il restauro del castello sforzesco e il pensiero di luca beltrami

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1 Antonio Marson Franchini matricola 723089 28489-Storia delle città (LM) Il restauro del Castello Sforzesco e il pensiero di Luca Beltrami Introduzione Il restauro del Castello Sforzesco di Milano si inserisce tra gli interventi che alla fine dell’ottocento portarono l’attenzione dell’opinione pubblica sulle bellezze architettoniche presenti nelle città della Penisola. Costruzione ad uso militare ed elemento di sconforto per i milanesi a causa dell’uso del fabbricato da parte degli occupanti stranieri, riuscì, grazie all’azione dell’architetto Luca Beltrami ad assicurarsi un posto nel cuore della comunità meneghina che finì per riconoscerlo parte della propria identità al pari del Duomo. Con questo elaborato mi propongo di fornire una sintesi della storia del Castello, degli interventi del Beltrami e del ragionamento, ad essi sotteso, sulle funzioni e gli obiettivi del restauro architettonico tra la fine dell’ottocento e il primo novecento. La trattazione si dividerà in tre parti: nella prima analizzerò il delinearsi della costruzione del Castello nel corso dei secoli XIV e XV soffermandomi sui principali avvenimenti storici, nella seconda mi dedicherò ad una descrizione di due dei principali e più controversi interventi di restauro operati dal Beltrami infine nella terza ed ultima parte cercherò di esporre in breve il pensiero e la poetica alla base del lavoro di Luca Beltrami. Dai Visconti alla speculazione edilizia Per comprendere le vicende del Castello è necessario partire dalla sua prima fondazione d’epoca viscontea. Alla morte di Matteo Visconti (1355) la città venne divisa tra i fratelli Bernabò e Galeazzo II. Quest’ultimo, non sentendosi sicuro non tardò a costruire nella sua parte, quella occidentale, un fabbricato a scopi difensivi che venne presto conosciuto col nome di Castrum Portae Jovis che deriva dal nome della porta delle mura Massimiane del IV secolo alla quale si addossava 1 . Il Fiamma indicava la presenza di una fortificazione con questo nome nel suo Chronicon Extravagans 2 . Questa notizia fa supporre che già prima dell’inizio della fondazione Viscontea, risalente al 1368 secondo 1 Luca Beltrami, Guida storica del Castello di Milano 1368-1894, lampi di stampa, Milano, 2009, pag. 19 2 Giorgio Giulini, Delle mura di Milano, Milano, 1972, pag. 332.

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Antonio Marson Franchini

matricola 723089

28489-Storia delle città (LM)

Il restauro del Castello Sforzesco e il pensiero di Luca Beltrami

Introduzione

Il restauro del Castello Sforzesco di Milano si inserisce tra gli interventi che alla fine dell’ottocento

portarono l’attenzione dell’opinione pubblica sulle bellezze architettoniche presenti nelle città della

Penisola. Costruzione ad uso militare ed elemento di sconforto per i milanesi a causa dell’uso del

fabbricato da parte degli occupanti stranieri, riuscì, grazie all’azione dell’architetto Luca Beltrami ad

assicurarsi un posto nel cuore della comunità meneghina che finì per riconoscerlo parte della propria

identità al pari del Duomo. Con questo elaborato mi propongo di fornire una sintesi della storia del

Castello, degli interventi del Beltrami e del ragionamento, ad essi sotteso, sulle funzioni e gli obiettivi

del restauro architettonico tra la fine dell’ottocento e il primo novecento. La trattazione si dividerà in

tre parti: nella prima analizzerò il delinearsi della costruzione del Castello nel corso dei secoli XIV e

XV soffermandomi sui principali avvenimenti storici, nella seconda mi dedicherò ad una descrizione

di due dei principali e più controversi interventi di restauro operati dal Beltrami infine nella terza ed

ultima parte cercherò di esporre in breve il pensiero e la poetica alla base del lavoro di Luca Beltrami.

Dai Visconti alla speculazione edilizia

Per comprendere le vicende del Castello è necessario partire dalla sua prima fondazione d’epoca

viscontea. Alla morte di Matteo Visconti (1355) la città venne divisa tra i fratelli Bernabò e Galeazzo

II. Quest’ultimo, non sentendosi sicuro non tardò a costruire nella sua parte, quella occidentale, un

fabbricato a scopi difensivi che venne presto conosciuto col nome di Castrum Portae Jovis che deriva

dal nome della porta delle mura Massimiane del IV secolo alla quale si addossava1. Il Fiamma

indicava la presenza di una fortificazione con questo nome nel suo Chronicon Extravagans2. Questa

notizia fa supporre che già prima dell’inizio della fondazione Viscontea, risalente al 1368 secondo

1 Luca Beltrami, Guida storica del Castello di Milano 1368-1894, lampi di stampa, Milano, 2009, pag. 19 2 Giorgio Giulini, Delle mura di Milano, Milano, 1972, pag. 332.

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Beltrami3, ci fosse già un fortilizio nei pressi della porta, o pusterla, Giovia. La costruzione voluta da

Galeazzo II ebbe valore prettamente militare al contrario della sua residenza di Pavia4. Solo con la

sua morte nel 1378 il figlio Giovanni Galeazzo, dopo essersi liberato dello zio Bernabò, fece della

rocca di Porta Giovia la sua residenza abituale. Il figlio Filippo Maria vi nacque nel 1392 e fu

promotore di rafforzamenti ed abbellimenti che sembra portarono il Brunelleschi ad interessarsi alla

costruzione5. Il castello rimase abitato e soggetto di numerosi interventi fino all’ascesa dell’Aurea

Repubblica Ambrosiana del 1447. Sulla scorta della Storia di Milano di Bernardino Corio si è pensato

per lungo tempo che le nuove istituzioni repubblicane abbiano, con un impeto di collera verso le

antiche proprietà dei tiranni, distrutto interamente il castello6. Questa interpretazione è stata smentita

dall’analisi delle deliberazioni del Consiglio della Repubblica che, aggravatasi la guerra contro

Venezia, decise di ricostruire parte delle fortificazioni7. Questo però non impedì allo stesso consiglio

di permettere alla popolazione, nel 1449, di usufruire dei materiali e distruggere le restanti

fortificazioni ad ovest del corpo centrale8. Questa schizofrenia manifestata dal ricostituito Comune

ebbe come conseguenza i guasti imponenti inflitti al castello nel periodo repubblicano.

Fortunatamente però non venne abbattuto completamente.

La Repubblica cadde per mano di Francesco Sforza che fece capitolare Milano il 25 febbraio 14509.

Il futuro Duca aveva convinto i milanesi alla resa promettendo di non ricostruire il castello visconteo

e, se in un primo momento tenne fede alla parola data, non fidandosi dei suoi nuovi sudditi riuscì a

convincerli della necessità di un apparato difensivo collegato alla cinta muraria cittadina10. Già il

primo di luglio del 1450 i lavori di ricostruzione presero inizio. Da questo momento i lavori vennero

affidati a Giovanni da Milano e solo successivamente a Bartolomeo Gadio. Proprio il Beltrami

individua in Giovanni il primo architetto che si occupò della ricostruzione dal 1450 al 1453 quando

venne chiamato a corte il Gadio in seguito alla morte di peste del da Milano11. Nonostante l’interesse

dimostrato nella nomina di architetti capaci, il condottiere, a causa dei pochi fondi e delle gravi

3 Luca Beltrami, op. cit.nota 1, pag. 19. 4 Ibidem. 5 Gianfranco Pertot, La fabbrica viscontea: sopravvivenze ed integrazioni, in Il Castello di Milano, a cura di M. T. Fiorio, 2005, pag. 51. 6 Bernardino Corio, Storia di Milano, Torino, 1978, pag. 1198: “Quegli li quali erano ne la rocha picola, vedendo che né Alphonso né il conte per lo grande intervallo non potevano dar succorso, la diettino a Milanesi, partito prima tra loro le dicesepte migliara di fiorini d’oro quali trovarono ne li sforceri di Philippo et il populo di subito face gittare a terra il castel tutto e la roccha.” 7 Gianfranco Pertot, op. cit., pag. 60. 8 Ibidem., pag. 61. 9 Luca Beltrami, Il castello di Milano, in Rivista d’Italia, anno I, Fasc. V del 15 maggio 1898, pag. 72. 10 Id., op. cit. nota 1, pag. 28. 11 Id., Chi fu il primo architetto del castello di Milano ricostruito da Francesco Sforza, in La perseveranza, Milano, 1893. Nel testo troviamo estratti di lettere scritte da Francesco Sforza per la salute e la memoria dell’architetto Giovanni da Milano.

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condizioni del castello, scelse come residenza la vecchia corte sita in posizione centrale, vicino al

Duomo e oggi conosciuta come palazzo Reale12. Sempre a Francesco Sforza è da attribuire la

chiamata di Antonio Averulino detto il Filarete a Milano che dal 1454 sarà impegnato nella

realizzazione della Torre omonima così come dell’Ospedale Maggiore13. Questa chiamata fece parte

dell’inganno teso dallo Sforza alla città di Milano. Proprio Beltrami scoprì come ad un ingentilimento

del lato rivolto verso la città ad opera del Filarete, corrisponda una aumento dello spessore delle mura

sul lato interno ed una mancata realizzazione dei larghi finestroni promessi al momento della pace

con il Consiglio della Repubblica14. Solo con il figlio Galeazzo Maria, dal 1466, il castello poteva

dirsi pronto ad accogliere il Duca ed il suo seguito; grazie alla messa in sicurezza dell’edificio era

possibile per il Galeazzo focalizzarsi sull’abbellimento del castello ed il trasferimento della corte

ducale15. La corte sforzesca rimarrà ininterrottamente nel castello fino alla disfatta del 1499 e la

conseguente caduta del Ducato in mani francesi. Nel corso delle Guerre d’Italia, l’ultimo signore di

Milano, Ludovico il Moro dopo aver fatto apporre i simboli del casato su tutte le porte del Castello16

diede al castellano Bernardino da Corte il compito di resistere ai francesi per i tre mesi necessari a

tornare con l’aiuto dell’imperatore Massimiliano. Bernardino non si fece scrupoli a tradire il suo Duca

e consegnò la città ed il castello a Luigi XII. Con questo evento finiva il dominio italiano sulla città

di Milano, escludendo l’esperienza di Francesco II Sforza tra 1525 e 1535. La dominazione spagnola

comportò la costruzione di una cinta muraria a stella attorno al castello per mano del governatore

Ferrante Gonzaga17. Sotto il controllo austriaco il castello venne trasformato in caserma e nel 1822 il

Pirovanone offre questa descrizione:

“La caserma del Castello è quella parte di fabbricato riservato dall’antica Fortezza prima della sua

demolizione seguita nell’anno 1801”18.

Questa demolizione doveva interessare il castello per fare spazio a quell’utopico Foro Bonaparte,

progettato su ordine di Napoleone da Giovanni Antolini. Il governo della Repubblica Cisalpina aveva

decretato l’esecuzione del grandioso progetto il 20 gennaio 1801 ma la scarsità di fondi e l’eccessivo

costo dell’idea Antoliniana comportò diverse modifiche al progetto19, solo l’arena, l’arco di trionfo

ed il giardino vennero realizzati. Nuovamente in mano austriaca, nel 1848 il Castello venne rinforzato

12 Id., op. cit. nota 9, pag. 72. 13 Id., op. cit. nota 1, pag. 30. 14 Gianfranco Pertot, op. cit. nota 5, pag. 63. 15 Luca Beltrami, op. cit. nota 1, pag. 30 16 Ibidem,, pag. 73. 17 Ibidem., pag. 92. 18 Francesco Pirovano, Nuova guida di Milano, il Polifilo, 1988, pag. 341. 19 Luca Beltrami, op. cit. nota 1, pag. 123.

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frettolosamente20. Con la liberazione di Milano la caserma del castello e la sua piazza d’armi

entravano in possesso del futuro Regno d’Italia.

Milano si avviava a divenire una metropoli ed un motore economico per tutta la penisola. Nel corso

dell’ultimo quarto del XIX secolo l’espansione della città aveva portato all’attenzione del comune la

necessità di creare nuove zone abitative e di sviluppo. Era necessario, per la giunta presieduta dal

sindaco Belinzaghi attuare un progetto di sviluppo nella direttrice Nord Ovest così come già si era

fatto a Nord Est verso Vienna21. Le intenzioni speculative erano chiare e dal 1880 vennero proposti

diversi piani regolatori irriguardosi nei confronti della massa del Castello22. L’ultimo ad essere

presentato fu un progetto di Clemente Maraini, a capo della Fondiaria Milanese, che avrebbe tagliato

in due il castello mantenendo in piedi solo la Rocchetta a fare da sfondo ai nuovi palazzi di lusso che

si sarebbe costruiti sulla nuova direttrice Duomo – Sempione23. L’obiettivo manifesto era restituire

alla città un terreno vicino al centro ma ancora occupato dalle autorità militari con la caserma e la

piazza d’armi24. Il comune era, in questo progetto, supportato non solo dai maggiorenti cittadini ma

anche dall’opinione pubblica che vedeva ancora nel castello quel simbolo di oppressione che per

quattro secoli aveva difeso i tiranni. Lo stesso Beltrami ricorda le parole di Carlo Borghi del 1881:

“la massa melanconicamente tetra del castello, stupidamente vasta, cocciutamente uniforme ha un

merito solo, quello di far desiderare la primavera che vi fa crescere intorno le foglie”25.

Anche intellettuali di fama come Cesare Correnti avevano scritto che il castello era un ricordo della

dominazione austriaca ed il luogo di difesa degli Sforza contro la città, non difesa della città26. Ai

milanesi si riconosceva di aver maturato un odio feroce verso quel minaccioso Castello inutile alla

difesa della città, terribile nell’offesa27. Non solo la sua immagine atterriva i cittadini ma addirittura

un membro della Commissione conservatrice aveva assicurato che il castello non meritasse la

qualifica di monumento perché non abbastanza antico, come se non si vedessero ancora i

20 Marco Albini, Progetti diversi relativi al Castello nel corso del XIX secolo, in Luca Beltrami e il Castello Sforzesco: Milano, Castello Sforzesco 29 novembre 2000 - 25 febbraio 2001, Milano, 2000, pag. 15. 21 Amedeo Bellini, Il castello di Luca Beltrami, in Il Castello di Milano, a cura di M. T. Fiorio, 2005 22 Marco Albini, op. cit. nota 20, pag. 15. 23 Rolando di Bari, La Milano di Luca Beltrami, Ed. Selecta, Milano, 2005, pag. 38. 24 Luca Beltrami, op. cit. nota 9, pag. 67. 25 Ibidem., pag. 67. 26 Rolando di Bari, op. cit. nota 23, pag. 43. 27 Guido Arosio, Il Castello Sforzesco e il suo restauratore, in L’Italia, 18 agosto 1933.

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monogrammi di Francesco Sforza28. Pochi lo ritenevano un monumento d’arte, legato com’era alla

vicina oppressione austriaca29.

Il già citato primo progetto di Maraini per l’area Nord-Ovest della città fu quello più vicino ad essere

approvato benché limitasse l’interesse storico alla Rocchetta e alla corte Ducale che sarebbe stata

attraversata dal nuovo viale. Le rimostranze della compagine guidata dal Beltrami fecero in modo

che il nuovo progetto del 1884 prevedesse il mantenimento, senza l’attraversamento da parte del viale,

della Rocchetta e della corte Ducale. Queste però sarebbero state manomesse con elementi neogotici

costruiti di sana pianta30 e sarebbero stati attorniati dai nuovi palazzi di lusso. Anche questa nuova

sistemazione non era sostenibile per Beltrami e i suoi sostenitori e, grazie alla nomina da

Commissario Regionale per la Conservazione dei Monumenti31, riuscì a porre il vincolo ministeriale32

su tutto il fabbricato strappandolo alla speculazione edilizia. Lo stesso Beltrami commenta così

l’avvenimento:

“un telegramma del Ministero della pubblica istruzione, saggiamente provocato il giorno stesso in

cui il Consiglio doveva prendere una determinazione, arrivò in tempo a porre un veto a qualsiasi

soluzione edilizia che avesse compromesso, anche in parte, la compagine del Castello.

L’Amministrazione municipale tosto si dimise: la causa del Castello era definitivamente

guadagnata!”33.

Il Castello veniva ceduto al Comune di Milano che ne prendeva possesso solamente 9 anni dopo

all’abbandono di questo da parte dell’Autorità militare il 25 ottobre 189334. A partire dal 1884 nacque

il Piano Regolatore della città per mano di Cesare Beruto35. Nel corso dei sei anni successivi vennero

elaborate diverse modifiche al piano originale che venne approvato in forma definitiva solo il 4 agosto

1890 comprendendo il progetto di messa a giardino per la Piazza d’Armi36. Nell’ultimo decennio del

XIX secolo finiva quindi la storia d’oppressione del Castello ed iniziavano quei lavori che lo hanno

restituito, nell’interpretazione di Luca Beltrami, alla comunità milanese.

28 Luca Beltrami, op. cit. nota 9, pag. 68. 29 Amedeo Bellini, Luca Beltrami ed il restauro del Castello Sforzesco di Milano, in Luca Beltrami e il Castello Sforzesco: Milano, Castello Sforzesco 29 novembre 2000 - 25 febbraio 2001, Milano, 2000, pag. 5. 30 Luca Beltrami, op. cit. nota 9, pag. 68. 31 Rolando di Bari, op. cit. nota 23, pag. 43. 32 Luca Beltrami, Il castello di Milano, Lampi di Stampa, Milano, 2002, pag. 6: “La Società Storica Lombarda, considerato il merito storico, artistico e monumentale del Castello di Milano, considerato pure lo stato suo edilizio, quale si trova, fa voto affinchè non sia messo mano in parte alcuna, che ne alteri la presente condizione di fatto [..] – Adunanza Generale del 30 marzo 1884”. 33 Id., op. cit. nota 9, pag. 69. 34 Id., op. cit. nota 1, pag. 134. 35 Marco Albini, op. cit. nota 20, pag. 16. 36 Ibidem.

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I torrioni rotondi e la Torre del Filarete

Nel 1893 al momento di iniziare gli interventi sul castello le condizioni di questo erano a dir poco

compassionevoli: secoli di incuria e di uso militare avevano disgregato l’edificio originale37. Ritengo

di poca utilità trascrivere dettagliatamente tutti i lavori effettuati da Luca Beltrami sulla massa del

Castello che possono essere comodamente ritrovati nel Resoconto dei lavori di restauro da lui stesso

pubblicato nel 1898. È tuttavia di mio interesse parlare di due elementi particolari di cui si è occupata

l’azione di restauro: le due torri rotonde verso la città e la cosiddetta Torre del Filarete che rappresenta

un elemento particolare nell’azione di Beltrami a causa della scarsità di materiale consultabile. Il

recupero fu meticoloso grazie all’uso di rilievi, documentazione d’epoca sforzesca e d’archivio da

parte di Beltrami38. Il primo intervento fu la restituzione alla città del torrione di levante all’interno

del quale venne inserito un serbatoio d’acqua potabile39. Il torrione rotondo est venne scelto per

ospitare il serbatoio nell’estate del 1893 e la sua costruzione risaliva al 1455 per mano di Bartolomeo

Gadio40. La torre era stata abbassata dal governo austriaco nel 1848 eliminando diversi giri di bugnato

che caratterizzavano la torre. Fu solo grazie ai disegni del genio militare francese che aveva svolto

rilievi durante l’esperienza della Repubblica Cisalpina che si poté ricostruire l’altezza originaria41.

Mentre si procedeva alla ricostruzione del torrione, in vista dell’esposizione del 1894, Beltrami aveva

richiesto un rilievo di tutte le parti esterne del quadrato sforzesco per conservare i resti dell’ormai

distrutta Ghirlanda che considerava parte integrante del Castello stesso42. Il restauro venne sempre

supportato da rilievi e ritrovamenti che permisero a Beltrami di agire in modo prettamente filologico.

Due casi però si discostano da questo procedimento: l’apertura dei finestroni rivolti verso la città e la

torre del Filarete. Le finestre promesse da Francesco Sforza al Consiglio cittadino non vennero mai

realizzate benché i muraglioni mostrassero l’indicazione per tali aperture43. Beltrami, ritenendo che

in ogni modo il risultato sarebbe stato falso, decise di aprire le finestre ricordando l’uso pubblico che

il Castello avrebbe dovuto svolgere una volta completato44. Nel 1898 dopo aver portato a compimento

il restauro della maggior parte del Castello, rimane il problema della torre principale. Nel 1454 con

la morte di Giovanni da Milano viene chiamato a lavorare al castello di porta Giovia Antonio di Pietro

Averulino noto come il Filarete45. L’obiettivo consisteva nel decorare l’entrata del Castello per restare

37 Rolando di Bari, op. cit. nota 23. Pag. 44. 38 Ibidem., pag. 45. 39 Ibidem., pag. 46. 40 Luca Beltrami, op. cit. nota 32, pag. 10. 41 Ibidem., pag. 13. 42 Ibidem., pag. 18. 43 Rolando di Bari, op. cit. nota 23, pag. 45. 44 Ibidem. 45 Luca Beltrami, op. cit. nota 32, pag. 107.

7

fedele, seppur in minima parte, a quegli accordi presi con la Repubblica Ambrosiana. Sappiamo,

grazie al carteggio rinvenuto da Beltrami che vi erano stati problemi tra il Filarete e gli altri magistri

occupati nel rafforzamento del castello a causa della lentezza nello sviluppo dei lavori di

decorazione46. Sappiamo inoltre che le decorazioni dovevano essere in terracotta così come lo saranno

quelle dell’Ospedale Maggiore che realizzerà di lì a poco. La torre realizzata sotto il dominio

sforzesco non durerà però neanche un secolo perché, a causa di un crollo del 1521, non venne più

ricostruita47. Fortunatamente ci è pervenuto il Trattato di Architettura dello stesso Filarete che sembra

prenda come esempio il suo lavoro alla Rocca Sforzinda per descrivere il castello ideale48. Grazie al

Trattato Beltrami riuscì a desumere le informazioni necessarie a figurarsi la forma grezza della torre

che avrebbe avuto base rettangolare. Questa disposizione contenuta nel Trattato trova riscontro nello

schizzo leonardesco contenuto nel Mss. B che descrive la base della torre d’accesso al Castello49. Il

nuovo problema da affrontare era fattura e la struttura stilistica dei decori in terracotta che il Filarete

era stato chiamato ad aggiungere alla costruzione per stemperare la funzione di fortezza ed ingentilire

il Castello allo sguardo dei milanesi. Le ricerche di Beltrami individuarono due documenti grafici: un

quadro di scuola leonardesca con sullo sfondo un castello dalle torri laterali tonde e torre centrale

rettangolare e un ritrovamento fortuito che fornì le indicazioni più precise50. Lo stesso Beltrami

attribuisce al caso il fortunato ritrovamento nella cascina Pozzobonella, risalente al XV-XVI secolo,

di un graffito, sporgente dall’intonaco, rappresentante il Castello di Milano con una torre quadrata o

rettangolare51. Per completare la ricerca necessaria all’elaborazione di un progetto di ricostruzione

vennero inoltre eseguiti dei rilievi su due torri coeve, a Cusago e Vigevano, che presentavano quel

sopralzo presente nel graffito alla Pozzobonella52. I lavori che riguardano la torre hanno luogo tra il

1900, anno di ritrovamento delle fondamenta, e il 24 settembre 1904, anno di inaugurazione della

struttura. L’intervento del Beltrami di ricostruzione ed elaborazione di una struttura verosimile viene

però completato con l’inserimento di un anacronismo. La torre presentava, secondo la descrizione

originale, una statua di sant’Ambrogio giuntaci monca e difficilmente ricostruibile. Beltrami, per

evitare di ricostruire senza la dovuta precisione una statua mancante, preferì inserire un anacronismo

46 Ibidem., pag. 108. 47 Paolo Mezzanotte, il Castello di porta Giovia, in Storia di Milano, vol. XV, Milano, pag. 429. 48 Luca Beltrami, op. cit. nota 32, pag. 608. 49 Ibidem., pag. 610-611. 50 Luigi Robuschi, Luca Beltrami e il restauro del Castello Sforzesco di Milano, in Studi, ricerche e documenti confronti, 3/2012, Padova, pag. 168. 51 Luca Beltrami, op. cit. nota 32, pag. 612. 52 Ibidem., pag. 615.

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per omaggiare la casa reale di Savoia. Nel 1900 era stato assassinato il re Umberto I ed in omaggio

alla sua figura venne inserito un altorilievo del re a cavallo53.

Post tenebras spero lucem: la poetica di Luca Beltrami

È stato mio interesse indicare questi momenti del restauro perché costituiscono l’eccezione, seppur

non in forma totale, al metodo di lavoro di Luca Beltrami. Infine, dedicherò quest’ultima parte del

mio elaborato alla visione che Beltrami aveva del Restauro e della funzione dell’architetto. Nella sua

Guida storica al Castello di Milano Beltrami definisce, sulla scorta della definizione manzoniana, la

Storia una guerra contro il tempo e il basarsi sugli avanzi dei vecchi monumenti54 un modo per

stabilire un legame materiale tra l’oggi e il passato. Fortemente positivista, è convinto che il dipanarsi

della storia non abbia altro indirizzo che il miglioramento e che la maestosa figura del Castello possa

fungere da esempio per i milanesi55. Per Beltrami il Castello ha un valore in quanto scrigno della

storia della città che non attende altro che venir riportato alla luce per far conoscere la sua storia ai

milanesi. L’obiettivo è restaurare il fabbricato ma il restauro di fine XIX secolo non è quello che noi

intendiamo ancora oggi. Nel 1963 la voce Restauro dell’Enciclopedia Universale dell’Arte lo definiva

così:

“S’intende generalmente per restauro qualsiasi intervento volto a rimettere in efficienza un prodotto

dell’attività umana”56

La nascita del restauro architettonico è posta generalmente al decreto del 1794 della Convenzione

Nazionale francese che proclamava il principio della conservazione dei monumenti. Il principio

fondamentale del restauro nel XIX secolo è la restituzione dell’opera al suo mondo storicamente

determinato, ricollocandola nel suo tempo57. Tra 1830 e 1870 in Francia si afferma un restauro volto

alla restituzione della forma originaria dell’opera eliminando ogni aggiunta posteriore; questo tipo di

restauro viene detto stilistico se non mimetico ed il suo più fervido sostenitore fu Viollet-le-Duc58.

Questo tipo di intervento non teneva spesso conto del dato storico giungendo ad immaginare forme e

soluzioni che non avevano avuto alcuna realizzazione nella storia del monumento. Si può affermare

che la cultura dell’ottocento avesse una attitudine al falso che nel medievalismo trova una

53 Amedeo Bellini, op. cit. nota 29 54 Luca Beltrami, op. cit.nota 1, pag. 7. 55 Ibidem, pag. 8. 56 Voce “Restauro” in Enciclopedia Universale dell’Arte, vol. XI, 1963 57 Renato Bonelli, Il restauro architettonico, in Enciclopedia universale dell’arte, vol. XI, 1963, coll. 344. 58 Ibidem.

9

legittimazione e una maniera di esprimersi59. Il medioevo, attraverso la lente del romanticismo, viene

attualizzato dagli intellettuali ottocenteschi60. L’architettura diviene eclettismo e tentativo di

composizione stilistica, di rifacimento ad un modello ideale. Si tratta di un vero e proprio revival che

attualizza il passato e ne fa forma per il presente61. È un’architettura per visionari e fantasiosi che non

tarda a far proseliti in Italia; si ricorda la figura di Rubbiani piena d’impetuosa fantasia62. Proprio

nelle sue parole possiamo ritrovare quel tipo di sensibilità che guidò gli architetti ispirati da Viollet-

le-Duc:

“Il medio evo si piaceva anzi a lasciar ai posteri delle idee da svolgere, dei ragionamenti da

concludere più che dei fatti compiuti da ammirare sbadigliando”63

Rubbiani era espressione di un dilettantismo appassionato64 tipico dei sostenitori del restauro

stilistico. Beltrami, al contrario fu sostenitore di un nuovo metodo, affermatosi a partire dal 1880, che

può essere chiamato restauro storico. Esso prendeva fondamento dalle conquiste della filologia e

predicava la necessità di abbandonare il sistema analogico di ricostruzione e di basarsi esclusivamente

sulle fonti, documentarie o materiali, pervenuteci65. Beltrami opta per questa nuova strada, prendendo

le mosse dall’insegnamento del Boito66, e dichiara apertamente l’insostenibilità dell’integrazione

stilistica67, benché non riesca a distaccarsi completamente da quella necessità di dare risposta ad una

domanda culturale tipica del suo tempo come si vede nella realizzazione della torre del Filarete. Ma

se Camillo Boito arrivava, con il suo restauro filologico, ad affermare la necessità di mantenimento

di tutte le parti dell’edificio giunto fino a noi, per Beltrami, imbevuto della cultura del suo tempo, era

necessario usare mezzi filologici per riportare il monumento ad una situazione di organicità unitaria

per valorizzarlo al meglio68. La vera differenza tra Viollet-le-Duc e Beltrami sarà proprio

l’importanza del dato storico per quest’ultimo rispetto al valore dell’arte69. Vi si riconosce uno scopo

eminentemente patriottico70 che parte dal dato storico per far giungere, attraverso il mezzo artistico,

un messaggio d’appartenenza comune a tutti coloro che ammirassero il monumento. Vi è una storia

59 Guido Zucconi, L’invenzione del passato, Marsilio, 1997, pag. 23. 60 Ibidem. Pag. 39. 61 Renato Bordone, Lo specchio di Shalott, 1993, pag. 62-63. 62 Ibidem., pag. 66. 63 Alfonso Rubbiani, Bologna sacra e profana, pag. 7. 64 Maria Giuseppina Muzzarelli, Neomedievalismi. Recuperi, evocazioni, invenzioni nelle città dell’Emilia-Romagna, 2007, pag.20. 65 Renato Bonelli, op. cit. nota 57, coll. 345-346. 66 Ibidem. 67 Renato Bordone, op. cit. nota 61, pag. 69. 68 Rolando di Bari, op. cit. nota 23, pag. 66. 69 Amedeo Bellini, op. cit. nota 21. 70 Id., op. cit. nota 29, pag. 6.

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da rivendicare per i milanesi attraverso la ricomposizione del libro di pietra che è il monumento71.

Ogni suo intervento viene accuratamente documentato tanto da rendere sbalorditiva la quantità di

scritti lasciati sui cantieri ai quali aveva preso parte72. Beltrami agì con testardaggine e cura estrema,

spinto da un’ideale fortemente sentito, una vera e propria missione politica per garantire il bene della

nazione con la salvaguardia dei suoi monumenti73. La salvezza di quel monumento negativo che era

il castello era necessaria per formare il carattere di un popolo ma non solo: è infatti noto che per

Beltrami esso dovesse divenire il centro della vita culturale cittadina. Beltrami si assunse il ruolo di

guida della città nella riscoperta del proprio passato proprio con quel paternalismo tipico della

borghesia ottocentesca; i suoi scritti non giustificano solo il restauro, sono un manifesto culturale e

politico74. Il castello divenne un polo culturale e memoriale per la città di Milano, ospitando, nei suoi

rinnovati locali: il Museo archeologico, municipale, la Scuola d’arte applicata all’industria, il Museo

del Risorgimento, L’Archivio storico comunale, la Società Storica Lombarda, la Società numismatica

Italiana75. L’architettura del Beltrami, divisa tra serietà scientifica e filologica e trasporto emotivo per

una storia da restituire alla città, fonda un legame materiale tra il Comune e il suo passato76. Così

scrive nell’introduzione alla sua Guida Storica:

“Il Castello di Milano, destinato a raccogliere le sparse reliquie di questo passato non inglorioso,

offrirà argomento a più di una rivendicazione: […] la nostra generazione riconoscente ordinerà e

custodirà i ricordi di coloro che lottarono contro la tirannide straniera, e incatenati attraversarono

un dì quelle sale, incerti del domani”77.

In un primo momento il risultato del restauro non venne accolto di buon animo da alcuni milanesi

che non mancarono di restituire al mittente le cartoline commemorative dell’evento78. Ma il desiderio

di Beltrami di destare emozione e sentimento alla visione del Castello restituito alla città poté dirsi

esaudito nel constatare con quali termini l’opinione pubblica, una volta abituatasi alla nuova presenza,

parlasse del monumento. Nel 1933 Guido Arosio su L’Italia scrive:

“Milano per salvare il Castello Sforzesco ha dovuto rinunciare ad una lunga arteria, fiancheggiata

da case a cinque piani […] Ora questo piccolissimo esempio […] è proprio tale, per vaghezza

d’architettura, per maestà di edifici, per imponenza di linee, da far rimpiangere il sacrificio, o non

71 Ibidem. 72 Paolo Mezzanotte, op. cit. nota 47, pag. 431. 73 Amedeo Bellini, op. cit. nota 21. 74 Id., Prefazione, op. cit. nota 1, pag. XXV. 75 Id., op. cit. nota 21. 76 Luigi Robuschi, op. cit. nota 50, pag. 173. 77 Luca Beltrami, op. cit. nota 1, pag. 11-12. 78 Rolando di Bari, op. cit. nota 23, pag. 49.

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v’è forse da rallegrarsi che la tenacia antiveggente dei pochi abbia saputo vincerla sullo scetticismo

di corta vista dei più?”79

Ma Arosio non è il solo a parlare dell’operato del Beltrami contali toni entusiastici: Alessandro

Visconti lo definisce splendido gioiello80, Sofri il grande trionfo di Luca Beltrami81, a testimonianza

che in poco tempo il Castello, da massa melanconicamente tetra trovò posto tra i monumenti preferiti

dai milanesi.

Conclusioni

Dalla documentazione da me analizzata emerge come i restauri del Castello Sforzesco siano il

risultato di una mediazione di fine secolo tra la cultura romantica e quella prettamente scientifico

positivista. La necessità di rigore scientifico, da usare come struttura portante di quel sentimento

nazionale che doveva formarsi dopo l’unità d’Italia rende la figura di Beltrami emblema di quel

cambiamento che investe la società italiana di fine secolo.

79 Guido Arosio, op. cit. nota 27. 80 Alessandro Visconti, Storia di Milano a cura della famiglia meneghina, 1967, pag. 329. 81 S. Sofri, Luca Beltrami e la sua Opera, in Nuova Antologia, vol. XX, 1909

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