da regensburg ad orsenigo: peripezie di un tantum ergo

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Foglio 63

DA REGENSBURG AD ORSENIGO: peripezie di unTantum ergo.

Riflessi ceciliani in terra di Brianza

Enrico Meroni

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RIASSUNTO: Un anonimo Tantum ergo, da lungotempo cantato nella parrocchia di Orsenigo e rite-nuto appartenente al repertorio “popolare”, allaprova dei fatti si è rivelato inequivocabilmente operadel compositore ratisbonense Michael Haller, fra imaggiori esponenti del “cecilianesimo” tedesco.Come esso sia approdato ad una parrocchia così pe-riferica è argomento di ipotesi qui suggerite. L’autorenon trascura di informare essenzialmente sull’originedi tale inno eucaristico, nonché di divagare fra talunitesti letterari alla ricerca di testimonianze al ri-guardo.

SUMMARY: Sung for long time in the Orsenigoparish, an anonymous Tantum ergo was believed tobelong to the folk repertoire, as matter of fact it hasbeen proved that this Eucharistic chant was com-posed by a major member of the German Cecilian-ism, Michael Haller from Regensburg. How it mayhave landed in such a peripheral parish is the subjectof speculations here suggested. Along with informa-tion about its origin, the author also provides refer-ences from literary texts offering further insights intothe practice or rituals of this liturgical hymn.(Traduzione di Marita Giglio)

Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le suesperanze. Mentre oggi il passato continua come distruzione del passato.Se la cultura rispettabile è stata, fino al secolo scorso, un pri-vilegio pagato con maggiori sofferenze di chi era escluso dallacultura, la fabbrica igienica, nel nostro, è stata pagata con lafusione di ogni elemento culturale nell’immane crogiuolo.

(Max Horkheimer Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno) 1

(1) HORKHEIMER, ADORNO, 1971: p. 7,Dalla premessa alla prima edizione (LosAngeles, California, maggio 1944).

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1.Subito all’indomani della seconda guerra mondiale, in un articolo pubblicato su«Nuova Europa» del 10 giugno 1945 2, Paolo Toschi, perorando la ricomposizione“del nostro immenso patrimonio monumentale ed artistico scampato alla distru-zione e alla dispersione” (TOSCHI, 1946: p. 238), invitava a buon diritto a tenere in de-bita considerazione quello ch’egli chiamava il «tesoro degli umili» (TOSCHI, 1946: p.238), ovvero quelle forme ambientali per così dire non illustri (TOSCHI, 1946: p. 239)eppure necessarie, imprescindibili per dar luogo ad un contesto vitale, ivi compreso,oltre alla casa con le proprie semplici suppellettili, “il paese, dove nelle sagre nellefiere nelle feste del santo patrono, nelle solenni ricorrenze religiose la classe degliumili lavoratori della terra trovava motivi di conforto di passatempo di riposo disemplice gioia e insomma, le ragioni sufficienti per amare la propria vita pur nonagevole e il proprio lavoro talvolta durissimo” (TOSCHI, 1946: p. 240). Più che talvolta,sempre, almeno per chi l’ha provato!Non è qui luogo atto alla riconsiderazione dello svolgimento storico delle problema-tiche suscitate dall’etnologo; è ad ogni buon conto sufficiente ricordare che, a far lespese del disinteresse generale, quando non di vera e propria censura, furono, fra l’al-tro, “le musiche liturgiche di tradizione orale”, ben individuate da due esperti musi-cologi contemporanei di vaglio quali Bonifacio Baroffio e Roberto Leydi (BAROFFIO,LEYDI, 1985: p. V). Tanto sul versante “laico” quanto sull’altro “religioso” (o forse, me-glio, “clericale”), tali canti si ritennero o subalterni ed inespressivi dal punto di vistadella supposta originalità “popolare”3, secondo il convenzionale cliché di matrice ro-mantica4, o troppo indipendenti e anche “degenerati” rispetto al rubricismo ecclesia-stico e clericale. Insomma, entartete Kunst?“Non è pretesa arbitraria…vedere nei repertori liturgici e paraliturgici di tradizionepopolare della Chiesa cattolica sia l’immagine più evidente dei modi nei quali vastefasce popolari hanno vissuto l’esperienza religiosa, sia il possibile segno, giunto vivofino a noi, di antiche memorie, tracce forse ancora leggibili di un patrimonio anticoin grado di aprirci qualche spiraglio su quel complesso processo di composizioneche ha portato alla formazione dei repertori liturgici, con le loro radici sia ellenistichee giudaiche, sia genericamente mediterranee”(TOSCHI, 1946: p. V) 5.Ancora più esplicito e radicale, già nel 1979 Giulio Cattin sosteneva che “seguire lagenesi e la formazione dei riti liturgici significa scoprire la remota radice, i punti diaggancio e il contesto nel quale presero vita le primordiali forme del canto cristiano

2 Preghiera per l’Italia paesana, poi riedito in TOSCHI, 1946. Nell’Italia della coazione a distruggere col pretesto della rico-struzione, Paolo Toschi inaugurava la tensione alla custodia della memoria, che nel tempo del dominio dei Proci sarà con-tinuata da sentinelle avvertite quali Antonio Cederna e Salvatore Settis. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e qualisarebbero stati senza nemmeno un avvertimento è piuttosto facile immaginare.

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in Occidente. E ciò equivale a scoprire la sorgente stessa della musica dell’Occidentenel Medioevo e nelle ere successive” (CATTIN, 1979: p. XV).La “genesi” della cosiddetta musica “popolare” legata sia all’espressione liturgica insenso proprio, sia alla devozione è un tormento storiografico, specialmente nella de-clinazione devozionale, ovvero quella eseguita nei contesti paraliturgici, come delresto è altrettanto complicato l’effetto della prassi musicale in ambito strettamenteliturgico, quando in ore christifidelium il cantus firmus, trascorrendo dalle severeugole filologiche (o parafilologiche) alle sboccate emissioni terragne, si coloriva diflatus per così dire più dionisiaci che apollinei. Senza per ciò indulgere a semplifica-zioni catalogatorie rafferme e per inerzia di mente ricorrenti ancor oggi, sì come de-nuncia avvedutamente Alberto Melloni quando individua la pervasività di topoi quali“la carnalità delle devozioni popolari e la sua variante intellettualistica di tipo este-

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3 C’è, evidentemente, la consapevolezza di quanto scriveva nel 1979 Carlo Ginzburg a proposito di ‘religione popolare’:“L’espressione ‘religione popolare’ è diventata, soprattutto in questi ultimi anni, una delle più ambigue e oscure del lessicostoriografico internazionale. Accettarla voleva anche dire, necessariamente, ridefinirla nel tentativo di farne uno strumentoanalitico accettabile. Non era facile: e in fondo era una perdita di tempo. Anziché contribuire a nostra volta alla diffusionedi un termine ricco di equivoci abbiamo preferito lasciarlo cadere fin dal titolo del fascicolo. All’interno dei singoli con-tributi, come si vedrà, si parla (raramente) di «religione popolare» soltanto per rifiutarne le connotazioni astoriche e in-determinate”. Nella Premessa giustificativa (p. 393) di Quaderni storici, 41 (maggio-agosto 1979), dal titolo, appunto,“Religioni delle classi popolari”. Così vale anche per la musica, il canto, il rito, per quanto governati gerarchicamente eper quanto ancora consapevoli che occorre “scartare le due immagini, ugualmente mitologiche anche se di segno contrario,di una religione popolare sempre contrapposta a quella della gerarchia, o, viceversa, sempre all’unisono con quest’ultima”(Ivi, p. 394). Per quanto (e le concessive continuano…) “gli studi di Le Goff ci hanno insegnato, d’altra parte, che nessunafonte proveniente dalle società cristianizzate dell’Europa preindustriale può trasmetterci direttamente un prelievo fol-klorico allo stato puro” (Ivi, p. 395). Se ci si fosse chinati anche sull’analisi del canto popolare, sarebbe stato facile rinvenireun’ulteriore, e fors’anche decisiva prova dell’assunto ermeneutico. Ma vale quanto supra, anche in questo caso.

4 Intenti, i romantici, “a preservare dal decadimento, dalla trasformazione e dall’oblio il patrimonio folklorico giudicatoin crisi, ma anche (soprattutto?) a ricomporre l’unità presunta dei patrimoni culturali “nazionali”, come scrive LEYDI,2008: p. 193. Afflitti, i romantici, da una sorta di persistente “arcadicomania”, come quando al peraltro valoroso senatoredel Regno d’Italia - ci mancherebbe! - Costantino Nigra, peregrinante, qual tardivo Wanderer, per gli “alpestri gioghi delCanavese”, si parò davanti “una svelta e graziosa ragazza che stava anch’essa filando e cantando” (passi citati in CIRESE,2009: pp. XXXII-XXXIII). Fra canzoni, cantilene, strambotti e stornelli, Nigra inserisce nella sua possente raccolta soltantotalune sporadiche orazioni e giaculatorie religiose (Ivi, pp. 663-672), ignorando affatto quella prassi religiosa che, sola,avrebbe potuto consentire al ricoglitore piemontese una raccolta musicale assai più ampia di quella poi ammannata!

5 TOSCHI, 1946: p. V. Ne La poesia religiosa del popolo italiano, Paolo Toschi aveva già individuato la negligenza, pur rife-rendosi alla “poesia popolare religiosa” e non già alla vera e propria musica liturgica che potremmo definire di esecuzionepopolare, per quanto non di “creazione” popolare, soprattutto quand’essa è in lingua latina (TOSCHI, 1921). Se ne lagna, in-fatti, Macchiarella, 2003: p. 348: “Neanche gli etnografi e gli storici delle tradizioni popolari e quelli del teatro, che puresi erano occupati delle forme rituali tradizionali (“passioni viventi”, sacre rappresentazioni) sembravano riscontraremotivi di interesse nella componente musicale delle manifestazioni studiate. Una minima attenzione costoro dedicavanotutt’al più a certi testi verbali che ritenevano sopravvivenze folkloriche del Medioevo, e che consideravano solo per laforma e il contenuto poetico: nel contributo più elaborato prodotto da questo indirizzo di studio (P. TOSCHI), praticamentenon c’è alcun riferimento al fatto che i testi in discussione venissero cantati! Anche gli storici sociali, in particolare quelliinteressati alla cosiddetta “religione popolare”… non trovano ragioni per soffermarsi sull’aspetto musicale delle pratichedi devozione”. Epigonismo romantico e/o idealistico, per cui “il canto liturgico popolare” è inessenziale rispetto alla parolapoetica o ai conflitti di classe?

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tico” (MELLONI, 2011); questione presente da tempo financo all’episcopato italiano chea fatica riuscì infine ad approvare nel 1971 il documento pastorale Vivere la fede oggi,la cui stesura si deve ad Enrico Bartoletti (FAGGIOLI, 2011: pp. 317-330), non ancorasegretario della Cei: l’affermata struttura pasquale della fede poneva in nuova luce letradizioni della cosiddetta religiosità popolare, di fronte alla quale Michele Pellegrino,allora arcivescovo di Torino, facendosi interprete di una posizione mediatrice, avver-tiva i rischi contrastanti di una opposizione radicale, alla maniera dei santi vescoviMartino di Tours e Ambrogio di Milano, che spesso indulgevano ad abbattimenti e aincendi di luoghi ritenuti “pagani”6, e di una tolleranza tanto ampia da scomparirenell’accettazione acritica (PELLEGRINO, 2014).

2.Non manca, o mancava, nella pratica religiosa o rituale paesana, il canto del Tantumergo, non solo in occasione della solennità del Corpus Domini o durante le Quaran-tore, ma anche nella devozione quotidiana che contemplava ordinariamente la cosid-detta “benedizione eucaristica”, come ben ricorda chi è ormai sufficientemente âgé,come scriveva Rino Perego nel terzo capitolo dedicato al culto eucaristico nella sua“storia della pietà” in Brianza nei primi decenni del Novecento (PEREGO, 1979), comeciascuno può controllare negli archivi parrocchiali di propria competenza.Fino alla riforma liturgica avviata dal Concilio Ecumenico Vaticano II, che, in certosenso, declassò tali pratiche a pia exercitia 7, alla quasi totalità dei fedeli, cioè dei con-tadini e soprattutto delle contadine, erano ben note le due strofe che concludonol’inno Pange lingua, appartenente all’Officium de festo Corporis Christi ad mandatumUrbani Papae IV dictum festum instituentis di Tommaso d’Aquino 8.Nel ricordo dei sopravvissuti alla riforma liturgica 9 è tuttora precisamente vivo unTantum ergo che si cantava nella chiesa parrocchiale di Orsenigo nelle occasioni piùsolenni: Corpus Domini e “festa del paese”, la nosta festa della terza domenica di set-tembre, supponendo che si trattasse di un canto popolare 10. Avvenne poi del tutto ca-

6 Con puntuali riferimenti ad fontes, data la competenza in materia, avendo egli insegnato per decenni Letteratura cristianaantica a Torino.

7 Pia populi christiani exercitia, dummodo legibus et normis ecclesiae conformia sint, valde commendantur praesertim cumde mandato apostolicae sedis fiunt: Sacrosanctum concilium 13 (4 dicembre 1963), in ALBERIGO et alii, 20022, pp. 5-7.

8 Vedi al punto 4.

9 Anch’io mi annovero tra loro.

10 L’interesse nei riguardi dell’antico canto liturgico prese ad essere suscitato dalla ricerca da qualche anno in atto nell’areadell’antica Pieve di Incino per iniziativa di Francesco Andreoni, direttore del coro della chiesa prepositurale di Erba. Nel-l’ambito di questa ricerca il Tantum ergo è stato eseguito nella chiesa parrocchiale di Orsenigo nel corso della Benedizioneeucaristica seguita al vespro more antiquiore celebrato la Dominica in capite Quadragesimae, 4 marzo 2012. Ne esiste laregistrazione su dvd a cura di Luca Mancardi.

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sualmente che, nel corso di una perlustrazione nelle carte dell’archivio musicale diOrsenigo, la gran parte raccolte dallo zelo del parroco don Tito Brambilla (1946-1964),sortì alla luce un foglio manoscritto, nella bella grafia del predetto, recante la melodiadel nostro Tantum ergo. A questa “scoperta” fece seguito di lì a poco il rinvenimentonello stesso archivio di un fascicolo dal titolo Cantiones variae de SS. Sacramento adII voces aequales – Michaeli Haller, senza indicazione della data11. La sorpresa fugrande, allorché all’ultima pagina apparve il Tantum ergo in questione, con l’indica-zione a matita: “È questo quello che cantano le ragazze”.Dal “popolare” al “culto” il passo fu breve o, meglio, il “culto” brano del compositoretedesco ebbe l’onore di essere eseguito secundum populum addirittura in una par-rocchia dell’alta Brianza 12, balzando d’un tratto l’ispirazione musicale dalle rive rati-sbonensi del Donau alle colline moreniche orsenighesi, liberamente adattandosi lamelodia alla vocalità dei fedeli briantini.A Ratisbona/Regensburg, infatti, Michael Haller è Domkapellmeister dal 1867, suc-cedendo in tale notevolissimo ruolo ad un altro maestro di prim’ordine, Franz XaverHaberl, che nello stesso anno diede vita, nel corso del congresso di Bamberg, all’Al-lgemeine Deutsche Cäcilien Verein, istituzione che avrà poi sede a Ratisbona e che il16 dicembre 1870 Pio IX approverà con la costituzione apostolica Multum ad moven-dos animos (GARRATT, 2002: pp. 144 sgg.; EMMERING, 2006: p. 287; GAIATTO, 2008: p. 5,n. 17, consultabile al link www.paduaresearch.cab.unipd.it). Anche Haller appartieneall’area del “cecilianesimo” tedesco, in posizione di primo piano, considerando la suapluriforme attività nel campo della composizione di musica sacra, della cura editorialedi autori “classici” (quali Marenzio e Palestrina)13, nonché della riflessione teorica.L’eco del movimento tedesco raggiunge l’Italia, dove pure era in corso la discussione,a tratti assai stizzosa, riguardante la necessità di una riforma della musica sacra (MO-NETA CAGLIO, 1984: pp. 259 sgg. Nel numero doppio sono pubblicati gli atti del conve-gno "Marco Enrico Bossi e il movimento ceciliano", tenutosi a Como il 29 e 30 ottobre1983). Anche talune opere di Haller si diffondono da noi: la Kompositionslehre fürden polyphonen Kirchengesang mit besonderer Rücksicht auf die Meisterwerke des16. Jahrhunderts, pubblicata a Regensburg nel 1891 e tradotta in italiano (presso l’edi-tore Marcello Capra: HALLER, 1908), sulla base della seconda edizione, da don Giovanni

11 Potrebbe trattarsi di una copia trascritta ad uso dei seminari.

12 Testimonianze orali ne garantiscono l’esecuzione anche nelle parrocchie di Cremnago, Ceriano Laghetto, S. Maurizio diErba.

13 Sulla restaurazione dello “stile palestriniano” nel corso dell’Ottocento cfr. AZZARONI, 2004: p. 474. A sua volta GAIATTO,2008: pp. 11-12, discute il mito di Palestrina quale “nuovo Gregorio” nella pubblicistica italiana di tardo Ottocento nel-l’ambito del cattolicesimo intransigente (Opera dei Congressi e Comitati cattolici) senza il quale non si comprenderebbeappieno l’affermazione del cecilianesimo in Italia.

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Pagella (AZZARONI, 2004: p. 476; DONELLA, 1999: p. 305;GARRATT, 2002: pp. 162 sgg.) (nel 1900 presso la Kirchen-musikschule di Regensburg egli era stato allievo di Hallerche vi insegnava Composizione e Contrappunto) e opereliturgiche edite dall’editore Marcello Capra, anch’egli al-lievo del maestro bavarese (DONELLA, 1999: p. 350).È notevole, e tuttavia non miracoloso, che in una par-rocchia del contado alla periferia della vasta diocesi mi-lanese possa essere giunto qualcosa della prolifica attivitàcompositiva del bavarese. Non sarà erroneo supporrel’influsso dell’educazione musicale nei seminari mila-nesi14, nonché, ancor più da presso, della documentataesecuzione di opere halleriane nella diocesi di Como,come si apprende dalle cronache locali del quotidianoL’Ordine (PADOAN, 1984: p. 379). Il 29 agosto del 1892,infatti, “alcuni chierici” cantarono nel santuario di Gal-livaggio la Missa quarta, nonché, la sera, un Sub tuumpraesidium e un Tantum ergo, accompagnati dall’orga-nista di S. Fedele, “l’egregio sig. Riva” (L’Ordine, Giovedì1 settembre 1892, a. XIV, n. 198, p. 2)15.

3.Nelle Cantiones variae de SS. Sacramento ad II vocesaequales organo vel harmonio comitante, di cui è copianell’archivio di Orsenigo, il Tantum ergo in questione fi-gura all’ultimo posto, decimo fra i componimenti che co-stituiscono il fascicolo16. La raccolta, pubblicata pressoPustet17 nel 1897, n. 50 del catalogo di Haller, è dunquepreceduta dall’altra Laudes eucharisticae seu Cantussacri cultui Ss. Sacramenti tam in expositionibus quamin processionibus servientes quos ad IV, V et VI vocescomposuit Michael Haller, Opus 16, edite a Regensburg,Sumptibus Friderici Pustet S. Sedis Apostolicæ Typogra-phi nel giugno 1878.Quivi, al n. 4, si trova l’Hymnus “Pange lingua” in Mibemolle maggiore a quattro voci (cantus, altus, tenor,bassus, con l’accompagnamento di tromboni ad libitum)in 3/2, la cui linea melodica anticipa esattamente quelladelle Cantiones nella medesima tonalità e nel medesimo

14 Non parrà infondato richiamarsianche alla diffusione delle composi-zioni di Lorenzo Perosi, già allievo diHaberl e di Haller a Ratisbona nel1893. Nel 1897 egli è a Milano per laPassione secondo San Marco, nel 1899nella cattedrale di Como per la primaesecuzione del Natale del Redentore(PAGLIALUNGA, 1991). Senza tralasciarel’opera di grandi personalità qualiGuerrino Amelli (DONELLA, 1999: p.227; MONETEA CAGLIO, 1987), AscanioAndreoni (PETAZZI, 2012: p. 76; VESSIA,1987) ed altri, che contribuirono a dif-fondere in vario modo il nuovo gustomusicale nella diocesi milanese, a taleopera preparando sacerdoti e semina-risti, che a loro volta l’avrebbero disse-minato nelle parrocchie.

15 La notizia è ripresa il giorno succes-sivo, in prima pagina. Lo stesso reper-torio è presente in esecuzioni dellostesso anno, ad es. il 18 luglio, il 25 lu-glio, il 12 settembre, il 14 settembre.

16 Il repertorio completo del fascicolocomprende: Adoremus in aeternum,Laudate Dominum, Panis angelicus,Salutaris hostia, O sacrum convivium,Ave verum, Adoro te devote, O escaviatorum, Tantum ergo, Tantum ergo.

17 Sulla casa editrice, DONELLA, 1999: p.346.

Orsenigo, anni '40 del secolo scorso:bendizione eucaristica sul sagratodella parrocchiale.

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tempo ma, appunto, a due voci.Nel Vorwort zur 1. Auflage (“Regensburg, im Juni1878”) l’autore si sofferma sull’uso conveniente delcanto del Pange lingua (“Jede feierliche Prozession be-ginnt mit dem Hymnus Pange lingua”), del Tantumergo e del Genitori “zur Reposition” e degli altri che co-stituiscono la raccolta. Alla fine della premessa egli ag-giunge poi una interessante nota musicologica, laddovegiustifica i propri orientamenti stilistici “nach denGrundsätzen des Kontrapunktes der alten Schule”,quella “vecchia scuola” di contrappunto, che era la crocee la delizia dei dibattiti poi fioriti anche in Italia18.

Nella versione orsenighese il Tantum ergo subisce talunitrattamenti di natura ritmica e melodica allo scopo direndere più facilmente eseguibile il canto da parte delpopolo, così come annota sulla propria trascrizione ilparroco don Tito Brambilla: “a voce di popolo. Si cantanelle Solennità”, non più, dunque, ad duas voces 19. Egliinterviene dapprima abbassando la linea melodica d’unmezzo tono (Re maggiore) ed eliminando poi la secondafrase che è equiparata alla linea della prima. Sul pianostrutturale a battuta 5 si normalizza la voce tramite l’al-lineamento al tempo di ¾ che esclude la partenza in le-vare (peraltro richiesta dalla presenza della secondavoce), mentre a battuta sesta viene uniformato il ritmotogliendo il punto alla prima nota. Da ultimo l’Amen èeseguito sulla seconda voce originale. Ne risulta conse-guentemente un testo uniformemente omofonico e so-lennemente ritmico. È curioso infine osservare che trabattuta 21 e battuta 22 interviene la legatura dei due La,che dà luogo al tipico ‘respiro/pausa’ con l’esito dell’ac-costamento dell’ultima sillaba -um alla prima della pa-rola seguente de-, che, per così dire, fa tanto popolare20.

4. L’Officium de festo Corporis Christi ad mandatumUrbani Papae IV dictum festum instituentis. Noterelle introduttive

Divinae Eucharistiae vates et praeco maximus: è il ti-

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18 Gentilmente la sig.a Nevina Gaisserha tradotto dall’aulico tedesco ottocen-tesco il testo di Haller: La ringrazio vi-vamente.

19 Sulla copertina del fascicolo sta, inalto a destra, la firma del parroco donGiuseppe Monti (1933-1942). Non è daescludere che il canto sia stato da luiintrodotto e che don Tito Brambilla neabbia in un certo senso regolarizzatol’esecuzione grazie alla sua trascri-zione “definitiva”. L’ipotesi è suggeritaanche dal fatto che alcuni informatoriancora viventi conoscono il Tantumergo pur essendosi allontanati da Or-senigo durante il periodo di don Tito.

20 In tale veste il brano era anche ese-guito dalla banda locale, ancora neglianni ’50-’60, durante la benedizioneeucaristica sul sagrato, secondo infor-matori viventi. In via puramente ipo-tetica la concertazione del pezzopotrebbe assegnarsi al maestro Anto-nio Balestrini di Seveso. L’archiviodella banda non conserva attualmentei manoscritti: vari traslochi da unasede all’altra, nonché un certo filonei-smo che rasenta il dileggio, ne hannocausato la “scomparsa” e l’incredibileinutilità della loro conservazione.

Orsenigo, anni '40 del secolo scorso: laprocessine eucaristica al Curnàa.

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tolo elogiativo che a Tommaso d’Aquino è dato da Pio XI nell’enciclica StudiorumDucem del 29 giugno 1923, saeculo sexto exeunte a sanctorum caelitum honoribusThomae Aquinati decretis. Più recentemente, nell’udienza generale del 17 novembre2010, fu Benedetto XVI, da esperto liturgista, a definire i testi liturgici dell’Aquinate“capolavori, in cui si fondono teologia e poesia”21.È oggi generalmente accolta con alto grado di probabilità l’attribuzione al DoctorAngelicus dei testi dell’ufficio e della messa del Corpus Domini, cui egli attese nelcorso del soggiorno ad Orvieto (WALZ, 1966: pp. 321-355) tra il 1261 e il 1263 al se-guito di Urbano IV, che con la bolla Transiturus, dell’11 agosto 1264, estese la cele-brazione del Corpus Domini all’orbe cattolico, ad essa allegando i testi ad hoc(KUNZLER, 2003: p. 572).In merito alla paternità, nonché alle circostanze della composizione, sono ritornatirecentemente alcuni studiosi, fra i quali meritano d’essere citati, per l’aggiornata edocumentata ricapitolazione, Jean-Pierre Torrell, nella sua biografia di Tommaso(TORRELL, 2006), e Barbara R. Walters, nello studio sulla festa del Corpus Christi (WAL-TERS, 2006). Per entrambi, oltrepassate la contestazione dei bollandisti, per l’attesta-zione tardiva, e la circospezione di Lambot (LAMBOT, 1969: pp. 261-270), “dopo glistudi di padre Gy (GY, 1980: pp. 491-507; 1982: pp. 81-86; 1996: pp. 425-431) l’attri-buzione a Tommaso non può più essere messa ragionevolmente in dubbio” (TORRELL,2006: p. 183)22.Spettò dunque ad un filosofo e teologo di tale acume ed autorevolezza inventare ilcorredo eucologico della festa23 istituita sulla scia di apparizioni e di miracoli: in spe-cial modo le “visioni” della santa monaca agostiniana Julienne de Cornillon e il mi-racolo di Bolsena. Già dal 1208 la beghina fruiva di epifanie lunari maculate,accreditate dal vescovo di Liegi, Robert de Thourotte, e dall’arcidiacono Jacques deTroyes, che sarà poi Urbano IV. Ne conseguì la prima celebrazione della Fête-Dieu aLiegi nel 1246 o 1247 (JOUNEL, 2010: p. 128). Il miracolo di Bolsena nel 1264 (LAZZA-

21 I documenti si leggono sul sito www.vatican.va.

22 In TORRELL, 2006: p. 183, nelle pagine successive sono discusse le fonti manoscritte che sono alla base dell’edizionecritica approntata dallo stesso Gy e si sottolinea la divergenza teologica, di non poco conto, tra il primo ufficio tommasianoe il testo poi recepito nel breviario e nel messale: inizialmente evitando il teologo la nozione di praesentia corporalis,giungendo nella lectio V ad Matutinum alla celebre proposizione “accidentia autem sine subjecto in eodem subsistunt,ut fides locum habeat dum visibile invisibiliter sumitur aliena specie occultatum, et sensus a deceptione immunes red-dantur, qui de accidentibus iudicant sibi notis”, che è passaggio affatto incongruo in un testo liturgico, essendo di naturapiuttosto filosofica che teologica, in chiara prospettiva aristotelica. Si avvicina la formulazione sancita infine nella SummaTheologiae, III, q. 75, a.1. Non pochi commentatori sottolineano in Tommaso l’assunzione della cristologia nella teologiatout court: ad es. LEONARDI, 1992, pp. 162-163 e BIFFI, 2005: pp. 111-146.

23 Propriamente la messa Cibavit (dall’incipit dell’introitus ad Missam: Cibavit eos ex adipe frumenti) e l’Ufficio Sacerdos(dall’ incipit dell’antiphona in II. Vesperis: Sacerdos in aeternum Christus Dominus).

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RINI, 1952; FREEMAN, 2012: p. 218) impressionò poi a tal punto il papa, ch’egli imposed’imperio – né mai era precedentemente successo – la festa a tutto l’universo cattolico(ADAM, HAUNERLAND, 2013: pp. 368-69, mentre a p. 334 gli autori classificano il CorpusDomini tra le “feste di idea” o “di devozione” o “statiche”, di contro alle feste “dina-miche, celebrative delle azioni salvifiche di Cristo; JOUNEL, 2010: p. 129; KUNZLER,2003: pp. 571-73). Tale decisione pose fine alle discussioni circa la presenza di Cristo nell’Eucaristia.La fioritura, infatti, della devozione eucaristica nel XIII secolo traeva succhi vitalidalla disamina teologica intorno al significato della celebrazione eucaristica. A partiredal Liber de Corpore et Sanguine Domini, composto nell’831 dal monaco RadbertoPascasio, prolifera una trattatistica incentrata sulla distinzione fra realismo e spiri-tualismo eucaristico, cioè tra una concezione fisicista basata sull’interpretazione ma-teriale del corpo e del sangue e la valenza simbolica del linguaggio giovanneo; giudiziassai pungenti sono pronunciati su Pascasio, ad es. da Berengario di Tours che ne ri-teneva delirante la teoria24, la cui diffusione fu comunque inarrestabile, convergendocon le attese miracolistiche del popolo, presso il quale la pietà eucaristica si estese inmodo paradossale, se si pensa che da un lato si frenò e quasi si vietò, per eccesso discrupolo, la comunione quotidiana, relegandola invece nelle classiche “feste coman-date”25, dall’altro si pervenne alla spettacolarizzazione dell’elevazione dell’ostia (FREE-MAN, 2012: p. 227): verso il XIII secolo si incominciò a suonare il campanello primadella consacrazione, sì da attirare l’attenzione dei fedeli, o immersi nelle devozionipersonali o distratti, che a quel punto si concentravano tanto intensamente sulla con-templazione dell’ostia e del calice da esprimere a braccia aperte il proprio stuporesussurrando: “Oh! Qual maraviglia!”26. Del resto ogni buon manuale di pietà in usopresso le pie fedeli (e raramente i pii fedeli) sino a non molti decenni fa, a partire dalceleberrimo Manuale di Filotea di Giuseppe Riva, che nel 1890 era alla trentunesimaedizione, dedicava alla messa qualche paginetta en passant, dovendo poi dilungarsinelle numerose divozioni per centinaia di pagine; fra l’altro intendendo la messa comepio esercizio anch’essa, che la fedele (e raramente il fedele) seguiva per conto proprio,o, meglio, ascoltava, donde il ”Modo pratico per ben ascoltarla” (RIVA, 1890: pp. 64

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24 Sulla vexata quaestio: PAIANO, 2006: pp. 738-773.

25 “Il Concilio Lateranense IV (1215) dovette insistere sulla comunione annuale almeno a Pasqua”: PECKLERS, 2012: p. 122.

26 La consuetudine è attestata dalla tradizione orale e ne resta qualche superstite reliquia nei comportamenti osservabiliancora oggi. Su queste usanze (la corsa da una chiesa all’altra, l’invito al celebrante a tenere il più in alto e il più a lungopossibile le specie eucaristiche): PECKLERS, 2012: p. 122.

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sgg.). E passando per altri manuali con diffusione più locale, come il Manuale di di-vozione per il popolo di campagna di rito ambrosiano, opera di Giacomo Villa, curatodi Orsenigo dal 1849 al 1899, e di Giuseppe Manzoni, curato di Cusago (VILLA, MAN-ZONI, s.d. )27. Opere, entrambe, che possono essere catalogate fra quello che Carlo Gin-zburg definiva “opuscolame devozionale” (GINZBURG, 1972: p. 652), sapientementepredisposto e diffuso di pari passo col “divieto di accesso alla Scrittura in volgare”,compensato tanto dall’indottrinamento catechistico quanto dalla pratica devozionale,sullo sfondo insistente della controversia antiprotestante (GINZBURG, 1972: p. 650sgg.). È tuttora dura a cedere ai nuovi passi liturgici la consuetudine linguistica diespressioni quali prender messa, sentir messa, ascoltar messa, che bene documen-tano tali distorsioni devozionalistiche cui non sfuggì il grande e peraltro inquietoManzoni, che, con audace ardimento mistico-teologico, cantò il superno amplessonelle sue strofette per la prima comunione28.È bene, peraltro, rammentare che, sebbene destinata a lunga fortuna nella prassi li-turgica e, soprattutto, paraliturgica nei secoli a venire, l’attuazione della bolla urba-niana dovette essere rinvigorita da Clemente V (1311-1312) e da Giovanni XXII (1317),perché la festa divenisse veramente universale29, tenuto conto delle comprensibili re-sistenze dovute al fondamento biblicamente incerto di essa. Cosicché la funzione to-pica della festa medesima, ovvero la processione eucaristica, si diffuse invero, pur conqualche sporadica apparizione sul finire del XIII secolo, assai tardi, grazie anche allacospicua dotazione di indulgenze da parte di Eugenio IV con la costituzione Excel-lentissimus (JOURNEL, 2010: p. 129). Certo si dette così inizio all’efflorescenza del cultoeucaristico, sanzionato più oltre dal concilio tridentino, che a sua volta escogitò eser-cizi devozionali di successo presso i fedeli, sia riprendendo ed allargando la pratica“teatrale” della processione (che recuperava “la dimensione folklorica del carnevale-sco”(GINZBURG, 1972: p. 659)30, sia introducendo altre devozioni, dalle SS. Quaran-

27 Il nihil obstat è del 5 febbraio 1856. Anche in questo caso il Modo pratico per ascoltare la S. Messa occupa le pagine da8 a 17, alle quali si aggiungono le pagine da 17 a 26 intitolate al Modo più disteso per ascoltare la S. Messa colla corri-spondenza delle azioni del sacerdote a quelle di Gesù Cristo.

28 Operette, tuttavia, che da non molto sono studiate anche sul versante linguistico: POZZI, 1997; Testa, 2014, specialmenteil cap. quarto Un volgare per la fede, che finalmente oltrepassano il tradizionale, per quanto attendibilissimo ricorso alla“disseminazione del Manzoni nella cultura linguistica del clero” (MELLONI, 2011).

29 A Milano l’ufficio del Corpus Domini sembra essere stato introdotto già verso il 1335: MARCORA, 1954: p. 302, n.1. Ne èattestata la presenza in S. Giorgio al Palazzo nel 1423: PEDRALLI, 2002: p. 261. Ma RUGGERI, 1988 anticipa alla fine del XIIsec. la presenza dei testi della messa e dell’ufficiatura a Milano e attesta allo stesso anno 1335 la prima processione delCorpus Domini. Sulle tradizioni a Milano e diocesi, BOSATRA, 1992: pp. 457-477.

30 A propria della festività del Corpus Domini si aggiungeranno la processione, o le processioni, nel corso dell’ottava eanche quella della terza domenica del mese, anch’esse ben presenti nella memoria e verificabili nei documenti degli archiviparrocchiali: RIMOLDI, 1990: p. 441.

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tore31 alla visita al Santissimo Sacramento, alla Benedizione post Missam, alla Co-munione spirituale e via praticando. L’evoluzione in senso clericale ed individualisticodelle celebrazioni liturgiche (PAIANO, 2006: p. 753; PROSPERI, 2010: pp. 7-8) comporteràla dirompente sostituzione della liturgia con la devozione (PECKLERS, 2012: pp. 122-124) e la cosiddetta pietà. In tale orizzonte la “nascita” delle SS. Quarantore sintetizzaparadigmaticamente il fenomeno, non solo perché esse, già menzionate nei primianni del Cinquecento, spartiscono la paternità tra Cappuccini e Barnabiti (REGAZZONI,2002: p. 321)32, ma perché l’apparato che in quella ricorrenza è allestito nelle chieseraggiunge cifre di parossismo teatrale, al pari del “teatro itinerante” della processioneeucaristica. Pietà e devozione sembrano in tal modo soggiacere ad una sorta di ecce-denza di spettacolarità (PADOAN, 2000: pp. 13 e 48), che trascorre dalla spazio chiusodel luogo sacro per antonomasia ad occupare teatralmente ed emotivamente ognispazio esterno percorso dal Venerabile 33. Dell’efficacia di queste pratiche si occupa-vano in prima istanza le confraternite, che fiorirono ovunque all’indomani del con-cilio tridentino (RUSCONI, 1986: pp. 485 sgg.).Finissimi teologi, zelanti pastori, fervidi musicisti, pii poeti congiuntamente si eser-citarono nella composizione di inni e canti al divino eucaristico Re34, in capo ai qualiè indubbiamente da collocarsi la triade innica tommasiana: dal Pange lingua (dondeil Tantum ergo) al Sacris solemniis (donde il Panis angelicus) al Verbum supernum(donde l’O salutaris hostia).

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31 Fondamentale rimane WEIL, 1974: pp. 218-48. Inoltre, per Roma: NOEHLES, 1985: p. 90; per Milano: CASCETTA, CARPANI,1995: p. 620. Lontane dalle sedi metropolitane, le parrocchie più piccole o periferiche non potevano esibire apparati effimericomplicati; nella chiesa di Orsenigo, ad esempio, l’apparato provvisorio caratteristico delle Quarantore consisteva nell’esi-bizione di numerosi “giochi” di candele di diversa forma sulle due alzate dell’altare e nell’ostensione del Santissimo neltempietto sovrastante il tabernacolo su apposito tronetto: NAVONI, SANNAZARO: 1987; CRIPPA, 2005: pp. 137-148.

32 REGAZZONI, 2002: p. 321, dove pure si accenna al ruolo delle Confraternite del SS. Sacramento, sulle quali non è qui op-portuno soffermarsi. Mentre il ruolo svolto dal cappuccino Mattia Bellintani col Trattato della santa orazione delle Qua-rantore è menzionato in DELLA CROCE, 2006: p. LXXXVII, n. 69.

33 Le processioni appartengono a pieno titolo alla storia del teatro, benché si sia osservato che le tradizionali storie delteatro escludono questa tipologia di “teatro diffuso”, in quanto estranea all’istituzione teatrale: MOLINARI, 1983: pp. 7-8.L’organizzazione rigorosamente gerarchica della processione del Corpus Domini (laici, clero, autorità: BERNARDI, 1996: p.67) comportava peraltro la messa in scena dell’organismo sociale e politico (CAVARERO, 1995) che, col pretesto del trionfodel Santissimo, celebrava trionfalmente se stesso (CATTANEO, 2003: pp. 261-262).

34 Inni e canti sciogliamo, o fedeli, / al Divino Eucaristico Re; / Egli, ascoso nei mistici veli, / cibo all’alma fedele si dièsono le parole della prima strofa dell’inno-laude, come lo definisce il Coralino di “Cantica Sion”. Manuale di Canto Sacroper i Fedeli compilato da Vito Da Bondo per le Edizioni Carrara di Bergamo nel 1957 (p. 176), del quale è sempre menzio-nato l’autore della musica, Francesco Tavoni (1864-1948), mentre raramente si ricorda l’autore delle parole, Pirro Scavizzi(1884-1964), che lo compose prima della Grande Guerra (AA.VV., 1987). L’inno costituì il punto di forza del repertorio pro-cessionale della bande paesane, elevandosi a modello del canto acclamatorio dalla semplicità melodica e dalla tinta festosae trionfalistica, pienamente aderente al gusto musicale di quei decenni, anche se ancora persiste in qualche anfratto dopolungo e glorioso servizio durato senz’altro sino alla fine del XX secolo.

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Il più noto di essa, poiché era il più frequentemente eseguito nelle chiese, vagheggiagià dal primo verso o, meglio, sin dal primo emistichio, l’altrettanto noto, anche semeno praticato a livello popolare, carmen di Venanzio Fortunato Pange, lingua, glo-riosi proelium certaminis 35, a sua volta ispirato al nono degli Inni quotidiani 36 diPrudenzio. L’inno di Venanzio racchiude in dieci strofe di tetrametri trocaici catalet-tici 37 la storia della Redenzione, dalla colpa di Adamo, il parens protoplastus al v. 4,sino al celeberrimo elogio della Croce, la crux fidelis, inter omnes arbor una nobilisdel v. 24 (ROPA, 1993: p. 391). Formatosi alla scuola di Ravenna, che eccelleva per glistudi di retorica, una volta giunto a Poitiers, e colà stabilitosi, durante un pellegri-naggio a Tours per gratitudine a S. Martino, compose l’inno quando l’imperatore diBisanzio Giustino II inviò a Radegonda, la prima moglie del defunto re Clotario I,una reliquia della croce di Cristo, insieme ad altri cinque 38; anche il Vexilla regis pro-deunt 39 ebbe straordinaria fortuna, entrando nella liturgia della passione. In pari modo l’inno di Tommaso, ripetendo la medesima versificazione, canta “il mi-stero del corpo e del sangue di Cristo”, fondendo “l’esultanza della fede…con la me-stizia al ricordo dell’istituzione del sacramento nella notte dell’ultima cena, quandoil Salvatore stava per essere abbandonato e tradito. Di quella mestizia sembra esserciun segno anche nei cenni allo smarrirsi dell’anima per il silenzio che circonda unapresenza che il credente è chiamato a riconoscere e ad adorare. Nasce da qui il ri-chiamo alla sola fides, unico sostegno alla fragilità dei cuori, perché ai sensi nulla èdato di cogliere del sovrumano mistero” (CREMASCOLI, 1993: p. 124).

5. Rassegna letterariaSpecimina

Tale era, dunque, la diffusione dell’inno, che presso autori di romanzi o di racconti

35 Carmina 2, 2, ancora da consultare in Venanti Honori Clementiani Fortunati presbyteri Italici Opera poetica recensuitet emendavit Fridericus Leo (Monumenta Germaniae historica. Auctores antiquissimi IV 1), Berolini, 1881, mentre intraduzione italiana li si trova in Venanzio Fortunato, Opere/1. Carmina, Expositio orationis dominicae, Expositio Symbuli,Appendix carminum, a cura di S. DI BRAZZANO, Città Nuova, Roma 2001 (LA ROCCA, 2005: pp. 145-167).

36 L’Hymnus omni hora del Cathemerinon liber. La strofa 28 costituisce la fonte di ispirazione per Venanzio Fortunato:Solve vocem mens sonoram, solve linguam mobilem, /dic tropheum passionis, dic triumphalem crucem, / pange vexillumnotatis quod refulget frontibus. Cfr. Prudenzio, Gli inni quotidiani. Le corone dei martiri, a cura di M. SPINELLI, CittàNuova, Roma 2009.

37 “Il versus quadratus o dei legionari, ben adatto al ritmo di marcia”: CATTIN, 1979: p. 26. Assai diffuso nel IV sec., il versoè adottato ed ereditato appunto dall’innologia cristiana: cfr. A. CUCCHIARELLi, La dea, il poeta, la città muta, in La veglia diVenere. Pervigilium Veneris, Rizzoli, Milano 2003, p. 25.

38 Cfr. S. QUESNEL, Introduction a Venance Fortunat, Vie de Saint Martin, Les Belles Lettres, Paris 1996, pp. VII-XIII.

39 2, 6.

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capita inevitabilmente di imbattersi in momenti narrativi ove tale canto è ramme-morato. Come ogni altra esperienza esistenziale, le vicende legate al fenomeno reli-gioso, rituale escono qua e là dalle penne d’autore, anche se con una certa parsimoniae talora con una paradossale imprecisione, sol che si pensi che l’Italia è paese cuipiace definirsi cattolico fin nel midollo. Sarebbe lunga la rassegna delle castronerieliturgiche, fino ai nostri giorni, fino ad un recentissimo romanzo di un certo successo.Ma il tacer fia bello, mentre è assai più bello cominciare da Emilio Praga, lo scapi-gliato di Gorla (allora comune autonomo, oggi solo più una fermata della metropo-litana milanese), che, morendo nel 1875, lasciò incompiuto Memorie del presbiterio,il romanzo completato dall’amico astigiano Roberto Sacchetti, il quale lo pubblicò apuntate nel 1877 sul «Pungolo» di Milano40.

Durante la benedizione uscii a passeggiare sul sagrato deserto; la porta della chiesaspalancata sugli arpioni, lasciava vedere l’altar maggiore illuminato e i riflessi ca-devano sulle casupole della piazzetta.Così nella dura vita di quella popolazione montagnuola solo spiraglio d’ideale erala religione.Densi globi d’incenso salivano innanzi al tabernacolo d’argento. Cantavano il Tan-tum ergo, inno di lode, dalle intonazioni gravi e melanconiche come tutti gli altridella chiesa 41.

Chi sa quale melodia avrà inteso Emilio nella chiesetta del villaggio montanaro diSolzena, nella valle Strona? E quanti e quali involontari “strafalcioni di latino“42

avranno infastidito il suo orecchio di artista? Mentre all’ascolto è teso il protagonistade Il peccato43 di Giovanni Boine, più attento ai tormenti interiori, ai riflessi dei fatti

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40 Il romanzo ebbe infine la pubblicazione in volume nel 1881 presso l’editore Casanova di Torino.

41 Cap. XXII.

42 “Deformazioni” e “stravolgimenti burleschi” della lingua latina liturgica sono studiati da BECCARIA, 2002. Anche il Tantumergo appartiene alla tipologia degli inni che hanno avuto un esito eloquente nel linguaggio parlato. Ben presente alla memoriadi chi scrive è l’incipit parodistico “Canta il merlo sul frumento”, ricordato anche da NIERO, 1986: p. 336. L’appartenenza allessico magico-religioso del termine sacramentum giustifica nei suoi confronti l’interdizione, in senso proprio religiosa, che asua volta genera il fenomeno della sostituzione. Ricorrenti erano le imprecazioni e le esclamazioni sostitutive sacramémbal,cramémbal, sacranón, cranón e simili (Cfr. il Lessico dialettale della Svizzera italiana, Centro di dialettologia e di etnografia,Bellinzona 2004, ai lemmi nel vol. 4). Si veda al riguardo, GALLI DE’ PARATESI, 1964. Del resto sacramentare finisce per equivalerea “bestemmiare, imprecare”, come registra il Grande dizionario della lingua italiana di S. BATTAGLIA ad vocem: “Esclamazionebassissima” definisce Sacrament! il Cherubini, sostituendola con Deddina! (F. CHERUBINI, Vocabolario milanese-italiano, Milano1839). Voce per la quale è d’obbligo il rinvio al Dizionario della lingua italiana di N. TOMMASEO, B. BELLINI, G. MEINI, Torino1861-1979, ove essa è descritta come “esclamazione volgare. Scorcio di Affeddeddina”.

43 Già edito a puntate, esce poi in volume nel 1914 nelle edizioni della Libreria della «Voce» col titolo Il peccato e altrecose, insieme a La città e Conversione al codice.

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sull’animo suo: il giovane «signor B.» travia la giovane novizia suor Maria, ch’egliraggiunge, inseguendo il suono dell’ armonium:

«E canta come un angelo. Vada a sentirla a benedizione, la sera». Era andatoil giorno dopo, la sera, più sere, a sentirla cantare; c’era pieno, ci si morivaora in chiesa tra il fumo dell’incenso ed il caldo dei fiati. Ma era bello, ti ripo-sava il tripartito ritmo, come un largo respiro (e l’ora pro nobis come un in-terrogante sospiro a chiuderlo) delle litanie lente cantate; era bello, ti riposavaed a tratti che la porta s’apriva perché qualcuno od usciva od entrava venivapiù largo fuori, di là dalla piazza e si fondeva con esso l’altro ritmo monotono-ondante del mare. Cantava nel Tantum ergo e qua e là in qualche laude. Can-tava bene sì, con una voce educata e pura. Ma ci si sentiva come l’obbligo dellamelodia stilizzata ed egli per suo conto preferiva il vagabondare dell’armoniumpregnante da solo nella vuota chiesa di giorno. Era tornato spesso dunque al-l’armonium, tutti i giorni quasi nella frescura queta canora a l’ora che oramaiconosceva e ci sognava pomeriggi interi 44.

“Uno dei romanzi più alti di tutto il Novecento italiano”, secondo GiorgioBàrberi Squarotti (BARBERI SQUAROTTI, 1994: p. 694), la tensione tra la vita ela forma s’incarna presso l’autore ligure nelle polemiche “legate al moderni-smo, ovvero a un cristianesimo rinnovato, non più legato alle invero un pocotetre tradizioni ottocentesche di primato del momento pratico su quello mi-stico e contemplativo, della difesa del dogma sulle istanze di adeguamentodelle ragioni religiose ai problemi che il mondo moderno impone, di abban-dono definitivo dell’aridità della lettera (generatrice di aberrazioni come ilSillabo) per la vitalità dello spirito”(BARBERI SQUAROTTI, 1994: p. 693), comegià si può intuire nell’ancora ottocentesco, ma “scapigliato” Cento anni diGiuseppe Rovani:

Al pari di questa adunque, come la fanciulla Ada toccò i tredici anni, ossiacome le si dischiuse il periglioso crepuscolo dell’adolescenza, allorché per istu-dio e per diporto facea scorrere la mano sui tasti dell’organo, più non istettepaga ai suoni tesi ed agli accompagnamenti solenni del Tantum ergo; ma conestro inventivo traendone suoni della più fantastica inspirazione, questi le ri-velarono la confusa iride della vita di cui non ancora aveva notizia. Siamo sem-pre ai soliti misteri della vita45.

Lungi entrambi dalla superficialità dannunziana, paga di una sorta di estetiz-

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zante patologia, di un passo simile

Venivano in contro nella strada le verginelle coperte di veli candidi, con inmano i cèrei dipinti, e cantavano dietro la torma angelica, un grande sventoliodi drappi e di baldacchini ampliava l’aria beneficata dalla pioggia recente. Ecantavano: Tantum ergo sacramentum / Veneremur cernui…46

che, nella prima novella della raccolta, La vergine Orsola, chiude la vicenda dellafanciulla oggetto della viltà e dell’abiezione di Lindoro.Lungi anche dal moderno tono parodistico che si palesa nel passo dell’Ulysses(1922):

Regina degli angeli, regina dei patriarchi, regina dei profeti, di tutti i santi,pregavano, regina del santissimo rosario e a quel punto padre Conroy passò ilturibolo al canonico O’Hanlon e questi lo riempì d’incenso e incensò il Santis-simo Sacramento mentre Cissy Caffrey afferrava i gemelli e moriva dalla vogliadi dargli un sonoro scappellotto sulle orecchie ma non lo fece perché pensò chemagari lui stava guardando ma era l’errore peggiore della sua vita perché Gertylo sapeva senza nemmeno dover guardare che non le aveva tolto gli occhi didosso neanche per un secondo e allora il canonico O’Hanlon passò di nuovo ilturibolo a padre Conroy e si inginocchiò con gli occhi rivolti in alto al Santis-simo Sacramento e il coro iniziò a cantare Tantum ergo mentre lei dondolavatranquillamente il piede avanti e indietro a tempo con la musica che crescevae diminuiva sul Tantumer gosa cramen tum47.Pochi anni prima è toccato a Gadda disegnare la simbiosi del trono e dell’altare,così cara e caratteristica del popolo dei fedeli italiani:

Nella chiesetta affollata io ero ritto sopra una panca, come già da ragazzo inSan Simpliciano.Celebrarono il «tantum ergo Sacramentum», cantandolo alla meglio; seguì uninno di carattere religioso patriottico, cantato dai nostri cappellani, in cui Dio

44 Parte prima. Il limbo, a p. 19 nell’edizione a cura di G. UNGARELLI pubblicata da Einaudi nel 1975. Poco prima (p. 17): Fuquesto armonium, il Galeotto della storia sua.

45 A p. 363 nell’edizione Einaudi del 2008, che riproduce quella RECHIEDEI del 1868-69.

46 G. D’Annunzio, Novelle della Pescara, Il Vittoriale degli Italiani, Roma 1940-XVIII, p. 77. L’opera era stata pubblicata nel1902 da Treves a Milano, ma recuperando e riscrivendo racconti scritti intorno al “1884-86”, come recita il sottotitolo.

47 Nella traduzione di E. TERRINONI e C. BIGAZZI, Newton Compton Editori, Roma 20123, p. 357.

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era pregato di darci la vittoria e di restituirci la pa-tria 48

riferendo la visita al campo del nunzio apostolico mons.Eugenio Pacelli. Più prosaicamente, Hans Schnier, ilprotagonista di Opinioni di un clown 49 di Heinrich Böll,non eleva lodi ad alcuno, ma si serve di famosi canti li-turgici in funzione esclusivamente terapeutica:

Personalmente non sono religioso, non vado neppure inchiesa e mi servo dei testi e delle melodie liturgiche permotivi terapeutici: mi aiutano più di qualsiasi altra cosaa combattere i due mali da cui sono afflitto per natura:malinconia e mal di testa. Da quando Maria è passataai cattolici (sebbene Maria sia lei stessa cattolica, questadefinizione mi appare appropriata), la violenza di questidue mali è aumentata e persino il Tantum ergo o le lita-nie lauretane – fino a ora le mie favorite per combattereil mal di testa – non servono più a nulla, o quasi. 50

48 C. E. GADDA, Giornale di guerra e diprigionia. Diario di prigionia. Note au-tobiografiche redatte in Cellelager(Anno 1918), in Saggi. Giornali. Fa-vole. II, Garzanti, Milano 19982, p. 816.

49 Edito nel 1963.

50 Cap. I, nella traduzione di AminaPandolfi, A. Mondadori, 1965.

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