immigrazione, sottosviluppo e multiculturalismo. teorie e pratiche dell’etnocentrismo occidentale

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78 Elena dell'Agnese Knox P. (1995), Urban Social Geography.An Introduction, Longman, Harlow. Lavie S. e Swedenburg T. (1996), Displacement, Diaspora and Geographies rfIdentiry, Duke University Press, Durham. Martuzzi Veronesi F. e Gueresi P. (1990), "L'approccio biologico allo studio del- le migrazioni", in Livi Bacci M. e Martuzzi Veronesi F. (a cura di), Le n'sorse umane delMediterraneo. Popola\Jone esocietàal croceviatra Nord eSud, Il Mulino, Bo- logna, pp. 61-92. McKusick V.A. (1964), Human Genetics, Prentice-Hall, Englewoods Cliffs. Meadows E. (2000), "Old South/New South: Southern Italians in Australia", in Italian Australian Institute InauguraI Conference, In S earch of the Italian Austra- lian into the New Millenium, Melbourne 24-26 Maggio. Meinig D.W. (1965), "The Mormon Culture Region: Strategies and Patterns in the Geography of the American West, 1847-1964", in Annals rf theAssociation rf .American Geographers, 2, 55, pp. 191-220. Péronnet L., Babitch R.M. (1998), Cichocki W.e Braseur P., Atlas linguistique du vocabulairemaritime acadien, Presse de l'Université Laval, Québec. Sapir E. (1921), Language, Harcourt Brace, New York. Safran W. (1991), "Diasporas in Modern Societies: Myths of Homeland and Re- turn", in Diaspora, 1, 1. Said E. (2000), Reflexion.r on Extle and Other Essqys, Harvard University Press, Cambridge. Scriver c.R. (2001), "Human genetics: Lessons from Quebec populations", in Annual Review of Genomic and Human Genetics, 2, pp. 69-101. Shohat E. (2001), "Rupture and Return: A Mizrahi Perspective On The Zionist Discourse", The MIT Electronic Journal cf Middle East Studies, 1, http:/ / web.mit.edu/ cis/www / mitejmes/intro.htm, pp. 58-71. Smelser N.J. (1987), Manuale di Sociologia, Il Mulino, Bologna. Verdicchio P. (1991), Bo.und hy Distance. Rethinking Nationalism through the Italian Diaspora, Associated University Press, Crannbury NJ. Wright S. (1931), "Evolution in Mendelian populations", in Genetics, 16, pp. 97- 169. Yancey W.L., Ericksen E.P. e Juliani R.N. (1976), "Emergent Ethnicity: A Re- view and Reformulation", in .American Sociologz'cal Review, 41, pp. 391-403. Immigra~one) sottosviluppo e multiculturalismo. Teorie epratiche dell'etnocentrismo occidentale Tiziana Bacini INTRODUZIONE I crescenti flussi immigratori dalle aree del sottosviluppo stanho animando in Europa un intenso dibattito sul multiculturalismo, laddove con questo termine - a prescindere dalle declinazioni di significato o dai concetti paralleli maturati nel tempo - si intenda il complesso degli orientamenti riguardo alla compresenza di culture ed etnie diverse in uno stesso spazio geopolitico. Tale dibattito - condot- to preminentemente da antropologi, sociologi e filosofi - ha evidenziato molte- plici posizioni, a volte molto discordanti tra loro, ma tutte sottese da un medesi- mo atteggiamento incline a ritenere il multiculturalismo come processo inelutta- bile: dalle posizioni allarmiste di Giovanni Sartori (2000) a quelle comunitariste di Charles Taylor (2002), dall'auspicata c'solidarietà tra estranei" di Jiirgen Ha- bermas (1997) all'esaltazione del salade bowl di Ulderico Bernardi (2000). Dato lo stretto legame che intercorre trà sottosviluppo, immigrazione e mul- ticulturalismo, almeno in riferimento al caso europeo, sorge il sospetto che rite- nere il multiculturalismo come processo ineluttabile significa considerare immi- grazione e sottosviluppo come altrettanto inevitabili. Sotto questa prospettiva, il multiculturalismo rischia cosi di configurarsi come prodotto di quelle stesse con- traddizioni etnocentriche che se da una parte inducono a proporre soluzioni eti- camente elevate nei territori dell'opulenza e del potere, dall'altra continuano a ri- produrre logiche inique e palesemente dannose per i luoghi della miseria e del degrado estremo. Non è un caso che c'è chi ha già prospettato l'ipotesi che pre- sto si utilizzi il multiculturalismo come indicatore di sviluppo (Benvenuto, 2000), cosicché la monoetnicità potrebbe assumere i connotati di un segnale di sotto- sviluppo, dando luogo ad una evidente confusione tra causa ed effetto, poiché I ." ,. l

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78 Elena dell'Agnese

Knox P. (1995), Urban Social Geography. An Introduction, Longman, Harlow.Lavie S. e Swedenburg T. (1996),Displacement, Diaspora and Geographies rfIdentiry,

Duke University Press, Durham.Martuzzi Veronesi F. e Gueresi P. (1990), "L'approccio biologico allo studio del-

le migrazioni", in Livi Bacci M. e Martuzzi Veronesi F. (a cura di), Le n'sorseumane delMediterraneo. Popola\Jone esocietàal croceviatra Nord e Sud, Il Mulino, Bo-logna, pp. 61-92.

McKusick V.A. (1964),Human Genetics, Prentice-Hall, Englewoods Cliffs.Meadows E. (2000), "Old South/New South: Southern Italians in Australia", in

Italian Australian Institute InauguraI Conference, In S earch of the Italian Austra-lian into the New Millenium, Melbourne 24-26 Maggio.

Meinig D.W. (1965), "The Mormon Culture Region: Strategies and Patterns inthe Geography of the American West, 1847-1964", in Annals rf the Associationrf .American Geographers, 2, 55, pp. 191-220.

Péronnet L., Babitch R.M. (1998), Cichocki W.e Braseur P., Atlas linguistique duvocabulairemaritime acadien, Presse de l'Université Laval, Québec.

Sapir E. (1921), Language, Harcourt Brace, New York.Safran W. (1991), "Diasporas in Modern Societies: Myths of Homeland and Re-

turn", in Diaspora, 1, 1.Said E. (2000), Reflexion.r on Extle and Other Essqys, Harvard University Press,

Cambridge.Scriver c.R. (2001), "Human genetics: Lessons from Quebec populations", in

Annual Review of Genomic and Human Genetics, 2, pp. 69-101.Shohat E. (2001), "Rupture and Return: A Mizrahi Perspective On The Zionist

Discourse", The MIT Electronic Journal cf Middle East Studies, 1, http:/ /web.mit.edu/ cis/www / mitejmes/intro.htm, pp. 58-71.

Smelser N.J. (1987),Manuale di Sociologia, Il Mulino, Bologna.Verdicchio P. (1991), Bo.und hy Distance. Rethinking Nationalism through the Italian

Diaspora, Associated University Press, Crannbury NJ.Wright S. (1931), "Evolution in Mendelian populations", in Genetics, 16, pp. 97-

169.Yancey W.L., Ericksen E.P. e Juliani R.N. (1976), "Emergent Ethnicity: A Re-

view and Reformulation", in .American Sociologz'calReview, 41, pp. 391-403.

Immigra~one) sottosviluppo e multiculturalismo.Teorie epratiche dell'etnocentrismo occidentale

Tiziana Bacini

INTRODUZIONE

I crescenti flussi immigratori dalle aree del sottosviluppo stanho animando inEuropa un intenso dibattito sul multiculturalismo, laddove con questo termine -a prescindere dalle declinazioni di significato o dai concetti paralleli maturati neltempo - si intenda il complesso degli orientamenti riguardo alla compresenza diculture ed etnie diverse in uno stesso spazio geopolitico. Tale dibattito - condot-to preminentemente da antropologi, sociologi e filosofi - ha evidenziato molte-plici posizioni, a volte molto discordanti tra loro, ma tutte sottese da un medesi-mo atteggiamento incline a ritenere il multiculturalismo come processo inelutta-bile: dalle posizioni allarmiste di Giovanni Sartori (2000) a quelle comunitaristedi Charles Taylor (2002), dall'auspicata c'solidarietà tra estranei" di Jiirgen Ha-bermas (1997) all'esaltazione del salade bowl di Ulderico Bernardi (2000).

Dato lo stretto legame che intercorre trà sottosviluppo, immigrazione e mul-ticulturalismo, almeno in riferimento al caso europeo, sorge il sospetto che rite-nere il multiculturalismo come processo ineluttabile significa considerare immi-grazione e sottosviluppo come altrettanto inevitabili. Sotto questa prospettiva, ilmulticulturalismo rischia cosi di configurarsi come prodotto di quelle stesse con-traddizioni etnocentriche che se da una parte inducono a proporre soluzioni eti-camente elevate nei territori dell'opulenza e del potere, dall'altra continuano a ri-produrre logiche inique e palesemente dannose per i luoghi della miseria e deldegrado estremo. Non è un caso che c'è chi ha già prospettato l'ipotesi che pre-sto si utilizzi il multiculturalismo come indicatore di sviluppo (Benvenuto, 2000),cosicché la monoetnicità potrebbe assumere i connotati di un segnale di sotto-sviluppo, dando luogo ad una evidente confusione tra causa ed effetto, poiché

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allo stato attuale - vale a dire nella persistente accezione economica dello svilup-po - è la ricchezza a determinare la compresenza plurietnica e non viceversa.

Ma il dibattito sul multiculturalismo, così come viene usualmente condotto,sollecita ulteriori riserve anche in relazione ad altri aspetti, come quelli relativi alrapporto tra sviluppo locale e multiculturalismo, o alla non adeguata considera-zione dei limiti del sottosviluppo e dell'integrazione interetnica. In tal senso, ilconcetto di scala - proprio dell'indagine geografica - evidenzia tutta la sua im-portanza, poiché consente di considerare i fenomeni nella loro dimensione glo-bale e locale, di allargare e restringere il campo di-analisi adeguandovi metodi diricerca e strumenti di valutazione appropriati. Nel caso specifico, adottare un'ot-tica geografica significa travalicare i ristretti ambiti nazionalistici e le relative vi-sioni etnocentriche, ricondurre i fenomeni alle relazioni globali da cui traggonoorigine, verificare la validità di determinati assunti nella loro spendibilità pratica,analizzare il problema della convivenza tra culture diverse nei contesti in cui taleconvivenza si esplicita, portando il dibattito su coordinate concrete al di là dellemere speculazioni teoriche 1.

Questo contributo intende utilizzare la questione del sottosviluppo comechiave di lettura degli attuali processi in corso, per evidenziare queste e altre per:plessità di fondo che ruotano attorno al concetto di multiculturalismo, con l'in-tento di rovesciare il punto di vista su cui .si basa il dibattito contemporaneo suquesto argomento e di sollecitare alcuni spunti di riflessione.

PROCESSI INELUITABILI E INCONGRUENZE ETNOCENTRICHE

Il dibattito sul multiculturalismo in Europa si è intensificato a seguito dei ri-levanti flussi immigratori dai Paesi del sottosviluppo 2. Nei numerosi scrittisull'argomento - tanJ:Onelle visioni a favore quanto in quelle contro - il multi-culturalismo è affrontato in termini di inevitabilità, come un dato di fatto, comequestione su cui è necessario assumere al più 'presto una posizione dati i suoi pre-occupanti connotati e le sue ineluttabili progressioni. Il riferimento alle cause diquesta immigrazione, vale a dire la povertà estrema e disperata che affligge cen-tinaia di milioni di abitanti del nostro pianeta, lo sviluppo ineguale che tende a

1 Per una rassegna degli studi geografici sui temi dell'immigrazione e del multiculturalismoin Italia si rimanda agli atti dell'omonimo convegno svoltosi a Macerata nel 1996 (Brusa, 1997) ealla bibliografia in essi contenuta. Tra gli studi più recenti si vedano i contributi contenuti nelvolume dedicato alla memoria di Guido Barbina; in particolare, si segnala la prolusione all'a.a.1998-99 dello stesso Barbina (2001) e l'articolo di Alma Bianchetti (2001).

2 Al 1999, lo stock di popolazione straniera nell'Unione Europea era pari a 20 milioni (pro-veniente per il 30% da uno degli stessi paesi membri), per una media di 5,3 stranieri per 100 re-sidenti (OECD-SOPEMI, 2001). In Italia, al 31/12/2001, si è rilevata la presenza di 1.362.630immigrati regolari (pari al 2,9% della popolazione), di cui il 28,9% proveniente dall'Europa cen-tro-orientale, il 26,9% dall'Africa, il 19,1% dall'Asia e 1'8,2% dall'America Latina (Caritas, 2002).

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divaricare gli squilibri, concentrando la ricchezza e il benessere nel cosiddettoNord del mondo, appare solamente come vago riferimento causale, come seanch'esso cioè fosse un processo ineluttabile, come se si desse per scontat<? chequesto sistema globale continuerà inesorabilmente a funz~onare così e a npro-durre le proprie ingiustizie spaziali e sociali anche nel pro~S11nO~turo. Im~wa-zione e sottosviluppo risultano così inseriti nella medesl~a lo~ca aut~P?l~tlCadell'attuale sistema globale e in effetti, continuando a raglOnare m ~ermlru siste-miei, essi costituiscono feedback negativi, cioè retroazioni ch~ ga~antlscono .la sta~bilità del sistema dominante, fatto di paesi ricchi che si arricchiscono e di paeslpoveri che si impoveriscono. _ .

Questa disarmante accettazione dell'esistente, come .se l'attual~ co~~~razlO-ne del sistema globale con le sue contraddizioni e i suo~ cre~centl ~quilibn fossefuori discussione fa sì che si ragioni sul come adeguarsi agli effetti e non su co-me rimuovere le 'cause che determinano tanti fenomeni. E tra questi effetti vi èper l'appunto in primis l'immigrazione e dunque il problema viene ide~ti~cato nelcome conciliare la compresenza nei Paesi economicamente avanzati di popola-zioni che perseguono credenze, tradizioni e visioni del. mondo pr?~ondamen~edlverse. Nessuna parola rispetto al fatto che questo movimento cos~mt~nso e di~sperato di popolazioni che decidono di mettere a rischio la pro~)t1a Vita. pur diraggiungere l'eldorado europeo sia il segnale di una profonda disuguaglianza eingiustizia che si sta perpetuando nel nostro pianeta e per la quale sarebbe ~e~~s~saria una seria e motivata riflessione; né tantomeno vi è accenno alla possibilitàneanche troppo remota che lo stesso sistema glo~ale ?on ~ossa s?stenere a.lun-go tali squilibri senza che presto o tardi se ne manifestino gli effetti anche nel ter-ritori dell'abbondanza.

Alla luce dei profondi e crescenti squilibri rinvenibili nel nostro pianeta si hacosì l'impressione che il multiculturalismo corri~ponda alla .vers~o.ne raffinata d~lpensiero occidentale nei confronti del sottosviluppo, cosicché in casa proprIaP~ropa cerca di realizzare obietti:vi. e~camente eleva~ attraver~? ~'int~grazionedegli immigrati (forse anche per rrunirmzzare ~d eso~Clzz~e COSII.rischi del co?-fronto interculturale), mentre ai Paesi sottosviluppatl continua a nservare una rr-risoria parte del proprio PIL, dà luogo ad un'inefficace e controprod:-rcente coo-perazione internazionale, appoggia e condivide logiche inter~az:onali che dep~e-dano risorse e prodotti locali, sostiene economicamente e logisticamente conflit-ti e guerre: due facce della stessa medaglia, in altre parole, per non affrontare re-almente il problema delsottosviluppo. .

Indubbiamente, sarebbe scorretto generalizzare e non tenere conto di tuttequelle persone, organizzazioni, associazio~ che muovon~ da tutt'alr:è premessee che si impegnano in prima persona in favore del sot~osviluppo; ~a e altrettantoevidente che molti di quelli che affro_ntano argomenti del genere Ignorano o co~munque sottovalutano il fatto che il nostro contine?te ha la sua ~uona dose diresponsabilità nel perpetuare il disagio estremo in cm versa la magglOr'p~~e della

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popolazione di questo pianeta: è sufficiente una. d~cumenta~ione neanche trop-po approfondita per rendersene conto. N~lla migliore delle Ip~tesl, affrontare ilmulticulturalismo in Europa senza tenere m debita considerazione le cause c.helo determinano e i processi globali che ne sono alla base, dimostr.a ur:~ percezlO-ne alquanto limitata e alterata della realtà, struttura~a sulla propna visione etno-centrica, così quello che avviene fuori dei confini eu~o~el Sl configura comeestraneo, da prendere in considerazione solo quando S1 npercuote m casa pro-

p~. .Un'ulteriore conferma delle V1SlOru sostanzialmente emocentriche su cm e

impostato l'intero dibattito sul multiculturalismo è fornita dalla questio?e ~ellosviluppo locale. Come conciliare il multicultur~smo con un c~ncetto ~ svilur:,~po locale valido come modello generale, vale a dire per tutt~ le c~m~ta localidel globo? In Europa si parla tanto .~ ~viluF:Po.bottom.u.f' di val?nZZaZlOne delleculture locali, di recupero delle radici identitarie, ed e innegabile che la culturastia diventando sempre più un fattore di sviluppo territoriale, come conferma lafilosofia che ha animato e continua ad animare le progettualità sostenute e finan-ziate dall'Unione Europea. Tuttavia, il dibattito sul multiculturalis~o res~tuisceun'idea di sviluppo locale come. obiettivo valido solo all'i~terno ?~lconfini eur~-pei, come se le aree del sottosviluppo non .avessero anc~ esse din~o ad .uno ,S':1-

luppo locale, ad una valorizzazione delle nsorse naturali e.cultu~ali, cos1~che m~vece di puntare l'attenzione sullo sviluppo locale anche nel Paes~ sott~svil.uppatlci si pone il problema di come conciliare la coesiste~a di'po~?li di on~.e c~-ture diverse nei territori dell'opulenza, con tutte le inevitabili contraddizioni econseguenze che ne derivano 3. . .' .

Più o meno esplicitamente, i fautori del multiculturalisrno sostengono ch~ mquesto modo l'Europa potrebbe configurarsi come laborator~o propedeu~codell'etica e del progresso, affinché si pervenga ad un modello di convrvenza m~teretnica valido ~ scala universale. Ma quand'anche questo fosse vero non SI

può fare a meno di specificare che si ~a~t~re~be comunque di un unive.rso limi-tato ai paesi economicamente avanzati, poiché almeno allo stato attuale e alquan-to improbabile immaginare flussi migrat?ri. c.he dall'Euro~a, d.all'~me.rica s,etten-trionale, dal Giappone o dall' Australia SI dingano verso l Africa, l A~la o ~Ame-rica Latina alla ricerca di migliori condizioni di vita. Ma forse se SI attribuisse

3 "Gli effetti di questo movimento sono ormai già avvertibili. Le nostre società, cos~ruitesu valori culturali consolidati da secoli, su comportamenti e su consuetudini che non lntendiam~e non sappiamo modificare, su una geografia umana radicata sul territorio da lun~hi processI diadattamento, si trovano improvvisamente di fronte non a grupplumaru da assorbire con le buo-ne o con le cattive e da inserire nei nostri sistemi, ma a masse di gente che gIUngono 111 Europaportando con sé la propria cultura, che vogliono mantenere ben viva, senza alcuna intenzione difarsi assimilare e di perdere le proprie caratteristiche etruche, trasferendo nel nost;r0 continentetradizioni e comportamenti che ci appaiono del tutto estranei: sta nascendo COSIuno scontr?,culturale di proporzioni straordinarie, che da secoli non si registrava nel vecchio continente(Barbina, 2001, p. 24). .

Immigra:done, sottosviluppo e multiculturalismo. Teorie epratiche ...

priorità al problema di come avviare e sostenere processi di sviluppo reale nellearee del sottosviluppo - vale a dire sulla base dei caratteri locali e a vantaggio del-le popolazioni locali, pur se sempre all'interno della rete delle relazioni globali,evitando così il trasferimento del Sud del mondo al Nord -l'Europa non avreb-be più modo di sperimentare progetti così eticamente elevati, ovvero, più reali-sticamente, di perpetuare quelle logiche di sfruttamento che le consentono dimantenere la propria condizione privilegiata.

SVILUPPO LOCALE, METICCIATO CULTURALE E SOTTOSVILUPPO

Parlando di auspicabili sviluppi locali anche nei territori del sottosviluppo èinevitabile il riferimento ai concetti di cultura locale, di identità culturale e di sen-so di appartenenza~ perché i progetti di sviluppo locale in Europa si stanno con-figurando proprio attorno ad una vigorosa riscoperta - spesso alquanto artificio-sa - delle culture, delle tradizioni e del trascorso storico delle comunità locali, neltentativo di sollecitare uno sviluppo endogeno, che si autoalimenti sulla base diuna rinnovata coesione sociale e che faccia perno su elementi di unicità. Un pro-cedimento che le autorità locali, specie quelle dei territori più marginali, stannolargamente recependo, facendo leva su un revival eli miti e riti di sapore roman-tico, proprio come molti Stati europei fecero a suo tempo per sollecitare il sensodi appartenenza alle rispettive comunità nazionali.

La concezione tradizionale di identità muove del resto dalle specificità di unterritorio, dove è insediata una comunità che ha seguito un determinato processostorico e che ha interagito con un ambiente, dando luogo ad un patrimonio cul-turale sedimentato nei segni tangibili e meno tangibili - come nel caso delle con-suetudini, delle tradizioni, delle scale di valori, dei codici di comunicazione socia-le - ma che comunque costituiscono il perno su cui è strutturato il senso di ap-partenenza e la coesione sociale. Per la geografia tale accezione risale almeno alRatzel, precursore del concetto di genere di vita, e si è radicata nella teoria e nellaprassi disciplinare, trovando in Breton uno tra i più eloquenti interpreti, comequando ha specificato, per esempio, che "l'etnia è la collettività o meglio la co-munità, la cui coesione è garantita da una cultura particolare" (Breton, 1988, p.4). Così la coesione sociale risulta fondamentale per lo sviluppo locale, inteso co-me processo "dal.basso", condiviso e dunque privo di conflittualità interne rile-vanti.

Da qualche tempo, tuttavia, i concetti di cultura, identità e senso di apparte-nenza sono sottoposti a rilevanti processi di revisione, tanto in ambito sociolo-gico, antropologico che geografico. Una révisione sollecitata non solo dalle dina-miche della cosiddetta globalizzazione, vale a dire dalle sempre più frequenti in-tersezioni tra locale e globale, ma anche a seguito dell'intensificazione dei pro-cessi migratori. A prescindere dalle tante variazioni sul tema, tali recenti imposta-

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zioni sembrano concordi nel ritenere identità e cultura come concetti mutevoli,permeabili, dinamici e dunque non chiusi e fissati nel tempo come sostiene lacorrente essenzialista (Guigoni, 2002). Le identità "forti" diventano così oggettodi dure critiche (Remotti, 1996) e si sostiene l'idea di un'identità culturale com-plessa, plurale e dinamica, che concili un senso di appartenenza al tempo stessoglobale e locale (Tomlinson, 2001), che superi le divisioni di un "mondo in fram-menti" sempre più difficile da gestire dai tradizionali apparati politici (Geertz,1999), magari facendo ricorso alla suggestiva espressione del "meticciato cultu-rale" (Amselle, 1999), vale a dire partendo dal presupposto che le culture deriva-no da un'unica matrice e sono sempre state sottoposte ad interazioni reciproche,pertanto, nel nuovo (dis)ordine internazionale è necessario riscoprire le radiciche accomunano i popoli e non le diversità. A medesime conclusioni pervieneanche il recente lavoro curato dalle geografe Doreen Massey e Pat Jess, soste-nendo con avvincenti argomentazioni la necessità di revisionare non solo il con-cetto di identità e di cultura locale, soprattutto alla luce dei rapporti di forza edelle geografie del potere di cui sono esito, ma anche quello di senso del luogo,inteso anch'esso come costruzione sociale (Massey e Jess, 2001).

L'idea del "meticciato culturale" risulta indubbiamente utile per smorzare itoni della contrapposizione, e in effetti quest'idea è stata elaborata da Amselleproprio nel timore di un peggioramento della conflittualità interetnica, così comeil politologo statunitense Samuel Huntington (1997), a proposito dell'ormai noto"scontro di civiltà", riferendosi in particolare ai rapporti tra Occidente e Islam.Altrettanto importante è il fatto che l'idea del "meticciato culturale" - ponendoin evidenza le similituclini che intercorrono tra le diverse culture, sulla base degliindiscutibili influssi e legami reciproci, ben rappresentate dalla metafora del"polline culturale" di Braudel - apre la strada al confronto e alla comunicazionereciproca, favorendo l'affermazione di principi universali di pace e amicizia tra ipopoli sicuramente ~condivisibili.

Tuttavia, se è vero che oggi la permeabilltà dei sistemi locali è aumentata, cosìcome la velocità degli spostamenti dei prodotti, delle informazioni e delle perso-ne, creando continuamente nuovi adattamenti e ibridazioni, è altrettanto veroche i processi geopolitici in atto su scala globale dimostrano tutt'altra tendenza,perché tanti mondi locali, anche all'interno dei contesti economicamente avan-zati, reclamano a gran voce il riconoscimento della loro specificità, a testimo-nianza del fatto che le tradizionali categorie concettuali (senso di appartenenza,identità etnica, ecc.) sono ben vive e si rinvigoriscono proprio in risposta alle for-ze omologanti della globalizzazione.

Fatto ancor più rilevante è che mettere in discussione l'accezione tradizionaledi cultura locale e di identità culturale comporta inevitabilmente il porre in di-scussione anche il senso di appartenenza ad una comunità ovvero un importantefattore di coesione sociale, che è a sua volta fondamentale per garantire lo svilup-po locale, posto che allo stato attuale non sembra che ci siano valide alternative

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per sollecitare la coesione sociale. Per Remotti "si può vivere, e in effetti si vive,anche al di fuori della cappa dell'identità, riducendo semmai gli espedienti diidentità a poca cosa, a strutture filiforrni (come nel caso dei Tonga) che permet-tono di imbarcare senza troppi problemi una buona dose di flusso e di muta-mento" (Remotti, 1996, p. 103). Uscire dalla logica dell'identità consentirebbe-sempre secondo Remotti - di liberarsi di "maschere e finzioni", di pervenire adun "elogio della precari età", di alleggerire le forme identitarie, "così da renderlepiù disponibili alla comunicazione e agli scambi, alle intese e ai suggerimenti, alleibridazioni e ai mescolamenti" (Remotti, 1996, p. 104).

Ma se le società economicamente avanzate hanno sufficienti sicurezze edescamotages per giocare sul senso di appartenenza e di identità, il mondo sottosvi-luppato non le ha, anzi sta perdendo le proprie reti comunitarie, sta dissolvendole proprie specificità, non solo per effetto della povertà, del degrado ambientalee dell'emigrazione, ma anche per effetto di modelli di sviluppo importati dai pa-esi economicamente avanzati e completamente alieni dal contesto locale, comedimostra eloqueritemente il caso dell'Africa sub-sahariana (Barbina, 1995). Nona caso, nell'ambito delle teorie sullo sviluppo, esiste una specifica corrente di de-rivazione neo-populista che almeno da vent'anni a questa parte attribuisce gran-de importanza alla comunità locale, sia in quanto presupposto di base per l'avviodi uno sviluppo dal basso, che risulti strettamente correlato alle specifiche con-dizioni socio-culturali, storiche e istituzionali dei rispettivi contesti sottosvilup-pati (Stohr,1981), sia come unica risposta ai processi egemonici ed espansionisti-ci del-mercato globale (Hettne, 1990). Ma tali orientamenti, pur se concettual-mente recepiti anche nell'ambito delle grandi organizzazioni internazionali, co-me l'UNDP e la World Bank, stentano evidentemente ad affermarsi nella prati-ca, stretti come sono nella morsa di un potere economico sempre più libero diagire indisturbato su scala globale (Sassen, 1998).

Stando così le cose, forse non è azzardato ipotizzare che il concetto delle cul-ture e delle identità fluttuanti potrebbe rivelarsi un rischio per i paesi sottosvilup-pati, non solo perché contribuirebbe a togliere valenza al concetto di cultura e diidentità tradizionalmente inteso, che oggi appare come unico fattore per solleci-tare coesione sociale e sviluppo locale anche nelle aree più degradate del nostropianeta, ma anche perché potrebbe rivelarsi un fattore di diluizione delle specifi-cità culturali a tutto vantaggio di una cultura occidentale sempre più dominantesu scala globale. In altre-parole, l'idea del meticciato culturale è indubbiamentepositiva per il cammino dell'umanità verso la fratellanza e la convivenza pacificatra i popoli, ma sorge il dubbio che sia qualcosa da realizzare in una fase succes-siva, quando anche i paesi sottosviluppati avranno raggiunto i loro traguardi eco-nomici, politici e sociali sulla base delle loro specificità ambientali e culturali enon certo finché la cultura occidentale con i suoi potenti mezzi economici e tec-nologici avrà il predominio sulle altre. ,/"~.-'-"

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. _ " redai legami tra cultura, economia e sviluppo, la diversità, '"ètm. vafore di per sé. L'antropologo Ulf Hannerz (2001) ha elencato

,,~·~enmzioni per giustificare la necessità della diversità culturale tra cui\ ~lf.i cJ;e essa consente di man~enere v~v:ele alternative, le soluzioni, le ~ossibi-Ii~ p~ I 1ntero genere umano. Biodiversità naturale e diversità culturale, peraltro,ViaggIano sullo stesso binario: non è forse vero che ogni popolo ha sperimentatoforme d'uso delle risorse adatte all'ambiente in cui si trova, molte delle quali so-no oggI oggetto di attenzione perché ritenute ecosostenibili? E non è forse veroche il controll? delle risorse dei Paesi sottosviluppati è finito sempre più nellemaru d~l Paesi economicamente avanzati, sottraendo ai primi la possibilità dipersegwre propri modelli di sviluppo sulla base delle proprie tradizioni culturali?E non è forse vero che i Paesi economicamente avanzati utilizzando le risorsedei contesti sottosviluppati hanno introdotto metodi e tecniche non idonei ai lo-ro caratte.ri ambientali al punto da alterarne, a volte irreversibilmente, gli equilibrispontanei? ~ora, se l,a comunità internazionale risulta sempre più impegnata _almeno sul plano teorico - a salvaguardare la biodiversità, non è forse opportu-no tutelare anche la diversità culturale, da cui potrebbero derivare forme d'usodelle risorse differenti, adatte alle condizioni ambientali e sociali di ciascun terri-torio, partendo comunque dal presupposto che ogni cultura ha la medesima im-portanza e ogni cultura si sviluppa al meglio nei territori ove si è sedimentata neltempo, pur con l'apporto di elementi di altre culture, con le quali comunque re-sterebbe 111 comunicazione, in un'unica "pluralità di referenze sistemiche" - perdirla con Luhmann - di dimensione globale?

In questo caso il cerchio si chiuderebbe: agevolare la vitalità delle culture lo-cali ~er ga~antir.e. coesione sociale e per avviare o rafforzare progetti di sviluppolocali, pur insenu nella rete delle relazioni globali; riconoscere a ciascuna culturala sua e~ale dignità"rispetto alle altre e stabilire sulla base di questo una piatta-forma di comumcazione reciproca, affinché si affermi l'unità nella diversità: unasalade bowl, insom~a, ma alla scala globale. 'In tal senso la cultura popolare po-trebbe configurarsi non solo come fattore di coesione sociale e di sviluppo loca-l~, ma anche come "deposito secolare di una saggezza capace di sottrarsi ai con-dizl~namenti storici e di mercato", come sosteneva Karl Polanyi (citato in Ber-nardi, 2000, p. 17), dunque diversità culturale come importante elemento attra-verso cui opporsi alle spinte omologanti e diseguaglianti della globalizzazione.

ILIMITI DEL SOTTOSVILUPPO

Pur di non mettere in discussione l'attuale configurazione del sistema globalesembra dunque che si preferisca dubitare della validità di concetti portanti, comequello di cultura e di identità, incorrendo così in evidenti contraddizioni e in vi-sioni della realtà palesemente etnocentriche. Ma il sottosviluppo ha i suoi limiti

lmmigra:<jone, sottosviluppo e multiculturalismo. Teorie epratiche: .. 87

".

e in assenza di un'inversione di tendenza continuerà comunque a manifestare isuoi drammatici effetti sull'intero globo, paradisi occidentali compresi. Il titolodi questo paragrafo è dunque volutamente provocatorio: così come negli anni'70 il Massachussetts Institute of Technology intitolò il suo celebre rapporto "Ilimiti dello sviluppo" sulla base della preoccupante dissoluzione qualitativa equantitativa delle risorse, così oggi sarebbe opportuno riflettere sui "limiti delsottosviluppo", tenuto conto che nella maggior parte delle terre emerse di que-sto pianeta vigono condizioni di insostenibilità ambientale e sociale, che al di làdi ogni esercizio di catastrofismo costituiscono un fattore di rischio per gli equi-libri dell'intero globo.

L'immigrazione dai Paesi sottosviluppati è in aumento, perché nell'altra metàdel mondo le condizioni di vita stanno peggiorando; e che l'ultima ondata imrni-gratoria (dagli anni '80 in poi) sia sollecitata non da fattori di attrazione ma daforze di espulsione che si intensificano progressivamente è un fatto ormai docu-mentato dagli organismi internazionali (IOM, 2001) e largamente recepito nellaletteratura scientifica (Bernardi, 2000; King, 2001). Appellarsi ai meccanismi au-toregolativi della domanda e dell'offerta non serve a molto, perché comunque lepopolazioni del cosiddetto Sud del mondo preferiranno sempre trasferirsi nelricco occidente alla ricerca di qualunque espediente per vivere, piuttosto che ri-schiare costantemente di morire in terra loro. Né tantomeno risulta valido il pa-rallelo - spesso utilizzato per sollecitare immedesimazione e comprensione neiconfronti degli immigrati, e sostenendo così indirettamente la necessità del mul-ticulturalismo - tra l'immigrazione attuale dai paesi sottosviluppati e I'emigrazio-ne oltreoceano che nei tempi passati (in particolare dalla metà dell'800 alla primametà del '900) contraddistinse l'Europa, poiché ben diversi sono i caratteri di ba-se di questi due fenomeni migratori.

L'Europa stava attraversando un momento difficile anche per effetto della ri-levante crescita demografica, ma non si può certo dire che mancassero le pre-messe culturali, sociali, politiche e tecnologiche per uno sviluppo che non a casodi lì a poco sarebbe arrivato. Nel caso dell'immigrazione contemporanea parlia-mo invece di contesti di provenienza privi di condizioni strutturali per lo svilup-po, per la povertà cronica che affligge la quasi totalità della popolazione, per lacarenza di infrastrutture, istruzione e formazione professionale, per un debitoestero che vincola le sorti di questi paesi a quelle dei potenti della Terra, per lamassiccia presenza di capitali stranieri che utilizzano a proprio vantaggio territo-rio e risorse, per istituzioni e amministrazioni corrotte e fatiscenti, per la presen-za di conflitti e guerre (Banini, 2001).

In altre parole, l'emigrazione europea ..•oltreoceano era sospinta dalla povertàcongiunturale, l'immigrazione attuale dalle aree del sottosviluppo è dovuta inve-ce al sottosviluppo strutturale. E tra povertà e sottosviluppo c'è una profondadifferenza: come specificò efficacemente Guido Barbina il sottosviluppo è "l'im-possibilità cronica, generalizzata a vasti strati della società, riferita nonaun pun-

88 Tiiiana Banini

to ma a un territorio vasto e ben definito [... ] prolungata nel tempo [... ] di sod-disfare tutte o alcune di queste esigenze di base", vale a dire il mangiare, il coprir-si, il ripararsi dal freddo, dal sole o dall'aggressione di altri uomini o animali, ilcurarsi, l'istruirsi, ecc. (Barbina, 1995, p. 26). Ciò significa che ben diverse sonole motivazioni che spingono ad emigrare dalla povertà o dal sottosviluppo: la po-vertà induce a cercare condizioni di vita migliori, il sottosviluppo spinge a cerca-re la vita. Nelle aree del sottosviluppo si muore ammazzati dagli squadroni dellamorte assoldati dai governi, dalle mine antiuomo disseminate ovunque, si muoreperché il proprio campo non produce più niente, si muore di dissenteria o tifoper la drammatica carenza di acqua, si muore perché non si hanno soldi per com-prare le medicine, anche quelle di uso comune. Sottolineare questo aspetto è im-portante, perché al di là di ogni pessimismo, saranno sempre più inevitabilmentenumerosi coloro che decideranno di emigrare nei paesi dell' opulenza. Anzi, inassenza di un'inversione di tendenza, è probabile che la soglia della legalità e del-lo sfruttamento si abbassi ulteriormente, poiché gli immigrati saranno dispostiad accettare condizioni ancor più precarie pur di venire a cercare la sopravviven-za per sé e per i propri familiari.

L'emigrazione europea era inoltre sollecitata dai paesi di approdo e in effettile comunità di immigrati contribuirono in misura determinante al decollo econo-mico degli Stati Uniti, del Canada o dell'Australia, vale a dire paesi "nuovi" dienorme estensione, dove l'impronta culturale dominante era comunque garanti-ta da un'accurata selezione etnica dei flussi immigratori e dove "i nuovi arrivatipotevano costruirsi le loro Little Italy, la loro Chinatown, la loro Harlem senzascardinare strutture già consolidate e riuscivano in qualche modo a trovare unacollocazione funzionale senza eccessivi problemi nella società ospitante, già persua natura multietnica, attraverso il processo dell'adattamento, dell'integrazionee dell'assimilazione" (Barbina, 2001, p. 21). L'immigrazione dalle aree del sotto-sviluppo ha invece pèr protagonisti popoli profondamente diversi, tra loro e ri-spetto al mosaico etnico europeo, con i quali non sempre è facile trovare puntidi incontro, e gli Stati europei - almeno ufficialmente - non facilitano di certol'entrata degli immigrati extracomunitari: non a caso si parla di una "fortezza Eu-ropa".

A parziale giustificazione del fenomeno immigratorio si sostiene anche chel'immigrazione è utile ai paesi sottosviluppati, poiché le rimesse degli emigrantiservono per far entrare denaro e mettere in moto processi di sviluppo. Ma difronte alle carenze strutturali croniche che affliggono questi paesi è più facilepensare che le rimesse servano a dare un po' di sollievo ma non certo a innescareun processo di sviluppo sostanzialmente non voluto né dai poteri locali, né daipaesi economicamente avanzati. Né tantomeno si può pensare a competenzeprofessionali acquisibili in Occidente e spendibili poi in madrepatria, poiché, co-me ha evidenziato un recente rapporto dell'International Organisation for Mi-gration, tali competenze quasi mai possono essere reinvestite nei paesi di origine,

Immigraiione, sottosviluppo e multiculturalismo. Teorie epratìche •.. 89

-.

visto che molti settori economici sono scarsamente o affatto rappresentati, co-sicché gli immigrati che rientrano, nella migliore delle ipotesi, si trovano a svol-gere lavori del tutto diversi (IOM, 2001).

La drammaticità delle condizioni in cui versa la maggior parte degli abitanti diquesto pianeta è testimoniata proprio dall'intensità dei flussi migratori, cosicché- come aveva ben evidenziato Costantino Caldo (1996) - le migrazioni sono lapiù eloquente testimonianza delle forti sperequazioni nei livelli di sviluppo checontraddistinguono il nostro pianeta. Comunemente, tuttavia, si ha la sensazioneche i flussi migratori dalle aree del sottosviluppo muovano solo in direzione deiricchi paesi occidentali, mentre in realtà, come confermano i rapporti sulle mi-grazioni internazionali delle Nazioni Unite, la metà dei movimenti migratorihanno luogo da/verso paesi sottosviluppati: nel 2000, su un totale di 175 milionidi persone residenti in un paese diverso da quello di nascita, ben il 40% era rife-rito ai Paesi "meno sviluppati" (less developed regions). E osservando il trend dell'ul-timo decennio si osserva altresì un peggioramento della situazione: nel 1990, suun totale di 121 milioni diforeign bom ben 67 milioni - pari al 55,4% - risiedevain un paese sottosviluppato; nel 1997, su un totale di 140 milioni, tale.percentua-le era scesa al 50% (United Nations, 2002), a dimostrazione del fatto che le areedel sottosviluppo hanno progressivamente perso la propria capacità attrattiva, avantaggio di quelle economicamente avanzate 4.

Che questo processo sia il risultato di mutate condizioni geopolitiche interna-zionali, che facilitano gli spostamenti a lungo raggio delle persone, o che sia do-vuto ad un effettivo peggioramento della situazione politico-economica anchenei pochi paesi sottosviluppati che erano in grado di attirare immigrati, o che in-vece sia un segnale dell'avvenuta capacità di molte persone di disporre di suffi-ciente denaro per realizzare un trasferimento nelle aree economicamente avan-zate non si è in grado di dirlo in questa occasione. Ciò che importa in questofrangente è di porre in rilievo il fatto che le persone che nel nostro globo si muo-vono alla ricerca di migliori condizioni esistenziali sono molte più di quanto si siasoliti immaginare.

La disaggregazione di alcuni indicatori alla scala nazionale consente di avereun'idea ancor più precisa. La percentuale di foreign bom sul totale della popolazio-ne, ad esempio, assume i valori più elevati in diversi paesi economicamente avan-zati, come Canada (18,9), Australia (24,6), Nuova Zelanda (22,5), Svizzera (25,1),Lussemburgo (37,2), Israele (37,4%), ma anche in Giordania (39,6), Kazakistan(18,7), Arabia Saudita (25,8), Emirati Arabi Uniti (73,8), Kuwait (67,9%), Oman(26,9%), Qatar (72,4), nonché in Gabon, Sahara Occidentale e Guyana Francese

4 La maggior parte dei foreign born, vale a dire delle persone che risiedono in un paese diver-so da quello di nascita, è concentrata in Europa (56 milioni), Asia (50 milioni) e Nord America(41 milioni). Rispetto alla popolazione residente, tuttavia, si colloca al primo posto l'Oceania(19,1%), seguita da America settentrionale (13%), Europa (7,7), Africa (2,1), Asia (1,4), Americalatina (1,1) (United Nations, 2002).

90 Ti;dana Banini

(44,9), mentre diversi paesi africani, latino-americani o asiatici presentano valorisimilari o addirittura più elevati rispetto a molti paesi europei (United Nations,2002) (fig. 1) 5. -

Altrettanto significativa è la rappresentazione di un altro dato, riferito al saldomigratorio per paese. A colpo d'occhio è evidente la differenza tra un Sud delmondo che emigra e un Nord del mondo che accoglie immigrati, ma a ben ve-dere si evidenziano anche numerose aree dell'emisfero meridionale che presen-tano un saldo positivo, tra cui diversi paesi africani, molti dei quali - indubbia-mente - richiamano immigrati per motivazioni politiche e non certo economi-che (fig. 2) 6.

Purtroppo non si hanno ulteriori dati a disposizione per poter quantificare ilfenomeno migratorio su scala globale, tuttavia anche i rapporti delle tante orga-nizzazioni che si occupano di movimenti migratori evidenziano che l'immigra-zione dalle aree più degradate del pianeta assume connotati problematici non so-lo nei paesi ricchi, ma anche in molti paesi sottosviluppati. Il Messico, ad esem-pio, riceve costantemente flussi di migranti dai paesi dell'America centrale direttiverso gli Stati Uniti e accoglie almeno 100.000 immigrati illegali dal Guatemala(OECD, 2001). La Tailandia richiama immigrati dal Myanmar, dalla Cambogia edal Laos, ma anche dal Bangladesh, Pakistan, Cina (come paese di transito neltraffico dei migranti), e fornisce ospitalità per i rifugiati karen del Myanmar (sonoin 100.000). L'India ha rilevanti problemi per l'immigrazione irregolare del Ban-gladesh con cui condivide 797 chilometri di frontiera incontrollati (si parla di al-meno 300.000 persone all'anno), ma riceve immigrati anche dal Myanmar e dalloSri Lanka, tra cui 70.000 rifugiati tamil (Scalabrini Migration Center, 2000).

A ciò bisogna ag~iungere che i dati sui movimenti migratori non possono inogni modo restituire un'immagine reale delle condizioni di precarietà in cui ver-sano le aree del sottosviluppo, non solo r= la notevole entità dei flussi clande-stini, che sfuggono a qualsiasi quantificazione statistica, ma anche perché nontutti coloro che vorrebbero partire riescono a farlo.

5 Da rilevare, peraltro, che elevate quote di residenti nati in un altro paese sono detenute daparadisi fiscali - da Monaco (68,9) ad Aruba (30,8), dall'Isola di Man (48,4) alle Antille Olandesi(25,3) - dove non si parla minimamente di problematiche multiculturali. Ma del resto in questipaesi l'immigrazione è costituita da stranieri ricchi, con identità fluttuanti e sicuramente ben vo-luti!

6 Nelle regioni del sottosviluppo, infatti, si addensa anche un rilevante numero di rifugiati:nel 2000, su un totale di 15,8 milioni - di cui 12 sotto il mandato dell'UNHCR (United NationsHigh Commissioner far Refugees) e 4 sotto il mandato dell'UNRWA (United Nations Reliefand Work Agency for Palestine Refugees in the Near Est) - ben 9,1 milioni erano riferitiall'Asia, 3,6 milioni all'Africa e 3 nei Paesi economicamente avanzati. In rapporto alla popola-zione residente, tuttavia, è l'Africa a detenere il valore più elevato (0,5%), seguita dall'Europa(0,3) e da Asia (0,2) e America settentrionale (0,2) (United Nations, 2002).

Immigrai}'one, sottosviluppo e multiculturalismo. Teorie epratiche, .. 91

!li 0- 4,9Il 5- 9,9.10-14,9Il 15e> o 2.000 4.000

e--kilometers

Fig. 1 - % foreign-born (residenti nati in un paese diverso da quello di nascita) sul totale della po-polazione residente nei diversi Paesi del mondo (2000).N.B. Per una minima parte di Paesi, che non dispongono di dati sul luogo di nascita dellapopolazione, il dato si riferisce alla stima delle persone con cittadinanza straniera.

Fonte: elaboraoione su dati United Nations (2002).

Il saldo positivo11I saldo negativo[I saldo pari a O

o 4.000

e----"Ikilometers

Fig. 2 - Tipologia di saldo migratorio nei diversi P;esi del mondo (media del periodo 1995-2000).N.B. I Paesi con dati non disponibili non sono stati considerati in quanto tutti di esiguaestensione e dunque non visibili nella carta (Seycelles, Isola di Man, Andorra, ecc.).

Fonte: elabora:{jonesu dati United Nations (2002).

92 Tiifana Banini

IUMITI DELL'INTEGRAZIONE

L'intensità del dibattito sul multiculturalismo conferma la tradizione europeaal confronto, alla dissertazione, all'idea di progresso e libertà, ma che spessomanca di aderenza alla realtà, rischiando così di vanificare progettualità più con-crete in nome di alti ideali obiettivamente difficili da raggiungere e a volte sostan-zialmente controproducenti. Una sorta di schizofrenia, insomma, che da una par-te si pone obiettivi spiritualmente elevati e dall'altra non si chiede se ci siano ipresupposti per realizzarla. Così si parla di multiculturalismo senza sapere se èdavvero voluto, sia da parte di chi accoglie sia da parte dei nuovi arrivati, con l'ag-gravante che l'integrazione non può essere indotta dall'alto, ma dev'essere il risul-tato di una volontà popolare, di esseri umani che scelgono di aprirsi e di fidarsireciprocamente. Non a caso il multiculturalismo ha finora trovato terreno fertilea livello didattico, ma a livello sociale è ancora alle prese con forti resistenze.

Più precisamente ci si chiede come si possa parlare di multiculturalismo sullabase di un'immigrazione di così rilevante intensità e drammaticità, che spingecentinaia di migliaia di persone ogni anno a mettere in serio pericolo la propriavita pur di raggiungere l'agognato occidente, che induce altrettante persone a cir-colare clandestinamente sul territorio, ad inseguire il lavoro sulla base di qualche"dritta" ricevuta dal conoscente di turno, a vivere in condizioni di precarietà as-soluta 7. Proprio i connotati di questa immigrazione, così disperata, così forte-mente voluta, così intensa, sta a dimostrare che non si tratta di una scelta ma diuna necessità, e che dunque è alquanto probabile che gli immigrati farebbero ameno di partire, se nei loro paesi ci fossero condizioni di vita migliori.

La condizione essenziale affinché si realizzi integrazione interetnica, invece, èche essa sia voluta sia da parte della popolazione residente, sia da parte degli im-migrati. L'atteggiamento della popolazione europea, a prescindere dagli estremi-srni, è sostanzialmeàte oscillante tra indifferenza e insofferenza. Il Secondo rap-porto sull'integrazione degli immigrati in Italia, elaborato dal Ministero del Wel-fare (Zincone, 2001), fornisce al proposito un quadro piuttosto eloquente: a ot-tobre 2000, 1'80,9% degli intervistati italiani si dichiara contrario all'ampliamentodei flussi immigratori regolari; oltre il 57% ritiene che la presenza degli immigratiaumenti la delinquenza; il 41,1 % ritiene che i matrimoni misti di solito finisconomale. Rispetto al precedente rilevamento (settembre 1999), diminuisce la per-centuale di coloro che ritengono che gli immigrati facciano lavori che gli italianinon vogliono fare (dal 72,5 al 70,9%); aumenta la percentuale di coloro che ri-tengono che alcune pratiche religiose possano minacciare la nostra cultura (dal23,7% al 33,3%); diminuisce la quota di coloro che ritengono che gli immigrati

7 Le stime sulle presenze irregolari in Italia si aggirano intorno alle 200.000-300.000 unità.Nel 2000 gli stranieri respinti alle frontiere - soprattutto quella italo-slovena e quella pugliese -sono stati 42.000, quelli espulsi con provveclimento esecutivo 23.836 e quelli intimati di espul-sione 64.734 (Caritas, 2001).

lmmigraifone, sottosviluppo e multiculturalismo. Teorie epratiche .. ~ 93

non debbano rinunciare alla propria cultura (dall'84,1 % all'83,2%); aumentanocoloro che pensano che gli stranieri "riescono ad integrarsi nel lavoro ma riman-gono chiusi nel loro circolo, hanno solo contatti tra di loro" (dal 37,5% al41,8%). Dal punto di vista degli immigrati emergono altrettanti timori: oltre il47% degli intervistati dichiara di essere stato osservato con ostilità; al 35,1% de-gli uomini e al 28,4% delle donne è capitato di essere insultato; il 75% dei maschie il 68,1% delle femmine si dichiara impaurito dalle notizie fornite dai mediasull'immigrazione; il 45% degli uomini e il 54,8% delle donne si sente "accettatosolo sulla carta". Dal quadro delle risposte emerge inoltre che gli immigrati con-siderano gli italiani poco religiosi e troppo consumisti, nonché inclini a viziare iloro figli, a far comandare le donne, a non rispettare gli anziani, a non attribuireadeguato valore alla famiglia (Zincone, 2001).

L'insofferenza degli italiani si riscontra soprattutto tra i lavoratori dei settoriinformali o instabili, che si vedono minacciati dagli immigrati, a causa dei bassicosti e delle condizioni di precarietà a cui accettano di lavorare. E in effetti l'im-migrazione dai paesi del sottosviluppo sta comportando rilevanti trasformazionianche nei rapporti tra lavoratori e sindacati, tra cittadini e istituzioni. La denunciache viene più di frequente avanzata è quella di riservare agli immigrati attenzionimaggiori rispetto alle classi sociali autoctone più svantaggiate, cosicché gli operaistarebbero perdendo forza contrattuale (Benvenuto, 2000). Le cronache del set-tembre 2002 ci inf~rmano di una Treviso infuriata contro immigrati marocchiniche hanno occupato il sagrato del duomo e che chiedono case, poiché i vecchiedifici_che avevano occupato abusivamente sono stati demoliti per avviare la ri-qualificazione dell'area; alcuni reportages televisivi ci informano invece della riva-lità tra immigrati e lavoratori (in nero) che si contendono il reclutamento del ca-poralato nelle campagne campane e pugliesi e che vedono gli immigrati spuntarlanella maggior parte dei casi, visto che si offrono a prezzi inaccettabili per lavora-tori locali.

Insomma, mentre i multiculturalisti elaborano progetti eticamente ineccepibi-.•.. li, nei luoghi del confronto interetnico si riproducono atavici conflitti tra le classi

sociali svantaggiate del globale e del locale. Una situazione che induce a pensareche la vera questione scottante è il riconoscimento di concreti diritti umani validialla scala globale, come nel caso dei diritti del lavoro, che richiederebbero nor-mative di valenza sovranazionale (Demichelis et alii, 2001).

Stando così le cose, si creano le premesse affinché gli immigrati ricreino co-munità etniche all'interno della città, siano nettamente separati dal rimanentecontesto sociale, si configurino come country users, nel senso che utilizzano i paesieconomicamente avanzati solo per fare soldi e non certo per fare comunità inte-retnica: non a caso, sempre secondo il suddetto rapporto, il 63% degli immigratisostiene di amare dell'Italia soprattutto la possibilità di trovare lavoro (Zincone,2001).

94 Tizjana Banini

Posto in questi termini, ci si chiede come si possa parlare di multiculturalismocon presenze straniere in larga parte illegali, che arrivano nel nostro continenteanche a costo della propria vita, che non sono certo disponibili ad uscire allo sco-perto: presenze aleatorie, effimere, mobilissime, all'inseguimento del lavoro,dell'occasione del momento e non certo attente alle questioni del multiculturali-smo. Anzi, in questo senso non si fa che favorire un'immigrazione utilitarista equindi anche sostanzialmente rancorosa nei confronti dell'Occidente.

Il fatto è che gli immigrati servono a buona parte della vecchia Europa: ser-vono agli imprenditori che non avrebbero manodopera flessibile e a basso costoper i loro campi, le loro fabbriche, le loro imprese edili, i loro ristoranti; servonoalle famiglie, che non troverebbero facilmente connazionali disposti a fare lavoridomestici o ad assistere persone anziane o malate per pochi soldi e magari senzacontributi; servono alle istituzioni scolastiche che per effetto della "crescita ze-ro" hanno sempre meno bambini e adolescenti a cui insegnare, servono a soste-nere la concorrenza dei paesi sottosviluppati i cui prodotti costano meno pro-prio anche per il basso costo del lavoro, esito a sua volta di condizioni disumanee di paghe irrisorie; servono per un mercato del lavoro che richiede flessibilità eprezzi stracciati e gli immigrati riescono a soddisfare questa domanda riducendoall'osso le proprie condizioni di vita, cosa che gli autoctoni non riuscirebbero afare. Per gli imprenditori si tratta di un vantaggio enorme: poter disporre di ma-nodopera a basso costo e reclutabile e licenziabile facilmente in casa propria,senza dover delocalizzare le proprie attività in aree sempre più instabili. Insom-ma, gli immigrati servono a mantenere la. competitività del sistema produttivoeuropeo e prima o poi a garantire la sostenibilità del sistema previdenziale, allor-quando si procedesse alloro inquadramento contributivo. E qui sta un'altra con-traddizione, poiché si dice che gli immigrati servano a compensare l'invecchia-mento della popolazione, ma se non sono regolarizzati ci si chiede in che modopossa avvenire 8.

Consideriamo inoltre che è nelle città che si addensa la maggior parte degliimmigrati. Ma nelle=città, soprattutto quelle di grandi dimensioni, il senso di ap-partenenza alla comunità è già di per sé sostanzialmente inesistente e si assiste aduna polverizzazione di individualismi, legati solo da limitate reti familiari e ami-cali. Il territorio delle città è pieno di riferimenti individualistici: i tradizionali spa-zi della socialità (piazze, mercati, cortili, ecc.) che Geertz definisce "habitat natu-rali delle culture" si restringono, scompaiono o vengono invasi da traffico e con-gestionamento e vengono sostituiti da una quantità crescente di non luoghi, che ri-spondono a logiche di profitto non di identità e di comunità; l'urbanizzazionesfrenata moltiplica la quantità di palazzoni invivibili e di strutture urbane fatte a

8 La rilevante presenza di immigrati clandestini trova giustificazione proprio nell'ampiezzadel mercato nero del lavoro, che rende superfluo il possesso di un permesso di soggiorno. Nelnostro Paese, la percentuale di extracomunitari che lavora nel settore informale si era assestatanegli ultimi anni al 31-34%, mentre nel 1999 è salita al 38,3% (Zinco ne, 2001).

Immigrazjone, sottosviluppo e multiculturalismo. Teorie epratiche; .. 95

posta per incentivare il non senso di appartenenza alla comunità. Le città sonoinoltre un crocevia di culture ed etnie diverse, non solo per la crescente presenzadi immigrati da paesi del sottosviluppo, ma anche per la presenza più o menoprolungata nel tempo di lavoratori, studenti, turisti e city users provenienti da con~testi extraprovinciali, extraregionali o extranazionali, che non so~o inte~essat1più di tanto all'integrazione. In altri termini, soprattutto nel caso del grandi con-testi urbani, si pone il problema di come sollecitare l'integrazione interetnica suun sostrato sociale strutturalmente affatto coeso. Non è un caso che è proprionei contesti più economicamente avanzati che si assiste alla più intensa prolife-razione del volontariato, che assume i connotati di recupero artificiale della so-cialità e del senso di appartenenza (Banini, 2000).

I fautori del multiculturalismo vedono nell'incontro interetnico una impor-tante opportunità per costruire una rinnovata coesione sociale su scala glob~le,che faccia della diversità in senso lato il proprio leit motiv e considerano la CIttàcome il laboratorio interetnico per eccellenza, forse proprio sulla base della so-stanziale assenza di un senso di comunità, maggiormente riscontrabile nei con-testi più limitati, che molto spesso funge da ostacolo all'integrazione degli immi-grati 9.

Peraltro, non si può fare a meno di notare come la dis-integrazione rinvenibi-le nelle società economicamente avanzate tragga alimento non solo dagli stili edai ritmi di vita indotti dal sistema capitalistico, ma anche da una più profonda ediffusa difficoltà nel rapporto interpersonale, esito forse della maggiore autono-mia acquisita dagli individui, che rende sempre più apparentemente opzionale ilrapporto con gli altri, a differenza di quanto avveniva nelle società rurali del pas-sato. Forse è proprio questo il motivo che spinge tante persone a vivere delle re-altà virtuali fatte di relazioni sociali e intimità via internet, tanto che ormai si par-la di e-migr;ij'one (Zoletto, 2001). Il contatto con l'altro e il diverso si intensifica,dunque, ma sempre più attraverso la comodità e la protezione dell'etere, cheporta il mondo in casa quando si vuole, che fornisce la possibilità di inventarsiun'altra identità, che riduce il rischio di una delusione, perché tutto è in sospen-sione. Il successo delle chat line conferma la voglia di socializzare ma anche quelladi non mettersi in gioco più di tanto, di non compromettere la propria fragile in-

-. tegrità, attraverso "un'isola che non c'è in cui rifugiarsi per non dover ammetterela propria incapacità di relazionarsi in prima persona" (Carotenuto, 2001).

Dunque, come parlare di integrazione interetnica in termini realistici, se è lapaura del "diverso" tout court che connota le società economicamente avanzate,

9 Marc Augé (1993) fornisce però una chiave di letrura un po' diversa, che non apre certomolti spiragli all'integrazione interetnica. Egli sostiene infatti che la presenza di immigrati prove-nienti dalle più disparate aree del mondo permette al cittadino delle società economicamenteavanzate di essere un rurista perperuo, di provare in.casa sua quel distacco deresponsabilizzantee privo di conseguenze durature - "gioie della disidentificazione" - che è tipico della condizionementale del turista.

96 Tiifana Banini

che si amplifica di fronte alle incertezze sociali e personali del nostro tempo e acui è sempre più difficile porre rimedio anche grazie alla via d'uscita offerta dallerelazioni virtuali?

CONCLUSIONI

Questo contributo ha cercato di portare argomentazioni a sostegno della ne-cessità di impiegare risorse mentali e impegno concreto in direzione dei profondisquilibri e delle rilevanti ingiustizie che continuano a perpetuarsi alla scala globa-le, ancorché accanirsi sulla questione del multiculturalismo, da cui - almeno inriferimento al caso europeo - esso trae origine e in riferimento al quale non sem-bra si possano riscontrare i necessari presupposti. Indubbiamente, porre soluzio-ne al sottosviluppo è obiettivo ancor più utopico, poiché non è certo facile ri-muovere situazioni di consapevole squilibrio consolidate da almeno cinquecentoanni di storia; ma se non si perseguono queste chimere che sono di fondamenta-le importanza, rincorrerne altre appare ancor più inopportuno.

Quanto alle proposte concrete non è certo questa la sede più idonea per for-mularle, ma a fronte di quanto detto sopra sembra di poter concludere che il pro-blema prioritario risieda nella necessità di diffondere la conoscenza reale e laconsapevolezza del sottosviluppo, al di là' delle opzioni di elemosina e di umanapietà sollecitate dai messaggi veicolati dai media, che inducono subdolamente lemasse a ritenere che il sottosviluppo sia un'esternalità rispetto alle proprie esi-stenze. In tal senso il ruolo della formazione e della ricerca universitaria risulta difondamentale importanza, perché conoscere il sottosviluppo significa acquisireuna massa considerevole di conoscenze, spesso al di là dei canali informativi tra-dizionali, che sembr-ano volutamente minimizzare l'entità del problema. Né tan-tomeno è pensabileche le persone acquisiscano autonomamente tale consape-volezza, fin quando continueranno ad affidàrsi alle fonti informative standard efin quando crederanno di aver conosciuto realtà tanto diverse dalla propria soloper aver frequentato i non luoghi del sottosviluppo, costruiti appositamente dallemultinazionali delleisure time.

A ben vedere, tuttavia, si ha la sensazione che la stessa opera di conoscenzavada diretta anche a chi ci è nato e cresciuto nei luoghi più disperati di questopianeta. E a questo proposito non si può fare a meno di notare - con un certorammarico - come la maggior parte degli immigrati si dimostri notevolmente af-fascinata dai beni di consumo, dagli status [Ymbol, insomma dagli aspetti più ma-teriali ed effimeri del benessere, forse perché essi rappresentano la conferma diuna agognata e sofferta conquista, simbolo di un avvenuto riscatto sociale. Cosìfacendo però essi dimostrano di aver acquisito appieno la filosofia consumisticache regge l'impianto dell'attuale sistema globale e di aver identificato il benessereeconomico come obiettivo primario delle loro esistenze.

Immigraifone, sottosviluppo e multiculturalismo. Teorie epratichè .... 97

Forse è proprio questa la più eloquente testimonianza dell'avvenuta prevari-cazione della cultura occidentale sulle altre e forse è proprio per questo che siparla molto di multiculturalismo e non altrettanto di sottosviluppo. Probabil-mente sarebbe meglio auspicare che culture diverse dalla nostra possano trovaremodo di generare modelli sociali ed economici alternativi, insegnare altre vie allosviluppo e apportare così il proprio contributo originale alla costruzione di unmondo migliore.

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Parte seconda-----.::'--,

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