questo è vero in situazioni normali, in periodi di crisi lo è ancora di pi5. Finché infatti la

globalizzazione è vista come portatrice di benessere, la perdita di potere da parte del pilastro

popolare può essere sopportata, ma quando vengono a galla aspetti negativi, come accade ad

esempio durante una crisi economica globale, i populisti sono favoriti e riescono a mobilitare

molti consensi. Inoltre, in mancanza di una chiara linea di responsabilità politica sono sempre

e comunque i politici nazionali a essere colpevolizzati per la situazione di crisi, e questo

aumenta il senso di insoddisfazione e i consensi verso chi, come i populisti, fonda la propria

retorica sulla contestazione di quelle élites.

Un’altra trasformazione delle democrazie messa in evidenza nei paragra8 precedenti è che

partiti potenti strutturati intorno a forti divisioni economiche e sociali lasciano il posto a

49 M. Canovan, Abbiate fede nel popolo! Il populismo e i due volti della democrazia, cit., pag. 34.

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organizzazioni basate sulla leadership mediatica. Secondo Mény e Surel50 le trasformazioni

recenti delle divisioni sociopolitiche tradizionali, una delle cause dell’indebolimento dei partiti

tradizionali, hanno aperto uno spazio agli attori politici che ricorrono a programmi, strumenti

retorici e/o organizzazioni di tipo populista. La struttura delle divisioni messa in evidenza da

Lipset e Rokkan negli anni sessanta51, che è stata alla base della costituzione dei sistemi di

partiti in Europa si è trovata minacciata negli ultimi decenni dal cosiddetto disgelo e gli attori

populisti sarebbero capaci di riunire individui che si sono allontanati dalle loro identità

tradizionali. Dopo il 1989 abbiamo assistito al declino della “politica ideologica”. Nei sistemi

di partito europei ciò ha signi8cato l’indebolimento o addirittura la neutralizzazione della

capacità di richiamo delle dottrine che avevano incarnato i vettori della mobilitazione politica

in quelle democrazie. Il declino della politica ideologica non solo libera dalle lealtà dottrinarie

una consistente quota di elettori ma ha conseguenze anche sulla mobilitazione dei cittadini:

quelle dottrine infatti trasguravano le non-élites, assegnavano loro cioè un’identità che le

designava come membri di un gruppo sociale portatore di dignità etica: le élites mobilitavano

le non-élites grazie all’attivazione del riconoscimento in quelle identità. Il declino delle

ideologie spoglia le non-élites che sono ripensate per quello che sono, ossia semplici cittadini. Si

ampli8ca in questo modo la ricezione del messaggio populista che si rivolge all’uomo della

strada, al cittadino comune, al popolo52.

In8ne, abbiamo visto come la personalizzazione abbia origine sia dai processi di

complicazione dell’ambiente della politica, per cui gli elettori sono portati a dare 8ducia a una

persona per le sue doti personali53, sia dai cambiamenti nel sistema comunicativo, per cui i

vari leaders riescono a comunicare direttamente ai cittadini tramite i mezzi di comunicazione

di massa, mettendo in secondo piano il ruolo dei partiti politici. Il populismo traduce in modo

ampli8cato questo movimento all’opera nelle varie democrazie, mentre i sistemi politici

cercano di canalizzarlo e istituzionalizzarlo. La combinazione del declino dei modi

tradizionali di mediazione e dell’importanza accordata alla leadership opera in favore di

movimenti e leaders populisti. I populisti esaltano il contatto diretto con il leader e non

sopportano le mediazioni istituzionali, per questo sono in sintonia con gli sviluppi recenti della

democrazia istituita54, essendo – come abbiamo visto – una caratteristica ricorrente e un tratto

fondamentale delle manifestazioni politiche del populismo la presenza di una forte leadership.

50 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pagg. 209 e ss.51 Cfr. S. M. Lipset e S. Rokkan (a cura di), Party sistems and voter alignments, The Free Press, New York 1967.52 Cfr. F. Chiapponi, op. cit., pag. 217-218.53 Cfr. B. Manin, op. cit.54 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pagg. 109-110.

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L’insoddisfazione e il malessere democratico

La perdita di legittimità dei sistemi democratici non è dovuta ai movimenti e ai partiti

populisti, questi non ne sono la causa ma l’effetto55. Abbiamo visto come l’insoddisfazione si

possa trovare a vari livelli (generali: legittimità, ef8cienza, ef8cacia; o speci8ci: partiti,

promesse elettorali, politiche, 8ducia negli uomini politici). La critica del populismo non si

situa a livello di legittimità, come abbiamo visto, essendo “un’altra e diversa proiezione delle

premesse ideali della teoria democratica”56 ma denuncia le distorsioni rispetto all’ideale

prescrittivo democratico e sfrutta come risorsa retorica l’insoddisfazione che si trova ai vari

livelli che abbiamo citato. In particolare, secondo i due studiosi francesi bisogna prendere in

considerazione per l’emergere del populismo l’unione di una struttura ideologica – che è quella

che abbiamo visto – e di una congiuntura politica, in questo caso la percezione sempre pi5 ampia

della pratica della corruzione. Ma, si nota, la corruzione che ha caratterizzato la maggior

parte delle democrazie occidentali nel secondo dopoguerra non ha sempre avuto effetti

negativi sulla legittimità degli uomini politici. C’è stato sì un cambiamento dalla 8ne degli

anni ottanta – per cui la corruzione diventa organizzata e sistematica, sempre meno occulta e

sempre pi5 complessa – ma sono anche le condizioni di contesto che rendono la corruzione

sopportabile o meno. “È signi8cativo (...) che in Italia la collusione tra partiti politici e la

corruzione generalizzata del sistema sia stata ben tollerata 8nché i governi al potere hanno

praticato una politica di bilancio lassista, permettendo una generosa distribuzione dei

dividendi e facendo dimenticare la pessima gestione dello stato da parte della classe politica. Il

trattato di Maastricht e le sue esigenze in materia di bilancio e di 8nanze sono stati l’elemento

rivelatore di queste contraddizioni”57. La denuncia della corruzione è un terreno ideale per

chi, come i populisti, si propone di rigenerare il sistema politico, e dimostra la verità degli

assunti sul tradimento delle élites. La progressiva trasformazione della corruzione in tematica

saliente e causa ricorrente di insoddisfazione per i cittadini, accresce quindi la capacità di

attrazione del populismo. L’emersione delle pratiche di corruzione e la scarsa tolleranza verso

queste ultime sono quindi la manifestazione di una crisi di 8ducia che serve ai populisti come

importante risorsa di legittimazione; questi infatti, come abbiamo visto, con la loro retorica

rinvigoriscono il mito fondante della democrazia e denunciano le deviazioni dall’ideale

democratico originario imputandole alle élites, mostrandole, a seconda delle speci8che

congiunture politiche, colpevoli di ogni male che affigge la società.

55 Cfr. ibidem, pagg. 152-159.56 M. Tarchi, op. cit., pag. 426.57 Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pag. 155.

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Populismo come alternativa all’exit

Abbiamo 8no a ora cercato di dimostrare come il populismo possa essere considerato una

componente costitutiva delle democrazie contemporanee, derivando dalle tensioni immanenti

a questa forma di governo; vogliamo concludere trattando della “funzione positiva” che

questo fenomeno politico può assumere all’interno dei sistemi di partiti. Da quello che

abbiamo affermato 8no ad ora, possiamo osservare come l’adesione a movimenti o partiti

populisti sia sicuramente un’alternativa pi5 costosa dell’exit58, del semplice astensionismo, per i

cittadini. Secondo Mastropaolo, come abbiamo visto nei paragra8 precedenti, oggi il disagio

sociale si confonde nell’universo del malessere ed è sprovvisto di sbocchi politici; secondo Andreas

Schedler invece – visione che condividiamo – il populismo ha proprio la funzione di

mantenere dentro il sistema coloro che, privi dell’alternativa populista, si sarebbero rifugiati

inevitabilmente nell’astensione59.

I cambiamenti collegati alle trasformazioni socio-economiche recenti avvenuti nei sistemi di

partito hanno portato a una relativa emarginazione di alcuni gruppi sociali, che non si sentono

pi5 rappresentati da nessuna forza politica; le formazioni populiste hanno la funzione di

mantenere all’interno o ai margini del sistema dei partiti individui o gruppi che tendono ad

allontanarsene per assumere un atteggiamento passivo o un comportamento di protesta che

può andare 8no all’espressione violenta di un malcontento contro l’intero sistema sociale e

politico. Mettendosi ai margini dei sistemi di partiti, i partiti populisti si caratterizzano così per

rivendicazioni e forme organizzative derivanti da una partecipazione politica classica e per

una contestazione generalizzata degli attori dominanti nel sistema; assolvono insomma una

funzione simile a quella “funzione tribunizia” individuata da Georges Lavau per il Partito

comunista francese60, difendendo gli interessi delle categorie sociali minacciate. Anche

secondo Tarchi61, in8ne, il populismo può avere la funzione di mantenere una crisi nei binari

dell’ordinaria confittualità o addirittura di rafforzare le richieste di democratizzazione e per

questo può essere considerato, essendo una diversa proiezione delle premesse ideali della

teoria democratica, una forma estrema di democrazia62.

58 Facciamo riferimento, ampliandone la portata all’intero sistema politico, al lavoro di A. O. Hirschman, Lealt� defezione protesta, Bompiani, Milano 1982 sulle modalità attraverso cui gli iscritti a un’organizzazione possono infuenzare le scelte dell’organizzazione stessa.

59 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pag. 230-231.60 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pag. 230-233.61 Cfr. M. Tarchi, op. cit., pagg. 426-429.62 Margaret Canovan, in conclusione al suo articolo sui due volti della democrazia, nota che il populismo non è

l’unico tipo di “radicalismo” che attecchisce nell’area di tensione tra i due volti della democrazia e, potremmo aggiungere, tra le pieghe delle tre dinamiche democratiche da noi individuate. Avversione alla politica pragmatica, promessa di restituire la democrazia alla gente e di dare potere al popolo, trasparenza e immediatezza nel rapporto tra volontà popolare e azione democratica sono tutti temi della cosiddetta democrazia partecipativa. Secondo Canovan il razionalismo di queste pratiche – la 8ducia nella capacità del

30

Abbiamo evidenziato qui una funzione positiva che il populismo può assumere: è necessario

però sottolineare che il contesto a cui facciamo riferimento è quello di democrazie consolidate

con istituzioni forti, minate sì da insoddisfazione, non situata però a livello di legittimit�. Non va

dimenticato che il populismo è un fenomeno politico “camaleontico”63, adattandosi e

sviluppandosi in relazione al contesto in cui si presenta. In contesti, quindi, in cui le istituzioni

sono deboli e la democrazia poco consolidata o soggetta a una vera crisi, può mostrare il suo

“lato oscuro”64. Se da un lato, infatti, esso sorge secondo Zanatta all’interno “dell’universo

ideale democratico” e si può affermare che funga da “anticorpo della democrazia quando essa

si sclerotizza”, dall’altro può avere in sé “un germe distruttivo per la vita democratica”.

discorso razionale di portare al bene comune – è in realtà altrettanto lontano dalla politica pragmatica quanto lo è la politica della fede. Le teorie di democrazia partecipativa sono in de8nitiva redentrici, nascono dalle stesse tensioni da cui nasce il populismo. Così come possiamo vedere un’altra caratteristica dei movimenti populisti, ovvero l’“idealizzazione della disponibilità dell’uomo della strada a trasformarsi in cittadino attivo, consapevole dell’esigenza di partecipare alla vita pubblica e disposto a sopportare i relativi costi di impegno ed informazione pur di riappropriarsi dell’esercizio del potere di cui è teoricamente titolare” individuata da Tarchi come comune a tutti quei movimenti che esaltano la democrazia partecipativa, deliberativa o diretta. I due fenomeni nascono quindi secondo Canovan nelle stesse circostanze, e presentano alcuni tratti comuni. Adottando una de8nizione minima del populismo (eticizzazione del popolo contro le élites e le mediazioni istituzionali al 8ne di restituire la sovranità al popolo, variamente de8nito), la caratteristica che discrimina maggiormente i due fenomeni politici può essere individuata nell’assenza nei movimenti di democrazia partecipativa di un leader riconosciuto come pilastro e fondamento del movimento e al contrario nell’importanza attribuita da questi ultimi alla pratica assembleare orizzontale.

63 Cfr. P. Taggart, Il populismo, Città Aperta, 2002.64 Cfr. L. Zanatta, Il populismo. Sul nucleo forte di un’ideologia debole, in «Polis», XVI, 2, 2001, pag. 269-273. I “germi

distruttivi per la vita democratica” sono da rintracciare, secondo l’autore, nella delegittimazione assoluta degli avversari derivante dalla logica manichea di divisione del mondo in popolo e non-popolo, nel ri8uto della divisione dei poteri in nome della volontà popolare, nell’erosione del pluralismo che discende dalla nozione “organicistica” di popolo e nel ruolo “monocratico” e autoritario del leader, caratteristica quasi onnipresente nelle manifestazioni populiste.

31

2. Un “malessere democratico” italiano?

Da quanto detto 8no a questo punto risulta chiaro come la nostra interpretazione rispecchi

quella di quanti ritengono che il populismo non possa essere considerato e analizzato

semplicemente come una patologia dei regimi democratici. Siamo al contrario convinti che

esso rappresenti “il segnale di un malessere democratico che gli attori politici e i cittadini

farebbero bene a prendere sul serio[, (...) u]n valido e tempestivo promemoria del fatto che la

democrazia non è data una volta per tutte, ma rappresenta invece una costruzione che deve

essere costantemente rinnovata”1.

In quanto segnale di malessere, il populismo “trova nelle crisi economiche e sociali, ancor

prima che in quelle politiche che spesso ne sono l’obbligata conseguenza, l’humus ideale, e lo

sfrutta al meglio quando l’apertura di un periodo di incertezze e dif8coltà può essere messa

direttamente in conto alla classe politica e alle istituzioni, pi5 che mai esposte, in simili

frangenti, alle accuse di inettitudine e inconcludenza”2. Se la routine politico-amministrativa,

invece, non precipita in momenti di acuto disagio collettivo e se gli inevitabili inconvenienti

della gestione degli affari pubblici vengono assorbiti da adeguati 8ltri, dif8cilmente la protesta

populista riesce a ottenere un consenso suf8ciente a uscire dalla marginalità.

Ma se la crisi è de8nita3 come un momento di rottura nel funzionamento di un sistema –

come una svolta improvvisa, talora violenta e non prevista nel modulo normale secondo il

quale si sviluppano le interazioni nel sistema, imprevedibile, dalla durata limitata e

caratterizzata da una profonda incidenza sul funzionamento del sistema –, quanto meno per

quanto riguarda il versante della “comunità politica”4 italiana parlare di crisi ci sembra

scorretto, visto che già cinquant’anni fa la diagnosi di Almond e Verba5 era quella di un paese

carente in “cultura civica”, dotato di una cultura politica “particolaristica”, caratterizzata da

s8ducia, passività, alienazione, partigianeria e polarizzazione in caso di coinvolgimento nel

mondo della politica. Il “regime” d’altra parte continua – nonostante o forse proprio a causa

delle promesse (non mantenute) di riforma – a essere dipinto nel discorso pubblico come

inef8cace e inef8ciente, e in8ne sul versante delle “autorità” possiamo osservare come non sia

diminuita la distanza tra governati e governanti – la percezione di questi ultimi come una

1 Y. Mény, Populismo e democrazia in Europa, in «il Mulino», 1, 2005, pag. 12.2 M. Tarchi, L’Italia populista, il Mulino, Bologna 2003, pag. 38.3 Cfr. la voce “Crisi” in N. Matteucci, G. Pasquino e N. Bobbio, Dizionario di politica, Utet Torino 2004, pagg.

219-222.4 Trattando di “comunità politica”, “regime” e “autorità” facciamo riferimento, come noto, alla proposta di

analisi sistemica della politica di David Easton. Cfr. D. Easton, A System Analysis of Politic, Harper, New York 1965.

5 G. A. Almond e S. Verba, The Civic Culture: Political Attitudes and Democracy in Five Nations, Princeton University Press, Princeton 1963. Nei paragra8 successivi tratteremo ampiamente della posizione di Almond e Verba e dei loro critici.

32

“casta”6 scollegata dal paese reale – e come al contrario sia aumentata la s8ducia nei partiti

politici.

Esiste quindi in Italia – se non una crisi – un malessere democratico, che il populismo

indicherebbe? Prima di rispondere a questo interrogativo, è necessario de8nire cosa si intende

con questa espressione indubbiamente evocativa ma forse imprecisa. Il sostantivo “malessere”

– come è facilmente intuibile – fa riferimento a uno stato di disagio, di turbamento, di

insoddisfazione. L’aggettivo “democratico” è pi5 complesso da de8nirsi; secondo Pasquino si

riferisce “sia ai procedimenti elettorali che conferiscono cariche e potere a coloro che vengono

legittimati a prendere decisioni vincolanti per una collettività (...) sia alle modalit� delle decisioni

prese dagli eletti, preferibilmente o sostanzialmente, mai esclusivamente, fondate sul principio

maggioritario. (...) [«D]emocratico» dovrebbe comprendere anche l’esistenza di procedure,

modalità, relazioni di accountability, vale a dire dell’assunzione di responsabilità da parte dei

decisori nei confronti di coloro i quali li hanno eletti e subiscono gli effetti e le conseguenze

delle decisioni, nonché della effettiva possibilità degli elettori di scon8ggere («cacciare») e

sostituire i decisori”7 (corsivi nostri). Possiamo guardare al malessere democratico quindi come

a un fenomeno situato nelle istituzioni e nei meccanismi della democrazia ma anche, sempre

secondo Pasquino, come riferito al potere dei cittadini: non solo nel caso in cui questi ultimi sono

in grado di esercitare poco potere sulla politica e sui politici (a causa dei procedimenti

elettorali, delle decisioni prese dagli eletti che non rispecchiano le loro preferenze o della

mancanza di relazioni di accountability) ma anche quando i cittadini stessi – i disinteressati, i

poco informati, gli astensionisti – sono “democraticamente de8citari”. “I cittadini che non

compiono le azioni necessarie per soddisfare le loro aspirazioni sono responsabili del de8cit

democratico pi5 delle strutture del regime democratico e pi5 dei comportamenti delle

autorità”8. E la loro probabile insoddisfazione nei confronti del funzionamento della

democrazia – insoddisfazione che contribuisce alla sensazione di malessere – è un effetto

piuttosto che una causa dell’inadeguatezza dei loro comportamenti.

Analizzeremo quindi nella prima parte del capitolo lo “stato di salute” democratico prima

indirettamente attraverso il prisma dei partiti, istituzione che si identi8ca intrinsecamente con i

processi della democrazia rappresentativa, e poi direttamente analizzando il sostegno e la

soddisfazione democratici. Tratteremo in8ne della cultura politica degli italiani cercando di

6 Si veda il grande successo del libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella La casta (cfr. S. Rizzo e G. A. Stella, La casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili, Rizzoli, Milano 2007), che ha fatto entrare il termine nell’uso comune e nella cultura popolare italiana.

7 Pasquino tratta di “de8cit” democratico, ma le considerazioni sull’uso di questo aggettivo si confanno anche al nostro caso. G. Pasquino, Decit democratico, in «Rivista italiana di scienza politica», XLII, 3, 2012, pag. 419.

8 Ibidem, pagg. 421-2.

33

capire se questa contribuisce, come suggerito da Pasquino, al malessere democratico. Nella

seconda parte analizzeremo gli avvenimenti politici salienti del biennio 2011-2013 per arrivare

in conclusione di capitolo a capire se esista in Italia un malessere democratico e ad analizzare

come i tre fattori di facilitazione del populismo individuati nel capitolo precedente in linea

generale – la crisi del ruolo dei partiti, la globalizzazione e la personalizzazione – si adattino al

caso italiano.

2.1 Il malessere democratico: partiti, sostegno alla democrazia, cultura politica

Approfondiremo nelle righe seguenti il tema del presunto declino dei partiti politici, già

accennato nel capitolo precedente. In seguito tratteremo del sostegno e della soddisfazione nei

confronti della democrazia in Italia e dei cambiamenti avvenuti nella cultura politica degli

italiani.

I partiti politici tra forza e legittimit�

Se è vero che “nessuna istituzione si identi8ca così strettamente con i processi della

democrazia rappresentativa come i partiti politici”9, allora è necessario trattare in prima

battuta di questo oggetto, perché i sentimenti che i cittadini provano nei confronti dei partiti

hanno importanti implicazioni per l’immagine dell’intero processo democratico. E se è

altrettanto vero che “oggi è di moda essere contrari ai partiti”10, dobbiamo provare a indagare

pi5 a fondo questo sentimento così comune al 8ne di comprendere l’esistenza e la diffusione

del malessere democratico.

Due punti vanno subito fermati. Primo: non si tratta di una speci8cità italiana; al contrario, la

disaffezione ai partiti è un processo generalizzato nelle democrazie avanzate11. Secondo: le

accuse contro i partiti – per citarne alcune: non rappresentare le opinioni dei cittadini,

pensare solo ai propri interessi, essere corrotti e creare solo divisioni – non sono nuove ma

risuonano pi5 o meno dalla loro nascita12. Qual è allora il motivo che ha portato all’emergere

così diffuso di sentimenti negativi verso i partiti negli ultimi anni?

9 R. J. Dalton e S. Weldon, L’immagine pubblica dei partiti politici: un male necessario?, in «Rivista italiana di scienza politica», XXXIV, 3, 2004, pag. 379.

10 Ibidem, pag. 387.11 Cfr. ibidem.12 P. Ignazi, Forza senza legittimit�: il vicolo cieco dei partiti, Laterza, Roma-Bari 2012, pag. 15, individua quattro

8loni culturali dell’ostilità al partito in sé: quello controrivoluzionario, con il richiamo alla divinità e al suo spirito ordinatore calato sulle cose mondane; quello populista dei rivoluzionari giacobini, con il riferimento mistico al peuple-dieu fonte assoluta di legittimità; quello nazionalista anti-democratico, che considera la nazione come corpo unitario e organico e in8ne quello dell’“idealismo hegeliano di destra” con la sua esaltazione ipertro8ca dello stato al quale non si può contrapporre nulla. Tutte queste tradizioni culturali aspirano alla totalità, avversando il pluralismo e la divisione, e negano la legittimità del partito.

34

Secondo Ignazi13, le proteste contro i partiti hanno iniziato a diventare pi5 rumorose a partire

dagli anni settanta, quando alle s8de poste dalla società post-industriale – il cui sviluppo ha

signi8cato un cambiamento importante del contesto in cui i partiti erano nati e progrediti,

ovvero la società industriale – i partiti hanno reagito allentando i legami con la società e

incistandosi nello stato, estraendone quante pi5 risorse possibili, barattando in sintesi la loro

legittimità con una maggiore forza. I partiti hanno infatti tratto la propria linfa dal fatto di

essere radicati nelle grandi fratture che hanno segnato la formazione delle democrazie

contemporanee; quelle fratture si sono rimarginate proprio grazie ai partiti e li hanno in

questo modo lasciati privi della loro ragion d’essere originaria, ovvero l’integrazione delle

masse nell’edi8cio statale14. Possiamo osservare, infatti, che nella maggior parte dei paesi

europei i livelli di identi8cazione di partito sono tendenzialmente diminuiti tra gli anni

settanta e gli anni novanta15. La 8ne della guerra fredda e le trasformazioni economiche,

sociali e politiche hanno favorito un ripensamento degli schemi ideologici tradizionali, facendo

emergere una tendenziale crisi delle relazioni tra cittadini e partiti16. La diagnosi di una 8ne

del partito politico è però affrettata; è necessario infatti differenziare le sue varie dimensioni

per capire dove abbia perso terreno e se – e dove, invece – l’abbia guadagnato17. Se infatti i

partiti nel passaggio da partito di massa a catch-all party e in8ne – secondo alcuni studiosi18 – a

cartel party hanno allentato i legami con la società civile e si sono svincolati sempre di pi5 dai

condizionamenti della base19, abbandonando il territorio per il centro e lo stato, per le

13 Cfr. ibidem, pagg. VII-XV.14 Cfr. M. Calise, Il partito personale, Laterza, Roma-Bari 2010. pagg. 21-2.15 Almeno per il caso italiano, bisogna notare che se i livelli di identi8cazione sono calati, oggi quei cittadini che

si dicono vicini a un partito sono pi5 informati e interessati dei loro omologhi dei decenni precedenti (cfr. R. Biorcio, Gli antecedenti politici della scelta di voto: l’identicazione di partito e l’autocollocazione sinistra-destra, in P. Bellucci e P. Segatti (a cura di), Votare in Italia, il Mulino, Bologna 2010, pagg. 187-211). L’identi8cazione di partito durante la prima repubblica conseguiva nella maggior parte dei casi a una tradizione familiare o territoriale. Approfondiremo questo tema nelle pagine seguenti.

16 Cfr. ibidem.17 Si veda ad esempio la distinzione tra party on the ground, party in central ofce e party in public ofce di Katz e Mair.

Cfr. R. S. Katz e P. Mair, The Evolution of Party Organizations in Europe: the Three Faces of Party Organization , in «American Review of Politics», 14, 1993, pagg. 593-617.

18 Il ragionamento in termini di sequenze di sviluppo non deve fare dimenticare che nelle democrazie possono essere presenti contestualmente diversi tipi di partito. Per il cartel party cfr. R. S. Katz e P. Mair, Changing Models of Party Organization and Party Democracy The Emergence of the Cartel Party in «Party politics», 1, 1995, pagg. 5-28 e F. Raniolo, Miti e realt� del cartel party. Le trasformazioni dei partiti alla ne del ventesimo secolo , in «Rivista italiana di scienza politica», XXX, 3, 2000, pagg. 553-581. Alcune critiche si possono trovare in G. Pasquino, Nuovo corso di scienza politica, il Mulino, Bologna 2004, pagg. 170-1.

19 Il partito di massa enfatizza il ruolo dell’iscritto, che ne rappresenta l’architrave. A partire dagli anni sessanta, con il passaggio al modello del catch-all party il ruolo dell’iscritto inizia a ridursi (importante sarà il ruolo della televisione nel processo di autonomizzazione della leadership dai condizionamenti della base) e in8ne nel cartel party il partito taglia i rapporti con il territorio facendo perdere all’iscritto ogni possibilità di infuenza. Negli ultimi anni, si registrano tentativi da parte dei partiti per far tornare potere alla “base” (si vedano ad esempio le primarie per la scelta del candidato leader o del segretario). Questo tipo di primarie coinvolge in realtà spesso tutti i potenziali elettori e non solo gli iscritti, emarginando quindi i quadri intermedi e producendo quella che alcuni de8niscono una “dinamica plebiscitaria”. Cfr. P. Ignazi, op. cit., pag. 121.

35

assemblee rappresentative e le sedi nazionali, il loro potere non è diminuito. Quelle che sono

diminuite sono le risorse immateriali come la legittimità e la 8ducia. Le sedi sul territorio

chiudono, i cittadini sono oggi pi5 restii a iscriversi e a identi8carsi ma le risorse materiali come

quelle umane e 8nanziarie non sono affatto calate. E in base a queste ultime i partiti sono in

Italia e in Europa addirittura pi5 forti che un tempo20. Ma, come già accennato, quando si

sostiene che i partiti sono sostanzialmente in buona salute – almeno sotto il punto di vista delle

risorse umane e 8nanziarie – bisogna fare i conti con un’altra faccia della medaglia, ovvero le

ondate di disaffezione popolare che investono i partiti in ogni angolo d’Europa. E possiamo

considerarle due facce della stessa medaglia perché il tarlo che alimenta oggi il sentimento

antipartitico riguarda appunto la misura incontrollata dell’occupazione statale e la corruzione

che ne consegue21.

L’Italia rispecchia questo quadro generale? Non si può trattare del caso italiano senza far

riferimento al ruolo dei partiti. Trattando del cambiamento politico in Italia, Grilli di Cortona

afferma che le due transizioni del nostro regime – quella degli anni quaranta dal regime

autoritario a quello democratico e quella degli anni novanta da un regime democratico a un

altro22 – sono legate, e che i fattori che spiegano il successo della prima portano in sé i germi

della crisi che conduce alla seconda: ciò che unisce le due transizioni sono proprio i partiti 23. Il

consolidamento democratico italiano è stato de8nito un consolidamento attraverso i partiti24.

La centralità dei partiti è infatti alla base del funzionamento della cosiddetta prima repubblica

e permette ai partiti di essere i veri protagonisti del consolidamento democratico; allo stesso

tempo avrà però effetti negativi a causa dell’eccessivo accumulo di potere e della penetrazione

partitica nel tessuto socio-economico del paese. Proprio gli elementi che hanno favorito il

consolidamento, come i partiti forti che hanno integrato e ancorato i cittadini alla democrazia,

hanno quindi 8nito per avere nel lungo periodo un impatto negativo. Allo stesso modo Calise

riconosce un paradosso nella “crisi” italiana in quanto il cuore della crisi è rappresentato dal

declino dei partiti come architrave del sistema politico quando, 8no alla 8ne degli anni ottanta,

20 Questa è la posizione di Ignazi. Cfr. P. Ignazi, op. cit., pagg. 123-128.21 Cfr. M. Calise, op. cit., pagg. 27-8.22 Pasquino de8nisce la transizione come “l’intervallo che intercorre fra un regime e l’altro” e denomina quella

italiana come “transizione in8nita” in quanto tutti e tre gli elementi costitutivi del sistema politico continuano ad essere in discussione. Cfr. G. Pasquino, Teorie della transizione e analisi del sistema politico: il caso italiano, in «Rivista italiana di scienza politica», XXXI, 2, 2001, pagg. 313-327.

23 Cfr. Pietro Grilli di Cortona, Il cambiamento politico in Italia, Carocci, Roma 2007, pagg. 11-31.24 Grilli di Cortona (Cfr. P. Grilli di Cortona, op. cit., pag. 20) riprende la de8nizione di Morlino (Cfr. L. Morlino,

Democrazie e democratizzazioni, il Mulino, Bologna 2003). Se la legittimazione consiste nel consenso a livello di massa e nel sostegno a livello di élite per la democrazia, considerata la pi5 appropriata, ed è un processo dal basso verso l’alto, l’ancoraggio è un processo complementare a quello della legittimazione, va dall’alto verso il basso e consiste nella formazione di “ancore” che tengono agganciata la società civile. Nel caso italiano le ancore sono i partiti.

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l’Italia veniva rappresentata come una partitocrazia ovvero un regime fondato sui partiti25.

L’assenza di un vero e proprio crollo 8no agli anni novanta è dovuta all’erogazione di bene8ci

da parte dei partiti, erogazione favorita appunto dalla penetrazione nella società, nello stato e

nel tessuto socio-economico del paese: il crollo avverrà proprio quando i vincoli europei non

permetteranno pi5 quell’erogazione di bene8ci che era stata sostenuta attraverso il

meccanismo del debito pubblico.

Tab. 2.1 La 8ducia nei partiti politici in Italia e in Europa 2003-2013

11/03 10/04 10/05 9/06 10/07 10/08 11/09 6/10 11/10 11/11 5/12 11/12 5/13

Italia 11% 20% 19% 19% 16% 16% 17% 18% 16% 9% 4% 8% 7%

UE 15% 17% 17% 17% 18% 20% 16% 18% 15% 14% 18% 15% 16%

Percentuale di intervistati che esprimono 8ducia per i partiti. Fonte: Eurobarometro.Quando non viene indicato il numero di report, i dati Eurobarometro sono tratti dalla sezione “Eurobarometer interactive search system” nel

sito ec.europa.eu/public_opinion/.

“Paradossalmente, la trasformazione della legittimità in inclusiva, l’integrazione progressiva

nella democrazia delle ali esterne comunista e missina e la depolarizzazione del sistema

alimentano le condizioni della protesta antipartitica, dal momento che tendono a

delegittimare la stessa conformazione del sistema partitico e legittimano, invece, le indagini

della magistratura sui casi di corruzione politica”26.

Un indicatore che possiamo utilizzare per saggiare la disaffezione dei cittadini nei confronti

dei partiti politici, oltre alla 8ducia nei loro confronti espressa nei sondaggi commissionati dai

media o nelle indagini scienti8che (Tab. 2.1), può essere l’identi8cazione partitica27. Come

25 Cfr. M. Calise, op. cit., pagg. 13 e ss.26 P. Grilli di Cortona, op. cit., pag. 79.27 L’identi8cazione di partito può essere de8nita come una dinamica cognitiva e un sentimento affettivo che lega

l’elettore a una formazione partitica. L’identi8cazione, sia che la si guardi da un punto di vista razionale sia che la si consideri una dinamica affettiva, serve agli elettori per sempli8care il mondo della politica, orientare le scelte di voto con stabilità e inserirsi in una comunità che fornisce gli strumenti per leggere il mondo circostante. Come riportato nella Tab. 2.2, dagli anni settanta ai giorni d’oggi la percentuale di intervistati che si dichiarano vicini a un partito è calata dal 77% circa al 23% circa. Una teoria che spiega questo fenomeno è quella del partisan dealignment, secondo la quale la modernizzazione, con tutto ciò che questa comporta (scolarizzazione, secolarizzazione, mobilità geogra8ca e sociale), ha fornito ai cittadini pi5 risorse per orientarsi autonomamente nel mondo della politica. Secondo questa teoria il declino degli identi8cati sarebbe lineare e dovrebbero crescere gli elettori “apartitici”, ovvero quelli con alta mobilitazione cognitiva (de8nita dal grado di istruzione e dal grado di interesse per la politica) ma non identi8cati in un partito. Per quanto riguarda il caso italiano quindi l’identi8cazione sarebbe dovuta continuare a calare anche dopo il crollo della cosiddetta prima repubblica, ma si osserva che in realtà dal 1990 al 2006 la quota di identi8cati cresce di pi5 di dieci punti percentuali per poi calare di nuovo a livelli minori del 1990, e all’interno della categoria degli identi8cati calano sì i “rituali” (gli elettori con bassa mobilitazione cognitiva) e lo fanno per dinamiche di lungo periodo che la teoria del dealignment spiega, ma crescono anche gli “impegnati” (gli identi8cati con alta mobilitazione). Questo può signi8care che le nuove formazioni partitiche hanno saputo intercettare, almeno per un periodo, la maggiore mobilitazione dei cittadini. Inoltre si osserva, come già accennato, che tra prima e seconda repubblica chi è identi8cato non lo è quasi pi5 per la sola tradizione familiare o appartenenza locale, e come l’identi8cazione sia un fattore esplicativo sia per la decisione di recarsi alle urne (gli identi8cati hanno meno probabilità di astenersi) sia per il momento della decisione (gli identi8cati hanno deciso già

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affermato in precedenza, in Italia come negli altri paesi europei la crescita delle risorse

cognitive dei cittadini e la trasformazione dei loro bisogni richiedeva una ride8nizione dei

tradizionali rapporti tra elettori e partiti, indipendentemente dagli scandali e dagli episodi di

corruzione. Lo possiamo notare dalla diminuzione costante degli intervistati che si dichiarano

molto o abbastanza vicini a un partito. In Italia si osserva che questa tendenza ha avuto un

momento di particolare accelerazione tra la 8ne degli anni ottanta e l’inizio degli anni

novanta, anticipando gli eventi che hanno segnato la crisi dei partiti della prima repubblica. Tra

il 1990 e il 2006 la quota di identi8cati cresce e subisce una nuova fessione nel 2008, in

conseguenza, secondo Biorcio, della scomparsa dei partiti che avevano avuto un ruolo decisivo

nella vita della seconda repubblica (Tab. 2.2).

Tab. 2.2 Individui vicini a un partito italiano 1968-2008

1968 1972 1975 1990 2001 2006 2008

Vicino: molto o abbastanza 77,8% 64,5% 56,8% 25,8% 33,5% 38,5% 23,3%

Vicino: solo simpatizzante 5,4% 7,0% 12,0% 23,5% 21,3% 16,9% 27,9%

Non vicino 16,8% 28,5% 31,2% 50,7% 45,2% 44,6% 48,8%

Fonte: Itanes 1968-2008

Se però è vero che l’identi8cazione partitica è calata, non possiamo omettere che coloro i quali

si de8niscono oggi vicini a un partito sono per la maggior parte i cittadini pi5 interessati alla

politica, mentre durante la prima repubblica l’identi8cazione era così alta grazie ai cittadini

non particolarmente interessati ma che si sentivano acriticamente legati a un partito per

tradizione familiare o territoriale. La quantità degli identi8cati è insomma calata ma la loro

qualità è cresciuta.

Come si possono esprimere questi sentimenti negativi verso i partiti, oltre che con il discredito

che li accompagna? Secondo Calise una forma tipica della protesta contro i partiti nel nostro

paese è quella da lui de8nita “direttismo”28. Il “direttismo” consiste nel bypassare i partiti,

nello scavalcare la loro intermediazione per arrivare a incidere direttamente sulla sfera

pubblica. Il direttismo può puntare sulla mobilitazione collettiva – come nel caso del

referendum – o svilupparsi in forme individualistiche, come ad esempio la partecipazione via

internet, oppure apparire in forme meno radicali come le primarie o la richiesta di elezione

prima delle elezioni). In conclusione la differenza maggiore tra prima e seconda repubblica sta nel fatto che gli elettori identi8cati, anche se sono meno, sono pi5 interessati per la politica e pi5 mobilitati cognitivamente. Cfr. R. Biorcio, op. cit. e L. De Sio, Il rapporto tra italiani e partiti: declino o transizione? in Marco Maraf8 (a cura di), Gli italiani e la politica, il Mulino, Bologna 2007, pagg. 131-156.

28 Cfr. M. Calise, op. cit., pagg. 29-30 e 61-64. Le altre forme di protesta sono secondo Calise “qualunquismo” e “astensionismo”.

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diretta del capo del governo. Pi5 di ogni altro paese europeo l’Italia si è ritrovata, secondo

Calise, a essere la culla del direttismo, e questo anche a causa del peso nel nostro sistema

politico del referendum29. Ma oltre al referendum contribuiscono al direttismo i cambiamenti

avvenuti a partire dal 1993 nella forma di governo comunale, provinciale e regionale, livelli in

cui è stato introdotto il modello cosiddetto “neoparlamentare” che unisce premio di

maggioranza ed elezione diretta dell’esecutivo. A livello nazionale invece nessuna riforma

costituzionale ha toccato il modello di governo parlamentare, quelle che sono cambiate sono le

regole di voto, prima nel 1993 poi nel 2005. Formalmente quindi il presidente del consiglio

non è eletto direttamente dai cittadini, ma dal 1994 si è gradatamente affermata questa

percezione, a causa della decisivit� dei nuovi sistemi elettorali e del meccanismo della

formazione elettorale dei governi. La decisività dei sistemi elettorali della seconda repubblica,

a tutti i livelli, ha cambiato in modo radicale secondo D’Alimonte30 il rapporto tra elettori e

partiti e il ruolo del parlamento nella formazione del governo. Dal 1993 gli elettori sono

immersi in un ambiente in cui il loro voto è caratterizzato da decisività e personalizzazione e,

anche se formalmente a livello nazionale non esiste elezione diretta del capo dell’esecutivo,

l’impressione che invece sia così è diffusa nell’opinione pubblica. È una tensione tra la

legittimità costituzionale e quella politica.

“Esiste una dimensione formale e costituzionale della politica, ma esiste anche una sua dimensione –

oserei dire – psicologica. Nella percezione di una parte importante dell’elettorato italiano si è affermata

l’idea che siano i cittadini e non i partiti a fare il governo. L’elezione diretta del capo dell’esecutivo è

entrata a far parte del senso comune, del modo in cui gli elettori percepiscono il funzionamento della

politica oggi. Ed è un elemento che piace agli italiani. Questa percezione fa parte dell’ imprinting della

29 Calise fa riferimento al fatto che durante gli anni novanta le campagne referendarie si sono moltiplicate per numero, spettro tematico, visibilità, incidenza politica 8no a far pensare a una “democrazia referendaria” (cfr. Marcello Fedele, Democrazia referendaria, Donzelli, Roma 1994). Ma, in generale, possiamo affermare che il ruolo del referendum nel sistema politico italiano è stato molto importante sin dall’instaurazione del nuovo regime. Infatti, dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e dopo la legge di attuazione del 1970, il referendum ha avuto un grande rilievo nella storia della repubblica italiana; è possibile notarlo a partire dai numeri: “461 richieste annunciate, 130 effettivamente depositate in Cassazione, 66 referendum ammessi al voto dalla Corte costituzionale, 56 votati dagli italiani”. Tra questi, poi, alcuni hanno segnato in modo veramente decisivo la storia italiana: i referendum elettorali, quelli sul divorzio, sull’aborto, sul nucleare o sulla scala mobile. Addirittura, è possibile affermare che talvolta le decisioni referendarie hanno svolto una “funzione di supplenza” in assenza di un potere politico in grado di rispondere a pressanti domande sociali, anche se non si può non notare che in realtà la garanzia del risultato positivo conseguito nell’urna rimane nel nostro sistema del tutto sguarnita. La decisione referendaria è in altre parole una “decisione senza tutore”, in quanto la capacità di indirizzo politico che le è consustanziale dipende in concreto dal tipo e dalla qualità delle mediazioni che questa subisce una volta collocata nel circuito politico rappresentativo. Cfr. A. Barbera e A. Morrone, La repubblica dei referendum, il Mulino, Bologna 2003.

30 Cfr. R. D’Alimonte, Il premio di maggioranza: questioni di principio, in A. Chiaramonte e G. Tarli Barbieri (a cura di), Il premio di maggioranza, Carocci, Roma 2011, pagg. 211-223. È da notare come in occasione dell’elezione del presidente della repubblica nell’aprile 2013 si sia manifestata la percezione che fosse necessaria una legittimazione popolare anche per questa carica, con appelli e manifestazioni a favore della 8gura di Stefano Rodotà.

39

Seconda Repubblica.”31

Sostegno e soddisfazione democratici in Italia

Come accennato precedentemente, quando si parla di una “crisi della democrazia” è

necessario procedere cautamente e soprattutto de8nire primariamente l’oggetto di cui si sta

parlando. Se infatti la crisi della democrazia è la conseguenza del ritiro del sostegno dei

cittadini, della comunità politica, rispetto ai principi del regime, la s8ducia per le istituzioni e la

delusione per le prestazioni con8gurano una crisi nella democrazia, che può essere risolta con

riforme o con un ricambio di autorità32. Di che tipo di “crisi” o “malessere” soffre dunque

l’Italia? È necessario, per dare una risposta a questo interrogativo, scomporre il sostegno

democratico nelle sue varie dimensioni.

Oltre alla concettualizzazione di Linz di cui abbiamo trattato nel capitolo precedente –

legittimità, ef8cienza ed ef8cacia di un regime – riteniamo utile riportare la descrizione di

Easton33, ripresa da Memoli34, degli elementi alla base del sostegno democratico. Easton

distingue in primo luogo tra oggetti del sostegno politico – la comunità politica, il regime e le

autorità – e tipi di sostegno politico: il sostegno speci8co quello diffuso35.

Tab. 2.3 Il sostegno per la democrazia

1989 1996 1999

Approvazione ideale democratico 93% Nd 98%

La democrazia è la migliore forma di governo 74% 83% 94%

Fonte: Itanes 1996; Eurobarometro 31a; EWVSIDF (1992-2002).Le domande sottoposte agli intervistati sono: 1) In linea di principio, è favorevole o contrario all’idea di democrazia?

2) Quanto è d’accordo con la seguente affermazione: la democrazia è la migliore forma di governo? La percentuale rappresenta gli intervistati “molto d’accordo” o “d’accordo” con le affermazioni riportate sopra.

Il sostegno al regime fa riferimento all’orientamento dei cittadini verso le istituzioni, i processi

ed i principi di governo e può essere a sua volta scomposto in tre componenti36: il regime dei

principi, l’insieme dei valori democratici normativi del sistema politico, in termini ideali; il

regime delle norme e delle procedure, l’insieme delle regole che caratterizza ciascun sistema

31 Ibidem, pag. 212.32 Cfr. G. Pasquino, Il sistema politico italiano: autorit�, istituzioni, societ�, Bononia University Press, Bologna 2002,

pag. 211.33 Cfr. D. Easton, A System Analysis of Politic, cit. e David Easton, A Re-Assessment of the Concept of Political Support, in

«British Journal of Political Science», 5, 4, 1975, pagg. 435-457.34 Cfr. V. Memoli, Il sostegno democratico in Italia, in «Rivista italiana di scienza politica», XXXIX, 1, 2009, pagg..

21-51.35 Secondo Easton, il sostegno diffuso consiste in un insieme di atteggiamenti radicati in merito alla politica e

può essere interpretato come misura della legittimità di un sistema politico o delle istituzioni politiche. Il sostegno speci8co, al contrario, si riferisce al senso di soddisfazione generato dagli output istituzionali come le azioni delle élites politiche e i risultati e gli effetti delle politiche implementate.

36 Cfr. P. Norris (a cura di), Critical Citizens, Oxford University Press, Oxford 1999.

40

politico; il regime delle istituzioni, che riguarda la valutazione delle istituzioni politiche. Per

quanto riguarda il regime dei principi – assimilabile alla “legittimità” di Linz, ovvero al

convincimento che “nonostante tutti gli inconvenienti e i fallimenti, le istituzioni politiche

esistenti sono migliori di qualsiasi altre possano essere instaurate e perciò meritano

obbedienza” – non si può non convenire con Memoli quando afferma che tra gli italiani il

sostegno per la democrazia è radicato e che quindi la democrazia è senza dubbio preferibile

rispetto agli altri tipi di sistema di governo: esiste quindi un crescente consenso generalizzato

sui principi democratici (Tab. 2.3). Per quanto riguarda le norme e procedure – ovvero la

soddisfazione per il funzionamento della democrazia, il sostegno speci8co nella terminologia

eastoniana e la fede nell’ef8cacia di un regime di Linz – Memoli nota che in Italia la

soddisfazione democratica è cresciuta del 29% nel periodo compreso tra il 1976 ed il 2006.

Questo valore sottende tuttavia andamenti nettamente divergenti.

“La seconda metà degli anni Settanta si apre con una sensibile crescita della soddisfazione degli italiani

per il funzionamento della democrazia, con un recupero costante protrattosi sino ai primi anni Novanta

quando, con il disvelamento del diffuso sistema di corruzione (Tangentopoli), la soddisfazione

democratica declina, riportandosi a livelli inferiori a quelli registrati negli anni Settanta. Si è trattato,

tuttavia, di un declino di breve durata: a partire dal 1994 il trend si è invertito, in risposta,

verosimilmente, alla trasformazione del sistema partitico ed al consolidamento del nuovo assetto

bipolare, con alternanze di governo, che hanno alimentato tra i cittadini una maggiore 8ducia nelle

istituzioni ed anche, seppur in misura inferiore, nella classe politica.”37

La soddisfazione per il funzionamento della democrazia è quindi cresciuta, anche se si

mantiene al di sotto della media europea. In Italia quindi l’insoddisfazione prevale ancora

sulla soddisfazione (Tab. 2.4).

Tab. 2.4 La soddisfazione democratica in Italia e in Europa 1991-2013

3/91 10/91 4/92 10/92 4/93 11/93 5/94 6/94 12/94 6/95 11/97 5/98 4/99 11/99

Italia 33% 20% 21% 12% 12% 13% 19% 25% 26% 19% 30% 28% 34% 27%

UE 59% 50% 50% 45% 42% 43% 44% 47% 49% 47% 49% 47% 60% 56%

6/00 1/01 11/01 4/04 6/05 6/06 11/07 11/09 5/10 5/11 11/11 5/12 11/12 5/13

Italia 69% 36% 38% 35% 44% 53% 48% 44% 47% 34% 34% 27% 27% 30%

UE 77% 59% 58% 54% 53% 56% 52% 53% 54% 52% 52% 51% 49% 48%

Percentuale di intervistati molto o abbastanza soddisfatti del funzionamento della democrazia. Fonte: Eurobarometro.

37 V. Memoli, op. cit., pag. 32.

41

I principali risultati dello studio di Memoli confermano dunque come in quest’ultimo

ventennio il sostegno democratico in Italia si sia consolidato: la democrazia appare

sostanzialmente legittimata a livello di sostegno diffuso ma al tempo stesso non sono da

sottovalutare i bassi livelli di sostegno speci8co. Per quanto riguarda in8ne la valutazione delle

istituzioni politiche, riportiamo i risultati di una recente indagine che indica come la 8ducia

nelle istituzioni sia in Italia calante. Signi8cative sono le ultime tre posizioni nella scala di

gradimento delle istituzioni: banche, parlamento e – risultato scontato – i partiti politici (Tab.

2. 5 e Tab. 2.6).

Tab. 2.5 Fiducia nelle istituzioni nel 2012

Forze dell’ordine 66,5% Stato 22,4%

Presidente della repubblica 54,6% Associazioni degli imprenditori 20,3%

Scuola 54,3% Cgil 20,1%

Chiesa 44,3% Cisl-Uil 14,6%

Unione europea 43,5% Banche 12,8%

Magistratura 39,2% Parlamento 6,9%

Comune 37,8% Partiti 5,6%

Regione 24,5%

Percentuale di intervistati che provano molta o moltissima 8ducia. Fonte: sondaggio Demos per la Repubblica, dicembre 2012

Tab. 2.6 Indici di 8ducia verso le istituzioni

2005 2011 2012

Istituzioni politiche e di governo 42% 33% 29%

Istituzioni sociali ed economiche 35% 26% 22%

L’indice di 8ducia per le istituzioni politiche e di governo è costruito calcolando la media delle persone che provano moltissima o molta 8ducia per magistratura, comune, regione, Unione europea, presidente della repubblica, partiti, parlamento.

L’indice di 8ducia per le istituzioni sociali ed economiche è costruito calcolando la media delle persone che provano moltissima o molta 8ducia per associazione degli imprenditori, Chiesa, banche, Cgil, Cisl-Uil.

Fonte: sondaggio Demos per la Repubblica, dicembre 2012

Anche secondo Tarchi e Morlino38 esiste in Italia una cronica e diffusa insoddisfazione nei

confronti del sistema politico, che è esistita 8no dall’immediato dopoguerra ma ha potuto

manifestarsi pienamente solo all’inizio degli anni novanta per il convergere di una serie di

circostanze. I due studiosi individuano due forme di insoddisfazione: l’insoddisfazione

pragmatica, cioè immediata, instabile ma anche politicamente pi5 responsabile di scontento nei

confronti del funzionamento delle istituzioni e l’insoddisfazione ideologica, profondamente

radicata e conseguente a una disaffezione al regime collegata a valori alternativi a quelli

vigenti. E se “la protesta degli italiani è stata sempre alimentata pi5 dalla percezione di una

38 Cfr. L. Morlino e M. Tarchi, op. cit., pagg. 207-243.

42

scarsa ef8cacia dell’apparato istituzionale e degli attori politici – in primo luogo i partiti (…) –

che da ostilità ideologica verso il regime democratico”39, 8no agli anni settanta è comunque

l’insoddisfazione ideologica a prevalere, e solo successivamente l’insoddisfazione degli italiani è

ricollegabile al tipo pragmatico.

La prevalenza nel primo periodo democratico dell’insoddisfazione ideologica è da attribuire

alla carenza di legittimità del neonato regime e delle sue strutture di autorità in un contesto

segnato dall’eredità di vent’anni di regime autoritario e dalle tensioni politiche e ideologiche

aperte dalla guerra civile prima e dalla guerra fredda poi. Nel dopoguerra la scarsa legittimità

del regime derivante dalla mancata integrazione nel sistema sia dei gruppi che avevano

sostenuto il fascismo sia delle forze di sinistra che auspicavano la rivoluzione sociale fu

compensata – come abbiamo visto – da un maggior controllo della società civile attraverso il

predominio partitico sulle istituzioni pubbliche, soprattutto nel sistema economico, processo

che favorì l’aumento dell’inef8cienza e dell’irresponsabilità delle istituzioni. In seguito al

consolidamento e alla normalizzazione della vita politica, alla secolarizzazione, alla de-

ideologizzazione, alla riduzione della polarizzazione, l’espressione della delusione dei cittadini

si sposta verso le sistematiche carenze di ef8cacia ed ef8cienza delle istituzioni dovute anche al

predominio partitico sulla società. Per molto tempo l’insoddisfazione è stata bloccata dalla

bipolarizzazione ideologica, dal controllo dei partiti sulle domande dei settori sociali e

dall’articolazione clientelare del rapporto tra cittadini e istituzioni. Quando alcuni di questi

fattori sistemici di contenimento sono venuti meno a seguito della modi8ca del quadro

internazionale all’indomani del crollo del muro di Berlino, della de-ideologizzazione e della

secolarizzazione, e quando il regime si è consolidato per mancanza di alternative praticabili, la

sua legittimazione diffusa è cresciuta, riducendosi invece progressivamente la legittimazione

speci8ca, mentre si moltiplicavano le critiche per l’operato dei governi e dei partiti.

Ma, cambiando prospettiva, l’insoddisfazione nei confronti del funzionamento della

democrazia potrebbe essere pensata come un effetto dell’inadeguatezza dei comportamenti dei

cittadini stessi. Abbiamo già visto come, secondo Pasquino40, sia pi5 appropriato riferire il

“de8cit” – malessere nel nostro caso – democratico ai cittadini: i disinteressati, i poco

informati, gli astensionisti sono parte del problema. “I cittadini che non compiono le azioni

necessarie per soddisfare le loro aspirazioni sono responsabili del de8cit democratico pi5 delle

strutture del regime democratico e pi5 dei comportamenti delle autorità”. Veniamo quindi a

trattare della cultura politica degli italiani, per veri8care se questi ultimi siano o meno parte

39 Ibidem, pag. 232.40 Cfr. G. Pasquino, Decit democratico, cit., pagg. 421-2.

43

del malessere democratico che andiamo cercando.

La cultura politica degli italiani

La comunità politica merita attenzione per i suoi valori. Easton de8nisce la politica come

“assegnazione imperativa dei valori per una società”; pertanto, sapere quali sono i valori

apprezzati e diffusi in una società consente di capire quali siano le aspettative, le domande e il

tipo di sostegno che le diverse componenti della comunità politica incanalano verso differenti

gruppi d’autorità41. In questo senso, non è importante conoscere solo la cultura politica – ovvero

gli atteggiamenti verso il sistema politico diffusi in una società – ma anche quella sociale,

riguardante la 8ducia dei e fra i cittadini, che precede le eventuali dif8coltà di funzionamento

del sistema politico e della democrazia e vi contribuisce in maniera cospicua42, e in8ne quella

istituzionale, ovvero le valutazioni sulla funzionalità ed ef8cacia delle istituzioni43.

Fatta questa dovuta premessa, indagheremo principalmente la cultura politica degli italiani.

La cultura politica è de8nita come l’insieme degli atteggiamenti, delle norme e delle credenze condivise più

o meno largamente dai membri di una data unit� sociale aventi a oggetto fenomeni politici. Rientrano nella

cultura politica di una società le conoscenze relative alle istituzioni e alla prassi politica e la

loro distribuzione tra gli individui che la compongono, gli orientamenti pi5 o meno diffusi, le

norme, il linguaggio e i simboli politici44.

Il concetto di cultura politica entra uf8cialmente nel dibattito delle scienze sociali con lo studio

di Almond e Verba The Civic Culture. I due studiosi riconoscono due dimensioni fondamentali

alla base della cultura politica: gli atteggiamenti rispetto al sistema politico e le percezioni

soggettive dei cittadini di essere membri competenti e infuenti della vita politica della società.

Il modello di cultura politica “partecipante”, il migliore, a detta degli autori, per sostenere un

regime autenticamente democratico, prevede atteggiamenti positivi su entrambi i fronti, sia

nei confronti del sistema politico sia riguardo le proprie capacità di infuenzarlo. I risultati

dello studio dei due autori evidenziavano però la lontananza degli italiani degli anni cinquanta

41 Cfr. G. Pasquino, Il sistema politico italiano, cit. pag. 208.42 La 8ducia è una componente centrale del concetto di capitale sociale. Il capitale sociale è de8nibile come una

ricchezza collettiva la cui dotazione determina la qualità della società civile. Le sue manifestazioni principali sono: 8ducia, senso di obbligazione verso gli altri e le istituzioni, solidarietà e partecipazione (cfr. R. Cartocci, Mappe del tesoro, il Mulino, Bologna 2007). È Robert Putnam che ha reso popolare la nozione di capitale sociale con il suo studio sulle regioni italiane. “Per capitale sociale intendiamo qui la 8ducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’ef8cienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo (…) il capitale sociale facilita la cooperazione spontanea.” R. Putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano 1993, pag. 196.

43 Cfr. G. Pasquino, Il sistema politico italiano, cit., pag. 208-230.44 Cfr. la voce “Cultura politica” in N. Matteucci, G. Pasquino e N. Bobbio, Dizionario di politica, Utet Torino

2004, pagg. 222-223.

44

da quel modello ideale: la cultura prevalente nel nostro paese risultava infatti essere quella

“particolaristica”, che unisce la s8ducia nei confronti del sistema politico a quella nelle proprie

capacità di infuenzarlo.

Alcuni dati sembravano però confutare la diagnosi di un paese dominato dall’alienazione

politica, dalla partigianeria e dall’indifferenza agli obblighi della partecipazione: quelli della

partecipazione elettorale, elevatissima nel nostro paese, come il numero degli iscritti ai partiti.

“La mancanza di una cultura civica nazionale, e le incertezze nella de8nizione del senso

dell’impegno pubblico individuale, erano state supplite da un processo di integrazione politica

che si basava su culture politiche partigiane e sulle reti associative – dirette e indirette – dei

partiti politici di massa”45. E anche se negli anni sessanta, in seguito al boom economico e alla

conseguente modernizzazione e secolarizzazione della società italiana, risulta una minor

capacità dei partiti tradizionali di rappresentare i cittadini in una società differenziata – ne

vediamo un esempio nelle mobilitazioni degli anni 1968-9 e nella crescita dell’interesse per la

politica e della 8ducia nelle proprie capacità di infuenzare il processo politico – il sistema dei

partiti rimane invariato 8no al terremoto degli anni novanta, che apporta dopo un

cinquantennio signi8cativi cambiamenti nella vita politica italiana46.

L’interrogativo che Biorcio si pone è se questo cambiamento nella vita politica abbia

trasformato anche gli orientamenti dei cittadini, e quindi se esista continuità o discontinuità

nella cultura politica degli italiani tra prima e seconda repubblica. Per rispondere a questo

quesito lo studioso combina le due dimensioni della cultura politica sopra citate –

orientamento verso la politica e 8ducia nelle proprie capacità di infuenzarla – costruendo una

tipologia di cittadini per i loro orientamenti verso la politica: i partecipi (entrambe le

dimensioni positive), i critici (hanno 8ducia in se stessi ma non nella politica), i sudditi (al

contrario, hanno 8ducia nella politica ma non in se stessi), i lontani (entrambe le dimensioni

negative). Ebbene, sembra da questo punto di vista che ci sia continuità nella cultura politica

degli italiani, essendo i “lontani” negli anni duemila ancora il 45,3%. Ma se sotto alcuni

aspetti si mantengono i tratti tipici della cultura politica, la crisi dei partiti di massa e il nuovo

assetto del sistema politico hanno fatto emergere anche trasformazioni negli atteggiamenti

degli italiani.

Confrontando le indagini del 1985 con quelle del 2004 emerge innanzitutto una diversa

percezione dei poteri che governano la società (Tab. 2.7). Notiamo che si ridimensiona il

potere percepito delle organizzazioni di rappresentanza che avevano avuto grande infuenza

45 R. Biorcio, Democrazia e populismo nella seconda repubblica, in Maraf8 (a cura di), op. cit., pag. 189.46 Cfr. ibidem.

45

nella prima repubblica, i partiti e i sindacati, mentre cresce il potere attribuito ai principali

attori economici come le multinazionali, i grandi imprenditori e le banche e ai mezzi di

informazione.

Tab. 2.7 Istituzioni e gruppi con pi5 potere 1985-2004

1985 2004 Δ

Governo 48,9% 55,3% 6,4%

Chiesa 30% 32% 2%

Partiti 29,1% 16,7% -12,4%

Sindacati 26% 13,3% -12,7%

Crimine organizzato 23,7% 24% 0,3%

Grandi imprenditori 23,6% 31,1% 7,5%

Banche 15,9% 21,6% 5,7%

Multinazionali 15,3% 28,1% 12,8%

Potenze straniere 14,3% 11,2% -3,1%

Mezzi d’informazione 12,8% 18,2% 5,4%

Presidente della repubblica 12,2% 11,2% -1%

Parlamento 10,9% 14,8% 3,9%

Militari 3,7% 3,3% -0,4%

Non so 33,7% 19,2% -14,5%

Fonte: Indagini Quattro Nazioni 1985; Itanes 2004 panel.

Cambiano inoltre i sentimenti che suscita la politica: si evidenzia una crescita dei sentimenti

negativi come rabbia, disgusto, dif8denza. (Tab. 2.8).

Tab. 2.8 Sentimenti nei confronti della politica 1985-2004

1985 2004 Δ

Entusiasmo 3,4% 2,9% -0,5%

Passione 2,6% 4,3% 1,7%

Impegno 10,1% 8,8% -1,3%

Interesse 26,2% 25,7% -0,5%

Indifferenza 28,6% 20,3% -8,3%

Noia 19,3% 17,2% -2,1%

Dif8denza 30,1% 39% 8,9%

Rabbia 28,5% 47,2% 19,4%

Disgusto 20,9% 28% 7,1%

Non sa 30,2% 5,9% -24,3%

Fonte: Indagini Quattro Nazioni 1985; Itanes 2004 panel.

46

Questi mutamenti rappresentano secondo Biorcio l’adattamento dell’opinione pubblica ai

cambiamenti intervenuti nella transizione tra prima e seconda repubblica. La delegittimazione

della classe politica e le mutate forme della competizione hanno infatti ridimensionato i partiti

nelle rappresentazioni collettive e hanno fatto crescere i sentimenti negativi nei loro confronti.

Emerge inoltre un ridimensionamento del ruolo e dei poteri degli attori politici a favore delle

grandi imprese economiche e 8nanziarie nel contesto della 8ne della guerra fredda e della

globalizzazione.

Un’altra componente fondamentale della cultura politica è l’interesse per la politica47: la

democrazia è un regime esigente, in quanto la sua qualità dipende anche dalle virt5 civiche

dei cittadini, tra cui l’interesse per la vita politica. Ma l’interesse per la politica riguarda solo

una minoranza di italiani: nel 2006 infatti si dichiarano “molto” o “abbastanza” interessati il

28% degli intervistati. Per quanto riguarda l’evoluzione nel tempo dell’interesse, secondo le

teorie della mobilitazione cognitiva l’interesse per la politica cresce nel tempo per effetto di

due macro fattori sociali – maggiore benessere e istruzione – e di una variabile interveniente di

tipo culturale, il passaggio nella società post-industriale da valori che enfatizzano la sicurezza e

l’integrità 8sica a valori che sottolineano invece la qualità della vita, l’autonomia individuale,

l’auto-realizzazione – i cosiddetti valori post-materialisti. Ma se in Italia il livello di istruzione è

cresciuto costantemente negli ultimi cinquanta anni, questo non si è rifesso in un aumento

lineare dell’interesse per la politica (Tab. 2.9).

Tab. 2.9 L’interesse per la politica

1972 1985 1994 1996 2001 2006

Interessati alla politica 14% 34% 38% 43% 29% 28%

Percentuale di intervistati che rispondono “molto” o “abbastanza”.Fonte: Indagini Barnes e Sani 1972, Quattro nazioni 1985, Itanes 1996, 2001, 2006 post-elettorale; Eurobarometro 1994.

Oltre all’interesse per la politica, un altro concetto importante da trattare è il senso di ef8cacia

degli italiani48. Campbell, Gurin e Miller49 de8niscono il senso di ef8cacia politica “la

sensazione che l’azione politica ha (o non ha), o può avere (o non può avere), un impatto sul

processo politico, cioè che vale (o non vale) la pena esercitare i propri doveri civici” e

successivamente Lane50 descrive il concetto di ef8cacia politica come composto di due diverse

dimensioni: il senso di ef8cacia interna e il senso di ef8cacia esterna. Il primo riguarda

47 Cfr. P. Segatti, L’interesse per la politica: diffusione, origine e cambiamento in Maraf8 (a cura di), op. cit., pagg. 39-71.48 Cfr. P. Segatti e C. Vezzoni, Quanto conta la gente come me? Il senso di efcacia politica in Maraf8 (a cura di), op. cit.,

pagg. 73-104.49 Cfr. A. Campbell, G. Gurin e W. E. Miller, The Voter Decides, Wiley, New York 1954.50 Cfr. R. E. Lane, Political life: Why people get involved in politics, Free Press, Glencoe 1959.

47

l’immagine di sé come cittadino che ha oppure no le risorse per far sentire la propria voce,

l’ef8cacia esterna invece riguarda l’immagine della politica che risponde o meno ai cittadini.

Segatti e Vezzoni notano in primo luogo come esista un’ampia maggioranza di cittadini

“inef8caci” (Tab. 2.10), sia sul versante interno (domande 1 e 2) sia su quello esterno

(domande 3 e 4).

In secondo luogo, riportano la percentuale di intervistati che si dicono d’accordo con alcune

affermazioni che coglierebbero gli elementi tipici di un orientamento “populista”, notando

che alcuni aspetti di una “visione populistica della politica” sono condivisi da molti italiani,

indifferentemente dal loro livello di ef8cacia e dalla loro auto-collocazione sul continuum destra-

sinistra. L’86% circa degli intervistati ritiene che di fronte alla giustizia la persona comune sia

priva di tutela se non ha soldi o buone relazioni; il 72% circa ritiene che ci sia bisogno di un

leader forte; il 68% giudica i politici in maggioranza corrotti; il 67% ritiene che l’intera classe

dirigente abbia fallito e il 62% pensa che la divisione destra-sinistra non rappresenti una vera

alternativa. Ma la “visione populistica” è maggiormente condivisa da chi si colloca a un livello

basso di ef8cacia interna ed esterna: questa visione è quindi fortemente congeniale al modo di

sentirsi cittadini dei non-ef8caci, i quali sono pi5 numerosi tra chi ri8uta di collocarsi sull’asse

destra-sinistra.

“La sensazione di non avere alcuna infuenza in politica come la percezione che i politici siano

parte di un «Palazzo» inaccessibile non è quindi un tratto particolare di una corrente

ideologica, ma è diffusa in ogni angolo dello spazio politico italiano”51.

Tab. 2.10 L’ef8cacia politica degli italiani

È proprio vero

È abbastanza vero

Non è tanto vero

Non è per niente vero

Non sa

1) La gente come me non ha alcuna infuenza su quello che fa il governo

47% 31% 17% 5% 1%

2) Talvolta la politica sembra così complicata che non si riesce a capire cosa sta succedendo

54% 35% 11% 4% 1%

3) Le persone che eleggiamo in parlamento perdono molto presto il contatto con gli elettori

59% 31% 7% 1% 2%

4) I partiti sono interessati solo ai voti della gente, non alle loro opinioni

54% 32% 12% 2% 1%

Fonte: Itanes 2004

51 P. Segatti e C. Vezzoni, op. cit. pag. 90.

48

2.2 2011-2013: il default dei partiti52

Se il 2011 verrà ricordato come “l’anno in cui l’Italia ha rischiato il default sul debito pubblico,

ma anche come quello in cui la sua classe politica ha affrontato un severo downgrade”53, e il

2012 come l’anno degli scandali e dell’affermazione di un nuovo attore politico – il

Movimento 5 stelle –, con il 2013 le elezioni politiche cambiano profondamente il volto del

sistema partitico italiano.

Una stagione di scandali

«Gli scandali sono lotte per il potere simbolico in cui sono in gioco reputazione e ducia.»54

Numerosi scandali legati al mondo della politica sono saliti agli onori della cronaca negli

ultimi anni55. Gli scandali non sono certo una novità nella politica italiana, ma sembra che

abbiano assunto negli ultimi anni un peso e una valenza maggiori. Vale la pena di

approfondire questo aspetto utilizzando le teorie sociologiche sull’argomento.

Manuel Castells tratta della “politica dello scandalo”, che sembra essere sempre pi5 centrale

nella vita politica contemporanea. Tre diverse tendenze concorrono – secondo il sociologo

spagnolo – a porre gli scandali nel bel mezzo della vita politica nei paesi di tutto il mondo: la

trasformazione dei media, la trasformazione della politica e la specicit� della politica mediatica56. Riguardo

ai media, è noto che la logica dell’infotainment57 predilige le storie di scandali, materiale di

52 Quando tratteremo delle elezioni che si sono succedute nel biennio 2011-2013 lo faremo in modo sintetico, estrapolando solo i dati utili alla trattazione, in modo da dare maggiore spazio all’interpretazione del loro signi8cato. Per le analisi complete si vedano i documenti presenti sui siti web dell’Istituto Cattaneo (www.cattaneo.org) e del Centro Italiano Studi Elettorali (cise.luiss.it), a cui rimanderemo anche in nota.

53 A. Bosco e D. McDonnell, Da Berlusconi a Monti: default dei partiti?, in A. Bosco e D. McDonnell (a cura di), Politica in Italia. Edizione 2012, il Mulino, Bologna 2012, pag. 45.

54 J. B. Thompson, Political Scandal: Power and Visibility in the Media Age, Polity Press, Cambridge 2000, pag. 245.55 Ad esempio lo scandalo della Lega nord, quello della Margherita e di Lusi, lo scandalo dell’Italia dei valori,

quello della regione Lazio e naturalmente gli scandali legati alla 8gura di Silvio Berlusconi.56 Cfr. M. Castells, Comunicazione e potere, Università Bocconi Editore, Milano 2009, pagg. 311-315.57 Infotainment e politainment sono entrambi prodotti del pi5 generale processo di mediatizzazione della politica.

L’infotainment è un nuovo genere ibrido che caratterizza la produzione dell’industria culturale, è un nuovo modo di fare informazione in generale e quindi anche di fare informazione politica: si tratta dell’ibridazione tra notizie a contenuto politico e intrattenimento. Possiamo distinguerne due diverse versioni: l’informazione politica che vuole intrattenere ed essere piacevole, utilizzando i criteri di notiziabilità che notoriamente prediligono gli aspetti scandalistici e drammatizzabili, alla stregua delle altre notizie, e i programmi di intrattenimento che si interessano di fatti e personaggi politici, popolarizzandoli. Il politainment è invece una nuova forma di comunicazione politica che sottolinea l’unione di politica e intrattenimento fuori dal perimetro delle notizie e del giornalismo. Anche del politainment si possono distinguere due versioni: la politica resa “divertente” dagli stessi politici e l’intrattenimento politico, ovvero la presenza di politica nei prodotti della cultura popolare. Cfr. G. Mazzoleni e A. Sfardini, Politica pop, il Mulino, Bologna 2009 pagg. 28-30.Cosa sono i “criteri di notiziabilità” e perché prediligono le notizie scandalistiche? Ogni giorno i giornalisti hanno il compito di coprire uno stesso spazio informativo con gli stessi tempi a disposizione, per fare ciò devono organizzare le informazioni secondo dei criteri di rilevanza, dando cioè un “valore” a ogni notizia. Il valore si de8nisce a partire da “criteri di notiziabilità” che siano ricorrenti, facilmente individuabili e classi8cabili in un contesto produttivo di sempre maggiore standardizzazione delle procedure del giornalismo. I criteri di notiziabilità possono essere scomposti in cinque livelli: criteri relativi all’evento, al prodotto, al mezzo, alla concorrenza e al pubblico. Per quanto riguarda gli eventi, l’importanza di questi ultimi è correlata

49

prim’ordine per attirare il pubblico. Ma anche la comunicazione via internet contribuisce in

maniera potente all’affermarsi della politica scandalistica, e questo in due modi: in primo

luogo scavalca la funzione di gatekeeping dei media tradizionali, spesso pi5 cauti nel divulgare

questo tipo di notizie. In secondo luogo apre la possibilità per chiunque di esporre il

comportamento scorretto o illegale dei politici. Per i leader politici non c’è pi5 privacy:

qualsiasi notizia rilasciata da qualsiasi fonte in qualsiasi forma può essere diffusa all’istante in

maniera virale su internet. Inoltre i commenti dei blogger e del pubblico in generale

alimentano immediatamente le polemiche, portando una condotta reprensibile all’attenzione

del dibattito pubblico. La centralità degli scandali è anche una funzione della trasformazione

della politica. L’indebolimento dell’identi8cazione partitica e la minore salienza dei contrasti

ideologici porterebbero i politici – una volta assicuratosi il nocciolo duro dei propri sostenitori

– a occupare il centro dello spazio politico per attirare quanti pi5 elettori possibili. Come

abbiamo visto, i cittadini anche per questo motivo – insieme alla crescente complessità

dell’ambiente della politica, che richiede decisioni sempre pi5 discrezionali, e al mutato ruolo

dei media nel rapporto tra elettori e cittadini – si baserebbero quindi per la loro decisione di

voto pi5 sulle caratteristiche personali dei leader che sui programmi. Lo scandalo è quindi

un’ottima arma politica, in quanto i politici coinvolti in uno scandalo perderebbero l’idoneità

a ricevere la delega del potere da parte dei cittadini. In8ne la politica scandalistica non è

separabile dalla politica mediatica, sia perché tramite i media gli scandali vengono divulgati

sia perché le caratteristiche di quest’ultima, soprattutto la personalizzazione58, fanno dell’uso

degli scandali lo strumento pi5 ef8cace nelle contese politiche. Poiché la politica mediatica è la

politica dell’“Età dell’Informazione”, la politica scandalistica è secondo Castells lo strumento

di prima scelta per impegnarsi nelle lotte politiche del nostro tempo.

Gli effetti della politica scandalistica sulla politica dipendono, secondo il sociologo, dal

al coinvolgimento di soggetti appartenenti alle élites, e la rilevanza di questi soggetti aumenta se sono considerati centrali in un determinato momento storico, se cioè un argomento o un personaggio è “al centro del dibattito pubblico”. I criteri relativi al prodotto riguardano invece il grado di facilità con cui una notizia è raccontabile – la sua capacità di diventare signi8cativa attraverso un processo rapido di traduzione narrativa – e il suo grado di “novità”. In8ne i criteri relativi al pubblico e alla concorrenza fanno parte della cosiddetta “notiziabilità di mercato”, il cui 8ne è aumentare i lettori o spettatori e di conseguenza gli investimenti pubblicitari. Da ciò l’esigenza di “popolarizzazione” del giornalismo, e l’allargamento sia del pubblico potenziale che delle tematiche trattate. Cfr. C. Sorrentino, Il giornalismo, Carocci, Roma 2002, pagg. 93-111.

58 La personalizzazione è – insieme alla leaderizzazione e al cambiamento nel processo di selezione delle élites politiche – uno degli effetti sistemici “politici” della mediatizzazione della politica individuati da Mazzoleni (cfr. G. Mazzoleni, La comunicazione politica, il Mulino, Bologna 2004, pagg. 94-107); gli effetti “politici”, che si contrappongono a quelli “mediatici”, riguardano le conseguenze dell’infuenza dei media e delle logiche produttive mediali sugli attori e sull’azione politica. La personalizzazione è infatti un processo che risale ai primordi della società organizzata, ma il connubio tra la politica contemporanea, la televisione e la cultura popolare ha accelerato questa dinamica, portando alla costruzione del politico prima come persona che come rappresentante di un partito o di una ideologia. Un ruolo importante, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, lo ha avuto la televisione, a cui si è unito in Europa a partire dagli anni ottanta il declino delle ideologie e dei partiti di massa.

50

contesto culturale e istituzionale, dal clima sociale e politico del paese e dall’intensità

dell’“effetto di stanchezza” che si diffonde tra i cittadini dopo l’interminabile catena di

scandali riportati dai media. Ciò che emerge un po’ ovunque, però, è che l’associazione

generalizzata tra politica e comportamento scandaloso contribuisce alla disaffezione dei

cittadini verso le istituzioni politiche e la classe politica, contribuendo a una “crisi mondiale di

legittimazione politica”. “I dati dei sondaggi rilevano che la percezione della corruzione è il

pi5 signi8cativo elemento di predizione della s8ducia politica”59. E se, come abbiamo già

avuto modo di notare, negli ultimi anni non è aumentata la corruzione, è sicuramente

aumentata la sua pubblicità, la percezione e l’impatto sulla 8ducia politica. La 8ducia politica

psicologica60 coinvolge infatti un giudizio su valori e attributi morali associati a un determinato

governo, istituzione o leader, si riferisce insomma al punto di vista che le persone possono

avere sulla af8dabilità dei rappresentanti politici, e la connessione tra esposizione alla

corruzione politica e declino della 8ducia politica può essere riferita direttamente al

predominio della politica mediatica e della politica scandalistica nella conduzione della cosa

pubblica. Ma la diffusa corruzione percepita può alimentare anche la “banalizzazione della

corruzione” traducendosi in quella che Waisbord61 chiama “stanchezza da scandali” che

riduce gli effetti potenziali degli scandali: quando la s8ducia è già radicata nella coscienza

degli individui, ogni rivelazione aggiuntiva non fa che riaffermare la disaffezione per le

istituzioni politiche.

Inoltre bisogna sottolineare anche il ruolo che può avere la crisi economica per quanto

riguarda la diffusione degli scandali politici. Oltre agli scandali che mettono in dubbio la

moralità “privata” di un esponente politico, molto comuni sono – anche tra quelli che

abbiamo citato nelle righe precedenti – quelli che riguardano l’uso sconsiderato di risorse

pubbliche. Sicuramente in un periodo di crisi economica questo tipo di scandali risalta agli

occhi dei cittadini e attira maggiormente l’attenzione della stampa, rendendoli al contempo

meno sopportabili. Un chiaro esempio della portata di questa dinamica può essere quello

italiano dei primi anni novanta, citato anche da Mény e Surel62 e riportato in precedenza, caso

in cui la corruzione è stata tollerata 8nché i governi hanno praticato una politica di bilancio

lassista, 8no cioè alla rati8ca del trattato di Maastricht, che con le sue esigenze in materia di

bilancio è stato una delle cause dell’emersione del sistema diffuso di corruzione e del crollo del

59 M. Castells, op. cit., pag. 363.60 Cfr. M. E. Warren, Democracy and Deceit: Regulating Appearances of Corruption, in «American Journal of Political

Sciences», 50, 1, 2006, pagg. 160-174.61 Cfr. S. Waisbord, Scandals Media and Citizenship in Contemporary Argentina, in «American Behavioral Scientist»,

47, 8, 2004, pagg. 1072-1098.62 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pag. 155.

51

sistema partitico della prima repubblica.

2011: le elezioni amministrative e i referendum

Il voto locale del maggio 201163 rappresenta un segnale di cambiamento nella politica italiana.

Il voto segna in generale una scon8tta del centro-destra, in particolare in due scenari

importanti come Milano e Napoli – quelle che sono poi diventate le “città-simbolo” della

tornata elettorale. Due realtà molto diverse, accomunate sia dalla previsione del successo del

centro-destra sia dalla provenienza dei candidati vincenti di centro-sinistra risultati poi

vincenti, entrambi degli “outsiders”64. A Milano il sindaco uscente Letizia Moratti è stato

scon8tto dal candidato di centro-sinistra Giuliano Pisapia mentre a Napoli il candidato di

centro-destra Lettieri ha perso di fronte all’ex-magistrato Luigi De Magistris, proveniente

dall’Idv, che al primo turno aveva battuto il candidato del Pd e di Sel. La vittoria di candidati

come Pisapia e De Magistris ha quindi rafforzato l’idea che i principali partiti di centro-destra

e centro-sinistra stessero perdendo il ruolo di costruttori di consenso pubblico65. Sin dall’inizio

della campagna elettorale Pisapia aveva infatti sottolineato “la natura non divisiva della

propria candidatura, insistendo sulla caratterizzazione come candidato di coalizione (...) e

scegliendo l’arancione come colore che simboleggiasse la novit� senza richiamare le tradizionali identicazioni

partitiche”66 (corsivi nostri), e anche l’incremento dei consensi per De Magistris lungo la

campagna elettorale ha avuto fra le sue principali ragioni – secondo Legnante – la netta

percezione dell’elettorato che il candidato fosse estraneo all’agire politico dei principali

schieramenti. Durante la campagna De Magistris si era infatti rivolto a tutti i cittadini

napoletani “né di destra né di sinistra” per un voto che avrebbe espresso la pi5 ampia

discontinuità con le amministrazioni precedenti67.

E il risultato di queste elezioni amministrative ha un impatto, insieme agli eventi di

Fukushima, sul risultato dei quattro referendum abrogativi previsti per il giugno successivo.68

Da un punto di vista simbolico, pi5 ancora che numerico, le elezioni hanno infatti segnato una

dura scon8tta per il partito di Berlusconi e probabilmente incoraggiato la partecipazione ai

63 Cfr. G. Legnante, Berlusconi ha perso. Ma chi ha vinto? Le elezioni comunali di maggio, in A. Bosco e D. McDonnell (a cura di), op. cit., pagg. 124-138.

64 Outsiders nel senso di non facenti parte del maggiore partito di centro-sinistra, il Partito Democrtico. Pisapia infatti vince appoggiato da Sel alle primarie del novembre 2010 contro il candidato del Pd Boeri mentre De Magistris batte al primo turno il candidato del Pd Morcone emerso dalle (seconde) primarie napoletane.

65 Cfr. A. Bosco e D. McDonnell, Da Berlusconi a Monti: default dei partiti?, in A. Bosco e D. McDonnell (a cura di), op. cit., pagg. 47-8.

66 G. Legnante, op. cit., pag. 134.67 Cfr. ibidem, pag. 136.68 Cfr. C. Carrozza, I referendum di giugno: una vittoria a met�, in A. Bosco e D. McDonnell (a cura di), op. cit., pagg.

259-272.

52

referendum da parte di quanti vi hanno visto una occasione di svolta politica. Secondo un

sondaggio Demos&Pi svolto a ridosso della consultazione referendaria, il 32,8% degli elettori

si è recato a votare soprattutto per dare un segnale contro il governo69. La storia dei quattro

referendum abrogativi70 che hanno interrotto la serie dei referendum falliti per mancanza di

quorum iniziata nel 1997 non sembrava a inizio 2011 doversi concludere con una vittoria dei

comitati promotori. Oltre al mancato accorpamento con le elezioni amministrative, il silenzio

dei mezzi di comunicazione tradizionali rendeva dif8cile il raggiungimento del quorum.

Anche i partiti di opposizione, il Pd in particolare, giocavano un ruolo piuttosto debole. “La

questione acqua e servizi pubblici locali è causa di imbarazzo per il Pd, che nell’ultimo

ventennio ha sostenuto una posizione favorevole all’aumento di competitività degli appalti nel

comparto e al coinvolgimento dei privati nella gestione dei servizi, trasformandosi in un

sostenitore dei referendum solo all’ultimo minuto, quando ha intravisto una concreta

possibilità per la spallata a Berlusconi”71. Tra i partiti di governo dominava l’invito a disertare

la consultazione, espresso esplicitamente da Berlusconi e Bossi.

L’Istituto Cattaneo ha effettuato una simulazione per stimare in che modo il risultato del

referendum si rapporti – confermandoli o negandoli – con gli equilibri elettorali emersi dalle

urne nelle elezioni politiche del 200872. A livello nazionale l’area dei partiti di governo ha

perso 13,3 punti percentuali su 46,8, pari al 28% del suffragio ottenuto nel 2008. Si tratta

della quota minima di elettori persi dall’area governativa. Se esiste, come è verosimile, una

quota di elettori dell’opposizione che non si è recata alle urne al referendum pur avendo

votato nel 2008, questa quota andrebbe aggiunta alla perdita dell’area di governo,

peggiorando il risultato dei partiti di centro-destra. In generale l’analisi rileva che, con

l’esclusione della zona rossa, le perdite dell’area di governo sono distribuite in maniera

omogenea sia al nord che al sud, dimostrando una sofferenza dei partiti di governo diffusa

sull’intero territorio nazionale.

In conclusione, le elezioni amministrative e il referendum sembrano quindi indicare che nella

prima metà del 2011 in Italia “non si è veri8cata una fase di ri8uto della politica in sé (…) ma

69 L’indagine è consultabile all’indirizzo: www.demos.it/a00603.php.70 1) Modalità di af8damento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica – Abrogazione: votanti

54,82%, sì 95,35%, no 4,65%; 2) Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito - Abrogazione parziale di norma: votanti 54,83%, sì 95,80%, no 4,20%; 3) Abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio di energia elettrica nucleare: votanti 54,79%, sì 94,05%, no 5,95%; 4) Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale: votanti 54,78%, sì 94,62%, no 5,38%.

71 C. Carrozza, op. cit., pag. 262.72 Cfr. L’analisi dell’Istituto Cattaneo Il signicato politico del referendum a cura di Piergiorgio Corbetta e Gianluca

Passarelli, scaricabile dal sito web dell’Istituto.

53

piuttosto un acuto rigetto dei partiti politici”73.

La crisi nanziaria e il governo Monti

E di “default” dei partiti parlano Anna Bosco e Duncan McDonnell in relazione alla caduta

del quarto governo Berlusconi e all’insediamento del governo Monti nel novembre 2011.

Default dei partiti che può essere spiegato in parte dai fattori esterni – come appunto la crisi

8nanziaria e la pressione dell’Unione Europea – ma che ha anche robuste radici interne,

essendo i partiti già deboli prima dello scoppio della crisi. Il default dei partiti è stato sancito

simbolicamente dall’insediamento del governo Monti, un governo “tecnico” non dotato di

una legittimazione “popolare” e completamente formato da personale non parlamentare ed

esterno ai partiti. E se non è la prima volta che in Italia viene sospeso il governo di partito,

l’esecutivo Monti ha visto le sue decisioni approvate in parlamento da una maggioranza

insolitamente ampia74.

È questo un motivo della descrizione nel 2011 del sistema partitico che si era affermato dopo

il crollo della prima repubblica come un sistema destrutturato. L’avvio del governo tecnico ha

infatti coinciso con la scomposizione e la ricomposizione delle alleanze su basi molto diverse

rispetto al passato e con l’involuzione delle tendenze che avevano strutturato il sistema

partitico della seconda repubblica: il bipolarismo si è incrinato, il cleavage pro/anti Berlusconi

ha perso intensità, la distanza tra elettori e partiti si è allargata75.

Assistiamo quindi alla destrutturazione del sistema partitico, ma anche a quella degli atteggiamenti

politici degli italiani, segnalata dalla straordinaria mobilità dell’identi8cazione di partito76 nel

corso del 2012, tale da non essere coerente con la de8nizione di identi8cazione di partito

come una connotazione stabile dell’elettore in grado di anticiparne e guidarne il voto elezione

dopo elezione. Se guardando ai dati della Tab. 2.11 sembra che ci sia stabilità – sembra cioè

che la quota di intervistati identi8cati rimanga pressoché la stessa nel corso del tempo –,

questa stabilità è solo apparente: osservando la Tab. 2.12 notiamo che la categoria pi5

numerosa è infatti quella dei “Non identi8cati stabili” (38,3%), mentre gli “Identi8cati stabili”

sono solo un quarto degli intervistati. I restanti intervistati sono coloro che cambiano partito

tra primavera e autunno oppure coloro che nella prima rilevazione non erano identi8cati e

nella seconda lo diventano e viceversa. E solo 4 elettori su 10 nella primavera 2012 dichiarano

73 A. Bosco e D. McDonnell, op. cit., pag. 48.74 Cfr. ibidem, pag. 45-6.75 Cfr. L. Ceccarini, I. Diamanti e M. Lazar, Fine di un ciclo: la destrutturazione del sistema partitico italiano in A. Bosco

e D. McDonnell, op. cit., pagg. 64-5.76 Cfr. A. Paparo, La straordinaria mobilit� nell’identicazione di partito, in L. De Sio e N. Maggini (a cura di), Crisi e

rimobilitazione. Gli italiani, la politica, i partiti nelle indagini campionarie del CISE (2011-2012), CISE, Roma 2013, pagg. 135-140.

54

di voler andare a votare e per chi. Secondo le rilevazioni CISE, quindi, il 60% degli elettori si

trova in quel momento “sul mercato”77.

Tab. 2.11 Identi8cazione di partito fra primavera e autunno 2012

Primavera

Autunno Sì No Non sa/Non risponde Totale

Sì 502 216 10 728

No 182 570 10 762

Non sa/Non risponde 12 20 2 34

Totale 696 806 22 1524

Fonte: CISE

Tab. 2.12 Categorie di identi8cati

Tipo Identi8cati stabili De-identi8cati Neo-identi8cati Non identi8cati stabili Cambiano partito

23,5% 15,5% 13,3% 38,3% 9,5%

Fonte: CISE

Oltre alla destrutturazione del sistema partitico, ci sono tre punti in conclusione da 8ssare sul

governo Monti. Primo: le interferenze e limitazioni alla sovranità nazionale da parte di agenti

esterni come i mercati 8nanziari e l’Unione Europea. Abbiamo visto che, anche se non sono

certamente l’unica causa della caduta di Berlusconi e dell’insediamento del governo tecnico,

esse hanno avuto un ruolo nell’accaduto. In secondo luogo, la legittimazione non popolare del

governo. Nei termini usati nel capitolo precedente il governo Monti rappresenta l’apoteosi

della negazione del “pilastro popolare” della democrazia. In8ne, possiamo notare come il

governo Monti avrebbe potuto avere una funzione positiva per i partiti, non coinvolgendoli in

prima linea nelle dure politiche che andavano attuate nella situazione di emergenza e

attirando il malcontento solo sul governo dei tecnici.

In realtà però – come vedremo nel paragrafo dedicato alle elezioni politiche del 2013 –

questo non è avvenuto e sono stati puniti tutti, sia Monti che ha in8ne presentato una propria

lista, sia i partiti che lo avevano appoggiato durante l’esperienza di governo. Vale la pena

chiedersi se l’emersione di un terzo partito delle dimensioni del M5s sarebbe avvenuta se la

responsabilità del governo fosse stata attribuita a un solo schieramento e se quindi si fosse

attuata la tradizionale dinamica governo-opposizione invece di una responsabilità condivisa

dai maggiori partiti.

77 Cfr. R. D’Alimonte, Oggi il 60% degli elettori è sul mercato, in L. De Sio e N. Maggini (a cura di), op. cit., pagg. 15-18.

55

2012: le elezioni amministrative e le primarie della coalizione di centro-sinistra

Riguardo al 2012, la chiave di lettura di De Sio e Maggini è che la destrutturazione degli

atteggiamenti politici degli italiani di cui abbiamo parlato abbia registrato nel corso dell’anno

un’inversione di tendenza e che questa inversione sia stata promossa e scandita da due

importanti appuntamenti elettorali: le amministrative 2012 e le primarie “Italia Bene

Comune” della coalizione di centro-sinistra. Le elezioni amministrative di primavera segnano

un aumento dell’astensione, una scon8tta del centro-destra e la prima grande affermazione

del M5s.

“Il Pd e il centro-sinistra hanno cantato vittoria e si adirano contro chi la nega. Certo, a guardare chi

oggi governa i comuni andati al voto, hanno ragione. Hanno conquistato numerose amministrazioni.

Hanno riguadagnato terreno anche in zone non tipicamente «rosse». Ma, questo sì che è innegabile, nel

complesso non hanno conquistato nuovi voti. E dire che ce n’erano tanti in uscita; che però hanno

preferito altri approdi, il Movimento 5 stelle di Grillo e l’astensione su tutti. Il centro-sinistra ha vinto

senza avanzare. Una vittoria di risulta, quindi, o meglio ancora una scon8tta degli altri.”78

Oltre ai comuni conquistati in questa tornata elettorale – il M5s ne ha infatti conquistati tre,

tra cui un capoluogo di provincia – è soprattutto l’entità numerica del voto che risulta degna

di attenzione. In molte città in cui si è presentato, il M5s ha raccolto valori percentuali a due

cifre, diventando la seconda o la terza forza politica del comune. Complessivamente, il M5s ha

presentato liste in 101 comuni sui 941 in cui si è votato, conquistando quasi 200.000 voti, che

rappresentano poco meno del 9% dei voti validi. Il successo del M5s testimonia due aspetti: il

primo è la capacità di iniziativa ancora presente nella politica italiana. Gli italiani in questa

tornata elettorale non appaiono stanchi di partecipare alla politica e di dedicarvi energie, che

possono anche essere spese nella costituzione di una lista per le elezioni del proprio comune,

dando quindi 8ducia agli spazi della democrazia rappresentativa. E, dall’altro lato, i cittadini

elettori nonostante tutto non sembrano voler abbandonare la politica: sono ancora disposti a

dare 8ducia, votandoli, ai loro concittadini che investono energie nella politica. Anche le

primarie del centro-sinistra rafforzano questa interpretazione79.

Le primarie “Italia Bene Comune” del 25 novembre e 2 dicembre hanno infatti portato al

voto rispettivamente poco pi5 e poco meno di tre milioni di persone. Le primarie

rappresentano una “cessione di sovranità, nella scelta dei candidati, dai gruppi dirigenti

78 A. Chiaramonte e R. D’Alimonte, Conclusioni, in L. De Sio e A. Paparo (a cura di), Le elezioni comunali 2012, CISE, Roma 2012.

79 Cfr. L. De Sio e N. Maggini, Conclusioni: l’opinione pubblica fa le elezioni, ma soprattutto le elezioni fanno l’opinione pubblica in L. De Sio e N. Maggini (a cura di), op. cit.

56

partitici agli elettori” e anche “uno strumento in grado di risvegliare l’interesse di un elettorato

insofferente e distratto, quando non addirittura ostile, nei confronti di una politica sempre pi5

vittima di una grave crisi di legittimazione”80. E quelle del 2012 erano primarie che non

rappresentavano solo una cornice di legittimazione popolare alla candidatura già sicura del

leader, al contrario esisteva una vera e propria competizione, fatto che probabilmente ha

inciso nella così alta mobilitazione. Sono state primarie positive quindi sia per la grande

partecipazione che hanno avuto sia per l’immagine dei promotori, portando infatti la

coalizione di centro-sinistra a ottimi risultati nei sondaggi delle settimane successive.

2013: le elezioni politiche

Le elezioni politiche del febbraio 2013 ci restituiscono un sistema partitico profondamente

diverso rispetto alle elezioni precedenti, un mutamento di proporzioni ancora maggiori

rispetto a quello che aveva portato da un “bipolarismo frammentato” a uno “limitato”81 tra

2006 e 2008. Tre elementi di queste elezioni vanno sottolineati: il calo di affuenza alle urne,

l’erosione di consensi per le coalizioni di centro-sinistra e centro-destra e la grandissima

affermazione del Movimento 5 stelle alla sua prima prova nazionale. Ma andiamo per ordine,

partendo dal dato dell’affuenza alle urne.

Tab. 2.13 Affuenza alle urne (Camera, 1976-2013)

Anno 1976 1979* 1983* 1987* 1992* 1994* 1996* 2001* 2006 2008 2013

93,3% 90,6% 88,0% 88,8% 87,3% 86,3% 82,8% 81,3% 83,6% 80,5% 75,2%

Fonte: Ministero dell’Interno. * In questo periodo sono compresi anche i residenti all’estero.

L’Italia per quasi cinquant’anni ha avuto tassi di partecipazione elettorale altissimi. E se a

partire dagli anni ottanta i tassi, pur alti, avevano cominciato a diminuire, a partire

dall’avvento della cosiddetta seconda repubblica il calo è diventato una costante, soprattutto in

elezioni anticipate come il 1996 e il 2008 (Tab. 2.13). Possiamo individuare due componenti

dell’astensionismo elettorale: il crollo della tensione ideologica del sistema politico – un

fenomeno prevalentemente anagra8co – e la percezione di inef8cienza del nuovo sistema

politico, che porterebbe gli elettori a disertare le urne soprattutto in caso di elezioni anticipate.

Ma entrambe queste chiavi di lettura non bastano, secondo De Lucia e Cataldi, a spiegare il

forte calo del 2013, connesso a loro parere al passo indietro dei partiti con il governo Monti,

all’assenso alle politiche di austerity promosse da quel governo, al mancato rinnovamento della

80 L. Fasano, Il Pd alle primarie, in «il Mulino», 1, 2013, pagg. 23-5.81 Cfr. A. Chiaramonte e R. D’Alimonte (a cura di), Proporzionale se vi pare, il Mulino, Bologna 2010.

57

classe politica, agli scandali che si sono succeduti nel corso degli ultimi anni82. Secondo Dario

Tuorto invece il calo è stato leggermente pi5 pronunciato di quanto ci si sarebbe potuto

attendere ma non si è avuto il crollo ipotizzabile alla vigilia. Esistevano, a differenza della

tornata precedente, alcuni fattori che potevano giocare a favore di una tenuta della

partecipazione: l’offerta politica pi5 diversi8cata, con un numero maggiore di coalizioni e

partiti in grado di intercettare le preferenze dell’elettorato, e il fatto che l’elezione cadeva in

chiusura dei cinque anni di legislatura. Tutto questo ha bilanciato, almeno in parte, la spinta

opposta verso una maggiore disaffezione dell’elettorato, che la combinazione di scandali

politici e crisi economica potevano incentivare. Se si guarda al caso italiano sullo scenario

europeo, il livello di partecipazione del 2013 appare un fenomeno normale83.

Quella che è innegabile è un’erosione sia delle coalizioni che dei tradizionali blocchi politici

rispetto alle elezioni del 200884: la coalizione di centro-destra perde poco pi5 di sette milioni di

voti, quasi metà dei suoi consensi del 2008 (il 42%), e il centro-sinistra ne perde tre milioni e

mezzo, un quarto dei voti del 2008 (il 27%). E se nel 2008 le due coalizioni insieme erano

all’84,4%, oggi sono solo 58,7%. Anche le tradizionali aree politiche di centro-destra e centro-

sinistra hanno perso un numero considerevole di elettori, al di là delle speci8che alleanze, e

questo a causa del grande successo di una forza politica che si de8nisce “né di destra né di

sinistra”. La percentuale di voti alle forze politiche che si pongono fuori dai tradizionali

blocchi passa infatti alla Camera dal 2% al 28%. Tutto questo si rifette in un eccezionale

aumento della volatilità elettorale (Tab. 2.14).

Tab. 2.14 – La volatilità totale (Camera, 1987-2013)

Anno 1987 1992 1994 1996 2001 2006 2008 2013

9,1% 19,9% 36,7% 13,0% 22,4% 9,5% 9,7% 39,1%

Fonte: CISE

82 Cfr. F. De Lucia e M. Cataldi, L’analisi dell’affuenza: una forte accelerazione del declino della partecipazione in L. De Sio, M. Cataldi e F. de Lucia (a cura di), Le Elezioni Politiche 2013, CISE, Roma 2013, pagg. 47-51.

83 Cfr. L’analisi dell’Istituto Cattaneo a cura di Dario Tuorto Un astensionismo normale in un’elezione di cambiamento scaricabile dal sito web dell’Istituto. Nell’ultima tornata elettorale solo in 5 paesi su 15 sono andate a votare percentuali di elettori maggiori che in Italia. Anche guardando alla tendenza degli ultimi due decenni, l’Italia continua a occupare le prime posizioni nonostante il calo continuo della quota di votanti, al contrario di altre nazioni investite dalla crisi economica, che hanno visto precipitare le presenze alle urne (ad esempio Grecia, Portogallo Spagna).

84 Cfr. R. D’Alimonte e N. Maggini, Centrodestra e centrosinistra perdono quasi 11 milioni di voti e N. Maggini, L’erosione dei tradizionali blocchi politici in L. De Sio, M. Cataldi e F. de Lucia (a cura di), Le Elezioni Politiche 2013, CISE, Roma 2013, pagg. 57-67. I “blocchi” sono costruiti a partire dall’origine politica e “coalizionale” dei vari partiti in lizza: fanno parte dei due blocchi di centrosinistra e di centrodestra tutti quei partiti e quelle liste che sono riconducibili politicamente alle tradizionali aree di centrodestra e di centrosinistra e che nel 2006 facevano parte o dell’Unione o della Casa delle Libertà, compresi i partiti e le liste nate da scissioni di partiti che in passato facevano parte delle due coalizioni.

58

Il sistema partitico appare dopo le elezioni come tripolare, una novità per le dinamiche della

seconda repubblica. Tre partiti: Pd, Pdl e M5s hanno pi5 del 20% dei voti, rispettivamente il

25,42%, il 21,57% e il 25,56% (Camera). Quello relativo al M5s è poi un evento che non ha

precedenti nella storia dell’Europa occidentale: non è mai accaduto che in elezioni non

fondative del regime democratico un nuovo partito alle sue prime elezioni nazionali ottenesse

un successo così clamoroso, nemmeno Forza Italia nel 1994 (21,01%). Inoltre il voto al M5s è

trasversale territorialmente, travolgendo la stabilità della mappa elettorale italiana85.

Guardando al partito pi5 votato per provincia, notiamo come il M5s conquisti il nord-ovest e

il nord-est, la fascia adriatica dalle Marche al Molise, quasi tutta la Sicilia e la Sardegna, l’alto

Lazio e parte della Calabria.

Un ultima questione che vogliamo porre è se e come le politiche di austerità e la crisi

economica abbiano potuto infuenzare il voto86. La comparazione con gli altri paesi europei87

suggeriva che ci saremmo dovuti aspettare sanzioni dure per i partiti al governo ed elementi di

discontinuità nella struttura del sistema partitico, e così è successo. Sembra che abbiano agito,

anche se in maniera differenziata, i due classici meccanismi dell’economic voting: la valutazione

che l’elettore dà dello stato complessivo dell’economia e quella delle proprie condizioni

soggettive. L’ipotesi è che la percezione complessiva dell’economia abbia favorito il risultato

dell’unico partito percepito come veramente all’opposizione del governo Monti, ovvero il M5s.

In pi5, le politiche di austerità avrebbero diminuito le risorse a disposizione dei partiti per

tutelare gli interessi del proprio elettorato, generando una seconda spinta verso il voto di

protesta88.

85 Uno degli aspetti centrali dell’affermazione del M5s è la sua trasversalità in termini geogra8ci, politici e socio-demogra8ci. L’ipotesi di De Sio (Cfr. L. De Sio, Una “frattura mediale” nel voto del 25 febbraio?, in L. De Sio, M. Cataldi e F. de Lucia (a cura di), op. cit. pagg. 101-104) è quella secondo cui chi si informa prevalentemente tramite internet dovrebbe premiare elettoralmente il M5s. Esiste infatti una relazione molto forte tra il mezzo prevalente di informazione e il partito votato, tanto che i tre principali partiti si dividono nettamente il ruolo di primo partito tra i tre diversi pubblici: il Pd è il partito dei lettori di giornali, il Pdl quello dei telespettatori e il M5s quello internet. La stessa dinamica si osserva anche all’interno di ciascuna classe d’età.

86 L. De Sio, M. Cataldi e F. de Lucia, Conclusioni in L. De Sio, M. Cataldi e F. de Lucia (a cura di), op. cit.87 Nel Dossier CISE n. 3 (Cfr. L. De Sio e V. Emanuele (a cura di) Un anno di elezioni verso le Politiche 2013, CISE,

Roma 2013) i casi presi in considerazione sono Spagna, Francia, Grecia e Olanda. 88 Questo meccanismo era stato ipotizzato anche per il voto regionale il Sicilia dell’ottobre 2012. In

quell’occasione per la prima volta dal 1947 una coalizione di centro-sinistra è riuscita a vincere le elezioni e arrivare al governo dell’isola. Il risultato emerge da una serie di fattori: un incremento massiccio dell’astensione, il grande successo del M5s (primo partito), la confusione del centro-destra. Questo cambiamento degli equilibri nei rapporti tra cittadini e partiti potrebbe in parte derivare della crisi economica e delle politiche di austerità, che avrebbero portato a un ridimensionamento delle forme pi5 strutturate di intermediazione e organizzazione del voto clientelare, dovuto sì a divisioni nelle élites partitiche ma anche alla scarsa disponibilità di risorse da distribuire in cambio di consenso. Cfr. L. De Sio e V. Emanuele, Conclusioni. Dall’Europa alla Sicilia, verso le elezioni politiche 2013 in L. De Sio e V. Emanuele (a cura di), op. cit.

59

2.3 Un malessere partitico pi5 che democratico

L’Europa irrompe quindi in questa fase della politica italiana, e lo fa principalmente in due

modi. In primo luogo – come abbiamo appena visto – per la risposta data dai cittadini tramite

il voto del febbraio 2013 alle politiche di austerità, con il grande successo di una forza politica

che vedremo essere esplicitamente avversa ai vincoli europei, il M5s. In secondo luogo – come

notato in precedenza – l’Europa è stata, o almeno è stata percepita come, centrale per gli

avvenimenti che hanno portato al governo Monti. Ma cosa pensano gli italiani dell’Europa? I

dati Eurobarometro89 confermano una crescente disaffezione anche per quanto riguarda il

livello europeo, indicando che dal 2003 a oggi i cittadini italiani che hanno un’immagine

positiva (molto o abbastanza) dell’Unione Europea sono calati dal 60% circa al 32%, mentre

gli intervistati che dichiarano di averne un’immagine (molto o abbastanza) negativa sono

aumentati dal 10% al 24%. Nell’intervallo di tempo dal 2002 al 2011 invece gli intervistati che

ritengono che l’Italia abbia bene8ciato dell’appartenenza all’Unione e al mercato unico sono

passati dal 62% al 43% mentre coloro che non ritengono che ci siano stati bene8ci dal 15% al

41%. In8ne, nello stesso lasso di tempo gli intervistati che ritengono che in linea generale il far

parte dell’Unione e del mercato comune sia un fatto positivo sono passati dal 69% al 41%

mentre coloro che pensano che sia al contrario un fatto negativo sono cresciuti dal 3% al 17%.

Tornando alle tre metamorfosi della democrazia – globalizzazione, declino dei partiti,

personalizzazione e mediatizzazione della politica – individuate nel capitolo precedente, e

volendo veri8care in che modo queste trasformazioni si adattino al caso italiano, possiamo

cominciare osservando come la globalizzazione abbia inciso molto negli ultimi anni di politica

italiana. Abbiamo appena visto infatti che la crisi economica e la pressione dell’Europa hanno

avuto infuenza nella costituzione del governo Monti e in8ne nelle elezioni del 2013,

premiando quanti – in primo luogo il M5s – si sono posti in contrasto con i vincoli imposti

dall’Europa. Abbiamo già notato come le istituzioni non elettive, come ad esempio quelle

europee, siano un grande nemico per i partiti e i movimenti populisti. Questo perché i

populisti si mobilitano contro ogni mediazione che si può frapporre tra il popolo e il controllo

della sovranità e tali istituzioni, percepite come lontane dalla legittimazione popolare,

rappresentano proprio quella perdita di controllo. Nel caso speci8co è sembrato che queste

istituzioni – insieme con una crisi generata e alimentata da dinamiche altrettanto lontane sia

dal controllo sia dalla comprensione popolare – abbiano scavalcato il popolo e gli abbiano

“imposto” il governo, dotando di molte risorse retoriche partiti e movimenti populisti.

Sui partiti abbiamo detto molto: sulla loro perdita di legittimità e sul loro demandare molte

89 Cfr. Standard Eurobarometer n. 57-79. I report sono scaricabili dal sito ec.europa.eu/public_opinion/.

60

delle tradizionali funzioni al rapporto mediatico e personalizzato con gli elettori. Ma abbiamo

anche visto che non sono affatto in crisi sotto il punto di vista della delle risorse, umane e

soprattutto 8nanziarie, e che questa discrasia tra il piano dei rapporti con la società e quello

della loro forza percepita alimenta una protesta e una disaffezione sempre pi5 forti. Anche in

Italia si riscontrano queste dinamiche che avvantaggiano quanti, come i populisti, fanno dei

partiti politici il nemico numero uno. Gli scandali legati al dispendio di risorse pubbliche e la

corruzione sempre pi5 percepita e visibile rafforzano inoltre i discorsi di quanti indicano i

partiti come causa di ogni male, dimostrando la verità dell’assunto delle élites – partitiche in

questo caso – inevitabilmente corrotte. Nel biennio che va dal 2011 al 2013 i partiti sono

sembrati in Italia sempre pi5 deboli dal punto di vista della costruzione del consenso e della

mobilitazione – abbiamo trattato dei referendum e delle varie consultazioni elettorali in cui

l’astensione è progressivamente cresciuta e i partiti tradizionali hanno visto calare i loro

consensi oppure hanno mantenuto le posizioni acquisite – mentre gli scandali legati a

esponenti partitici salivano sempre pi5 spesso agli onori della cronaca.

In8ne, la personalizzazione. Abbiamo de8nito la personalizzazione una dinamica delle

democrazie contemporanee che può essere vista sia come causa che come un effetto del

declino dei partiti e della sempre maggiore complessità dell’ambiente della politica e che è

indissolubilmente legata ai processi della mediatizzazione della politica. In Italia, la

personalizzazione è uno dei tratti costanti della seconda repubblica, esplicitandosi a tutti i

livelli di governo – nazionale, con la competizione personalizzata tra candidati presidenti del

consiglio favorita dalle leggi elettorali del 1993 e del 2005; locale, con l’avvento della forma di

governo “neoparlamentare” e l’elezione diretta del capo dell’esecutivo – e sul versante

comunicativo. Inoltre la personalizzazione può essere considerata una manifestazione di

quello che abbiamo de8nito il “direttismo”, ovvero la dinamica che porta a scavalcare

l’intermediazione partitica per arrivare a incidere direttamente sulla sfera pubblica. Le

primarie, ad esempio – insieme all’elezione diretta del capo dell’esecutivo –, sono una forma

di direttismo che alimenta il processo di personalizzazione della leadership politica. In8ne,

abbiamo visto come gli scandali siano una potente arma nelle competizioni personalizzate: se

la 8ducia è ormai attribuita alla 8gura del singolo politico, gli scandali colpiscono proprio la

reputazione personale portando a una s8ducia nel singolo che si tramuta in disaffezione

generale; il populismo trae una forza smisurata dall’emersione di anche questo tipo di

scandalo, opponendogli l’eticità del popolo. Per quanto riguarda la personalizzazione della

politica, insomma, il populismo incarna in modo estremo un movimento all’opera nelle varie

democrazie, mentre i sistemi politici cercano di canalizzarlo e istituzionalizzarlo: i populisti

61

sono in sintonia con gli sviluppi recenti della democrazia, esaltando il contatto diretto con il

leader piuttosto che le mediazioni istituzionali. Analizzati i tre fattori facilitanti del populismo

in relazione al caso italiano, possiamo quindi concludere che in Italia esiste un terreno fertile

per il fenomeno populista.

Un’altra domanda che ci eravamo posti era se fosse presente in Italia un malessere

democratico. Abbiamo visto che de8nire “democratico” questo malessere signi8ca porlo a

livello delle istituzioni, a livello dei meccanismi della democrazia – procedimenti elettorali per

assegnare cariche di potere, modalità delle decisioni prese dagli eletti e presenza di

accountability – e in8ne anche a livello dei cittadini, che possiedono poco potere di partecipazione

o che sono disinteressati e apatici nei confronti della politica. I dati in nostro possesso indicano

che in Italia la democrazia è fondamentalmente legittimata, quello che manca è il sostegno

speci8co, la 8ducia nell’ef8cacia e l’effettività del regime. E se istituzioni importanti per la

democrazia come i partiti sono delegittimate, questi comunque operano nel rispetto delle

procedure democratiche e continuano nonostante tutto a essere votati da una quota

signi8cativa di cittadini. Dal punto di vista della cultura politica, abbiamo visto che alcuni

indicatori, come l’interesse e l’ef8cacia, segnalano che la visione della politica degli italiani non

si adatta ancora oggi al modello “partecipante”. Ma sappiamo anche che è cresciuta quella

che potremmo de8nire la “qualità” di coloro che si avvicinano al mondo della politica, così

come le risorse cognitive in generale dei cittadini. I dati della partecipazione alle urne in8ne

sono ancora in linea, anzi superiori, alla media europea. La disaffezione potrebbe derivare

quindi dalle alte aspettative riguardo alla democrazia, frustrate dall’immagine del processo

democratico data dai partiti.

La nostra interpretazione è proprio che negli ultimi anni in Italia si sia avuto un acuto rigetto

dei partiti politici pi5 che della politica in sé. Non è corretto quindi parlare di “malessere

democratico” e tanto meno di “crisi della democrazia”, sarebbe pi5 appropriato parlare di un

“malessere partitico”, nel senso che afferisce ai sentimenti che i cittadini provano nei confronti

dei partiti politici90. Partiti che, come un “male necessario”, sebbene sempre pi5 oggetto di

90 È importante sottolineare che con l’espressione “malessere partitico” non intendiamo una generica “crisi dei partiti”. Come proposto da importanti studiosi (ad esempio cfr. R. S. Katz e P. Mair, The Evolution of Party Organizations in Europe: the Three Faces of Party Organization , cit. e P. Ignazi, op. cit.) crediamo sia utile abbandonare l’idea del partito come “monolite” e analizzarlo secondo angoli visuali distinti. Come già argomentato nelle pagine precedenti, riteniamo che i partiti siano in crisi per quanto riguarda la legittimità e la 8ducia da parte degli elettori ma non crediamo sia opportuno parlare di una 8ne del partito politico. Le democrazie rappresentative contemporanee sono infatti strutturate attraverso i partiti – che sotto il pro8lo 8nanziario sono anzi sempre pi5 forti – e anche le proteste contro i partiti non portano a un vero e proprio stravolgimento del tradizionale modo di fare politica. Si veda – e approfondiremo questi aspetti nel prossimo capitolo – ad esempio la retorica fortemente anti-partitica del M5s che, adottando la de8nizione minima di Sartori per cui un partito è “qualsiasi gruppo politico che presenta alle elezioni, e che è capace di piazzare tramite elezioni, candidati per uf8ci politici”, si con8gura esso stesso come un partito politico. G. Sartori,

62

critiche e manifestazioni di scontento, continuano a ricevere una quota consistente di voti,

anche se l’astensione è in crescita così come i voti a formazioni che – ed è un fattore da

sottolineare, pur accettando di competere attraverso i meccanismi della democrazia

rappresentativa – incarnano la protesta contro quei partiti. La presenza di un terreno fertile

per il populismo e di quello che abbiamo de8nito un malessere partitico si rifettono a nostro

parere nella nascita, nello sviluppo e in8ne nella grande affermazione del M5s alle elezioni di

febbraio che, secondo la nostra interpretazione dei movimenti populisti data in conclusione

del capitolo precedente, ha avuto la funzione di mantenere all’interno del sistema quanti invece

avrebbero potuto allontanarsene con l’astensione o altri comportamenti non convenzionali.

Non abbiamo volutamente trattato in queste righe di un “contenuto programmatico” del

populismo, considerandone in primo luogo i fattori “strutturali”. Questo perché i partiti e i

movimenti populisti sono opportunisti, cambiando i contenuti di programma a seconda dell’élite

che contestano e del contesto sociale e politico in cui operano. Nelle pagine che seguono

cambieremo prospettiva, analizzando il M5s come movimento populista dal punto di vista dei

contenuti del discorso pubblico suo e del suo leader.

Parties and Party System: A Framowork for Analysis, Cambridge, Cambridge University Press 1976, pag. 64.

63

3. Il populismo alla prova di internet: il caso di Beppe Grillo e

del Movimento 5 stelle

Dopo aver illustrato il rapporto tra populismo e democrazia – individuando il primo come

una componente intrinseca della seconda – e dopo aver descritto le condizioni favorevoli alla

nascita e allo sviluppo di movimenti e partiti populisti in Italia e il malessere partitico che sembra

serpeggiare in questo paese, passiamo a trattare dell’oggetto principale di questo lavoro: il

Movimento 5 stelle e il suo leader Beppe Grillo. Ma, prima di procedere oltre, crediamo sia

importante 8ssare alcuni punti sul metodo con cui procederemo.

La nostra non sarà né una ricostruzione cronologica di tutte le fasi attraversate dal Movimento

in questione o della storia personale e di impegno politico del suo fondatore, né una

descrizione analitica di tutti gli aspetti di questo fenomeno. Questi obiettivi esulano dalla

natura e dall’ampiezza di questo lavoro; riassumeremo oppure daremo talvolta per scontate

alcune informazioni di base, che possono essere rintracciate negli ormai numerosi volumi – sia

quelli di taglio scienti8co che quelli con scopo prevalentemente divulgativo – pubblicati su

questo tema1.

Precisato cosa non sarà, veniamo a descrivere il focus di questo lavoro. Analizzeremo il M5s e

il suo “capo politico” Beppe Grillo attraverso la lente del populismo: viste cioè le

caratteristiche del populismo enucleate nel primo capitolo, cercheremo di rintracciarle nel

fenomeno prescelto2. Tratteremo in secondo luogo del rapporto tra internet e la democrazia.

Analizzeremo la letteratura in argomento e le varie posizioni, scegliendo di adottare – tra il

determinismo tecnologico e quello sociale – un approccio “realistico”. Sulla scorta delle varie

teorie esaminate, analizzeremo in8ne la concezione e l’uso di internet, una caratteristica

peculiare di questo fenomeno, da parte del Movimento e del suo leader, per arrivare a capire

se e come il populismo si possa avvantaggiare nell’“era del web”.

Abbiamo già evidenziato come Margaret Canovan, in conclusione al suo articolo sui due volti

della democrazia3, noti che il populismo non è l’unico tipo di “radicalismo” che attecchisce

nell’area di tensione tra i due volti della democrazia. Avversione alla politica pragmatica,

promessa di restituire la democrazia alla gente e di dare potere al popolo, trasparenza e

1 Si vedano ad esempio: P. G. Corbetta ed E. Gualmini (a cura di), Il partito di Grillo, il Mulino, Bologna 2013 e G. Santoro, Un Grillo qualunque, Castelvecchi, Roma 2012.

2 Un’importante precisazione: anche parlando del Movimento 5 stelle, sarà analizzato il discorso di Beppe Grillo sul M5s, e non il discorso degli eletti o della base: possiamo quindi affermare che questo sarà uno studio del discorso prodotto da Grillo. È noto, come vedremo meglio in seguito, che Grillo non è il solo a produrre i contenuti del blog o dei libri, ma per semplicità nell’esposizione parleremo comunque del discorso “di Grillo”, essendo quest’ultimo la principale faccia pubblica del Movimento. Il focus della nostra analisi sarà quindi sul livello nazionale pi5 che locale, dove l’infuenza del leader è meno presente.

3 Cfr. M. Canovan, Abbiate fede nel popolo! Il populismo e i due volti della democrazia, cit., pagg. 38-39.

64

immediatezza nel rapporto tra volontà popolare e azione democratica sono tutti temi della

cosiddetta democrazia partecipativa. Secondo Canovan le teorie della democrazia

partecipativa sono in de8nitiva redentrici, nascono dalle stesse tensioni da cui nasce il

populismo. Così come possiamo vedere un’altra caratteristica dei movimenti populisti, ovvero

l’“idealizzazione della disponibilità dell’uomo della strada a trasformarsi in cittadino attivo,

consapevole dell’esigenza di partecipare alla vita pubblica e disposto a sopportare i relativi

costi di impegno ed informazione pur di riappropriarsi dell’esercizio del potere di cui è

teoricamente titolare” individuata da Tarchi4, come un dato comune a tutti quei movimenti

che esaltano la democrazia partecipativa, deliberativa o diretta. I due fenomeni nascono

quindi, secondo Canovan, nelle stesse circostanze, e presentano alcuni tratti comuni.

Se quindi internet, vedremo perché e in che modo, può essere considerato un’importante

risorsa retorica per i movimenti e partiti populisti, bisogna allo stesso tempo osservare che ciò

non è valido solo per questi attori. La nostra ipotesi è che la rete internet, o almeno una certa

retorica che si sviluppa su di essa, possa essere un’importante risorsa retorica e organizzativa

per tutti quei movimenti che possono essere de8niti, sulla scorta della concettualizzazione di

Canovan, come redentori.

3.1 Il M5s e Beppe Grillo come movimento e leader populisti5

Nel capitolo precedente abbiamo de8nito il populismo come un fenomeno politico che

presenta tre dimensioni: eticizzazione del popolo, protesta anti-elitaria e insofferenza verso le mediazioni

istituzionali e la cui argomentazione, la cui dinamica ideologica, è basata su tre livelli: il popolo è

il fondamento della comunit�, questa sua prerogativa è stata usurpata da un certo numero di attori, è

necessario quindi rimettere il popolo al suo posto nel quadro di una rigenerazione della società.

Fondato sulla valorizzazione del popolo, il populismo raccoglie tutte le ambiguità di una

4 M. Tarchi, Il populismo e la scienza politica: come liberarsi dal “complesso di Cenerentola”, cit., pag. 427.5 La produzione, scritta e orale, di Beppe Grillo è sterminata. Per motivi di tempo, di spazio e di sintesi ci

concentreremo per la nostra analisi sul materiale che andiamo a elencare. - I libri esplicitamente tratti dai contenuti del sito beppegrillo.it, che di quei contenuti rappresentano una sistematizzazione: B. Grillo, A riveder le stelle, Rizzoli, Milano 2010; B. Grillo, Prendiamoci il futuro, Rizzoli, Milano 2011; B. Grillo, Spegniamo il nucleare, Rizzoli, Milano 2011 e B. Grillo, Alta voracit�, Rizzoli, Milano 2012. Possiamo affermare che questi testi costituiscono una sintesi dei contenuti del sito 8no ad aprile 2012.- Per il periodo successivo (8no al mese di agosto 2013, compreso) faremo riferimento ai post pubblicati sullo stesso sito. Sempre dal sito trarremo i cinquantatré Comunicati politici, il Programma, il Non-statuto, il Codice di comportamento per gli eletti e i vari documenti elaborati per la campagna elettorale.- Analizzeremo inoltre quelli che sono i testi pi5 “programmatici” del Movimento, ovvero: G. Casaleggio e B. Grillo, Siamo in guerra, Chiarelettere, Milano 2011 e D. Fo, G. Casaleggio e B. Grillo, Il Grillo canta sempre al tramonto, Chiarelettere, Milano 2013.Ringraziamo i simpatizzanti, gli attivisti e gli eletti che hanno dedicato il loro tempo a chiarire i nostri dubbi e a rispondere alle nostre domande.

65

parola ricca di una grande varietà di signi8cati. Mény e Surel6 individuano tre declinazioni

principali dell’idea populista di popolo: popolo sovrano, fondamento della legittimità del potere

in contrasto alle élites e al loro tradimento dei principi originari della democrazia; popolo

classe, i “piccoli” contro i “grandi” in senso economico; popolo nazione, un’accezione culturale

che avvicina le rivendicazioni populiste al nazionalismo. Mobilitate in modo separato o

concomitante, queste tre accezioni di popolo costituiscono il serbatoio al quale attingono i

discorsi populisti. Quanto alle élites che il populismo contesta, abbiamo visto che questo non

s8da solo i detentori del potere politico ma la struttura di potere generale di una società7,

comprendendo anche coloro che formano la pubblica opinione attraverso l’accademia e i

media, gli agenti economici, i membri della burocrazia. I contenuti del populismo dipendono

quindi fondamentalmente dall’establishment contro cui esso si mobilita: ciò che determina la

forma speci8ca di ogni movimento populista è la reazione contro una determinata struttura di potere.

Abbiamo anche sottolineato che la presenza di un leader che sappia dare voce al popolo,

rassomigliargli nei comportamenti, captarne e orientarne le aspirazioni è uno dei tratti

fondamentali delle manifestazioni politiche del populismo, proponendosi costui come un

esempio della semplicità che il movimento intende restituire alla politica e dimostrando che le

istanze dei cittadini possono essere espresse senza far ricorso alle lungaggini del processo

rappresentativo.

Convinti che il M5s e Beppe Grillo rientrino in questa categoria, nelle pagine seguenti

cercheremo di rispondere alle seguenti domande: chi è il popolo mobilitato da Grillo e dal

M5s? Qual è l’élite contro cui si scaglia e che gli dà forma? Quale il progetto politico e le

soluzioni proposte? Come descriverne lo stile e la retorica? Prima di tutto però tratteremo del

ruolo del leader, delle contraddizioni tra questo e il Movimento e di quelle interne allo stesso

M5s.

Il “capo politico” e il Movimento: “Quis custodiet ipsos custodes?”

Quando si tratta del M5s e di Beppe Grillo il primo nodo da sciogliere, forse la contraddizione

pi5 grande che si presenta agli occhi dello studioso o del semplice osservatore della politica, è

il rapporto tra la leadership e la base, o meglio tra l’effettivo ruolo di leader ricoperto da Grillo

e le affermazioni di quest’ultimo sulla propria posizione. Il discorso che viene prodotto dai

fondatori8 del Movimento infatti ne esalta fortemente la caratteristica di essere un movimento

6 Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pagg. 167-207.7 Secondo Tarchi (cfr. M. Tarchi, L’Italia populista, cit., pag. 26), quello che il populismo contesta nelle élites è il

privilegio conquistato senza merito pi5 che la loro posizione di preminenza sociale; il suo progetto è rifondare l’ordine politico ma non la società nel suo insieme.

8 Beppe Grillo non è infatti l’unico fondatore del M5s. Dalla presentazione degli autori del volume Il Grillo canta

66

orizzontale, privo di qualsiasi leadership a qualsiasi livello.

“Il concetto di «leader» per la Rete è una bestemmia. (…) Se ognuno vale uno, i leader politici non

hanno senso, sono una contraddizione in termini. (…) Chi si de8nisce leader dovrebbe essere sottoposto

al trattamento sanitario obbligatorio.”9

Se effettivamente a livello delle assemblee elettive o dei gruppi locali non emerge una 8gura di

spicco che possa essere de8nita “leader” – anzi, nella retorica del M5s l’eletto deve

rappresentare semplicemente un terminale tra la volontà dei cittadini e la sua attuazione,

come vedremo meglio in seguito [“Non c’è pi5 chi sta fuori e chi sta dentro, è come se fosse

caduto un muro, il muro che allontana la politica dai cittadini e la fa sembrare una cosa

sporca o inutile.”10] – e se non risultano, per quanto è dato sapere, infuenze a livello della

de8nizione concreta di programmi e di candidature [“Né io, né Beppe Grillo abbiamo mai

de8nito le liste per le elezioni comunali e regionali. Né io, né Beppe Grillo, abbiamo mai

scritto un programma comunale o regionale. Né io, né Beppe Grillo abbiamo mai dato

indicazioni per le votazioni consigliari, né in8ltrato persone nel MoVimento Cinque

Stelle.”11], non si può non notare come al vertice di questa struttura descritta come

estremamente libera e orizzontale siano presenti attori che svolgono una importante funzione

direttiva e di indirizzo. Lo possiamo notare dalle stesse dichiarazioni prodotte dai fondatori.

“io devo essere il capo politico di un movimento, però io voglio solo dirvi che il mio ruolo è quello di

garante, di essere a garanzia di controllare, vedere chi entra, dobbiamo avere soglie di attenzione molto

alte.”12

“Il nome del MoVimento 5 Stelle viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo

unico titolare dei diritti d’uso dello stesso.”13

“Sono in sostanza cofondatore di questo movimento insieme a lui. Con Beppe Grillo ho scritto il «Non

Statuto», pietra angolare del MoVimento 5 Stelle prima che questo nascesse, insieme abbiamo de8nito

le regole per la certi8cazione delle liste e organizzato la raccolta delle 8rme per l’iniziativa di legge

sempre al tramonto leggiamo: “Gianroberto Casaleggio è presidente e socio fondatore di Casaleggio Associati, società di consulenza di strategie di rete che cura il blog www.beppegrillo.it. È cofondatore del MoVimento 5 Stelle e ha organizzato i V-Day.”. Per il ruolo di Casaleggio all’interno del M5s (“Sono in sostanza cofondatore di questo movimento”) si veda la lettera di quest’ultimo pubblicata dal Corriere della Sera in data 30/5/12. Se talvolta – per semplicità di esposizione, e tenuto conto che la “faccia” pubblica del Movimento è costituita dal solo Grillo – parleremo di leader al singolare, terremo comunque conto di questa “diarchia”: “noi abbiamo due facce: una è costituita da un’organizzazione manageriale, di strategia e di comunicazione, l’altra è quello che sono io, la strada, la piazza, la gente”. D. Fo, G. Casaleggio e B. Grillo, op. cit., pag. 190 [BG].

9 B. Grillo, Siamo in guerra, cit., pag. 11.10 D. Fo, G. Casaleggio e B. Grillo, op. cit., pag. 90 [BG].

11 Post La democrazia del MoVimento Cinque Stelle, 7/9/12 a 8rma di G. Casaleggio.12 Comunicato politico n. 53.13 Non-statuto, art. 3.

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popolare «Parlamento Pulito» e le proposte referendarie sull’editoria con l’abolizione della legge

Gasparri e dei 8nanziamenti pubblici.”14

“non accetto che si formino correnti dentro il MoVimento. O dentro o fuori. Se qualcuno pensa che

io sia un disonesto, che vada via.”15

“Finché la guerra me la fanno i giornali, le televisioni, i nemici quelli veri va bene, ma guerre dentro non

ne voglio pi5. Se c’è qualcuno che reputa che io non sia democratico, che Casaleggio si tenga i soldi, che

io sia disonesto, allora prende e va fuori dalle palle. Se ne va. Se ne va dal MoVimento. E se ne andrà

dal MoVimento.”16

Questo è il senso della citazione di Giovenale posta all’inizio del paragrafo. In un movimento

veramente orizzontale le funzioni di garanzia, di controllo e di redazione delle norme

fondamentali sono condivise (appunto) orizzontalmente dai membri, oppure – ed è un punto

essenziale – esiste la possibilità di negoziare o cambiare quelle regole in seguito, possibilità che

appare nettamente preclusa ai membri del M5s, in quanto il simbolo che li aggrega è di

proprietà di un singolo che ha il diritto di proibirne l’uso a chi non si ritiene – sempre secondo

regole non negoziabili – si conformi a quelle norme. Non esiste infatti una procedura per la

revisione o il cambiamento del cosiddetto Non-statuto, che difatti non è lo statuto legale del

Movimento17. Chi controlla quindi i controllori? Chi garantisce della loro buona condotta?18

Se quindi non si può negare che i membri del M5s siano in possesso di piena libertà nella

scelta di programmi e candidature o per quanto riguarda altre decisioni (ma, ancora, chi

decide su quali decisioni si può votare?), ciò che allo stesso tempo emerge – e che è molto pi5

importante nella vita interna di un gruppo – è che le norme che regolano quella libertà di

scelta non si possono cambiare. In altre parole, la regola non scritta è che le regole non si

possono negoziare. E questo è un punto che in8cia fortemente l’assunto per cui il Movimento

sarebbe totalmente orizzontale e “leaderless”.

Il leader (o i leaders, come abbiamo visto) è invece ben presente, e anche sotto il pro8lo della

personalizzazione non si può negare – ma in effetti raramente viene negato – che Beppe

Grillo costituisca la 8gura assolutamente centrale e preminente, il volto, il collante, il

“megafono” – come viene spesso de8nito – del Movimento, che nasce per sua iniziativa e il cui

marchio costituisce una sua proprietà privata19. Riprendendo la metafora tanto cara agli

14 G. Casaleggio, Casaleggio: «Ho scritto io le regole del Movimento 5 Stelle», in «Corriere della Sera», 30/5/12.15 D. Fo, G. Casaleggio e B. Grillo, op. cit., pag. 185 [BG].16 Post Obbiettivo: Elezioni 2013, 11/12/12.17 Si veda l’articolo dell’Huf8ngton Post: M5s, ecco lo statuto del Movimento 5 stelle. L’atto costitutivo rmato a Cogoleto da

Beppe Grillo, il nipote Enrico Grillo e il commercialista. Non compare il nome di Casaleggio, 12/3/13.18 Si vedrà che nella retorica del M5s è “la Rete” che controlla tutti e garantisce della condotta anche dei

fondatori. Tratteremo ampiamente del tema delle regole nelle pagine seguenti, nell’ambito dell’analisi dell’uso della rete internet nel M5s.

19 Solo per citare alcune informazioni relative alla personalizzazione: il blog, sede del Movimento secondo l’ art.

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attivisti, la funzione del megafono è proprio quella di ampli8care la voce, e l’obiettivo

dichiarato da Grillo è quello di dare voce ai cittadini, arrogandosi la capacità di sentire ciò di

cui questi ultimi hanno bisogno e richiedono (vedremo in seguito come sia aiutato in questo

dalla retorica sulla rete internet), inserendosi perfettamente in questo modo nel solco dei

leader populisti per la sua capacità di sostituire alle mediazioni della politica tradizionale un

rapporto diretto e immediato con il popolo di riferimento20.

Detto del leader, passiamo alla descrizione del Movimento. La prima contraddizione che

emerge è quella sulla sua stessa natura: movimento o partito? La de8nizione minima di Sartori

descrive il partito come “qualsiasi gruppo politico identi8cato da un’etichetta uf8ciale che

presenta alle elezioni, ed è capace di collocare attraverso le elezioni (libere o no), candidati alle

cariche pubbliche”21. Anche se si distacca, a partire dal nome (è tipico dei partiti populisti di

non inserire il lemma “partito” nella loro denominazione) dalla forma partito, individuata

come nemico numero uno di questa formazione politica, il M5s è fondamentalmente un

partito politico anche se cerca di distanziarsene in vari modi. Ecco la de8nizione che viene

data del Movimento nel Non-statuto:

“Il MoVimento 5 Stelle non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro. Esso vuole essere

testimone della possibilità di realizzare un ef8ciente ed ef8cace scambio di opinioni e confronto

democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o

rappresentativi, riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo

normalmente attribuito a pochi.”22

Sempre nell’articolo 4 del Non-statuto si dichiara che il Movimento “va a costituire,

nell’ambito del blog stesso, lo strumento di consultazione per l’individuazione, selezione e

1 del Non-statuto, prende il nome di Beppe Grillo; le prime liste civiche, prima della creazione del M5s, erano chiamate “Amici di Beppe Grillo”; gli elettori e gli attivisti sono chiamati nel discorso pubblico, nome che non piace loro ma che rappresenta bene la percezione che si ha del Movimento, “grillini”.

20 Altre caratteri che avvicinano Grillo al classico leader populista sono le sue caratteristiche straordinarie (uomo di spettacolo di successo, famoso in tutto il mondo) ma al contempo la sua rassomiglianza al popolo (nell’abbigliamento, nella retorica, nello stile di vita), all’uomo comune. Anche il fatto di non essere un politico di professione, di provenire da un settore estraneo alla politica, lo avvicina ai leaders populisti che sono spesso degli outsiders che si avvicinano al mondo della politica solo perché ritengono che la situazione del loro paese sia disastrosa, e quindi rinunciano alla loro vita tranquilla e agiata per entrare nell’agone politico. Scrivono a proposito Albertazzi e McDonnell “The cornerstone of the relationship between charismatic populist leaders and the people is that while they remain one of the people (whether in terms of their vocabulary, attire, declared pastimes etc.), their unique qualities and vision mean that only they can be the saviour of the people. Of course, the greatest sacri8ce is made by the populist leaders themselves who are forced to put to one side their normal (and preferred) profession and instead enter the dirty arcane world of politics in order to save democracy.”. D. Albertazzi e D. McDonnell, Introduction: The Sceptre and the Spectre, in D. Albertazzi e D. McDonnell (a cura di), Twenty-First Century Populism: the Spectre of Western European Democracy, Palgrave Macmillan, Houndmills 2008, pag. 5.

21 G. Sartori, Parties and Party System: A Framework for Analysis, cit., pag. 63.22 Non-statuto, art. 4.

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scelta di quanti potranno essere candidati a promuovere le campagne di sensibilizzazione

sociale, culturale e politica promosse da Beppe Grillo così come le proposte e le idee condivise

nell’ambito del blog www.beppegrillo.it, in occasione delle elezioni per la Camera dei

Deputati, per il Senato della Repubblica o per i Consigli Regionali e Comunali”,

riconoscendogli quindi la funzione di strumento per la collocazione di personale politico nelle

varie assemblee rappresentative.

La percezione degli aderenti, però, rispecchia il discorso uf8ciale prodotto dai fondatori, ed

effettivamente il Movimento cerca di distanziarsi il pi5 possibile dagli altri partiti, sia sul piano

organizzativo (assenza di sedi, strutture, contributi pubblici), sia per il ri8uto della politica

come professione e dei classici modi di fare politica (ri8uto di ogni alleanza e compromesso),

sia in8ne sotto il pro8lo ideologico (il M5s, si dichiara, è “senza ideologie”); tutti elementi che

conseguono dalla strutturazione populista e dicotomica del suo discorso, in cui i due poli sono

proprio quello dei “cittadini” contrapposto a quello dei “partiti”.

“Il MoVimento 5 Stelle è un movimento senza. Senza contributi pubblici; senza sedi; senza strutture;

senza giornali; senza televisioni; senza candidati pregiudicati; senza candidati presenti in passato in

Parlamento; senza faccioni civetta presentati come capilista in tutta Italia; senza compromessi; senza

inciuci; senza leader; senza politici di professione; senza corrotti; senza tangenti; senza responsabili

regionali, provinciali; senza capibastone; senza candidati scelti dalle segreterie dei partiti; senza

candidati con un incarico attuale in Comune o in Regione; senza alleanze con i partiti; senza un passato

di cui vergognarsi; senza candidati fuori dalla propria circoscrizione elettorale; senza ideologie; senza

assicurazioni; senza banche (…).”23

La scelta del nome Movimento rifette quindi la volontà di una minore istituzionalizzazione e

soprattutto una voluta estraneità alle pratiche tradizionali dei partiti politici. Ma i movimenti

politici, per quanto intendano presentarsi come un tramite pi5 ef8cace delle organizzazioni

pi5 strutturate fra settori della società civile e il sistema politico, soffrono inevitabilmente le

conseguenze della irrisolta tensione fra la loro concezione di se stessi e le costrizioni della vita

politica che impongono la strutturazione, la creazione di gerarchie, l’accettazione delle regole

del gioco24. E il M5s, come gli eventi successivi alle elezioni politiche del febbraio 2013 e

all’ingresso di circa centocinquanta tra deputati e senatori in parlamento hanno confermato,

non fa eccezione.

Per quanto riguarda invece la questione dell’ideologia, abbiamo visto che il populismo, anche

23 Post Senza, 16/2/13.24 Cfr. la voce “Movimento politico” in N. Matteucci, G. Pasquino e N. Bobbio, Dizionario di politica, Utet Torino

2004, pag. 594.

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se manca della coerenza e della “scienti8cità” delle ideologie “tradizionali”, può essere

de8nito un’ideologia nel senso inteso da Clifford Geertz, secondo cui le ideologie sono “le

carte di una realtà sociale problematica e le matrici per la creazione di una coscienza

collettiva” che permettono agli individui di interpretare il mondo in cui vivono. Sono sistemi

cognitivi culturalmente e storicamente determinati con cui esprimere interessi o risolvere

tensioni sociali, soprattutto quando le strutture cognitive e normative sperimentate non

sembrano funzionare25. Quello che viene ri8utato dal M5s – conformemente ad altri partiti e

movimenti populisti – è un uso particolare del signi8cato “debole” di ideologia26 che viene

associato al dogmatismo e al dottrinarismo e che si oppone invece a una concezione

“pragmatica” della politica, che può essere rintracciata nel nostro caso nella grande attenzione

che viene data all’“attuazione del programma”.

“Il tempo delle ideologie è 8nito. Il MoVimento 5 Stelle non è fascista, non è di destra, né di sinistra.

(…) Il M5S non ha pregiudiziali nei confronti delle persone. Se sono incensurate, non iscritte a un

altro partito o movimento politico, se si riconoscono nel programma, per loro le porte sono e saranno

sempre aperte. Non ci sono italiani di serie A o di serie B. Nel merito delle votazioni nei Comuni e nelle

Regioni, il M5S ha votato 8nora le proposte considerate attinenti al suo programma, chiunque le avesse

fatte. E questo è ciò che farà in Parlamento. Il M5S si è alleato e si alleerà con i movimenti di cui

condivide gli obiettivi, come è avvenuto per i No Tav, i No Gronda, l’acqua pubblica, i ri8uti zero, i No

Dal Molin, il nucleare e tanti altri. Le porte per i partiti, anche per quelli riverginati, sono invece chiuse,

serrate per sempre. Alle foglie di 8co chiedo di non fare correnti d’aria. Il M5S vuole realizzare la

democrazia diretta, la disintermediazione tra Stato e cittadini, l’eliminazione dei partiti, i referendum

propositivi senza quorum: il cittadino al potere.”27

25 Cfr. Mény e Surel, op. cit., pagg. 170, 277-278.26 Cfr. la voce “Ideologia” in N. Matteucci, G. Pasquino e N. Bobbio, op. cit., pagg. 435-446. Si possono

distinguere due tipi generali di signi8cato di ideologia, chiamati da Bobbio signi8cato “forte” e “debole”: quello debole si con8gura come un insieme di idee e valori riguardanti l’ordine politico e aventi la funzione di guidare i comportamenti politici collettivi; il signi8cato forte ha invece origine in Marx, che de8nisce l’ideologia come la falsa coscienza dei rapporti di dominazione tra le classi. Differentemente, Sartori nella voce “Ideologia” del suo Elementi di teoria politica (cfr. G. Sartori, Elementi di teoria politica, cit., pagg. 111-137) de8nisce la politica ideologica e la politica pragmatica come sistemi di credenze il cui discrimine si trova sia nel diverso rapporto di ciascun individuo con le autorità che dichiarano cosa è vero e cosa è falso (emerge qui la differenza tra la “mente chiusa”, che non scevera l’informazione dalla sua fonte, e la “mente aperta”, che invece compie questo passaggio), sia nelle forme di codi8ca delle informazioni (forma di codi8ca razionalista ed empirista: su questo versante l’ideologismo è da porre nella forma razionalista, per la sua modalità dottrinaria e di principio di percepire e risolvere i problemi politici). Ma le credenze variano sia lungo la dimensione cognitiva, che è quella che abbiamo appena visto, sia lungo quella emotiva, che possiamo a sua volta dividere in due stati “stato emotivo forte” e “stato emotivo debole”. Quando ideologia e pragmatismo sono contrapposti dualisticamente come di tipi polari, “ideologia” è un sistema di credenze caratterizzato da alta intensità emotiva e struttura cognitiva chiusa, mentre le caratteristiche del pragmatismo sono la bassa intensità emotiva e la struttura cognitiva aperta. Tenuto conto di questa concettualizzazione, possiamo riscontrare nella retorica di Grillo e del M5s sia un’alta intensità emotiva che un’argomentazione “razionalistica”.

27 Post Il M5S non è di destra n5 di sinistra, 11/1/13.

71

Anche il ri8uto delle categorie di destra e sinistra28 deriva da questa concezione “pragmatica”

della politica, per cui le decisioni da prendere possono essere solo giuste o sbagliate, e il fatto di

essere descritte come “di destra” e “di sinistra” non ha altro signi8cato se non quello di coprire

la volontà delle élites politiche di favorire interessi partigiani. Ma se le ideologie possono essere

de8nite come “sistemi di idee connessi con l’azione” che comprendono tipicamente “un

programma e una strategia per la sua attuazione” intesi a “cambiare o a difendere l’ordine

politico esistente”, e che hanno la funzione di tenere insieme un partito o un altro gruppo

politico29, allora anche il M5s – come gli altri movimenti e partiti populisti – ha una sua

dinamica ideologica.

Il popolo e i nemici del popolo: cittadini contro i partiti

Abbiamo detto che una delle tre componenti fondamentali del populismo, forse la principale,

è quella che Chiapponi de8nisce “eticizzazione del popolo”, che consiste nel considerare

questa entità intrinsecamente portatrice di dignità etica, ponendola a fondamento di qualsiasi

28 Sull’obsolescenza o vitalità delle categorie politiche di destra e sinistra è stato scritto molto e non è possibile in questa sede riprendere analiticamente il dibattito in corso, ci limiteremo quindi a qualche spunto. In primo luogo bisogna notare come, nonostante il sentimento di insoddisfazione per l’uso di queste categorie sia rintracciabile molto lontano nel tempo (si veda l’opera di Z. Sternhell, N5 destra n5 sinistra, Akropolis, Napoli 1985), queste continuino al giorno d’oggi a essere usate sia dai cittadini per leggere il mondo politico o per autocollocarsi, sia dagli esperti della politica nelle loro concettualizzazioni. Revelli, nel suo lavoro su destra e sinistra (Cfr. M. Revelli, Sinistra Destra, Laterza, Roma-Bari 2009, pagg. 3-21 e 151-177), compie una ricognizione degli approcci di quanti ritengono la dicotomia estinta, individuando in primo luogo le cinque “ragioni dei dissolutori”, ovvero le teorie elaborate all’incirca tra la metà degli anni settanta e gli anni novanta, prevalentemente “da destra”. Questi cinque argomenti sono: l’argomento storico o empirico; l’argomento della spoliticizzazione per estinzione del confitto; l’argomento della spoliticizzazione per radicalizzazione del confitto; l’argomento spaziale e quello temporale. I cinque approcci possono essere a loro volta riassunti in due: l’idea storicistica di una crisi delle identità politiche dovuta a processi di trasformazione legati alla modernità e un’idea organicistica dell’ordine sociale tale da ri8utare ogni divisione politica. A partire dagli anni novanta, nota Revelli, le critiche alla dicotomia destra/sinistra sono invece arrivate anche “da sinistra”. Riprendendo le teorizzazioni di studiosi come Beck (U. Beck, La societ� del rischio, Carocci, Roma 2000) e Giddens (A. Giddens, Oltre la destra e la sinistra, il Mulino, Bologna 2011), Revelli osserva che all’epoca della dissoluzione del valore normativo dell’idea di progresso e della “società del rischio”, la vera questione divisiva è la sicurezza, e i pi5 importanti problemi quelli trasversali della “politica della vita”. Sembra quindi in8ne che il pi5 valido argomento rimanga il primo – quello storico o empirico, per cui non sono riscontrabili nel paesaggio politico attuale soggetti ascrivibili coerentemente o stabilmente all’uno o all’altro fronte categoriale – a patto che non venga fatto derivare da un consapevole nomadismo dei soggetti politici ma che alle sue fondamenta venga individuata la rivoluzione spaziale della globalizzazione. La convinzione di Revelli è che la politica liberata dai riferimenti ideologici pi5 che pragmatica sia caotica, e che pi5 che con8gurare una risposta razionale alle s8de del tempo sia un segno dell’impotenza e del fallimento dell’idea stessa di politica. Tarchi (Cfr. M. Tarchi, Destra e sinistra: due essenze introvabili in «Democrazia e diritto», 1994, 1, pagg. 381-396), annesso da Revelli nella prima categoria di dissolutori, afferma invece che il tempo dei tipi polari e irriducibili è terminato e, tra le posizioni di chi vede in destra e sinistra essenze, tipi ideali o convenzioni relative, ritiene sia pi5 sensato scegliere quest’ultima, avendo la modernizzazione reso norma pi5 che eccezione la trasgressione delle tradizionali appartenenze politiche. Tarchi riprende la posizione convenzionalista di Sartori (G. Sartori, Teoria dei partiti e caso italiano, SugarCo, Milano 1982, pagg. 255-256) per cui se è vero che destra e sinistra sono immagini spaziali sprovviste di ancoraggio semantico, dei contenitori vuoti, questo è vero atemporalmente o attraverso il tempo, al contrario in ogni singolo tempo quelle immagini non sono vuote ma piene, signi8cano, stanno per pacchetti di issues, e sintesi di atteggiamenti.

29 Carl J. Friedrich, Man and his government, McGraw-Hill, New York 1963, pag. 89.

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principio di legittimazione e facendone il perno di un progetto politico, che consiste appunto

nel ripristino della piena sovranità popolare, usurpata e tradita dalle élites al potere. La

contrapposizione tra popolo ed élites con8gura uno schema manicheo e dicotomico, fondato

da un polo positivo e da un polo negativo, dalla contrapposizione morale tra virt5 e vizio.

Utilizzando la concettualizzazione di Mény e Surel delle tre accezioni di popolo – a cui si

contrappongono tre diversi “nemici del popolo” – cominciamo a esplorare il discorso

populista di Grillo a partire dai nemici, dal non-popolo, per capire poi quale sia il popolo

mobilitato nella retorica del M5s.

Prima di affrontare i tre popoli e i relativi “nemici” nello speci8co, bisogna però premettere

che in realtà nel discorso populista l’ostilità verso l’élite va intesa come “la condanna di un

blocco di potere autoreferenziale, oligarchico, sdegnosamente distaccato dalla gente comune, i

cui modi di procedere sono offuscati dall’omertà e dalla riservatezza, custodita dall’immagine

non sempre solo metaforica degli inaccessibili palazzi dove si prendono le decisioni che

contano”30; un blocco di potere unico (quello che viene spesso chiamato da Grillo “il Sistema”)

che comprende politica, economia, media, burocrazia e criminalità organizzata. I populisti

sono portatori di un discorso sempli8catore della realtà e soprattutto della politica, 8nalizzato

a descrivere tutto ciò che non rientra nella dimensione dell’immediatezza come

intrinsecamente negativo, o meglio volutamente complicato dalle élites al potere per sottrarlo

alla comprensione e al controllo popolare; sono quindi funzionali al loro discorso tutte le

teorie, ad esempio le teorie del complotto31, che, uni8cando tutti i poteri della società, li fanno

risaltare come gli unici esterni a questo blocco di potere, gli unici “puri” che lottano in nome

del popolo contro tutto e contro tutti.

Vediamo alcuni esempi di descrizione di questo blocco di potere monolitico.

“I politici sono i maggiordomi dell’economia parassitaria o ma8osa o della combinazione della prima

con la seconda. I padroni ordinano e loro eseguono e il fuoco di copertura delle loro azioni è compito

dei media, che rispondono comunque agli stessi padroni. (…) I media sono l’anello di congiunzione tra i

politici e l’economia. Senza il sostegno dei media il politico non sarebbe eletto. Senza le menzogne dei

media i politici non potrebbero agire indisturbati.”32

“Nello stagno italiano ci sono due grossi barracuda: i partiti e i giornali. L’acqua in cui sguazzano sono i

8nanziamenti pubblici. Tra partiti e giornali la differenza è nulla. Sono la stessa cosa. Entrambi pagati

con le nostre tasse. (…) I partiti non sono la democrazia, sono i bene8ciari della democrazia che, per

sicurezza, hanno trasformato in partitocrazia per averne il controllo diretto... A partire dall’elezione dei

30 M. Tarchi, Il populismo e la scienza politica: come liberarsi dal “complesso di Cenerentola”, cit., pag. 423.31 Cfr. P. Taggart, op. cit., pagg. 173-175.32 B. Grillo, A riveder le stelle, cit., pag. 7.

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parlamentari fatta dalle segreterie. I partiti non sono necessari, è quello che vogliono farci credere per

rimanere in vita. I partiti sono intermediari senza valore aggiunto per i cittadini, ma con un plus valore

immenso per sé stessi. Senza l’acqua, senza i nostri soldi, fallirebbero sia i partiti che i giornali.”33

“Il Parlamento non esiste, è stato espropriato da dei delinquenti costituzionali. La Chiesa comanda. La

ma8a comanda. La camorra comanda. La ’ndrangheta comanda. Il cittadino non conta nulla.”34

“L’Italia è (…) un cesto di serpenti in cui si incrociano la massoneria, i poteri deviati dello Stato, una

criminalità organizzata di livello mondiale. Un luogo meta8sico, in cui lo Stato della Chiesa comanda e

ordina, le televisioni raccontano un Paese delle meraviglie, i politici sono pi5 stagionati della mummia di

Lenin e la maggior parte dei cittadini vive immersa in un sonno senza tempo.”35

“La burocrazia è lo scudo spaziale italiano contro la partecipazione del cittadino alla vita pubblica.

Meno capisce, meno è in grado di far valere i suoi diritti e pi5 diventa suddito.”36

Politica, economia, mondo dell’informazione, chiesa cattolica, criminalità organizzata sono

quindi accomunati negli intenti e descritti come coalizzati per espropriare il cittadino del suo

potere. Esemplare questo passo.

“La lotta di classe è stata sostituita dalla lotta di casta, o meglio dalla lotta tra chi produce ricchezza,

servizi sociali e i ceti parassitari, le caste. (…) Le caste sono unite tra loro e formano un corpo immenso,

un super blocco sociale, che annulla qualunque spinta al cambiamento. (…) Il potere delle caste non

deriva dal controllo dei mezzi di produzione, ma da quello dei mezzi di informazione. Senza le

menzogne quotidiane le caste sarebbero nude, visibili nella loro arroganza e inutilità. (…) La casta

politica, la casta dei giornali, la casta della burocrazia, la casta della pubblica amministrazione centrale,

la casta degli enti inutili, la casta delle aziende partecipate, la casta dei concessionari, la casta delle

pensioni d’oro. (…) La lotta contro le caste è la vera lotta politica: sottrarre il potere a chi lo esercita per

perpetuare sé stesso e la propria posizione di dominio.”37

Ma anche guardando singolarmente ai tre tipi di popolo mobilitati dai populisti possiamo

rintracciare nel discorso di Grillo nemici speci8ci. In primo luogo, dal punto di vista del

popolo sovrano, il nemico è individuato nell’élite politica, nei partiti nello speci8co, rea di aver

disatteso il proprio compito di tramite fedele tra la volontà popolare e la sua realizzazione. I

partiti hanno tradito la 8ducia dei cittadini, non li rappresentano pi5, guardano solo ai propri

interessi particolari, in primo luogo la conservazione dei bene8ci acquisiti. Si reclama, in

opposizione a questo stato di cose, l’esercizio diretto e continuativo da parte del popolo della

sovranità, usurpata dai rappresentanti.

33 Comunicato politico n. 37.34 Comunicato politico n. 29.35 B. Grillo, Prendiamoci il futuro, cit., pag. 9.36 Post Burocrazia vs democrazia, 13/1/13.37 Post Lotta di casta, 7/7/13.

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“In Italia la volontà popolare è negata dai partiti. Persino i risultati dei referendum, come quelli per

l’abolizione dei 8nanziamenti pubblici e del nucleare, sono stati ignorati. La proposta di legge popolare

«Parlamento Pulito» per un massimo di due mandati, l’elezione diretta del candidato senza condanne

giace negli scantinati del Senato da cinque anni. Questa è democrazia?”38

“I partiti hanno occupato la democrazia. I parlamentari non sono eletti, ma nominati.”39

“I partiti non rappresentano pi5 i cittadini. I deputati non rappresentano pi5 il popolo italiano, ma sono

al servizio di chi li ha nominati.”40

Nemici del popolo non sono solo i partiti come organizzazione, ma anche gli uomini che ne

fanno parte. I politici, accomunati in questo nel discorso populista ai funzionari e agli

intellettuali, sono diversi dal popolo perché mantenuti con il lavoro di quest’ultimo e inadatti

alla vita vera. Sono considerati insomma dei “parassiti”.

“Iscritti al partito in tenera età non conoscono il prezzo di un litro di latte, non hanno mai saputo cosa

vuol dire non avere uno stipendio, essere precari, disoccupati. Lavorare!”41

“Se ne devono andare. Non li regge pi5 nessuno. Loro non capiscono. Si credono intoccabili perché

garanti di interessi economici delle lobby del cemento, delle cooperative, dei concessionari, della Bce,

delle banche internazionali, di Stati esteri. Vivono in un mondo a parte, fatto di studi televisivi, di

giornalisti proni, di incontri istituzionali a discettare del nulla al quadrato con la rituale foto di gruppo,

circondati da commessi, servi, maggiordomi, amanti. (…) Mantenuti nelle loro posizioni privilegiate per

decenni, pagate dalle tasse degli italiani a suon di vitalizi mai rinnegati, di leggi ad personam, ad

partitum, per gli amici, per i concessionari, per le ma8e. Parassiti, pidocchi, mignatte, zecche. Virus che

si spacciano per miracolosi medicinali mentre infettano il corpo della Nazione, certi della copertura

vigliacca dei media e con8dando nella memoria breve degli italiani.”42

Per quanto riguarda il popolo classe – o meglio popolo plebe43 –, si tratta della dicotomia

“piccoli contro grandi” declinata in chiave economica, in cui i “grandi” rappresentano le

banche, l’economia smaterializzata, i grandi capitali mentre i “piccoli” i lavoratori, i cittadini

che pagano le tasse, i precari.

In dissenso con alcune interpretazioni che ritengono sia assente nel discorso di Grillo la

mobilitazione di questo tipo di popolo44, crediamo invece che essa sia presente, adattata

38 Post Democrazia va cercando ch’è sì cara, 16/9/12.39 Comunicato politico n. 1.40 Comunicato politico n. 31.41 Comunicato politico n. 19.42 Post In nome di dio, andatevene! 1/1/13.43 Secondo Tarchi (cfr. M. Tarchi, Il populismo e la scienza politica: come liberarsi dal “complesso di Cenerentola”, cit., pag.

421) un popolo classe non ha diritto di cittadinanza nella mentalità populista, per la quale l’esistenza di sotto-unità potenzialmente autonome in seno al popolo è inammissibile: chi parla di classi fomenta confitto e divisioni intestine che indeboliscono la comunità. Meglio parlare, secondo questo autore, di popolo plebe.

44 Secondo Corbetta (cfr. P. G. Corbetta, Un web-populismo dal destino incerto in P. G. Corbetta ed E. Gualmini (a

75

naturalmente, come ogni manifestazione di populismo, al contesto speci8co in cui si presenta.

In questo momento di crisi economica generata da dinamiche sovranazionali, che sfuggono al

controllo popolare, e in cui è sembrato che i veri responsabili (i “grandi”) siano riusciti a farla

franca mentre a pagare sono stati solo i cittadini (i “piccoli”), la globalizzazione economica

diventa un punto forte di critica nel discorso populista. Ma questo non signi8ca

automaticamente schiacciare il discorso su posizioni anti-moderne o reazionarie, o puntare la

mobilitazione esclusivamente sulle fasce tradizionalmente sfavorite dalla globalizzazione (e

tradizionalmente mobilitate dai populisti). Questa crisi economica mette in dif8coltà anche le

fasce giovani, altamente istruite e normalmente favorite dai processi di globalizzazione –

costrette invece sempre pi5 spesso a impieghi al di sotto del titolo di studio acquisito – e

amplia enormemente il bacino di quanti possono essere mobilitati dal discorso populista. I

“perdenti della modernità”45 non sono (o non sono pi5) insomma solo gli artigiani, i piccoli

commercianti tagliati fuori dalla globalizzazione, gli operai disoccupati.

Il popolo classe evocato da Grillo comprende tutto lo spettro delle categorie di “piccoli”: dalle

piccole e medie imprese schiacciate dalla pressione 8scale ai giovani precari (si veda

l’attenzione data a questo tema nella campagna “Schiavi moderni”), tutti accomunati dalla

contrapposizione ai “parassiti” che vivono del lavoro altrui, dal grande operatore 8nanziario

ai grandi evasori 8scali che – e qui rientra in gioco il nemico del popolo sovrano – grazie ai

partiti riescono a farla franca. Ritorna quindi ancora in gioco la dicotomia, declinata anche in

chiave morale tra onesti e disonesti, in cui ovviamente il popolo rappresenta l’onestà e la

moralità.

“Chi ha causato questa crisi? Le banche. Chi guadagna dalla crisi? Le banche. (…) La crisi non ci ha

insegnato nulla. Chi è stato premiato? Banche, petrolieri, società automobilistiche: quelli che la crisi

l’hanno causata. Chi è rimasto a casa? I lavoratori.”46

“I fratelli grassi tornano a casa, stanno rientrando in Italia con fragore di campane a festa da parte dei

media pi5 vergognosi degli ultimi centocinquant’anni. Tornano grazie allo scudo 8scale dell’inciucio Pdl

Pdmenoelle. I fratelli grassi sono ingrassati all’estero godendo dei servizi offerti dallo Stato in Italia, però

senza pagarli. Sono evasori totali, delinquenti civici. Gli italiani che hanno pagato le tasse anche per loro

in questi anni – operai, impiegati, pubblici dipendenti, imprenditori – sono invece i fratelli magri. Tra i

fratelli magri e quelli grassi c’è una grande differenza: i primi sono onesti, i secondi disonesti. (…) È

grazie alle tasse dei fratelli magri che il Paese non è ancora fallito. Ora, il popolo degli onesti,

contrapposto al popolo dell’amore che vuole santi8care un ladro di Stato come Bottino Craxi, è

cura di), op. cit.), Grillo si appella al popolo so8sticato del web e non a quanti si sentono “superati dalla globalizzazione”. A nostro parere, Grillo non si appella solo al “popolo di internet” ma a tutti coloro che in un’accezione economica rientrano nella dicotomia dei “piccoli” contrapposti ai “grandi”.

45 Cfr. H. G. Betz, Radical Right-wing Populism in Western Europe, St. Martin’s, New York 1994.46 B. Grillo, A riveder le stelle, cit., pag. 43.

76

diventato il popolo dei fessi. Quello che ha pagato le tasse anche per gli altri.”47

Vediamo a questo punto come è de8nito il popolo del M5s per veri8care, in8ne, se esiste

anche la mobilitazione del popolo nazione. Il popolo dei populisti è, come abbiamo visto, una

comunità coesa, immaginata e mitizzata, unica fonte di legittimazione politica e fulcro di un

progetto politico, che è appunto quello della restituzione della sovranità al suo legittimo

titolare: il popolo. La mobilitazione populista esalta questa comunità, che è in generale –

ovvero al di là delle tre accezioni di popolo che stiamo delineando – formata da uomini

comuni, portatori di buonsenso, in contrapposizione a tutti coloro che “stanno in alto”48. Una

contrapposizione declinata in chiave sia politica (piazza e palazzo) che, pi5 in generale, morale

(virt5 e vizio). A nostro parere il popolo mobilitato da Grillo sono i cittadini, vediamo quindi in

quale senso.

“Nessuno deve restare indietro. L’Italia deve essere, prima di ogni altra cosa, una comunità. In una

comunità, tra i valori pi5 importanti vi è il senso di solidarietà. Il cittadino deve essere il centro della

politica.”49

“Siamo noi, i cittadini, che si impadroniscono della loro democrazia e della loro politica: i cittadini con

l’elmetto, che non hanno pi5 bisogno di intermediari, non hanno pi5 bisogno di politici che sono lì da

trent’anni pagati con i nostri soldi, a fare le zecche!”50

Cosa signi8ca essere cittadini? Nell’uso moderno il termine cittadinanza presenta due

signi8cati distinti: uno teorico-politico e l’altro pi5 propriamente giuridico51. Nel primo caso

cittadinanza designa lo status sociale di cittadino, cioè il complesso delle condizioni che sono

garantite a chi sia a pieno titolo membro di un gruppo sociale organizzato. In questo caso il

termine cittadino si oppone a quello di suddito, essendo il primo titolare di diritti civili e

politici e, nel nostro secolo, anche di diritti sociali. Nel secondo caso il termine cittadinanza

designa l’ascrizione di un soggetto all’ordinamento giuridico di uno stato; in questa accezione

formale il termine cittadino si oppone a quello di straniero o di apolide.

Ma altre due accezioni si pongono alla base della rifessione sulla cittadinanza: la cittadinanza

come appartenenza e la cittadinanza come partecipazione52. Nel primo caso la nozione di

47 Ibidem, pagg. 37-38.48 Secondo Tarchi, come abbiamo già accennato, questo popolo è omogeneo ma non indifferenziato. Le gerarchie

basate sul merito, le posizioni acquisite in base al lavoro e all’impegno non sono messe in discussione. Cfr. M. Tarchi, Il populismo e la scienza politica: come liberarsi dal complesso di Cenerentola, cit., pag. 421.

49 Post Nessuno deve restare indietro, 30/1/13 .50 B. Grillo, A riveder le stelle, cit., pag. 10.51 Cfr. D. Zolo, Cittadinanza: storia di un concetto teorico-politico, in «Filoso8a politica», XIV, 1, 2000, pagg. 5-9.52 Cfr. G. Azzariti, La cittadinanza: appartenenza, partecipazione, diritti delle persone, in «Diritto pubblico», 2, 2011,

pagg. 427-432.

77

cittadinanza si iscrive in una concezione identitaria: si è cittadini solo se si appartiene ad una

collettività organizzata entro cui ci si riconosce per tradizione e cultura: ciò che quali8ca

questo modello di cittadinanza è l’inclusione entro un gruppo che si distingue da altri gruppi.

Ma la cittadinanza non si limita a evidenziare un’appartenenza identitaria ad una comunità,

nel nostro caso allo stato, individuandone il centro nella partecipazione del singolo individuo

all’attività della res publica. La stessa appartenenza è in realtà subordinata alla partecipazione,

non potendo con8gurarsi un cittadino passivo, cioè non partecipe attivamente alla costruzione

della civitas. Cittadinanza è quindi un concetto che include ed esclude: la cittadinanza come

appartenenza esclude lo straniero mentre la cittadinanza come partecipazione esclude il suddito.

Quale di queste concezioni è presente nel discorso di Grillo? Sicuramente viene data molta

importanza all’accezione partecipativa, alla concettualizzazione del cittadino attivo, che

addirittura si fa stato, si fa istituzione, visto che lo stato e le istituzioni sono state totalmente

delegittimate dai politici e dai partiti [“Il Paese può essere rifondato solo dal basso. Da

cittadini che si fanno Stato.”53; “Il cittadino deve farsi Stato perché non c’è pi5 lo Stato, si è

trasformato in AntiStato.”54; “I cittadini devono entrare nelle istituzioni perché LORO sono le

istituzioni.”55]. La mobilitazione del popolo dei cittadini attivi ci riporta alla prima delle tre

accezioni di popolo che abbiamo considerato: il popolo sovrano contrapposto alle élites

corrotte.

“Sono i cittadini che si riappropriano dello Stato. (…) I cittadini sono tagliati fuori da qualsiasi

istituzione in Italia, da Comuni e Regioni, non parliamo delle modalità di Costituzione, leggi popolari e

referendum... Tutte le proposte dal basso 8niscono nei cassetti e spariscono. Ma con la Rete è nata una

nuova idea.”56

“In Italia i partiti controllano la società, l’economia, l’informazione, il commercio, i trasporti, le leggi e

la loro stessa applicazione. Tutto. Sono l’essenza stessa del vecchio mondo. Per difendersi hanno redatto

quantità industriali di leggi contro la Rete. Si credono invulnerabili, ma i cittadini, grazie alla Rete,

stanno entrando nel Palazzo.”57

“L’assalto alla diligenza Italia è in corso. Tutti vogliono la loro parte di bottino. Partiti, lobby, criminalità

organizzata, interessi locali, gruppi stranieri. Gli unici esclusi sono i cittadini, coloro che si ostinano a

chiamarsi italiani e a pagare le tasse.”58

53 Comunicato politico n. 21.54 Comunicato politico n. 27.55 Comunicato politico n. 35.56 B. Grillo, Prendiamoci il futuro, cit., pag. 167.57 G. Casaleggio e B. Grillo, Siamo in guerra, cit., pag. 5.58 Comunicato politico n. 24.

78

È presente nel discorso del M5s anche l’accezione di cittadinanza come appartenenza, che

possiamo avvicinare alla mobilitazione del popolo nazione? In primo luogo possiamo

osservare come lo straniero sia in realtà già di per sé escluso dalla concezione di cittadinanza

come partecipazione, non godendo nel nostro ordinamento dei diritti politici. In pi5,

analizzando il discorso di Grillo sull’immigrazione appare anche una volontà di esclusione

dello straniero dalla comunità dei cittadini, da una collettività de8nita per tradizione e cultura

[“La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza

senso.”59]. Analizziamo le dichiarazioni pi5 importanti prodotte sul tema immigrazione60.

“La parola immigrazione è un tab5. Qualcosa di cui si deve parlare in modo «politically correct» per

non passare da razzisti. L’immigrato ha, per de8nizione, bisogno di aiuto e cerca in Italia la

sopravvivenza. Il ministro Ferrero ha dichiarato: «...bisogna mettere in campo una strategia articolata.

Prima di tutto dobbiamo facilitare gli ingressi legali nel nostro Paese», (…) «sono loro che vengono a fare

lavori che spesso gli italiani non vogliono pi5 fare... Oggi dobbiamo capire di essere diventati un Paese

di immigrazione». (…) L’Italia è ancora un Paese di emigrazione. Una volta emigravano i contadini,

oggi i laureati. (…) Non è vero che gli italiani non vogliono pi5 fare «certi lavori», ma quali sono questi

lavori? (…) Ragazzi e ragazze che accetterebbero di corsa quei «certi lavori», ma in condizioni di

sicurezza e con uno stipendio dignitoso. (…) I fussi migratori vanno gestiti all’origine. Le nazioni pi5

sviluppate dovrebbero destinare una parte del loro Pil, almeno quanto spendono in armi, magari al

posto delle armi, per aiutare i Paesi poveri. Distribuire la ricchezza nel mondo per non importare schiavi

e instabilità sociale.”61

“Un Paese non può scaricare sui suoi cittadini i problemi causati da decine di migliaia di rom della

Romania che arrivano in Italia. L’obiezione di Valium è sempre la stessa: la Romania è in Europa. Ma

cosa vuol dire Europa? Migrazioni selvagge di persone senza lavoro da un Paese all’altro? Senza la

conoscenza della lingua, senza possibilità di accoglienza? Ricevo ogni giorno centinaia di lettere sui rom.

È un vulcano, una bomba a tempo. Va disinnescata. Si poteva fare una moratoria per la Romania, è

stata applicata in altri Paesi europei. Si poteva fare un serio controllo degli ingressi. Ma non è stato fatto

nulla. Un governo che non garantisce la sicurezza dei suoi cittadini a cosa serve, cosa governa? Chi paga

per questa insicurezza sono i pi5 deboli, gli anziani, chi vive nelle periferie, nelle case popolari. Una

volta i con8ni della Patria erano sacri, i politici li hanno sconsacrati.”62

L’immigrato viene quindi descritto come una minaccia per la comunità, per il popolo, sia dal

punto di vista della sicurezza (frame dell’immigrato come delinquente), sia economico (frame

dell’immigrato come concorrente del lavoratore autoctono).

59 Post La liberalizzazione delle nascite, 23/1/12.60 Ribadiamo che queste sono dichiarazioni di Grillo o di chi scrive il blog. Non esiste in realtà una posizione

univoca del Movimento sul tema. Si veda ad esempio l’articolo Cittadinanza: i grillini contro Grillo, in «la Repubblica», 20/6/13.

61 Post Il tabù dell’immigrazione 20/8/06.62 Post I conni sconsacrati 15/10/07.

79

“Cosa ci fanno pi5 di diecimila immigrati irregolari nelle campagne calabresi? (…) La risposta cieca

pronta e assoluta del solito coglione terzomondista è sempre la stessa: «Sono qui da noi perché fanno i

lavori che gli italiani non vogliono pi5 fare!». Tutto il contrario, pagate gli italiani il giusto e ci sarebbe la

8la di calabresi disoccupati per prendere il loro posto. Gli immigrati lavorano in condizioni disumane

che gli italiani non possono pi5 tollerare, per questo sono qui. E allora, ancora, chi ci guadagna? I nuovi

latifondisti, la criminalità in cerca di mano d’opera a basso costo, chi af8tta dei tuguri a peso d’oro?

Questa è solo la prima fascia, quella pi5 visibile. Gli immigrati sono un bacino elettorale, portano voti

sia a destra che a sinistra. Sono uno strumento di distrazione di massa usato dai partiti. La Lega e il Pdl

vivono dell’uomo nero, del babau. Il Pdmenoelle e dintorni del buonismo a spese delle fasce pi5 deboli

della popolazione che vivono a diretto contatto con gli emigrati e si disputano le risorse. Voti a destra,

voti a sinistra. (…) Voglio l’immigrato a chilometro zero o l’immigrato integrato. Non abbiamo bisogno

di nuovi schiavi, ne abbiamo a suf8cienza di autoctoni. (…) L’Italia è un piccolo Paese, con poche risorse

e un tasso di disoccupazione da far paura. Dobbiamo avere il coraggio di dirci che gli immigrati sono in

prevalenza forza lavoro sfruttata, merce per imprenditori senza scrupoli e per politici e giornalisti con la

erre moscia che cianciano di pozzi avvelenati. Una risorsa preziosa per i politici che li lasciano al loro

destino. È in corso una guerra, che qualche volta esplode, tra poveri: immigrati e cittadini italiani,

entrambi presi per i fondelli.”63

“Quanti sono i Kabobo d’Italia? Centinaia? Migliaia? Dove vivono? Non lo sa nessuno. (…) Chi è

responsabile? Non la Polizia che pi5 che arrestarli a rischio della vita non può fare. Non la magistratura

che è soggetta alle leggi. Non il Parlamento, che ha fatto della sicurezza un voto di scambio elettorale tra

destra e sinistra e ha creato le premesse per la nascita del razzismo in Italia. Nessuno è colpevole, forse

neppure Kabobo. Se gli danno l’infermità mentale presto sarà di nuovo un uomo libero.”64

I non-cittadini nella retorica del M5s sono quindi: i sudditi, coloro che non partecipano

attivamente alla vita della comunità politica, tratto fortemente enfatizzato nella retorica del

M5s, come vedremo meglio in seguito; i parassiti, che come i sudditi non partecipano al bene

comune, anzi sono una zavorra per il paese; gli stranieri, sia perché esclusi a priori dalla

partecipazione, sia perché visti come minaccia per l’integrità della comunità e quindi oggetto

di dichiarazioni polemiche se non velatamente xenofobe come nel caso del post Kabobo d’Italia.

In conclusione, possiamo affermare che nello schema dicotomico populista del discorso di

Grillo i due poli sono costituiti principalmente dai cittadini – intesi come partecipanti attivi

alla vita politica, idealizzati nella loro reale volontà o capacità di incidere davvero nella

politica – e dai partiti. Si nota infatti che anche gli altri nemici e gli altri poli negativi alla 8ne

si riducono a una responsabilità politica o partitica, sia nel discorso sull’immigrazione [“Una

63 Post Gli Spartacus neri di Rosarno 8/1/10.64 Post Kabobo d’Italia 16/5/2013. In questo post, che non riportiamo per intero, si esempli8ca con le storie di tre

stranieri che hanno commesso reati la realtà di tutta l’immigrazione, con un operazione (anche stavolta) di estrema sempli8cazione della realtà.

80

volta i con8ni della Patria erano sacri, i politici li hanno sconsacrati.”65; “Gli immigrati sono un

bacino elettorale, portano voti sia a destra che a sinistra. Sono uno strumento di distrazione di

massa usato dai partiti.”66 (corsivi nostri)] sia in quello sull’economia, in cui si sottolinea la

connivenza tra attori economici e politici e le facilitazioni che i secondi forniscono ai primi. In

conclusione possiamo affermare che nel discorso di Grillo prevale la mobilitazione del popolo

sovrano67, anche se non sono assenti quelle del popolo classe e del popolo nazione.

Il progetto politico: i cittadini si fanno stato

Il progetto politico populista, lo ricordiamo, discende dall’assunto che il popolo è fondamento

della sovranità ed è necessario quindi fargli riprendere il posto che gli spetta. In che modo

viene declinata questa tesi nel nostro caso? Osserviamo che l’obiettivo politico del M5s può

essere riassunto in tre passi principali: mettere dei semplici cittadini – delle “persone per bene” –

nelle istituzioni, delle “sentinelle” del parlamento, il cui compito è dare voce al popolo [“Non c’è

pi5 chi sta fuori e chi sta dentro.”68]; promuovere la partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica e

in8ne arrivare al cento per cento dei consensi, momento in cui il Movimento cesserebbe di esistere in

quanto lo stato verrebbe riconquistato dai cittadini e la sovranità restituita totalmente al

popolo [“Il M5S vuole sostituire il Sistema dei partiti con la democrazia diretta. In sostanza

vuole la 8ne dei partiti basati sulla delega in bianco.”69; “Non siamo qui per riformare la

politica, ma per cambiarla dalle fondamenta, per restituirla ai cittadini.”70].

“Inizia col MoVimento 5 Stelle una nuova fase durante la quale si mettono le persone per bene nei posti

in cui devono essere le persone per bene. La nostra rivoluzione è questa: cominciare ad avere un

65 Post I conni sconsacrati 15/10/07.66 Post Gli Spartacus neri di Rosarno 8/1/10.67 Diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare da un attore populista, c’è nel discorso di Grillo una difesa

del parlamento e della costituzione, che deriva dalla strutturazione dicotomica (cittadini vs. partiti) del suo discorso. “Questi stanno uccidendo la democrazia parlamentare e noi ci siamo opposti, ci opponiamo, ci opporremo sempre. (…) L’articolo 138 impone due votazioni delle camere e un referendum confermativo per modi8care la Costituzione. È la cassaforte che impedisce colpi di mano dei partiti per cambiare la Costituzione a loro piacimento. Eliminata la barriera dell’articolo 138 pdl e pdmenoelle possono far strame della carta costituzionale per blindare il loro regime. (…) Il Parlamento è (dovrebbe essere) l’espressione della volontà popolare, ma è stato privato di qualunque potere”, post Grillo, la ne del Parlamento e della Costituzione, 27/7/13. Nello schema dicotomico del M5s, la costituzione e il parlamento rappresentano una barriera che protegge i cittadini dal potere dei partiti: il parlamento, che dovrebbe essere la cassa di risonanza della volontà popolare, è stato usurpato dai partiti. Emerge comunque una concezione del parlamento che ne deplora “le perdite di tempo, le ipocrite ritualità, l’esasperata propensione alla mediazione e al compromesso” (M. Tarchi, Il populismo e la scienza politica: come liberarsi dal “complesso di Cenerentola”, cit., pag. 423) e una volontà di “rifondarlo” su basi diverse dalle attuali. “Il Parlamento, luogo centrale della nostra democrazia, è stato spossessato dal suo ruolo di voce dei cittadini. (…) Il Parlamento potrebbe chiudere domani, nessuno se accorgerebbe. È un simulacro, un monumento ai caduti, la tomba maleodorante della Seconda Repubblica. O lo seppelliamo o lo rifondiamo”, post La scatola di tonno è vuota, 7/6/13.

68 D. Fo, G. Casaleggio e B. Grillo, op. cit., pag. 90 [BG].

69 Post Grillo for dummies, 6/11/12.70 Comunicato politico n. 27.

81

pensiero nuovo. Se entreremo in parlamento metteremo dentro la Costituzione dei mezzi per cui i

cittadini avranno veramente degli strumenti per far valere la loro voce: referendum propositivi senza

quorum, l’obbligo della discussione delle leggi popolari, ancorare la legge elettorale alla costituzione in

modo che i partiti non possano farsi la propria legge elettorale in vista delle elezioni. Sta cambiando

qualcosa. Però non pensate di lasciarci da soli. Ogni cittadino deve attivarsi. Fare i guardoni della

politica non funziona pi5.”71

“Ognuno conta uno, qualunque sia la sua posizione sociale. Voglio una mamma con famiglia mono

reddito e con quattro 8gli come sindaco di una città. Lei saprebbe amministrare un Comune. Un

Presidente operaio, insegnante, elettricista, non un corruttore da quattro soldi.”72

Emerge in questi passi la concezione per cui la politica è in realtà una cosa semplice,

volutamente resa complicata dalle élites politiche, di cui non c’è bisogno per mandare avanti

uno stato. Bastano dei semplici cittadini dotati di buon senso che possano portare la volontà

popolare all’interno delle istituzioni.

“Il MoVimento 5 Stelle è un’idea, non un’ideologia. E un’idea può essere applicata da tutti, anche dal

100% dei cittadini. Questo è l’obiettivo. Uno Stato senza partiti governato dai cittadini direttamente,

per un tempo limitato e come servizio civile.”73

“Il sogno è che la democrazia diretta si affermi e che il M5S, raggiunti i suoi obiettivi, non abbia pi5

ragione d’essere. Nel senso che noi vogliamo cambiare il Sistema, non vogliamo fare un nuovo partito.

Se introduciamo la democrazia diretta non abbiamo pi5 bisogno di partiti: su base egualitaria decidi

qualunque cosa, sia a livello locale sia a livello nazionale. (…) questo è il nostro obiettivo reale:

introdurre strumenti di democrazia diretta all’interno dell’istituzione, il che vuol dire introdurre

referendum propositivi senza il quorum, l’obbligatorietà della discussione delle leggi di iniziativa

popolare depositate in parlamento: se non vengono discusse, automaticamente scatta il referendum e

contestualmente, l’associazione tra elettore ed eletto, in modo assolutamente trasparente e continuo

attraverso la rete. (…) Noi non vogliamo sostituirci alle decisioni dei cittadini. Vogliamo che i cittadini

decidano.”74

“I politici sono diventati i nostri padroni, noi i loro servi, pi5 o meno inconsapevoli. La piramide va

rovesciata, chi è eletto deve svolgere un solo compito, applicare il programma e informare i cittadini. I

politici usano il mandato per accrescere il loro potere e la loro visibilità. I nostri dipendenti dovrebbero

lavorare per noi, ma trascorrono il loro tempo in televisione a parlarsi addosso e a improvvisarsi leader

con la complicità di giornalisti genufessi. La televisione deve essere vietata ai politici, vadano a svolgere

il compito per cui sono pagati in Parlamento, nelle Regioni o nei Comuni. Ognuno vale uno e il politico

vale uno come gli altri perché deve rendere conto del suo operato alla comunità. I divi della politica

sono per lo pi5 dei cialtroni in cerca di visibilità e di privilegi. Si occupano di tutto tranne che del loro

71 Post Un MoVimento di persone perbene 1/9/12.72 Comunicato politico n. 32.73 Comunicato politico n. 44.74 D. Fo, G. Casaleggio e B. Grillo, op. cit., pag. 191-2 [GC].

82

mandato. Questo deve 8nire. Il MoVimento 5 Stelle non ha ideologie, ma idee. Non è di destra o di

sinistra. Non vuole leader (di che?) o politici di professione, ma cittadini eletti da altri cittadini per la

gestione della cosa pubblica.”75

“Il Movimento 5 Stelle ha un programma, ma il M5S non è solo il suo programma. Il M5S vuole il

rovesciamento della politica, della piramide, l’assalto ai forni dell’informazione autogestita dal potere, la

centralità del cittadino in OGNI scelta che lo riguardi, la separazione tra capitalismo e rappresentanza

democratica, un tetto ai patrimoni personali, leggi popolari discusse in via preferenziale rispetto alle

leggi proposte dal Parlamento, referendum spontanei e propositivi senza quorum a livello comunale,

regionale, statale. In altri termini, il M5S vuole l’ingresso del cittadino nella politica attiva, evento mai

successo 8no ad ora. La democrazia dell’uomo massa è il passato, la democrazia dove ognuno conta uno

è il futuro. La trasparenza di ogni atto pubblico, permessa dalla Rete, la responsabilità individuale, la

politica come servizio civile a tempo sono le basi e il presupposto per evitare le incrostazioni del potere,

le camarille, i leader a vita che occupano la cosa pubblica come delle zecche, le stragi impunite.”76

Distinguendo gli obiettivi di breve e lungo periodo, vediamo quindi che il fulcro del progetto

politico del M5s, il suo ideale punto di arrivo, è rendere inutile ogni mediazione istituzionale

nei confronti della volontà popolare e di creare, tramite quelli che vengono de8niti istituti della

democrazia diretta, una democrazia che sia veramente tale e che coinvolga tutti i cittadini – il

popolo – nelle decisioni che lo riguardano. È dif8cile non vedere in questo l’esatta

riproposizione dello schema ideologico populista individuato da Mény e Surel77. Nel breve

periodo, invece, emerge la volontà di far tornare i politici nella condizione in cui dovrebbero,

secondo la retorica del M5s, trovarsi: semplici dipendenti dei cittadini, incaricati della loro

funzione nelle istituzioni per un tempo determinato, al 8ne di attuare un programma.

C’è inoltre nella retorica del M5s una idealizzazione del cittadino attivo, una ’“idealizzazione

della disponibilità dell’uomo della strada a trasformarsi in cittadino attivo, consapevole

dell’esigenza di partecipare alla vita pubblica e disposto a sopportare i relativi costi di impegno

ed informazione pur di riappropriarsi dell’esercizio del potere di cui è teoricamente titolare”78

di cui abbiamo parlato come tipica dei movimenti populisti. La osserviamo nei seguenti passi.

75 Comunicato politico n. 33.76 Comunicato politico n. 39.77 Interessante notare – per integrare lo schema ideologico elaborato da Mény e Surel – come, secondo Hermet,

il populismo mantenga con il tempo una relazione di simultaneità, in opposizione alla normale temporalità della politica. La temporalità populista è caratterizzata dalla risposta istantanea di fronte a problemi o aspirazioni che nessuna azione di governo ha in realtà la facoltà di risolvere o colmare in maniera immediata. La relazione con il tempo politico costituisce così, secondo lo studioso francese, il nucleo propriamente distintivo del populismo. Questa temporalità immediata, nel contempo antipolitica e onirica, che ignora la necessità di “dar tempo al tempo”, caratterizza il populismo in modo esclusivo e discriminante. È l’elemento che lo differenzia dalla democrazia, la quale, al contrario, si identi8ca con procedure improntate a una gestione dei confitti scaglionata nel tempo. Cfr. G. Hermet, Il populismo come concetto, in «Diorama letterario», 313, 2013, pagg. 14-15.

78 M. Tarchi, Il populismo e la scienza politica: come liberarsi dal “complesso di Cenerentola”, cit., pag. 427.

83

“Io non chiedo il tuo voto, non mi interessa il tuo voto senza la tua partecipazione alla cosa pubblica, il

tuo coinvolgimento diretto, se il tuo voto per il M5S è una semplice delega a qualcuno che decida al tuo

posto, non votarci. Questo Paese lo possiamo cambiare solo insieme, non c’è alternativa. Usciamo dal

buio e torniamo a rivedere le stelle. Lo Stato deve proteggere i cittadini o non è uno Stato, per questo va

istituito il reddito di cittadinanza. Io sono Stato, tu sei Stato, noi siamo Stato. Riprendiamoci l’Italia.” 79

“L’obiettivo del M5S è che i cittadini si occupino direttamente della politica a livello locale e nazionale,

non quello che diventino dei politici.”80

Ma come risolvere l’inconciliabilità tra l’obiettivo 8nale della partecipazione di tutto il popolo

alle decisioni e la sua realizzazione pratica? Classicamente i movimenti e i partiti populisti

hanno risolto questo dilemma con l’esaltazione del rapporto diretto e immediato tra popolo e

leader che, captando gli umori dei cittadini, riuscirebbe a bypassare il problema della

rappresentanza e a realizzare così le istanze provenienti dalla società o con la richiesta di

mandato imperativo, con il quale l’eletto dovrebbe rispondere continuamente al volere degli

elettori. Indubbiamente nel M5s esistono anche questi aspetti, ma la vera novità portata da

questo soggetto politico è l’espediente che viene usato per risolvere questo dilemma, che è a

nostro parere una risposta congeniale alla mentalità populista e che potrà in futuro essere

usato da altri movimenti di questo genere, ovvero l’uso della rete internet. Ne parleremo nelle

prossime pagine, dopo aver brevemente affrontato il tema dello stile e della retorica di Grillo.

Stile e retorica

«i nuovi concetti pass[a]no attraverso un linguaggio diverso. Noi abbiamo cercato di

ridenire il linguaggio politico.»81

Tanto si è parlato nei dibattiti giornalistici o in sede scienti8ca dell’uso della lingua da parte di

Grillo, del suo stile acceso e volgare. Qual è il motivo di questo stile? Possiamo dare due ordini

di spiegazioni. Intanto corrisponde alla mentalità populista, come abbiamo già visto in varie

occasioni, la volontà di sempli8care. Questo vale anche per l’uso del linguaggio, che porta

quindi i populisti alla valorizzazione del “parlare come il popolo”82. Da questa esigenza di

79 Post Lettera agli italiani di Beppe Grillo, 6/2/13.80 Comunicato politico n. 46.81 D. Fo, G. Casaleggio e B. Grillo, op. cit., pag. 13 [GC].82 Giovanna Cosenza (cfr. G. Cosenza, Come comunica Grillo: dal turpiloquio al linguaggio del corpo, in «Comunicazione

Politica», 1, 2013, pagg. 109-124) nota a questo proposito che una delle funzioni del turpiloquio in politica consiste proprio nell’avvicinare il politico alla gente comune. Cosenza osserva inoltre che un’altra strategia utilizzata da Grillo per simulare un dialogo paritetico con il suo pubblico è l’uso della seconda persona singolare – del “tu” – durante i suoi comizi. Questa simulazione di dialogo ricorda le considerazioni di Giorgio Fedel sull’uso del linguaggio da parte di Mussolini (cfr. G. Fedel, Saggi sul linguaggio e sull’oratoria politica, Giuffrè Editore, Milano 1999, pagg. 142-145): Fedel nota che il dialogo mussoliniano con la folla, fatto di domande retoriche e risposte plebiscitarie, è in realtà la negazione stessa del dialogo, non esistendo la possibilità dell’altro di dissentire od obiettare, essendo il leader l’unico portatore dei fatti e della verità. In questo senso possiamo affermare che la piazza nei comizi di Grillo da tradizionale luogo di mobilitazione

84

sempli8cazione deriva anche la convinzione che il politically correct sia usato dalle élites per

coprire la verità, la realtà delle cose. L’equazione populista è che a semplicità corrisponde

verità, e questo si rifette nel linguaggio nella volontà di “dire le cose come stanno”83. I media e

i politici al contrario ammantano con uno stile ricercato le menzogne, mentre gli unici

portatori di verità sono i populisti.

“«Zoccola», «piduista», «pedo8lo», «corruttore», «fottere», «ma8oso» se corrispondono veramente a

una zoccola, un piduista, un pedo8lo, un vecchio porco, un criminale sono parole che non si devono

pronunciare. La verità deve salvare la forma. La forma deve coprire la verità. Le parole dei servi. Il

perbenismo di regime. (…) Non si colpisce pi5 la sostanza di un’affermazione, ma la sua forma. La

sostanza non si può smentire. La verità è ormai palese, quasi sempre volgare. E, per occultarla, per

negarla, si giudicano le parole che la esprimono. Pi5 queste parole corrispondono nel sentire

comune alla verità, pi5 chi le pronuncia è colpevole. Non della verità, che non è mai menzionata, ma

delle parole per dirla.”84

“La nostra lingua, la libertà di parola, è minacciata, castrata da un neo puritanesimo, da un «politically

correct» as8ssiante che annulla la verità e uccide qualunque confronto. Una «Lourdes linguistica» che

edulcora e trasforma le parole, sostituisce la realtà, si pone come sudario sul corpo vivo della società. La

verità, nella sua semplice e brutale esposizione è diventata un oltraggio al pudore, al bon ton, uno sfregio

alla democrazia compiuta e alle Istituzioni (sempre siano lodate...). In questa calma di palude nulla deve

portare turbamento. L’indignazione gridata è una minaccia, ogni giudizio è un’offesa al galateo, alla

forma, a una categoria. Il Sistema, nelle sue varie e molteplici forme, diverse, ma protette dal medesimo

scudo di perbenismo, da una vernice di merda decennale che non puzza, ma soltanto «odora», usa il

politically correct per mozzare le lingue, etichettare, isolare chiunque ritenga altro a sé. (…) La verità

offende persino quando, per conclamarla, si usano metafore o perifrasi. Se la verità offende, la metafora

offende sommamente se riferita alla sfera sessuale. Giordano Bruno oggi non sarebbe pi5 bruciato a

Campo de’ Fiori con una mordacchia in bocca, ma analizzato nelle sue deviazioni intollerabili, nelle sue

enunciazioni eretiche, durante in8niti talk show e con fuori onda di novizi inconsapevoli di essere ripresi.

Scrisse Orwell in «Politics and the English Language»: «Se sempli8chi il tuo linguaggio, ti liberi dalle

peggiori follie dell’ortodossia. Non potendo pi5 parlare nessuno dei gerghi prescritti, se dici una

stupidaggine la tua stupidità sarà evidente anche a te. Il linguaggio politico è inteso a far sembrare

veritiere le menzogne e rispettabile ogni nefandezza, e a dare una parvenza di verità all’aria fritta». La

verità è ormai diventata insulto.”85

attiva diventa un luogo di spettacolo, in cui i partecipanti hanno un ruolo prevalentemente passivo, da spettatori, appunto.

83 “populist leaders, since they need to be seen to be still ordinary men and women untainted by their association with the murky world of politics, tend to break the conventional linguistic registers and codes employed by the political class, adopting instead a «direct» and at times even offensive language and style of communication.” D. Albertazzi e D. McDonnell, op. cit., pag. 7.

84 B. Grillo, A riveder le stelle, cit., pag. 169.85 Post Il capitano Achab e il politically correct, 11/11/12.

85

In secondo luogo, i movimenti, i partiti e soprattutto i leaders populisti fanno leva sul registro

della provocazione per un motivo strategico legato alle dinamiche della comunicazione

politica. Poiché solitamente gli attori populisti non hanno – almeno inizialmente – nulla da

perdere a livello di consensi, il loro linguaggio mira volontariamente a scuotere. Mentre la

politica convenzionale tende a eliminare la violenza dalla politica – risolvendo confitti

attraverso procedure paci8che, utilizzando di conseguenza codici di comportamento e modi di

parlare che proibiscono alcuni riferimenti –, è proprio sulla violazione di quei tab5 che i

populisti fondano la loro attività. Quindi è per le dinamiche della notiziabilità di cui abbiamo

trattato nel capitolo precedente che i populisti con la loro retorica godono di un vantaggio

comparato, alimentando i media (soprattutto quelli televisivi, secondo Mény e Surel) con

provocazioni, frasi a effetto e con il semplicismo delle soluzioni proposte86.

3.2 Internet e democrazia

È molto radicata una concezione secondo cui i nuovi media deterrebbero in sé un potenziale

democratico; questi sarebbero in grado di riportare la nostra democrazia a un’età dell’oro,

fatta solitamente coincidere con l’epoca delle poleis greche87. L’idea che i nuovi media siano

intrinsecamente democratici, che siano cioè in grado di garantire e di determinare esiti

esclusivamente democratici ai processi sociali, non è un’idea nuova: si inserisce pienamente nel

solco della tradizione che vuole che il comparire di ogni nuova tecnologia della comunicazione

determini una rottura secca col passato e l’inaugurazione di una nuova epoca, in una logica di

assoluta discontinuità88. Convinti – come spiegheremo in dettaglio nelle righe seguenti – di

dover procedere con un approccio realistico verso le nuove tecnologie, soprattutto in campo

politico, passiamo a trattare sinteticamente dei rapporti tra internet e democrazia,

distinguendo tra le posizioni degli ottimisti-utopisti e quelle dei pessimisti-critici, al 8ne di

tracciare un quadro teorico che ci servirà per analizzare nel capitolo seguente la concezione e

86 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pagg. 114-118. Nonostante l’avversione dichiarata nei confronti del mezzo televisivo, la strategia usata da Grillo rispecchia una elevatissima capacità di gestione dei mezzi di comunicazione. Il fatto di ri8utare qualsiasi intervista non ha impedito infatti che ogni sua presa di posizione venisse riportata nei tradizionali mezzi di comunicazione. Sul rapporto tra media e populismo cfr. anche G. Mazzoleni, Populism and the Media, in D. Albertazzi e D. McDonnell (a cura di) op. cit., pagg. 49-64. “The existence of a «media populism» that has its origins in the typical patterns and practices of commercial media outlets (such as the tabloid press, talk radio and infotainment TV shows) offers an undoubted, if largely unintentional, backdrop to the fowering of populist climates by disseminating sentiments ranging from popular discontent on particularly hot issues to vehemently anti-political attitudes. This is why researchers refer to a «convergence of goals» between the media and populists. They need each other. The media must cover the sensational stories provided by contentious, often famboyant (and in some cases «media darling») 8gures while populist leaders must use the media to enhance the effectiveness of their messages and build the widest possible public support” (G. Mazzoleni, Populism and the Media, cit., pag. 62).

87 Cfr. S. Bentivegna, Politica e nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 3.88 Cfr. D. Pittèri, Democrazia elettronica, Laterza, Roma-Bari 2007, pag. 9.

86

l’uso di internet nella retorica e nella pratica di Grillo e del M5s.

Trattando del rapporto tra tecnologia e società, possiamo individuare essenzialmente due

approcci: quello del determinismo tecnologico e quello del determinismo sociale. Secondo il

primo, le tecnologie producono automaticamente cambiamenti sociali e politici – in questo

caso si ritiene che la rete in sé possa trasformare radicalmente le istituzioni e i processi della

democrazia rappresentativa – mentre per il secondo sono le forze sociali e gli attori politici a

plasmare le tecnologie in base alle proprie esigenze: qualsiasi cambiamento è comunque

8ltrato e determinato dalle istituzioni e dagli attori che detengono il potere. Il primo approccio

è quello degli ottimisti o utopisti, per cui internet porterebbe di per sé miglioramenti nel

rendimento delle democrazie o ne aiuterebbe la diffusione in contesti non democratici, mentre

per i sostenitori del secondo la diffusione di internet non porterebbe alcun cambiamento nella

struttura del potere e nei rapporti sociali89; posizioni che ricordano, mutatis mutandis, la famosa

contrapposizione tra “apocalittici” e “integrati” descritta da Umberto Eco90. A nostro parere,

per capire il rapporto tra le nuove tecnologie e la democrazia è pi5 utile un approccio

“realistico”, per cui è vero che le tecnologie della comunicazione si diffondono e trasformano

in base all’esigenza degli attori sociali e politici, ed è quindi importante studiare il contesto in

cui si sviluppano, ma non si può d’altra parte ignorare che i media digitali hanno delle

caratteristiche peculiari, che rendono pi5 facili alcuni esiti rispetto ad altri. Insomma,

“internet è un insieme di tecnologie intrinsecamente politiche, ma il suo utilizzo politico

dipende da decisioni prese in contesti eminentemente politici”91.

Quali sono queste caratteristiche peculiari di internet, o almeno le pi5 importanti da mettere

in relazione con la pratica democratica? Bentivegna individua sette caratteristiche delle nuove

tecnologie dell’informazione e della comunicazione: l’economicità, la velocità, l’assenza di

con8ni, la multimedialità, la disintermediazione della comunicazione, l’interattività, la

compresenza di un fusso informativo verticale e orizzontale92. A nostro parere i tratti della

rete pi5 importanti da mettere in rapporto con la democrazia possono essere individuati in un

potenziale maggior controllo sulle informazioni e sui processi comunicativi da parte dell’utente e

nella possibilità di una maggiore decentralizzazione e disintermediazione, sia sul versante della

ricezione che su quello della produzione delle informazioni, sia per quanto riguarda la

partecipazione politica.

Passando quindi in rassegna le varie posizioni sul rapporto tra internet e democrazia, perché si

89 Cfr. C. Vaccari, La politica online, il Mulino, Bologna 2012, pagg. 11-12.90 Cfr. U. Eco, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani 1964.91 A. Chadwick, Internet Politics: States, Citizens, and New Communication Technologies, Oxford University Press, New

York 2006, pag. 21.92 Cfr. S. Bentivegna, op. cit., pag. 4.

87

ritiene che il primo favorisca la seconda? Nel quadro di una vasta insoddisfazione per il

funzionamento delle democrazie rappresentative, le nuove tecnologie concretizzano, o sembra

ad alcuni che lo facciano, la prospettiva di una democrazia trasformata nella direzione di un

allargamento della partecipazione, una partecipazione ancorata alla logica del web, capace di

creare un nuovo spazio pubblico e di mettere meglio in relazione sia i cittadini tra loro che la

società civile con il mondo politico93. I nuovi media avrebbero, secondo questa concezione,

alcune peculiarità proprie che li de8niscono come “tecnologia democratica”: consentono una

migliore qualità e maggiore disponibilità di informazioni, favorendo da parte di chi le riceve

un maggior controllo; favoriscono il decentramento nella produzione dell’informazione da

parte di un numero sempre maggiore di persone – anche se non muta la proprietà dei mezzi

di produzione, che restano nelle mani di pochi –; rafforzano insomma i quattro componenti

fondamentali di ogni ordinamento democratico: opinione pubblica informata, partecipazione,

dibattito razionale, rappresentanza94. Ma il potenziale democratico di internet e dei nuovi

media, determinando la nascita di molteplici opinioni pubbliche, di nuovi pubblici che

accedono alle informazioni, risiederebbe secondo taluni non solo nella trasformazione dei

processi di produzione e accesso alle informazioni, ma anche nella capacità di ricostruire

virtualmente un corpo politico libero da costrizioni di spazio e di tempo, offrendo in questo

modo nuove potenzialità di accesso alle principali dinamiche democratiche: la creazione di

gruppi organizzati attorno a interessi comuni, la manifestazione di preferenze, la possibilità di

deliberazione su argomenti di interesse comune95.

Secondo Castells, la pratica e le istituzioni della politica sono dipese da sempre dai processi di

informazione e comunicazione, perché le persone prendono decisioni in funzione degli stimoli

93 Cfr. D. Pittèri, op. cit., pag. 5. Il discorso che stiamo affrontando sulle posizioni riguardo il rapporto tra democrazia e nuove tecnologie comprende sia gli attori istituzionali che gli altri attori politici. Per quanto riguarda i primi, osserviamo che le potenzialità della rete per migliorare il funzionamento della democrazia sono state colte anche dalle istituzioni pubbliche, che infatti da ormai pi5 di un decennio sono impegnate a sviluppare politiche di e-democracy ed e-government. Mentre quest’ultimo riguarda il miglioramento dei servizi della pubblica amministrazione che, grazie alle nuove tecnologie, diventerebbe pi5 aperta e trasparente, pi5 orientata al servizio e pi5 produttiva, l’e-democracy riguarda in generale una maggiore e migliore partecipazione della cittadinanza ai processi decisionali pubblici, sempre grazie alle nuove tecnologie. Con l’e-democracy verrebbero migliorati sia gli aspetti dell’informazione, dell’accesso e della trasparenza, sia il livello della consultazione e ascolto dei cittadini, il controllo degli eletti e in8ne anche la partecipazione attiva. Tutto questo presuppone ovviamente interventi di inclusione delle fasce deboli e di riduzione delle disuguaglianze digitali. Cfr. R. Grandi, La comunicazione pubblica, Carocci, Roma 2007, pagg. 32-36. Anche l’e-democracy e l’e-government non sono immuni da criticità. Per quanto riguarda la prima, valgono le considerazioni generali sui rapporti tra internet e democrazia che svolgeremo, mentre per il secondo la criticità maggiore che è stata individuata in letteratura è la trasformazione del cittadino in utente.

94 “l’opinione pubblica informata, perché l’informazione in8nita recuperabile grazie a Internet supplisce alla scarsa articolazione della politica mediatizzata; la partecipazione, perché il narrowcasting e le modalità di ricerca di informazione la favoriscono; il dibattito razionale, perché la modalità di comunicazione orizzontale lo estende e lo facilita; la rappresentanza, perché l’accesso universale alle informazioni e ai processi dibattimentali possono rafforzarla e rilanciarla.” D. Pittèri, op. cit., pag. 11.

95 Cfr. ibidem, pag. 13.

88

e dei diversi tipi di informazione che arrivano loro a partire dall’ambiente comunicativo. E

questo ambiente dipende a sua volta dalla tecnologia e dall’organizzazione del processo della

comunicazione. I mezzi di comunicazione di massa costituiscono lo spazio pubblico, lo spazio

in cui vengono formate le opinioni e in cui i comportamenti vengono infuenzati. E in

democrazia questa stretta relazione tra comunicazione e politica gioca un ruolo ancora pi5

decisivo rispetto agli altri regimi, in quanto i cittadini decidono da chi saranno governati sulla

base delle informazioni che ricevono su ciò che è meglio per loro e per il paese. Questo non

signi8ca che i media sono i detentori del potere, ma qualcosa di ancora pi5 importante: essi

sono lo spazio nel quale il potere è costituito, dal momento che solo le informazioni che

accedono a questo spazio arrivano alla conoscenza dei cittadini. Oggi ci troviamo, secondo

Castells, alle soglie di una trasformazione epocale del sistema di comunicazione, caratterizzata

dallo sviluppo della “autocomunicazione di massa”: “di massa” perché è in grado di arrivare a

tutta la società, “auto” perché i messaggi vengono prodotti, ricevuti, selezionati e combinati da

individui o gruppi inter-relazionati tra loro e con la banca dati della rete nella sua totalità.

Internet sta trasformando il processo politico perché ha già trasformato lo spazio della

comunicazione: il monopolio informativo dei media di massa controllati da aziende e governi

è terminato. Anche se l’infrastruttura di internet ha dei proprietari, essi non possono, secondo

Castells, proibire l’accesso alla circolazione dei suoi messaggi, dal momento che la rete è

costituita da una rete globale di computer i cui server, in caso di chiusura autoritaria, possono

essere rimpiazzati da server collocati in altri paesi. “La democrazia nell’era di internet non è la

democrazia dei partiti. È la democrazia dei cittadini, fatta dai cittadini e per i cittadini”96.

A seconda di come si imposta il rapporto tra internet e democrazia possono essere

concettualizzati vari “scenari” politici futuri. Due in particolare sono quelli che ci interessano:

lo scenario della democrazia diretta e lo scenario della democrazia partecipativa97.

Nello scenario della democrazia diretta il potere è grazie alle nuove tecnologie direttamente

esercitato dalla totalità dei cittadini senza alcuna mediazione. È una visione che si inserisce in

una doppia cultura politica: quella che vede la “vera democrazia” nell’assoluta centralità del

popolo e quella che considera il web come un territorio libero e privo di qualsiasi vincolo.

Sono le tecnologie di per sé che cambiano le istituzioni e rimuovono la necessità della

rappresentanza, affermatasi per l’impossibilità di raccogliere l’opinione di tutti prima di ogni

deliberazione. In questo scenario il processo decisionale ha il sopravvento su quello

dibattimentale, e il rischio è quello di una “tirannia della maggioranza”.

96 M. Castells, La politica in ritardo nell’era di internet, in «Reset», 17/1/12.97 Cfr. D. Pittèri, op. cit., pagg. 20-24.

89

Nello scenario della democrazia partecipativa invece, le tecnologie consentono di generare

ambienti di dibattito pubblico da cui derivano processi e atti razionali – nel senso che sono

frutto di un processo che fa superare pregiudizi e interessi particolaristici – di deliberazione

politica. Questa visione discende dal concetto teorico di democrazia deliberativa98, al centro

della quale ci sono due aspetti: la possibilità di ripensare le proprie posizioni a seguito di un

processo di persuasione razionale e la necessità di una motivazione razionale delle

deliberazioni. Le condizioni per la deliberazione sarebbero soddisfatte automaticamente dai

nuovi media.

Se alcuni degli sviluppi presenti e futuri che vengono pre8gurati dai pi5 ottimisti sono fondati,

esiste però anche una sorta di “mitizzazione” della democrazia tramite internet: la cultura del

web si è nutrita e continua a nutrirsi infatti dell’idea che la rete sia un territorio libero e privo

di vincoli, un mondo basato sulla libertà di espressione, privo di élite e quindi che possa

annullare la necessità della rappresentanza politica, un mondo in cui è possibile instaurare

legami orizzontali tra uguali, svincolati da qualsiasi appartenenza geogra8ca, culturale o

98 Il corpus teorico e il repertorio di esperienze relative alla democrazia deliberativa e partecipativa è complesso e variegato, e questo è uno dei motivi per cui si riscontrano dif8coltà ogni qual volta si cerchi di fornire una de8nizione o un modello di democrazia partecipativa e di democrazia deliberativa che eviti sovrapposizioni totali o rigide distinzioni tra i due fenomeni. In letteratura è possibile rintracciare sia approcci che indicano in una chiara distinzione tra i due fenomeni la via da seguire (il discrimine tra di essi sarebbe la deliberazione, che colloca la democrazia deliberativa in un orizzonte differente o superiore rispetto alla democrazia partecipativa) che posizioni che, pur riconoscendo speci8cità e differenze, considerano la democrazia deliberativa una forma di democrazia partecipativa, una sua continuazione e un suo compimento (per il primo approccio cfr. G. Regonini, Paradossi della democrazia deliberativa, in «Stato e mercato», 73, 2005, pagg. 3-31; per il secondo cfr. B. Gbikpi, Dalla teoria della democrazia partecipativa a quella deliberativa: quali possibili continuit�?, in «Stato e mercato», 73, 2005, pagg. 97-130). Ciò che fuori da ogni dubbio i due modelli condividono sono le forme nuove di partecipazione dei cittadini alla vita democratica, che prevedono il loro coinvolgimento attivo in questioni di rilievo pubblico. Volendo dare una de8nizione minima dei due fenomeni, osserviamo che la democrazia deliberativa si con8gura come un paradigma normativo e prescrittivo nel quale è data particolare attenzione agli aspetti procedurali e metodologici pi5 che a quelli sostantivi, relativi agli esiti. Si può identi8care quale elemento cardine della teoria deliberativa il confronto dialogico basato su argomentazioni razionali tra i partecipanti posti su un piano paritario, condicio sine qua non di ogni processo che voglia con8gurarsi come deliberativo e requisito imprescindibile per il successo del processo dal punto di vista degli esiti. La teoria deliberativa prescrive in maniera puntuale la modalità attraverso la quale pervenire alla decisione: l’argomentazione basata sul bene comune, al 8ne di raggiungere un accordo condiviso, della cui bontà tutti siano persuasi. Le pratiche di democrazia deliberativa hanno luogo principalmente nell’ambito dei processi di decision-making, evidenziano una preponderanza della discussione pubblica e del confronto paritario di argomenti tra i partecipanti, prevedono un processo di modi8cazione delle preferenze originarie degli attori e hanno come effetto auspicato una decisione migliore poiché pi5 informata e partecipata. Una visione maggiormente orientata ai risultati è ciò che contraddistingue al contrario l’approccio partecipativo. L’interesse è rivolto agli esiti derivanti dalla partecipazione dei cittadini nei circuiti di decision-making, rispetto alle condizioni procedurali. La democrazia partecipativa è caratterizzata, inoltre, dalla connessione con la dimensione politico-decisionale: la sua ragion d’essere risiede proprio nell’apertura dei circuiti decisionali ai cittadini, al 8ne di convergere verso obiettivi che incidono direttamente sulla qualità della vita democratica. Le esperienze di democrazia partecipativa si svolgono prevalentemente nell’ambito delle politiche pubbliche; riguardano principalmente la fase di de8nizione delle politiche; mirano a coinvolgere nei processi di policy tutti i soggetti che sono o possono essere colpiti dagli effetti di una politica e hanno come effetto auspicato la quali8cazione democratica dell’azione pubblica. Cfr. L. Mazzuca, Democrazia partecipativa e democrazia deliberativa: alcune rifessioni sul modello di Fung e Wright, paper presentato al XXIV convegno Sisp (2010), pagg. 1-5.

90

ideologica99.

Ma quali sono invece le criticità che emergono dal rapporto tra internet e democrazia? Un

primo catalogo ce lo fornisce Rodotà, che individua i “sette peccati capitali” di internet 100

nella diseguaglianza (l’ormai nota questione del digital divide); nello sfruttamento commerciale e negli

abusi informativi; nei rischi per la privacy; nella disintegrazione delle comunit�; nei plebisciti istantanei;

nella tirannia di chi controlla gli accessi; e nella perdita del valore del servizio pubblico e della responsabilit�

sociale. Rodotà non manca di sottolineare anche le virt5 della rete, prima tra tutte l’opportunità

di dare voce a un numero sempre pi5 largo di soggetti individuali e collettivi e di produrre e

condividere la conoscenza.

Uno dei rischi paventati dai meno ottimisti, che fa da contraltare alla speranza di sviluppo di

una “democrazia diretta”, è quindi l’instaurarsi di una “democrazia plebiscitaria”: le nuove

tecnologie sarebbero capaci di determinare un legame immediato tra le preferenze dei

cittadini e le decisioni politiche, una “democrazia istantanea”, con il continuo ricorso a

sondaggi e referendum che ridurrebbero i processi partecipativi a un insieme di domande e

risposte, lasciando prevalere una pericolosa “logica della maggioranza” che destina all’oblio il

parere delle minoranze e demanda di fatto il potere decisionale a chi decide quali sono le

domande da porre101.

Altre criticità che possono essere individuate sono secondo Ferrazzi102 la polarizzazione e

frammentazione delle opinioni su internet e il sovraccarico informativo. Per quanto riguarda

la frammentazione dell’opinione pubblica, effettivamente una delle novità apportate nel

panorama informativo da internet è la personalizzazione103, per cui potenzialmente ogni

utente può ricevere informazioni solo sui temi da lui prescelti, oppure decisi in automatico dal

software; questo – da una parte – cambia radicalmente la struttura dell’opinione pubblica, in

passato informata da media broadcasting che davano in un certo senso una forma unitaria alla

comunità nazionale e può preludere – dall’altra – a forme latenti di sorveglianza. Per quanto

99 Cfr. D. Pittèri, op. cit., pag. 14.100 S. Rodotà, I sette peccati capitali di Internet (e le sue virtù), in «la Repubblica», 6/3/07.101 Cfr. D. Pittèri, op. cit., pagg. 5-6. Si noti che, pur con nomi diversi, democrazia “diretta” e “plebiscitaria”

sono pressoché la stessa cosa nelle concettualizzazioni degli ottimisti e dei pessimisti. La scelta del nome, come ovvio, ci informa sulla preferenza per un tipo piuttosto che un altro di democrazia.

102 Cfr. A. Ferrazzi, Se la democrazia nisce nella rete, paper presentato al XXVI convegno Sisp (2012), pag. 8.103 La web personalization può essere de8nita, dal punto di vista tecnico, come un metodo di selezione,

classi8cazione e 8ltro degli oggetti del web attraverso il quale l’interazione tra l’utente ed il sito web è mediata. La personalizzazione può servire l’interesse delle agenzie economiche, con la creazione di spazi d’interazione in cui si rafforza la dipendenza del soggetto dalle procedure di controllo (cfr. D. Calenda e D. Lyon, Culture e tecnologie del controllo: rifessioni sul potere nella societ� della rete, in «Rassegna italiana di sociologia», XLVII, 4, 2006, pag. 602), oppure nel campo pi5 propriamente politico può trasformare il cittadino in una sorta di “cittadino gestito” (“managed citizen”): cfr. D. Campus, Comunicazione politica: le nuove frontiere, Laterza, Roma-Bari 2008, pag. 108-119).

91

riguarda invece il sovraccarico informativo possiamo far riferimento a Dahl104: questo autore,

trattando della s8da dell’educazione dei cittadini, afferma che se uno dei criteri fondamentali

del processo democratico è la presenza di un’opinione pubblica ben informata, grazie al

“costo relativamente contenuto delle comunicazioni e dell’informazione, la quantità di notizie

politiche disponibili, a tutti i livelli di complessità, è cresciuta enormemente. Tuttavia questa

maggiore disponibilità di informazioni non necessariamente produce una maggiore

competenza e una pi5 chiara comprensione: le dimensioni degli insiemi politici, la complessità

e la pi5 ampia quantità di informazioni sottopongono invece i cittadini a una pressione

superiore”105. Emerge qui il problema del discrimine tra quantità e qualità delle informazioni

prodotte e diffuse via internet, e se per il versante ottimista l’abbondanza di informazioni

porta a una maggiore e pi5 approfondita conoscenza delle questioni politiche, per altri

potrebbe portare a una scomparsa delle questioni complesse, schiacciate dal ritmo frenetico

dell’informazione online. Anche secondo Bentivegna l’automatismo tra aumento dell’offerta

informativa e partecipazione deve essere rivisto: non basta infatti che ci siano pi5 occasioni

per avere informazioni perché esse siano acquisite: al crescere dell’offerta aumenta anche la

dif8coltà di elaborazione delle informazioni106.

Un ultimo punto di criticità che possiamo evidenziare è il falso mito della disintermediazione:

la rete infatti non ha – come nella retorica ottimista viene spesso evidenziato – eliminato gli

intermediari tout court, ma li ha semplicemente cambiati. Con l’aggravante che, se gli

intermediari politici del mondo offine sono soggetti a vincoli di accountability, i nuovi

intermediari della rete sono delle società private non soggette a quei vincoli107. Formenti parla

a questo proposito di “mitologie” sulla rete, e una di quelle individuate nel suo Cybersoviet è

appunto che “la rete non può essere controllata”108. Secondo Formenti “internet non ha

affatto eliminato gli intermediari”109: giganti come Google fondano il loro business proprio

sull’intermediazione, esercitando una funzione di 8ltro in assenza della quale nessuno sarebbe

in grado di trovare informazioni. I nuovi intermediari sono inoltre società con sedi 8siche

disseminate in vari paesi del mondo, soggette quindi alle leggi e alle pressioni di quei paesi.

Come concludere questa rassegna delle posizioni sul rapporto tra internet e democrazia?

Se le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono essere viste – ed usate

104 Cfr. R. Dahl, Sulla democrazia, Laterza, Roma-Bari 2002, pagg. 189-198.105 Ibidem, pag. 197.106 Cfr. S. Bentivegna, op. cit., pag. 34.107 Assistiamo, secondo Calenda e Lyon, a “una progressiva fuoriuscita dei meccanismi di classi8cazione sociale

dai processi di scrutinio etico e sociale, dai luoghi delle democrazia deliberativa e degli strumenti di accountability democratica”. D. Calenda e D. Lyon, op. cit., pag. 586.

108 Cfr. C. Formenti, Cybersoviet, Raffaello Cortina Editore, Milano 2008, pagg. 201-216.109 Ibidem, pag. 211.

92

– nella duplice veste di tecnologie di libertà e di controllo110, riteniamo sia pi5 utile ai 8ni

dell’analisi politica rifarci a una posizione “realistica” sull’uso delle nuove tecnologie in

democrazia. Non perché, banalmente, in medio stat virtus, ma perché siamo dell’opinione che la

tecnologia, sempre tenendo conto dei suoi caratteri peculiari, sia uno strumento i cui risultati

dipendono dall’uso che se ne fa e dal contesto in cui viene utilizzata. “La democrazia

elettronica non è né buona né cattiva in sé, ma può assumere l’una o l’altra valenza a seconda

che si sciolgano alcuni nodi o che si impongano aspetti inquietanti che quei nodi originano;

può concretizzarsi in forme sociali nuove centrate sulla partecipazione dei cittadini ai processi

deliberativi della politica o può trasformarsi in una società del controllo, consapevolmente

accettata dalle persone, con interrogativi sui diritti e sulle libertà individuali, sul

condizionamento dei mercati e delle relazioni sociali”111.

Osservando la realtà sociale si nota che, nonostante la maggiore disintermediazione permessa

da internet, i parlamenti nell’età della comunicazione e dell’informazione non sono scomparsi,

e siamo lungi dal prospettare una società in cui ogni cittadino può partecipare alle decisioni

politiche attraverso referendum elettronici. Per quanto riguarda il controllo dell’informazione,

invece, se la mole di materiale che può servire ai cittadini per informarsi o controllare i propri

rappresentanti è cresciuta con l’affermarsi della rete, la sua disponibilità dipende da atti, leggi

e decisioni in mano a quel potere politico che i cittadini dovrebbero controllare, e la sua

qualità non sempre è all’altezza delle aspettative degli ottimisti. Insomma, le nuove tecnologie

possono creare le condizioni per una maggiore partecipazione e informazione, ma non sono

determinanti per la realizzazione di un modello di democrazia piuttosto che un altro112.

Così, se per alcuni la tecnologia è la panacea di tutti i mali e se per altri è l’anticamera di una

non meglio precisata virata populista (in cui l’aggettivo viene solitamente usato con intento

polemico e volontà di delegittimazione), ci sentiamo di affermare che, considerato come risorsa

retorica e organizzativa, internet può fornire molte opportunità ad attori populisti. Questo è

l’argomento che affronteremo, dopo aver analizzato nello speci8co la concezione e l’uso di

internet da parte del M5s.

110 Cfr. D. Calenda e D. Lyon, op. cit., pag. 583.111 D. Pittèri, op. cit., pag. V.112 Cfr. S. Bentivegna, op. cit., pag. 35. Crediamo inoltre, come già accennato, che af8nché i nuovi media possano

creare le condizioni per una maggiore partecipazione e per una migliore informazione, sia necessario creare le condizioni perché ciò sia possibile. E questo, ancora una volta, è un nodo che l’autorità politica ha il compito di sciogliere, sia sotto il punto di vista della diffusione della tecnologia, sia sotto il punto di vista delle concrete possibilità e capacità dei cittadini di accedervi.

93

3.3 Internet e M5s: concezione e uso

Parlando del ruolo di internet nel M5s, non si può non evidenziare l’importanza che questo ha

avuto – e ha tuttora – per la fondazione del Movimento, nella sua retorica e nel suo operare

quotidiano. Però, per non compiere generalizzazioni semplicistiche e fuorvianti, bisogna

anche sottolineare alcune criticità e operare dei distinguo, due in particolare. Il primo

riguarda lo iato tra la concezione, la retorica su internet e il reale uso da parte di questo attore

politico, il secondo quello tra la concezione e l’uso della rete da parte di attori interni al

Movimento (fondatori, eletti e attivisti) e da parte degli elettori. In questo paragrafo tratteremo

primariamente e principalmente della concezione sia generale che pi5 propriamente politica

della rete nella retorica del M5s. Analizzeremo successivamente l’uso che della rete internet

fanno fondatori, eletti e attivisti a livello nazionale. Cercheremo di capire in8ne perché la rete

internet, o meglio il discorso ottimista su questa, può essere considerata un’importante risorsa

retorica e organizzativa per i movimenti populisti e in generale per i movimenti “redentori”.

Riprendendo la distinzione delineata nel precedente paragrafo, la retorica del M5s si pone

senza dubbio nel solco degli ottimisti o utopisti. La “Rete” – spesso il termine è scritto con la

prima lettera maiuscola, signi8cativo dell’importanza data allo strumento113 – è vista nel

discorso di Grillo come uno strumento che porterà cambiamenti e miglioramenti in svariati

campi dell’agire umano di per sé, senza mai accennare al contesto, considerando la tecnologia

come l’unica causa del cambiamento sociale. [“La rete sta imponendo alla nostra intelligenza

un’accelerazione impensabile 8no a qualche anno fa.”114; “La Rete rende le persone

consapevoli e favorisce nuove forme di aggregazione, di partecipazione.”115; “Google e in

generale la Rete non ci renderanno meno intelligenti, ma pi5 informati, pi5 critici, pi5

interconnessi, parte dell’intelligenza collettiva.”116]. Il discorso di Grillo si inscrive quindi nella

corrente che abbiamo de8nito del “determinismo tecnologico”, e questo anche nella

considerazione di internet come un nuovo medium che crea forte discontinuità, sia nel

panorama comunicativo che in generale nella società.

“È in corso una guerra tra due mondi, tra due diverse concezioni della realtà. Può apparire lenta, quasi

impercettibile, invece è feroce e sempre pi5 rapida, caratterizzata da continue imboscate e avanzamenti

improvvisi. È nascosta dai media, temuta dai politici, contrastata dalle organizzazioni internazionali,

avversata dalle multinazionali. Questa guerra totale, che coinvolge ogni aspetto della nostra vita e mette

in discussione strutture economiche e sociali date per scontate da secoli, è dovuta alla diffusione della

113 Riportiamo fedelmente quanto scritto nei vari testi: talvolta è scritto in maiuscolo talvolta in minuscolo.114 D. Fo, G. Casaleggio e B. Grillo, op. cit., pag. 66 [BG].115 G. Casaleggio e B. Grillo, Siamo in guerra, cit., pag. 43.116 Ibidem, pag. 146.

94

Rete.”117

“In un tempo relativamente breve (…) nulla sarà pi5 come prima. Scompariranno i media tradizionali,

svanirà gran parte delle strutture gerarchiche che regolano i vari aspetti della società e dell’economia.

Tra queste, anche i partiti, che saranno sostituiti dai movimenti.”118

La rete è portatrice solo di caratteristiche innovatrici positive: disintermediazione [“La Rete

erode e distrugge ogni intermediazione senza valore aggiunto.”119; “Con la Rete la barriera tra

cittadino e istituzioni può essere superata.”120], assenza di leader [“La parola leaderless è una

parola nuova, prima non c’era. La rete favorisce questo cambiamento lessicale.”121], la

trasparenza [“In Rete (…) la trasparenza è d’obbligo, non si può mentire.”122], la creazione di

comunità e la possibilità di instaurare una “vera” democrazia, che – lo ricordiamo – nella

concezione populista è quella in cui la sovranità appartiene veramente al popolo, e si avvicina

alla democrazia diretta [“La Rete ride8nisce il rapporto fra cittadino e Stato, il cittadino

diventa Stato.”123].

“«Ognuno vale uno». La Rete può essere spiegata con queste tre parole che stanno alla base della

democrazia diretta e della nascita di movimenti orizzontali, transnazionali, universali che, per la prima

nella storia, hanno la possibilità di condizionare e determinare le scelte che riguardano la propria vita,

dal quotidiano al planetario, dal quartiere della propria città all’Onu.”124

“La democrazia di Atene si fondava sull’idea di comunità (…) Quel linguaggio e quei valori sono venuti

meno nel corso della storia. Questo nostro mondo si dice «democratico» ma ne è rimasto privo. (…)

l’impianto strutturale del potere rimane per secoli nell’ambito di una struttura gerarchica verticale, con

dei leader, con delle classi create appunto per mantenere in piedi una struttura rigida ma spesso molto

debole. Siamo lontani dalla democrazia ateniese, la storia ha preso un’altra piega. Forse la rete può

aiutare a ritrovare quell’ispirazione che ci rende uguali nell’essere intelligenti. E per questo non c’è

bisogno di un leader, di un capo carismatico cui riferirsi.”125

“la rete consente la creazione di comunità, 8n dall’inizio, 8n da quando è nata. Possono essere

comunità di qualunque natura, anche politiche, oggi il M5S è una comunità politica. Uno dei nostri

slogan è “nessuno deve essere lasciato indietro”, uno slogan di comunità.”126

117 Ibidem, pag. 3.118 Ibidem, pag. 7.119 Ibidem, pag. 10.120 Ibidem, pag. 55.121 D. Fo, G. Casaleggio e B. Grillo, op. cit., pag. 12 [GC].122 G. Casaleggio e B. Grillo, Siamo in guerra, cit., pag. 80.123 Ibidem, pag. 188.124 Ibidem, pag. 7.125 D. Fo, G. Casaleggio e B. Grillo, op. cit., pag. 20 [GC].126 Ibidem, pag. 11-12 [GC].

95

Sembra infatti che nella retorica del M5s sugli effetti politici di internet trovi posto lo scenario

che abbiamo de8nito della democrazia diretta [“La politica della delega non ha pi5 alcun

senso con la Rete. Il cittadino entra in politica in prima persona.”127] pi5 che quello della

democrazia partecipativa (o meglio, deliberativa).

“Se il mondo fosse indicizzato e misurabile, l’umanità potrebbe prendere decisioni in tempo reale senza

delegarle ai cosiddetti esperti e alle Authority preposte, generalmente cieche e sorde. Non è un’utopia,

sta già avvenendo.”128

“se i cittadini sono correttamente informati reagiscono e assumono decisioni in modo autonomo. Ecco

l’importanza dei referendum propositivi in una democrazia.”129

“Il nuovo mondo sarà postideologico. (…) le masse informate non hanno pi5 né il bisogno né la volontà

di delegare ad alcuno il loro destino. I referendum via Rete senza quorum e propositivi diventeranno la

normalità. Le Costituzioni dei vari paesi potranno essere ridiscusse online ogni volta che sarà ritenuto

necessario, come è avvenuto in Islanda nel 2011. I programmi politici saranno scritti dai cittadini e ogni

nuovo punto dovrà essere approvato prima della sua attuazione. Ogni spesa non coperta sarà soggetta

alla volontà della popolazione.”130

Come abbiamo visto, nello scenario della democrazia diretta il potere è direttamente

esercitato dalla totalità delle persone senza alcuna mediazione grazie alle nuove tecnologie:

queste ultime rimuovono la necessità della rappresentanza, risolvendo il problema

dell’impossibilità di raccogliere l’opinione di tutti prima di ogni deliberazione, portando il

processo decisionale alla 8ne a prevalere su quello dibattimentale. Diversamente, nello

scenario della democrazia partecipativa le tecnologie consentono primariamente di generare

ambienti di dibattito pubblico da cui derivano processi e atti razionali, viene esaltata la

possibilità di ripensare le proprie posizioni a seguito di un processo di persuasione razionale e

la necessità di una motivazione razionale alle deliberazioni. Il processo decisionale insomma

passa in secondo piano rispetto a quello dibattimentale. Dall’analisi del discorso di Grillo

emerge una predilezione per il primo scenario descritto: la rete viene esaltata infatti, oltre che

come tecnologia salvi8ca che migliorerebbe – insieme a ogni aspetto della vita degli uomini –

la qualità delle informazioni in possesso dei cittadini, come mezzo per portare l’intera

popolazione a decidere su tutte le questioni che la riguardano in una sorta di democrazia

istantanea o plebiscitaria, con un legame immediato tra preferenze dei cittadini e le decisioni

politiche.

127 Comunicato politico n. 26.128 G. Casaleggio e B. Grillo, Siamo in guerra, cit., pag. 172.129 D. Fo, G. Casaleggio e B. Grillo, op. cit., pag. 81 [BG].130 G. Casaleggio e B. Grillo, Siamo in guerra, cit., pag. 13.

96

Con internet nel discorso del M5s si risolve quindi il problema fondamentale della democrazia

diretta in comunità di grandi dimensioni: come ascoltare l’opinione di tutti prima di ogni

decisione, quando le decisioni da prendere coinvolgono l’intera comunità politica statale, o

comunque una porzione non ristretta di popolazione? Abbiamo visto che questo è un

problema anche dei populisti: come conciliare l’aspirazione a dare il potere a tutto il popolo

con la sua concreta realizzazione? Per Aaron Wildavsky131 la leadership carismatica appare

nelle organizzazioni ugualitarie, risolvendo il problema dell’azione collettiva nei gruppi fondati

sull’idea che le decisioni devono essere approvate da ogni membro: la 8gura del leader

impersona la volontà del popolo. Se ci si ri8uta di delegare il potere di decisione, perché la

rappresentanza equivale al tradimento, il dilemma può essere risolto solo attraverso

l’identi8cazione del gruppo con un uomo che impersona pienamente le aspirazioni del

popolo132. Con la rete, si dice, il ricorso alla delega (quindi alla rappresentanza e ai partiti) non

sarà pi5 necessario, perché ognuno potrà prendere parte alle decisioni che lo riguardano.

Quindi con questo tipo di discorso sulla rete anche il ruolo del leader cambia. A quest’ultimo

si riconosce ancora la capacità di sentire il volere del popolo, ma la legittimità dei suoi atti (e del

suo sentire) ha un referente fondamentale, che sia genuino o manipolato: è la rete che lo guida

e che lo indirizza sulla giusta via. Ed è la rete che avrebbe il potere di delegittimarlo, ipotesi

remota per vari motivi, passando dall’astratto al concreto, uno su tutti la manipolabilità della

rete, soprattutto quando se ne fa un uso centralizzato.

E “spazi di comunicazione centralizzati” sono de8niti da Lanfrey133 quelli del M5s. Il blog di

Grillo è al contempo facilitatore di interazioni, portale informativo e ampli8catore di azioni

locali: si coprono insomma le dif8coltà nello sviluppare un coordinamento nazionale

attraverso la creazione centralizzata di spazi di comunicazione. Il blog è un catalizzatore di

coordinamento, un aggregatore di esperienze dif8cilmente coordinabili, il “cuore meta-

organizzativo” del movimento. Ma chi ha le “chiavi” del blog, che è pressoché l’unico o

comunque lo spazio pi5 visibile del movimento? Un gruppo di persone (quello che viene

chiamato “lo staff ”) che ha il potere discrezionale di decidere cosa pubblicare e soprattutto di

decidere le regole delle votazioni. Ma andiamo per ordine.

Passando dalla concezione all’uso e visto che non è ancora possibile, visto lo stato della

131 Cfr. A. Wildavsky, The Nursing Father: Moses as a Political Leader, University of Alabama Press, Alabama 1984.132 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pag. 108-9. Il ri8uto ideologico della delega non è una particolarità dei

movimenti populisti, e a nostro parere la teoria di Wildavsky non vale per tutti i movimenti ugualitari: possiamo trovare molti esempi nella storia di gruppi fondati sulla pratica assembleare in cui non emergono leaders.

133 Cfr. D. Lanfrey, Il movimento dei grillini tra meetup, meta-organizzazione e democrazia del monitoraggio , in L. Mosca e C. Vaccari (a cura di), Nuovi media, nuova politica? Partecipazione e mobilitazione online da MoveOn al Movimento 5 stelle, FrancoAngeli, Milano 2011, pagg. 151-153.

97

tecnologia e della sua diffusione, pervenire alla democrazia diretta nel senso visto sopra,

vediamo come si pone il M5s per le decisioni interne al movimento stesso134, quelle che

coinvolgono i suoi membri. Rielaborando le teorizzazioni di Uleri sul referendum135, possiamo

tracciare un continuum per quanto riguarda il potere decisionale nell’organizzazione da noi

presa in considerazione in cui a un polo corrisponde un maggior potere della base e all’altro un

maggiore potere del leader. Secondo Uleri tanto maggiore è il controllo dei governanti sul potere di

attivazione delle votazioni referendarie, tanto minore sarà il grado di trasferimento del potere

decisionale dai governanti ai governati, e viceversa136; questo vale anche nel nostro caso, anche

se non si tratta (o non si tratta solo) di votazioni referendarie, sostituendo a governanti

“leader” e a governati “base”. A questo continuum possiamo sovrapporre altri due poli: quello

della proposta – che corrisponde al potere della base – che si sostanzia in un ruolo attivo nel

concreto del membro del M5s (potere di promuovere le consultazioni/potere di essere autore

del contenuto delle consultazioni) e quello del controllo, che si sostanzia in un ruolo passivo del

membro (la base non ha il potere di promuovere le consultazioni, lo ha solo il leader/la base

non ha il potere di essere autrice del contenuto della consultazione). A nostro parere, l’uso

della rete nel M5s si pone – nel continuum appena tracciato – pi5 nella direzione del polo del

controllo/leader che in quella della proposta/base; vediamo perché.

Rielaborando la tipologia di Uleri delle consultazioni procedurali facoltative137, costruiamo una

tipologia delle consultazioni online che potrebbero avvenire in un movimento o partito138.

Dicotomizziamo la variabile promotore della consultazione e autore del contenuto della

consultazione: nella tipologia che vogliamo costruire può essere alternativamente il leader o la

base a promuovere una votazione e ad essere autore del contenuto.

Quando il promotore della consultazione è il leader chiameremo questo tipo referendum,

quando è la base iniziativa; quando i due attori (chi promuove e l’autore del contenuto)

coincidono, la consultazione è propositiva, altrimenti di controllo139. Il continuum del potere

134 Per adesso sono solo quattro le consultazioni nazionali del M5s: le “parlamentarie”, le “quirinarie”, i voti per l’espulsione del senatore Mastrangeli e della senatrice Gambaro.

135 Cfr. P. V. Uleri, Referendum e democrazia, il Mulino, Bologna 2003, pagg. 57-109.136 Cfr. ibidem, pag. 65.137 Le consultazioni procedurali avvengono nell’ambito di un principio generale sancito per legge, la procedura è

inoltre disciplinata da regole prestabilite in via generale. Le consultazioni discrezionali sono invece quelle per cui non esistono regole prestabilite in via generale, e sono eventualmente disciplinate da regole ad hoc. La presenza o meno di principi e regole generali che siano tali da prestabilire una o pi5 fattispecie referendarie riduce o annulla i margini di discrezionalità degli attori. Cfr. ibidem, pagg. 66-67. Altre classi8cazioni dei fenomeni referendari sono: consultazioni facoltative od obbligatorie (nell’ambito delle consultazioni procedurali); consultazioni imperative o consultive (in relazione all’esito formale del voto, vincolante o meno per i governanti). Rielaboreremo questa tipologia e utilizzeremo questi termini adattandoli al fenomeno da noi prescelto, andando quindi oltre al signi8cato originario.

138 Il ruolo che nella tipologia ha il leader può essere sostituito da una direzione collegiale o un altro simile organismo. La distinzione è comunque tra processi che derivano “dall’alto” o “dal basso”.

139 Quindi “referendum di controllo” si ha quando il leader ha il potere di indire una consultazione, ma il

98

decisionale tra base e leader va dal referendum propositivo (massimo potere del leader)

all’iniziativa propositiva (massimo potere della base)140.

Tab. 3.1 Tipologia delle consultazioni online

Promotore votazione e autore della decisione oggetto del voto

Promotore ≠ autore Promotore = autore

Promotore della consultazione

Leader Referendum di controllo Referendum propositivo

Base Iniziativa di controllo Iniziativa propositiva

Fonte: adattamento da Uleri, op. cit., pag. 99.

Un’altra variabile molto importante per capire dove si pone il M5s nel continuum che

abbiamo immaginato è capire chi scrive le regole delle votazioni. Chi ha deciso – ad esempio

– che alle “parlamentarie” potevano votare gli iscritti a una certa data, e si potevano

candidare i membri del M5s che si erano già candidati in precedenza ma non erano stati

eletti141? Chi ha deciso il “quorum” del 20% per le proposte di legge da presentare

obbligatoriamente in parlamento, o scritto il codice di comportamento degli eletti?

Inevitabilmente, la creazione di queste regole non è stata condivisa con i membri del

Movimento.

E se nei casi citati sono presenti regole codi8cate – talvolta create ad hoc come nel caso delle

parlamentarie, talvolta sancite da un documento come il codice di comportamento – per

alcune fattispecie di votazioni le norme non esistono, ad esempio non c’è una regola che

disciplina la decisione di pervenire a una votazione nazionale “imperativa” di tutti gli iscritti;

non esiste insomma la possibilità di proporre quelle che nella tipologia sono chiamate

“iniziative”.

I membri hanno quindi il potere di esprimersi, nei casi in cui viene loro riconosciuto questo

potere, oppure hanno il potere di far arrivare alla discussione in parlamento una proposta142.

contenuto di quest’ultima emerge dalla base; “referendum propositivo” si ha quando il leader indice una consultazione ed è anche l’autore del contenuto della votazione; “iniziativa di controllo” si ha quando la base ha il potere di indire una consultazione ma il contenuto è una decisione o un atto del leader; “iniziativa propositiva” si ha quando la base ha il potere di promuovere una consultazione ed è anche autrice del contenuto della votazione.

140 Come funzionano le consultazioni nel M5s? Vediamo i quattro casi di votazioni nazionali.- Votazioni per l’espulsione di parlamentari dal Movimento: è una consultazione obbligatoria e procedurale. La funzione della votazione della rete è una rati8ca della decisione di espulsione presa dai parlamentari.- Proposte di legge: è una sorta di iniziativa propositiva, subordinata però all’essere approvata dal 20% degli iscritti. Le richieste di proposte di legge originate dal portale del Movimento 5 Stelle devono infatti obbligatoriamente essere portate in aula se votate da almeno il 20% dei membri.- Le “parlamentarie” e le “quirinarie”: i membri iscritti a una data stabilita hanno potuto votare il loro candidato per le elezioni politiche o per il presidente della repubblica.

141 Stesso discorso per le cosiddette “quirinarie”, ovvero le votazioni per il presidente della repubblica.142 Essendo gli iscritti al Movimento 48.292 al 31/12/12, il “quorum” sarebbe di circa 10.000 voti, la proposta

pi5 votata in assoluto nel forum arriva a quasi 8.000 voti, la seconda e la terza a pi5 di 2.000. Il forum del

99

Quindi, anche se nel M5s sono state sperimentate forme nuove e inedite di partecipazione,

cosa che dovrebbe far propendere per il polo della proposta, il de8cit che si riscontra è che –

pressoché inevitabilmente, a costo altrimenti della paralisi decisionale – il potere di decidere le

regole non è condiviso, ma è in mano al leader. Se infatti la presenza o meno di principi e

regole generali che siano tali da prestabilire una o pi5 fattispecie referendarie riduce o annulla

i margini di discrezionalità degli attori, una variabile importante per saggiare la discrezionalità

di consultazioni di questo tipo è: chi ha il potere di scrivere o cambiare le regole?

Riprendendo la domanda retorica formulata nelle pagine precedenti, chi controlla i controllori è

nella retorica del M5s “la Rete”. Se la rete manifestasse dubbi sull’operato del/dei fondatore/i

allora questi, come abbiamo detto, sarebbero moralmente (oppure – nel caso di consultazioni

imperative – obbligatoriamente) tenuti a cambiare rotta. Ma questo meccanismo dipende

anche, o forse soprattutto, dagli strumenti che si adoperano per il controllo, e da chi li controlla. E

gli strumenti adoperati nel M5s sono pi5 guidati dall’alto che diretti dal basso.

Se quindi l’operato dei fondatori è dif8cilmente criticabile, non si può negare che la funzione

di controllo degli eletti esiste (tipico dei movimenti e partiti populisti desiderare un maggior

controllo dell’operato dell’eletto, chiamato infatti “dipendente” o “portavoce” nella retorica

del M5s), anche se – non essendo previsto nel nostro ordinamento il mandato imperativo –

spesso il maggior risultato che si può ottenere nel sanzionare un “dissidente” è la sua

dimissione dal gruppo e non dall’assemblea.

“chiunque può veri8care quotidianamente l’operato del portavoce eletto. Già adesso i ragazzi eletti

nei comuni possono essere controllati sulla rete ogni giorno dai loro elettori. E se qualcosa non funziona

perché va contro le linee del MoVimento vengono messi sotto osservazione e, nel caso, in croce. (…)

Vuol dire che sulla rete arriva immediatamente uno tsunami tale che questa persona deve spiegare,

giusti8care le proprie azioni. (…) la rete è già un cervello che vede, capisce, comunica, agisce..”.143

Per concludere brevemente questa parentesi sull’uso del web e passando ai candidati del

Movimento, le ricerche empiriche indicano che questi non usano internet pi5 della media dei

candidati degli altri partiti, mentre sembra che gli elettori (o almeno gli elettori potenziali del

M5s) usino internet signi8cativamente pi5 degli altri, sia in generale che per informarsi144. Se

M5s (www.beppegrillo.it/listeciviche/forum/) è uno spazio oggettivamente caotico e male organizzato, in cui pare impossibile riuscire ad aggregare delle proposte serie o sviluppare un dibattito costruttivo. Parlando con gli attivisti del M5s o leggendo i commenti online, molti riconoscono questo problema del livello nazionale. Da quando seguiamo l’argomento M5s ai 8ni dell’elaborazione di questo lavoro (giugno 2012), gli attivisti si dicono in attesa di un imminente “nuovo portale” per la discussione, che nel momento in cui scriviamo (agosto 2013) non è ancora stato presentato.

143 D. Fo, G. Casaleggio e B. Grillo, op. cit., pag. 33 [GC].144 Cfr. L. Mosca e C. Vaccari, Il Movimento e la rete, in P. G. Corbetta ed E. Gualmini (a cura di), op. cit., pagg.

100

l’uso di internet da parte dei singoli candidati evidenzia ancora una volta che il vero centro

nevralgico della comunicazione del M5s è il blog di Grillo, l’uso da parte degli elettori

potenziali è indicativo del fatto che una buona parte dell’elettorato del Movimento è

socializzata a questo mezzo e quindi può essere ricettiva a un discorso sulla rete come quello

di Grillo, anche se naturalmente non indica che il voto al M5s abbia signi8cato per quanti lo

hanno scelto un’adesione ai principi del determinismo tecnologico o della democrazia

elettronica.

Internet come risorsa retorica “redentrice”

A partire dalle rifessioni sulla concezione e l’uso della rete internet nel caso da noi

considerato, l’interrogativo che ci siamo posti è se il discorso ottimista sulla rete possa essere

un’importante risorsa retorica per i partiti e i movimenti populisti in generale e, in caso

affermativo, in che modo. In base all’approccio realistico che abbiamo utilizzato nelle pagine

precedenti, crediamo sia pi5 ragionevole supporre – rispetto a scenari deterministi in cui la

rete favorisce l’emergere di partiti e movimenti populisti – che la rete internet possa essere

un’importante risorsa nelle mani di attori populisti, nel senso che alcune sue caratteristiche

sono congeniali alla loro mentalit�. Si tratta di rovesciare il rapporto: non la diffusione e l’uso

della rete che favorisce movimenti, partiti e leaders populisti ma movimenti populisti che si

servono e che si avvantaggiano della rete. Vediamo adesso quali punti della visione ottimista

della rete possono essere congeniali alla mentalità dei populisti.

Abbiamo già visto la questione della democrazia diretta, e di come lo scenario di una democrazia

istantanea risolva il dilemma della consultazione di tutto il popolo prima di ogni decisione.

Abbiamo anche visto che il ruolo del leader cambia, avendo come referente un’entità pi5

concreta dell’astratto popolo ma non esente da manipolazioni. Anche nella prospettiva del

controllo degli eletti e della trasparenza la rete può essere un importante strumento per i populisti.

Molto importante è anche la disintermediazione. Una delle caratteristiche del populismo che

abbiamo individuato è l’ostilità per ogni mediazione, per ogni frapposizione tra la volontà

popolare e la sua realizzazione, ma anche per la mediazione svolta dagli operatori della

comunicazione. Ogni mediazione è un tradimento: esemplare è in questo caso l’ostilità per i

partiti, organi di mediazione per de8nizione, attraverso cui la domanda sociale arriva alle

assemblee rappresentative e in8ne alla sua attuazione. Cercando di scomporre il concetto di

disintermediazione tramite internet nelle sue componenti, e tenendo sempre in mente che

stiamo parlando della visione ottimistica della rete, i cui limiti sono stati evidenziati nelle

169-196.

101

pagine precedenti, notiamo che la disintermediazione può essere sia “politica” che

“mediatica” ed essere vista sia “dal basso” – dal lato del singolo cittadino – che “dall’alto”, dal

lato del leader. Partendo dal lato del cittadino, secondo il discorso ottimista/populista sulla

rete, per la trasmissione della domanda sociale non c’è pi5 bisogno dei partiti, sostituiti da

strumenti di democrazia diretta via internet. Se ognuno può informarsi – attraverso contenuti

prodotti dagli altri utenti e non pi5 dagli operatori della comunicazione vicini ai partiti, e qui

entra in gioco la disintermediazione mediatica –, decidere e votare tramite internet, la

mediazione partitica e la rappresentanza non sono pi5 necessarie. In sintesi, la

disintermediazione per i cittadini signi8cherebbe – in un’ottica di breve periodo – la possibilità

di trasmettere la domanda sociale senza il 8ltro dei partiti e la possibilità di controllo degli

eletti, e l’instaurazione della democrazia diretta nel lungo periodo [“Con Internet ogni

cittadino può non solo informarsi, ma anche agire insieme ad altri cittadini che hanno gli

stessi obiettivi e che non si riconoscono in nessuna formazione politica.”145].

Dalla parte del leader – ricordiamo che stiamo parlando di movimenti e partiti populisti, per

cui la presenza del leader è una caratteristica fondamentale – la disintermediazione

permetterebbe, come già con la televisione – ma in quel caso era il 8ltro partitico che veniva

eluso –, di comunicare direttamente con i cittadini, questa volta senza nemmeno il 8ltro

giornalistico (disintermediazione mediatica). Inoltre, la rete internet darebbe ai leaders

populisti anche la possibilità di essere tramite della volontà del popolo, in assenza di

un’organizzazione partitica (disintermediazione politica) ma, come abbiamo visto, con la

presenza di un referente di legittimità (la Rete).

Tab. 3.2 La disintermediazione tramite internet secondo il discorso ottimista/populista

Cittadino Leader

Disintermediazione politica

Possibilità di trasmettere la domanda sociale senza partiti e di controllo degli

eletti, democrazia diretta

Possibilità di essere tramite della volontà del “popolo”, in assenza di un’organizzazione partitica

Disintermediazione mediatica

Possibilità di controllo sull’informazione e di diventare produttore attivo

Possibilità di comunicazione diretta con il “popolo”, saltando il 8ltro giornalistico

Ma la nostra rifessione non si può fermare qui. Se il discorso ottimista sulla rete è una risorsa

retorica e organizzativa per i movimenti e partiti populisti, crediamo che anche altri

movimenti se ne possano avvantaggiare. Se quindi esistono delle caratteristiche di internet che

sono sfruttabili in una mentalità populista, crediamo che queste lo siano anche per altri

movimenti “redentori”.

145 G. Casaleggio e B. Grillo, Siamo in guerra, cit., pag. 71.

102

Abbiamo visto che per Margaret Canovan146 la democrazia ha due volti inseparabili e

indispensabili l’uno all’altro: uno che mira alla redenzione e l’altro pragmatico. Il primo comporta

una “mobilitazione dell’entusiasmo popolare”, nella convinzione che il potere possa essere

af8dato “senza rischi” agli esseri umani, mentre per il secondo l’unico obiettivo

realisticamente conseguibile in democrazia è il mero mantenimento dell’ordine all’interno di

una società: questa visione della democrazia è “sospettosa nei confronti sia del potere che

dell’entusiasmo e coltiva aspettative assai minori sui risultati che i governi possono

conseguire”.

La coesistenza tra i due volti è uno sprone costante alla mobilitazione populista: quando si

apre uno scarto troppo grande tra i due volti i populisti “tendono a trasferirsi sul terreno

vacante, promettendo al posto dello sporco mondo delle manovre di partito lo scintillante

ideale della democrazia rinnovata”147. I populisti fanno appello “al di là delle ossi8cate

istituzioni” al popolo vivo proclamando la vox populi senza intermediazioni. Canovan nota

però che il populismo non è l’unico tipo di “radicalismo” che attecchisce nell’area di tensione

tra i due volti della democrazia: avversione alla politica pragmatica, promessa di restituire la

democrazia alla gente e di dare potere al popolo, trasparenza e immediatezza nel rapporto tra

volontà popolare e azione democratica sono tutti temi della cosiddetta democrazia

partecipativa. Queste teorie sono in de8nitiva “redentrici”, nascono dalle stesse tensioni da cui

nasce il populismo. Canovan porta l’esempio dei teorici della democrazia deliberativa: anche il

loro obiettivo è mettere in pratica i desideri del popolo, così come si presenteranno quando

saranno stati informati e illuminati dalla discussione tenuta in assemblee dove è possibile il

rapporto faccia a faccia. E “dare il potere al popolo” è anche l’obiettivo dei movimenti sociali

che si sono sviluppati negli ultimi anni con il 8ne di instaurare una “democrazia reale”, contro

lo strapotere (politico, economico, mediatico) dell’un percento della popolazione.

Internet è quindi uno strumento che può servire come risorsa retorica e organizzativa in tutti

quei movimenti che si possono de8nire “redentori”148, che vedono cioè la vera democrazia

146 Cfr. Margaret Canovan, Abbiate fede nel popolo! Il populismo e i due volti della democrazia , cit., pagg. 25-40.147 Ibidem, pag. 34.148 Pensiamo, ad esempio, a movimenti sociali come Occupy Wall Street (e gli altri movimenti Occupy),

Indignados (Movimento 15M) o a soggetti come i vari Partito Pirata, classi8cabili sul versante redentore della democrazia e per i quali internet ha avuto molta importanza. Sarebbe interessante indagare il discorso di questi attori politici, per veri8care se esiste anche nel loro caso una retorica ottimista/populista su internet, come nel caso del M5s. È in ogni caso da notare che il M5s si sente in un certo senso “vicino” a questi movimenti: “Il M5S non è solo e non è originale, i suoi obiettivi sono gli stessi di partiti islandesi, svedesi, di movimenti statunitensi, fa parte di una tendenza irreversibile, come è successo per altre forze in differenti periodi storici” (Comunicato politico n. 39). Sicuramente, nel caso dei movimenti sociali citati sopra, internet ha avuto un’importante funzione organizzativa, diventando la loro infrastruttura (cfr. M. Castells, Reti di indignazione e di speranza, Università Bocconi Editore, Milano 2012); ma questa dinamica è valida per le organizzazioni in genere, che possono trovare nella rete un veicolo di informazione e una modalità di organizzazione a basso costo. Ampliando il campo, si potrebbe trattare anche della questione dell’uso di

103

come un governo of the people, by the people, for the people. Non solo perché risolve – almeno a

parole – il dilemma della democrazia diretta in comunità di grandi dimensioni, rendendo a

portata di mano la promessa di restituire la democrazia alla gente e di dare potere al popolo

(obiettivo di lungo periodo), ma anche perché permette un maggior controllo degli eletti e

trasparenza, e favorisce processi di disintermediazione politica e mediatica (obiettivi di breve e

medio periodo). Ma, in generale, tutta la retorica ottimista analizzata nelle pagine precedenti

risulta congeniale a una visione redentrice della democrazia, se non in uno scenario di

democrazia diretta, in quello della democrazia partecipativa: in conclusione, nella retorica che

abbiamo analizzato internet si con8gura come il vero strumento per far sì che il potere possa

tornare nelle mani della gente. Che siano promesse realizzabili oppure inevitabilmente viziate

dalle criticità che abbiamo evidenziato nelle pagine precedenti149, non è una questione che

vogliamo o possiamo risolvere. I redentori, con la loro visione di una democrazia che deve

essere restituita ai suoi legittimi proprietari, potranno usarle per rendere, nella percezione dei

loro seguaci, l’obiettivo pi5 vicino che mai. E se molte critiche possono essere e sono state fatte

a una tale visione dello sviluppo tecnologico – le abbiamo analizzate –, anche una visione

siffatta della democrazia non è esente da giudizi negativi. La democrazia in azione, che è ben

diversa dalla democrazia in senso prescrittivo, è in realtà una combinazione di redenzione e

pragmatismo, di elementi descrittivi e prescrittivi, e quindi una visione totalmente redentrice

della democrazia è utopica, non rispecchiando la realtà. Ma Canovan e i movimenti redentori

ci ricordano, d’altra parte, che eliminare il lato redentore della democrazia è come cercare di

“far funzionare una chiesa senza fede”150.

internet nei movimenti della cosiddetta primavera araba: in questo caso il contesto è totalmente diverso ma si possono individuare dei punti di contatto. Un’analisi dettagliata di tutti questi casi esula dalla natura e dall’ampiezza di questo lavoro, ma sarebbe interessante impostare una comparazione.

149 Le rivelazioni di Edward Snowden aggiungono un altro tassello al mosaico dell’uso di internet a 8ni di controllo. Scrive José Ignacio Torreblanca: “Fino alle rivelazioni di Edward Snowden, abbiamo potuto vivere nella beata illusione che internet e i social network dessero alle persone una capacità di organizzazione e di azione praticamente illimitata. (…) Twitter e Facebook, uniti alla capacità di Google di diffondere in tempo reale una quantità incredibile di informazioni da un capo all’altro del pianeta, sarebbero diventati le nuove armi con cui i cittadini avrebbero potuto controllare il potere e forse anche resistere alla tirannia. (…) ora sappiamo con certezza che, mentre milioni di cittadini usano spensieratamente internet e i social network, un certo numero di stati ha acquisito la capacità di controllare radicalmente la rete e i suoi contenuti.” J. I. Torreblanca, Tecnologia e potere, in «Internazionale» n. 1009, 19/7/13. Ben prima di questo ultimo caso, Evgenij Morozov aveva messo in guardia quelli da lui de8niti “cyber-utopisti”, della capacità dei nuovi media di essere usati non solo dai cittadini, ma anche dagli stati (democratici e autoritari), con 8nalità di controllo e censura. “(...) molti cyber-utopisti si sono affezionati al discorso populista di una tecnologia che darà potere a gente che, oppressa da anni di regime autoritario, inevitabilmente si ribellerà, mobilitandosi attraverso SMS, Facebook, Twitter e qualunque altro strumento arrivi l’anno prossimo (…). Paradossalmente, ri8utandosi di considerare i risvolti negativi del nuovo ambiente digitale, i cyber-utopisti hanno 8nito per sminuire il ruolo di internet, e non si sono resi conto di come essa penetri e rimodelli tutti i sentieri della sfera politica, non solo quelli che conducono alla democratizzazione.” E. Morozov, L’ingenuit� della rete, Codice edizioni, Torino 2011, pag. XIV.

150 M. Canovan, Abbiate fede nel popolo! Il populismo e i due volti della democrazia , cit., pag. 40.

104

4. Conclusioni: tra malessere democratico ed esigenza

partecipativa

Come premesso nell’introduzione a questo lavoro, il percorso che abbiamo seguito è partito ed

è giunto molto lontano dall’analisi del fenomeno Beppe Grillo e del Movimento 5 stelle.

Il metodo che abbiamo scelto è consistito nello staccare lo sguardo dal caso speci8co, portarlo

a guardare lontano, per poi riesaminare i fenomeni pi5 vicini in una prospettiva pi5 ampia,

come inseriti in una cornice pi5 grande. D’altra parte, con un movimento opposto, non solo il

caso speci8co può essere analizzato con maggiore completezza e profondità una volta

contestualizzato, ma l’analisi di quello stesso caso può portare a sua volta a conclusioni valide

a un livello maggiore rispetto al punto di partenza. In questo lavoro siamo partiti da un livello

generale – l’analisi dei rapporti tra populismo e democrazia – e siamo arrivati ad analizzare il

caso particolare – Beppe Grillo e il Movimento 5 stelle –; al contrario, in queste conclusioni

partiremo dai risultati raggiunti nell’analisi del caso speci8co e cercheremo di trarne

considerazioni conclusive pi5 ampie, alla luce delle rami8cazioni che si sono generate dal

tronco principale della nostra indagine.

Questi erano gli obiettivi che la ricerca si poneva, posti in ordine dal livello di generalità

minore a quello maggiore. In primo luogo il nostro scopo era la comprensione profonda di un

fenomeno – Beppe Grillo e M5s –, che abbiamo scelto di analizzare, credendola la pi5

appropriata, attraverso l’ottica del populismo; in secondo luogo ci siamo posti come 8ne la

comprensione della nascita e del successo di questo soggetto politico sia in relazione al

contesto nazionale in cui si è sviluppato – con lo studio del caso italiano – sia in relazione a

fenomeni pi5 ampi e transnazionali – con lo studio del rapporto tra populismo e democrazia.

In8ne, l’intento era di passare dallo studio del caso speci8co all’esame di fenomeni pi5 ampi,

per arrivare a una comprensione maggiore del populismo, attraverso l’analisi delle

contraddizioni delle democrazie contemporanee, e per cercare di cogliere i possibili sviluppi

futuri di questo fenomeno politico, attraverso l’analisi del rapporto tra politica e nuove

tecnologie.

Ma andiamo per ordine e vediamo quali obiettivi sono stati raggiunti e quali sono le risposte

ai quesiti di ricerca che ci eravamo posti.

Beppe Grillo e il M5s come leader e movimento populisti: cittadini contro i partiti

Per quanto riguarda il caso speci8co, ovvero la comprensione del fenomeno di Beppe Grillo e

del Movimento 5 stelle, l’obiettivo che ci eravamo posti era analizzarne in profondità le

105

dinamiche, collocandoli nell’alveo dei leader e dei movimenti populisti; abbiamo a questo

scopo analizzato essenzialmente il discorso di Grillo sul M5s, a causa della assoluta preminenza

e centralità del fondatore per l’indirizzo e l’evoluzione del Movimento in questione. Convinti

quindi che Grillo e il M5s potessero rientrare nella categoria dei partiti o movimenti e leaders

populisti, ne abbiamo ricercato nel discorso e nella logica le caratteristiche, a partire da una

de8nizione minima di populismo che comprende l’eticizzazione del popolo, che deve riprendere il

posto che gli spetta, ovvero quello di unico e autentico referente, vero timone del potere

politico; la protesta anti-elitaria, soprattutto nei confronti della classe politica, rea di aver tradito

la volontà del popolo; l’insofferenza per le mediazioni, di qualsiasi tipo esse siano, da cui deriva la

caratteristica quasi onnipresente in questo tipo di soggetto politico di leaders che aspirano a

farsi tramite diretto della volontà popolare.

Nel nostro studio abbiamo scelto di non analizzare tanto i contenuti programmatici di questo

attore politico, quanto una dinamica, uno “schema ideologico”: quello di cui i partiti e i

movimenti populisti sono portatori è infatti un ampio schema di visione della società pi5 che

un insieme di proposte programmatiche, che si adattano volta per volta al contesto speci8co in

cui questi attori operano.

E se nell’universo dei populisti, strutturato in maniera manichea e duale, esistono

essenzialmente due poli a cui rapportarsi e su cui fondare un progetto politico, il “popolo” e i

“nemici del popolo”, abbiamo notato che nel nostro caso queste due polarità vengono

declinate come “cittadini” e “partiti”. A partire dalle concettualizzazioni di Mény e Surel1 sui

tre tipi di popolo – popolo sovrano, popolo classe e popolo nazione – che, mobilitati in

maniera separata o concomitante, costituiscono il serbatoio al quale attingono i discorsi

populisti, abbiamo individuato prima i tre diversi “nemici del popolo” presenti nel discorso di

Grillo; tre nemici che, pur distinguibili analiticamente, nel discorso del M5s vengono in8ne

sempre ricondotti alla categoria dei nemici del popolo sovrano, ovvero agli attori politici o

meglio partitici.

In contrapposizione ai “partiti”, abbiamo individuato il popolo mobilitato da Grillo come i

“cittadini”, che abbiamo cercato di descrivere in primo luogo attraverso le categorie escluse

rispetto a quelle incluse in questa de8nizione di popolo. Tre sono infatti le categorie che si

contrappongono ai cittadini: i sudditi, coloro che non partecipano attivamente alla vita della

comunità politica, mettendo i propri interessi personali davanti al “bene comune”2; i parassiti,

1 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pagg. 167-207.2 Come esempio di chi siano i sudditi, possiamo portare quanto scritto nel post Vi capisco del 28/5/13. “Esistono

due Italie, la prima, che chiameremo Italia A, è composta da chi vive di politica, 500.000 persone, da chi ha la sicurezza di uno stipendio pubblico, 4 milioni di persone, dai pensionati, 19 milioni di persone (da cui vanno dedotte le pensioni minime che sono una vergogna). La seconda, Italia B, di lavoratori autonomi,

106

ovvero le élites, soprattutto quelle partitiche ma anche quelle legate alla pubblica

amministrazione e ai media, che come i sudditi non partecipano al bene comune, anzi sono

una zavorra per il paese; gli stranieri, sia perché esclusi a priori dalla partecipazione, sia perché

visti come minaccia per l’integrità della comunità.

I cittadini sono concettualizzati quindi come “cittadini attivi”, idealizzando la loro

disponibilità a partecipare alla vita pubblica e la loro volontà di sopportare i costi di impegno

e di informazione per riappropriarsi dell’esercizio del potere di cui sono teoricamente titolari.

La forte mobilitazione del cittadino attivo e la netta preminenza di nemici appartenenti al

mondo politico ci ha fatto concludere che nel discorso di Grillo prevale la mobilitazione del

popolo sovrano, anche se non sono assenti quelle del popolo classe e del popolo nazione.

Conseguentemente a ciò, per quanto riguarda il progetto politico, osserviamo che gli obiettivi

del M5s possono essere riassunti in tre passi principali: inserire dei semplici cittadini – delle

“persone per bene” – nelle istituzioni; promuovere la partecipazione di tutti i cittadini alla vita

politica e in8ne arrivare al cento per cento dei consensi, momento in cui il Movimento

cesserebbe di esistere in quanto lo stato verrebbe riconquistato dai cittadini e la sovranità

restituita totalmente al popolo. Distinguendo gli obiettivi di breve e lungo periodo, vediamo

che il fulcro del progetto politico del M5s, il suo ideale punto di arrivo, è rendere inutile ogni

mediazione istituzionale nei confronti della volontà popolare e creare, tramite quelli che

vengono de8niti istituti della democrazia diretta, una democrazia che sia veramente tale e che

coinvolga tutti i cittadini – il popolo – nelle decisioni che lo riguardano. È dif8cile non vedere

in questo l’esatta riproposizione dello schema ideologico populista individuato da Mény e

Surel3, quello per cui il popolo è il fondamento della comunità, questa superiorità è stata

derisa da un certo numero di attori, e bisogna rimettere il popolo al suo posto nel quadro di

una rigenerazione della società.

Nel breve periodo, invece, emerge la volontà di far tornare i politici nella condizione in cui

dovrebbero, secondo la retorica del M5s, trovarsi: semplici dipendenti dei cittadini, incaricati

della loro funzione nelle istituzioni per un tempo determinato, al 8ne di attuare un

programma.

cassintegrati, precari, piccole e medie imprese, studenti. La prima è interessata giustamente allo status quo. Si vota per sé stessi e poi per il Paese. Nella nostra bandiera c’è scritto “Teniamo famiglia”. In questi mesi non ho sentito casi di funzionari pubblici, pluripensionati o dirigenti di partecipate che si siano suicidati. (…) Queste due Italie sono legate tra loro come gemelli siamesi, come la sabbia di una clessidra. L’Italia A non può vivere senza il contributo 8scale dell’Italia B, ma quest’ultima sta morendo, ogni minuto un’impresa ci lascia per sempre. Vi capisco comunque, la pensione, in particolare se doppia o superiore ai 5.000 euro, è davvero importante. Lo stipendio vi fa sopravvivere, che sia pubblico o politico non ha importanza”. L’“Italia A” è composta di sudditi e parassiti, l’“Italia B” dai cittadini.

3 Cfr. Y. Mény e Y. Surel, op. cit., pag. 202.

107

Il M5s e il caso italiano: uno sbocco al malessere partitico

Fissate le caratteristiche principali del M5s, possiamo ampliare l’analisi ai rapporti tra il caso

italiano e questo soggetto politico, al 8ne di comprenderne la nascita e il successo.

Per fare ciò dobbiamo tornare alle tre metamorfosi della democrazia individuate,

trasformazioni che favoriscono l’emergere del fenomeno populista: globalizzazione, declino

dei partiti, personalizzazione e mediatizzazione della politica. Abbiamo già visto come esse si

adattano al caso italiano in generale, creando un terreno favorevole alla nascita e crescita di

movimenti populisti; vediamole adesso in rapporto al M5s.

Abbiamo osservato che la globalizzazione ha inciso molto negli ultimi anni di politica italiana: la

crisi economica e la pressione dell’Europa hanno avuto infuenza nella costituzione del

governo Monti e in8ne nelle elezioni del 2013, premiando quanti – in primo luogo il M5s – si

sono posti in contrasto con i vincoli europei. E abbiamo notato anche come le istituzioni non

elettive, ad esempio quelle europee, siano un grande nemico per i partiti e i movimenti

populisti, in quanto questi ultimi si mobilitano contro ogni mediazione che si può frapporre

tra il popolo e il controllo della sovranità: tali istituzioni, percepite come lontane dalla

legittimazione popolare, rappresentano proprio quella perdita di controllo. Nel caso speci8co è

sembrato che queste istituzioni – insieme con una crisi generata e alimentata da dinamiche

altrettanto lontane sia dal controllo sia dalla comprensione popolare – abbiano scavalcato il

popolo e gli abbiano “imposto” il governo Monti, dotando di molte risorse quanti come Grillo

e il M5s, puntano la propria retorica sul ritorno delle decisioni, anche quelle economiche,

nelle mani dei cittadini o comunque verso attori che rappresentano quello che abbiamo

de8nito il “pilastro popolare” della democrazia.

Per quanto riguarda i partiti, la perdita di legittimità subita non ne ha intaccato le risorse,

umane e soprattutto 8nanziarie: ed è proprio questa discrasia tra il piano dei rapporti con la

società e quello della forza percepita che alimenta una protesta e una disaffezione sempre pi5

forti. Queste dinamiche avvantaggiano quanti, come il M5s, fanno dei partiti politici il nemico

numero uno, e gli scandali legati al dispendio di risorse pubbliche – insieme alla corruzione

sempre pi5 percepita e visibile – rafforzano la retorica secondo la quale i partiti sono la causa

di ogni male, dimostrando la verità dell’assunto delle élites partitiche inevitabilmente corrotte.

Nello speci8co, nel biennio che va dal 2011 al 2013 i partiti sono sembrati in Italia sempre pi5

deboli dal punto di vista della costruzione del consenso e della mobilitazione, mentre gli

scandali legati a esponenti partitici salivano sempre pi5 spesso agli onori della cronaca. È

chiaro come di questa situazione di scarsa legittimità e di protesta crescente, unita a una

continua serie di scandali, si avvantaggi un movimento populista come il M5s, la cui dinamica

108

ideologica sfrutta alla perfezione questa particolare congiuntura politica.

Concentrandoci nello speci8co sul ruolo degli scandali nel caso italiano, abbiamo individuato

varie spiegazioni sul perché la “politica dello scandalo”, dalla quale i populisti traggono

enormi risorse, sia sempre pi5 centrale nella vita politica contemporanea4. Sono

principalmente due le tendenze che spiegano questo fenomeno, una che afferisce alla

trasformazione dei media e l’altra alla trasformazione della politica.

Riguardo ai media, è noto che la logica dell’infotainment predilige le storie di scandali, materiale

di prim’ordine per attirare il pubblico. Ma anche la comunicazione via internet contribuisce in

maniera potente all’affermarsi della politica scandalistica, in due modi: in primo luogo

scavalca la funzione di gatekeeping dei media tradizionali, spesso pi5 cauti nel divulgare questo

tipo di notizie; in secondo luogo apre la possibilità per chiunque di esporre il comportamento

scorretto o illegale dei politici.

La centralità degli scandali è anche una funzione della trasformazione della politica:

l’indebolimento dell’identi8cazione partitica e la minore salienza dei contrasti ideologici

porterebbero i politici – una volta assicuratosi il nocciolo duro dei propri sostenitori – a

occupare il centro dello spazio politico per attirare quanti pi5 elettori possibili. Come abbiamo

visto, i cittadini anche per questo motivo – insieme alla crescente complessità dell’ambiente

della politica, che richiede decisioni sempre pi5 discrezionali, e al mutato ruolo dei media nel

rapporto tra elettori e cittadini – si baserebbero per la loro decisione di voto pi5 sulle

caratteristiche personali dei leader che sui programmi: gli scandali sono quindi una potente

arma nelle competizioni personalizzate, in quanto i politici coinvolti in uno scandalo perdono

l’idoneità a ricevere la delega del potere da parte dei cittadini.

Per quanto riguarda la prima famiglia di spiegazioni, non solo in Italia i meccanismi

dell’infotainment sono – forse pi5 che in altri paesi – costantemente all’opera nel confezionare

l’informazione politica, ma quegli stessi meccanismi, anche e soprattutto quelli legati alle

dinamiche del web, sono compresi e attuati magistralmente dal soggetto politico che abbiamo

analizzato, che riesce a sfruttarli sia per dare visibilità alla propria azione politica, sia per

quanto riguarda la delegittimazione degli avversari. Per quanto riguarda la seconda, e qui

entra in gioco la terza e ultima metamorfosi individuata, è dif8cile immaginare un movimento

politico pi5 personalizzato del Movimento 5 stelle. Il M5s deve infatti gran parte del suo

successo alla 8gura di Beppe Grillo, personaggio che è riuscito a costruire in decenni di vita

pubblica una reputazione personale quasi inscal8bile.

In ogni caso, il M5s non esce dal solco di decenni di prevalenza dei meccanismi della

4 Cfr. M. Castells, Comunicazione e potere, cit., pagg. 311-315.

109

personalizzazione nel nostro paese, anzi ne è un prodotto quasi inevitabile: in Italia la

personalizzazione è infatti uno dei tratti costanti della seconda repubblica, esplicitandosi a

tutti i livelli di governo e sul versante comunicativo. Inoltre la personalizzazione può essere

considerata una manifestazione di quello che abbiamo de8nito il “direttismo”5, ovvero la

dinamica che porta a scavalcare l’intermediazione partitica per arrivare a incidere

direttamente sulla sfera pubblica. Il M5s esempli8ca perfettamente questo tipo di protesta nei

confronti dei partiti, sia perché è suo obiettivo primario proprio l’eliminazione di ogni

mediazione rispetto alla volontà dei cittadini, sia perché il Movimento e le sue istanze sono

rappresentate da una persona, ovvero Beppe Grillo.

In conclusione, per quanto riguarda le dinamiche della personalizzazione della politica, la

tendenza contemporanea all’elusione dei vincoli partitici e la sempre maggiore volontà dei

cittadini di incidere direttamente nella sfera pubblica, possiamo affermare che il M5s incarna

in modo estremo un movimento che è all’opera nelle democrazie contemporanee in generale, e

nella democrazia italiana in particolare.

L’analisi del caso italiano ci ha consentito inoltre di affermare che il malessere italiano non è

un malessere che riguarda la democrazia o la politica tout court, ma sostanzialmente i partiti

politici: un’alta aspettativa riguardo alla democrazia in principio si scontra con l’immagine che

della democrazia danno i partiti, istituzione che forse pi5 di ogni altra rappresenta

nell’immaginario dei cittadini i meccanismi della democrazia rappresentativa. In conseguenza

a ciò, la nostra interpretazione della nascita, dello sviluppo e in8ne della grande affermazione

di un movimento anti-partitico come il M5s alle elezioni del febbraio 2013 è che questo

successo può essere spiegato come una sorta di sbocco per il malessere partitico. Considerati il

livello di malessere partitico presente nel sistema e i risultati raggiunti da un attore il cui

cavallo di battaglia è proprio la protesta anti-partitica, a un livello “strutturale”, la nostra

interpretazione del ruolo del M5s nel caso italiano è che questo attore ha avuto la funzione di

mantenere dentro il sistema6 coloro che, privi della sua alternativa populista, si sarebbero rifugiati

5 Cfr. M. Calise, op. cit., pagg. 29-30 e 61-64.6 Un articolo del collettivo di scrittori bolognesi Wu Ming, uscito a ridosso delle elezioni politiche di febbraio

sul sito della rivista Internazionale (Il Movimento 5 stelle ha difeso il sistema, 26/2/13), affermava proprio che la funzione del M5s è consistita nel “mantenere la tenuta del sistema”, evitando l’insorgere di movimenti come Indignados od Occupy nel nostro paese. Secondo questi autori, l’indignazione che in altri paesi ha prodotto quei movimenti radicali è stata intercettata nel nostro paese dal movimento di Grillo, anche se ovviamente il M5s non può essere considerata l’unica causa di questa mancanza, ma una conseguenza che retroagisce sulle cause. I Wu Ming scrivono da una prospettiva nettamente e volutamente partigiana e fortemente valutativa: a loro parere questa mancanza di movimenti è un fatto valutativamente negativo, e la loro speranza – il signi8cato del loro “tifare rivolta” nel M5s – è che le contraddizioni all’interno del Movimento esplodano, e che le energie di quanti lavorano a questo progetto vengano spese a favore di movimenti pi5 chiaramente connotati su un versante di sinistra extra-parlamentare e movimentista. Non potendo accettare in un lavoro scienti8co questa prospettiva valutativa, ne condividiamo in ogni caso la parte analitica.

110

inevitabilmente nell’astensione o in altre diverse forme di partecipazione politica.

Il M5s si trova quindi all’incrocio tra un “malessere democratico” – che è in realtà malessere

per gli attori e le pratiche pi5 visibili della democrazia rappresentativa, cioè i partiti, malessere

di cui è uno sbocco, una conseguenza – e un’esigenza di partecipazione dei cittadini alla vita

politica, che possiamo rintracciare sia nel desiderio di una politica diversa, fatta dai cittadini e

per i cittadini, che alcuni tratti della retorica del M5s testimoniano, sia nella decisione di una

percentuale rilevante di elettori di non scegliere l’exit, di concedere comunque 8ducia alla

democrazia rappresentativa tramite un attore che, pur criticandola, non possiede un vero

bagaglio di contro-valori.

Tutto ciò non è esente però da contraddizioni: la prima è che il ri8uto dei partiti è convogliato

alla 8ne su quello che abbiamo visto essere fondamentalmente un partito politico, la seconda è

che questo partito ha al suo interno un contrasto tra estrema orizzontalità e controllo verticale,

tra una retorica che ne esalta la caratteristica di essere un movimento senza leader e una realtà

in cui le regole fondanti non sono né condivise né negoziabili dai membri.

Il M5s si trova quindi al centro di una doppia coppia di vettori di segno inverso: tra malessere

e partecipazione e tra dinamiche ugualitarie e orizzontali e dinamiche gerarchiche e verticali.

È un soggetto che si trova in una situazione di tensione continua che ne rende dif8cile l’analisi

e la comprensione, pendendo talora maggiormente da un lato, talora dall’altro.

E se la dif8coltà nel trattare questo attore sta proprio nel comprendere di volta in volta qual è

il volto che prevale tra quelli che abbiamo enucleato, l’interrogativo maggiore che emerge è se

prima o poi, data la tensione continua a cui è sottoposto, qualcosa nel Movimento si spezzerà.

Dualismi e malesseri democratici: il M5s tra “perfezionismo” e promesse non realizzate

Detto delle metamorfosi della democrazia, per quanto riguarda le tre macrocaratteristiche

delle democrazie contemporanee individuate in questo lavoro, che costituiscono un terreno

favorevole al populismo e ci permettono di capire perché esso è una componente

fondamentale di questa forma di governo, rimane da rapportare il M5s con i “dualismi della

democrazia” e con l’insoddisfazione per questa forma di governo, due temi strettamente

correlati.

Trattando dei “dualismi democratici”, li abbiamo riassunti in una discrasia tra ciò che la

democrazia signi8ca idealmente e “intuitivamente” e ciò che essa realizza nella sua visibile

pratica quotidiana. Abbiamo anche osservato come questa discrasia dipenda dalla natura

composita della forma di governo democratica, in cui si uniscono elementi popolari e populisti

con elementi costituzionali e oligarchici. Il M5s, conformemente ai partiti e movimenti

111

populisti, pretende di incarnare la vera democrazia, sviata a suo dire dagli obiettivi che questa

forma di governo dovrebbe perseguire, e promette la creazione di un governo che sia

veramente del popolo, da parte del popolo e per il popolo. Il M5s non si presenta quindi come

un movimento antidemocratico; al contrario, la sua retorica si concentra nella denuncia delle

perversioni che affiggono la democrazia e sulla necessità di trovarvi rimedio7.

E se, non raccomandando un’altra forma di regime, “i populisti si impegnano il pi5 delle volte

in una sorta di gioco al rialzo delle aspettative democratiche, utilizzando le ambiguità e la polisemia

che caratterizzano il termine democrazia”8, le armi con cui combattere questa battaglia sono

fornite loro dagli stessi temi normativi della teoria democratica: i populisti riprendono i temi

fondanti della democrazia, mai applicati per intero nella realtà, denunciando questa discrasia

e proponendo un ritorno a essi. È la stessa retorica democratica necessaria per avere il

consenso attivo dei cittadini a incentivare questo processo. I populisti sono insomma i

“perfezionisti” di Sartori, che non rincorrono contro-ideali ma reclamano una “vera

democrazia”, fondamentalmente irrealizzabile. Per dirla con Margaret Canovan, quando si

apre “uno scarto troppo grande tra la democrazia circondata dall’alone sacro e i sudici affari

della politica”, cosa che ci sembra sia accaduta nel nostro caso, “i populisti tendono a

trasferirsi sul terreno vacante, promettendo al posto dello sporco mondo delle manovre di

partito lo scintillante ideale della democrazia rinnovata”9. E se qualche grado di promessa di

salvezza è necessario per lubri8care il macchinario della democrazia “pragmatica”, questo

gioco al rialzo delle aspettative sulla democrazia può anche avere serie controindicazioni,

concentrando troppe aspettative su questa forma di governo e alimentando un malessere

senza soluzioni. Il vero pericolo che minaccia una democrazia che non ha pi5 uf8cialmente

nemici non sta infatti “nella concorrenza di controideali; sta nel reclamare una «vera

democrazia» che scavalca e ripudia quella che c’è”10.

Abbiamo detto che i populisti alimentano il malessere, ma dobbiamo sottolineare che questi

non sono tanto la causa quanto l’effetto dell’insoddisfazione nei confronti della democrazia.

L’insoddisfazione già presente in un sistema politico può però essere incrementata dai discorsi

del populisti sulla democrazia, illudendo i cittadini con promesse fondamentalmente

irrealizzabili. Ecco che si ripresenta la tensione tra malessere e partecipazione: è salutare

infatti per un regime immaginarne un miglioramento in termini di rispondenza alla volontà

7 “Il MoVimento 5 Stelle non è violento, ma è rivoluzionario. Vuol cambiare la società, restituire ai veri giocatori, i cittadini, la scacchiera, il gioco. Cambiare in senso democratico la Costituzione e lo Stato”: post Siamo in guerra del 3/9/13. Per “rivoluzione” si intende, nella retorica del M5s, non un violento cambio di regime ma semplicemente il riportare la democrazia al suo “vero” signi8cato, che è quello “prescrittivo”.

8 Y. Mény e Y. Surel, op. cit, pag. 35.9 M. Canovan, Abbiate fede nel popolo! Il populismo e i due volti della democrazia, cit., pag. 34.10 G. Sartori, Democrazia: cosa è, cit., pag. 57.

112

dei suoi membri, 8nché però l’immaginazione resta su un piano di realtà: l’utopismo opera

contro la tenuta del regime, instillando convinzioni errate sull’evoluzione possibile del sistema.

Questo ragionamento è valido anche per il nostro caso speci8co: l’analisi del caso italiano ci

mostra infatti che una vasta insoddisfazione per il funzionamento della democrazia è una

costante del sistema politico, che si manifesta da ben prima della nascita e dell’emergere del

M5s. Questo attore ha sicuramente capitalizzato quel malessere, e lo ha forse incrementato

con i meccanismi di overpromising che abbiamo appena visto. Ma se il promettere pi5 di quanto

è ragionevolmente possibile realizzare contribuisce all’insoddisfazione globale per l’esistente,

questa dinamica danneggia anche gli stessi attori che hanno promesso troppo: schiacciati dal

peso del sistema e delle istituzioni in cui sono incanalati, non riusciranno mai ad attuare per

intero quanto promesso, generando insoddisfazione anche per il loro operato. E questo è ciò

che è successo al M5s nei suoi primi mesi in parlamento11.

Il populismo alla prova di internet: sde e opportunit�

Per quanto riguarda gli sviluppi futuri del fenomeno populista, legati all’uso sempre maggiore

delle nuove tecnologie in politica, abbiamo sostenuto, a partire dall’analisi del caso speci8co,

che la rete internet può essere un’importante risorsa, perlomeno retorica12, nelle mani di attori

populisti, in quanto alcune sue caratteristiche sono congeniali alla loro mentalità.

Abbiamo individuato tre dinamiche del web che si possono adattare alla mentalità populista.

La prima è che con internet si risolve, in linea teorica, il dilemma della consultazione di tutto il

popolo prima di ogni decisione, risoluzione che rende potenzialmente inutile ogni mediazione

rispetto alla volontà popolare. Da ciò deriva anche un cambiamento del ruolo del leader, avendo

quest’ultimo come referente un’entità pi5 concreta dell’astratta idea di popolo, ma non esente

da manipolazioni. In secondo luogo, nella prospettiva del controllo degli eletti e della trasparenza la

11 Anche se non riteniamo corretta la comparazione tra tipi diversi di elezioni, possiamo imputare in parte a questa dinamica, oltre appunto alla diversa con8gurazione della tornata elettorale, il calo di consensi che ha caratterizzato il M5s nel voto amministrativo della primavera 2013. Queste elezioni amministrative sono state caratterizzate, oltre che dal calo di consensi per il M5s, da una scon8tta dei partiti di centro-destra e da un successo per quelli di centro-sinistra. L’interpretazione di Diamanti (cfr. I. Diamanti, La messa è nita, in «Corriere della Sera», 12/6/13) è che questo voto locale ha favorito i partiti che dispongono di una struttura e di persone credibili e conosciute sul territorio, presso i cittadini: il Pd è infatti un partito personalizzato a livello locale, diviso e impersonale a livello nazionale, mentre gli altri – il Pdl il M5s – sono partiti personali in ambito nazionale, senza basi locali. Per quanto riguarda il crescente peso dell’astensione, Diamanti osserva che “la messa è 8nita”, il voto nel nostro paese non è pi5 una fede: occorrono buone ragioni sia per votare un partito o un candidato sia, prima ancora, per andare a votare. Secondo il politologo, negli ultimi vent’anni il non-voto è stato in parte assorbito dal voto di protesta. In questo caso ciò non è avvenuto sia per ragioni 8siologiche – non ci sono preferenze da dare, i candidati si riducono a due, molte s8de appaiono segnate – sia perché non votare, in una certa misura, è diventato un modo per votare. Un modo che conta molto, visto lo spazio che gli viene dedicato dagli attori e dai commentatori politici.

12 Abbiamo de8nito internet risorsa “retorica e organizzativa”, ma crediamo sia pi5 giusto parlare principalmente di risorsa retorica in quanto, almeno nel caso da noi analizzato, anche il versante organizzativo è pi5 oggetto di un discorso mobilitante che realisticamente e praticamente realizzato.

113

rete può essere un importante strumento per i populisti; rilevante è in8ne la questione della

disintermediazione tramite internet – che abbiamo ricollegato alla scarsa tolleranza dei populisti

verso ogni mediazione –, di cui abbiamo tracciato una tipologia che comprende sia la

disintermediazione politica che quella mediatica, due dinamiche che possono essere viste sia

dal lato del leader sia da quello del singolo cittadino.

Ma se il discorso “ottimista”13 sulla rete può essere una risorsa retorica e organizzativa per i

movimenti e partiti populisti, abbiamo sostenuto che anche altri movimenti se ne possono

avvantaggiare. Se quindi esistono delle caratteristiche di internet che sono sfruttabili in una

mentalità populista, siamo convinti che queste lo siano anche per i movimenti che Margaret

Canovan de8nirebbe come “redentori”, quelli cioè che – come i populisti – reclamano una

democrazia che sia veramente of the people, by the people, for the people. Non solo perché questo

tipo di discorso su internet risolve – almeno a parole – il dilemma della democrazia diretta in

comunità di grandi dimensioni, rendendo a portata di mano la promessa di restituire la

democrazia alla gente e di dare potere al popolo (obiettivo di lungo periodo), ma anche perché

la rete permette un maggior controllo degli eletti e trasparenza, e favorisce processi di

disintermediazione politica e mediatica (obiettivi di breve e medio periodo). In generale

internet si con8gura in questo tipo di retorica come il vero strumento per far sì che il potere

possa tornare nelle mani della gente e crediamo che i redentori, con la loro visione di una

democrazia che deve essere restituita ai suoi legittimi proprietari, potranno usarla per rendere,

nella percezione dei loro seguaci, l’obiettivo pi5 vicino che mai.

Ma, per dirla con Pierre Rosanvallon, se internet “può essere considerato propriamente come

una forma politica”, in quanto “è la funzione stessa di sorveglianza; è il movimento che la

de8nisce forse nel modo pi5 adeguato” non bisogna dimenticare di osservarne, oltre alle

potenzialità, “anche le derive, vedi le manipolazioni, che (…) può implicare”14.

Infatti, questo discorso quasi “mitologico” sulla rete non è esente da critiche, sia sul versante

teorico che nella messa in pratica reale. Per quanto riguarda le critiche teoriche, ne abbiamo

individuate molte nel corso dell’analisi, come il “falso mito della disintermediazione”, il

sovraccarico informativo oppure il rischio di una democrazia “istantanea”; e non è esente da

criticità anche l’uso della rete da parte del Movimento 5 stelle, di cui abbiamo evidenziato una

13 Le dinamiche individuate fanno parte, va rimarcato, di un particolare discorso sulla rete internet, quello “ottimista” o del “determinismo tecnologico”, che si contrappone a quello “pessimista” o del “determinismo sociale”. In questo studio abbiamo scelto, per affrontare i rapporti tra politica e nuove tecnologie, un approccio “realistico”, per cui è vero che le tecnologie della comunicazione si diffondono e trasformano in base all’esigenza degli attori sociali e politici, ed è quindi importante studiare il contesto in cui si sviluppano, ma non si può d’altra parte ignorare che i media digitali hanno delle caratteristiche peculiari, che rendono pi5 probabili alcuni esiti rispetto ad altri.

14 P. Rosanvallon, op. cit., pag. 55.

114

forte discrasia rispetto alla concezione teorica. Tornano anche a questo livello le

contraddizioni interne al Movimento, che avevamo già affrontato precedentemente:

contraddizioni che si generano da una spinta contrastante tra volontà di gestione orizzontale e

presenza di forti spinte gerarchiche e verticali.

Questi temi ci permettono di affrontare una rifessione conclusiva sull’uso delle nuove

tecnologie in democrazia che va oltre gli obiettivi che ci eravamo preposti. C’è infatti una

questione che emerge analizzando l’uso del web in politica, già affrontata da Stefano

Rodotà15: può avere regole il mondo del web, mondo mobile, scon8nato, in continuo

mutamento?

Nel 1996, John Perry Barlow, un pioniere del cyber-utopismo, apriva così la sua Dichiarazione

d’indipendenza del cyberspazio: “Governi del mondo industriale, stanchi giganti di carne e di

sangue, io vengo dal Cyberspazio, la nuova dimora della mente. In nome del futuro, invito voi,

che venite dal passato, a lasciarci in pace. Non siete benvenuti tra noi. Non avete sovranità sui

luoghi dove ci incontriamo”. E se pi5 di quindici anni dopo, benvenuti o no che siano, gli stati

impongono ancora la loro presenza, non sono solo gli “stanchi giganti di carne e di sangue” a

provare a controllare il mondo di internet: nuovi e vitalissimi “giganti di silicio”, i grandi

soggetti economici che si identi8cano con la rete, esercitano al giorno d’oggi estesi e

(soprattutto) incontrollati poteri di governo. Cosa signi8ca infatti, anche ai 8ni del

ragionamento che abbiamo svolto sulla disintermediazione promossa da internet, che se

Google si ferma per quattro minuti, il traf8co mondiale cala del 40%16?

Non si può accettare, secondo Rodotà, una privatizzazione del governo di internet, ed è

indispensabile far sì che una pluralità di attori, ai livelli pi5 diversi, possa dialogare e mettere a

punto regole comuni: “[i]l tema della democrazia promossa da Internet esige che si affronti

anche la questione della democrazia di Internet”17.

Il populismo tra malessere democratico ed esigenza partecipativa

La nostra tesi di fondo è che il populismo si trova, nelle democrazie contemporanee,

all’incrocio tra due vettori di segno inverso che producono spinte contrastanti tra loro,

confondendo e rendendo arduo il lavoro di quanti cercano di comprendere le dinamiche di

questo fenomeno18. Il populismo si trova fra la manifestazione di un “malessere democratico”,

15 Cfr. S. Rodotà, Una costituzione per internet?, in «Politica del diritto», XLI, 3, 2010, pagg. 337-343.16 Cfr. l’articolo del Corriere della Sera Google si ferma per quattro minuti e il trafco mondiale cala del 40%, 17/8/13.17 S. Rodotà, Una costituzione per internet?, cit., pag. 341.18 Anche P. Rosanvallon, op. cit., pag. 179, individua un carattere duplice nei tre contro-poteri della

controdemocrazia, oscillando quest’ultima tra attivismo cittadino positivo e la tentazione di una visione disincantata della politica. Questa ambiguità ha, secondo lo studioso francese, un carattere strutturale, derivante da una parte dallo scarto tra la società civile e la sfera politica che i tre contro-poteri

115

declinato di volta in volta verso le istituzioni e gli attori pi5 visibili del governo rappresentativo,

e una sempre maggiore esigenza di partecipazione dei cittadini, che sovente richiedono di

essere messi al centro di una vita politica che sembra ignorarli.

Il populismo è una componente costitutiva delle democrazie, nata dalle sue contraddizioni,

che quindi fanno parte del suo bagaglio: per capire il populismo bisogna capire la democrazia,

e proprio dalla democrazia abbiamo cominciato la nostra analisi. Abbiamo individuato alcune

dinamiche delle democrazie contemporanee che costituiscono una struttura di opportunità

favorevole al populismo; riesaminiamole dunque attraverso la prospettiva dei vettori di segno

opposto che abbiamo delineato.

Possiamo affermare in primo luogo che il populismo scaturisce dal dualismo della democrazia,

tra una dimensione prescrittiva che la indica come il regime politico in cui “il potere è del

popolo” e una dimensione descrittiva per cui democrazia è semplicemente un sistema basato

su partiti competitivi nel quale la maggioranza al governo rispetta i diritti delle minoranze; tra

l’ideologia che serve a rendere questa forma di governo intellegibile ai suoi membri e una

pratica quotidiana che, inevitabilmente, se ne discosta. Il populismo, concentrandosi sul

versante prescrittivo della democrazia, promette di colmarne la distanza con quello

descrittivo. Ma se eliminare il lato “redentore” della democrazia è, abbiamo visto, come

cercare di far funzionare una chiesa senza fede, e la richiesta di coinvolgimento nella politica e

di una rispondenza maggiore delle decisioni politiche al sentire dei cittadini è, in dosi

moderate, salutare per far sì che le autorità politiche non diventino un corpo a sé, distaccato e

autoreferenziale – d’altronde la democrazia non può fare a meno del popolo, e ciò che il

populismo fa è ricordarlo in modo talvolta insistente –, premere troppo sugli ideali, volerli

attuare per intero, riformulare la deontologia democratica in modo estremo e massimizzante,

può portare la democrazia (prescrittiva) a operare contro la democrazia (descrittiva). L’esigenza

di partecipazione dei cittadini, che il populismo con il suo porsi sul versante redentore della

democrazia raccoglie, si scontra insomma con il malessere per l’esistente che il tentativo di

realizzare un ideale per intero inevitabilmente provoca.

Questo malessere precede l’emergere dei partiti e movimenti populisti, che se da una parte ne

sono una valvola di sfogo “democratica”, dall’altra alimentano l’insoddisfazione con una

retorica che promette troppo senza la realistica possibilità di realizzare gli obiettivi preposti.

Partecipare alla politica attraverso il prisma di un movimento populista rappresenta quindi per

i cittadini in primo luogo uno sbocco a questo malessere, che non crediamo sia un malessere

approfondiscono e dal declino, dall’altra, di una concezione globale dell’azione politica, anch’esso favorito da questi ultimi.

116

verso la democrazia o la politica tout court – altrimenti non avrebbero successo movimenti che

promettono maggiore democrazia o una politica diversa – ma essenzialmente per i partiti politici,

il volto visibile dei meccanismi della democrazia rappresentativa.

Il malessere, anziché esprimersi nella nascita e nel successo di movimenti e partiti populisti,

potrebbe prendere altre strade, pi5 lontane dalla retorica democratica, oppure pi5 vicine alle

forme non convenzionali di partecipazione – perché, alla 8ne, i populisti operano soprattutto

attraverso forme convenzionali di partecipazione: “[l]’ironia per il populismo è che il sistema

che causa le frustrazioni nei confronti delle istituzioni politiche offre gli strumenti istituzionali

per rappresentare e costruire il consenso per quel tipo di frustrazioni”19.

Ma la nascita e il successo di movimenti e partiti populisti rappresenta anche, in secondo

luogo, oltre che un segnale di malessere, un modo per esprimere l’esigenza di una maggiore

partecipazione alla politica, il bisogno di spostare il baricentro della democrazia verso quello

che abbiamo de8nito il “pilastro popolare”, la necessità di riportare almeno una parte di

potere nelle mani dei cittadini.

Il populismo è insomma una forma di partecipazione che rappresenta sia la presenza di un

malessere nei confronti degli attori e dei meccanismi della democrazia rappresentativa, sia

l’esigenza di riportare la politica e i partiti a una dimensione di maggiore vicinanza ai

cittadini; il fatto che questi premano sempre di pi5 per incidere nella vita politica senza

mediazioni non rappresenta, infatti, necessariamente un ri8uto della democrazia o della

politica tout court, può signi8care semplicemente che le mediazioni esistenti non vengono pi5

ritenute all’altezza delle aspettative, aspettative che se utopistiche diventano controproducenti,

ma se commisurate alla realtà sono pi5 che legittime.

In8ne – ultima notazione ma non in quanto a importanza – il populismo, così come lo

abbiamo concettualizzato in questo lavoro, rappresenta anche un’assenza, su cui dovrebbero

rifettere quanti si impegnano in politica in prima persona: l’assenza di altre e diverse modalità

attraverso cui esprimere l’esigenza partecipativa di cui questo fenomeno è una

manifestazione20.

19 P. Taggart, op. cit., pag. 187.20 È necessario rimarcare che il contesto a cui facciamo riferimento è quello di democrazie consolidate con

istituzioni forti, minate sì da insoddisfazione, non situata però a livello di legittimit�. Non va dimenticato che il populismo è un fenomeno politico “camaleontico”, adattandosi e sviluppandosi in relazione al contesto in cui si presenta. In contesti, quindi, in cui le istituzioni sono deboli e la democrazia poco consolidata o soggetta a una vera crisi, può mostrare il suo “lato oscuro”. Se da un lato, infatti, esso sorge all’interno “dell’universo ideale democratico” e si può affermare che funga da “anticorpo della democrazia quando essa si sclerotizza”, dall’altro può avere in sé “un germe distruttivo per la vita democratica”. Cfr. L. Zanatta, op. cit., pagg. 269-273.

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