software gratuito per l'architettura e l'urbanistica. strumenti, metodi, teorie (excerpt)

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M. BallarinSoftware Gratuito per l’Architettura e l’Urbanistica. Strumenti, metodi, teoria

ISBN 978-88-91-60447-7

© Maggioli Editore, 2014www.maggioli.it

prima edizione: Ottobre 2014

stampa: tipografia

p. IntroduzioneAlcune definizioniLo stato dell’arteStoria, strumenti e teorie.

Software gestionali e di produttivitàSoftware CAD/BIMSoftware per modellazione 3D e renderingGIS. Sistemi informativi territorialiSoftware per il RilevamentoSoftware di fotoritocco, grafica, impaginazione

Conclusioni

BibliografiaCrediti delle immagini

Indice

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301305

I.II.III.IV.V.VI.

Introduzione

Recentemente sono venuto a sapere che alcuni dei più benestanti -e antipatici- tra i miei ex colleghi di dottorato hanno cambiato la ragione sociale del proprio studio di progettazione: da una associazione temporanea di professionisti sono improvvisamente diventati una associazione culturale non-profit. La cosa è particolarmente sintomatica; sottende infatti una realtà professionale nella quale, per dirla con le parole di Carol Willis, la forma segue la finanza, e non viceversa.1

La disponibilità, cioè, o meno del denaro necessario a svolgere le quotidiane mansioni del progettista -di qualsiasi scala- riveste un’importanza capitale nei processi e nelle realizzazioni. Una serie di congiunture economiche ben note ha fortemente ridimensionato l’operatività dell’architetto e del pianificatore e c’è anche da chiedersi se, come progettisti, non siamo in parte colpevoli della crisi che stiamo faticosamente lasciandoci alle spalle.

Come ci indica infatti Salvatore Settis in Paesaggio, Costituzione, Cemento,2 ad ogni italiano -compresi gli infanti di qualche giorno e i fortunati ultracentenari-

1. Willis, Carol, Form Follows Finance: Skyscrapers and Skylines in New York and Chicago, Princeton Architectural Press, New York, 1995. 2. Settis, Salvatore, Paesaggio, Costituzione, Cemento, Einaudi, Torino, 2010, pag. 5.

corrisponderebbero all’incirca 22 metri cubi di nuovo patrimonio edilizio nazionale all’anno. L’entusiasmo nel mattone come bene rifugio è per molti anni andato di pari passo ad un sistema di finanziamenti da parte di istituti bancari che coinvolgevano tutti gli anelli della catena del processo edilizio. L’acquirente di un immobile riceveva un mutuo e pure lo riceveva l’impresa edile che l’immobile stesso andava a costruire.

Per molti versi l’architetto è stato sia uno dei motori di questo meccanismo che una delle vittime principali. La vasta contrazione del settore delle costruzioni -spesso descritto nella manovra economica di turno come uno dei settori trainanti dell’economia del paese- ci ha ad un tratto costretto a ragionare in termini di riutilizzo, recupero, riciclo, sia alla scala del singolo manufatto che a quella del territorio e non è un caso che uno dei principali PRIN, i progetti di ricerca di interesse nazionale finanziati dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università, della Ricerca si intitoli proprio (con un po’ di esterofilia) Re-Cycle Italy.

Le tematiche del riciclo e del risparmio non hanno ovviamente risparmiato neppure il settore dell’informatica. Con questa accezione voglio indicare l’acquisto e l’utilizzo di strumenti informatici -hardware e software- all’interno degli studi di progettazione. La vicenda dei miei ex colleghi di dottorato è ben significativa in questo senso; essi infatti, considerate le scarse entrate, le sempre minori commesse ed un’ammirevole voglia di continuare ad esercitare, hanno ben pensato di adottare una ragione sociale che permette loro di gestire una progettualità sino a qualche anno prima dipendente da somme di denaro molto maggiori.

Secondo una di quelle ricerche che sono solite allarmare i professionisti della progettazione, il numero medio di impiegati nelle imprese dei settori architettonico ed ingegneristico era, nel 2003, (anno pre-crisi...) inferiore a 1,5. Non oso neppure pensare che razza di persona sia quella che rappresenta il ‘virgola cinque’ -probabilmente lo stagista di turno; siamo, ad ogni modo, ben distanti dal numero di 6,4 impiegati nello studio medio inglese, o dalle 4,5 persone che lavorano nell’ipotetico ufficio portoghese, secondo la stessa ricerca.3

È chiaro come, nella maggioranza dei casi, l’architetto nel nostro paese si trovi totalmente da solo ad affrontare delle spese non indifferenti: per dare un’idea, la versione base del più utilizzato dei software CAD nel mondo dell’architettura costa, nel momento in cui vi scrivo, non meno di € 3900, iva esclusa. Il più noto invece tra gli strumenti BIM prevede una spesa annua di circa € 700 solamente per gli aggiornamenti ed il supporto tecnico. Non entro poi, in questa sede, nelle questioni squisitamente di marketing: una licenza, infatti, di un utilizzatissimo sistema di informazione territoriale costa, sul mercato italiano, circa 2800 euro, contro i 1200 dollari dello stesso prodotto sul mercato statunitense.

Stiamo parlando di cifre che sono solite rientrare benissimo nel budget di uno studio ormai avviato ma che possono costituire più di un problema ad un neolaureato che voglia iniziare la propria attività professionale e voglia mettersi in regola per quanto riguarda la dotazione informatica.

3. Eurostat, Structural Business Statistics 200�, Eurostat, 2004.

Il tema del software gratuito è dunque, per più di una ragione, certamente attuale; non si tratta più di porre la propria immaginazione sulla figura di una sorta di hacker che si diverte a mettere in crisi il sistema delle multinazionali dell’informatica per partito preso. Siamo invece davanti ad una presa di coscienza collettiva da parte di un’intera categoria professionale, la quale, avendo iniziato a ridimensionare fortemente le proprie attività ed il proprio modo di agire, inizia a considerare una nuova serie di strumenti, non particolarmente dissimili da quelli che utilizzava in precedenza.

È ovvio che sotto la definizione di gratuito del titolo ricadono differenti sottocategorie: non sempre il software che ci viene fornito gratuitamente è sinonimo di libero, di condiviso, di implementabile dall’utente. Molte volte, come vedremo, si tratta del contrario. Non andremo certo a parlare, dato il nostro approccio professionale, di una programmazione informatica finalizzata allo scardinamento di alcuni sistemi di monopolio; andremo invece parlare di una serie di strumenti il cui utilizzo non è soggetto ad una contropartita in denaro e che, d’altra parte, è assolutamente legale.

Pongo l’accento su quest’ultima definizione, perché né io né voi oseremmo mai compiere un illecito del genere, ma pare -sempre secondo una di quelle ricerche di settore che in sovrabbondanza vengono prodotte- che circa la metà del software installato negli elaboratori del nostro paese sia, sempre usando una terminologia cara al settore informatico, “piratato”, cioè installato senza autorizzazione alcuna.

Questo fenomeno sottrae una cifra di circa un miliardo e quattrocento milioni di euro all’anno alle ditte produttrici

di prodotti informatici, e questo è un dato relativo solamente al nostro paese, che in fatto di pirateria informatica si piazza all’ottavo posto della classifica mondiale.4

Prima di iniziare a descrivere il quadro culturale in cui ci troviamo, e ad elencare la lista degli strumenti che possono aiutarci, vorrei citare un paio di lavori italiani che, per un verso o per l’altro, hanno affrontato in maniera più costruttiva di ogni altro il tema del passaggio al software di tipo gratuito. Il primo è sicuramente il seminale Come Passare al Software libero e vivere felici di Fausto Trucillo,5 agile ed economico volumetto che analizza il tema nell’ottica dell’implementazione dell’open source in tutte le sue accezioni. Un altro lavoro da citare, e più affine al nostro caso professionale, è sicuramente quello contenuto nel progetto e nel sito SoftLibArch,6 ricerca di un duo di professionisti che propongono un costante dibattito legato al tema degli strumenti liberi per l’architetto, anche attraverso un’ammirevole serie di attività didattiche e seminariali sul territorio nazionale.

Concludo l’introduzione proprio citando questo sito, il cui sottotitolo è, significativamente, strumenti professionali, gratuiti e legali per il professionista, quasi a voler fugare tutte quelle paure ed insicurezze che prova ogni utente quando inizia a frequentare questo mondo inusuale, gratuito e, sottolineo una volta in più, assolutamente legale.

4. Business Software Alliance, IDC, Ipsos, Eight Annual BSA Global Software Piracy Study, BSA, New York-Singapore-Londra, 2011. 5. F. Trucillo; Come Passare al Software libero e vivere felici, Altra Economia-Cart’armata, Milano, 2009. 6. http://softwareliberoperlarchitettura.mfarchitetti.it/

Alcune definizioni

Ho volutamente utilizzato il termine gratuito del titolo di questo libro perché agisce come una sorta di definizione ombrello sotto la quale possiamo raggruppare più di un tema per noi interessante.

Sono infatti almeno tre le categorie principali di software che ci possono interessare: freeware, shareware ed open source.

-Con freeware si definisce un software che viene distribuito e pubblicato in maniera gratuita; il suo autore ne mantiene ancora il diritto di proprietà ed esso ci viene fornito con o senza codice sorgente, quella serie di testi, cioè, che compongono gli algoritmi del software stesso.

La scrittura di questo codice corrisponde di solito ad un linguaggio di programmazione ben noto; chi di noi infatti si è trovato a trafficare per molti anni di seguito con AutoCAD avrà di sicuro una certa conoscenza del linguaggio Visual Lisp; un linguaggio molto utilizzato in questi ultimi anni è anche Python, la cui facilità nell’apprendimento ne ha garantito un’ampia diffusione. Altri linguaggi ben noti sono, ad esempio, C++, Java, Delphi, Visual Basic, ActionScript...

Il software freeware, pur nella sua gratuità, è sempre il risultato di un grande lavoro da parte di uno o più programmatori; non è dunque infrequente che per il suo utilizzo venga chiesto un contributo, una donazione non

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obbligatoria. Talvolta si tratta di una cifra molto bassa, in alcuni casi, come da simpatica tradizione anglosassone, equivalente al pagamento di una birra tra amici.

Una particolare sottocategoria di software gratuito è costituita dal cosiddetto abandonware, o orphan work. Si tratta di software non più nuovo o aggiornato in vista delle pubblicazioni di sempre nuove releases. Le versioni vecchie, per farla breve.

Pur contemplando ancora il diritto d’autore nei confronti del produttore, questo tipo di software è perfettamente funzionante, liberamente scaricabile ed utilizzabile (ed in molti casi non è di molto inferiore all’ultima versione in commercio...) Mentre sto scrivendo questo libro, la Adobe Systems Inc., casa produttrice di Photoshop o Illustrator permette ad esempio lo scaricamento gratuito di una versione completa della sua Creative Suite in una versione di quattro releases precedente al proprio prodotto di punta. Nella fattispecie, è possibile scaricare -ed utilizzare- una copia di Photoshop CS2 in maniera grauita.

-Col termine shareware invece si indica un programma che viene distribuito in maniera gratuita ma per un periodo limitato di tempo; di solito il software resta attivo per 30 giorni, allo scadere dei quali viene richiesto il regolare acquisto di una licenza. È frequente anche il caso in cui, in questo lasso di tempo, il software non offra la totalità delle sue funzioni: è un esempio il watermark (quella scritta che appare al bordo di una stampa o al centro di un rendering) che di solito ci si presenta assieme all’output del nostro lavoro.

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-Un ulteriore definizione è quella di software open source: si tratta di un programma che ci viene distribuito sempre in maniera gratuita ma del quale gli autori permettono esplicitamente l’utilizzo, ne forniscono i codici sorgente e, soprattutto, ne permettono modifiche da parte degli utenti. Spesso questa categoria di software ricade nella definizione di pubblico dominio (Public Domain) che indica un bene non suscettibile di appropriazione da parte di persone fisiche o giuridiche, e dunque non è soggetto al pagamento di diritti d’autore.

Utilizzando il software di quest’ultima categoria sarà frequente imbattersi in diversi tipi di licenze, tramite le quali ci è concesso il consumo dei softwares medesimi. Ricadono tutte sotto quella definizione, tanto cara agli attivisti del sapere libero, di Copyleft, evidente gioco di parole con il più selettivo copyright.

In ordine sparso citerò le modalità di licenza più ricorrenti:

-GNU (GNU’s Not Unix), sigla che indica prevalentemente un tipo di sistema operativo aperto, creato a partire dai primi anni ‘80 del XX° secolo ed alternativo a all’allora più noto Unix. Sviluppato a partire da alcune ricerche condotte in seno al Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, ha a sua volta generato nel 1989 la GNU GPL, o semplicemente GPL (GNU General Public License) con la quale si disciplina la diffusione e l’implementazione del software libero. La versione GPL 3, quella oggi utilizzata, è stata redatta nel 2005.

Una sua variante è la LGPL (GNU Lesser General Public License); il termine indica una licenza che permette a sviluppatori ed aziende private di utilizzare il codice sorgente

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di un determinato programma per il miglioramento di sistemi proprietari (cioè non aperti e spesso commerciali) senza l’obbligo di diffondere le proprie migliorie presso la comunità di utenti.

-CPAL (Common Public Attribution License), licenza che regola la distribuzione di un determinato software all’interno di un determinato network e che permette all’autore originario di richiedere la menzione del proprio nome ad ogni ricompilazione del codice sorgente, in una sorta di esercizio della proprietà intellettuale del tutto gratuito per l’utilizzatore.

-MPL (Mozilla Public License), altra modalità di licenziamento di software che rende possibile la distribuzione gratuita del codice a sviluppatori che però devono mantenere il loro elaborato sempre sotto licenza MPL e sono sempre tenuti a menzionare gli autori originari. L’americana Mozilla Foundation è una di quelle organizzazioni non-profit che sviluppano progetti open source, come il browser Firefox o il client di posta elettronica Thunderbird.

-EPL (Eclipse Public License), ulteriore tipo di licenza elaborato dalla Eclipse Foundation come alternativo alla GPL e che rimpiazza la vecchia CPL (Common Public License), elaborata a sua volta dalla IBM per migliorare alcuni suoi prodotti.

-BSD (Berkeley Software Distribution) e MIT License (Massachusetts Institute of Technology): sono due tipi di licenze elaborati all’interno di ricerche universitarie nelle rispettive università statunitensi. Pur rimanendo nel campo dell’open source, entrambe le licenze tentano di mediare tra la completa pubblicità dei codici sorgente e la detenzione, da parte degli autori, della proprietà intellettuale. Ciò è

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ottenuto tramite una serie di accorgimenti legali, come la necessità di un’autorizzazione scritta da parte dell’autore prima dell’utilizzo, pubblicità o vendita di un software elaborato a partire dal codice base.

Ma perché questi software vengono distribuiti in maniera gratuita? Anche qui i casi sono molteplici: possiamo imbatterci, ad esempio, nella versione limited di un determinato software. In questo caso una versione dalle funzionalità appunto limitate costituisce una sorta di pubblicità per una versione maggiore dello stesso software; è questo il caso di AutoCAD LT, le cui potenzialità, ad esempio, nella modellazione tridimensionale o nella gestione dei riferimenti esterni sono decisamente ridotte, se non del tutto assenti, oppure il caso del diffusissimo SketchUp, nel quale le differenze tra la versione base è quella PRO (professional) risiedono nella capacità o meno di importare ed esportare differenti formati di file.

Può anche accadere che colui che fornisce gratuitamente un programma ed il suo codice ricavi un guadagno attraverso sponsorizzazioni esterne o tramite un sistema di assistenza a pagamento. Ovviamente anche l’esuberante pubblicazione di tutta la manualistica for dummies o meno (mentre vi scrivo ho contato almeno una quindicina di manuali -solo in lingua italiana e di autori differenti- per l’apprendimento di 3DStudio, non particolarmente dissimili l’un l’altro...) relativa ad un determinato software può concorrere agli introiti del suo programmatore.

Vi sono però delle motivazioni, diremmo, più nobili dietro la gratuità di alcuni strumenti; non è raro il caso in cui il software che riceviamo in quanto utenti finali sia uno

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strumento per ricerche di dimensioni molto maggiori, nel quale l’aspetto della commercializzazione del programma è assolutamente secondario. Tra qualche capitolo analizzeremo, ad esempio, la felicissima interoperabilità tra ARC3D e MeshLab, software basato sui principi della fotogrammetria, il primo, e capace gestore di nuvole di punti e superfici Mesh il secondo.

Non sono sempre motivazioni commerciali o di ricerca quelle che però muovono il mondo del software gratuito: in molti casi siamo davanti ad una vera è propria etica che spinge i programmatori e gli utenti ad agire in questo modo. Vi è ad esempio tutta la logica del sapere libero, che prevede che i frutti di determinate ricerche siano disponibili a chiunque e non ricadano in determinate forme di commercializzazione che di fatto escluderebbero una larga parte di utenti. Ci sono delle motivazioni legate alla sostenibilità del settore del software, anch’esso decisamente non immune alle cicliche crisi che talvolta investono interi settori economici. Non ultime sicuramente sono delle motivazioni che chiameremmo ‘politiche’; non sono poche infatti le amministrazioni pubbliche che in determinati paesi rifiutano l’utilizzo di software mainstream per scardinare attivamente il monopolio di determinate software houses in prevalenza nordamericane.

Sono queste le motivazioni, ad esempio, che hanno portato alla redazione di programmi assai diffusi come il modellatore solido Blender o che hanno saputo far sviluppare in maniera efficace tutto il settore dei sistemi informativi territoriali.

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Lo stato dell’arte

L’utilizzo di software gratuiti per l’esercizio dell’attività professionale è un tema assai sentito da qualche tempo; sono infatti molti ormai gli ordini professionali che promuovono corsi di CAD, GIS, programmi di foto-ritocco open source o freeware per i loro iscritti. È questo il caso, ad esempio, dell’ordine professionale della provincia di Firenze (che ad esempio propone una didattica nel CAD 2d e nel GIS) o di quello di Venezia, tra gli altri.

È però interessante notare che l’apporto più considerevole all’utilizzo di strumenti gratuiti arriva dalle amministrazioni pubbliche, non solo in Italia: ciò avviene per via dello stretto legame tra il territorio e la sua gestione e prende la forma di due approcci, di due direzioni tematiche.

La prima direzione è certo quella che ha a che fare con la trasparenza dell’amministrazione ed è proprio da questa che partirei, citando in ordine sparso alcune di quelle che potremmo chiamare buone pratiche della gestione della cosa pubblica tramite strumenti e piattaforme di tipo open.

È risaputo, ad esempio, che il Ministero della Giustizia italiano abbia da qualche anno scelto di utilizzare Red Hat Enterprise Linux come sistema operativo per i propri applicativi on line. Una variante di Red Hat Linux, in produzione fino al 2004, questo sistema operativo è ora

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infatti installato su gran parte delle macchine che gestiscono che gestiscono il cosiddetto sistema PCT (processo civile telematico) ovvero uno dei tentativi più apprezzabili volti a snellire le procedure di risoluzione delle controversie civili in Italia.

Questa iniziativa ha un duplice valore; da una parte la scelta del sistema aperto e implementabile, una volta terminato un fisiologico periodo di apprendimento da parte del personale, non potrà che migliorare i servizi che il ministero offre riguardo questo tema. D’altra parte questa scelta appare anche come un’astuta ed auspicabile operazione di comunicazione che lega il nome del ministero ad istanze come quelle dell’innovazione, della semplificazione e dell’efficienza della Giustizia.

Non secondario è pure l’aspetto di vulnerabilità dei dati sensibili che si avrebbe ricorrendo ad un sistema operativo proprietario. Il formato aperto infatti permette di verificare in continuazione la presenza di spyware o di altri applicativi che possano raccogliere e trasmettere informazioni senza il consenso dell’utente.

Se consideriamo poi che una scelta simile era stata già effettuata da enti come il NYSE (New York Stock Exchange) -che di gestione informatica di dati di grandissima importanza economica se ne intende certo- possiamo iniziare a considerare il mondo del software gratuito come qualcosa di veramente affidabile.1

1. Babcock, Charles, “New York Stock Exchange Runs Trades On Red Hat Linux”, in informationweek.com, 14 Maggio 2008.

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Vorrei ora citare un documento; un’interpellanza effettuata da un gruppo consiliare all’interno della regione Lombardia, qualche anno fa. Si tratta dell’aggiornamento sullo stato di adozione di FLOSS (Free Libre Open Source Software) in Regione Lombardia.2

Il gruppo che firma l’interpellanza indirizzata al presidente del consiglio regionale elenca ovviamente i benefici dell’adozione del software libero in un’amministrazione pubblica, indica la necessità di studi in merito e soprattutto pone alla nostra attenzione un qualcosa di molto interessante: il criterio di convenienza economica.

2. Gruppo Consiliare PD Regione Lombardia, Aggiornamento sullo stato di adozione di Free Libre Open Source Software in Regione Lombardia, Milano, 24 Aprile 2014.

Fig. 1: Il portale per i Servizi Online Uffici Giudiziari del Ministero della Giustizia italiano, basato su sistemi Red Hat Enterprise Linux

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Cito testualmente: “… Sono sempre più numerose le esperienze, anche in Italia, di uso di software OSS presso le pubbliche amminstrazioni, come dimostra l’esempio del Comune di Modena che ha ottenuto risparmi pari ad un milione di euro all’anno grazie alla migrazione verso soluzioni FLOSS...”3

Al di là, infatti, dell’aspetto di piacevolezza legato al non dover dipendere dalle politiche economiche di una determinata casa produttrice di software, il criterio di convenienza economica è quello che la fa da padrone a tutte le scale di utilizzo e che rappresenta appunto la seconda direzione tematica

Pare che la cosa sia andata a buon fine, dato che proprio mentre scrivo questa pagina, il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato all’unanimità l’ordine del giorno relativo alla “promozione dell’utilizzo dei sistemi informatici liberi nella pubblica amministrazione“, impegnandosi in tal modo a supportare economicamente le iniziative tecniche mirate alla migrazione dei sistemi informatici dell’amministrazione regionale verso l’open source.4

Nell’attesa degli esiti dell’operazione lombarda, vale la pena citare quello che, a mio avviso, è il caso più noto di adozione di software gratuiti da parte di un’amministrazione pubblica non proprio piccola. Per farlo dobbiamo spostarci un poco più a Nord, nella ridente Baviera.

Non c’è lavoro sul software gratuito che non citi il caso del Comune di Monaco di Baviera.

3. Ibid. 4. Regione Lombardia, X° Legislatura, Atti n. 10495, Nr. Progr. 53, Approvazione dell’Ordine del Giorno 2�� Ordine, “utilizzo di sistemi informatici open-source.”, 28 luglio 2014.

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La municipalità della capitale bavarese, quasi per caso, si accorge nel 2002 che il supporto tecnico per Windows NT sta per terminare. (così come è di recente successo agli aggiornamenti di XP…)

Questo è un fenomeno assolutamente non indifferente per la città di Monaco: il sistema operativo infatti è quello utilizzato in ogni ufficio del Comune, nonché in gran parte del settore scolastico ed in quello della sanità. L’aggiornamento di Windows e e la migrazione ad una nuova release -seppure della stessa casa produttrice- per gran parte degli applicativi gestionali della città appare come qualcosa di non a buon mercato. Il Comune dunque commissiona uno studio di valutazione economica riguardante l’utilizzo di software open source. Lo studio è ovviamente favorevole all’introduzione di questo tipo di strumenti e ad un graduale abbandono del sistema operativo proprietario. Dal 2003 il comune inizia perciò ad implementare sistemi operativi e software di produttività open source all’interno dei propri uffici; una prima valutazione economica indica una cifra di copertura dell’intera operazione di circa 35 milioni di euro in 10 anni.5 E’ un po’ difficile non trattare aspetti di marketing in un libro che si propone un’oggettività di tipo accademico; è anche impossibile non citare il fatto che Microsoft mette pubblicamente in dubbio lo studio di valutazione effettuato per conto del Comune di Monaco di Baviera6

5. Heat, Nick, “How Munich rejected Steve Ballmer and kicked Microsoft out of the city”, in TechRepublic.com, 18 Novembre 2013. 6. Vedi Eden, Jan-Jürgen; Hewlett-Packard GmbH., Studie über die Open Source Software Strategie der Stadt München, in Computerwoche_2013, 25 Gennaio 2013.

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e contemporaneamente, tramite interposta persona dell’allora CEO Steve Ballmer, propone a Monaco un forte sconto sulle licenze dei sistemi operativi Windows.

Abbiamo più volte notato come i tedeschi non si lascino decisamente intimorire da aggressive politiche provenienti dall’estero: nel giugno del 2004 il Comune di Monaco adotta LiMux come sistema operativo. Si tratta infatti di una variante del ben più noto Linux e questo ci fa capire come un sistema aperto possa essere implementato non solo da una miriade di piccoli utenti privati ma anche da grosse amministrazioni pubbliche. Questa sorta di Münchener Secession non si è limitata certo alle piattaforme operative; si sono iniziati ad utilizzare infatti determinati applicativi open source: Firefox come browser internet, l’allora open Office come suite di strumenti di produttività, (gestione di testi, data base, foglio di calcolo) Thunderbird come client di posta elettronica, persino The Gimp come strumento di modifica delle immagini.

La migrazione di quasi tutto il sistema informativo comunale di Monaco di Baviera termina nell’ottobre del 2013, in linea con la previsione di 10 anni addietro; ora più di 30.000 dipendenti comunali utilizzano le soluzioni open source ed il 90% delle applicazioni del Comune e ora costituita da piattaforme software liberi. (La parte rimanente, invero modesta, è costituita da applicazioni proprietarie per le quali è stata ritenuta antieconomica una sostituzione con strumenti liberi)

E’ tutto oro quel che luccica nella ridente Baviera? Vediamolo insieme. Gli aspetti negativi di tale operazione sono stati fondamentalmente due: la formazione del personale all’utilizzo di strumenti open source, non

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indifferente sul piano economico e che ha sicuramente comportato tempi morti nell’operatività generale e i costi di “traduzione” delle applicazioni basate su Windows e su formati chiusi. Questi ultimi costi sono da valutare in circa € 800.000.7

Quali sono invece gli aspetti a favore dell’operazione monacense? Penso che un paio di dati siano sufficienti: nell’arco di 10 anni il costo del mantenimento dei sistemi proprietari (sistemi operativi e programmi) si sarebbe aggirato attorno ai 60.000.000 di euro.

Fig. 2: Schermata di utilizzo di LiMux, sistema operativo utilizzato dal 200� dal comune di Monaco di Baviera per la gestione dei servizi pubblici

7. Heat, Nick, Op. Cit.

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Al 2013 il costo del passaggio complessivo a sistemi e applicazioni open source è stato invece di 23 milioni di euro, contro il 35 preventivati nel 2002-2003.

Possiamo quindi affermare con sicurezza che Monaco di Baviera abbia ben vinto la sua corsa all’open source e che il filo conduttore di tutto ciò sia stato appunto il criterio di convenienza economica.

Non è solo il risparmio a farla da padrone; tra gli indicatori di classifica che concorrono a stilare le annuali classifiche di qualità della vita in determinate città mondiali vi sono appunto criteri legati all’utilizzo meno di soluzioni open source all’interno delle amministrazioni pubbliche. Per quanto riguarda gli anni 2013-2014 il Monocle’s Quality of Life Survey8 ed il Mercer’s Quality of Living9 collocano Monaco di Baviera rispettivamente all’ottavo e al quarto posto nella classifica delle città dove è più piacevole vivere e lavorare.

Dunque l’open source per le amministrazioni pubbliche è qualcosa che ha a che fare solamente con piacevoli città di medie dimensioni che possono permettersi l’investimento? Direi di no, se consideriamo che è dal 2007 che la Repubblica Popolare Cinese sta sviluppando un sistema operativo open source di stato come alternativa squisitamente politica al monopolio statunitense nel settore. (la cosa però passa in maniera solo apparentemente contraddittoria attraverso una partnership con l’anglo-americana Canonical Ltd., sviluppatrice di Ubuntu.)10

8. http://monocle.com/film/affairs/quality-of-life-survey-201�/ 9. www.imercer.com/products/201�/quality-of-living.aspx 10. AA.VV., “Canonical and Chinese standards body announce Ubuntu collaboration”, in https://insights.ubuntu.com/201�/0�/21

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In conclusione di questo florilegio di esempi esteri, citiamo un altro caso molto significativo di adozione di strumenti aperti; quello della British Columbia, regione del Canada, il cui Ministry of Citizen’s Services and Open Government (notate il nome, che indica già un’attitudine molto aperta) ha redatto le linee guida sull’utilizzo del software open source, nell’aprile 2012.11

Torniamo adesso in Italia citando alcuni casi che bene esemplificano la prima di quelle due direzioni di cui parlavamo qualche pagina addietro, ovvero una corretta gestione del territorio e delle politiche ad esso collegate; è chiaro che a questo punto la scala la progettazione si ampia, facendo entrare in gioco dei sistemi informatici più complessi.

Stiamo parlando principalmente dei sistemi informativi territoriali, quelli che in lingua inglese vengono definiti GIS (acronimo di Geographic Information Systems) che sono stati impiegati in maniera assai efficace nel caso dei piani di recupero (P.D.R.) del Comune di Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, da parte dell’amministrazione stessa.

Questo procedimento è per noi estremamente interessante, visto che implica il recupero ed il riuso di un patrimonio edilizio esistente, anziché la sua esponenziale crescita tramite nuove costruzioni. Il gruppo di lavoro ha proceduto, a partire dal 2010, alla redazione degli strumenti urbanistici del Comune volti al recupero delle aree centrali

11. British Columbia Ministry of Citizen’s Services and Open Government, Guidelines on the Use of Open Source Software Release 1.0, Aprile 2012, in www.cio.gov.bc.ca/local/cio/standards/documents/guidelines/GuidelinesUseOfOpensSourceSoftware.pdf

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della città utilizzando esclusivamente i software QGIS, QCAD e la suite di LibreOffice.

In tal modo, le consistenti basi di dati provenienti dalle analisi e i rilievi del territorio comunale sono stati usati per ottenere una serie di tavole -relative agli aspetti fisici del processo di pianificazione- che andavano a coprire vari aspetti: dallo stato di fatto del comparto esaminato, al rilievo delle reti tecnologiche, alle piante delle coperture, alle destinazioni d’uso dello stato di fatto e del progetto di recupero. La planimetria di ogni edificio considerato è stata direttamente disegnata in QGIS, mentre QCAD è stato utilizzato nella redazione dei prospetti di progetto.

Non possediamo dati circa il sicuro risparmio di denaro del Comune di Montecchio rispetto all’acquisizione di software proprietario; quello che è qui interessante è proprio l’utilizzo della strumentazione open source in processi di governo del territorio ad ampia scala.

Il responsabile dei sistemi informativi territoriali, inoltre, ritiene non a caso che uno degli aspetti salienti dell’utilizzo della strumentazione libera risieda nel suo elevato grado di interoperabilità, laddove software e formati proprietari dimostrano spesso ostacoli e difficoltà nello scambio e interazione tra applicazioni diverse.12

Nel mondo del GIS e del BIM la parola d’ordine è infatti interoperabilità, intesa come la capacità di un determinato formato di file di essere utilizzato in maniera assolutamente

12. Rigolon, Flavio, “Using QGIS for urban planning in the municipality of Montecchio Maggiore, Vicenza, Italy”, in www.qgis.org/en/site/about/case_studies/italy_vicenza.html

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Fig. �: Comune di Montecchio Maggiore (Vicenza), Piano di Recupero della località “La Valle”, prospetti di stato di fatto e progetto, 2008.Elaborato redatto tramite QCAD/LibreCAD

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identica, indipendentemente dallo strumento o dalla piattaforma utilizzata. Nell’ammirevole caso di Montecchio Maggiore sono stati ben quattro i sistemi operativi utilizzati (due Windows e due di tipo Debian) e ciò non ha costituito un problema sensibile. Ora, chi come me ha lavorato più di una volta in uno studio in cui metà dipendenti utilizzava AutoCAD e l’altra metà ArchiCAD di sicuro apprezzerà l’importanza del concetto di interoperabilità e la traduzione fra diversi formati di file.

È proprio il campo della pianificazione del territorio quello in cui si può notare il maggior numero di buone pratiche; continuo a citare in ordine sparso alcuni esempi.

La regione Sardegna fornisce, attraverso il suo geoportale, una serie di link attraverso i quali si possono scaricare dei programmi open source per la visualizzazione dei file SHP, contenenti cioè informazioni puntuali, lineari, e di superficie, o TMS, files che gestiscono le foto aeree od ortofoto.13

Bisogna sottolineare che questo tipo di approccio rende dati come la cartografia tecnica regionale o le informazioni sulla copertura dei suoli molto più accessibili di quanto si potrebbero rendere attraverso un comune web-GIS, un portale on-line cioè che attraverso algoritmi di molto semplificati permette di visionare alcuni tematismi relativi al territorio in questione.

La tendenza di molte amministrazioni comunali e provinciali di dotarsi di un portale web-GIS riflette

13. www.sardegnageoportale.it/areatecnica/softwareopensource.html

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Fig. �: www.sardegnageoportale.it/areatecnica/softwareopensource.html: il portale attraverso il quale la Regione Sardegna pubblica i propri dati cartografici e rende possibile lo scaricamento di applicativi open source

Fig. �: Un’abitazione modellata egregiamente in ambiente BIM da Rockn tramite FreeCAD

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certamente quella nobile aspirazione alla partecipazione collettiva che tanto ha informato la pianificazione italiana negli anni ‘60 e ‘70 ma di fatto incontra alcune inerzie; prime tra tutte la quantità di banda a disposizione che, laddove minore, va a rallentare il caricamento di layer densi di dati, nonché il numero limitato di informazioni che vengono a monte caricate nel portale.

Sempre tornando dalle parti di Andrea Palladio, anche il comune di Vicenza offre attraverso il proprio portale, la possibilità di scaricare dati cartografici in formato SHP e di farlo attraverso software GIS open source.14 (anche in questo caso l’ottimo QGIS)

Il comune non si limita però a questo: nell’immancabile portale web-GIS15 utilizza come base cartografica non l’onnipresente fotopiano di un ben noto motore di ricerca che tutti utilizziamo, ma una base OpenStreetMap, cartografia -gratuita- creata in una logica Wiki da una comunità di utenti sempre più vasta, e che utilizza ad esempio tracciati GPS forniti da chiunque possieda un dispositivo di posizionamento geografico, nonché mappe donate gratuitamente da amministrazioni pubbliche. È infatti da 2009 che il comune di Vicenza ha fornito i propri dati cartografici al progetto OpenStreetMap.16

Dulcis in fundo, gli operatori del Comune di Vicenza tengono a specificare nel sito che i dati disponibili sono resi pubblici attraverso licenza IODL, (Italian Open Data License, versione 2.0) contratto che consente agli utenti

14. www.comune.vicenza.it/servizi/opendata/opendata.php 15. http://gis.comune.vicenza.gov.it/sitvi/index.php# 16. www.openstreetmap.org

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di un determinato pacchetto di dati di ...condividere, modificare, usare e riusare liberamente la banca di dati, i dati e le informazioni con essa rilasciati, garantendo al contempo la stessa libertà per altri. (dal sito del governo italiano che si occupa dei dati aperti della pubblica amministrazione)17

Se poi aggiungiamo che nel portale qui appena considerato è possibile all’utente interagire tramite opzioni di disegno, (linee, poligoni, punti, misurazioni lineari e di aree...) è ovvio che ci troviamo davanti ad uno strumento assai sofisticato. E free, ovviamente.

17. http://www.dati.gov.it/iodl/2.0

Fig. �: La zona centrale di Milano visualizzata in openstreetmap.org, portale che raccoglie cartografia fornita a titolo gratuito

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Alcune conclusioni

Abbiamo dunque visto alcuni esempi che ci hanno dimostrato come, in molti casi, l’utilizzo di software gratuito risulta in una maggiore produttività ed in un considerevole risparmio. Ciò però avviene all’interno delle amministrazioni pubbliche; quale è dunque l’apporto del software gratuito nel quadro degli studi privati di piccole e medie dimensioni?

L’Italia arriva sempre con un leggero ritardo sulle innovazioni strutturali: ci sono certamente alcuni fattori per i quali il professionista prova sulle prime una certa inibizione all’utilizzo di questi strumenti e giudico sia molto più utile andare ad analizzare i pro e i contro di ogni singola categoria di software nei capitoli a venire. Infatti non possiamo parlare di un’unica categoria di programmi “ liberi”, tante e tali sono le sfaccettature dell’esercizio delle professioni del progetto.

Uno stesso professionista potrà tranquillamente scegliere di adoperare dei software gestionali di tipo libero ma di mantenere le licenze degli strumenti per il disegno assistito; viceversa, chi basa principalmente la propria attività sulla redazione di pratiche edilizie o relazioni progettuali probabilmente preferirà utilizzare software di produttività proprietari per i propri file di testo e impaginazione, mentre potrà tranquillamente adottare dei CAD di tipo open source. Chi invece utilizzerà la fotografia per fini meramente illustrativi invece trarrà un sicuro giovamento dall’implementazione di sistemi di foto-ritocco gratuiti o on-line.

Possiamo però ora trarre alcune prime conclusioni: è chiaro che, per quanto riguarda le amministrazioni

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Fig. �: 11��-120� Manhattan Avenue Building, New York; rilievo effettuato tramite RDF e SketchUp Camera Matching da Nicolò Conte , Davide Matteazzi, Federica Mion e Irene Todero ed impaginato nel CAD Dassault Draftsight

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pubbliche, c’è bisogno di una forte volontà politica per poter ricorrere a soluzioni open source; non sempre infatti l’aspetto economico è quello discriminante.

Come abbiamo visto nell’esempio cinese -ma anche in alcune amministrazioni del Sud America, ad esempio- ciò che ha guidato la scelta è una logica di non dipendenza da determinate case produttrici sempre più monopolizzanti il mercato del software e soprattutto la libera circolazione delle informazioni.

Una società di progettazione di grandi dimensioni ovviamente riterrà conveniente acquistare licenze di software proprietari; questo permetterà una continua assistenza tecnica di tipo telefonico, per esempio, nonché la partecipazione a quelle gare d’appalto che prevedano che i partecipanti siano dotati, oltre che di una considerevole esperienza nel settore, di un’adeguata strumentazione hardware e software e di determinati tipi di certificazione.

Alcuni grandi studi, come ad esempio lo studio Foster+partners, con sedi a Londra, New York, Hong Kong, possiedono dei settori dedicati alla ricerca, dove ci si dedica tra l’altro allo studio di metodologie di progettazione che adoperino la strumentazione gratuita. Questo ci fa capire che in studi di grandi dimensioni l’open source è spesso considerato come una ricerca senza immediate applicazioni pratiche.

E chiaro però che in un paese come il nostro, dove sull’architetto ricadono sempre più responsabilità giuridiche ed economiche, l’adozione di sistemi e strumenti gratuiti è più che auspicabile, soprattutto se ci si trova sotto una certa soglia di fatturato annuo. Come dire: molte volte può salvare la situazione.