dalle glosse giudeo-italjane dell' arukh : accessori

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DALLE GLOSSE GIUDEO-ITALIANE DELL’ ARUKH: ACCESSORI Luisa Feretti Cuomo In queste pagine si tratterà delle glosse volgari dell’Arukh che designano copricapi, calzature, cinture e borse. 1 1. Copricapi 2 1.1. 15. orale [- wrlj] ‘velo da testa femminile’ 14 Yerusˇalmi in “con che la donna” “gli s . enifot . “(‘turbanti/bende’) “olaria”. [Sab. 6 8b]. Come che è detto “lo s . enif puro” [Zac. 3: 5] 3 . E s . enif in vol- gare orale 4 1 Per le notizie sull’Arukh, e i criteri di scelta del ms. della British Library, Add. 26881, della prima metà del XII secolo, come ms. di base per l’edizione delle glosse, cosí come per le sigle degli altri mss. dell’Arukh di cui si è fatto uso sistematico, si ri- manda ai lavori già pubblicati sull’argomento, e in particolare FERRETTI CUOMO 1998a, e 2004. Ringrazio vivamente Ynon Wigoda per l'aiuto nel campo della letteratura ha- lachica e midrashica. 2 Il criterio di organizzazione del testo è il seguente: in prima riga la trascrizione e la traslitterazione della glossa, con il suo significato, se questo è diverso dall’italiano cor- rente. Il numero che precede la glossa è quello dell’ordine in cui le glosse compaiono lungo il testo. In seconda riga la voce in ebraico, in cui compare la glossa, preceduta dal numero d’ordine delle voci in cui compaiono glosse volgari. In seguito è presentato il contesto rilevante della voce nella traduzione in italiano. Infine viene la discussione e l’analisi linguistica. 3 Si parla della vestizione del gran sacerdote Yehose a. 4 KOHUT, I p. 107a velare? BLONDHEIM 1933, n. 134: orale “veil covering the head and mouth”

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DALLE GLOSSE GIUDEO-ITALIANE DELL’ ARUKH: ACCESSORI

Luisa Feretti Cuomo

In queste pagine si tratterà delle glosse volgari dell’Arukh che designanocopricapi, calzature, cinture e borse.1

1. Copricapi2

1.1. 15. orale [-wrlj] ‘velo da testa femminile’ajrla 14

Yerusalmi in “con che la donna” “gli s.enifot. “(‘turbanti/bende’) “olaria”.[Sab. 6 8b]. Come che è detto “lo s.enif puro” [Zac. 3: 5]3. E s.enif in vol-gare orale4

1 Per le notizie sull’Arukh, e i criteri di scelta del ms. della British Library, Add.26881, della prima metà del XII secolo, come ms. di base per l’edizione delle glosse,cosí come per le sigle degli altri mss. dell’Arukh di cui si è fatto uso sistematico, si ri-manda ai lavori già pubblicati sull’argomento, e in particolare FERRETTI CUOMO 1998a,e 2004. Ringrazio vivamente Ynon Wigoda per l'aiuto nel campo della letteratura ha-lachica e midrashica.

2 Il criterio di organizzazione del testo è il seguente: in prima riga la trascrizione ela traslitterazione della glossa, con il suo significato, se questo è diverso dall’italiano cor-rente. Il numero che precede la glossa è quello dell’ordine in cui le glosse compaionolungo il testo. In seconda riga la voce in ebraico, in cui compare la glossa, preceduta dalnumero d’ordine delle voci in cui compaiono glosse volgari. In seguito è presentato ilcontesto rilevante della voce nella traduzione in italiano. Infine viene la discussione el’analisi linguistica.

3 Si parla della vestizione del gran sacerdote Yehose‘a.4 KOHUT, I p. 107a velare? BLONDHEIM 1933, n. 134: orale “veil covering the head

and mouth”

1.1.1. ’Olaria è un plurale che si riferisce ad una lista di indumenti egioielli indossati dalle donne di Zion in Is 3:23, ma il passo talmudico acui si fa riferimento qui rimanda poi a Zac 3:5, in relazione al copricapodel gran sacerdote. La glossa dell’Arukh si riferisce direttamente a questopasso, e il rapporto di glossa è invertito: si parte cioè dalla voce volgarenota, per riconoscere in essa il termine talmudico.

Per quest’ultimo, LEVY 1924, propone un latinismo (<ORARIA, gr.Èrßria), che ci convincerebbe, dato il tardo latino ORARIUM, n., ‘fazzo-letto’, evidentemente per coprire la testa e il volto; (ma già <orale> inCassius Felix, 447 E.V.).5 Uguccione da Pisa nelle sue Derivationes regi-stra il termine due volte: [H 60 7] “hoc orarium dicitur limbus qui appo-nitur ore, idest margini vel extremitati alicuius vestimenti, causa orna-tus” e [H 61 22] “Item ab ore hoc orarium, peplum, scilicet infula illa queinvolvit et operit ora, idest vultus”. Due omonimi, insomma, di cui ilprimo significherebbe ‘striscia ornamentale cucita ai bordi di un articolodi abbigliamento’, mentre il secondo, ‘lo scialle, il manto, che avvolge ecopre il volto’.

Sella 1944: “orale, velo: ‘Orales de Modone’, (da Besta, Usi Nuziali Ve-neti, p. 12. Venezia, a. 1145)”.6 DU CANGE 1937-38, s.v. “oralis”:

oralia feminis etiam adscribit Concilium Arelatense an 1234, cap. 16.‘Mulieres autem puellae a 12. annis et supra oralia deferant extra do-mos’. Id est vela quibus caput et os tegant. Statuta Massil. lib. 5. cap.14. ‘Judaeae maritatae undicumque sint portent orales’”

E si noti il rapporto stretto istituito dal Concilio di Arles del 1234 edagli Statuti di Marsiglia fra questo indumento e le donne ebree.

1.1.2. MD: S.NF - “coppola, …una specie di copricapo”, in riferimento adEx 28:4, ma fazzoli / -uli in riferimento ad Is 3:23.7

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5 Dissimilazione – forse anche per influenza del suffisso -ale – e metatesi reciprocadi /r/ ed /l/ sono molto comuni.La prima documentazione è dall’Itala. SOKOLOFF 2002,voce “Olar n.” la ritiene “uncertain”.

6 Cit.: BESTA, Gli antichi usi nuziali del Veneto e gli statuti di Chioggia, in “Rivista it.per le Scienze giuridiche” XXV (1898).

7 Per orel ‘velo’ nelle glosse giudeo-francesi (D-B 752), cfr. FEW 7 384b; in BenhaYetom fazzol [fçwl] traduce Sudara”, ‘sudari’ (CUOMO 1973) e nel Cantico dei Canticiedito dal Sermoneta, 5:7 facciolo traduce redid, ‘velo da testa’. Per la traduzoni e le glosse

1.1.3. Orale, ‘velo per coprire la testa e il volto’ è antico: la troviamo involgare per la prima volta nella dichiarazione delle suppellettili di casadella vedova Paxia a Savona (1178-1182): “… pectini .ii. da oral…”, “…et oral .ii. da xxviii dr. …(CASTELLANI 1980, p. 186); poi negli Stat. Se-nesi del 1301-1303, cap. 5, p. 7: “La dozina delle bende e orali e cuffiedi seta e simili cose, V denari kabella…” (OVI).

Dalle citazioni tanto volgari che latine medievali, il termine sembre-rebbe di area occitanica e italiana settentrionale: la tarda documentazionetoscana potrebbe indicare che si tratta qui di un settentrionalismo. In talcaso il termine dell’Arukh andrebbe visto come uno di quei tanti latini-smi che lo costellano, fosse pure derivato dai maestri d’oltralpe.

1.2. 319. cajjula [qjwlh] ‘reticella da testa femminile’hcbu 279

Nel cap. “Questi i nodi”. Fili di Sevakah [‘reticella’] di Pesiqiyah [‘fa-scia’] [Sab, 15.2] . […] Cap. 24 di Kelim [16]. Ci sono tre tipi di sevakot.di una bambina, impura come sedile, di una anziana, impura come im-puro di morto, di una che esce di casa, è affatto pura. Interpreta: in araboqayyat. e in volgare cajjula8 ‘E di una che esce di casa’; si tratta del veloche mettono le donne quando vanno al mercato.

1.2.1. Nel primo caso, il contesto riguarda i nodi che non si possono scio-gliere il Sabato – come i nodi del cordame delle navi – e i nodi che si pos-sono sciogliere, come appunto quelli che legano il copricapo di una donna.Nel secondo caso, si tratta dell’impurità che possono ricevere gli indu-menti. Per sevakah la Misnah ne distingue tre tipi, in relazione alla lorofunzione; quella delle bambine, che ci possono giocare, può ricevere l’im-purità delle stoffe su cui ci si può sedere o sdraiare. Quella di una donnamolto anziana può ricevere l’impurità collegata ad un cadavere. Quellache si pone in capo la donna per uscire di casa non riceve alcun tipo diimpurità. Nella discussione fra i commentatori se bisogna vedere nelladonna che esce di casa una prostituta o una donna che va al mercato, ilnostro compilatore sceglie per la seconda ipotesi.

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giudeo-italiane nel Cantico, cfr. FERRETTI CUOMO 2000, p. 131. Ancora nel tardo e ri-petitivo “Or Lustro troviamo mis.nefet: fazzolo[fa’çowlow] (CUOMO 1973).

8 KOHUT, VI p. 8 n. 8, cappello.

1.2.3. Il termine volgare deriva dal latino cavea, ed è documentato in Si-cilia ed in Calabria. Si veda per tutti VES, p. 333:

càiula s.f. ‘copricapo formato da una reticella, 1171: “faciola quatuor,duo nigra et duo alba, gaiole due (DocEpNorm 130); ‘cajulam de seta ru-bea cum guarnimentis aurei” e “cayulam de oro filato ad rosas” (Lanza-Gioielli 107; […].

Seguono molti altri esempi che documentano la stabilità del terminefino in tempi recenti; p. 334:

Quanto al copricapo, Lanza Gioielli 106-7 ritiene trattarsi di ‘quellaspecie di calotta … che consisteva in un pezzo di stoffa alle volte tes-suta ad oro, la quale raccoglieva tutta la capigliatura ed era generalmentecoperta da una reticella’. Cfr. reggiano càjola ‘berretto da uomo’ (NDDC117) […].

Per l’origine del termine VES accetta la spiegazione del FARÉ n. 1789,respingendo quella di DEI p. 665 e Alessio Latinità 437 che ricondur-rebbero le voci calabresi e siciliane al latino PLAGAE ‘reti’: si tratta infattidi una base foneticamente impossibile. Del resto, anche dal punto di vi-sta semantico i derivati di CAVEA con il significato di ‘rete’ o ‘reticella’sono numerosi: DEI, p. 883 chèba, “mar. piccola nassa per la pesca delghiozzo”, e FEW 21, p. 552, “Nfr. Bourn. ke.dz ‘crinoline’ […] caget ‘pe-tite natte sur laquelle on dispose les fromages pour les faire égoutter’, …”.Si veda anche PICCITTO TROPEA I p. 520:

càjula f. […] 3. (Mal., Spa., Tr., Av.) reticella di seta o di filo usata dalledonne delle colonie greco-albanesi per adornarsi il capo. 4. (Tri) sotto-cuffia per neonati. […] 6. (AG.8) birritta canusci c. fig. un diavolo co-nosce l’altro. 7. (DB., Tr.) rristari in caiula e cammisa ridursi sul latrico”.

E ancora NDDC, p. 117, “càjula f. ‘cuffia da neonati’, càjola (R. gi)‘berretto da uomo’”. Si può supporre che per andare al mercato le donneusassero i copricapi più raffinati, fra quelli debitamenti inventariati neicorredi delle spose e nei testamenti,9 e che il nostro compilatore ritenesse

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9 MUZZARELLI 1999, passim.

che nel testo mishnico e talmudico si trattasse proprio di queste reticellepreziose, evidentemente custodite con ogni cura.

1.3. 232. coppola [qwpwl- ] ‘copricapo femminile’hpc 207

Nel cap. “chi porta”, secondo. Nella gm. “su tutto si scrive” [Ghit.in 20][…] All’inizio della gm. del cap. “con che la donna” [Sab. 57b] “Ma unakippah di lana, va bene”. Ha interpretato: un indumento che la donna sipone sul capo a contatto dei capelli e riceve il sudiciume, e sulla kippahla reticella, ed è coppola in volgare con lo stesso significato.

1.3.1. Il primo contesto citato si riferisce a chi porta il libello di ripudioda oltremare, e al materiale su cui e con cui può essere scritto. Nel casospecifico, non può essere scritto, – secondo Rashi, ricamato – su un co-pricapo, perché si tratta di materiale deperibile. Nel secondo contesto sitratta degli indumenti con cui la donna può o non può uscire il sabato,in pubblico e nel suo cortile. Il termine talmudico si riferisce a quel co-pricapo femminile fatto di stoffa o di panno, su cui si pone la reticella or-namentale di cui abbiamo appena parlato.

1.3.2. MD: S.NF (si veda la glossa precedente) e QB’ ‘copricapo’, coppola [1Sam, 17:38].

1.3.3. La voce è meridionale, coprendo un’area che va dalle Marche e dalLazio meridionale fino alla Sicilia, anche se oggi il termine indica preva-lentemente un copricapo rotondo maschile.

NTLIO (Pär Larson, 2003): coppola “Sorta di copricapo rotondo”, primadoc.: coppula (Giostra virtù e vizi, march., XIII sec., v. 423, p. 340), co-pricapo della “Ypocrescia”; coppula, (Sposizione passione s. Matteo, sic. a.1373, cap. 1, par. 2, vol 1, p. 65.23), possibile copricapo che Gesù nonportava; pl. coppuli (Accurso di Cremona, Volgarizz. di Valerio Massimo,mess., a. 1321/37, L. 5. cap. 4, vol 2, p. 32.10) ‘copricapo dei sacerdoti’,corrisponde al latino “infulis (‘sacre bende’)” dell’originale; coppuli in unalista di spese nel siciliano Caternu di Senisio (a. 1371-81, vol 1, p. 161.5).

La forma coppola è documentata solo nella aquilana Cronaca di Bucciodi Ranallo, dove sembra un copricapo maschile che si portava sotto il cap-puccio “pur coll’oste revenne, in coppola scappucciato;” (ca. 1362, quart.587, p. 131).

La documentazione latina medievale è tarda: SELLA 1944, p. 655: cop-

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pula “coppulas ad retes laboratas … coppulas … liney panni fini labora-tas”, Pansa, Corredo Camponeschi, p. 256, Napoli, a. 1469; Teramo, 1440,IV, 60. DAM: coppola (coppela), registra la forma latina coppula di Teramo,e una a l’Aquila nel 1469.

Dal lat. tardo CUPPA(M) per il classico cupa (DELIe), il nostro termineanticipa di un secolo e mezzo la prima documentazione.10

2. Calzature

2.1. 331. escarpette [-sqrpjt.j] ‘sandali’11

Mjjlu 286In “il sandalo”, cap. 26 di Kelim.: “Solyam che si spacca da tutte le parti,è puro” [m.4]. […] In Kippurim. Yerus. [Yer. Yoma’ 8, 44d]: R. Ys.h.aqandò da R. Yehos.u’a la sera del Digiuno, Raba’ andava per la sua via cal-zando sulisyah. Gli disse: Cosa è mai questo? Gli rispose: sono uno par-ticolarmente delicato/raffinato. Interpreta: in volgare escarpette. Ed ècome un intero palmo della mano.

2.2. 344. scarpette [sqar£pejtej] ‘sandali’xpku 298

Nella Meghillah di ’Eykah “Giuda è andato in esilio” [Lam 1:3]. “Le na-zioni, quando vanno in esilio con le loro sqepat.iyot, il loro esilio non è unesilio. Ma Israele che vanno in esilio scalzi, il loro esilio è esilio” [’EykahRabbah A 3]. Interpreta: in volgare scarpette.

2.2.1. Le due glosse si riferiscono a due voci diverse, ed è probabile chela seconda, senza /e/-, sia stata condizionata dalla voce: sqepat.iyot: essa nonè stata registrata dalla maggior parte dei manoscritti, a cui manca la vocestessa. Anche KOHUT 1926 e BLONDHEIM 1933 non registrano la glossa.La forma del testo, sqepat.iyot, vien riportata dal JASTROW 1943, p. 97 a’isqepast.i e dal DALMAN 1922, p. 299 ad ’asqepas.te, dal gr. “skepastø sub.®maxa, skepast’n = kamßra; v. Poll. X, 52, Sachs Beitr. I, 171”. Esso

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10 Degno di nota è che un ms. italiano dell’Arukh (a. 1411, di area settentrionale ocentrale, siglato 4, in CUOMO 1973) trovi necessario affiancare alla glossa il sinonimocuffia.

11 KOHUT, VI p. 59, n. 6, scarpetta, scarpettaccia; BLONDHEIM 1933, n. 67 escar-pette.

significherebbe ‘lettiga, portantina con baldacchino’, o comunque ‘vet-tura coperta’. La citazione proviene da Aquilas, e quindi il termine do-veva essere di ambiente giudeo-greco. La voce greca deriva da skûpaj,-atoj, t’, con il significato di ‘riparo, ricovero’, ma anche ‘copertura, ve-ste’. Il nostro rabbino interpreta il termine del midras “con (e)sqepat.iyot”come opposto a ‘scalzi’, come se gli esiliati delle altre nazioni si recasseroin esilio non ‘con vetture coperte’, ma ‘con le calzature’. Dobbiamo quindisupporre che egli abbia interpretato il contesto midrashico – che vi siadattava perfettamente – riferendosi al proprio volgare.

Il termine era conosciuto nel greco dell’Italia meridionale come ‘po-sto coperto’, ‘riparo’. Vi è documentato anche un eponimo maschileSkapßrhj, (1052?) che si suggerisce di leggere Skarpßrhj ‘calzolaio’(CARACAUSI 1990, p. 530).

Per quel che riguarda solyyam, si veda JASTROW 1943, p. 964, s.v.solyyas,12 “m. (solea, acc. pl.) sole, slipper without heels;” DALMAN 1922,p. 291 id., “Sandale”; SOKOLOFF 2002, p. 370, n.m. pl., “slippers”.13

La voce dell’Arukh si riferisce a due contesti halachici. Nel primo sitratta della purezza degli indumenti, e vi si dice che un sandalo comple-tamente spaccato o con la pelle rotta, è puro. Nel secondo, si tratta dellapossibilità di calzare calzature di pelle il giorno di Kippur. La piccolascena drammatica che appare nel testo sembra ammetterlo nel caso chechi le indossa sia particolarmente delicato.

2.2.2. Nei testi volgari italiani i termini scarpe e scarpette sono documen-tati dalla fine del XIII secolo (OVI, Doc. fior. 1286-1290). I lessicologinon sono però d’accordo sull’etimo dei termini. DEI, p. 3376: scarpa escarpétta: ‘calzatura con suola e tacchi’, dal germ. *skarpa ‘tasca di pelle’(cfr. a.a.t. scharpa). DELIe, riassume la situazione: scarpa:‘insieme dellatomaia e suola che copre il piede nella parte superiore e inferiore’, metàdel XII secolo, doc. in un inventario scritto sul retro di un documentosalernitano del 988 ca. (Studi Schiaffini II 985); scarpa come cognome inCalabria nel 1183 (Mosino Calabria p. 159) e come s. f. nel lat. mediev.

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12 Il termine mishnico che compare nelle edizioni a stampa è infatti solyyas, ma datala facilità con cui la samek e la mem finale si possono scambiare, la cosa è normale.

13 Quanto a D.B. n. 379 “*esc(h)arpet [?] ‘escarpin. chaussure légère’”, si tratta diuna forma trasmessa in maniera corrotta tanto nei suoi due mss. 13 e 40 (di mano ita-liana del XIV sec. ?) che nella stampa di Soncino, Pesaro 1509-19.

di Salimbene da Parma, 1281-1288; scarpetta, s. f. ‘scarpa piccola, da bam-bino o da donna’ (1287, Registro del convento di SS. Annunziata dei Servidi Maria in Firenze): «era questa la forma ant. prevalente in Toscana neiconfronti di scarpa: SLI XX [1994] 300». Per Alessio Nuove Post. la vc.sarebbe un «probabile prestito dal fr. ant. escharpe (escherpe, XII sec.)“sacoche, borse” (…) da un franc. *skerpa». Corominas, seguito da A. Ca-stellani (SLI XV [1989] 27-29), non ritiene improbabile che scarpa sia diorig. biz. da karbatành (karbatíne; karpatíne in Esichio) ‘calzare di ununico pezzo di cuoio’. Da qui si sarebbe formato <scarpetta>, che sem-bra corrente nel tosc. ant., e dalla quale si sarebbe ricavato <scarpa> d’in-troduzione più tarda. Osserva però giustamente il DELIe che è strano chein Italia meridionale sia già avvenuta questa ricostruzione dal diminutivoin un inventario «che ci riporta almeno nella prima metà del sec. XII,[…], (scarpe pari I), mentre la prima testimonianza in Toscana (perché piùconservativa?) di scarpe, dopo tante scarpette, appartiene al XIV sec. conFazio degli Uberti ed in alcuni doc.»

Come abbiamo visto, però, scarpe e scarpette compaiono negli stessi do-cumenti fiorentini della fine del XIII sec. e non mi sembra da escludereche i due termini coesistessero già da tempo: per scarpette, almeno, il no-stro Arukh anticipa la prima occorrenza volgare di circa un secolo e mezzo,appaiandole alle scarpe salentine.

DELIe non fa riferimento alla tesi del FEW, XVII, pp. 100-102, se-condo il quale l’italiano scarpa deriverebbe da un gotico *skarpo ‘etwasspitz zulaufendes’, che avrebbe condotto al doppio significato di <scarpa>,sia in francese14 che in italiano «‘schuh’ und ‘mauerböschung’, unteres zuverstärkung angebrachtes vorpringendes stück der mauer». Il rapportocon l’a.a.t. scharpe ‘tasche’ viene negato in base al salto temporale degliusi semantici. Quest’ultimo si dovrebbe invece far risalire ad un “*skirpja(anfrk) ‘tasche’”, da cui l’a. fr. escherpe, medio e moderno écharpe ‘stoffaportata a bandoliera’ con tutti i significati connessi (FEW XVII, 121-124).

2.2.3. I contesti della glossa dell’Arukh fanno decisamente propendereper l’origine bizantina del termine, in quanto, piú che a delle scarpe, esso

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14 “a. Apr. escarpa ‘talus en terre ou en maçonnerie, qui forme le limite du fossé etdu rempart, et regarde la campagne (AlpesM. 1552 meyer Doc) […] 2.a. Mfr escarpe‘soulier léger’ (1556 Brantôme)”

sembra un oggetto simile alle <carbatine> definite ‘calzari di un sol pezzodi cuoio non conciato, tenuto al piede con corregiuoli’ (ROCCI 1956, s.v.), in latino carpatinus, carbanitus, a, um ‘di cuoio grezzo’ (GEORGES CA-LONGHI 2002, s.v). Se ne veda infatti la descrizione in 331, come di unpezzo di pelle della grandezza di un palmo della mano: una pianella ri-dotta ai minimi termini.

Il DELIe, al contrario del FEW, considera scarpa2 ‘scarpata’ un ter-mine diverso da <scarpa1>, facendolo risalire ad un gotico *skrapa ‘so-stegno’, nonostante l’Alessio, Nuove Post., ritienga che anche il significatodi <scarpa2> vada fatto risalire ad un calco dotto del latino crepido, inis‘base murata’, ‘argine’, ecc., parallelo a crepida, ae ‘sandalo’. Ora i due ter-mini si basano sul gr. f. krhpàj, édoj, che significa tanto ‘pianella’ che‘basamento’, e da cui, per metatesi, sarebbe derivato, secondo il ROCCI

1956, anche il latino carpisc(u)lum ‘tipo di calzare’. Alessio non ritiene va-lido il nesso gotico, in quanto le documentazioni in italiano sono tropporecenti (dal XV secolo in poi).

Mentre il nesso semantico del FEW ci sembra poco probabile, il nessosemantico ‘basamento del piede’ / ‘basamento’ in genere ci sembra ovvio,e propenderemmo per questa origine. Non solo, ALESSIO 1976, p. 365, ri-costruisce un “latino tardo scarpinare sulla glossa scarpinat:scripith haen (an-glosass.) (C.Gl.Lat. V 390, 11) der hahn kratz, scharrt (LEW. I p. 172),REW, 7663 (-i- arbitrario)”. L’Alessio stesso riporta poi dal Rohlfs Diz Ca-labr. II p. 234 uno scarpinare, con i significati di ‘graffiare’, ‘calpestare, scal-picciare’, che riprende esattamente il significato della glossa anglosassone.

Dato che tutti i supposti etimi germanici sono ricostruiti, mentre itermini greci e latini e quello anglosassone sono documentati, noi sup-porremmo un incontro fra il germanico scrip(i)- e il greco /krip(i)/-. Taleincontro sarebbe stato possibile nei periodi di soggiorno e servizio mili-tare dei germani nei domini bizantini. Il passaggio a <scarp(i/e)> non do-vrebbe presentare particolari difficoltà fonetiche.

Per quel che riguarda i dialetti, l’AIS, VIII C1569 Cp registra: i skap-pitt’ al P. 838 e i skarpítti al P. 846 (Sicilia nord-orientale) con il signi-ficato di ‘cioce’, ‘suole di cuoio o stoffa legate con legaccioli’, cioè esatta-mente secondo il significato originario del termine greco; inoltre i skar-pet è registrato in area veneta, col sigificato di ‘scarpe basse con suole dicorda o pezza’. Si sarà notato che la forma siciliana del punto 838 è iden-tica a quella che appare nella voce dell’Arukh. La spiegazione con il vol-gare scarpette sarebbe allora perfettamente in linea con la conoscenza dipossibili varianti locali, probabilmente meno note.

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Si veda infine SELLA 1944, p. 502 s.v. sandalia : «sandalia inter cali-gas et scarpettas paria sex» (Invent. S. Pietro p. 92. Roma a. 1445), checonferma il nostro significato di ‘sandalo’.

2.3. 484 patiti [pt.jt.j]: ‘zoccoli’Per l’analisi particolareggiata del contesto e della glossa si veda Fer-

retti Cuomo 1998b.

2.4. 283. planole [plnwlj] “pianelle”15km 252

All’inizio della gm. “Chi è stato preso” [Gitin, 7, p. 68b] “Si presentacon le scarpe”. E all’inizio della gm. “La mis.wwah della h.alis.ah”, [Jeba-mot 12]: “con il moq e con il sostegno delle gambe”. Interpretazione: “al-muq, ed ha sotto del legno. E in volgare planole […].

Il contesto riguarda la cerimonia con cui la donna vedova toglie unacalzatura al fratello del marito, quando questi vuol liberarsi ufficialmentedell’obbligo, previsto dalla Bibbia, di sposarla e dare discendenza al fra-tello morto. Il problema riguarda il tipo di calzatura che non inficia la ce-rimonia. Qui si parla tanto di eventuali sostegni per gli invalidi o glistorpi, quanto di una sorta di calzature morbide, differentemente definitedalle fonti.

La spiegazione del nostro testo riporta tanto la parallela forma araba,“al-muq, quanto il volgare planole.

Per quest’ultimo non ho trovato alcuna documentazione, mentre laforma derivata dalla stessa base latina, pianella ‘pantofola morbida senzatacco’, è documentata in italiano dalla fine del XIII sec. (OVI, Doc. Fior.1277-96). Ed è questa la forma che ci dà la stampa di Venezia dell’Arukh.16

Rohlfs 1966-69, #1082, osserva:

il suffisso latino -ellus è nato dall’unione della desinenza -ulus con i temiin -r […]. Quando non si sentí piú l’antico legame -ellus divenne un suf-

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15 SOKOLOFF 2002, p. 648: “moqa”, n.m., ‘shoe’.16 KOHUT, V, p. 223, n. 2: pianelle. Le grafie degli altri mss. indicano chiaramente

una lettura di nun waw come tet, lettura facilissima, facilitata ancor di piú dal fatto cheil risultato, plattole, o altro che fosse, trovava riscontro nei derivati di piatto (<plactu*(m)).In veneziano, p.es., platto è una sorta di zattera o pontile piatto, documentato negli Sta-tuti veneziani del 1366 (OVI).

fisso autonomo, e come tale ha preso piú volte in latino volgare il postodi un piú antico -ulus.

Forse planule rappresenta un termine piú arcaico rispetto al comunepianelle.

2.5. 60. sola [sowla ]atnpa 55

Nel cap. “Come si benedice”, nella gm. “ed egli recita la benedizionesull’incenso” [Berak. 6.6, gm. 43b]: “6 cose sono da rimproverare aglistudiosi” e una di queste “Non esca con le calzature rappezzate” “E hadetto Mar Zutra figlio di r. Nahman: ‘Con una pezza sulla pezza’; e nonlo han detto se non in relazione all’ ’apanta’ [‘tomaia della scarpa’], manella gildah non vi è proibizione”[Berakh. 43b] […]. E all’inizio dellagm. sul precetto dello ‘scalzamento’ [Yeb. 102a] “perché la tomaia è sulsuo piede e lo copre”. Variante panta’. Interpreta panta’ la parte frontalesuperiore della calzatura, gilda’ [la parte] inferiore. E in volgare sola.17

2.5.1. La prima prescrizione riguarda una norma di comportamento: imaestri della legge devono avere un aspetto decente e quindi non deb-bono andare nei giorni festivi con scarpe rappezzate. La seconda prescri-zione riguarda lo stesso precetto dello “scalzamento” che abbiamo vistonel caso di planule. Vi è fra i maestri chi proibisce che esso venga eseguitocon una scarpa vera e propria, e permette solo un sandalo, per il motivoriportato nella voce.

Anche Rashi glossa gilda’ con sole (D.B. 959a), mentre il MD lo glossacon pelle, spiegato “pelle fine”. Di fatto il termine può avere ambo i sensi.I sensi primari sono ‘crosta’, ‘strato’, ‘cuoio non conciato’ (SOKOLOFF 2002).

2.5.2. sola, (<pl. di SOLUM -I) è ben documentato in tutta Italia, da Ugodi Perso, XIII pi. di. (crem.), p. 591: “e quando de sola fi tomara”(OVI).

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Dalle glosse giudeo-italiane dell’Arukh: accessori 445

17 KOHUT, I, 221b, suola (non registrato nell’Indice); BLONDHEIM 1933, n. 168:sola.

2.6. 165. cingolu [çjngwlw] “cingolo”Nz 150

zon [‘cinturino’] nel sandalo. Cap. 26 [m. 3] di Kelim. Il zon [‘cintura’]e il berakyar [‘copri braccio/ginocchio in pelle’] sono impuri. Interpreta’avnet. [‘cinta’]. e in lingua aramaica qamra’, [id]. e in arabo mantqa’, ein volgare cingolu, ed è voce greca […].

2.6.1. Il termine zon, o zoni riproduce esattamente il greco zÎnh, ‘cin-tura’.

MD: ’bnt.., cingolu, spiegato “cintura dei calzoni”.

2.6.2. In area italiana il termine cingolo è voce dotta trasmessa dal latinodella Chiesa, indicando il cordiglio che il frate cinge sul saio o quello cheil sacerdote cinge sopra il camice, (GDLI, NTLIO Ilde Consales 2002:prima doc. nella Mascalcia L. Rusio volgare XIV ex (sab), cap. 129, p.257.11). BALDELLI 1971, p. 215, Cantalycio: “Hec zona -ne, hoc cingu-lum -li , la centora.”

In base a questi dati ci sembra possibile che il termine qui sia in realtàun latinismo vero e proprio, in relazione alla voce greca, e di tradizionelessicografica, come la fila di corrispondenti nelle lingue diverse lasciapresumere. Si veda anche UGUCCIONE 2004 [C 181]:

[…] et hic cinctus, -ti, idest lata zona; [3] et hoc semicinctium. percompositionem a semis et cinctus, est zona minus lata; [4] et utraqueminor dicitur hoc cingulum -li quod fit a cincto per diminutionem, quodet hic cingulus invenitur, unde hec cingula -e; et est cingulum neutri ge-neris hominum, cingula feminini generis aliorum animalium [5] et a cin-gulum hic cingulatus -ti, quoddam genus calciamenti, et vocantur cingulatia quibusdam foliati.

Traspaiono qui forme probabilmente volgari, come cinghia; e si no-tino le calzature, che evidentemente dovevano avere dei lunghi cinturini,o delle frange tutto intorno.

Nel capitolo 26 della Misnah si definiscono puri o impuri oggetti divestiario fatti di pelle. E la parte di sandali e calzari, all’inizio, è estesa.Sarebbe abbastanza ovvio che fossero proprio parti di calzari che, assiemeai copri-ginocchi di chi lavorava a pavimentazioni o altrimenti per terra,vengano considerati oggetti di vestiario impuri.

Luisa Ferretti Cuomo446

2.7. 2. cortbes [qort.bjs] “cordovani”

ga .2Nel cap. 1 di PeÆah, “il sommacco e il carrubo” [5]. E nel cap. 1 di De-maÆj, “il sommacco e il succo di vinacce, e il coriandro” [1]. E nel cap.1 di Ma’aserot, “il sommacco e le more da quando diventano rosse” [2].E in Kelim, nel cap. 27, “il sandalo calzato nella valle”; “[e ogni guantoè puro, tranne quello dei raccoglitori di fichi] perché riceve il sommacco”[43]. Interpretazione: il sommacco è un albero che si chiama in araboÆalsumaÆq. E con le sue foglie si conciano le pelli bianche che si chia-mano cortbes.18

2.7.1 Il sommacco, o Rhus coriaria, è un albero ricco di tannino e se ne uti-lizzano le foglie per la concia dei marocchini, per la rifinitura delle pellie in tintoria. Qui si specifica che l’uso del sommacco è particolare per larifinitura di pelli bianche, che dovevano essere fini se servivano a cucirguanti da lavoro. Cortves è il nome provenzale del cordovano, (REW 2230),da cui deriva l’italiano ‘cordovese’, una varietà dei marocchini, che peròusualmente sono rossi.

Il compilatore della voce sembra analizzare la -s finale (scritta con sin,secondo le convenzioni grafiche giudeo-provenzali) come morfema plu-rale, e non come suffisso aggettivale. MUZZARELLI 1999, p. 355: cordovano:“pelle conciata di capra, castrone o altro animale, adatta sopratutto perconfezionare calzature”.

3. Accessori

3.1. 161. frontale [prwnt.lj] ‘fascia ornamentale per la fronte’

jcsrvv 146Nel primo cap. di Qiddusin. nella gm. “Beyt Hillel dice: con una prut.ah”[13b] “quella donna che vendeva warsekey”: E nel cap. “l’oro”, nella gm.“fino a quando è permesso restituire” [B.M. 51a] “quell’uomo che hapreso warsekey”. Ha interpretato r. H. anana”el, sia benedetta la sua me-moria, perle, e r. Gersom sia benedetta la sua memoria ha interpretatoturbante che si pone sulla fronte, che si chiama frontale.

Dalle glosse giudeo-italiane dell’Arukh: accessori 447

18 KOHUT, I, 20b cordovano.

3.1.1. Warseka’, pl. Warsekey, di origine persiana, indica un lungo nastrocome oggetto di vestiario, in genere usato come cintura. Nei contesti tal-mudici si tratta di ornamenti e gioielli femminili che vengono posti incommercio.

È difficile dire se la glossa sia stata tratta dal commento originale dir. Gersom, o se sia del nostro compilatore. La forma è comunque quellain uso in area italiana, dato che tutte le altre forme romanze non presen-tano la vocale finale. La troviamo ripetutamente nei testi giudeo-italianiantichi come glossa di s.is. ‘diadema del sommo sacerdote’.19

Si deve notare che il primo significato di s.is. è ‘germoglio, fiore, fronda’;‘diadema’ ne costituisce un uso figurato. Può darsi che questa duplicitàabbia portato il primo glossatore al termine frontale, per la sua analogiacon fronda, che riprodurrebbe almeno in certa misura il nesso originaledell’ebraico, secondo la nota tecnica dei nostri glossatori.

In italiano frontale ‘ornamento d’oro e di pietre preziose che si portavaun tempo pendente sulla fronte’,20 è documentato dall’inizio del XIV sec.:frontale con pierle (OVI: Doc. merc. Gallerani, 1304-1308, sen.). Il terminesi è chiaramente incontrato con fronda, o fronza, come possiamo vedere daquesti due esempi registrati dall’OVI – il primo per il significato e il se-condo per la forma – dando origine anche a fronzale,21

Francesco da Buti, Pg., 29, 142-150: Dintorno al capo non facean brolo; cioèverdura: brolo al modo lombardo è orto dov’ è verdura; e qui lo pilliaper lo frontale e per la corona, […]Matteo Corr. (ed. Corsi), XIV pm. (padov.?),1 25-28 : la tua persona inquella forma stava / qual rosa tenerella, che al sole / ancor le fronde suenon manifesta, /con un fronzale in testa, /dicendo poche e savie parole;

DEI: fronzale, “ornamento muliebre”, documentato nell’a. peruginocome ‘ghirlanda di perle’ (a.1366). Questo può forse spiegare la doppiainterpretazione dei maestri, in quanto come ornamento frontale mulie-bre il gioiello doveva esser ornato particolarmente di perle.

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19 MD: frwnt.’lj, definita “come una lamina d’oro che circonda la fronte da orecchioa orecchio”; Leone da Modena, Ex. 28:36, frontale (CUOMO 1973). BERENBLUT 1949, p.160, 171, registra dal glossario di Alba frontal, bindel, che vanno fatti risalire sicura-mente allo strato piemontese di questo testo. Bindel, ‘nastro’, è infatti voce monferrina.

20 DELIe, 1320, in un doc. pisano da SLI XVII 1991,1621 Fronzale è la variante del ms. dell’Arukh che abbiamo sopra citato.

3.2. 446. morena [mwrjn ]’collana’

lxk 378Nel cap. “con che cosa la donna”. “Non con qatela’ [‘il collier’] e noncon gli orecchini”[Sab 6.1] […]. Nel cap. 5 in Me‘ilah: “Si è messa uncollier”. Interpreta: un gioiello che si fa per il collo della donna, ed èlargo, e se lo preme e stringe nella carne, e non le reca dolore e sembraben in carne. E nella lingua aramaica palestinese c’è chi lo chiama pe-tikta’, e in volgare morena.22

3.2.1. Qatela’: dal gr. katûlla< lat. catella, dim. di catena, piú o menocon lo stesso significato: ‘catenella da portare al collo, per lo piú di me-tallo prezioso e ben lavorata’. Quanto a petikta’, f., ‘small necklace’, è ter-mine dell’aramaico babilonese, erroneamente definito come palestineseda r. Hay ha-Gaon in relazione a Qiddusim 204:18, da cui il compilatoredell’Arukh ha tratto tutta la sua definizione (SOKOLOFF 2002).

3.2.2. La glossa morena costituisce uno dei termini piú tipici del giudeo-italiano. Esso compare anche nelle glosse salentine della Misnah per qa-tela’ in Sab. 6, 1. La traduzione giudeo-cristiana del Cantico dei Cantici,eseguita da Giannozzo Manetti (1396-1459), traduce ba-h.aruzim di 1:10co˙lle morene: ‘con le collane’; e ‘anaq s.awarek di 4:9 con morena del collo tuo:Il termine <murena> ‘monile che si avvolge in forma tubolare o a scaglieintorno al collo’, non solo è tradizionale in questo senso nei testi giudeo-italiani ma è comune anche a molti testi giudeo-romanzi.23 “Murene” èanche la prima glossa alla radice H.RZ di MD, in concorrenza con “cannali”e “collari” [Cantico].24

3.2.3. Gerolamo, ep. XXIV, 3 (Corp.scrip. eccls. lat. LIV, p. 215, 1, 17 esgg:) spiega: “aurum colli sui, quam murenula vulgus vocat, quod, me-tallo in virgulas lentescente, quaedam ordinis flexuosi catena contexitur”.Probabilmenta dalla Vulgata, il termine è entrato nel latino del Vaticano:SELLA 1944, s.v. morena: Lib. Pont. II p. 78, Roma sec. IX: “imaginem ha-bentem morenas prasinales pretiosissimas, […] morenam trifilem auream

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Dalle glosse giudeo-italiane dell’Arukh: accessori 449

22 KOHUT, VI, p. 33? monile?23 CUOMO 1977, pp. 247-48; BLONDHEIM 1925, n. 98, p. 82.24 Si veda FERRETTI CUOMO 2000, pp. 103-104, e nel commento ai versetti.

habentem gemmas diversas albas […] morenam in quo pendent gemmasiachinctas […] omnes morenas cum petinantes eorum”.

In volgare troviamo solo:”meraviglyavasse de lo cuollo blanchissimo,amassato de carne delicatamente con alteze de iusta mesura, e de la cannaamorenata per ordene una lignola de blancore e l’altra depenta a morene”(Destr. de Troya, XIV sec. (nap.) OVI). Non sarà allora superfluo osservareche canna, ‘parte esterna della gola’, è documentato nei testi antichi me-diani (Roma, Abruzzo, Campania), ma cannale ‘collare’, come nel MD,non vi è documentato affatto.

3.3. 206. tasca [tsq ] ‘sacchetto, cestello’

akux186Nel cap. 1 di Megillah, nella gm “hanno letto la megillah [7b]”. Una ta-sqa’ piena di datteri, una tasqa’ piena di zenzero. All’inizio della gm. nelcap. “chi getta un documento di divorzio”. “Ogni cosa che è come il suoqelet. Cosa include? Include la tasqa’ in cui ha mangiato dei datteri” [Gi-tin 78a]. Interpreta: un recipiente come una specie del suo qelet e in vol-gare tasca.

3.3.1. Nel primo contesto si parla dei doni in cibo da portare ai poverinella festa di Purim, e nel secondo, delle norme con cui il marito deve con-segnare alla moglie il libello di ripudio perché il divorzio sia valido. Inambedue i casi il termine tasqa’ significa ‘cestello’, che serviva evidente-mente per portarsi dietro del cibo, come datteri od altri vegetali. Il no-stro compilatore, per spiegare il termine, si serve del nome di un altro re-cipiente simile, il qelet, dove la donna poteva riporre le cose che volevaportare con sé. Mentre qelet è una voce ebraica dal gr. kßlaqoj ‘canestro,paniere’, per tasqa’ l’etimologia è incerta (SOKOLOFF 2002).

3.3.2. La cosa è interessante, perché vediamo che nell’Arukh il termine èidentificato con il volgare tasca.

Il significato della glossa, e delle forme parallele nelle lingue ro-manze,25 è quello antico di ‘borsa, sacchetto’, ben documentato tanto nei

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Luisa Ferretti Cuomo450

25 Rashi si serve ripetutamente di tasche per glossare lemmi dal senso analogo al no-stro qui. D.B. n. 985, registra però la grafia uguale alla nostra, t.sq”, e mi chiedo se nonsi tratti lí della forma tedesca o di quella provenzale.

testi pratici che in quelli letterari a partire dal XIII secolo (OVI). Ma perl’etimologia si continua a discutere: i piú ritengono che derivi dal fran-cone taska. DEVOTO 1966, lo definisce paleoeuropeo alpino, diffuso in ita-liano dal francone nel IX secolo, o dall’a.a.tedesco. Pisani, citato dal DE-LIe, ritiene probabile una derivazione dalla radice germanica *tas- ‘co-gliere’, che trova il suo continuatore nell’a.a.tedesco tasca.26

Visto che non ho trovato alcun tramite greco, lascio ai semitisti deci-dere se un contatto antico fra tribú germaniche stanziate nel territorio bi-zantino possa esser preso in considerazione anche per il termine talmu-dico, o se si tratta di una casuale omonimia, sfruttata dal nostro rabbino.

3.4. 405. fonda [pwnd- ]

hdnp 339Alla fine della gm. del cap. “chi vede”, “E nella sua punda’ [‘borsello’]appesa dietro di lui”. […] Nel cap. “chi mette da parte”. “nel suo orec-chio, nei suoi capelli, nel suo borsello e la sua apertura è rivolta verso ilbasso, fra il suo borsello e la sua sopravveste” [Sab 10. 3], gm. “chi portafuori delle monete nel suo borsello e l’apertura è rivolta verso l’alto, com-mette un’infrazione”. Interpreta: fonda è proprio in volgare.27 E si trattadi una pesiqyia’ [‘fascia di pelle’] che è la traduzione aramaica di cin-tura.

3.4.1. Il passo mishnico riguarda quello che si può o non si può portarfuori di casa il Sabato. Il termine ebraico è un latinismo evidente da FUNDA,‘fionda’. Le documentazioni come ‘borsello a rete’ sono secondarie e tarde(Dracontius e Macrobius, V sec. d.C.). Esso può esser entrato nel lin-guaggio mishnico attraverso il tardo gr. fo„nda.

3.4.2. In volgare fonda ‘fionda’ è documentato a partire dal XIII secolo,in S. Brendano veneto, p. 218, nei Fatti di Cesare senese (Luc. L.3, cap. 16),ecc. Nel signifcato di ‘borsa per il denaro’, lo troviamo per la prima voltanel Quaresimale fiorentino, 1306, di Giordano da Pisa, poi nella Cronica di

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26 STARCK-WELLS 1990, p. 623, registra il germanico tasca per i latini medievali:pera, mantice, cassidile, e taskile per pera, spiegando ‘Quersack, Reisetäschchen’;

27 KOHUT, VI, p. 366b, Fonda.

Matteo Villani, L. 10, cap. 28, nel commento del Buti a Dante, If 29 121-132, nei Contrasti Laur., pugliese, XLII.38, XIV, p. 11, e, come funda,nei Quatro Evangelii del Grandenigo, toscano-veneto del 1399 (OVI).

SELLA 1944, p. 255, documenta funda ‘borsa’ a Venezia nel 1318. InUGUCCIONE 2004 [F 64], troviamo solo il significato di ‘fionda’ e di ‘reteda pesca’.

Le pochissime documentazioni volgari con il significato di ‘borsello’rispetto a quelle molto piú numerose del termine con il significato di‘fionda’, accanto alla descrizione precisa dell’Arukh, fa pensare che il ter-mine si sia sviluppato per la forma analoga a quella della fionda antica,una specie di lunga cintura intrecciata di forti fibre vegetali non elasti-che, con un allargamento al centro – spesso in pelle – per introdurvi etrattenere la pietra. Dobbiamo quindi immaginarlo tipo un moderno mar-supio.

3.5. Per 21. pragella [prgl ] ‘lembo cucito della veste, saccoccia, per lemonete’, e 22. map(p)olu [mpwlw] ‘saccoccia per le monete’, rimandiamoall’analisi particolareggiata in FERRETTI CUOMO 1998b.

4. Si sarà osservato che la maggior parte dei termini e delle glosse sonogrecismi o latinismi medievali: cosí è per orale, scarpette, escarpette, patiti,cingolo, morena, tasca, fonda, e mappulu. Non rivelano un rapporto simile:coppola e cajjula, cortbes e planule, frontale, pragella.

Per i primi, si tratta evidentemente di termini di un patrimonio co-mune nelle lingue adiacenti nell’area geografica del bacino del Mediter-raneo, un misto di latino e greco, le lingue delle due culture dominanti,con un tocco di germanismi. Resta però sempre vivo il sospetto che sitratti di forme ancorate nei glossari di cui tutti i dotti dell’area facevanoampio uso.

Coppola e frontale, invece, sembrano rientrare nella serie di glosse chesi adeguano consapevolmente all’originale per la forma e il significato, oper uno dei due.

cajjula e pragella, ambedue di area meridionale, sono una chiara do-cumentazione della lingua parlata e degli oggetti che i termini indicano.

Cortves è con tutta probabilità una glossa ereditata dai commenti oc-citanici, mentre per planole (-ò-?) bisognerà forse approfondire l’indagine.

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Luisa Ferretti Cuomo456