cesarotti professore: le lezioni sulle lingue antiche e il linguaggio

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Non c’è dubbio che il Saggio sulla filosofia del- le lingue sia il capolavoro del Cesarotti linguista, se non del Cesarotti tout court, nonché (come è stato detto) «il libro più “europeo” della filosofia lin- guistica italiana dell’Età dei lumi» (1) : un classico della linguistica italiana, su cui non mancano gli studi, ma intorno a cui alcune domande restano an- cora aperte, e altre praticamente inevase. Tra que- ste ultime, direi, la questione dell’origine della ri- flessione cesarottiana. Non le fonti, su cui del resto c’è ancora parecchio da lavorare, ma proprio l’ori- gine: è curioso, cioè, che nessuno si sia mai posto seriamente – a mia conoscenza, almeno – il pro- blema di chiarire da dove nasca la riflessione lin- guistica che il Saggio ci presenta non solo già pie- namente matura, ma in sostanza anche definitiva, come mostrano le varianti introdotte nel 1800, che lasciano praticamente intatto il testo scaricandosi interamente sui paratesti. Sappiamo dall’Avverti- mento premesso dall’autore che la stesura piuttosto rapida del trattato nel corso del 1785 era stata pre- ceduta da una fase preliminare dai contorni inde- terminati: «Aveva egli in qualche momento di mag- gior ozio gittato sulla carta alcune idee, che forma- vano lo sbozzo d’un’opera, e n’erano come il som- mario». Ma è chiaro che questa attività estempora- nea (a dar retta a Cesarotti) di scrittura per appunti di cui non resta alcuna traccia non basta a dar con- to della complessità e profondità della riflessione esposta nel trattato: in realtà, come ho cercato di mostrare altrove, è con tutta evidenza nell’attività di insegnamento universitario, portata avanti da Cesarotti per oltre trent’anni, che vanno cercate le radici profonde della sua opera maggiore (2) . Sappiamo che Cesarotti venne nominato pro- fessore di Lingue antiche all’università di Padova nell’estate 1767, ma della sua attività di insegna- mento nel periodo successivo a questa data sap- piamo invece pochissimo, quasi nulla. Quando si tratta di rendere conto del magistero universitario di Cesarotti gli studi (anche i più recenti e accura- ti come quello di Claudio Chiancone che avremo ripetutamente modo di citare) fanno di norma ri- ferimento alla intensa e “militante” attività di tra- duttore dal greco, che come vedremo rientrava ef- fettivamente tra i suoi doveri accademici; ma la ve- — 65 — Lingua nostra Vol. LXXV, Fasc. 3-4 Settembre-Dicembre 2014 CESAROTTI PROFESSORE: LE LEZIONI UNIVERSITARIE SULLE LINGUE ANTICHE E IL LINGUAGGIO (*) (*) Questo lavoro rientra nel progetto di ricerca FNS PZ00P1_131705/1 – Le opere linguistiche di Melchiorre Ce- sarotti: edizione e commento, finanziato per il quadriennio 2011-2014 dal Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica. Un contributo fondamentale per la sua realizza- zione è venuto da Valentina Gallo che ha dato una prima (ma spesso definitiva) trascrizione di quasi tutto il materia- le manoscritto qui studiato. Versioni ridotte di questo testo sono state presentate al XXVII e Congrès international de linguistique et de philologie romanes (CILPR) di Nancy e al Circolo filologico linguistico padovano, rispettivamente nel luglio e novembre 2013. Ringrazio Andrea Dardi per aver- mi segnalato l’interesse dell’articolo di Mazzoni menziona- to alla n. 3, Fabio Romanini per l’aiuto su alcune questioni filologiche, Francesca Latini e Fabio Magro per alcuni con- trolli in biblioteca dell’ultimo minuto, rispettivamente a Fi- renze e Padova. (1) C. Marazzini, Da Dante alla lingua selvaggia. Sette secoli di dibattiti sull’italiano, Roma, Carocci, 2009 2 , p. 134. (2) Cfr. C. E. Roggia, «De naturali linguarum explicatio- ne»: sulla preistoria del «Saggio sulla filosofia delle lingue», in Melchiorre Cesarotti, atti del convegno di Padova (4-5 no- vembre 2008), a cura di A. Daniele, Padova, Esedra, 2011, pp. 43-66. La storia della scrittura del Saggio a partire dalle sedute all’Accademia di Padova è stata ricostruita dallo stes- so Daniele nel volume appena citato (Qualche appunto sul pensiero linguistico del Cesarotti, pp. 29-41).

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Non c’è dubbio che il Saggio sulla filosofia del-le lingue sia il capolavoro del Cesarotti linguista, senon del Cesarotti tout court, nonché (come è statodetto) «il libro più “europeo” della filosofia lin-guistica italiana dell’Età dei lumi»(1): un classicodella linguistica italiana, su cui non mancano glistudi, ma intorno a cui alcune domande restano an-cora aperte, e altre praticamente inevase. Tra que-ste ultime, direi, la questione dell’origine della ri-flessione cesarottiana. Non le fonti, su cui del restoc’è ancora parecchio da lavorare, ma proprio l’ori-gine: è curioso, cioè, che nessuno si sia mai postoseriamente – a mia conoscenza, almeno – il pro-blema di chiarire da dove nasca la riflessione lin-guistica che il Saggio ci presenta non solo già pie-namente matura, ma in sostanza anche definitiva,come mostrano le varianti introdotte nel 1800, chelasciano praticamente intatto il testo scaricandosiinteramente sui paratesti. Sappiamo dall’Avverti-

mento premesso dall’autore che la stesura piuttostorapida del trattato nel corso del 1785 era stata pre-ceduta da una fase preliminare dai contorni inde-terminati: «Aveva egli in qualche momento di mag-gior ozio gittato sulla carta alcune idee, che forma-vano lo sbozzo d’un’opera, e n’erano come il som-mario». Ma è chiaro che questa attività estempora-nea (a dar retta a Cesarotti) di scrittura per appuntidi cui non resta alcuna traccia non basta a dar con-to della complessità e profondità della riflessioneesposta nel trattato: in realtà, come ho cercato dimostrare altrove, è con tutta evidenza nell’attivitàdi insegnamento universitario, portata avanti daCesarotti per oltre trent’anni, che vanno cercate leradici profonde della sua opera maggiore(2).

Sappiamo che Cesarotti venne nominato pro-fessore di Lingue antiche all’università di Padovanell’estate 1767, ma della sua attività di insegna-mento nel periodo successivo a questa data sap-piamo invece pochissimo, quasi nulla. Quando sitratta di rendere conto del magistero universitariodi Cesarotti gli studi (anche i più recenti e accura-ti come quello di Claudio Chiancone che avremoripetutamente modo di citare) fanno di norma ri-ferimento alla intensa e “militante” attività di tra-duttore dal greco, che come vedremo rientrava ef-fettivamente tra i suoi doveri accademici; ma la ve-

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Lingua nostraVol. LXXV, Fasc. 3-4 Settembre-Dicembre 2014

CCEESSAARROOTTTTII PPRROOFFEESSSSOORREE:: LLEE LLEEZZIIOONNII UUNNIIVVEERRSSIITTAARRIIEESSUULLLLEE LLIINNGGUUEE AANNTTIICCHHEE EE IILL LLIINNGGUUAAGGGGIIOO((**))

(*) Questo lavoro rientra nel progetto di ricerca FNSPZ00P1_131705/1 – Le opere linguistiche di Melchiorre Ce-sarotti: edizione e commento, finanziato per il quadriennio2011-2014 dal Fondo Nazionale Svizzero per la RicercaScientifica. Un contributo fondamentale per la sua realizza-zione è venuto da Valentina Gallo che ha dato una prima(ma spesso definitiva) trascrizione di quasi tutto il materia-le manoscritto qui studiato. Versioni ridotte di questo testosono state presentate al XXVIIe Congrès international delinguistique et de philologie romanes (CILPR) di Nancy e alCircolo filologico linguistico padovano, rispettivamente nelluglio e novembre 2013. Ringrazio Andrea Dardi per aver-mi segnalato l’interesse dell’articolo di Mazzoni menziona-to alla n. 3, Fabio Romanini per l’aiuto su alcune questionifilologiche, Francesca Latini e Fabio Magro per alcuni con-trolli in biblioteca dell’ultimo minuto, rispettivamente a Fi-renze e Padova.

(1) C. Marazzini, Da Dante alla lingua selvaggia. Settesecoli di dibattiti sull’italiano, Roma, Carocci, 20092, p. 134.

(2) Cfr. C. E. Roggia, «De naturali linguarum explicatio-ne»: sulla preistoria del «Saggio sulla filosofia delle lingue», inMelchiorre Cesarotti, atti del convegno di Padova (4-5 no-vembre 2008), a cura di A. Daniele, Padova, Esedra, 2011,pp. 43-66. La storia della scrittura del Saggio a partire dallesedute all’Accademia di Padova è stata ricostruita dallo stes-so Daniele nel volume appena citato (Qualche appunto sulpensiero linguistico del Cesarotti, pp. 29-41).

ra e propria didattica del professore resta tutta daesplorare: di cosa parlava Cesarotti a lezione? o al-meno, di cosa parlava durante le sue apprezzate le-zioni pubbliche? È una domanda che vale la penadi porsi, soprattutto alla luce di tre documenti dacui possiamo sperare di ottenere una risposta ab-bastanza circostanziata: il primo e più noto è il vo-lume di Acroases in Patavino Archigymnasio publi-ce habitae (d’ora in poi Op) pubblicato postumodall’allievo Giuseppe Barbieri; gli altri due, pres-soché del tutto inesplorati, sono il manoscritto3565 della Biblioteca Riccardiana di Firenze (d’orain poi R1) e il manoscritto 1223 della BibliotecaBertoliana di Vicenza (d’ora in poi B), entrambicontenenti numerose lezioni e vari materiali ascri-vibili all’insegnamento cesarottiano(3).

In questo articolo vorrei appunto avviare unaprima ricognizione di questo materiale. Procederòdunque presentando prima un profilo dell’attivitàdidattica cesarottiana, poi discutendo filologica-mente e (almeno per cenni) contenutisticamente lostatuto dei testimoni e dei singoli testi da questi tra-mandati: prolusioni, corsi, lezioni isolate; il tutto invista di una edizione, almeno parziale, di questi ma-teriali che mi propongo di realizzare. Si tratta nelcomplesso di un territorio difficile, e non troppoameno, in cui non è facile orientarsi a causa dellascarsità di studi; in compenso se si ha la pazienza diaddentrarvisi quello che si ricava è più di una sem-plice serie di postille al capolavoro di Cesarotti: èl’opportunità di aprire una finestra su un panora-ma ancora inedito di riflessione linguistica nell’Ita-lia dei Lumi.

1. Cesarotti professore. – Iniziamo dunque pro-vando a ricostruire per così dire dall’esterno (ossialasciando per ora da parte i tre testimoni diretti ci-tati sopra) le vicende principali della docenza diCesarotti, in modo da offrire un primo quadro en-tro cui sarà più facile poi collocare le osservazionifilologiche dei paragrafi successivi.

Ricorderemo innanzitutto che esiste una im-portante preistoria della docenza universitaria delnostro abate: si tratta dell’insegnamento tenuto al

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Seminario Vescovile di Padova, dove Cesarotti ave-va studiato e dove fu promosso «di slancio» – co-me fa sapere l’allievo e biografo Barbieri – alla cat-tedra di Retorica. Forse (ma la data resta incerta)già nel 1749: a 19 anni. Questo incarico Cesarottilo tenne molto probabilmente fino al 1759 quan-do, come registrerà alcuni anni dopo un altro te-stimone, «non potendo stare alla disciplina del luo-go, gli convenne partire»(4): si trasferì allora a Ve-nezia, dove iniziò un periodo segnato dall’insegna-mento privato come precettore dei figli del conte esenatore Girolamo Grimani, ma soprattutto dalletraduzioni di Voltaire, dell’Ossian e dall’improvvi-sa, inattesa, celebrità internazionale che ne seguì.

Alla cattedra universitaria, dunque, Cesarottiarrivò non più giovanissimo nel luglio 1767, in se-guito a una designazione dei Riformatori dello Stu-dio di Padova, la magistratura della Repubblica Ve-neta che presiedeva agli affari dell’Ateneo: desi-gnazione ratificata per decreto dal Senato Veneto ilprimo dicembre dell’anno successivo(5). La catte-dra ricoperta dal suo predecessore, MichelangeloCarmeli, allora vacante da due anni, si intitolava inorigine linguae Graecae, Hebraicae, caeterarumqueOrientalium, sennonché la difficoltà di reperire undocente abbastanza esperto di tutte queste lingueindusse i Riformatori a eliminare dopo la morte delCarmeli le lingue orientali(6): rimasero il greco el’ebraico, per i quali Cesarotti fu ritenuto un can-didato sufficientemente esperto, o almeno pro-mettente. Come osserva Chiancone, infatti, nel-l’arrivare alla cattedra Cesarotti «aveva superatocandidati più titolati grazie al favore di un protet-tore influente», che era poi lo stesso conte Grima-

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(3) Il manoscritto Riccardiano (allora numerato 3238)era stato in realtà già utilizzato da G. Mazzoni (La questio-ne della lingua nel secolo XVIII, in Id., Tra libri e carte. Studiiletterari, Roma, Pasqualucci, 1887, pp. 115-68), che ripro-duce ampi stralci di alcuni testi (cfr. oltre, n. 35): ma non mirisulta che questa importante segnalazione abbia avuto se-guito negli studi successivi.

(4) G. Gennari, Notizie giornaliere di quanto avvennespecialmente in Padova dall’anno 1739 all’anno 1800, a cu-ra di L. Olivato, Cittadella, Rebellato, 1982, pp. 38-39 (17gennaio 1769). Sulla data d’inizio del magistero cesarottia-no al Seminario, cfr. C. Chiancone, La scuola di Cesarotti egli esordi del giovane Foscolo, Pisa, ETS, 2013, pp. 27-28; Mel-chiorre Cesarotti (1730-1808). Un letterato tra il Veneto el’Europa. Documenti originali, stampe e manoscritti, a c. di F.Fantini D’Onofrio, Rubano, Grafiche Turato Edizioni,2009, p. 42. La testimonianza di Barbieri è citata da Chian-cone, op. cit., p. 27.

(5) Cfr. F. M. Colle, Fasti Gymnasii Patavini, iconibusexornati ab anno MDCCLVII usque ad MDCCLXXXVII aFrancisco Maria Colle bellunensi elucubrati notisque aucti etusque ad MDCCCXL perducti a Josepho Vedova patavino,vol. I, pars I, Padova, Angelo Sicca, 1841, p. 127.

(6) Colle, op. cit., p. 125. Sulla figura di Carmeli cfr. C.Giordan, Michelangelo Carmeli e Melchiorre Cesarotti, inMelchiorre Cesarotti cit., pp. 145-54.

ni, il suo patronus veneziano: naturale che si sen-tisse gli occhi puntati addosso e che fosse ansiosodi mostrare che la fiducia in lui non era stata mal ri-posta(7). Tanto più che se la sua conoscenza dellalingua e della letteratura greca era profonda e cer-tificata dal precedente insegnamento oltre che davarie traduzioni, non altrettanto poteva dirsi del-l’ebraico, come confessa lo stesso Cesarotti al suocorrispondente olandese Van Goens, nel dargli lanotizia della nomina:

Voi dovete sapere ch’io sono stato eletto Professoredi lingua Greca ed Ebraica nell’Università di Padova. IlSenato Veneto nel considerarmi degno di questo impie-go ha piuttosto condisceso a qualche felice speranza dime concepita di quello che abbia premiato un merito rea-le comprovato dall’esperienza, specialmente riguardo al-la seconda delle due lingue. Confesso ch’io sono assai leg-germente iniziato nei venerabili e nojosi misteri della lin-gua santa, e che ho intrapreso di fresco questo studio piùin vista del mio stabilimento che del mio genio. Con-viemmi quindi entrare in un caos d’erudizione più spi-nosa e intralciata che dilettevole, e quel ch’è peggio pas-sar assai spesso per ignes suppositos cineri doloso. Io deb-bo soddisfar non solo gli eruditi di professione (impresache basta a mio credere per annojar ogn’uomo di gusto)ma di più le fazioni dei Teologi, e dei Scritturisti(8).

L’epistolario col Van Goens da questo momen-to e almeno per tutto il 1768 dice di uno sforzo diaggiornamento piuttosto frenetico, con ricerche dilibri e richieste di informazioni su un panorama distudi (la filologia veterotestamentaria e le antichelingue orientali) in cui l’Europa protestante eccel-leva fin dal XVI secolo(9). Il neoprofessore, ad ogni

modo, aveva tutto il tempo di prepararsi; la sua ve-ra e propria carriera di docente, infatti, iniziò soloil 17 gennaio 1769, quando di fronte a un pubblicofolto pronunciò una lezione inaugurale intitolataDelinguarum studii origine, progressu, vicibus, pretio:un testo programmatico, che sulla scorta di Vico eCondillac tracciava le linee di un progetto di studioe di insegnamento «filosofico» (o, potremmo anchedire oggi, antropologico) delle lingue antiche, l’ap-proccio che Cesarotti intendeva perseguire negli an-ni successivi. Le cronache, e lo stesso interessatonell’epistolario, dicono che la prolusione ebbe buonsuccesso, tanto da indurre l’abate, dopo qualcheesitazione di cui dà conto ancora al Van Goens, adarla alle stampe in un elegante volumetto uscitopresso la stamperia Penada di Padova(10).

Passato l’evento, spentisi gli echi della prolu-sione, ebbe inizio la fase di più regolare, faticosa eoscura attività di insegnamento. In una nota auto-grafa inviata ai Riformatori intorno al 1784, Cesa-rotti dà conto del proprio insegnamento di queiprimi anni in questi termini:

L’ab. Cesarotti non cominciò a leggere se non ai 18Febbr.° del 1769. Da quel punto sino a questa termina-zione [17 aprile 1771] egli non si era occupato a tradur-re perché essendo allora obbligato a legger in pubblicotutti i giorni straordinari era tutto assorto dal peso dellesue lezioni ch’egli lavorava colla stessa diligenza, comese dovesse stamparle: né si sarebbe immaginato che l’ob-bligo secondario del tradurre si esigesse da lui con un ri-gore inconciliabile nei primi tempi coi doveri essenzialie primari della cattedra(11).

Evidentemente in questo periodo il neopro-fessore non faceva altro che insegnare e prepararele lezioni. Che lo facesse con estrema cura è del tut-to vero come vedremo, non è affatto una vanteria:e bisogna anche ricordare che all’epoca le lezionipubbliche (ovviamente in latino) costituivano unonere non indifferente per i professori, i quali era-no tenuti a recitarle a memoria in una vera e pro-

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(7) Cfr. Chiancone, La scuola di Cesarotti cit., p. 59: ilconte Grimani era stato tra l’altro Riformatore fra il 1765 eil 1767.

(8)Dell’epistolario di Melchiorre Cesarotti, Firenze, Mo-lini, Landi e comp., 1811 e Pisa, Niccolò Capurro, 1813 (6voll.), t. I, pp. 105-6. La lettera non è datata, ma va attri-buita al dicembre ’67 o inizio gennaio ’68, dal momento chela risposta di Van Goens con le congratulazioni del caso èdatata 8 febbraio 1768 (ivi, p. 107). Cfr. per questa fase del-la vita e dell’insegnamento cesarottiano V. Gallo, Cesarottida Padova a Selvazzano, Saonara, Tipografia Bertaggia-Pro-vincia di Padova, 2008, pp. 14 sgg.

(9) Cfr. G. Benedetto, Cesarotti e gli oratori attici, inAspetti dell’opera e della fortuna di Melchiorre Cesarotti, acura di G. Barbarisi e G. Carnazzi, Milano, Cisalpino, 2002,t. I, pp. 202-3. Si vedano soprattutto le lettere di Van Goensdel 25 aprile e del 16 giugno 1768, e di Cesarotti del 20 mag-gio e del 5 novembre 1768: rispettivamente in Dell’epistola-rio cit., pp. 161-74, e S. Contarini, Cesarotti e Van Goens:un carteggio europeo, in La Repubblica delle lettere, il Sette-cento italiano e la scuola del secolo XXI, atti del convegno in-

ternazionale di Udine 8-10 aprile 2010, a cura di R. Rabbo-ni, Pisa, Serra Editore, 2011, pp. 56-57.

(10) Sulla prolusione, i suoi contenuti e le vicende edi-toriali, cfr. C. E. Roggia, La prolusione «De linguarum studiiorigine, progressu, vicibus, pretio» di Cesarotti, in «Una bri-gata di voci». Studi offerti a Ivano Paccagnella per i suoi ses-santacinque anni, a cura di A. Cecchinato e C. Schiavon, Pa-dova, CLEUP, 2012, pp. 343-76.

(11) Archivio di Stato di Venezia, Riformatori allo Studiodi Padova, b.363: il documento è stato segnalato da Chian-cone, op. cit., p. 61n.

pria actio di fronte a un pubblico eterogeneo fattodi studenti, persone interessate, curiosi, e perfinoturisti(12). Dalla prolusione De Hebraicae linguae stu-dio, pubblicata in Op e pronunciata verosimilmen-te all’inizio del secondo anno, possiamo ad ognimodo ricavare che Cesarotti dedicò il suo primoanno di insegnamento al greco, rimandando anco-ra di un anno l’impatto con l’ebraico, cui dunquededicò un corso solo nell’anno accademico ’69-70:probabilmente con l’idea di introdurre un’alter-nanza nella didattica delle due lingue che come ve-dremo non ebbe poi modo di proseguire(13).

Il finale polemico della nota citata sopra fa in-fatti riferimento a quello che diventerà di qui a po-co il principale impegno del nostro, ovvero le giàmenzionate traduzioni dal greco. Già prima del suoeffettivo esordio accademico i Riformatori avevanostabilito che il «P. P. abate Melchior Cesarotti abbiaa tradurre le opere di Scrittori, Poeti, ed Istorici deipiù rinomati principiando da Demostene, e così ter-minata questa continuerà a tradurre gli altri, previala permissione del Magistrato, sicché vengasi ad ave-re l’intera collana delle traduzioni dei predetti auto-ri Greci»: evidentemente fino all’aprile 1771 Cesa-rotti non aveva avuto il tempo di dedicarsi a questaattività, di qui l’impazienza dei magistrati(14). A par-tire dall’estate dello stesso anno, tuttavia, Cesarottiebbe tutto l’agio di dedicarsi all’attività tanto pres-santemente richiestagli dai Riformatori, e che darà

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via via i frutti della traduzione delle Opere di De-mostene (Padova 1774-78) e dell’incompiuto Corsoragionato di letteratura greca (Padova 1781-1784):nell’estate del 1771, infatti, una riforma dello Stu-dio cambia radicalmente il modo di insegnare al-l’Università di Padova, alleggerendo il peso della di-dattica e lasciando ampi e auspicatissimi spazi (si di-rebbe oggi) per la ricerca. Un decreto dei Riforma-tori datato 29 agosto 1771 «decise infatti che le co-siddette discipline elementari (la logica, le istituzio-ni mediche, civili e canoniche e la lingua greca edebraica) […] prevedessero, fatta eccezione per po-che – a seconda delle materie due o sei – lezioni pub-bliche, unicamente delle lezioni private»(15). Più omeno a questa data, inoltre, rimonta un’altra novità:dai documenti che riguardano l’insegnamento diCesarotti scompare senza rumore l’ebraico e rimanesolo il greco, senza che (per quanto ne sappiamo) al-cun mutamento ufficiale sia stato introdotto nell’in-titolazione della sua cattedra(16). Ne deduciamo chel’impegno dedicato alle lingue semitiche e orientaliantiche si deve essere concentrato nel periodo 1768-1770: un’esperienza breve, dunque, oltre che pocogradita, ma sicuramente intensa e tale da lasciaretracce durature nella linguistica cesarottiana.

A partire dall’anno accademico 1771-1772, ariforma avviata, dobbiamo dunque immaginarci il

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(12) Cfr. P. Del Negro, “Pura favella latina”, “latino or-dinario”, “buono e pulito italiano” e “italiano anzi padova-no”. I “vari linguaggi” della didattica universitaria nella Pa-dova del Settecento, in Annali di Storia delle Università ita-liane, 3 (1999), p. 136.

(13) Cfr. infatti l’inizio della prolusione: «Cum superiorescholastico anno de Graecorum eruditione ac litteris disputa-tionem instituerem, putidum duxi solemni Grammaticorummore de Graecae linguae laudibus ambitiosa oratione prae-fari ecc.» (Op, p. 37, corsivo mio). Sulla prolusione, inclusanelle Opere, cfr. quanto si dirà sotto, § 2.

(14) Manifestata dalla lettera del 1771 da cui è presa lacitazione, e a cui Cesarotti risponde, a distanza di anni, conla citata nota apologetica: cfr. sopra, n. 11. Nella lettera deiRiformatori l’incarico di tradurre i classici greci è riferito al-la «Termin.e nostra 27 luglio 1768»: ma Cesarotti ne dà no-tizia a Van Goens già nel febbraio-marzo dello stesso anno(«Il Magistrato de’ Riformatori dello Studio di Padova s’èfitto in capo ch’io debba attendere a tradur qualche cosadal Greco per uso delle stampe di Venezia ecc.», Dell’epi-stolario cit. p. 117: lettera non datata ma compresa tra duedi Van Goens rispettivamente dell’8 febbraio e del 24 mar-zo 1768). Colle cita invece senz’altro il «Triumvir. rescriptusMDCCLXVII. VI. Kal. Aug.» (Fasti Gymnasii Patavini cit.,p. 127): l’incarico sarebbe insomma contestuale alla primanomina alla cattedra.

(15) Del Negro, “Pura favella” cit., p. 136. Cfr. ancheColle (Fasti cit., p. 127): «Illi vero non unicum munus de-mandatum, tenue quidem, nec sublimissimis ingenii viribusomnino par, linguarum Grammaticam privatim explicandi,et sexies singulis annis publice alternis disserendi de Hebraica Graecaque lingua».

(16) Infatti ancora il 7 aprile 1796, alla vigilia dell’aboli-zione dell’insegnamento, un decreto dei Riformatori fa ri -ferimento per Cesarotti alla «Cattedra delle due lingueEbraica, e Greca» (cit. in Chiancone, op. cit., p. 156n). Dal-l’altra parte, però, i registri annuali degli insegnamenti, i co-siddetti Rotuli artistarum, recano costantemente per Cesa-rotti a partire dal 1770 l’indicazione «Grecae linguae ele-menta Domi tradet pulsante campana de mane dieb. Extra-ord.», e Cesarotti stesso in un’orazione tarda di cui diremofra poco, parla esclusivamente di un proprio insegnamentodi greco («Tricesimum jam annum in Graecis litteris tra-dendis exerciti ecc.», Op, p. 278). Anche Colle (Fasti cit., p.203), nel rendere conto del passaggio del nostro abate allanuova cattedra di Umanità Greca e Latina (1797), annota:«Melchior Cesarotti, qui linguae Graecae dabat lectionesecc.» (miei tutti i corsivi). Un possibile frutto tardivo e indi-retto dell’interesse cesarottiano per l’ebraico sarà tuttaviada vedere, forse, in alcune Riflessioni sopra l’origine dellalingua ebraica dell’abate Angelo Zendrini Alunno dell’Acca-demia di Scienze, Arti, e belle Lettere di Padova, s. n. t. [maVenezia, 1785] presentate all’accademia di Padova da un al-lievo molto vicino al Cesarotti (sul quale cfr. di nuovo Chian-cone, op. cit., p. 120).

nostro abate impegnato in un’attività accademicafondamentalmente tripartita: un insegnamento pri-vato degli elementi di Greco, per cui alla fine deldecennio scriverà anche una grammatica(17); un in-segnamento pubblico fatto di microcicli di sei (maspesso meno) lezioni per ogni anno accademico; latraduzione progressiva dei classici greci, per cui ri-ceveva dai Riformatori un compenso a parte.

Ciò che qui ci interessa è con ogni evidenza laparte pubblica dell’insegnamento, fatta come si èvisto di piccoli cicli di lezioni-conferenze intervallatida lunghi mesi di silenzio. Di cosa trattavano que-ste lezioni? Anche in questo caso, oltre ai testi con-servati su cui torneremo, ci illumina un documen-to esterno: si tratta dell’Exordium orationis habitaepro studiorum instauratione, un frammento pubbli-cato in appendice al citato volume delle Acroases(Op). In questo testo, attribuibile probabilmente al1801, Cesarotti si volge a tracciare un panorama re-trospettivo di trent’anni di insegnamento, menzio-nando per sommi capi gli argomenti trattati e la lo-ro connessione(18). Torneremo su questo documen-to al § 5.4 citandolo per esteso. Apparirà allora chia-ro come quello che in esso viene tracciato è un per-corso coerente e unitario: anno dopo anno, a colpidi piccole costellazioni di lezioni pubbliche, Cesa-rotti venne cioè sviluppando – se si presta fede allasua ricostruzione – un discorso continuo e a tuttocampo sul linguaggio, che partendo dai fondamen-ti del medesimo (le origini meccaniche della lingua

e l’idioma originario dell’umanità) arrivava fino atoccare il tema settecentesco per eccellenza, quellodei rapporti tra lingue, clima e civilisation.

Ma su questo, appunto, torneremo. Lasciamo,ormai, il professor Cesarotti, la cui vicenda è stataricostruita quanto basta per gli scopi di questo la-voro. Riassumendo, possiamo schematicamenteisolare tre periodi distinti nella sua docenza, carat-terizzati da destinatari e da modalità di insegna-mento parzialmente diversi: la fase giovanile del Se-minario; i primi anni di docenza universitaria finoalla riforma del 1771; l’insegnamento successivo aquesta riforma. Come vedremo, a questi tre perio-di corrispondono tipologie diverse di testi rintrac-ciabili nelle sue carte universitarie.

2. I testimoni: il volume a stampa (Op). – Ve-niamo dunque finalmente ai testimoni. Il primo egià noto agli studiosi, anche se a dire il vero nontroppo frequentato, è il più volte citato volumeXXXI delle Opere di Cesarotti pubblicato con il ti-tolo De lingua et eloquentia praecipue greca [sic]acroases in Patavino Archigymnasio publice habitaea M. Cesarotti a Firenze nel 1810, dunque a due an-ni dalla morte dell’autore, dall’allievo GiuseppeBarbieri. Fornisco di séguito nella Tavola 1 il con-tenuto del volume, identificando ciascun testo conil titolo esibito nel volume più una sigla identifica-tiva con cui lo indicheremo nel séguito di questoarticolo (Op più il numero d’ordine nel volume):

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(17) Elementi di lingua greca, ridotti a metodo brevissimoe facilissimo per la semplice intelligenza degli scrittori, uscitaanonima nel 1779, ma «chiaramente cesarottiana» secondoValentina Gallo (Cesarotti da Padova a Selvazzano cit., p. 17).

(18) La data resta incerta, ma in apertura Cesarotti dice

di essere nel trentesimo anno del suo insegnamento di gre-co (cfr. la citazione riprodotta sopra, n. 16), e il fatto chemenzioni unicamente il greco, ossia il suo insegnamento defacto dopo la riforma del ’71, ci porterebbe appunto al 1801:cfr. anche quanto si dirà più avanti, § 5.4.

Op.1 De linguarum studii origine, progressu, vicibus, pretioOp.2 De Hebraicae linguae studioOp.3 De naturali linguarum explicatione [3 acroases]Op.4 De erroribus ex tropico genere locutionis ortis [3 acroases]Op.5 De universae et praecipue graecae eloquentiae originibus [4 acroases]Op.6 De eloquentiae opera in societatibus instituendisOp.7 De eloquentiae opera in religionibus instituendis Op.8 De Eumolpo et Cereris fabula [3 acroases: acefalo]Op.9 Excerpta nonnulla

Op.9a De scriptoriae artis origine Op.9b De incommodis ex prava pronunciatione ortisOp.9c De varia variorum populorum pronunciatione Op.9d De multiplici usu derivationumOp.9e De etymologia et radicibus verborumOp.9f Exordium orationis habitae pro studiorum instauratione

Op.10 Homines histriones. Dialogus

Tavola 1. Contenuto del testimone Op

Come si vede il volume include otto testi pre-sentati come completi più sei frammenti (excerptanonnulla), nonché in appendice un testo eteroge-neo rispetto agli altri: un dialogo morale, che il cu-ratore qualifica come opera giovanile, risalente alperiodo del Seminario(19). Alla luce della ricostru-zione del paragrafo precedente, possiamo subitoidentificare in Op.1 la lezione inaugurale pronun-ciata nel gennaio 1769, e inOp.2 la prolusione a uncorso sulla lingua ebraica: la menzione fatta inapertura di una parallela «disputatio» sulla lettera-tura e l’erudizione greca svolta l’anno precedente(cfr. sopra n. 13) induce a pensare che si tratti delcorso tenuto da Cesarotti nel suo secondo anno diattività accademica (1769-70); un’ipotesi che, co-me vedremo, trova conferma nel rapporto cheOp.2 intrattiene con alcuni dei testi manoscritti diFirenze e Vicenza.

I testi Op.3, Op.4, Op.5 eOp.8 sono invece tut-ti caratterizzati dall’essere costituiti da 3-4 acroases(‘lezioni pubbliche, conferenze’), il che permettefacilmente di ascriverli a quella didattica per mi-crocicli di lezioni pubbliche che caratterizza il pe-riodo successivo alla riforma del ’71.

L’ultimo di questi testi (Op.8) è, come indica ilprospetto, incompleto: presenta infatti una lacunainiziale, segnalata da punti sospensivi («……Proxi-mum ab Orpheo locum inter disertos Heroicorumtemporum ecc.»). Una analoga, benché meno ap-pariscente, menda di incompletezza affligge anchei due testi siglati Op.6 e Op.7, chiaramente gemellifin dal titolo: non abbiamo in questo caso a che fa-re con due cicli di lezioni, ma con singole acroasesche alla lettura si rivelano chiaramente come partidi un sistema più vasto. La prima in ordine di pub-blicazione (Op.6) fa infatti riferimento alla seconda(Op.7) come appena pronunciata; mentre quest’ul-tima, evidentemente prima in ordine di effettivapronuncia, fa riferimento in apertura non a una sin-gola ma a più exercitationes successive(20). Se ne ri-cava che i due testi in questione sono due unitàestratte da un ciclo più vasto di cui è impossibileprecisare i contorni, e che sono state presentate dal-

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l’editore secondo un ordine invertito, probabil-mente con l’intenzione di ripristinare quello che de-ve essergli parso l’ordine “logico” degli argomenti:prima l’uomo si costituisce in società (Op.6), poi inseno a queste vengono istituite le religioni (Op.7).

Resta infine la costellazione riunita inOp.9, uninsieme di parti indipendenti tra loro, espressa-mente qualificate come frammenti (excerpta) e diestensione inferiore all’acroasis. L’editore non chia-risce né la loro provenienza, né la natura dei testida cui sono stati estratti, né l’occasione in cui que-sti furono scritti o pronunciati. Come vedremo, lisi ritrova quasi tutti nel manoscritto R1, lì parzial-mente integrati in unità.

Fermiamoci ora un attimo a riflettere su questaincompletezza, e sulla natura stessa dell’operazio-ne realizzata in questo XXXI volume delle Operecesarottiane. Come già detto, si tratta di un’opera-zione postuma, realizzata a due anni dalla morte diCesarotti, e la cui responsabilità va ascritta al giàpiù volte citato allievo Giuseppe Barbieri. È veroperò che prima di morire Cesarotti stava lavoran-do proprio a un «tomo di cose Latine» che si pro-poneva di consegnare presto al suo editore: ne ab-biamo varie testimonianze. La prima si trova in unalettera di un altro allievo, Mario Pieri, a IppolitoPindemonte del 7 dicembre 1805: «Cesarotti stasempre bene, e fa delle lezioni meravigliose, manon vuol che si dica: ora va rivedendo le sue coselatine, ed io le vo trascrivendo» (cit. in Chiancone,La scuola di Cesarotti cit., p. 182n). Dopo di che ilprogetto viene menzionato dallo stesso Cesarotti indue lettere spedite a Giovanni Rosini, l’editore pi-sano delle Opere. La prima, datata 12 agosto 1806,attesta l’avvio del progetto, confermando la testi-monianza di Pieri: «Parmi che dopo Giuvenale nonvi sia bisogno di questa ansietà di cose nuove. Iocontuttociò ne sto preparando. In breve sarannotrascritte le mie cose latine di prosa e di verso. Hoanche per le mani una specie di trattato sul meto-do degli studj pubblici» (Dell’epistolario cit., t. IV,p. 264). La seconda, del 1° marzo 1808, l’anno stes-so della morte avvenuta il 3 novembre, annunciaaddirittura un prossimo invio del lavoro finito: «Vispedisco un nuovo manoscritto, che formerà perquanto credo un volume competente(21) […]. Man-derò in seguito un tomo di cose Latine che po-

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(19) «Dialogum hunc prima aetate auctor conscripsitcum in celeberrimo Seminario Patavino humaniores litterasprofiteretur» (Op, p. 291).

(20) Cfr. rispettivamente Op, p. 189 «Religionum insti-tutores poeticae eloquentiae laudibus carere minime po-tuisse […] in oratione ante habita planum fecimus» (Op.6),e p. 203 («[…] lubet hodierna exercitatione praefari aliquidquod subsequentibus facem praelucat» (Op.7: miei i corsivi).

(21) Si tratta del volume XXIX pubblicato nel 1808: l’ul-timo in vita dell’autore e direttamente da lui allestito.

tranno alternarsi colle Italiane» (Dell’epistolariocit., t. V, p. 62).

Alla luce di questi documenti, è ovvio chie-dersi che rapporto ci sia tra questo annunziato «to-mo di cose Latine» e il volume effettivamente pub-blicato da Barbieri, e quale sia la parte di Cesarot-ti nella progettazione di quest’ultimo. Ora, è evi-dente intanto che i due volumi non possono esse-re la stessa cosa. Dalle parole stesse di Cesarotti ri-sulta chiaramente che il suo lavoro non era ancoracompleto al momento in cui scriveva (e chissàquanto era progredito, in un periodo in cui l’an-ziano abate era impegnato a preparare gli altri to-mi dell’edizione), né verosimilmente lo sarà statoprima della sua morte; ad ogni modo, quand’ancheCesarotti fosse davvero riuscito a terminare il suo«tomo», con o senza l’aiuto di Pieri, dopo quantodetto sopra possiamo senz’altro escludere che que-sto coincida con il volume delle Opere: troppi i te-sti frammentari o incompleti, troppo disinvoltol’arbitrio nell’assemblaggio, senza contare che il vo-lume sconta l’evidente mancanza proprio di unapercepibile ratio che governi le scelte. Questo nonvuol dire, come vedremo, che qualche traccia dellavoro di Pieri non sia effettivamente ravvisabilenei materiali pervenutici: ne riparleremo (§ 5.5).

Ma tornando al nostro volume di prose latine,tutto dice che siamo di fronte a un’operazioneascrivibile in toto al Barbieri, che l’avrà condottasecondo un criterio non troppo diverso da quellogià applicato al precedente volume delle Opere, ov-vero facendo del suo meglio per orientarsi nella«selva» delle carte cesarottiane guidato dal ricor-do delle conversazioni con il maestro, dal proprioingenium filologico e da scelte personali(22). Ne con-

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(22) Cfr. la nota Al cortese lettore premessa da Barbieri alvolume XXX delle opere, il primo curato dall’allievo di Ce-sarotti: «La Morte, che ci ha tolto in lui solo cotanta messed’utili studj, non gli ha permesso di compiere questo dise-gno [quello cioè di rifinire le parti sul Bello e sulle Figure diun incompiuto «Trattato d’arte Rettorica» per farne due ope-rette indipendenti]; e quel ch’è peggio, le due Scritture sum-mentovate giacevano scomposte e disordinate in tanta selvadi memorie, di postille, di cenni, e di schizzi d’ogni maniera,che al primo darvi di mano, io avevo perduto pressoché ognisperanza di poterle recuperare. Sennonché a dura forza diesame, di pazienza e di diligenza, ajutato inoltre dalla viva ecalda memoria delle frequenti conversazioni che il grandeMaestro solea tenermi su quelle istesse materie, ho potuto fi-nalmente riunirle insieme, quantunque sparse di troncamentie di lacune; ed ora mi affretto di pubblicarle, una col titolodi Saggio sul Bello, e l’altra di Frammento Rettorico su le Fi-gure» (Prose di vario genere dell’abate Melchior Cesarotti, t. II[volume XXX delle Opere dell’abate Melchior Cesarotti pa-

dovano], Firenze, Molini Landi e comp., 1809, p. 2).(23) Cfr. V. Gallo, Gli autografi cesarottiani della Biblio-

teca Riccardiana di Firenze (mss. 3565-3566), in Critica Let-teraria, XXXVI, n. 141 (2008), pp. 645-75 (la citazione è ap. 645), a cui rimando per il contenuto di R1 e dell’altro ma-noscritto riccardiano R2, ai nostri fini non pertinente dal mo-mento che non include materiali universitari, ma che pre-senta caratteristiche del tutto analoghe a R1. Il manoscrittoB è stato invece studiato (ma non per la parte che ci inte-ressa) da P. Del Negro, “L’università della ragione spregiudi-cata, della libertà e del patriotismo”. Melchiorre Cesarotti e ilprogetto di riforma dell’Università di Padova del 1797, inRapporti tra le università di Padova e Bologna. Ricerche di fi-losofia, medicina e scienza, a cura di L. Rossetti, Trieste, Lint,1988, pp. 375-402, che per primo ha anche segnalato l’esi-stenza degli scritti linguistici di cui ci occupiamo («contieneanche un corso universitario De primaeva lingua in venti-quattro lezioni»: p. 383n).

segue che Op non può essere investito di alcun va-lore ecdotico particolare rispetto agli altri testimo-ni: non tanto per quanto riguarda la lezione (neipochi casi in cui possiamo controllare sui mano-scritti, il testo rispecchia abbastanza fedelmentel’ultima stesura d’autore) quanto per la scelta e or-dinamento dei testi. Questi ultimi non possono in-fatti dirsi legittimati né da una volontà d’autore(come si è appena visto), né da criteri assoluti diqualità o rappresentatività, come emerge dal con-fronto con i manoscritti: la stampa Op è insommaa tutti gli effetti un testimone da collocare sullostesso piano degli altri due di cui andremo a parla-re tra un attimo, e come tale va trattato anche in vi-sta di una eventuale edizione.

3. I testimoni: i manoscritti R1 e B. – È infattidall’esame dei manoscritti che vengono non soloulteriori tasselli al mosaico dell’attività didattica diCesarotti, ma soprattutto elementi decisivi per ri-costruirne la logica interna e la scansione cronolo-gica e tematica. I manoscritti di Firenze e Vicenza(rispettivamente R1 e B) presentano varie caratteri-stiche che li accomunano. Ad esempio raccolgononel loro insieme materiale eterogeneo, ma sempreautografo o idiografo: oltre ai testi universitari, vi sitrovano lettere, diverse stesure di testi poetici e tra-duzioni, minute di orazioni, abbozzi, scritti pratici,ecc.; materiali per lo più, come ha accertato Valen-tina Gallo, «prodotti dall’abate padovano durantegli ultimi anni della sua esistenza», ma non solo co-me vedremo(23). Si tratta con tutta evidenza di fram-menti di quella «selva» di carte eterogenee che do-veva costituire il fondo di manoscritti lasciato daCesarotti alla sua morte, e a cui come si è appena

visto attingeva Barbieri per completare l’edizionedelle Opere del maestro: la storia di questo fondo,le modalità e le ragioni del suo smembramento, so-no tutte da scrivere; quello che è certo è che i fram-menti finora noti non sono che una parte di un in-sieme che possiamo immaginare piuttosto cospi-cuo(24). All’interno di questa compagine eterogenea,entrambi i manoscritti presentano una sezione discritti legati all’insegnamento: a questi soli scrittifaremo d’ora in poi riferimento in questo articolo,

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cati da Barbieri parrebbe inoltre suggerire che lo smem-bramento sia avvenuto a valle dell’edizione delle Opere.Per un regesto dei manoscritti cesarottiani noti, cfr. Mel-chiorre Cesarotti (1730-1808) cit.; Chiancone (La scuola diCesarotti cit., p. 77n) segnala inoltre un «grosso faldone»di estratti risalenti al periodo del Seminario conservato al-la Biblioteca Riccardiana (ms 3541); cfr. inoltre E. Bogani,Autografi di Melchiorre Cesarotti acquistati dalla Naziona-le di Firenze, in Accademie e Biblioteche d’Italia», XLIIIn. s. (1975), pp. 22-44.

(24) Sappiamo che i due mss. fiorentini R1 e R2 furonodonati alla Biblioteca Riccardiana da Mario Pieri (1776-1852), l’allievo di Cesarotti già menzionato al § 2 come pri-mo responsabile della copiatura delle opere latine. Secon-do Valentina Gallo «Alla morte di Cesarotti, egli era a Pa-dova a vegliare il maestro e l’amico, e fu probabilmente intale frangente che egli entrò in possesso di buona partedelle carte del defunto» (Gli autografi cit., p. 645), ma cfr.oltre, § 5.5, per una ipotesi alternativa. Il fatto che en-trambi i manoscritti ospitino frammenti dei testi pubbli-

tralasciando tutto il resto. Le Appendici 2 e 3 con-tengono una descrizione dettagliata di queste se-zioni, in cui è fornita ogni spiegazione relativa-mente alla ricostruzione dei singoli testi, agli spo-stamenti di carte, alle grafie: costituiscono quindi labase di tutta l’esposizione seguente.

Iniziamo dunque da R1. Propongo di seguitosulla base della citata descrizione in appendice unprospetto dei contenuti analogo a quello propostoper il volume a stampa al paragrafo precedente.

R.1 [Elenco di titoli e incipit], c. 12R.2 [Elenco di titoli e incipit], cc. 43-44R.3 [Prefazioni], cc. 49-60, 95-96, 97-100

R.3a Praefatio. [Perfettibilità della lingua latina], cc. 49r-52vR.3b Praefatio. Rhetorica post scientias discenda, cc. 53v-56r e 95r-96rR.3c Praefatio. De bello homerico in Gallia, cc. 56v-58r e 97r-100r

R.4 [Prefazioni], cc. 61-69R.4a [Sull’oratoria nel genere storiografico], c. 61rR.4b Poesis historia virtuti utilior, cc. 61r-63r R.4c Adversus gallicum rhetorem de poesi male sentientem, cc. 63r-64r R.4d Praefatio ad Orationem Ciceronis pro A. Cluentio, cc. 64r-65r R.4e [Prefazione all’orazione «De lege agraria» di Cicerone], cc. 65r-66vR.4f De aequo antiquorum scriptorum cultu, cc. 66v-67rR.4g [Sulla tragedia antica e moderna], cc. 67r-68vR.4h De linguae latinae laudibus. Praefatio, cc. 68r-69r

R.5 [Sui sofisti greci. Appunti], cc. 70-73R.6 Praefatio. De triplici genere hominum qui linguarum studio dant operam, cc. 74-75R.7 [Sulla pronuncia e la diversità dei suoni nelle lingue], cc. 76-85

R.7a [Scrittura, pronuncia e diversità delle lingue] (include OOpp..99aa e OOpp..99bb), cc. 76r-83vR.7b De incommodis ex prava pronunciatione ortis [OOpp..99cc], cc. 83v-85r

R.8 [Sulla natura della conoscenza. Appunti], cc. 90-91R.9 [Prefazioni], cc. 92-107

R.9a Eloquentia certis et immotis principiis nititur. Praefatio, cc. 92r-93vR.9b Homines histriones. Praefatio [OOpp..1100], cc. 93v-94vR.9c Praefatio ad orationem M.T. Ciceronis contra Caecilium, cc. 96r-97r R.9d [Eloquenza di Cicerone], cc. 100r-102r R.9e [Sui pregi dell’eloquenza], c. 102r-102v R.9f Praefatio ad orationem Ciceronis pro M. Fontejo, cc. 102v-103v R.9g [Contro i detrattori della lingua latina], cc. 103r-105v R.9h Praefatio ad orationem Ciceronis pro lege Manilia, cc. 105v-107v

R.10 [Lezioni sulla lingua ebraica], cc. 110-131R.10a 11, cc. 110r-114vR.10b 12, cc. 116r-120vR.10c 13, cc. 122r-126v R.10d 17, cc. 128r-131r

Tavola 2. Contenuto del testimone R1

Anche in questo caso, ad ogni testo è stata at-tribuita una sigla identificativa (R più numero d’or-dine della prima apparizione nel manoscritto); i ti-toli in latino sono quelli attribuiti nella descrizione(Appendice 2); ai testi per cui il manoscritto nonpermette di risalire a un titolo d’autore è stato at-tribuito un titolo descrittivo in italiano, segnalatodalle parentesi quadre. Se un testo è presente piùvolte nel manoscritto, viene menzionato una voltasola, con l’indicazione delle diverse carte in cui ècontenuto.

In questa disordinata congerie di testi possia-mo isolare, semplificando, due gruppi principali:il primo e più cospicuo è dato dai testi denomina-ti Praefationes (dall’autore, o Prefazioni dal sotto-scritto: sono R.3, R.4, R.6, R.9); il secondo è datodall’ultimo gruppo di quattro lezioni numerate

raccolte in R.10. Restano fuori R.1 e R.2, che so-no due elenchi di titoli, il primo dei quali è alme-no in parte riferibile alle stesse Prefazioni appenamenzionate; R.5 e R.8, che sono invece due rac-colte di appunti, la prima probabilmente destina-ta a una o più lezioni; infine c’è R.7, un breve te-sto composito dedicato alla pronuncia delle lin-gue. Della natura, datazione, contenuti di tuttiquesti testi, non riconducibili a nessuno dei tipirappresentati nella stampa del 1810, diremo me-glio al § 5.

Passiamo intanto all’esame dell’altro e più co-spicuo testimone, il manoscritto B di Vicenza. An-che in questo caso faccio riferimento alla descri-zione in appendice (Appendice 3), sulla base dellaquale propongo una tavola dei contenuti analogaalla precedente.

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B.1 [Sulla lingua fenicia], cc. 1-10B.1a [Acroasis 1], cc. 1r-5vB.1b [Acroasis 2], cc. 7r-10v

B.2 [Sui fondamenti dell’etimologia], cc. 11-14B.3 De primaeva lingua, cc. 15-39, 46-51, 59-63

B.3a Acroasis I, cc. 15r-22rB.3b Acroasis II, cc. 24r-29rB.3c Acroasis III, cc. 30r-34(bis)rB.3d Acroasis IV, cc. 35r-39rB.3e Acroasis V, cc. 46r-51rB.3f Acroasis VI, cc. 59r-62v

B.4 De universae et praecipue graecae eloquentiae originibus. Acroasis IV, cc. 40-44 [OOpp..55]B.5 [Sulle origini dell’eloquenza], cc. 52r-57rB.6 [Sull’eloquenza e la poesia nell’antica Grecia], cc. 64-68, 70

B.6a [unità 1], cc. 64r-66vB.6b [unità 2], cc. 67r-68v, 71r

B.7 [Sulla pronuncia del greco antico], cc. 69-70B.8 [Lezioni sulla lingua ebraica], cc. 72-84, 89-109

B.8a 18, cc. 72r-75vB.8b 19, cc. 78r-83rB.8c 20, cc. 84r-84v, 12r-13v, 89rB.8d 21, cc. 90r-92vB.8e 22, cc. 94r-99vB.8f 23, cc. 100r-105rB.8g 24, cc. 106r-108rB.8h [25], c. 109r-109v

B.9 [Sull’evoluzione e i difetti della pronuncia], cc. 85-88

Tavola 3. Contenuto del testimone B

Anche qui riconosciamo a prima vista duegruppi di testi che appartengono a tipologie già no-

te: una nuova serie di lezioni numerate (B.8) ana-loga a R.10, e due cicli di acroases (B.1 e B.3) in tut-

to simili a quelli già riscontrati in Op, composti ri-spettivamente di due e sei unità(25).

Quanto al resto: la Tavola 3 identifica già inB.4 una acroasis isolata appartenente a una serieconservata intera in Op; i testi rimanenti hanno ingran parte caratteristiche analoghe, sono cioè le-zioni isolate, di cui però non è attualmente possi-bile risalire alla destinazione. È il caso di B.2, B.5,B.7, B.9, nonché delle due unità che formano B.6,le quali tuttavia portano ancora chiari i segni diun lavoro in corso, e su cui dovremo tornare(§ 6.2).

Questo può bastare, almeno per una primasommaria sistemazione dei materiali di B: ma la si-tuazione di questo manoscritto è decisamente com-plicata da una quantità di manipolazioni, sposta-menti, smembramenti e ricostituzioni di unità te-stuali non facilissimi da seguire. Anche su questotorneremo al § 6: quanto detto è intanto sufficien-te per un primo bilancio.

Prima ancora di questo bilancio, tuttavia, c’èspazio per un’ulteriore osservazione complessivasui due manoscritti e sul loro statuto. Come sievince dalle descrizioni in appendice, questi sipresentano per lo più come fascicoli di carte ver-gate da copisti di professione (sette in tutto: cfr.la Tavola 4 in appendice) con integrazioni e cor-rezioni autografe. Viene così subito spontaneopensare ai passi delle lettere citate al § 2, in cuiPieri prima e Cesarotti poi danno notizia dei la-vori di copiatura per il famoso «tomo di cose La-tine» in preparazione: non sarà per caso che ci tro-viamo di fronte proprio ai materiali preparatori

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per l’allestimento di quel volume promesso a Ro-sini(26)? Il fatto che i nostri materiali si trovino con-servati insieme a testi riconducibili per lo più al-l’ultima parte della vita dell’autore (la Pronea, ilprogetto di riforma dell’Università, varie letteretarde) può farlo pensare, e in verità che la loropresenza in questo contesto sia in qualche modocollegata al progetto di edizione menzionato daCesarotti nell’epistolario non può essere escluso;ma quanto alle carte in sé, un esame ravvicinatopermette di escludere categoricamente che si trat-ti di copie realizzate in vista di quell’edizione. Sipuò al contrario affermare con certezza (almenoper le carte incluse in B e per l’ultima parte di R1:il ciclo di lezioni sull’ebraico) che ci troviamo difronte a stesure molto alte cronologicamente,ascrivibili agli stessi anni in cui Cesarotti teneva lesue lezioni universitarie: forse proprio le stessecarte usate per le lezioni. Lo si evince tra l’altrodal tipo di inserti d’autore che vi si trovano, spes-so incompatibili con una manipolazione interve-nuta a distanza di varie decine d’anni: ma comevedremo è tutta l’intricata vicenda di queste car-te, di cui daremo conto al § 6, a rimandare ai pri-mi anni Settanta. Quanto agli inserti, comunque,si veda almeno a titolo di unico esempio questa in-tegrazione (tra parentesi uncinate) vergata da Ce-sarotti in grafia minutissima alla c. 30r del mano-scritto B (di mano d), nello spazio ristretto del-l’interlinea e del margine destro:

Afferam ergo ea omnia, que ¶ adversarii pre¶dictis re-gerunt: causam agam Historici fide, non patroni sollici-tudine: mea opera laus aut culpa aliena esto, sententiavestra. < Tua pre¶sertim Professor egregie, quem et ami-cissimum, et multis ingenii atque animi laudibus nobi-lem, in ampliore locatum sede tum mihi gaudeo, tumhuic Gymnasio, cui non mediocris glorie¶ accessio futu-ra est summopere gratulor. >

È un’integrazione, evidentemente, che ha sen-so solo nelle immediate vicinanze dell’esecuzione(come vedremo ascrivibile ai primi anni Settanta):o subito prima, in previsione della presenza in sa-la del personaggio menzionato; o subito dopo, perregistrare l’estemporaneo omaggio fatto in sala almedesimo, la cui presenza non era stata prevista infase di stesura. Non certo trent’anni dopo.

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(25) Nel caso di B.1 manca ogni indicazione d’autore sul-lo statuto delle due unità, semplicemente giustapposte nelmanoscritto senza numerazione né titolo: ma i segnali in-terni di coesione non lasciano dubbi. In Fantini D’Onofrio,Melchiorre Cesarotti cit., p. 92, a questo testo è erronea-mente attribuito il titolo De Eumolpo et Cereris fabula (lostesso di Op.8: cfr. sopra, § 2), sulla scorta di una didascalialeggibile nel foglio di guardia di B: «De Cereris fabula, tumde etymologicâ arte, ac de fabularum explicatione ab Phe-niciâ linguâ petendâ. ann. 1778» (cfr. l’Appendice 3). In real -tà non si tratta dello stesso testo pubblicato nelle Opere, madi un ciclo di lezioni pronunciato verosimilmente subito do-po, come si evince dall’incipit («Cum in Cereris fabulâ exdiversorum et clariorum interpretum mente explanandâPhe¶nicia lingua utramque, ut probe meministis, paginam fe-cerit, juvat jam ejus lingue¶ per Gre¶ciam peregrinantis histo-riam persequi»). Se proprio si vuole ricavare dalla didasca-lia un titolo più plausibile bisognerà dunque guardare all’ultima parte della stessa: De fabularum explicatione ab Phe7niciâ linguâ petendâ.

(26) L’ipotesi è avanzata da Valentina Gallo, Gli auto-grafi cesarottiani cit.

4. Altri testimoni (P e K). – Devo ritardare an-cora un po’ il bilancio preannunciato al paragrafoprecedente, perché è necessario prima porre il pro-blema dell’esistenza di altri testimoni, oltre a quel-li appena esaminati, che potrebbero entrare nellanostra ricostruzione. Le ricerche non hanno finoraportato risultati significativi da questo punto di vi-sta: questo naturalmente non significa che altriframmenti del fondo cesarottiano di testi universi-tari non possano essere conservati in qualche sedeo fondo non ancora esaminati; è anzi ben probabi-le che sia così, ma per ora quanto menzionato èpressoché tutto ciò che abbiamo a disposizione.Gli unici altri testimoni che possiamo aggiungere aquelli già descritti riguardano al momento la solaprolusione inaugurale del 1769 (Op.1). Come si è

visto, Cesarotti la fece stampare lo stesso annopresso la stamperia Penada (d’ora in poi ci riferi-remo a questo testimone come P); prima però, po-co dopo l’esecuzione in pubblico, ne aveva anchefatto tirare una copia da inviare al già citato corri-spondente olandese Van Goens: copia ora conser-vata alla Koninklijke Bibliotheek dell’Aja (d’ora inpoi K). L’intera vicenda è ricostruita nel mio arti-colo del 2012 (La prolusione «De linguarum studii»cit.), a cui rinvio per ogni ulteriore dettaglio.

Terminata così la rassegna dei testimoni noti,possiamo offrire anche un quadro sintetico delleloro sovrapposizioni, ossia dei testi che presenta-no attestazioni multiple. Sono pochissimi, come sivede nella Tavola 4 seguente(27):

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Tavola 4. Sovrapposizioni tra i testimoni Op, R1, B, P, K

Salvo queste minime sovrapposizioni, insom-ma, i tre testimoni principali si integrano tra lorocoprendo sostanzialmente tre aree distinte dellaproduzione didattica di Cesarotti, senza tuttavia ar-rivare a esaurirla. Nei casi di sovrapposizione siconstata che la stampa riproduce sempre l’ultimostadio elaborativo del manoscritto. In Op.5, adesempio, troviamo integrate a testo tutte le rilevantimanipolazioni (tagli, riscritture, correzioni) che siosservano nel testo dell’unica acroasis pervenutacimanoscritta (B.4): le carte di B rappresentano dun-que sicuramente in questo caso l’antigrafo (direttoo indiretto: impossibile accertarlo) della stampa cu-rata da Barbieri.

5. I testi: tipologia e cronologia. – Finita la ras-segna dei testimoni, possiamo ormai finalmenteprovare a raccogliere i fili dell’analisi in una sinte-tica tipologia dei testi pervenutici: una tipologiache a sua volta possa integrarsi nel profilo del Ce-sarotti professore sbozzato nella prima parte diquesto articolo. Questa operazione ci porta imme-diatamente a riconoscere quattro principali tipi di

testi, ascrivibili ai tre distinti periodi dell’attività diCesarotti isolati al termine del § 1. Ossia, nell’or-dine: le prefazioni, risalenti al periodo dell’inse-gnamento al Seminario di Padova (avanti il 1759);le prolusioni ai corsi più un Corso sulla lingua ebrai-ca, ascrivibili al primo biennio dell’insegnamentouniversitario(28); e infine i cicli di acroases, posterio-ri alla riforma del ’71. Ci sono infine vari testi cherimangono fuori da questa griglia: o perché anco-ra troppo frammentari per giustificare l’attribuzio-ne a uno o all’altro tipo, o perché effettivamente ir-riducibili alle quattro classi elencate. Ma di questitratteremo dopo: vediamo intanto analiticamente

TTiittoolloo OOpp RR11 BB PP KKDe linguarum studii origine, progressu, vicibus, pretio Op.1 P KDe universae et praecipue graecae eloquentiae originibus Op.5 (B.4)De scriptoriae artis origine Op.9a (R.7a)De incommodis ex prava pronunciatione ortis Op.9b (R.7a)De varia variorum populorum pronunciatione Op.9c R.7bHomines histriones. Dialogus Op.10 R.9b

(27) Il titolo è sempre quello della stampa Op; nelle co-lonne relative ai singoli testimoni compaiono le sigle identifi-cative della parte che riporta il testo; le parentesi indicano cheil testo del manoscritto non coincide (perché più ampio o piùristretto) con quello di Op; nel caso di P e K, infine, è l’inte-ro contenuto del testimone a coincidere con il testo di Op.

(28) Circa il parallelo Corso sulla lingua greca che Cesa-rotti dovette tenere nel corso dello stesso biennio, cfr. quan-to si dirà al § 6.2.

caratteristiche e consistenza di ciascuna di questequattro categorie principali.

5.1. Le «Praefationes». Questa prima tipologiadi testi si trova tramandata nel solo R1 (come det-to si tratta dei gruppi R.3, R.4, R.9 della Tavola 2,comprendenti in tutto una ventina di unità)(29), edè a prima vista un po’ enigmatica. Si tratta di testibrevi, in genere espressamente destinati a intro-durre cicli di lezioni di argomento storico letterario(l’oratoria, per lo più) o linguistico (il latino). Unaporzione cospicua (sette unità) presenta inoltre unasingolare struttura bipartita, con una prima parteche funge da introduzione, e una seconda (spessocon titolo separato) che contiene il vero nucleo ar-gomentativo o talora letterario del testo(30).

A cosa corrisponda questa struttura, a qualioccasioni fossero riservati i singoli testi non è chia-ro, ma a una lettura distesa risulta del tutto evi-dente che appartengono al periodo dell’insegna-mento giovanile di Retorica al Seminario di Pado-va: questo del resto è se non altro provato dallapresenza in questo gruppo del dialogo Homines hi-striones (R.9b; Op.10), che in Op viene attribuitocome si è visto (§ 2, n. 19) proprio al periodo delSeminario. A questo va aggiunto almeno il caso diR.9g (Contro i detrattori della lingua latina), che in-clude una reazione a caldo, discretamente polemi-ca, nientemeno che alle Lettere virgiliane di Betti-nelli, che com’è noto uscirono anonime nel 1757 edel cui autore il giovane abate mostra o finge diignorare ancora l’identità: siamo insomma all’in-domani della pubblicazione, o comunque nei me-si immediatamente successivi. All’insegnamento diRetorica tenuto al Seminario rimanda del resto l’ar-gomento di molti di questi testi (come si vede be-nissimo dai titoli, molte praefationes riguardano Ci-cerone e introducono all’analisi di sue orazioni; iltesto R.4a è dedicato agli inserti di oratoria neglistorici classici, in particolare Livio, ecc.)(31).

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Lo stesso dicasi anche per le ripetute difese dellatino come lingua della didattica (R.3a, R.4h,R.9g). Nel De linguae latinae laudibus (R.4h), adesempio, Cesarotti si scaglia contro i molti che «exTransalpini alicujus libelli lectione, modico impen-dio» si attribuiscono il titolo di letterati e ritengonodi non essere abbastanza eleganti e alla moda se nondenigrano il latino e non sentenziano gravementeche «pessime a nobis juventuti consultum, qui eamin hac obsoleta, et inurbana lingua, per tot annosmolestissime exerceamus». È chiaro che qui Cesa-rotti si sta inserendo in un dibattito piuttosto viva-ce a partire dalla metà del secolo, che vedeva moltiintellettuali progressisti schierati a favore dell’in-troduzione dell’italiano nell’insegnamento scolasti-co, per lunga consuetudine orientato invece al lati-no, oltre che esclusivamente in latino(32). Analoga-mente, nella citata praefatio contro Bettinelli (R.9g),la ragione specifica dell’attacco di Cesarotti al ge-suita è la quarta legge del «Codice nuovo di leggidel Parnaso italiano» con cui si chiudono le Letterevirgiliane: «La poesia latina si legga ed intenda, af-fin di perfezionare l’italiana. Chi pretende di riu-scire eccellente poeta latino, essendo nato italiano,condannisi a comporre dentro d’un mausoleo, poi-ché scrive ai morti»(33). Scopriamo in sostanza unCesarotti difensore a oltranza di un autentico fer-rovecchio della pedagogia tradizionale qual era lacomposizione poetica in latino, il che può magaristupire nel giovane ammiratore degli illuministi; maoltre alla congenita prudenza a cui sempre sarà ispi-rata la condotta dell’abate, occorre certo anche te-ner conto del fatto che nel caso specifico le criticheprogressiste minavano alla base l’istituzione stessain nome della quale egli si rivolgeva al suo pubbli-co: dopo tutto la prolusione a un corso di latino nonera forse il luogo migliore per proclamare l’obsole-scenza pedagogica del medesimo.

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(29) Nonostante il titolo, lascio da parte come si vede iltesto R.6, pure denominato Praefatio, ma che per varie ra-gioni appare irriducibile agli altri, e probabilmente appar-tiene a un momento successivo. Cfr. oltre, § 5.5.

(30) Cfr. la descrizione in appendice: si tratta più esatta-mente dei testi R.3 (a, b, c), R.9a, R.9b, R.9d, R.9g. L’elen-co include come si vede anche il dialogo Homines histrio-nes (R.9b) di cui si dirà subito sotto.

(31) Per la stessa ragione si può pensare che apparten-gano al periodo della didattica al Seminario anche gli ap-punti in latino sui retori greci, con stralci di orazioni tra-

dotte e commentate, che costituiscono R.5, uno dei testi“non classificabili” menzionati al § 3: verosimilmente desti-nati a una o più lezioni sulla retorica greca. Sull’importanzadell’oratoria nell’insegnamento impartito ai futuri chiericinel Seminario padovano (dominata da un «vero e proprio‘culto’ di Cicerone», ma che non tralasciava l’oratoria greca),cfr. Benedetto, Cesarotti e gli oratori attici cit., p. 193.

(32) Cfr. le sintesi di T. Matarrese (Il Settecento, Bolo-gna, il Mulino, 1993, pp. 21-40) e N. De Blasi (L’italiano nel-la scuola, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Seriannie P. Trifone, vol. I, I luoghi della codificazione, pp. 400-3).

(33) S. Bettinelli, Lettere virgiliane, in Opere di FrancescoAlgarotti e di Saverio Bettinelli, a c. di E. Bonora, Milano-Napoli, Ricciardi, 1969, p. 681.

Pochi di questi testi, ad ogni modo, hanno spe-cificamente a che fare con argomenti linguistici: an-che se in compenso si tratta talvolta di documenti diun certo interesse. Citerò solo il caso di R.3a, Per-fettibilità della lingua latina, che nel sostenere la li-ceità di arricchire lessicalmente il latino (un temacursoriamente toccato anche nel Saggio)(34), mettein campo argomenti che potrebbero essere util-mente confrontati con quelli spesi oltre venticinqueanni dopo per l’italiano nell’opera maggiore.

In generale, insomma, chi vorrà ricostruirel’esperienza giovanile di Cesarotti troverà in questepraefationes documenti preziosi per capire nonsemplicemente le idee linguistiche, ma più in ge-nerale le posizioni del giovane professore all’inter-no del Seminario, tra slanci e compromessi, e anchela sua didattica spigliata e talora ironica fino al-l’istrionismo: un modo di porsi che non avrà ov-viamente uguali nel periodo universitario. Ne è undocumento eloquente, tra tanti, uno di quei testibipartiti di cui si è detto sopra, la Praefatio intito-lata Rhetorica post scientias discenda (R.3b), in cuialla prima parte che sostiene la tesi del titolo fa se-guito la paradossale e antifrastica Responsio («Au-distis? Papae!») di un ipotetico pedagogo tradi-zionalista: scritta per essere agita più che letta e tut-ta orientata a strappare il riso, che notoriamente èil sale delle polemiche illuministe. Non si fatica acredere che gli anni del Seminario fossero stati, co-me Cesarotti ebbe a confidare anni dopo al Bar-bieri, «i più giocondi del viver suo»(35).

5.2. Le prolusioni. Anche se spesso nella bi-bliografia si parla genericamente di Op come di unvolume di «prolusioni latine», le vere e proprieprolusioni (cioè orazioni pronunciate in aperturadi corso o di anno accademico) sono solo due, dinatura molto diversa tra loro(36). La prima è il più

volte citato De linguarum studii origine ecc., chepiù che l’introduzione a un insegnamento o a unanno accademico è l’introduzione programmaticaa un’intera carriera: un testo pubblico e ufficiale,non a caso il solo che Cesarotti abbia voluto darealle stampe, come si è visto. Più strettamente lega-to alla didattica è invece il De Hebraicae linguae stu-dio (Op.2), che come già visto ai §§ 1 e 2 (si torniin particolare alla n. 13) costituisce verosimilmen-te la prolusione pronunciata per il secondo annodi insegnamento, 1769-70: la sua prima e unicaprolusione a un corso universitario, a quanto pare,dal momento che l’anno prima, per il corso di gre-co, Cesarotti non aveva ritenuto di dover pronun-ciare una prolusione specifica, e che nel nuovo or-dinamento introdotto nel 1771 le prolusioni nonerano a quanto pare previste.

Notevole in questo testo l’evidente intento diCesarotti, tiepido e incerto ebraista, di ancorare ilpiù possibile il proprio insegnamento di linguaebraica ai territori più sicuri del greco. L’occasionegli viene offerta dall’opera del teologo ed eruditoprotestante Samuel Bochart (1599-1667), già riccadi suggerimenti per Vico: a lui è infatti esplicita-mente ascritta l’idea portante del testo, secondo cuimolta parte della mitologia su cui faticavano gli stu-denti di greco poteva essere ricondotta a originariefonti ebraiche, mediate dal fenicio e deformate nel-la ricezione dai normali meccanismi del prestitolinguistico. È in fondo una applicazione di queiprincipi teorizzati nella prolusione del ’69, secon-do cui lo studio delle lingue esigeva una stretta col-laborazione tra erudizione, filologia e filosofia.Grazie a questi strumenti anche lo studio appa-rentemente più ozioso della pedagogia classicista,ovvero quello delle favole mitologiche, poteva co-sì essere riguadagnato a un approccio filosofico, efarsi utile via d’accesso a una comprensione realedell’uomo e della sua evoluzione cognitiva. Senzal’ebraico – ammoniva Cesarotti – lo studio del gre-co non può essere che superficiale: «Ecquid spera-tis posse vos in Graecorum Mythologia, hoc est inCosmogonia, Theogonia, Religione, Historia essealiquid, nisi Hebraica lingua densissimis tenebrisquibus haec litteraturae pars obsidetur, facem prae-luxerit?» (Op, p. 48).

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(34) Cito dall’ediz. Bigi, in Dal Muratori al Cesarotti, Mi-lano-Napoli, Ricciardi, 1960, II XVI, p. 344, e nota 7.

(35) Cit. da Chiancone, La scuola del Cesarotti cit., p. 31,che parla anche dei «metodi di insegnamento coraggiosi ealternativi» messi in atto al Seminario (p. 36). Sono preci-samente questi i testi menzionati da Mazzoni, La questionedella lingua nel secolo XVIII cit. (cfr. sopra, n. 3), che ne lo-da il «vivace latino» e riproduce, ritenendoli esemplari dididattica universitaria, stralci di R.3a (Perfettibilità della lin-gua latina), R.4h (De linguae latinae laudibus), R.9g (Con-tro i detrattori della lingua latina): tutti in vario modo lega-ti ai temi della lingua latina e della francese.

(36) Il fatto che occupino i primi due posti in Op ha pro-babilmente indotto la generalizzazione, che si è estesa an-

che alla data, per cui il 1769 (a rigore valido solo per il pri-mo testo, e forse per il secondo) è stato talvolta indebita-mente esteso ai successivi: cfr. Roggia, «De naturali lingua-rum» cit., p. 47 e n.

5.3. Il corso sulla lingua ebraica (1769-70). Co-me si intuisce già dalle tavole del § 2, le due serienumerate presenti in R1 (R.10: lezioni 11, 12, 13,17) e B (B.8: lezioni 18, 19, 20(37), 21, 22, 23, 24,[25]) fanno parte di uno stesso ciclo, e si integranoa vicenda: nell’insieme è forse questa la maggioreacquisizione dei manoscritti al dossier delle opereuniversitarie del nostro abate. Come si evince dal-la descrizione in appendice, Cesarotti si avvale inquesto caso per la trascrizione in bella di due co-pisti, d e z, che apparentemente si alternano: d tra-scrive le unità 11-13 e 17; poi z 18-19; poi di nuo-vo d 20-21; ancora z per 22-23 e infine di nuovo dper 24, mentre è autografo il frammento di lezione[25] che chiude il ciclo in B. Non è chiaro se que-sti due copisti lavorino parallelamente a diverse le-zioni (come pare più probabile) o se invece riflet-tano due stadi differenti di elaborazione del testo.Come vedremo meglio al § 6.2, inoltre, è molto ve-rosimile che a questo ciclo di lezioni vadano recu-perate anche le sei acroases che formano il De pri-maeva lingua (B.3), anch’esse di mano d e di argo-mento ebraico: che dovevano in origine collocarsiprima del gruppo appena ricostruito, entro le pri-me dieci unità.

Nell’insieme, ci troviamo di fronte a un cospi-cuo frammento di quel tipo di didattica che impe-gnava il neoprofessore nei suoi primissimi anni diinsegnamento, prima cioè della riforma del ’71: an-ni in cui (come si è visto) «essendo […] obbligatoa legger in pubblico tutti i giorni straordinari eratutto assorto dal peso delle sue lezioni ch’egli la-vorava colla stessa diligenza, come se dovesse stam-parle». Che le lezioni di cui parliamo siano proprioquelle del corso del ’69-70, lo stesso che tenne die-tro alla prolusione citata al precedente paragrafo,ce lo conferma un passaggio della ventesima lezio-ne, che si ricollega proprio al passo di quella pro-lusione menzionato in chiusura del precedente pa-ragrafo:

oblatur mihi tempus, quo et potissimum Hebraice ¶ lin-gue¶ pretium in optimo lumine collocem, et obligatam vo-bis fidem exsolvam. Recepi enim, si meministis, cumineunte litterario curriculo scholasticis exercitationibusauspicarer, recepi, inquam, memet opportuno locoostensurum, frustra in Mythologia cognoscenda locari ope-ram nisi Hebraica lingua facem pre ¶luxerit, et plerasque

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Gre¶corum fabulas ab Phe¶nicii idiomatis, ce ¶terorumqueaffinium ignoratione fluxisse (B.8c, c. 84r-84v, mio il cor-sivo).

Certo non di questo solo trattava il corso: que-sta “svolta mitologica” interviene solo all’altezzadella ventesima lezione, o meglio tra la ventesima ela ventiduesima. Per dare un’idea più precisa deicontenuti del corso, finora del tutto sconosciuto,ne fornirò di seguito un sunto abbastanza analitico,lezione per lezione, limitandomi alle unità 11-25.

Una prima parte del corso, cui appartengono le pri-me lezioni pervenuteci, doveva essere impostata comeuna sorta di storia linguistica del popolo ebraico, con-dotta inseguendo il mutamento e la progressiva corru-zione della sua lingua. La prima lezione si apre confu-tando la teoria di un «eruditus disputator», esposta altermine della lezione 10, secondo cui la lingua ebraicaera morta dopo Mosè, ai tempi dei Re. Non meno in-gannevole, d’altra parte, è l’opinione opposta di chi neprolunga eccessivamente la vita: è invece verosimile chel’ebraico fosse progressivamente divenuto una lingua sa-cra, nota ai sacerdoti e fissa anche dopo che la lingua po-polare era ormai cambiata, com’è stato per il latino nelMedioevo [Lezione 11]. Nessuna delle opinioni esami-nate nelle due precedenti lezioni risulta insomma del tut-to accettabile: se ne può però almeno ricavare che la lin-gua ebraica fosse «semimortua» alquanto prima, e «de-mortua» alquanto dopo di quanto si creda. Già un seco-lo prima della prigionia babilonese la lingua mosaica ave-va infatti in sé i germi della corruzione, come il latino aitempi delle invasioni barbariche. La dispersione degliebrei, le guerre e le immigrazioni in Giudea di popolistranieri fecero sì che presso la moltitudine indottal’ebraico si mescolasse via via ad altre lingue, soprattut-to alla caldea: mantenendosi fisso presso i sacerdoti e idotti, mentre nel frattempo il popolo si disperdeva lin-guisticamente in diversi dialetti. Quest’ultima osserva-zione dà spunto a un breve inserto di respiro teorico sulcambiamento linguistico e sul rapporto lingue-dialetti.La «motio» della lingua ebraica ebbe dunque inizio ve-rosimilmente al tempo di Salomone, mentre il successi-vo periodo di guerre e invasioni, culminato con la pri-gionia babilonese, vide accentuarsi il mutamento: al lo-ro rientro a Gerusalemme, gli ebrei non usavano ormaipiù l’avita lingua mosaica, ma una lingua nuova, che pre-sto fu nota come caldaico. Non lo stesso antico caldaicodi Abramo, ma un ebreo-caldaico o neoebraico, in cuiaffluivano i contributi di diverse parlate mesopotamiche.[Lezione 12]. Si passa poi a considerare l’idioma siro-caldaico, che secondo l’opinione comune era la linguaeffettivamente parlata all’epoca di Cristo. Innanzitutto èpresa in esame la tesi di Vossius (l’erudito olandese Ger-rit Janszoon Vos, 1577-1649), nella versione datane daun «vir inter Italos doctrina et ingenii sollertia pernobi-lis», secondo cui il siro-caldaico era in realtà scomparsoben prima della nascita di Cristo, sostituito dal greco, lalingua effettivamente parlata a Gerusalemme: si inizia

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(37) L’unità 20 si trova in realtà smembrata in B, e va ri-costruita: cfr. oltre § 6.2, e Appendice 3.

quindi a ripercorrere le tappe della diffusione del grecoin Asia minore in epoca alessandrina [Lezione 13].L’esame dell’ipotesi vossiana doveva proseguire nelle le-zioni non pervenuteci [Lezioni 14-16]. Riassumendo, laposizione dell’«Italus vir» menzionato sopra si compo-ne di due tesi: 1. la lingua greca era comune ai giudei daltempo dei maccabei fino a quello di Cristo; 2. la linguacaldaica si era persa più o meno dallo stesso momento.A un esame ravvicinato risulta che la prima appare di-mostrata in modo incontrovertibile, ma la seconda no.Come attestano varie fonti storiche, infatti, la resistenzadegli ebrei ai conquistatori grecofoni fu costante e acca-nita: è dunque inverosimile che questi abbandonasserouna lingua così legata alla loro identità per abbracciarequella dei dominatori; né è possibile pensare che la lin-gua caldea e la greca si mescolassero, non solo per le ra-gioni appena menzionate ma anche per la diversità strut-turale tra di esse [Lezione 17]. Tra i vari argomenti con-trari a questa ricostruzione che si potrebbero portare,particolare peso ha quello secondo cui già da cent’anniprima di Cristo si leggeva a Gerusalemme la Bibbia nel-la traduzione greca dei Settanta. Ma è verosimile chequesta prestigiosissima versione abbia solo affiancato,non obliterato, quella caldaica: d’altra parte vi sono va-ri passi dei Vangeli e prove esterne che permettono diinferire un uso liturgico di versioni caldaiche del sacrocodice [Lezione 18]. Altro argomento: se gli apostoli,come Cristo, erano fin dall’infanzia abituati alla linguacaldaica, perché scrissero in greco? La questione si chia-risce assumendo che gli ebrei fossero bilingui dal tempodei maccabei fino alla distruzione di Gerusalemme, eche l’uso del greco per i Vangeli si imponesse per ragio-ni sia di prestigio del codice sia di universale diffusionedel messaggio. L’evoluzione linguistica successiva chia-ma in causa poi nuovamente la distinzione tra utenti col-ti e incolti: se i primi infatti potevano conservare le duelingue separate e servirsene all’occorrenza, i secondi ten-devano a mescolarle. Fu appunto questa mescolanza asegnare un ulteriore passaggio nella storia linguistica diquest’area. Da essa ebbero infatti origine due idiomiibridi, distinti a seconda del diverso dosaggio di greco ecaldaico: da un lato la lingua «ellenistica», dall’altro la«neocaldaica». Ciascuna di esse si avviò poi a sua voltaa un progressivo mutamento, al termine del quale do-vette risultare del tutto opaco il rapporto rispettiva-mente con la greca e la caldaica. Le vicende successive(dominazione romana, incursioni e influenze dei persia-ni, arrivo degli arabi) produssero ondate successive dicontaminazione. Tutto il Medio Oriente postromano èteatro di continue mescolanze e nascite di nuovi idiomi:l’arameo nato in Siria dalla confluenza di greco, arabo epersiano; il copto, nato in Egitto dalla mescolanza di gre-co e arabo; il rabbinico in Giudea, fatto di vocaboli gre-ci, latini, persiani e arabi. Così la lingua caldaica, cognatae vicaria dell’ebraico, svanì del tutto, e gli ebrei ormaisenza più patria e in posizione subordinata non ebberoaltro idioma che quello dei popoli presso i quali anda-rono a vivere [Lezione 19].

La lingua ebraica, intendendo ormai con questo no-me quella «Abramidarum generi propria», sarebbe adogni modo rimasta confinata a uno spazio e a una riso-

nanza modesti, se non fosse stato per la religione cristia-na. Tuttavia anche un altro veicolo, indiretto, ha contri-buito alla sua diffusione in altre lingue, e questa è la lin-gua fenicia: una lingua intrinsecamente espansiva, que-sta, perché propria di un popolo navigatore. Nelle suc-cessive «disputationes» si vuole quindi, seguendo le pe-regrinazioni dei fenici, far emergere le tracce della lorolingua presenti nella mitologia e toponomastica di altriidiomi, restituendo così indirettamente all’ebraico ciòche generalmente viene attribuito al greco. Ma siccomel’intera questione poggia, oltre che su testimonianze sto-riche, su prove etimologiche, prima di cominciare sonoesposti i principi fondamentali dell’etimologia. Punto dipartenza è per questo la diversità degli «alphabeti» e de-gli «accentus» delle diverse lingue, che dipendono infattidal grado di sviluppo, flessibilità e prontezza degli orga-ni fonatori presso diversi popoli: l’approfondimento diquesto tema richiede quindi una preliminare esplorazio-ne, in termini di meccanica fonatoria, della natura deisuoni, delle vocali e delle consonanti [Lezione 20]. Que-ste differenze fisiche sono la prima ragione per cui i vo-caboli nel passare da una lingua a un’altra modificano illoro aspetto; a questa se ne aggiungono varie altre, do-vute a difetti o a raffinatezze di pronuncia, all’adatta-mento analogico delle parole straniere nella lingua acco-gliente, al transito per via scritta, ecc. Esposti dunque i«vitiorum fontes quae in vocabula aut illabuntur aut in-gruunt», si passa a mostrare come questi siano fonti di er-rori nell’interpretazione del senso, con ricostruzioni fan-tasiose, che possono sfociare nella creazione di vere eproprie «fabulae», narrazioni mitiche, com’è illustratoda due esempi moderni, l’oronimo Monte Pilato neipressi di Vienne in Francia, e il toponimo Tour sans veninnel Delfinato [Lezione 21]. Esposte così le affezioni a li-vello dei suoni e le vicissitudini semantiche cui sonoesposti i vocaboli nelle loro peregrinazioni interlingui-stiche, diventa possibile estrarre alcune regole generali(«canonae») dell’arte etimologica, che vengono espostee puntellate con esempi tratti da lingue diverse, europeee non. Vige comunque il principio generale per cui anchequando gli elementi formali e semantici convergono asupportare una derivazione, l’ultima parola spetta allostorico e all’erudito, senza il cui consenso l’etimologianon può dirsi provata [Lezione 22].

Stabilito che questi principi saranno i cardini dellerestanti parti del corso, ci si può dedicare alla lingua fe-nicia «in cuius praecipue gratia haec hactenus a nobisdicta». Fenicio, ebraico, siriaco, caldaico, arabo sono tut-ti dialetti fratelli, per cui si può usare uno per illustrarel’altro; sul fenicio in particolare sono passate in rassegnaalcune informazioni preliminari: origine del nome, ori-gine della popolazione, direttrici delle sue peregrinazio-ni marittime. L’esposizione tocca poi analiticamente letappe delle migrazioni fenicie, alla ricerca di tracce delfenicio nella toponomastica e nella mitologia delle po-polazioni del Mediterraneo: si parte da Cipro [Lezione23]; si continua con la Sicilia e la Licia cui si lega la spie-gazione etimologica del mito della Chimera tricipite [Le-zione 24]; di qui alla Caria, e poi a Rodi, con spiegazio-ne dell’etimologia e mito dell’oronimo Atabirius [Lezio-ne 25, incompleta].

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L’articolazione in capoversi di questo lungoriassunto indica i tre momenti in cui è articolataquesta sezione del corso: una prima parte dedica-ta alla storia linguistica di lungo periodo degli abi-tanti della Palestina; cui segue un raccordo, di ta-glio più teorico, sui fondamenti dell’etimologia; einfine una terza parte, forse destinata a prolun-garsi fino al termine del corso, dedicata ai rapportitra ebraico e greco mediati dal fenicio. Come det-to, se l’ipotesi che esporremo al § 6.2 è valida, inquesto piano dovrebbero essere integrate anche lesei lezioni poi raccolte nel ciclo De primaeva lin-gua, dedicate a smentire l’ipotesi che l’ebraicopossa essere stata la lingua adamitica: un argo-mento preliminare che andrebbe collocato vero-similmente all’altezza delle lezioni 3-8, immedia-tamente a ridosso, dunque, del punto da cui è ini-ziato il nostro resoconto. Nonostante le lacune,riusciamo così a farci un’idea abbastanza fondatae precisa sia del piano complessivo che dei conte-nuti affrontati in questo corso per cui Cesarotti,come abbiamo visto, veniva raccogliendo mate-riali fin dal 1768: ci torneremo nell’ultimo para-grafo, dove tenteremo una provvisoria valutazionedel contenuto di queste carte.

Resta intanto il dato dell’incompletezza: l’ulti-ma lezione, la 25, si interrompe dopo appena unapagina(38). In generale possiamo dire di aver con-servate in tutto sedici lezioni complete (dieci sicu-re; sei, come detto, molto probabili): ma su quan-te? Impossibile dirlo, ma è immaginabile che l’en-tità della perdita superi di molto quella di ciò chesi è conservato se è vero, come suggeriscono alcu-ne testimonianze raccolte nel citato articolo di DelNegro, che il numero di lezioni medio per anno ac-cademico nel periodo pre-riforma si aggirava in-torno all’ottantina(39).

5.4. I microcicli di «acroases». Come detto,buona parte dei testi di Op (Op.3, Op.4, Op.5 eOp.8) e due dei testi di B (B.1 e B.3) si presentano

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nella forma di brevi cicli di lezioni (acroases: da duefino a sei per volta), e sono chiaramente ascrivibiliagli anni successivi alla riforma dell’insegnamentodel 1771. Come già detto alla fine del § 1, esiste undocumento che ci permette di ricostruire i conte-nuti dell’insegnamento cesarottiano di questo pe-riodo: si tratta dell’Exordium orationis habitae prostudiorum instauratione incluso tra gli excerpta non-nulla del volume del 1810 (Op.9f), che è giunto ilmomento di citare per esteso, direttamente in tra-duzione italiana, vista l’estensione.

Impegnati ormai da trent’anni a insegnare le letteregreche, avendo errato in giri non oziosi per le parti mi-gliori di questa provincia, e avendone toccato più di unavolta i confini, ci sembra legittimo e giusto, sostando unpo’ sulla meta, volgerci indietro con l’animo a guardaregli spazi percorsi finora, e spiegare in breve la logica delnostro viaggio, rifacendo di nuovo con passo più sicuroe confortevole il percorso già fatto. Lasciati dunque, perparlare più apertamente, i molesti gineprai dei gramma-tici, abbiamo principalmente suddiviso ogni nostra trat-tazione in due parti, una filosofica e l’altra letteraria, ri-tenendo naturalmente che la conoscenza di tutte le lin-gue quante sono senza i lumi della filosofia e il gusto let-terario sia da ritenersi piuttosto gloria delle gazze e deipappagalli che degli uomini. Così, confrontati e compo-sti gli impulsi della natura con la struttura della macchi-na vocale, abbiamo dapprima trattato un po’ dell’evolu-zione naturale del linguaggio [«de naturali loquelae ex-plicatione»], dell’idioma originario dell’umanità [«deprimaevo humanitatis idiomate»], dei titoli speciosi ofinti messi avanti da molte lingue per ottenere il titolo dioriginaria: più per per stimolare il giudizio che per pro-nunciarlo. Dopo di che abbiamo preso a mostrare chepresso ogni popolo sono esistiti due generi di linguaggio[«duplex loquelae genus»], e che questi si sono varia-mente rafforzati nel corso del tempo secondo la condi-zione della mente: dei quali l’uno si può correttamentechiamare corporeo, l’altro razionale; quello, spontanea-mente sorto dal linguaggio d’azione [«actionis lingua»]e in qualche modo impresso nel senso, parla al senso,questo, lentamente prodotto dallo sviluppo della men-te, formato di segni e di compendi delle idee, si affida al-la sola intelligenza; che da quello è emersa la forma poe-tica della lingua, da questo quella filosofica; la quale tut-tavia col passare del tempo, con l’esercizio assiduo dellaragione e della vita, viene inavvertitamente banalizzatadal discorso comune sulla bocca del popolo, mentre laforma poetica, che aderisce alla sorgente primitiva,erompe da ogni parte tra il ribollire della fantasia e degliaffetti, senza alcun aiuto delle Muse. Abbiamo poi resoconto con ordine delle età delle lingue: l’infanzia bal-bettante, la fervida adolescenza, l’esausta vecchiaia; lapovertà, le richezze, il lusso, le vicissitudini, le malattie,la morte e l’insinuarsi o l’irrompere delle loro cause. In-fine abbiamo trattato non superficialmente dell’arcanaarmonia tra l’indole delle lingue e la costituzione fisica emorale dei popoli, e di come si possano ricavare con di-

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(38) Un ulteriore piccolo frammento del corso (forse laparte mancante di [25]) possiamo tuttavia recuperarlo conogni probabilità da un altro ciclo di lezioni, vale a dire B.1(Sulla lingua fenicia): cfr. per questo oltre, § 6.1.

(39) Si veda ad esempio la testimonianza risalente al1760 di Simone Stratico, professore di istituzioni mediche:«Si può forse sperare che un uom faccia ogni anno settan-tanove dissertazioni tratte dal proprio ingegno, meditazionee studio, per recitarle a memoria?» (cfr. Del Negro, «Pura fa-vella latina» cit., p. 125).

ligenza e sagacia dalla composizione delle lettere, dallastruttura della sintassi, dai vocaboli, dai traslati, dalle de-rivazioni, dalla peculiare grazia di certe locuzioni, i co-stumi, gli usi, le opinioni delle varie genti: tutte cose chechiunque abbia giudizio capisce facilmente da solo qua-le selva di nozioni e dottrine ampia, fruttifera, adattissi-ma a nutrire gli ingegni facciano scaturire da sé.

Ciò fatto, ed entrando nell’altra parte della tratta-zione, investigata dapprima l’incerta e ambigua [«anci-piti»] origine della lingua greca, abbiamo dato per di-mostrato sulla base dei caratteri intrinseci alle due lin-gue che essa non è affatto derivata per flessione dalla fe-nicia, come ad alcuni era parso; nondimeno abbiamo tro-vato nella lingua dei greci qualche traccia abbastanza evi-dente dell’idioma fenicio, al punto che è stato possibile,seguendo la guida di Bochart, non senza grata ammira-zione, spogliare del tutto di quella loro meravigliosa ap-parenza parecchie favole grecaniche, sorte da una catti-va pronuncia e da una interpretazione affrettata dei mo-di di dire fenici, e richiamarle al semplice senso della ve-rità. E in questa investigazione è stato d’aiuto indugiarealquanto sia a illustrare che a difendere l’arte utilissimadell’etimologia, e metterne in luce i canoni più solidi, iquali essendo pressoché ignorati fin qui dal volgo, l’artetutta, maltrattata e distorta dai grammatici di peggior co-nio, ha dovuto subire il ludibrio anche di quelli pruden-ti ma non tuttavia abbastanza eruditi e sagaci. Reputan-do poi che le lingue e le lettere si raffinano e perfeziona-no scambiandosi mutui servizi, è parso quantomai ap-propriato per spiegare i loro sviluppi, perseguire una sto-ria filosofica ed erudita delle tre arti della parola per cuiil nome dei greci si è levato altissimo, e così, suddivisa intre età l’intera storia dei greci, e attribuita a ciascuna unapeculiare specie di eloquenza, abbiamo stabilito di farein ciascuna il censimento degli scrittori più nobili, e dimostrare l’immagine non solo degli ingegni, ma anchedegli animi, e di tessere la nostra narrazione in modo ta-le che la storia civile e quella letteraria dei greci portas-sero luce sia l’una all’altra reciprocamente, sia insieme,coi lumi congiunti, ai progressi tanto di un’erudizionepiù solida, che di una sana ragione.

Eccovi sbrigativamente indicati i punti salienti eprincipalissimi degli argomenti che ci siamo fatti caricodi toccare o di trattare con pubbliche lezioni [«publicisacroasibus»]: nell’accingerci a riprenderle in mano, e apronunciare secondo l’uso solenne qualche parola diprefazione agli studi di lingua greca, ci sia permesso il-lustrissimi ascoltatori, in questo trentennale rinnova-mento [«instauratione»(40)] delle nostre fatiche, in questostesso giorno augurale, presumere fausti e a noi favore-voli gli auspici della vostra umanità, e con animo sicurointonare quasi un inno secolare, che nessuno si aspette-rà doversi intonare da noi una seconda volta.

Siamo, come detto, verosimilmente nel 1801:

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(40) Da intendersi forse nel senso di anniversario, ma inassenza di dati documentari il significato rimane incerto.

(41) Dunque rispettivamente (assumendo un ritmo di unciclo di lezioni per anno) nel 1771-72 e nel 1772-73. La da-tazione del primo dei due testi risulta così un po’ più bassarispetto a quella («pieni anni Settanta») che avevo ipotizza-to nel mio articolo del 2011 («De naturali linguarum expli-catione» cit., p. 65): tanto più notevoli ne risultano le pun-tuali coincidenze con il Saggio riscontrate in quella sede.

ad ogni modo, quello che viene tracciato è il bilan-cio di una trentina d’anni di acroases pubbliche, edal fatto che Cesarotti non menzioni l’ebraico eparli appunto di «publicae acroases», facendo pen-sare a un parallelo insegnamento privato, deducia-mo che si tratta proprio degli insegnamenti per pic-coli cicli di lezioni che caratterizzano la didatticapost 1771. Resistiamo alla tentazione di commen-tare i contenuti e la struttura di questo resoconto,che come già anticipato al § 2 evidentemente deli-nea (certo non senza probabili forzature ex post)un piano di esposizione organico e ambizioso sullinguaggio, in cui si riconoscono facilmente, inne-stati in una matrice sensista-condillachiana di fon-do, spunti peculiarmente cesarottiani e soprattuttovari temi già emersi nei corsi del 1769-71. In que-sta sede infatti l’importanza di un tale testo consi-ste principalmente nel fatto che ci offre una speciedi planimetria di trent’anni di attività didattica: unamappa su cui possiamo provare a sistemare i fram-menti rimasti in modo da definirne la collocazione(tematica e cronologica), ma anche in modo da ca-pire quali e quanto estese siano le lacune di un’ope-ra che evidentemente sarebbe, se potessimo rico-struirla interamente, del più grande interesse.

Ciò che ricaviamo da un simile esame ci per-mette intanto di collocare due delle unità più si-gnificative tramandate dai testimoni, che Cesarot-ti cita quasi alla lettera, ovvero il De naturali lin-guarum explicatione (Op.3), e il De primaeva lingua(B.3): entrambi da ascrivere ai primissimi anni diinsegnamento post-riforma(41). Dopo di che le cosesi fanno più confuse. Sicuramente possiamo asso-ciare alla primissima fase di lezioni sul greco, al-lorché sulla scia di Bochart si riconoscono «com-plures Graecanicas fabulas ex prava Phaeniciarumdictionum pronunciatione et praepostera interpre-tatione prognatas», due altri testi, ossia il De Eu-molpo et Cereris fabula (Op.8), e le immediata-mente successive (cfr. sopra, § 3, n. 25) due lezio-ni Sulla lingua fenicia (B.1). Difficile però in questocaso risalire a una data: a meno di non valorizzarel’indicazione già citata, forse autografa, che si leg-

ge sul foglio di custodia delle carte di Vicenza, chedice «De Cereris fabulâ, tum de etymologicâ arte,ac de fabularum explicatione ab Phe ¶niciâ linguâpetendâ. Ann. 1778»(42). Possiamo prendere perbuona questa data con beneficio d’inventario, con-sapevoli che insieme alla luce porta nella nostra ri-costruzione anche qualche problema: il 1778 an-drebbe infatti considerato l’anno in cui sono statepronunciate tutte le lezioni menzionate (control’ipotesi del ritmo di un ciclo per anno accademi-co)? oppure solo una parte (ma quale?) di esse? Adogni modo, se proviamo a dare credito a questa in-dicazione possiamo forse annettere a questa stessadata anche l’acroasis isolata B.2 (Sui fondamenti del-l’etimologia), che nel manoscritto vicentino vienesubito dopo le lezioni sulla lingua fenicia e sembraben corrispondere all’indicazione «tum de etymo-logicâ arte» del foglio di custodia: si arriverebbecosì al numero complessivo di sei acroases che po-trebbero ben costituire, nel loro insieme, l’adem-pimento dei doveri accademici di un unico anno, il1778 appunto.

Proseguendo. Dovrebbe essere precedente al-le lezioni sulla mitologia greca ilDe erroribus ex tro-pico genere locutionis ortis (Op.4), il cui contenutosembra rinviare alla trattazione di quel «duplex[…] loquelae genus», razionale e immaginativo,che si vede emergere all’alba del linguaggio. Suc-cessive alle stesse lezioni sono invece le quattro Deuniversae et praecipue graecae eloquentiae origini-bus (Op.5), con cui siamo evidentemente all’altez-za della trattazione della letteratura greca, e l’elo-quenza sarà la prima delle «tres eloquendi artes»che hanno reso grande il nome dei Greci di cui Ce-sarotti dice di aver dato una «philosophicam atqueeruditam historiam»: ma in questo caso nessunapossibile data è davvero proponibile. Ogni illazio-ne sui restanti materiali resta invece del tutto privadi fondamento, allo stato attuale delle conoscenze.

Due fulminee osservazioni, infine. La prima,ovvia, è che da quanto si può capire in questo gran-de affresco le lacune superano di gran lunga inestensione le parti conservate: vedremo subito, delresto, che ci sono alcune circostanze che attenuanoil rammarico per queste perdite. La seconda riguar-

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da il fatto, a prima vista un po’ sorprendente e me-no facilmente spiegabile, che a giudicare dalla sin-tesi di Cesarotti e ipotizzando (come abbiamo fattofinora) che questa si attenga almeno grossolana-mente a un ordine cronologico, le fasi precoci del-l’insegnamento risultano molto più documentate neitestimoni a noi pervenuti rispetto a quelle tarde: senon è un semplice caso dovuto alle vicissitudini del-la trasmissione, questo potrebbe indicare che pro-prio la prima fase dell’insegnamento cesarottiano èquella più impegnata, e anche a distanza di tempogiudicata più meritevole di preservazione.

5.5. Altri testi. Come si è detto, da questa ti-pologia quadripartita (praefationes, prolusiones, ci-cli lunghi di lezioni, microcicli di acroases) restanofuori vari testi, o perché evidentemente eterogeneio perché difficili da valutare a causa della loro in-completezza. Ad alcuni di essi abbiamo già breve-mente accennato; vorrei qui in particolare interro-garmi sullo statuto di due di essi, che a un primoesame appaiono strettamente legati tra loro, ossia ilsecondo dei due elenchi di titoli e incipit presentiin R1 (R.2), e l’unità R.7 dello stesso manoscritto(Sulla pronuncia e la diversità dei suoni nelle lin-gue). Cominciamo da quest’ultimo, che come si èvisto ingloba anche tre degli excerpta pubblicati dalBarbieri (Op.9a, Op.9b e Op.9c), e che, come ve-dremo meglio al prossimo paragrafo, contiene an-che ampi stralci del corso del ’70 sulla lingua ebrai-ca. Il carattere composito e l’aspetto materiale del-le carte rivelano chiaramente che si tratta di un te-sto in costruzione, realizzato a partire da materialipreesistenti dopo la riforma del ’71. Il tono è quel-lo di un testo pubblico, legato all’insegnamentouniversitario, anche se non si tratta propriamentedi una acroasis del tipo visto da ultimo.

Questo testo, ad ogni modo, viene introdottoin una prospettiva un po’ diversa dall’esame di R.2,che è appunto un elenco numerato di 18 titoli, cia-scuno seguito da un incipit(43), che in alcuni casi siamplia a includere istruzioni di copiatura, come leseguenti:

2. de scriptoriae artis origine | Hanc de litteris doc-trinam f. despiciat p. 7 | 3. de incommodis ex prava pro-

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(42) L’indicazione, peraltro, ci dice che nello stesso grup-po di fascicoli in cui è conservato B.1 doveva originaria-mente trovarsi anche il manoscritto del testo Op.8 (De Eu-molpo et Cereris fabula): per il rapporto tra i due testi cfr.quanto detto alla nota 24.

(43) In realtà le unità sono 17: il numero 4 è infatti attri-buito per errore all’incipit relativo al titolo 3 (per questo nel-la citazione seguente il numero 4 è stato inserito tra paren-tesi quadre).

nunciatione | ortis | [4] Caeterum ut eo regrediar f. dis -torqueant p. 8 | poi si passi continuando p. 6 | minime sa-ne fino al fine della pagina: | poi continuando alla p. 9 f.vox conticesceret

Il numero 1. di questo elenco rinvia tramitel’incipit all’unità R.6 cui attribuisce la qualifica dipraefatio e il titolo, qui adottato, De triplici generehominum qui linguarum studio dant operam. I suc-cessivi quattro (ma in realtà tre come visto alla no-ta 43), sono separati dagli altri tramite due righeorizzontali, e riguardano invece proprio il citatoR.7 Sulla pronuncia ecc., che nel manoscritto vieneinfatti immediatamente dopo R.6, e costituisce unfascicoletto autonomo di carte numerate. Le istru-zioni di copiatura (tra cui quella citata qui sopra)fanno appunto riferimento a questa numerazioneautografa delle pagine, mentre i titoli che qui ven-gono attribuiti alle singole parti (tra cui quello ci-tato sopra) sono gli stessi che ritroviamo poi nellastampa Op.

Una possibile ricostruzione potrebbe essere laseguente: dapprima Cesarotti assembla il testo R.7per una qualche non precisata occasione accade-mica, magari una di quelle «misteriose perfor -mances dei professori, quali le “accademie” e le“conferenze”» che rientravano tra i doveri dei pro-fessori padovani fino al 1771, e che forse la riformanon aveva spazzato via(44). In un secondo momen-to dà poi istruzione di estrarre da questa unità pre-confezionata alcuni frammenti, di attribuire lorodei titoli e di inserirli in una serie relativamentecoerente con altri testi, che è appunto quella atte-stata da R.2. Il fatto che questi titoli coincidano conquelli attribuiti in Op agli stessi frammenti fa pen-sare che le carte di R1 costituiscano anche in que-sto caso l’antigrafo (eventualmente indiretto) perla preparazione del volume delle Opere.

Torniamo ad ogni modo brevemente agli altrititoli dell’elenco R.2. Tolti i primi, che rinviano aicitati testi R.6 ed R.7, la ricerca degli incipit, quan-do non rimanda a testi irrintracciabili, mette sem-pre capo a lezioni del Corso sulla lingua ebraica.Nel suo insieme, inoltre, la serie dei titoli sembrasuggerire uno sviluppo tematico abbastanza coe-rente, che alterna momenti teorici a stralci di storiadella lingua ebraica e poi greca: un’operazione i cuicontorni sembrerebbero corrispondere abbastan-za bene a quelli di una sintesi antologica degli ster-

minati corsi dei primi anni. Forse, insomma, l’elen-co R.2 ci riporta al mai concluso piano per la re-dazione dell’ormai più volte citato «tomo di coseLatine» da pubblicare nelle Opere, e potrebbe an-zi essere l’unica traccia lasciata dal primitivo inca-rico di copiatura affidato al Pieri: il che darebbeanche una ragione plausibile del fatto che le cartedi R1 erano in possesso proprio di quest’ultimo pri-ma di approdare alla Riccardiana.

6. Come lavorava Cesarotti. – Se si è avuta lapazienza di seguire il discorso fin qui, in particola-re nell’ultimo paragrafo, si sarà magari notato chetra molti dei testi pervenutici ci sono sovrapposi-zioni e coincidenze tematiche. Non è un caso, e an-zi risponde a un modo di procedere che caratteriz-za molta parte dei materiali di cui ci occupiamo:sarà questo anche l’ultimo tassello della nostra ri-costruzione.

Dalla lettura dei testi e dall’analisi dei mano-scritti emergono più in particolare due tipi di ri-sultanze che rispondono a una stessa logica: chetanto per essere chiari è quella del riuso. Ciò checonstatiamo, infatti, è: 1. la presenza di ampie espesso letterali corrispondenze testuali tra unità di-verse; 2. la ripresa di interi testi, opportunamentemodificati, per destinarli a contesti e finalità diffe-renti da quelli per cui erano stati originariamentepensati. Dipende da manipolazioni di quest’ultimotipo buona parte della disordinata complessità delmanoscritto B di Vicenza, che dunque è il campoprivilegiato per osservare in atto queste operazioni.Prenderemo di seguito in esame separatamente en-trambi questi modi operandi, per poi trarne alcunerapide conclusioni più generali.

6.1. Corrispondenze testuali. Si danno innanzi-tutto casi di ripresa letterale in un testo di parti dialtri testi cronologicamente anteriori: e si può an-ticipare fin d’ora che l’origine di questi plagi “en-dogeni” è sempre, per quanto possiamo verificare,il corso sulla lingua ebraica del ’70-71. Ecco di se-guito i casi in questione, analiticamente descritti:

– B.1 Sulla lingua fenicia (ms. B, cc. 1-10): le due le-zioni pronunciate (forse, come detto) nel 1778 sono let-teralmente un patchwork di brani provenienti dal corsosulla lingua ebraica. Le riprese sono talvolta letterali, tal-volta compendiarie, in modo da non lasciare dubbi sul-la direzione del prelievo. Più esattamente: a partire da c.1r, subito dopo poche righe di introduzione, è copiataalla lettera la prima parte della lezione 20 del corso(B.8c), con minimi salti e spostamenti; in questa prima

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(44) Del Negro, «Pura favella latina» cit., p. 131.

parte, a partire da metà c. 2r, è anche innestato un fram-mento proveniente dalla prolusione De Hebraicae lin-guae studio (Op.2, pp. 49-50). Questo innesto cade incorrispondenza del brano citato all’inizio del § 5.2: in al-tre parole, laddove nella lezione del 1770-71 c’era un rin-vio alla prolusione di inizio anno, compare qui diretta-mente il passo richiamato. A partire da metà circa di c.2v sono infine copiate ad verbum, ma con ampi tagli, lelezioni 23, 24, e [25] (B.8f, B.8g, B.8h: a partire da c.104r). La copiatura prosegue fino al punto in cui l’ulti-ma lezione, che come detto è incompleta, si interrompe:è dunque verosimile che l’ultima parte di B.1 (da fine c.9r a c. 10v) ci tramandi un ulteriore frammento della le-zione [25] (cfr. sopra, n. 38).

– R.7 Sulla pronuncia e la diversità dei suoni nellelingue (ms. R1, cc. 76-85). Al § 5.5 abbiamo già parlatodi questo testo, che ingloba anche tre degli excerpta pub-blicati da Barbieri in appendice a Op (Op.9a, Op.9b eOp.9c), e abbiamo in quella sede già accennato al fattoche i due pezzi che lo compongono sono a loro volta inbuona parte frutto di estratti da altri testi. In particola-re: a) la prima parte di R.7a (c. 76r-76v) dipende ampia-mente dall’unità intitolataDe triplici genere hominum quilinguarum studio dant operam (R.6, che in R1 viene subi-to prima del nostro testo); da fine c. 78r a c. 80v sonopoi copiati ampi stralci della lezione 20 del corso sullalingua ebraica (B.8c: cc. 12r-13v). Subito dopo (cc. 80v-83v) si situa la coincidenza con il frammento Op.9b (Deincommodis ex prava pronunciatione ortis) interpolato al-la c. 81r-81v con Op.9a (De scriptoriae artis origine) co-me spiegato nella descrizione in appendice: la primissi-ma parte del primo di questi inserti (10 righe) coincidealla lettera con altrettante righe della lezione 21 del cor-so sulla lingua ebraica (B.8d: c. 91r). b) R.7b, che coin-cide come si è detto con il frammento Op.9c (De varia va-riorum populorum pronunciatione), mostra a sua voltauna estesa coincidenza di nuovo con la lezione 20 delcorso (B.8c: cc. 12r e 13v).

6.2. Riuso di testi. Come si diceva, il mano-scritto B porta evidenti tracce di un’attività piutto-sto estesa di rimaneggiamento di testi, attraversospostamenti di carte, cassature e integrazioni auto-grafe, al fine di cambiarne la destinazione d’uso.Di norma quello che accade è che alcuni fogli diun testo sono sottratti alla loro sede originaria, va-riamente corretti e integrati con una più o menobreve introduzione autografa ed eventualmenteuna conclusione in modo da dar vita a un nuovotesto evidentemente destinato a una diversa occa-sione. Il caso più eclatante è certamente quello delgià più volte citato ciclo di acroases De primaevalingua (B.3), ma vi sono anche altri esempi. Li illu-stro di seguito secondo l’ordine con cui si presen-tano nel manoscritto.

– B.2. Sui fondamenti dell’etimologia (cc. 11-14). Co-

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me risulta dalla descrizione in appendice, questo fasci-colo è composto da una prima e un’ultima carta auto-grafe più due carte intermedie di mano d, originaria-mente collocate tra le attuali cc. 84-89, e che costituiva-no quindi in origine il nucleo della lezione 20 del corsosulla lingua ebraica (B.8c). Le parti autografe riprendo-no le frasi immediatamente precedenti e successive allaparte spostata; l’aggiunta più cospicua è una introduzio-ne contestualizzante: il risultato è una lezione isolata, ve-rosimilmente appartenente a un microciclo non perve-nutoci (ma cfr. l’ipotesi esposta sopra, § 5.4. e n. 42).

– B.3 De primaeva lingua (cc. 15-39, 46-51, 59-63).La prima acroasis del ciclo mostra una situazione analo-ga a quella appena osservata: una carta autografa, recto-verso, di contenuto introduttivo, e poi a seguire sette car-te di mano del copista d, uno dei due responsabili dellacopiatura del corso sulla lingua ebraica. Il numero “3”apposto in testa alla c. 16r da una mano diversa da d, for-se autografa, ci fa pensare che originariamente il testofosse proprio la terza lezione del corso sulla lingua ebrai-ca. Nelle altre cinque acroases dell’unità i segni di adat-tamento si fanno via via meno importanti: la secondaacroasis ha solo due righe autografe in incipit; dalla ter-za in poi questi interventi nelle parti liminari sparisco-no, anche se restano beninteso numerosi quelli sul testo,soprattutto sotto forma di cassature di parti anche co-spicue di testo. La connessione tra le unità non lasciadubbi sul fatto che queste fossero anche in origine con-tigue, sicché ne conseguirebbe che abbiamo conservatein B.3, decontestualizzate e riportate a nuova funzione,le lezioni 3-8 del corso sulla lingua ebraica.

– B.4 De universae et praecipue graecae eloquentiaeoriginibus – acroasis IV (cc. 40-44). Stessa procedura:una carta autografa recto-verso introduttiva seguita daquattro carte di mano e con correzioni autografe; in par-ticolare la c. 41r, la prima di mano e è preceduta da duerighe autografe di raccordo con la precedente; da fine c.44r a fine c. 44v il testo è interamente depennato, e so-stituito da una conclusione autografa che chiude la le-zione. Dal momento che questa è l’unica acroasis del ci-clo pervenutaci autografa (il ciclo nella sua interezza ètramandato dalla stampa del 1810, e l’abbiamo deno-minato Op.5), non possiamo verificare se effettivamen-te anche le altre unità siano il frutto di una operazioneanaloga, ma è molto probabile che sia così. In questocaso, a differenza dei precedenti, tuttavia, non siamo ingrado di identificare a prima vista l’origine della trasla-zione: evidentemente si tratta di un complesso più vasto;la stessa mano e (cfr. il prospetto in Appendice 4) ha ver-gato anche varie altre carte di B, tutte oggetto di analo-ghe operazioni manipolatorie di cui daremo conto di se-guito. L’unità del copista e il fatto che tutti questi testiruotino intorno al tema dell’origine dell’eloquenza e del-la poesia, con particolare riferimento alla Grecia, indu-cono a ipotizzare che questi frammenti siano nient’altroche i disiecta membra dell’altro corso tenuto da Cesa-rotti nel primo biennio di lezioni: quello sulla lingua gre-ca del 1769-70 (cfr. sopra, § 1), di cui si erano perse letracce.

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– B.5 Sulle origini dell’eloquenza (cc. 52r-57r). Comesopra: le cc. 53-57 di mano e (se la nostra ipotesi è vali-da, un altro frammento del corso sulla lingua greca) so-no precedute da un foglio il cui recto riporta solo un nu-mero d’ordine (“V”), e il verso l’incipit autografo di unaacroasis; tale incipit autografo sostituisce la prima metàdi c. 53r, interamente depennata. Nessun intervento ap-pare invece nell’explicit, che è mantenuto invariato. Co-me spiegato nella descrizione in appendice, le carte dimano e sono state spostate qui da un’originaria colloca-zione di seguito all’attuale c. 68 (vd. oltre).

– B.6 Sull’eloquenza e la poesia nell’antica Grecia (cc.64-68, 70). Delle due unità che compongono questo dit-tico, che porta evidenti segni di una elaborazione in cor-so, la prima è costruita secondo la logica ormai consue-ta: un foglio autografo introduttivo, raccordato a duecarte (65-66) di mano e, con le solite modifiche auto-grafe, che in questo caso interessano anche l’explicit, in-teramente riscritto. La seconda unità, formata da duecarte sempre di mano e (67-68), è invece apparente-mente acefala, ma di nuovo appare riscritta la primamezza riga, e con maggiore ampiezza l’explicit (mezzacarta: 70r). Va sottolineato inoltre che le carte 53-57 cheformano l’unità B.5 esaminata sopra erano originaria-mente la prosecuzione delle attuali carte 67-68 (cfr. ladescrizione in appendice): questa unità originaria è sta-ta quindi spezzata per dar vita a due elementi distinti,non finiti e di cui ci sfugge attualmente il legame fun-zionale.

Questi i dati: ai quali possiamo forse anche ag-giungere il sospetto che un procedimento analogosia stato applicato anche ad alcuni dei testi perve-nutici solo attraverso la stampa. Si è già detto sopradel De universae et praecipue graecae eloquentiaeoriginibus (Op.5), ma si pensa facilmente anche almicrociclo De Eumolpo et Cereris fabula (Op.8),acefalo come si è detto, e il cui tema si integrereb-be perfettamente nell’ultima parte del corso sullalingua ebraica.

Cosa concluderne? Che con tutta evidenza Ce-sarotti considerava i corsi dei primi anni, che tan-ta fatica – come abbiamo visto – gli erano costati,come serbatoi a cui attingere liberamente per leproprie lezioni successive, riformulando e adattan-do forma e (meno) idee a destinazioni diverse daquella originaria. Il che dimostra una volta di piùche dobbiamo considerare i primi anni della do-cenza come quelli caratterizzati da un più intensosforzo elaborativo e di aggiornamento sui temi dellinguaggio: quelli in cui il teorico fa acquisizionidecisive, che potranno poi essere amministrate nelcorso di una lunga carriera. Ecco perché, come di-cevamo al § 5.4, la perdita di tanta parte delleacroases successive alla riforma del 1771 può esse-

re considerata un accidente un po’ meno grave diquanto si penserebbe. E ancora, se ne ricava qual-che avvertimento generale intorno alla propensio-ne di Cesarotti a riutilizzare le proprie lezioni, an-che a distanza di tempo: si tratta di una pratica chesi spinge fin dentro al Saggio sulla filosofia delle lin-gue, come dimostrano le puntuali e abbastanza sor-prendenti coincidenze fra il trattato e il De natura-li linguarum explicatione (Op.3) che ho avuto oc-casione di osservare altrove(45).

Infine, dalle analisi svolte in quest’ultimo pa-ragrafo possiamo riportare come ulteriore impor-tante risultato la verosimile identificazione nelleunità redatte dal copista e di ciò che resta del pri-mo corso tenuto da Cesarotti, quello sulla linguagreca: un elemento la cui mancanza in effetti di-sturbava un po’ il quadro fin qui disegnato e su cuisarà possibile dire qualcosa di più se dalle biblio-teche emergeranno, com’è sperabile, altre testimo-nianze. E con questo tassello che va a posto, puòchiudersi anche la nostra ricostruzione filologicaper lasciare spazio a qualche schematica conside-razione conclusiva.

7. Conclusione: implicazioni, prospettive. – Nel-la Vita di Melchior Cesarotti scritta a pochi anni dal-la sua morte dal veronese Antonio Meneghelli, aproposito della docenza universitaria del nostroabate si legge quanto segue:

L’Italia era nuova nella metafisica del linguaggio,quand’egli se ne mostrava signore; e chi dovesse tesserel’elogio del Cesarotti, avrebbe da questo lato di che am-piamente lodarlo. In fatti la prima opera, e invero assaielementare, che tra noi vedesse la luce sopra tale propo-sito, sono alcune ricerche filosofiche di certo Diego Co-lao Agata pubblicate nel 1774; laddove il Cesarotti neparlava da non vulgare maestro sino dal 1769(46).

L’insegnamento cesarottiano si configurava in-somma come un’operazione di avanguardia nel pa-norama italiano (e tanto più padovano) del tempo:i materiali che ho cercato di illustrare e riordinare

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(45) Cfr. Roggia, «De naturali linguarum explicatione» cit.(46) Vita di Melchior Cesarotti, in Opere dell’abate Anto-

nio Meneghelli, vol. I, Padova, coi tipi della Minerva, 1830,pp. 250-51. Il riferimento è al Piano ovvero Ricerche filoso-fiche sulle lingue (Napoli, 1774: cfr. l’edizione a c. di A. Mar-tone, Napoli, Bibliopolis, 1997) del napoletano Diego ColaoAgata. Sul Meneghelli, poligrafo e professore a Padova, siveda la voce di C. Chiancone nel Dizionario Biografico degliItaliani (vol. 73, 2009).

in questo articolo permettono di entrare dentroquesta operazione per valutarne a pieno portata elimiti. È dunque lecito chiedersi in chiusura cosaci si possa attendere dall’integrazione di questi ma-teriali nel dossier cesarottiano. Non è facile rispon-dere in breve. Non credo, per cominciare, che sidebbano nutrire troppe aspettative sul Cesarottiebraista: era lui il primo, come si è visto, a ricono-scere i propri limiti in questo campo, e l’impres-sione leggendo le lezioni è in effetti che si muovasostanzialmente nel solco di conoscenze consoli-date. Può essere sintomatico l’esempio del De pri-maeva lingua, dove come detto viene a lungo di-battuta, con mole di citazioni erudite da opere ri-salenti quasi sempre a non meno di quarant’anniprima, la questione dell’ebraico come lingua ada-mitica: una questione che per quanto continui a fa-re capolino a lungo nella cultura europea, può dir-si sostanzialmente risolta già dalla seconda metà delSeicento(47). Al di là delle impressioni, del resto, unapiena valutazione dell’ebraistica cesarottiana andràlasciata agli specialisti, dato che richiede compe-tenze specifiche che chi scrive è lontano dall’avere.Ciò su cui si può invece fin d’ora scommettere conmaggiore sicurezza sono le implicazioni generali, odi “filosofia delle lingue”, che emergono da questicorsi, sia sotto forma di inserti più o meno autono-mi, sia per così dire disciolte nella trattazione del-la materia: qui effettivamente c’è di che arricchiresensibilmente la nostra conoscenza della riflessionelinguistica di Cesarotti. Senza pretendere di af-frontare ora un simile tema, si può avanzare inchiusura qualche minima indicazione generale a ri-guardo.

L’acquisto più ovvio, in primo luogo, riguar-derà la possibilità di ricostruire e valutare la rifles-sione linguistica di Cesarotti con un’ampiezza te-matica finora inusitata e in tutto il suo effettivospessore diacronico. È chiaro infatti da quanto sia-mo venuti esponendo che nelle lezioni universita-rie vengono affrontate materie non più riprese inaltre sedi: dalle questioni legate alle lingue medio-rientali, alla spiegazione in chiave linguistico-an-tropologica dei miti, al rapporto lingua-conoscen-

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za e lingua-verità. D’altra parte, vi troviamo anchetrattati con maggiore estensione o da angolature di-verse temi che poi saranno anche ripresi nell’ope-ra maggiore, cosicché diventa possibile in questicampi integrare la nostra ricostruzione delle ideecesarottiane e osservarne gli eventuali sviluppi neltempo. Prendiamo ad esempio la questione del-l’etimologia, cui il Saggio dà un certo rilievo di-chiarandola indispensabile «a giudicar esattamen-te e a ben usar de’ vocaboli» (III.VI, p. 371): comesi è visto, si tratta effettivamente di uno dei pernidell’insegnamento universitario, che le riserva am-pio spazio non solo in direzione applicativa (le va-rie riduzioni all’ebraico della toponomastica e teo-nomastica dei popoli mediterranei), ma anche indirezione teorica. Le lezioni 20-22 del Corso sullalingua ebraica costituiscono il nucleo di questa ri-flessione, e rappresentano probabilmente la messaa punto più compiuta prodotta da Cesarotti in que-sto campo (non per niente, come si è visto, vengo-no ripetutamente saccheggiate per trarne altri te-sti), con un raggio di apertura che include oltre al-la dimensione semantica dell’evoluzione delle pa-role ben rappresentata nel Saggio, anche quella fo-netica e morfologica, sull’evidente scorta dell’allo-ra recente, ma già prontamente assimilato, Traitéde la formation méchanique des langues di de Bros-ses (1765).

Ma veniamo infine al Saggio sulla filosofia del-le lingue da cui avevamo preso le mosse: in che mo-do, dunque, il materiale presentato in queste pagi-ne potrà aiutarci nell’interpretazione dell’operamaggiore? Come ci si può aspettare, tra le due pri-me parti del trattato, quelle più generali, e gli scrit-ti di cui ci siamo occupati ci sono molteplici e spes-so estese sovrapposizioni nei temi e negli argo-menti, mentre la distanza si fa maggiore nella terzaparte e soprattutto nella quarta: man mano cioèche ci si sposta dalla «filosofia delle lingue» alla sua«applicazione alla lingua italiana». Il primo contri-buto che possono portare le lezioni alla lettura delSaggio sarà dunque quello di restituire profonditàdi campo alle formulazioni spesso apodittiche deltrattato. Diventa chiaro ad esempio che quando neiprimissimi paragrafi del Saggio asserisce che «unalingua nella sua primitiva origine non si forma chedall’accozzamento di vari idiomi» (I.I, p. 308) conquel che segue, Cesarotti non sta semplicementefacendo affermazioni di principio nell’ordine dellespeculazioni condillachiane sulle origini delle lin-gue e dell’umanità: sta dando in forma assiomaticauna sintesi dell’esperienza fatta quindici anni prima

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(47) Cfr. D. Droixhe, La linguistique et l’appel de l’his -toire (1600-1800). Rationalisme et révolutions positivistes,Genève-Paris, Droz, 1978, e Id., Souvenirs de Babel. La re-construction de l’histoire des langues de la Renaissance auxLumières, Bruxelles, Académie royale de langue et de litté-rature françaises de Belgique, 2007 (edizione on line).

con il crogiolo delle antiche lingue mediorientali.Come si ricava anche dal sunto del § 5.3, nel Cor-so sulla lingua ebraica sono infatti discussi vari ca-si di avvicendamento e formazione di nuovi idio-mi a partire dalla confluenza di idiomi precedenti,e anzi proprio l’incessante trasformarsi e rimesco-larsi delle lingue in questa parte del mondo, il loroframmentarsi e scontrarsi, è il vero protagonistadelle lezioni centrali del corso: «Tum vero multi-plices per Orientem omnem linguarum metamor-fwvsei~ invectae, tum novae idiomatum facies, etex antiquis nil reliquum nisi umbre¶, et nomina»(48).In modo del tutto analogo, se guardiamo in questachiave l’atteggiamento di moderata apertura al fo-restierismo che tante polemiche e forzature susci-tò all’apparire del trattato, possiamo vederci nonsolo un portato di un’idea sostanzialmente libera-le dei fatti linguistici che indubbiamente costituisceun primum per Cesarotti fin dai tempi del Semina-rio, ma anche il naturale corollario di un’attività distudio che in gran parte era consistita proprio nel-l’inseguire l’erratico percorso delle parole attra-verso le lingue antiche, sotto la spinta dei movi-menti e degli scontri di popolazioni: un’attività chedoveva confermare empiricamente e rafforzarel’idea che il prestito interlinguistico è un meccani-smo naturale e ineliminabile nella dinamica dellelingue, a cui è dunque inutile opporsi.

Talvolta ritroviamo già nelle lezioni singolispunti del Saggio, il che permetterà se non altro diretrodatarli. Prendiamo ad esempio il seguentepasso, di tipica matrice condillachiana nel suo farcoincidere al limite lingua e conoscenza: «Gli Ebreiavevano due termini, l’uno appropriato all’erbavergine, e l’altro alla fecondata. Questo doppio no-me, se si fosse trovato nella nostra lingua, nonavrebbe agevolata al popolo e diffusa la conoscen-za del doppio sesso delle piante?» (III.III, p. 364).Per l’origine di questa notizia Cesarotti cita espres-samente in nota la Dissertation sur l’influence desopinions sur le langage et du langage sur les opinionsdi J. D. Michaelis, apparsa in traduzione francesenel 1762, com’è noto una delle fonti teoriche piùcospicue del trattato. Ma l’idea di Michaelis era inrealtà già stata recepita quindici anni prima nellaprolusione De Hebraicae linguae studio del 1769-

70 (Op.2, p. 47), e lì in modo molto più letterale diquanto non avvenga nel Saggio: in Michaelis infat-ti (e così nella prolusione) il discorso non portavatanto sull’argomento del «doppio nome» dell’erbain ebraico quanto su quello dei nomi arabi e per-siani dei fiori di una tipica pianta sessuata quale lapalma; la conclusione, peraltro, era la medesimadel Saggio(49).

Ancora: la questione del termine cinese Tiencome parola usata per indicare Dio («il Tien dei Ci-nesi, nome del cielo materiale, procacciò loro lataccia bene o mal fondata d’ateismo» II.X, p. 330)si trova già nel De primaeva lingua (manoscritto B,c. 25r), dove si affaccia anche lo sfondo di polemi-che dottrinali che aveva reso attuale e vulgata unatale questione terminologica, ossia la cosiddetta“controversia dei riti cinesi” che aveva attraversa-to la Chiesa cattolica tra Sei e Settecento per chiu-dersi con un intervento papale solo nel 1742.

Ma ci sono anche casi per cui ci si può aspet-tare che dalle lezioni vengano elementi utili a chia-rire passaggi argomentativi delicati del Saggio.Prendiamo ad esempio la questione del rapportolingua-dialetti, che nel trattato pare generalmentericonducibile a un’idea di lingua come sostanza dicui i dialetti sono i modi, o di lingua come punto diperfezione cui i dialetti tendono, alla maniera infondo di Dante (IV.II-III, pp. 402-3), ma talora vi-cina a un’idea più moderna di lingua come fruttodell’affermarsi di un dialetto sugli altri (I.I, pp. 310-11)(50). Senza entrare nell’argomento, che richiede-rebbe un’ampia discussione, mi limito a segnalareche nel solito Corso sulla lingua ebraica l’opposi-zione lingua-dialetto viene più volte chiamata in

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(48) «Allora dunque si diffusero per tutto l’Oriente mol-teplici trasformazioni delle lingue, nuove fogge degli idiomi,e delle antiche nulla rimase se non le ombre e i nomi» (ma-noscritto B, c. 82v: lezione 19 del Corso sulla lingua ebraica).

(49) Cfr. De l’influence des opinions sur le langage et dulangage sur les opinions. Dissertation qui a remporté le prix del’Académie Royale des Sciences et Belles lettres de Prusse en1759. Par Mr Michaelis ecc., à Brème, chez Georges LouisFörster, 1762, pp. 17-19. Secondo la testimonianza di Pierifu Van Goens a far conoscere la dissertazione a Cesarotti,che infatti la menziona in una lettera del 5 novembre 1768:cfr. M. Pieri, Memorie, I, a cura di R. Masini, Roma, Bulzo-ni, 2003, p. 130, e Contarini, Cesarotti e Van Goens cit.,p. 57.

(50) Cenni sulla questione in C. E. Roggia, Lingua scrit-ta e lingua parlata: una questione settecentesca (Cesarotti,Saggio sulla filosofia delle lingue, I.IV), in E. Suomela-Här-mä e E. Garavelli, Dal manoscritto al web: canali e modalitàdi trasmissione dell’italiano. Tecniche, materiali e usi nellastoria della lingua. Atti del XII Congresso SILFI (Helsinki,18-20 giugno 2012), Firenze, Cesati, 2014, pp. 503-10. Cfr.anche I. Paccagnella, Cesarotti, il dialetto e la lessicografiadialettale, in A. Daniele (a cura di), Melchiorre Cesarotti cit.,pp. 11-27.

causa per descrivere la situazione linguistica me-diorientale, e che in particolare nella lezione 12(manoscritto F1, cc. 116-17) si trovano alcune pa-gine di respiro più generale sul rapporto lingua-dialetti in relazione al mutamento linguistico(«Dialecti singulae in linguas excrescunt, linguaesingulae in dialectos abeunt»): forse si potrà parti-re da qui, risalendo anche ad eventuali fonti, perprovare a ridefinire il problema nel suo insieme equindi capire meglio cosa Cesarotti avesse in men-te nella sua opera maggiore.

Si intravede insomma un piccolo cambio diprospettiva negli studi sulla riflessione cesarottiana,anche se gli spunti forniti da ultimo restano ovvia-mente troppo generici per portare a qualcosa dipiù della semplice affermazione non dimostratadella significatività dei materiali fin qui studiati.Valgano almeno come ipotesi o proposte di lavoroda sviluppare, se possibile, in futuro.

CARLO ENRICO ROGGIA

AAppppeennddiiccii

1. Elenco dei testimoni a stampa e manoscritti

Op De lingua et eloquentia praecipue greca acroases inPatavino Archigymnasio publice habitae a M. Cesa-rotti. Accedunt excerpta nonnulla et dialogus, Flo-rentiae, typis Molini, Landi et soc., MDCCCX(Opere dell’abate Melchior Cesarotti padovano, vo-lume XXXI)

P Melchioris Caesarotti oratio habita in Gymnasio Pa-tavino XVI. Kal. Februarias Anno MDCCLXIX cumGraecae et Hebraicae linguae tradendae auspicaretur.Patavii MDCCLXIX. Apud Joannem Baptistam Pe-nada

B Vicenza, Biblioteca Bertoliana, manoscritto 1223(già G.8.6.2)

K Den Hague, Koninklijke Bibliotheek, Brieven vanMelchiorre Cesarotti (1730-1808) geschreven aan Rijk lof Michael van Goens (1748-1810) (segnatura130 D 14 : F)

R1 Firenze, Biblioteca Riccardiana, manoscritto 3565R2 Firenze, Biblioteca Riccardiana, manoscritto 3566

2. Descrizione del manoscritto R1 (Riccardiano 3565)

Rinvio all’articolo già ripetutamente citato di Va-lentina Gallo (Gli autografi di Cesarotti cit., pp. 646-52)per una descrizione complessiva del manoscritto. Mi li-mito qui a riproporre, con modifiche, la descrizione re-lativa alle parti che hanno attinenza con il tema di que-sto lavoro, ossia le cc. 12, 43-44, 49-86, 90-107, 110-31.

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Per ogni testo indico tra parentesi il numero d’ordine nelcitato articolo di Gallo seguito, in grassetto, dalla siglaidentificativa attribuita al testo nella Tavola 2 del secon-do paragrafo; i titoli tra parentesi uncinate non si leggo-no in capo ai relativi testi, ma sono ricavati dagli elenchidelle cc. 12 e 43-44; sono comunque da considerarsid’autore(51).

c. 12 foglio mm 240 x 154 contenente un elenco di titoli eincipit di Praefationes, la maggior parte delle quali so-no contenute nei successivi fascicoli di cc. 49-60, 61-69, 92-107. Inc. «Pre¶fatio ad orationem Ciceronis proM. Fontejo»; expl. «Est ea absolutorum». Autografodepennato. (Gallo 7→RR..11)

cc. 43-44 due fogli autografi, rispettivamente mm 280 x 193 e225 x 142, contenenti un elenco numerato da 1 a 18di titoli e incipit con istruzioni per la copiatura. Inc.«1. Pre¶fatio. De triplici genere hominum qui lingua-rum studio dant operam», expl. «17. de vetuste ¶Gre ¶corum lingue ¶ corruptione atque intenta verum[?] Gre¶cis» (illeggibile a causa delle cancellature l’ul-timo titolo, numerato 18). (Gallo 18→RR..22)

cc. 49-60 fascicolo di prose latine, mm 255 x 185, di un’unicamano (a) con sporadiche correzioni e depennatureautografe. Bianche le cc. 53r, 58v-60v. Contiene:

cc. 49r-52v Pre¶fatio, inc. «Divina illa humanorum in-geniorum, animorumque gubernatrixPhilosophia», expl. «Plorate longum, etusque ��grammathvzete». Testo bipartito:la prima parte è un’introduzione, la se-conda inizia a c. 50r con titolo a centropagina senza salti di riga Nova verba inlatinam linguam induci possunt. (Gallo22 a e b→RR..33aa)

cc. 53v-56r Pre¶fatio. < Adolescentes rhetoricis studiisnon ante quam scientiis imbuendi >, inc.«Pre¶clare Aristippus, cum ei nescio quisfilium suum», expl. «Rancidulum hoc iu-bet expromere, reddo charim:». Testobipartito: la seconda parte inizia a c. 54vcon titolo a centro pagina senza salti diriga Responsio. Stesso testo anche a 95r-96r. (Gallo 22 c e d→RR..33bb)

cc. 56v-58r Pre¶fatio. < De bello homerico in Gallia >,inc. «Homerum recte appellat Ovidiusperennem fontem», expl. «vulnerari eosquidem posse, extingui non posse». In-teramente depennato. Stesso testo anchea 97r-98r. (Gallo 22 e→RR..33cc)

cc. 61-69 fascicolo di prose latine, mm 280 x 195, di mano βcon depennature e un’unica correzione autografa al-la c. 68v. Bianca la c. 69v. I confini dei singoli testisono marcati da una “X” a centro pagina, senza saltidi riga. Contiene:

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(51) Per indicare le mani dei copisti responsabili dellastesura di buona parte delle carte, mi attengo alle sigle in-trodotte da Gallo (Gli autografi cesarottiani cit., p. 647) cheindica con le prime quattro lettere dell’alfabeto greco i «co-pisti di cui si servì Cesarotti per la copia in bella delle sue le-zioni» in R1; le ulteriori mani attestate in B sono indicate conle lettere successive.

c. 61r senza titolo, inc. «Cum in omnibus scrip-toribus sui prodendi cura», expl. «abso-lutissimo Liviano exemplari splendoremadjiciat». Sull’oratoria nella storiografia;breve introduzione all’esame di un passodi Livio. (Gallo 23 a→RR..44aa)

cc. 61r-63r < Poesis Historia virtuti utilior >, inc.«Vite ¶ magistra ab omnibus uno ore vo-catur historia», expl. «discerent omnespoeticis moribus vivere». (Gallo 23a→RR..44bb)

cc. 63r-64r < Adversus gallicum Rhetorem de poesimale sentientem. Pre¶fatio >, inc. «Quodfecisse [sic] Spartani, admirabilis illa Phi-losophorum natio», expl. «in Apulejanaforma sua, nemine invidente, permane-ant». (Gallo 23 b→RR..44cc)

cc. 64r-65r < Pre¶fatio ad orationem Ciceronis pro A.Cluentio >; inc. «Usitatam in orationePro Aulo Cluentio Tulliane ¶ eloquentie ¶notam», expl. «non plane ingrati, atqueinutiles filii videamur». (Gallo 23c→RR..44dd)

cc. 65r-66v senza titolo, inc. «Si ullam unquam posthominum memoriam ab oratoria facul-tate relata victoria est», expl. «quam tumTulliane ¶ eloquentie ¶ amplitudine compa-rari posse videatur». Introduzione alleorazioni ciceroniane De lege agraria.(Gallo 23 d→RR..44ee)

cc. 66v-67r < De e¶[q]uo antiquorum scriptorum cul-tu. Pre¶fatio >, inc. «Inter innumeras di-screpantias», expl. «et cognoscere asue-scant [sic], et admirari». (Gallo 23e→RR..44ff)

cc. 67r-68r senza titolo, inc. «Scopuloso enim verodifficilique in loco», expl. «quantum ho-minibus reliquis cum Zoophytis, et in-sectis». (Gallo 23 f→RR..44gg)

cc. 68r-69r < De Latine¶ lingue¶ laudibus. Pre¶fatio >,inc. «Plerique eorum qui ex Transalpinialicujus libelli lectione», expl. «pre ¶cel-lenti latini sermonis pulchritudini con-donetis». (Gallo 23 g→RR..44hh)

cc. 70-73 fascicoletto autografo, mm 305 x 210, senza titolo;bianche le cc. 70r-71v. Inc. «Gorgie¶ quam habemuspro Helena oratio», expl. «vos audistis, vidistis, per-pessi estis, habetis, judicate». Stralcio di una schema-tica trattazione sui sofisti greci, forse appunti per unao più lezioni: ogni capoverso tratta un retore (Gorgia,Lesbonatte, Andocide, Alcidamante, Erode, Lisia) eun’orazione, con citazioni tradotte in latino. (Gallo24→RR..55)

cc. 74-75 < Pre¶fatio. De triplici genere hominum qui linguarumstudio dant operam >, due carte, mm 285 x 200, au-tografe; inc. «Non diu vos morabor, ne scilicet inve-terate ¶ consuetudini fraudem faciam», expl. «tum or-nando tum sustentando defatigemini». (Gallo25→RR..66)

cc. 76-86 fascicoletto autografo, mm 280 x 195, senza titolo,con pagine numerate 1-15 in inchiostro diverso magrafia probabilmente autografa; bianche le cc. 85v-86v. La c. 77 (mm 140 circa x 195) e la c. 79 (mm135 circa x 195) sono costituite da due metà di unfoglio bianco, incollate rispettivamente nella partesuperiore di 78r e nella parte inferiore di 80r, con lafunzione di sovrascrivere il testo coperto. La c. 81 è

interpolata. Il testo è composito, ma è chiara l’in-tenzione di unire le varie parti in un tutto unitario.Contiene:

cc. 76r-83v senza titolo, inc. «Cum aliquando internotos nec eos ex vulgo homines», expl.«quin ipsa Attice ¶ suadele ¶ vox contice-sceret». (Gallo 26 a e b→RR..77aa) Il testo include i primi due testi pubbli-cati nella sezione Excerpta nonnulla diOp, ossia nell’ordine il De scriptoriae ar-tis origine (Op.9a) e il De incommodis exprava pronunciatione ortis (Op.9b). L’in-serimento avviene secondo le seguentimodalità: 1) A partire da metà c. 80v, dopo unaparte depennata che coincide con la me-tà superiore della carta, il testo corri-sponde alla lettera aOp.9b e si concludecon esso: la corrispondenza inizia peròsolo col secondo capoverso di Op.9b(inc. «Minime porro mirandum»), la-sciando fuori il primo. 2) Op.9a è introdotto con una carta in-terpolata (la c. 81), che riempie quasi in-teramente. Non del tutto, però: l’ultimocapoverso di c. 81v (inc. «Ce¶terum, ut eoregrediar unde paulisper deflexeram»)coincide infatti con la prima parte diOp.9b, quella che come detto mancavaalla c. 80r. Un tratto a penna tracciato inalto a sinistra di c. 81r segnala che l’inte-ra c. 81 è stata inserita per sostituire laparte superiore depennata di c. 80v (cfr.quanto detto al punto 1). L’ultimo capo-verso di 81v si viene così a collocare im-mediatamente prima della parte ripresadi Op.9b, ripristinando l’integrità delframmento.

cc. 83v-85r senza titolo, inc. «Verum ut ad inchoa-tam orationem regrediar», expl. «ab na-tura factum et compositum fateantur».Coincide con il terzo dei frammenti pub-blicati in Op, De varia variorum populo-rum pronunciatione (Op.9c). Il testo ini-zia subito sotto il precedente, separatoda un tratto di penna orizzontale, ed èscritto in inchiostro più chiaro. (Gallo 26c→RR..77bb)

cc. 90-91 senza titolo, due carte isolate, autografe, mm 290 x175, inc. «Come si conoscono i corpi quando sonpresenti?», expl. «Come chiamansi le qualità di que-sta cagione? Attributi». Appunti in forma dialogica(domanda più risposta apodittica) sulla natura dellaconoscenza secondo la filosofia sensista. (Gallo28→RR..88)

cc. 92-107fascicolo di prose latine, su carte mm. 290 x 200 (matalora 180 o 195), numerate in alto a destra 65-77:una lacuna nella numerazione (fra 36 e 65) rivela lacaduta di 28 carte. Un’unica mano (g) è responsabi-le di quasi tutto il fascicolo (cc. 92r-106r): solo l’ulti-mo testo (cc. 105v-107r) è di mano β. Correzioni edepennature autografe. Bianca la c. 107v. I testi sonocopiati uno di seguito all’altro; a partire da c. 95 (os-sia dopo la lacuna) sono però sempre distinti da se-gni separatori (tratti di penna orizzontali ondulati acentro pagina). Contiene:

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cc. 92r-93v Eloquentia certis et immotis principiis ni-titur. Pre¶fatio, inc. «Perse¶pe audire con-tigit, cum de perversa scribendi ratione»,expl. «jactura redimi bona cum ipsius ve-nia facile paterer». Testo bipartito: la pri-ma parte sostiene la tesi, la seconda con-futa gli argomenti contrari; la secondaparte inizia a c. 92v con titolo a centropagina senza salti di riga AdversariorumAchilles affertur, et refellitur. (Gallo 29 ae b→RR..99aa)

cc. 93v-94v Homines Histriones. Pre ¶fatio, inc. «Cele-berrimum est stoicorum effatum: Stultosomnes insanire», expl. «Charon, Pluto,Bombomachides Rex, Onogennadas no-bilis». Testo bipartito: la prima partecontiene un’introduzione, la seconda (in-teramente caduta tranne la prima riga)conteneva un dialogo; il testo completo èpubblicato in Op (Op.10). (Gallo 29c→RR..99bb)

cc. 95r-96r Rhetorica post scientias discenda. Pre¶fa-tio, titolo autografo aggiunto; testo bi-partito, la seconda parte, separata dauno spazio bianco, inizia a c. 95v. È lostesso testo di cc. 53v-56r. (Gallo 29 d ee→RR..33bb)

cc. 96r-97r Pre ¶fatio ad orationem M. T. Ciceroniscontra Ce ¶cilium, inc. «Ea est absoluto-rum in eloquentia operum nota certissi-ma», expl. «atque insita humanitate pen-sare». (Gallo 29 f→RR..99cc)

cc. 97r-100r< De bello homerico in Gallia. Pre¶fatio >,inc. «Homerum recte appellat Ovidiusperennem fontem», expl. «tamen neminedissentiente plurimos libros a Gre ¶ca lin-gua in Italicam optime verterunt». Testobipartito: la prima parte coincide con iltesto di cc. 56v-58r; la seconda, separa-ta da uno spazio bianco, comincia a c.98r (inc. «Mihi quidem tam exploratumest Homerum pavnsofon fuisse»), ed èinteramente depennata. (Gallo 29 g eh→RR..33cc)

cc. 100r-2r senza titolo, inc. «Quemadmodum certoconstat inter sanos omnes», expl. «unicatandem incipiat esse eloquentia, Veritas,et Virtus». Testo bipartito; la prima par-te è una introduzione, la seconda inizia ac. 100v con titolo a centro pagina senzasalti di riga Eloquentie¶ virtutes plures vi-dentur esse in Cicerone quam in Demo-sthene. Interamente depennata. (Gallo29 i e l→RR..99dd)

c. 102r-v senza titolo, inc. «Cogitanti mihi (me-cum dico», expl. «quid vos ipsi a me ta-cita quadam voce postularetis». Sui pre-gi dell’eloquenza. Interamente depenna-ta. (Gallo 29 m→RR..99ee)

cc. 102v-3v Pre ¶fatio ad Orationem Ciceronis pro M.Fontejo, inc. «Multo artificiosissimamTullij nostri orationem», expl. «in primisN. N. non sine aliqua fiducia committi-mus». (Gallo 29 n→RR..99ff).

cc. 103v-5v senza titolo, inc. «Pervenit nuperis die-bus ad manus nostras libellus quidam»,expl. «Idee ¶; sinite arma viris, et cediteferro». Testo bipartito: la prima parte,

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una critica alle Lettere virgiliane di Bet-tinelli, è interamente depennata; la se-conda inizia a c. 104r, separata da unospazio bianco, inc. «Pre ¶cipue vero Ro-mane¶ lingue¶ usum pre¶scribunt». Alla so-la seconda parte la c. 12r attribuisce il ti-tolo In Gallos latine¶ lingue¶ contemptores.(Gallo 29 o e p→RR..99gg)

cc. 105v-7r < Pre¶fatio ad orationem Ciceronis pro le-ge Manilia >, inc. «Complures ex iis, quiPoliticam artem», expl. «pubblico bonopossit protendere». (Gallo 29 q→RR..99hh)

cc. 110-31 fascicolo di lezioni latine sulla lingua ebraica e lelingue mediorientali antiche, mm 285 x 200, di ma-no d con correzioni e aggiunte autografe; le singo-le unità sono numerate in alto a centro pagina.Bianche le cc. 115r-115v, 121r-121v, 127r-127v,131v. Contiene:

cc. 110r-14v 11, inc. «Singularem de pre¶maturo He-braice ¶ lingue¶ funere», expl. «nostra sitde hujusmodi que ¶stione sententia, se-quenti schola aperiemus». (Gallo 31a→RR..1100aa)

cc. 116r-20v 12, inc. «Hactenus diversa de Hebrai-ce¶ lingue¶ fatis eruditorum virorum pla-cita», expl. «priori accedente, quamnos cum Leschero Syro-Chaldaicamappellitabimus». (Gallo 31 b→RR..1100bb)

cc. 122r-26v 13, inc. «Expositis Hebraice ¶ loquele ¶satis, habet jam Syro-Chaldaica», expl.«ab Gre ¶cis dominis ac pre ¶ceptoribusdiscrepasse». (Gallo 31 c→RR..1100cc)

cc. 128r-31r 17, inc. «Superiorum disputationumserie nihil a nobis omissum», expl. «ni-si peculiari lingua foveatur, plane eva-nescere». (Gallo 31 d→RR..1100dd)

3. Descrizione del manoscritto B (Bertoliano 1223)(52)

Quattro unità codicologiche avvolte ciascuna in unbifolio cartaceo con numerazione e indicazione del tito-lo (apografi); il tutto è poi avvolto in una coperta di car-toncino che porta sul frontespizio l’indicazione, proba-bilmente autografa, «De Cereris fabulâ, tum de etymo-logicâ arte, ac de fabularum explicatione ab Phe¶niciâ lin-guâ petendâ. ann. 1778». Sul verso, di altra mano: «Que-sti manoscritti di Melchior Cesarotti Parte autografi par-te copie nella patria biblioteca Vicentina Pietro Mugnadeposita 11/4 1849». Le carte, parte sciolte parte fasci-colate, sono tutte autografe o idiografe. Le quattro uni-tà portano i seguenti titoli, come detto non autografi:

(I.) Melchior Cesarotti – De Cereris fabula, tum deEtymologica arte, ac de fabularum explicatione ab

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(52) In questo caso manca una descrizione a cui rinvia-re: propongo una descrizione di massima dell’intero mano-scritto, seguita da una più analitica delle parti direttamenteimplicate nel nostro discorso, ossia le cc. 1-109.

Phe¶niciâ linguâ petenda. Ann. 1778(II.) Provvedimenti di vario genere per la miglioreistruzione e per il buon sistema della Università(III.) Del diritto naturale, Prefazione(IV.) Ragionamento sopra la origine e i progressi del-l’arte poetica

In particolare, la prima unità comprende carte au-tografe e idiografe numerate a matita in alto a destra da1 a 111, con due lacune (due carte non numerate rispet-tivamente tra le cc. 34-35 e 60-61), ed è strutturata comesegue:

cc. 1-10 due fascicoli contenenti due lezioni latine tra loro col-legate sulla lingua fenicia e le tracce da essa lasciatenella mitologia e geografia antiche; carte mm 280 x195, autografe; bianche le cc. 6r-6v, ultime del primofascicolo.

cc. 1r-5v inc. «Cum in Cereris fabulâ ex diverso-rum et clariorum interpretum», expl.«tergeminum isthuc monstrum ipso Bel-lerophonte felicius difflare liceat».(→BB..11aa)

cc. 7r-10v inc. «Chime¶re¶ fabulam superiore acroa-si expositam Phe¶niciâ linguâ adjuvante»,expl. «conchulas et umbilicos secus lito-ra legisse contenti nosmet jam in portumrecipimus». (→BB..11bb)

cc. 11-14 fascicolo contenente una lezione in latino sui fonda-menti dell’etimologia. Due bifoli piegati in carte diformato mm. 280 x 200: la prima e l’ultima autogra-fe; le mediane (cc. 12-13) di mano d, con correzioniautografe. Bianca la c. 14v. Le cc. 12-13 sono statespostate qui per dar vita a un nuovo testo, ma si tro-vavano originariamente tra le attuali cc. 84-89 (cfr.oltre). Inc. «Est illud in re litteraria non minus quamin vita», expl. «ad etymologicam artem conferre plu-rimum sequenti scholâ ostendemus». (→BB..22)

cc. 15-23 De prime ¶va lingua. Acroasis I, fascicolo formato daun bifolio esterno libero (cc. 15 e 23, mm. 295 x 200)e un fascicolo interno rilegato (cc. 16-22, mm 285 x200). Autografa la c. 15r-15v (a c. 15v la scrittura ter-mina poco sotto la metà pagina); cc. 16r-22r di manod con correzioni autografe; bianche le cc. 22v-23v.Numero “3” apposto in alto a centro pagina di c. 16rda mano diversa da d (autografa?). Inc. «Nobilitatisideam non minus universis gentibus quam singulishominibus», expl. «planum facerent Iliadem atqueE¶neidem Lapponica dialecto conscriptas». (→BB..33aa)

cc. 24-29 Acroasis II, fascicolo rilegato, mm 275 x 190, di ma-no d con correzioni autografe. Bianca la c. 29v. Inc.«Commemoratis in superiore Acroasi linguarum fer-me omnium ad primatum obtinendum nominibus»,expl. «humanitati congenitam, in sua ipsa exsolutio-ne superstitem existimemus». (→BB..33bb)

cc. 30-34(bis) Acroasis III, fascicolo rilegato, mm 290 x 200, dimano d con correzioni autografe. Bianca la c.34(bis)v. Inc. «Que¶ superiore oratione pro asserendoHebraice¶ lingue¶ primatu diligenter ac studiose con-gessimus», expl. «quod nos ex eorum sententia dis-serentes sequenti aut subsequenti schola explicabi-mus». (→BB..33cc)

cc. 35-39 Acroasis IV, fascicolo rilegato, mm 285 x 200, di ma-no d con correzioni autografe; depennata e riscritta inparticolare l’ultima parte. Bianca la c. 39v. Inc. «Hac-

tenus Hebraice¶ antiquitatis oppugnatoribus inoffen-so pede progredi licuit», expl. «a Mose in alienis no-minibus factum quod in suo ipse facere nequaquamveritus?». (→BB..33dd)

cc. 40-45 IV, fascicolo rilegato, carte di dimensioni legger-mente diverse e con mani diverse: c. 40, mm 275 x195, autografa; cc. 41-44, mm 285 x 200, di mano econ correzioni autografe; bianca la c. 45r-45v. L’inte-ra c. 44v e cinque righe della c. 44r interamente de-pennate e riscritte. Corrisponde alla IV e ultimaacroasis della serie intitolata De universae et praeci-pue graecae eloquentiae originibus pubblicata in Op(Op.5). Inc. «Lingue ¶ inopiam mentis crassitiem af-fectuum turbas tres potissimos», expl. «ut ea suavitasque ¶ ab Homero eloquentibus Gre¶corum viris tribui-tur non nisi certissima poe». (→BB..44)

cc. 46-51 Acroasis V, fascicolo con tracce di rilegatura, mm 200x 285, mano d con correzioni autografe; bianca la c.51v. Inc. «Solent patroni quo majore cause¶ invidia la-borant, eo industrie ¶ nervos valentius intendere»,expl. «si est animus nosmet in hoc plane fictili argu-mento fidenter jactemus». (→BB..33ee)

cc. 52-58 V, fascicolo non rilegato, carte di dimensioni diverse:cc. 52 e 58 (stesso foglio), mm 275 x 195; cc. 53-57,mm 285 x 200. La c. 52r riporta solo il numero d’or-dine “V” in alto a centro pagina; 52v contiene 12 ri-ghe autografe; cc. 53r-57r di mano e con correzioniautografe; bianche le cc. 57v-58v. Le cc. 53-57, in-terne al fascicolo, sono state spostate qui da un’ori-ginaria collocazione di seguito all’attuale c. 68 (cfr.oltre la descrizione di c. 71). Lezione sulle origini del-l’eloquenza. Inc. «Auctâ ex politicarum et moraliumcausarum concursu vocabulorum supellectile», expl.«Quibus opibus eloquentia aucta proprium sibi cul-tum adsciverit, sequenti scholâ aperiemus». (→BB..55)

cc. 59-63 Acroasis VI, fascicolo rilegato, mm 285 x 200, di ma-no d con correzioni autografe; bianca c. 63r-63v; inc.«Que ¶ hactenus ab Hebraice ¶ antiquitatis oppugnato-ribus disputata», expl. «Hebraica lingua primigenie¶nomine Philosophis hominibus commendetur».(→BB..33ff)

cc. 64-71 fascicolo rilegato composito di prose latine, più duefogli liberi interpolati (cc. 69-70): cc. 64 e 71 (unicofoglio), mm 275 x 195, autografe; cc. 65-68, mm 280x 195, di mano e con correzioni autografe; c. 69, mm280 x 195 autografa; c. 70, 350 x 235, autografa, mol-to rovinata ai bordi. Bianca la c. 71v. Contiene:

cc. 64-66 VI, inc. «Popularis dicendi species, si Ho-merum consulimus», expl. «tandem pro-priis jam notis distincta proprium habitumcultumque effectaret». Unità (lezione?)sull’eloquenza e sui rapporti prosa-poesianell’antica Grecia. (→BB..66aa)

cc. 67-68 senza titolo, inc. «atque illud etiam ex hac-tenus dictis evincitur aliquos vetusta e ¶ta-te» sovrascritto da Cesarotti sull’origina-rio «Duximus in superioris acroaseos cal-ce extitisse aliquos vetusta e¶tate», expl. «al-terum poeticum, alterum philosophicumjure appellaveris». Unità (lezione?) sullaformazione dell’oratoria e della poesia nel-le lingue antiche, adespota (ma solo nellaversione sovrascritta) e incompleta: sichiude alla c. 71r. (→BB..66bb)

cc. 69-70 senza titolo, inc. «Recepte¶ pronunciationisvitiis superiore Acroasi explicatis, illudjam superest», expl. «Mavnh" kalou'si

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Rwmai'oi to; de; uJgiaivnein balh're». Unità(lezione?) sulla pronuncia del greco anti-co. (→BB..77)

c. 71 conclude l’unità iniziata alla c. 67r; inc.«tum Grammatica syntaxis certioribus ad-stricta regulis», expl. «in aliquâ veri parteindagandâ melioribus auspiciis experire-tur». Coincide alla lettera con la parte ini-ziale (depennata) di c. 53r: questo per-mette di concludere che le attuali cc. 53-57(vd. sopra) formavano originariamente unasola unità con le attuali cc. 67-68. (→BB..66bb)

cc. 72-77 18, fascicolo rilegato, mm 285 x 205, di un’unica ma-no (z) con correzioni autografe; bianche le cc. 76v-77v. Lezione sulla lingua ebraica e le lingue medio-rientali antiche, inc. «Pergimus in examinandis eru-diti viri argumentis, ex quibus nostro quidem judicionullum est», expl. «quem pre ¶ceps amentiâ gens eoappellando, atque implorando indignissimum existi-mabat». (→BB..88aa)

cc. 78-83 19, fascicolo con tracce di rilegatura, mm 285 x 200,di un’unica mano (z) con correzioni autografe; bian-ca la c. 83v. Lezione sulla lingua ebraica e le linguemediorientali antiche, inc. «Cum superiore orationeostenderimus familiarem Servatori nostro», expl. «ea-rum gentium, apud quas extorres, atque humiles vi-tam victitant». (→BB..88bb)

cc. 84-89 fascicolo composito: cc. 84 e 89 (unico foglio) mm295 x 200, di mano d con correzioni autografe; cc.85-88 mm 280 x 195, di mano d (?). Bianca la c. 89v.Contiene:

c. 84 20, inc. «Hebraica lingua, si eam unice hacappellatione intelligimus, que ¶ Abramida-rum generi propria», expl. «non ipsorumdiscrepantia differre. Tamen id et pere-».Parte iniziale di una lezione sulla linguaebraica e le lingue mediorientali antiche.La lezione proseguiva con le attuali carte12-13 (che occupavano originariamente laparte centrale del fascicolo) e si conclude-va con l’attuale c. 89. Lo conferma il fattoche le ultime righe di c. 84v si trovano co-piate alla fine dell’attuale c. 11v, e che l’in-tero contenuto di c. 89r è stato a sua voltacopiato a c. 14r. (→BB..88cc)

cc. 85r-88v senza titolo, inc. «Que ¶ aliquando civilemac litterariam hominum vitam ex neglectapronunciationis cura», expl. «quid est quineam ex litterariis ludis exclusam barbarisejus auctoribus redonemus?». Lezione sul-la pronuncia, le sue evoluzioni e i suoi di-fetti. (→BB..99)

c. 89r 5 righe interamente depennate, inc. «lin-guis mutam vel anteit, vel sequitur: in Ita-lica», expl. «ad Etymologicam artem con-ferre plurimum sequenti schola ostende-mus». Conclude l’unità aperta a c. 84r (cfr.sopra). (→BB..88cc)

cc. 90-93 21, fascicolo rilegato, mm 295 x 205, di mano d concorrezioni autografe; bianca la c. 93r-93v. Lezionesulla lingua ebraica e le lingue mediorientali anti-che, inc. «Vocabula ex una lingua in alteram autrecto tramite illapsa», expl. «ut indagata verborumorigine errorum, si qui latitant, fontes aperiat: quade re accuratius sequenti schola dicetur». (→BB..88dd)

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cc. 94-99 22, fascicolo rilegato, mm 280 x 200, di mano z concorrezioni autografe. Lezione sulla lingua ebraica ele lingue mediorientali antiche, inc. «Expositis na-tivis, ac primigeniis affectionibus elementorum, que¶vocabulis coagmentandis inserviunt», expl. «hincGre¶cis ab Austro ad Tiberis oras coeuntibus, Lati-na coaluit». (→BB..88ee)

cc. 10[0]-5 23, fascicolo con tracce di rilegatura, mm 275 x200, di un’unica mano (z) con correzioni autogra-fe; bianca la c. 105v. Lezione sulla lingua ebraica ele lingue mediorientali antiche, inc. «Etymologice ¶artis potissimos canonas, nec passim cognitos»,expl. «et eâ ferax insula communi nomine Cyprosdictae [sic]». (→BB..88ff)

cc. 106-11 fascicolo rilegato composito: cc. 106-108 e 111, mm290 x 205, di mano d con correzioni autografe; cc.109r-110v, 280 x 200 autografe (?); bianche le cc.108v, 110r-111v. Contiene:

cc. 106-8 24, lezione sulla lingua ebraica e le linguemediorientali antiche; inc. «Phe ¶niciis abCypro in Ciliciam proclivis transitus»,expl. «solidam deinceps in Gre ¶corummentibus ac Poematis vitam vixit».(→BB..88gg)

c. 109 senza titolo, probabile parte iniziale di unalezione sulla lingua ebraica e le lingue me-diorientali antiche, a continuare la serieprecedente; inc. «Lycie¶ ad Occidentem ab-jacet Caria, que ¶ ab Corinna», expl. «necu-bi terrarum contraria �metamovrfwsi~ ali-quando vigeat». (→BB..88hh)

4. Tavola delle grafie dei mss. R1 e B

Si indicano di seguito, carta per carta, le mani deiprincipali responsabili della stesura dei testi(53). Quantoalla mano di Cesarotti (Aut.), si elencano solo le carte in-teramente vergate di sua mano, dato che singole inte-grazioni o correzioni sono presenti praticamente in tut-te le carte vergate dai copisti sotto elencati.

Aut. R1: cc. 70-73 (R.5); 74-75 (R.6); 76-86 (R.7); 90-91 (R.8); B: cc. 1-10 (B.1); 11, 14 (B.2); 15 (B.3a); 40 (B.4); 52(B.5); 64 (B.6a); 70 (B.6b); 69, 71 (B.7); 109-110 (B.8h)

a R1: cc. 49-60 (R.3)β R1: cc. 61-69 (R.4); 105-107r (R.9h)g R1: cc. 92r-105v (R.9a-g)d R1: cc. 110-131 (R.10)

B: cc. 12-13 (B.2); 16-39, 45-51, 59-62 (B.3); 84, 89-92(B.8c-d); 106-108 (B.8g). Dubbie: cc. 85-88 (B.9)

e B: cc. 41-44 (B.4); 53-57 (B.5), 65-68 (B.6)z B: cc. 72-83 (B.8a-b); 94-105 (B.8e-f)

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(53) Per le sigle, cfr. sopra, nota 51.