battaglia della ritirata di caporetto diario storico zona prevala,sella nevea e canin

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Mi ritrovo ancora a scrivere di questi eventi dolorosi. Come mi rendo conto di quanto sia necessario il divulgare queste parole quanto mi sento sempre di profanare qualcosa di altri e, in tutto questo materiale che è stato accumulato in quasi 50 anni, non si può sapere cosa uscirà ancora fuori di drammatico o sofferto.Di sicuro c'è solo che usciranno comunque solo dei piccoli frammenti di vite vissute con dolore, sofferenza, privazione e morte.Ma, più queste tragedie vengono alla luce, più è doveroso il divulgarle, anche quando, come succede in questo scritto, viene raccontato il volto spietato, sanguinoso e violento di una guerra e di tutte le sue sofferenze, in una maniera cruda e disumana ma purtroppo reale in tutte le sue forme di odio e cattiveria. Personalmente non avevo mai trovato descrizioni così terribili di battaglie narrate con naturale atrocità, con spavalderia e con cieca giustificazione. Il drammatico e spontaneo eroismo e l'estremo sacrificio delle nostre truppe durante e dopo Caporetto, riprende tristemente vita, leggendo questo manoscritto. La XII battaglia dell'Isonzo fu, nella pianificazione degli austro-tedeschi, un gioiello di strategia militare per cercare di porre fine ad una guerra che aveva creato una crescente disperazione civile e morale, un disagio militare, sociale, la fame e una serie infinita di conflitti interni in quei due imperi ormai vicini e destinati al collasso. L'esercito italiano era impreparato logisticamente e moralmente ad un attacco di quelle dimensioni ma fu, in qualche modo “graziato” da una parte, dal fattore atmosferico che non permise a gli attaccanti di portare, in maniera più veloce ed incisiva l'attacco in profondità.Infatti, le intense nevicate su i monti e le piogge torrenziali in pianura, sbarrarono il passo a gli austro-tedeschi costringendoli ad una fatica immane nell'avanzata e nella gestione dei rifornimenti e dei collegamenti.Dall'altra parte, i nostri soldati, pur ritrovandosi privi di ogni supporto e difesa importante,senza alcuna organizzazione logistica, senza vettovaglie, senza vestiario adeguato, senza armamento e proiettati in una disperata lotta contro il tempo, contro un clima drammatico e letale, si comportarono in maniera eroica con uno sprezzo totale per la propria vita e con un sacrificio al limite dell'umano, sorprendendo totalmente il nemico ed impedendogli una facile avanzata militare e morale. Nonostante tutto questo, questi ragazzi giovanissimi con età fra i diciannove ed i ventitré anni sono stati disegnati in Italia alla stregua di: VILI, VIGLIACCHI, DISERTORI oppure ANARCHICI, ANTIMONARCHICI, TRADITORI DELLA PATRIA, SENZA DIO. Mi chiedo e vi chiedo come si possono immaginare così queste uomini. Dalle lettere ed i dispacci dei soldati austriaci si notano gli stessi

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Mi ritrovo ancora a scrivere di questi eventi dolorosi.Come mi rendo conto di quanto sia necessario il divulgare queste parole quanto mi sento sempre di profanare qualcosa di altri e, in tutto questo materiale che è stato accumulato in quasi 50 anni, non si può sapere cosa uscirà ancora fuori di drammatico o sofferto.Di sicuro c'è solo che usciranno comunque solo dei piccoli frammenti di vite vissute con dolore, sofferenza, privazione e morte.Ma, più queste tragedie vengono alla luce, più è doveroso il divulgarle, anche quando, come succede in questo scritto, viene raccontato il volto spietato, sanguinoso e violento di una guerra e di tutte le sue sofferenze, in una maniera cruda e disumana ma purtroppo reale in tutte le sue forme di odio e cattiveria.Personalmente non avevo mai trovato descrizioni così terribili di battaglie narrate con naturale atrocità, con spavalderia e con cieca giustificazione.Il drammatico e spontaneo eroismo e l'estremo sacrificio delle nostre truppe durante e dopo Caporetto, riprende tristemente vita, leggendo questo manoscritto.La XII battaglia dell'Isonzo fu, nella pianificazione degli austro-tedeschi, un gioiello di strategia militare per cercare di porre fine ad una guerra che aveva creato una crescente disperazione civile e morale, un disagio militare, sociale, la fame e una serie infinita di conflitti interni in quei due imperi ormai vicini e destinati al collasso.L'esercito italiano era impreparato logisticamente e moralmente ad un attacco di quelle dimensioni ma fu, in qualche modo “graziato” da una parte, dal fattore atmosferico che non permise a gli attaccanti di portare, in maniera più veloce ed incisiva l'attacco in profondità.Infatti, le intense nevicate su i monti e le piogge torrenziali in pianura, sbarrarono il passo a gli austro-tedeschi costringendoli ad una fatica immane nell'avanzata e nella gestione dei rifornimenti e dei collegamenti.Dall'altra parte, i nostri soldati, pur ritrovandosi privi di ogni supporto e difesa importante,senza alcuna organizzazione logistica, senza vettovaglie, senza vestiario adeguato, senza armamento e proiettati in una disperata lotta contro il tempo, contro un clima drammatico e letale, si comportarono in maniera eroica con uno sprezzo totale per la propria vita e con un sacrificio al limite dell'umano, sorprendendo totalmente il nemico ed impedendogli una facile avanzata militare e morale.Nonostante tutto questo, questi ragazzi giovanissimi con età fra i diciannove ed i ventitré anni sono stati disegnati in Italia alla stregua di: VILI, VIGLIACCHI, DISERTORI oppure ANARCHICI, ANTIMONARCHICI, TRADITORI DELLA PATRIA, SENZA DIO.Mi chiedo e vi chiedo come si possono immaginare così queste uomini.Dalle lettere ed i dispacci dei soldati austriaci si notano gli stessi

sentimenti di odio e rabbia nei confronti del nemico sicuramente frutto, come nel caso degli italiani, di una bassa istruzione ed i un notevole lavoro propagandistico fatto da i rispettivi Paesi.Nelle lettere mandate a casa non c'è compassione per i fatti e le azioni ma ci sono solo stupore per il comportamento particolarmente eroico dei soldati italiani che viene anche sottolineato nella sintetica descrizione dei fatti che leggiamo su i dispacci dal fronte.In tutto questo non credo che, da ambedue le parti, possa essere dato un giudizio morale positivo o negativo.L'avvenimento “guerra” è un fatto dove si possono trovare connotazioni di bello, morale, pulito e giusto solo e soltanto nell'immaginario romantico di pensatori e scrittori ipocriti e buonisti.

Come nell'altro lavoro ho deciso di trascrivere il testo di questo diario in maniera integrale riproducendo i vari errori di ortografia, punteggiatura e lasciando intatti anche i modi di dire del tempo o personali di coloro che lo hanno dettato e scritto.Inoltre, in questo diario, lo scrittore ha lasciato alcune parole e modi di dire propri del dialetto emiliano e bolognese accompagnandoli, talvolta, con la “traduzione” in lingua italiana:ho ritenuto giusto, anche in questo caso, di lasciare il testo originale. Il lavoro di “traduzione”, rispetto all'altro manoscritto è stato reso ancora più difficile per lo stato di degrado della carta resa fragilissima dal tempo e dalla conservazione.La carta si sbriciolava in mille pezzi ogni qualvolta che veniva toccata tanto che ho evitato di maneggiare più volte la stessa pagina per evitare la distruzione completa ed irrecuperabile dello scritto.

Andrea Bavecchi

Per i contenuti, per la descrizione cruda di fatti e situazioni e per il linguaggio usato si consiglia la lettura al solo pubblico adulto.

E' STATO UN AUTUNNO FREDDO

Il drammatico sacrificio degli Alpini del Borgo San Dalmazzo durante la ritirata di Caporetto e negli scontri dal Rombon alla battaglia di

Sella Prevala fino a Sella Buia raccontata dagli Alpini Candido Fiocchi e Luigi Pietro Malaguti e nelle lettere e dispacci dei soldati e degli ufficiali austriaci dell'IR 59 Erzherzog Rainer compagnie I/59 e

IV/59 che si scontrarono con loro.

.....campo di smistamento prigionieri di guerra presumibilmente vicino a Vienna novembre 1917.....

Questa storia me l'hanno raccontata: l'alpino Candido Fiocchi classe 1898 del II° Reggimento Alpini Borgo San Dalmazzo nato a Lizzano Belvedere e l'alpino Luigi di Pietro Malaguti classe 1893 del II° Reggimento Alpini Borgo San Dalmazzo.Questi Signori vogliono che io scriva la loro storia perché ha da essere raccontata per gli atti di eroismo e di guerra che hanno fatto loro e i loro camerati perché loro non sono dei vili od anarchici e sono fedeli al Re e alla Patria e se sono stati presi prigionieri e si sono arresi fu perchè ordinati a farlo in circostanze diverse: uno dal Signor Maggiore in quanto decise che non potevano difendersi affatto dal nemico in quel di Buja e l'altro in luogo non precisato perchè privo di ogni possibile difesa armata ambedue alla fine del mese di ottobre e l'inizio del mese di novembre del 1917.Ho dovuto prestare loro un poco della mia carta e della mia matita sperando che basti a scrivere quello che vogliono.Mi hanno pregato di scrivere meglio possibile quello che mi racconteranno ed io cercherò di fare del mio meglio per far si che la loro storia sia ben descritta e che possa essere ben letta.Cercherò di far descrivere i luoghi, i fatti e ogni cosa in maniera da metterla leggibile e buona per una lettura.Di mio non ho messo nulla e ho solo aiutato a fargli ricordare ogni cosa, come deve essere quando si scrive, cercando di dar loro stimolo a narrare di uomini, fatti e luoghi.

Siamo tutti prigionieri in un campo che credo essere vicino a Vienna, all'addiaccio e la fame.In questo campo siamo a centinaia e

solo i parassiti, le mosche ed i pidocchi che ci infestano ci superano di numero in quanto loro ci sopravvivano addosso anche dopo morti mentre noi moriamo e basta.I morsi della fame ed il gelo ci rendono come morti che camminano, vaghiamo senza meta e le forze non ci permettano più nemmeno di azzuffarsi fra di noi per un poco di pane raffermo e qualche buccia di patata che ogni tanto ci vengono gettate nel recinto.Ogni giorno arrivano soldati e soldati se ne vanno, chi verso i campi di lavoro chi verso i campi di detenzione a giro per tutto questo impero chi se ne va prima per le febbri, le privazioni, le ferite e la fatica.Quei pochi della Croce Rossa si sono visti di rado ed anche loro sanno meno di qualcosa nel poterci aiutare.Candido e Piero, come me del resto, si preferisce andare a lavorare che essere segregati in qualche baracca a morire chiusi come in una gabbia perché, almeno, se vogliono che si lavori ci devono tenere al caldo e l'asciutto e darci almeno qualcosa da mangiare, si spera.Inizio la storia di questi soldati così come loro me la raccontano cercando di metterla al meglio e sforzandomi di capire il dialetto frammisto al poco italiano che riescono a dirmi:spero proprio di fare un bel servizio a questi due fratelli di sventura.

Comincia il racconto l'Alpino Candido Fiocchi.

In vetta al Rombon.

M'arcord che si stava stretti come la buccia alla mela in quel buso (buco) sul Rombon e che non ci siamo mai lamentati perchè mancava tutto:caldo, acqua, cibo, vestiti ed ogni sorta di robe per tirare avanti almeno come omini e non come bestie.Dentro la buca c'erano io, Pietro, l'Armando e qualche volta arrivava anche lo “stanghe”; lui non sempre perchè girava a dare la posta gli ordini e la roba e si fermava dove ormai non poteva andare avanti per il buio o per il tempo o la fatica.Anche l'Augusto, che noi si chiamava “zanna”, stava appena in basso dal nostro osservatorio, è un buon diavolo, faceva un poco da collegamento con il resto della trincea e veniva a passare il tempo, fumare e scambiare due parole quando la trincea era piena di neve o pioveva e ci aiutava al momento del bisogno per mettere a posto , spalare, mettere il reticolato e tutti i lavori che si facevano di solito.Si faceva sempre quello che ci ordinavano da buoni alpini come siamo e non abbiamo mai fiatato per nulla come deve essere e come deve fare un vero soldato.Fra di noi ci si voleva bene e non abbiamo mai avuto a ridire per nulla come litigato od offeso e ci siamo sempre divisi quello che si aveva anche se poco come se si fosse tutti fratelli.S'aveva una postazione scavata per terra fra sassi e roccia in cima da una parte della trincea principale, parecchio lontano dal resto, Intorno avevamo messo tanti reticolati che per fare il lavoro di vedetta che si doveva, bisognava strisciare per uscire e cercare di vedere qualcosa.Le reti erano così alte e fitte come un bosco di scope che nemmeno più di un metro di neve le copriva tutte ed era impossibile che il nemico potesse passare di li facilmente, dopo avere scalato lo sperone, senza che noi si potesse, con tutto il comodo, ammazzarlo anche a sassi e scaracchi (sputi).Il posto di vedetta era, come dicevo, nel pieno di terra, sassi e rocce e si era adattato quello che ci avevano lasciato quelli prima di noi che dovevano avere lavorato come le bestie per fare un buco in questo posto. Noi s'era messo un poco al meglio coprendo il fondo di segatura e paglie per non stare sempre nella mota e le pietre così da non avere sempre le piaghe ed i geloni ai piedi e non spaccare sempre gli scarponi.Di assi di legno non ce ne avevano date che per rinforzo alla trincea ed era proibito usarle in modi diversi così si usavano le cassette di munizioni per ritirare su la il nostro buco che andava spesso,anche questo, messo a posto.Avevamo a sistemare i sassi e parecchi sacchi riempiti sempre di terra e ciottolame del posto sistemati come si poteva ma in maniera che serviva a ripararci bene e stare al sicuro dalle fucilate.S'aveva scavato degli scalini per scendere dal pianetto che dava sulla buca perchè, con la mota e la neve, non c'era verso di salire se non d'arrampicata nel mentre tutta lisa (scivolata) col culo ci si

faceva per scendere.Il nostro posto era più basso di due scalini e spuntava dal resto del trinceramento di circa mezzo metro protetto di sassi e sacchi con una piccola feritoia che non dava su niente.Dentro s'aveva tutto quello che ci serviva per stare almeno benino.Non ci si entrava bene tutti ma tanto si dormiva tutti insieme in ammucchio per tenerci caldo.Chi invece faceva il turno aveva un pagliericcio con una scatola di munizioni per sederci: una coperta grossa subito vicino all'entrata chiudeva la luce e teneva un po di caldo dentro..Tutti si lavorava la terra prima della guerra e s'era d'abitudine atti a risparmiare su ogni cosa e tanti mancamenti non ci facevano paura.Tante cose, poi, non le avevamo mai viste che qui:da fumare, il caffè e le scatolette e il tabacco, erano cose che non si usavano in campagna e che si vedevano di rado perchè per averle bisognava comperarle ma de franch (di soldi) non se ne vedevano mica tanti.Da noi non arrivava mai nessuno ed anche l'ufficiale di ispezione veniva poco a controllare.Quando arrivava ci diceva di stare attenti e di tenere pulito il posto e le armi e ci diceva di combattere e morire al bisogno per la nostra patria e che le nostre famiglie desideravano che lo si facesse anche per loro.Poi girava sui tacchi e per un mese non si rivedeva più.Insomma non si stava male come altri che gli sparavano addosso sempre o con le bombe che arrivavano di continuo.Solo una volta ho portato l'attacco fuori dalla trincea e mi è bastato farmi sparare addosso e vedere tutti quei morti e quel sangue:ma anche ne ho rese al diavolo di quelle animacce senza Dio di quei budellacci.Per il resto il tempo lo passavamo a parlare e giocare alle carte come ci avevano insegnato lo “zanna” e Pierino con delle carte fatte da loro scrivendo dei numeri su dei pezzi di cartone e facendoli al più uguali possibile se no, il gioco più usato, era cercare di buttare un sasso, dal più lontano, ed infilarlo dentro un barattolo.Non si scommetteva di soldi o di cose, si faceva per passare il tempo.Non ci s'aveva poi molto da giocare e poi quel po de cianti (centesimi) che s'aveva si tenevano come oro.Di soldi, dove vivevo io e gli altri in campagna, non si vedevano mai, si scambiava le robe fra di noi e ci si metteva daccordo stringendoci la mano.Non che i soldi mi schifano, anzi, li metto da parte per potere prendere moglie e magari prendere un pezzo di terra assolo da mettere a fujaz (tabacco) dividendo solo con il padrone e non con altri.Di guerra non se ne era mai vista poi tanta e si sperava di non vederne.S'era stati sotto bombarda spesso ma quella mattina vedemmo al peggio.Ce ne stavamo li come sempre chi a dormire e chi a guardare la linea del nemico quando Pietro, che era lui di guardia, ci chiamo nel vedere lampi e lampi e lampi da ogni dove.Scappammo subito di fuori di volata e vedemmo anche noi, in un tempo che prometteva a neve , tutta quella luce.Doveva essere un grande attacco giù nella vallata, si pensò,

come si pensò subito che, siccome eravamo su un confine conteso, fra poco toccava anche a noi.Infatti sentimmo il fischio e la terra scotersi verso la trincea centrale.Poi un colpo un'altro colpo e colpi ancora, uno venne a cadere poco sotto la nostra postazione ed era tanto vicino o tanto grosso che sassi e sacchi vennero a cadere di fuori e di dentro.Noi si corse subito strisciando a rattoppare ma la terra prese a tremare tanto e di continuo che si decise di aspettare mentre cadeva un poco tutto.Giù nel mezzo cadevano tanti colpi.Di solito gli austriaci avevano molta precisione solo nel vicino con quelle loro bombarde che si portavano dietro mentre a distanza sapevamo che se ci colpivano lo facevano per sbaglio.Continuavano a cadere bombe vicino a noi e volavano reticolati, sassi e terra tanto che l'avevamo tutti a mezza gamba i detriti di dentro alla trincea ed il nostro buco pericolava di brutto.Un colpo poi colpi così vicino che un pezzo di reticolato e gancio ci cadde addosso colpendo l'Augusto sul suo elmetto portandoglielo via di colpo e facendolo ruzzolare a distanza.Lui cadde a terra pareva morto e noi subito gli si prestò soccorso temendo il peggio,invece aveva preso solo una gran mazzata forte tanto che l'aveva lasciato invurnì (rintontito).Quando rinvenne cominciò a tirar giù tutti i Santi di mocle (bestemmie) e maledizioni.Non si vedeva più niente e gli occhi bruciavano dal fumo ed indossammo per paura le maschere a gas e si stette li coperti fra botte e grandinate di ogni bene.Appena smise di poco venne un camerata che ci disse che si doveva andare con lui e che doveva restare solo un uomo di guardia e che si doveva andare al trincerone perchè serviva soldati che di li a poco gli attaccavano.Ci disse che la trincea era stata colpita e c'erano tanti morti.Sentimmo infatti dei colpi di fucile e bombe a mano giù di sotto e ci precipitammo a dar manforte ai nostri fratelli.Si scivolò lungo il sentiero de sbris (di corsa) in discesa più volte de lisa (scivolando) fino ad arrivare alla difesa.Non ci doveva essere stato un grosso attacco perchè i nostri si preparavano già ad uscire e dargli dietro.Anche noi si uscì dietro a tutti dai valichi di sortita, in fila e calmi.Non c'era una grande paura né un grande trambusto e non si sentiva molto sparare.La trincea era stata colpita varie volte ma più che colpi dentro erano arrivate delle spallate che l'avevano danneggiata ed avevano fatto saltare solo un poco di reticolati appena fuori e non si vide da subito tutti questi morti che avevano detto.Uscimmo con il fucile in mano urlando ma non si trovò che qualche ferito dei nostri e qualche ferito e morto dei loro.S'argulle (si ruzzolò) in una spaccatura nella terra non molto grande per se bodse (ripararsi) e coprirsi e si vide che i nostri si erano spinti parecchio avanti verso le linee nemiche e che però stavano tornando indietro per non essere falciati dalle mitraglie.Ricomiciò subito un bombardamento e noi tutti si tornò di fretta e furia dentro senza perdere altro tempo.In quel tempo cominciò a cambiare a neve e il vento portò a nevischiare da

subito e non si ebbe che il tempo che tornare alla meglio verso il rifugio.Ma fummo fermati e ci dissero che si doveva aspettare li e che non era finita e noi si ubbidì.La giornata continuò con qualche bombardamento e qualche colpo di fucile ma non più di tanto.Non si vide de gnint (niente di niente) perchè s'era in un rientro della trincea ad aspettare ordini.Solo verso sera si sera passare gruppi di tanti alpini e la trincea stava diventando vuota quando un ufficiale ci si appellò dicendoci di metterci in coda che si andava via e che s'era dei fortunati che li solo dei feriti restavano per far credere al nemico che ci si era ancora tutti li mentre si stava sgomberando.Seguimmo la trincea fino alle sortite di sotto ed uscimmo nel pianoro dei baraccamenti dove si vide il serraglio dei muli fatto a pezzi che bruciava e tutti i pezzi di animale erano da tutte le parti.Poi barache che fumavano e file di fratelli morti e coperti da un telo.Sembrava non fosse morto nessuno o pochi ma invece, dietro la trincea, il bombardamento aveva falciato parecchio.Qualche baracca era in fiamme ed erano state allestite due tende da dottore dove c'era una gran fila di soldati.C'erano diverse buche di cannone sparse ovunque che ancora fumavano per il caldo del botto e poi una grande confusione di soldati che stavano prendendo il possibile dalle baracche e poi andavano via.C'era anche il cappellano che era di fianco di noi e che insultava due attendenti e controllava che avessero preso tutto e caricato sui muli e come gli dava schiaffi, pedate e pacche a quei poveri burdels (ragazzi).Le sue cose erano più importanti di noi.Certo è che era bravo a mangiare cogli ufficiali, dormire al caldo e protetto e poi venirci a dire che si era buoni cristi solo se si obbediva e ci si faceva ammazzare per la patria e che se no si andava all'inferno e s'era di vili senza Dio.E come ha sempre inveito su noi poveracci facendoci sentire in colpa e ricattando le nostre animacce.Che sia lui il maledetto quel spudared (infame).Ci si mise in fila dove ci dissero e nessuno ci chiese da dove si veniva e chi si era.Nessuno fece l'appello o ci riconobbe.Noi si cercò di stare attaccati per non perdersi in quella bolgia di soldati.Si stava andando via tutti di corsa e si vedevano perdersi nella scalesna (pioggia) nebbioso e freddo le file di uomini e animali.

..dal campo di Vienna...

Oggi piove e i serragli dove ci tengono chiusi a gruppi non sono stati aperti e non mi è possibile avvicinarmi però li ho visti da lontano e ci siamo capiti che appena è possibile ci vediamo.Bestemmiavano che fumava l'aria per la paura di non vedersi più.Qui ogni giorno è buono per partire, bisogna fare in fretta e dovrò cominciare a scrivere più stretto ed usare tutto lo spazio possibile che ho paura che la carta non basti.....

...il giorno seguente...

Anche oggi piove da far paura ma ci siamo riusciti ad incontrare e ci siamo messi sotto un telo a pararsi dalla pioggia.Io mi sono messo chino a scrivere che già mi duole il collo mentre Pietro regge il telo tenendo in equilibrio lui e due stecchi e Candido aiuta tenendo aperto uno spiraglio così che abbia abbastanza luce da poter scrivere ed aria per tutti e tre.

Non si poteva ne avvertire l'Augusto, che era restato a guardia perchè ancora tonto dalla mazzata, ne potere prendere el noster fagot (le nostre cose) anche se non erano molte.Sperammo che non dovesse essere fra quelli che restavano in trincea.Dopo che ci avevano dato manciate di munizioni e bombe e poche scatolette di carne ci si fermò da una parte ma subito ci dissero di prendere ed imbucarci con una fila e correre via a passo che c'era poco tempo da asptettare.Il buon Augusto aveva capito di muoversi ed era sceso anche lui .Infatti era li a chiamare i nostri nomi per vedere di trovarci.Fummo tutti felici di ritrovarlo e ci si abbracciò come fratelli.L'Augusto ci fece una gran sorpresa:aveva, alla meglio, preso i nostri fagotti e riempito lo zaino per paura di lasciarle li tutte le nostre cose.Non che fossero delle grandi cose ma ci fece un gran piacere lo stesso.Eravamo tutti insieme ancora.Io, lo Stanghellini, l'Armando,l'Augusto, lo “zanna” e Pietro.

S'era carichi come bestie e ci pesava bene tutto.L'unica cosa che mancavano erano el cvert (coperte), guanti e tutto quel poco che ci si aveva per coprirsi.Nessuna di queste cose ci venne data a parte munizioni e bombe.Il tempo peggiorava andava a neve brutta e il coperto ormai era sopra.El garnisein frie (il vento freddo) ci pungeva.Ci si mise alla coda di un gruppo di omini e bestie e si cominciò a camminare di spedito.In un attimo si fu circondati di nebbia fitta e ci si orientava solo seguendo chi ci stava appresso.Il buio poi ci chiuse gli occhi e solo il rumore ci permetteva di stare in fila.Non si parlava e tutti stavan fiez (zitti) e si sentiva solo lo zoccolare piatto dei muli su pe quei sentieri.Sembrava che ci si ritirasse di corsa verso il Monte Canino.I muli erano carichi di parecchio e arrancavano ostruendo i soldati che erano tutti malmanes (spogliati) ed infeddoliti che per la furia non avevano di che pararsi dal freddo ma pur avevano passo veloce.Si faceva in fila come delle formicole, l'uno dietro all'altro, dove metteva il piede quello davanti a te lo mettevi anche te.Dopo le prime ore s'era già stracc (stanchi) parecchio ma si poteva andare ancora.La neve attaccava su tutto intorno ma ancora scendeva a tormenta e non dritta: il sentiero, invece, era diventato di mota appiccicosa e pesante ed era un continuo scivolare e battere musate e si faceva una gran fatica.Non si era mangiato o bevuto.Solo un poco di grappa ci passavamo da cima a fondo facendo molta attenzione di passà la bocia (fiasca) sempre con attenzione che non cadesse a chi ti sava davanti o dietro.Nessuno era d'approfitto anche con fratelli che non si conoscevano.Fra noi s'è sempre fatto così.Dopo avere disceso si ricominciava a salire verso il dentro dei monti e la neve si rafforzava sempre di più e tutti s'era mol fred (molli).Nessuno parlava e tutti si risparmiava il fiato.Non ci si fermò che solo un minuto ed una volta che subito un superiore sbucò dal nulla che insultandoci e dicendoci “vigliacchi”, “bifolchi” “siete solo buoni a spaccare legna e a zappare la terra” “se vi ritrovo a bivaccare vi sparo un colpo in testa io” “siete delle merde”ed ancora offese e bestemmie.Non ci venne più in mente di fermarci, si rallentò solo il passo per potere reggere di più e si pregò tutti il Signore di farcela.Ormai erano passate almeno quattro o cinque ore di cammino che venne un'altro graduato che ci chiese da quanto si andava.Da quando s'era al campo gli si rispose e lui ci disse che era troppo e che si doveva mettersi, appena possibile, in spiazzo da una parte e bere e mangiare qualcosa prima di riposarsi per mezzora se no non si andava invel (avanti).Era al capo di un altro gruppo, senza bestie, e procedeva di passo più svelto che il nostro.Si aspettò che il suo gruppo sfilasse e ci si mise alla coda.Ci si fermò insieme a loro che erano alpini del San Dalmazzo come noi ma non ci si conosceva.Si mangiò, si bevve quel che si poteva e s'aveva e si stette quanto ci venne detto e poi subito in marcia.L'Armando non stava bene e forse s'era preso le febbri ma non era

il solo che era ridotto male.Altri tossivano e non respiravano, altri urlavano dal dolore per le mani ghiacciate, altri ancora erano anche loro febbricitanti.Ci si disse di stare molto attenti che il sentiero stringeva in alto ed era di pericolo cadere e che ognuno doveva stare attento al fratello davanti ed aiutarlo. Sgavis molt (ne ho visti molti) di fratelli morti di fianco alla strada ed ormai coperti di neve, quanti fermi da una parte che non avevano più il fiato di andare avanti.Quanti muli sciolti o morti e roba buttata da una parte per alleggerire e intorno gnint (niente).Tutti si era stracchi (stanchi).Non si aveva che poco di che mangiare e vestirsi visto che eravamo andati via di corsa come ladri nella notte.Il freddo levce (bagnato) era addosso e non ci dava pace e anche gli occhi lacrimavano e bruciavano che a stento si tenevano aperti da come il ghiaccio ci faceva in faccia el cadliot (ghiaccioli).Trovammo ancora morti addormentati e gelati.Non c'era scampo o si camminava o si moriva.Sul sentiero cominciavamo a trovare ancora di tutto.Casse, di munizioni, casse di altri generi, bocce di acqua, basti, ferri,attrezzi, perfino una macchina per il cucito.La stanchezza faceva disfare di tutto quello che non serviva e quello che ti sciovolava via non era il caso di riprenderlo.Si correva de lisar (cadere) di sotto o di rallentarsi e non camminare più oppure di perdersi.Non si trovarono certo coperte o cibo.Anche i muli erano a soffrire da una parte o lasciati abbandonati che ci seguivano, tonti, senza nessun ordine o tiro.Di ufficiali nemmeno più l'ombra, tutti erano in cima a farsi spingere e noi qui sotto con il diavolo che mordeva al culo.L'Armando, poi,ci costrinse a rallentare parecchio ma nessuno del nostro gruppo disse un fiato.Stava male ed aveva la febbre di malattia oppure era solo stracco più di noi.Non tutti siamo uguali su questa terra ma fra di noi era come se lo si fosse.Sbandava e non si reggeva in piedi che dovemmo fargli una barella di fortuna a sacrificio di una coperta.Gli si praticò quattro sbraghe da metterci le mani e si fece distendere dentro che non capiva già più nulla e parlava di fuori.Ci si attardò caricandosi lui e la sua soma portandoci quasi in fondo alla nostra colonna e rallentando ancora parecchio ci si perse indietro sul sentiero che si era restati tutti noi più un'altri dieci.Le mani ed i piedi non si sentivano più eci passammo l'olio per i fucili sui guanti per farli tenere più caldi ed asciutti.D'intorno ancora neve e neve e qualche sordo rumore di roccia che cadeva e qualche rimbombo di cannonate lontane. Ma non ci si dette per vinti.La stanchezza però ci prese anche perchè cominciava ad essere faticoso scansare tutto quello che c'era per il sentiero e si era perso la fila ed era più difficile andare diritti e sicuri così si tirò fori una corda e ci si legò fra noi però che se cascava uno tirava via tutti gli altri ma si poteva arrischiarsi.Le mani erano sempre di più ingrazulide (rattrappite) e non si riusciva a cavare niente dalle bisacce ed anche questo lavoro ci portò via parecchio tempo.

Si cominciò anche noialtri a far volare roba di sotto ai dirupi, come del resto avevano fatto già in molti,per alleggerire poi, se si trovava qualcosa che impediva il cammino si frugava se c'era roba che poteva servirci e poi lo si faceva volare giù.Ci si decise di forzare un poco il passo per vedere se si riprendeva il gruppo ma dopo un poco ci si accorse che non si poteva procedere così forte e il cammino andava a gris (ripido).Ci si fermò un attimo per riprendersi e si decise di aspettare un gruppo che era, di sicuro, dietro di noi e metterci insieme.Ci prese il freddo mentre aspettavamo che ci fece peggio che meglio.Si sentiva qualche grido ed urla, giù in lontananza, di poveri diavoli a lisar per (scivolare) giù.La stanchezza, il freddo, le ferite, la fame, l'essere non attenti un attimo era come rendere facile l'anima al Signore in quella neve che ormai ci copriva tutti e rendeva ancora più traditore il sentiero in quel cadecaz (postaccio).Il tempo peggiorava e non ci dette pace da subito.Andava a tormenta o riprendeva a nevicare fitto che non si vedeva ed il proseguo diventò più difficile.Le tracce di chi stava avanti erano scomparse e si proseguì a tentoni compatti e fieri come sempre.Dopo circa una altra ora, durante la quale si coprì poche centinaia di metri, si cominciò a trovare dei segni visibili come robe abbandonate, muli morti e poveri fratelli congelati che ci portarono ad un sentiero percorso sino all'alto dove, dopo ancora due ore di cammino trovammo dei soldati del Dronero che stavano cercando di far salire delle casse di bombe che s'erano spallati per chi sa quanto al posto delle loro bestie morte o perse e che si erano attardati nella bufera.Si cercarono di aiutare per quanto si potesse avere forza e in pochi metri si fu in una sella piena di soldati alpini come noi e non.Appena si arrivò c'avduda (ci vennero incontro) diversi fratelli con qualche caparella (mantello) a chiedere e cercare di aiutarci che si era ridotti male dimolto.Si andavano d'ardussar (radunando) per ritirarsi verso la Prevala ma il tempo e la stanchezza avevano avuto la meglio.Ci chiesero di che battaglione si era e che loro erano del Dronero e ci indicarono dove c'erano gli altri del San Dalmazzo.Stavano tentando di organizzarsi in quel batibui (confusione) ma era cosa impossibile per il tempo e per la neve e per el casin (casino) di soldati che c'era.I nostri erano in basso verso il sentiero che dava alla Prevala perchè erano arrivati da ultimo ed in cima non c'era più posto per la sosta.Andammo in giù e si raggiunsero e ci si mise da una parte e ci portarono del brove (brodaglia) calda mista a licquore che ci tirò parecchio su.L'Armando era febbricitante e sfinito e nemmeno quella roba gli fece riprendere i sensi: al quel punto con uno sforzo da bestie si decise di portarlo indietro in cima alla sella dove s'era visto un medico al mestiere.Io e Pietro, insieme a due fratelli di cui non ricordo il nome, si portò su che non si ripigliava e ci raccomandammo al medico di vederlo subito.Lui ci disse di lasciarlo li che faceva il possibile e di non stare a “scazzare i

coglioni” li nel mezzo e di tornare al reparto.E così si fece.All'Armando gli si dette un poco di scatolette, una borracia d'acqua e una bottiglietta di grappa spuntata fuori per caso e due coperte, poi si tornò dal dottore raccomandandoci come non mai perchè lo vedesse almeno al più presto ma non ci lasciò nessuna promessa trattandoci a male un'altra volta e noi non si insistette.Salutammo l'Armando che ci disse di non preoccuparsi che lui se la cavava.Quando si tornò al bdosa (riparo)si cadde di stianto in un sonno tremendo sotto il telo dove ci si era messi insieme ad altri.Ci svegliarono alle prime ore del giorno novo delle cannonate che centrarono la sella più volte in una gragnola di esplosioni.Era una pioggia fitta di bombe e ci si meravigliò tutti di come potessero, in quella bufera e nebbia, potere vedere così bene dove si era.Ci si assiepò tutti fra gli urli di andare via verso la discesa del sentiero a spintoni per paura di essere presi nel mezzo del bombardamento che schizzava sassi e mota da tutte le parti.Allora si lasciò ancora parecchia di quella roba che con fatica, sangue e morte s'era portata su.Urlavano di andare via, via di corsa e noi rintontiti seguimmo a sgroppate il gruppo che andava via senza ricordarci dell'Armando su in cima alla sella.Il terreno era di fatica e pieno di ogni cosa ancora abbandonata o buttata di lato o di sotto.La mota era infilata dentro ogni posto e camminavamo astracc (fatica). Trovammo ancora fratelli già senza forze o morti o moribondi ma si proseguì in una nebbia ci che cecava tanto da dovere rallentare.Eravamo parecchio su che sentimmo i primi spari.Quasi si credeva che venissero dalla Prevala perchè magari ci avevano visti e non ci avevano riconosciti o da qualche pattuglia dei nostri che controllava il sentiero ma ci si sbagliava perchè gli spari venivano da sotto e si capì che erano già arrivati al bivio che si era trovato poco prima e chi era li stava tentando di fermarli alla meglio.Poi scoppi da bomba e ancora fucilate.Cercammo di sbrisar (sbrigare) il passo ma non ci si riusciva più di tanto perchè eravamo allo stremo.Ci sorpassarono altri soldati di vari reggimenti che ci dissero di correre via che stavano arrivando e che giù non potevano resistere per tanto.Noi ci si mise tutta ma facemmo solo un centinaio di metri e ci si dovette fermare.Intanto con noi si erano attardati anche altri soldati.Nevischiava e si sentivano sempre di più i rombi di bomba e le fucilate anche ripetute così che si capiì che non erano semplici gruppi di ronda quelli che ci incalzavano ma che erano armati pesanti con tanto di mitraglia e bombarde.Dopo ancora poco trovammo un ufficiale che ci ordinò di fermarci e ci disse che bisognava apprestare un posto per fermare il nemico che di li a poco ci avrebbe sparato addosso.Era livido in volto ed accompagnato da due fucilieri.Da una parte, dietro un masso stavano mettendosi a difesa altri fanti.Altri

fanti ancora si stavano mettendo dietro le rocce poco più avanti.Ci fu ordinato di prendere in giro tutto quello che si trovava che potesse formare una barricata.Trovammo una pila di casse di munizioni e altre masserizie varie e si intasò il sentiero con quelle e con pietroni formando una specie di difesa, le bombe si spolettarono e si buttarono di sotto.Poi soddisfatto ci disse che alcuni dovevano restare a difendere le spalle e che i feriti e i malati dovevano restare li.Noi tutti si disse no ma, pistola in pugno,ci intimò di andare via di corsa se no ci faceva fucilare.Noi ormai si era in sette otto e nessuno di noi, per la bagia (fortuna), fu fra quelli scelti per restare.Alla rinfusa si corse giù per il sentiero e poi su ancora mentre dietro di noi ci andavano giù di brutto a spararsi e verso metà mattino con molte difficoltà, ma con e con tanto patimento dentro pei nostri compagni sotto un tempo che pareva dato di tregua, ci si arrivò alla Pevala che era in presidio da tanti soldati.Si fece gli ultimi sforzi a piedi nel canalone che era pieno casino a preparare la difesa che, sperando in un riposo, attraversammo l'entrata della trincea di centro che chiudeva la sella.C'era un gran preparare.Si stava mettendo in ordine tutto con pietre e sassi a far di trincea e reticoli per sbarrare o interrompere il passo al nemico.

SELLA PREVALA

Non si sperava di non lavorare ma appena vi si fu dentro ci vennero subito incontro dei graduati che ci dissero di posare i fagotti da una parte, “sotto quel roccione o quell'altro non importa ma fate di fretta” che si doveva subito correre a dar mano a preparare la difesa e di prendere piccozza e vanga e tenersele dietro.Si cercò, noialtri, di stare insieme come sempre e ci si riusci anche questa mandata.C'erano tanti soldati alpini di scollino che si preparavano ad avviarsi per non so dove.Monti di robe che venivano contati e dati spartiti a chi andava via.Il medico al lavoro e file di soldati morti messi sulla neve.Monti di casse di munizioni vote e gettate a far da

fuoco.Una grande confusione.Donca (dunque) ci ordinarono di andare a prendere roba al comandetto di pietra e legno di fianco a la trincea che guardava la strada.La trincea non era tanto larga e subito a dosso del monte che le pietre van aruglum (ruzzolavano) a guardarle.Il pendio che la separava dalla strada era facile e non trincerato e si capì subito che si doveva far di meglio per attrezzarlo alla difesa.Il centro, proprio nella sella, era di un muretto a secco parecchio sgrazied (disgraziato) poco alto dove si stava mettendo delle mitraglie.C'erano due cannoni piccoli e senza servi d'arma che sembravano abbandonati.Certo che non v'erano munizioni per quei pezzi e poi scoprimmo che nei magazzini non c'era niente che potesse aiutarci a difenderci meglio o coprirsi e mangiare.Ci misero a riempire dei sacchi di tela gettè al mont (ammonticchiati) da una parte.Ci dissero di riempirli di terra o sassi ma non fu facile perchè non c'era un grande spagliolio e la mota non era da scavare perchè dura e ghiacciata.Si riempirono di sassi alla meglio e si aiutò trasportarli di davanti alla sella.Poi si prese ad aiutare a mettere i reticoli di davanti, a buttare chiodi nascondendoli nella neve ormai ch'era alta e si mise anche due trappole da orsi nel mezzo.Nel fare questo ci si perse si resto solo in tre,di noi, mentre Piero si vide indaffarato con tanti altri lungo il pendio della trincea.S'era sfiniti ma nessuno si lamentò.Poi ci chiamarono per il turno di gavetta e ci portò ancora dietro la sella vicino alla nostra roba.Una zuppa calda con un pezzo di carne ci rimise al meglio anche se non bastò a farci rivivere da tutta quella fatica.Molti vomitarono per la stanchezza e per la pancia chiusa ed anche a me penò molto a scendere giù.La carne era di mulo di sicuro perchè s'era visto coi nostri occhi, in una specie di macello tutto all'aperto, macellare le brecca (muli) morti o morenti ma nessuno si dette pena, la fame era tanta.Mentre trangugiavo pensai che non si era fatto un brutto lavoro e mi sentìi sicuro che non passassero nemmeno per sbaglio o senza penare parecchio.Il tempo nevischiava e calava una fitta nebbia ma da altre parti faceva burrasca di sicuro.Nessuno diceva nulla su quello che era d'accaduto e nessuno chiese o dissee, allora, nessuno sapeva di bene cosa fosse successo e come stavano andando i fatti.Nessuno ci fece la conta o chiese i nomi, per paura, si diceva, che la lista cadesse in mano al nemico ma, forse, perchè nessuno voleva brigare a perdere tempo a fare di queste cose.Si sarà stati poco più di duecento anime, non tante ma s'era incattiviti da tutta la morte che s'era visto e dai patimenti avuti e quelli avuti dai nostri fratelli.I kruki non lo sanno e sperano di metterci fiacca o paura ma non ci arrenderemo mai, piuttosto schiattiamo.Corse voce di risparmiare da mangiare e munizioni e che qualcuno sarebbe passato a prendere quello che avevamo per dividerlo con tutti.Nessuno

disse nulla come si doveva.La nebbia calava e Pietro non si era visto tanto che ci preoccupò per la sua roba che aveva lasciato li dove noi.Non fu un riposo lungo che cominciarono subito a gridare “arrivano, arrivano, preparatevi”.Sparo alla mano si corse verso la parte centrale che era quella più vicina a noi che arrivarono subito le prima cannonate, forse di bombarde a mano o quelle a fucile, che colpirono dietro di noi e sul trincerone.Da noi fu più le pietre e le schegge a far male che altro, che s'era scoperti di dietro.M'arcord che qualcuno si ferì alla schiena ma non di più e non in maniera grave.Stavano tentando di vedere quanti si era contando gli spari e il posto da dove venivano ma noi non si sparava certo senza vederli.Partirono pochi colpi ma dalla parte del fondo della trincea devono avere avuto più da fare.Così ebbe da continuare per parecchie volte e solo una volta arrivò di tradimento un can a soppiatto e buttò una bomba che sfess (passò) in mezzo e andò a colpire il muro facendo pochi danni.In tutto solo qualche ferito al capo di striscio, qualcuno di scheggia agli occhi e qualche altro di rimbalzo ma solo di sfrisio così che il dottore non ebbe da fare che molto aveva ancora per finire di quelli prima.

....racconta Pietro che si era rifugiato nella trincea...

...m'ero trovato li, a forza di aiutare, e non m'ero accorto che ero lontano dai miei amici.S'era a mettere al meglio la trincea che non era molto d'attrezzi e coperta.Avevo messo parecchio filo e aiutato a mettere delle trappole di bombe subito prima dello spinato.S'erano sistemate sotto la neve perchè non c'era il verso di scavare la terra o la mota.Poi s'erano lanciati i fili del comando dentro le trincee legandoli ad una picca ed usandola come lancia.Per il resto non c'era parecchia roba da mettere perchè dai magazzini non usci che poco e poco s'era portato con noi.Il pendio che arrivava sulla trincea era facile al piede e, con quella nebbia, ci si poteva ritrovare addosso un casino di nemici senza nemmeno tirare un fiato intero.Però più di così non si potette.Ci si ritirò dentro la trincea per riposarsi e mangiare qualcosa e cercare di coprirsi ed asciugarsi.Qualcuno aveva acceso delle marmitte a mò di stufe che avevano riscaldato un poco.Ci portarono da mangiare ma non mi ebbi a riavere e non si ebbe nemmeno il tempo di levarsi che partirono i primi colpi di bomba anche se non colpirono dove s'era.

Non si vedeva nulla e si sparò qualche colpo più per mettere fifa al nemico che altro.Nella nebbia, quelli che vanno a guastare, possono far aprire,senza che tu te ne accorga, file e file di reti e spinati e fartele volare addosso e su per il culo e in un attimo ti trovi quelle merde in trincea a tagliarci le gole e tirar di mazza che nemmeno sai da dove arrivano.Ci dissero però di sparare che poco che non c'erano munizioni.Fu così per tutto il giorno che era restato a tentare di farci incazzare e farci sparare.La notte solo qualche fucilata, non nostra, per tenerci svegli e qualche arlus (illuminante) che non riusciva nemmeno a fare buco nella nebbia dal tempo che c'era.La trincea era mezza di mota e neve e si dovette fare turni stretti per potere essere certi di non essere presi d'attacco.Dormimmo attaccati a riscaldarci con molto patimento come tanti maiali che stanno nel loro sudicio nel serraglio.La mattina, di buon ora, che si dormiva quasi tutti o s'era ancora fra il sonno, si sentì arrivarci addosso le bombe.Erano roba pesa di calibro e da noi ci colpirono più volte mandando alla malora tutto quello che di davanti s'era messo e si aveva a difesa.I tirelli delle bombe a trappola erano laschi (staccati) e non servivano più a nulla.Dal monte arrivavano parecchie pietre e qualcuno se la prese in testa e morì subito.Durò parecchio ma senza che quei vigliacchi ci colpissero sodo.Poi smise e ci si aspettò che ci attaccassero.Era insieme a noi un fratello che ci disse che lui era un veterano della guerra di trincea invece che noi anche se ormai mezzi sconci e che aveva fatto anche il Durazzo.Ci disse che ci si doveva preparare al corpo a corpo e che i fucili non servivano altro che come bastone ma siccome li non ci si rigirava era meglio avere armi corte alla mano e tutto quello che si poteva tirargli sul capo o infilare addosso.Ci si mise di volata a tirare fori picche, vanghe, noccoliere coltelli e baionette e anche picche da tenda che potevano servire.Io me ne misi due infilate nella cintola insieme alla lama mentre tenevo la vanga nelle mani.Partirono le prime fucilate ma quei cani morirono subito appena sbucarono dalla nebbia.Mi dissero che non erano parecchi e che erano scappati con la coda fra le gambe lasciando parecchi di loro a terra.Ci si fece da subito silenzio per sentire se il nemico, in quella nebbia, non mettesse le cariche per far saltare via la difesa che restava o stesse avvicicinandosi di soppiatto per tirare di bomba ma non si sentiva nulla e la nebbia calava ancora che ci venne a tutti i brividi nel non riuscire a vedere meno che ad un metro perchè ci potevano saltare addosso senza vederli e da ogni dove.La pace non durò e, mentre ci si aspettava che saltassero fuori loro, invece, ripresero a bombardarci ma senza grande voglia e precisione.Avevano sperato di prendere le misure, con quell'attacco, ma non gli era riuscito.S'andò avanti per un oretta quando ormai era mezza giornata che le

bombe smisero di cascare.Dopo di poco partirono le prime fucilerie e noi ci si mise con le spalle alla trincea ed aspettammo l'ordine di respingere.Ci si levò i guanti e tutto quello che poteva darci da noia al combattimento e si strinse il lacciolo al mento dell'elmo.I nostri fratelli spararono qualche colpo per far abbassare le teste dell'attaccanti e farli distendere.Solo così si poteva trovarli a loro sfavore sperando di saltarglici addosso prima che alzassero il grugno e sperandom ancora, che non fossero tanti.Fuori!! fuori !!e de sbris (velocemente) con due balzi s'era usciti da dentro.Non ci spararono tanto addosso o almeno non dalla mia parte.Si uscì in sei o sette e gli si fu addosso per davvero che ancora strisciavano quei serpenti vigliacchi.Al primo che mi si parò d'innanzi gl'aburdè (gli detti) un calcio nel muso che stava d'alzarsi che gli parti tutti i denti poi mi si avventai sopra che lui era ancor invurnì (rintontito) dalla botta e pieno di sangue e gli detti di taglio colla vanga sulla nuca due o tre volte e poi due de curtel (coltellate) alla gola per finirlo, che non si poteva lasciarlo dietro nemmeno che vivo o morente, e salutami il diavolo.Gli altri in smusina (nella mischia) stavano dando botte a ogni cosa d'intorno.Vidi per la terra uno dei nostri che cercava di dimenarsi via da un merda che gli stava sopra e mi buttai con la baionetta al fianco infilzandolo due o tre volte che buttava sangue da tutte le parti poi lo si tenne fra lui e me e gli mise la lama in gola fino a piantarlo per terra che ancora si dimenava e schizzava sangue.Non era un grosso attacco che non si vedeva intorno più nessuno oltre ai morti dei loro e qualche ferito dei nostri.Sia bene che non si vedeva più che a dieci metri e ci si tenne bassi per paura che non ci accoppassero tenendo sempre gli occhi allerta.Si sgattaiolò verso la trincea che non era che lontana pochi metri trovando un mangiapatate che si lamentava e che striciava non sapeva lui per dove e così resi anche lui al diavolo tagliandoli la gola.Poi si rientrò dentro e subito si prese il fucile riaffacciandosi sul bordo per vedere se non ci aveva seguito nessuno.Si grondava sangue e s'era pieni di neve e mota e si fu contenti d'avergli dato una lezione.Uno sconcio passò a vedere come si stava e portaci munizioni mentre un fratello aveva preso del fumo da un morto dei loro e lo stava dividendolo passandolo intorno.Dopo poco alte fucilate ci avvertirono che stavano arrivando che s'era appena ripreso il fiato.Ci si mise in posizione come prima aspettando l'attacco ma quella volta ci arrivarono addosso diverse granate che colpirono a casaccio dentro la trincea e, meno male, non dalla parte nostra.Poi via! Ancora ci dissero di partire, ma questa volta si trovarono ad aspettarci, ma per via della nebbia fitta non riuscirono a beccarci e gli si fu addosso, poco più che dove l'altra volta, ancora in di più.Quello che mi parò davanti non ebbe il tempo di caricare che io e un altro gli s'era sopra.A me però sfuggi, scivolandomi de sghimbescio (di lato) sul sangue

che non avevo levato dalle mani, e prese a mordere il mio amico in faccia perchè gli aveva tutte e due le mani nelle sue.Io scivolai parecchio prima che gli fui sopra, ma non riuscivo a prenderlo di bene che scivolava tutto mani e scarponi e avevo paura che mi sbucasse qualcuno da dietro a infilarmela nel culo.Avevo perso la lama e la vanga ma presi una picca di legno e gliela piantai in gola da di dietro de mezzo (di fianco), che schizzava sangue a fiume, ma mi si ruppe e non potevo più movergliela dentro.Il mio amico urlava di dolore per i morsi nella faccia allora razzolai intorno per trovare qualcosa per finirlo ma mi si parò davanti una sola pietra scalzata da un botto e presi a colpirlo addosso che lui non aveva la forza di reagire ed aveva tutte due le mani al collo a tentare di fermare il sangue.Poi giù mazzate su quel muso di merda diverse volte che morì subito.Mi girai veloce e vidi altre zuffe e mi ci buttai.C'erano teste rotte e sangue da tutte le parti ma trovai dei nostri che stavano addosso al nemico e si picchiavano a cazzotti.Gli saltai addosso a uno a mani nude perche non avevo niente facendolo ruzzolare di lato.Poi gli si fu addosso in due.Io lo tenevo al collo che volevo strozzarlo e mentre lui si difendeva stava cercando una baionetta che l'aveva vista buttata li per la terra.Il mio fratello riuscì a venirgli addosso per tempo anche se si scivolava parecchio, prese un fucile dei loro che era li e col calcio gli fracassò le dita che ancora sento il rumore, e , mentre urlava di dolore, cominciò a dargli con gli scarponi in faccia e alla testa e poi prese anche col calcio del fucile quando ormai non si moveva più.Poi, quando mi levai, gli sparò diritto nel grugno.Ancora aiutai altri in quel casin (confusione) dandogliele parecchie per messa fino a quando non se ne pararono più davanti.Allora si corse subito verso la trincea, senza riprendere men che fiato che si sentì spararci addosso da sotto.Si ebbe fortuna che non ci vedevano e che non ebbero mira.Ci si buttò dentro ruzzolando e subito si prese i fucili che erano li e ci si affacciò per vedere che non ci inseguiva nessuno.Però che qualche kruko s'era infilato dentro in trincea ma qualcuno l'aveva subito beccato e fatto secco.Uno era li per terra senza l'elmo, con la testa fracassata in un lago di sangue.Altri, mi dissero, avevano cercato di fuggire da dentro la trincea quando si erano accorti che non c'era il verso di continuare e che i compari erano tutti ammazzati o scappati.L'hanno finiti tutti di schiena come vigliacchi mentre scappavano via come conigli:chi a baionetta, chi con un bel colpo in testa con le mazze tanto per rendergli il favore a quei senza dio che le usano per finire i nostri fratelli feriti.Quello che si era recuperato dai quei morti ammazzati non era molto:qualche latta di mangiare, coltelli, oggetti da casa, tabacco e pipe, picche e qualche bomba:stavan peggio che di noi e quindi potevano starsene a casa loro invece di venirci a fare guerra a rompere i coglioni.Qualcuno se l'era vissuta di brutto perchè di feriti ce n'erano tanti.Ma mi

non m'avevano accoppato.Non ebbe a succedere più nulla se non, per la fame, qualcuno uscì a buio per vedere se trovava robe da mettere in corpo nei corpi dei nemici ma senza fortuna.Tutto poi s'acquietò quieto fra spari e avvertimenti d'attacco non si riposò che a turni .Molti fratelli erano feriti ma non morenti e si vedeva che ce la facevano e questo ci rimise a fiducia.Nel pomeriggio s'incurt (si accese) un focherello con un pezzo di legno marcio per riscaldarci ma s'ebbe solo noie a tenerlo acceso per via del fumo che buttava ch'era molle. Il tempo sembrava d'arbeil (schiarire) e la nebbia parve alzarsi e così si centrò qualche ombra nera che si dava daffare giù in basso.Ma non si ebbe molto di più di che temere.

...riprende la storia l'alpino Candido...

Ad un certo punto arrivarono diverse bombe a mano dalla nebbia che spazzarono via subito una mitragliatrice.I serventi scapparono subito verso di noi ma vennero colpiti alle spalle dal fucilate e caddero per le terre.Non sentendo la mitraglia si sentirono gagliardi di poter sfondare e tentarono di affacciarsi fino a far saltare il primo filo spinato.Qualcuno si prese i chiodi nei piedi e restò li, altri si impigliarono con tutto l'armamentario che avevano e non potettero sfuggire ad un colpo in piena pancia e a farsi centrare altri però, vedendo che s'era a prendersela coi bersagli più facili,a forza di bombe riuscirono a aprirsi un varco prima sul terreno e poi sul muretto.Non si vedeva molto per via del fumo e degli spari.Anche noi gli si sparava a casaccio qualche colpo per vedere se tornavano indietro ma con molto risparmio non si poteva continuare che col prenderli a corpo a corpo. Non se ne vide molti che strisciavano per entrare dentro la trincea ma ci dettero lo stesso l'ordine di sortire ed andare ad ammazzarli.Dapprima qualcuno buttò una bomba che centrò un gruppetto spezzando in mille pezzi le ossa di chi se l'era presa in groppa e poi, d'approfitto del loro rintontimento e vedendo che ormai i loro camerati avevano preso per correre nelle loro tane, non s'ebbe nemmeno la voglia di uscire che gli si sparò facile diritto in testa a quei tre o quattro che erano li senza capire se andare avanti o tornare dietro da tanto erano ancora tonti dall'esplosione.Dopo di questo non si vide nessuno.L'unico che ci rimise la buccia fu una

mezza penna che venne mandata insieme ad altri a recuperare roba e sistemare il filo alla meglio.Un colpo sparato non si vide da dove, lo colpì di faccia e restò fermo li dov'era.Non fu facile riprenderselo, quel povero burdel (ragazzo).Due che tentarono si impigliarono prima loro e poi lui che non doveva essere facile il trascinarlo da dove era e stando distesi.Poi ordinarono di lasciar perdere e i due rientrarono senza non poco rammarico e mocles (bestemmie).Si chiuse con un poco di sacchi, sassi e casse lo squarcio che avevano fatto e poi ci si mise a riposo attento.Dalla nostra parte, di quello che era nell'altra parte, non arrivò che il rumore di battaglia e grida ma non si vide parecchio.

Ci hanno trovato le guardie e presi a bastonate.Ci sono venute da dietro che nessuno di noi se ne è accorto.Non vogliono che si stia sotto a parlare o fare altre cose.Siamo fortunati di non avere perso il lavoro e di essersela cavata solo con un poco di sputi e qualche livido.Speriamo che si possa continuare.

Sono due giorni che non ci si trova e che non vedo nessuno.L'altra notte hanno portato via nei carri tanta gente e spero che non siano loro.Non piove più ma si gela.

Un amico mi dice che qualcuna cerca il “fiorentino”.Lo vedo è Candido ma è solo.E' in lacrime e mi dice che nella scorsa notte, Pietro, è stato preso quando era con altri e messo in un altro recinto.Il recinto era stato svuotato di tutti e mandati chi sa dove.

...ricomincio a scrivere a questo freddo senza coprirci per evitare quello che è successo l'altra volta.

Dalla nostra parte, gli austriaci, avevano sentito ancora il rumore di qualche colpo di mitraglia e non s'erano più avvicinati.Siamo nascosti dietro un muretto e coperti bene per paura che non ci arrivi addosso

qualche bomba e dopo poco ci dicono di mangiare di corsa che si deve andare via di corsa appena fa buio.Non fare assolutamente nessun rumore.Restano i soliti feriti a fare baccano e coi fochi in bella vista per far sembrare viva la postazione.Ci si sta radunando appena sotto la sella in una nebbia fittissima che appena si vede chi sta davanti.Avevo perso di vista tutti i miei camerati e questo mi faceva male,ma li sapevo vivi, a parte Pietro che non sapevo dove era andato e la sua roba era ancora li.Si fanno gruppi di quindici alpini e i primi cominciano a partire e si perdano nella nebbia e nel buio che ormai era tarda sera e la neve fiocca di molto e si deve avere le ciaspe alle mani e pronte per l'uso ammesso che tu abbia la fortuna di averle o prenderle.Saremo stati sei, sette gruppi perchè, appena partiti, con il poco che si aveva recuperato, si sentì dire “dopo di voialtri un'altro e s'è finito” e noi si era il gruppo cinque.Non so fare di conto ma eravamo restati pochi di tutti quanti s'era del Rombon.A quei pochi che restavano condannati all'inganno e alla difesa gli fu detto di accendere fuoco nella trincea e fare un po' di baccano come se si muovesse qualcuno o si fosse a passare per il rancio così da ingannare il nemico.Si camminò che la neve era alta.Non so per dove.Non si vedeva nulla: era o tutto bianco o tutto nero e ci si arrancava solo seguendo i fili, messi su dei pali, adatti per il collegamento fin quando anche questi erano caduti o ricoperti, ci si fidava solo di chi stava davanti a noi.Se lui cascava in precipizio si sarebbe lisati (scivolati) come pere mature da un'albero anche noi dietro come dei fessi e senza nemmeno accorgersi di morire.La fatica maggiore la fecero di sicuro chi batteva davanti e non noi che s'era in fondo.Non stavo bene non so se per fame o per stanchezza e mi sentivo tutto freddo ma avevo paura di dire qualcosa e non volevo essere lasciato li a sicura morte.Si procedette a fatica in questo freddo e neve che è da morire ma stringiamo tutti i denti.Un'altra fatica da bestie per ritirarci ancora per poi, forse, dover scappare ancora ed ancora. Si proseguì tutta la notte a tentoni e senza fermarsi che per un riposo e un sorso in condizioni di fatica peggiori che sempre.Ci si teneva tutti toccandoci uno quello che gli stava davanti.La lanterna non reggeva al vento di bofa (bufera) e ben presto il gruppo rallentò e si trovò ancora staccati dalla testa ma non si fece di caso o paura e si continuò.Era ancora notte chel frio (che il freddo) non ci dava pace; avevamo lasciato un fratello morto dietro di noi, un'altro burdel (ragazzo) era scivolato e si era rotto una gamba e fu duro lasciarlo li a sicura morte: poveraccio che il il Signore abbia misericordia di lui e non l'abbia fatto soffrire.S'arrivò ad una sella che avevo la faccia piena de cadliot de gelo (ghiaccioli) dove si trovò dei soldati che s'erano riparati dalla bofa (nevicata) mettendo su dei pali una pezza di tela ed arrangiandosi come potevano.Non erano li da molto

ma di basta per essere ingrazulid (rattrappiti) che a stento ci riconobbero per amici e ci vennero incontro.Si pensava di essere a punto buono ma dopo avere bevuto della grappa dalla bocie comune (dalla bottiglia comune) si ripartì di corsa ed ancora a passo più svelto lasciando li quei sgrazeid (disperati).In poco tempo si riuscì ad arrivare ad un'altro bivio dove trovammo diversi morti da una parte.Non so che fratelli alpini o altri fossero.Erano li, coperti di neve.C'erano due soldati fanti ad aspettarci e fare guardia e ci dissero di proseguire alla sinistra verso la Buja che li si stavano radunando tutti.Ci chiesero da bere e da mangiare e qualcuno gli dette quello che poteva ma comunque poco.Ad uno il graduato gli ordinò di correre verso l'altra sella, più in basso, e dire di trovarsi tutti alla Prevala ma non so se, dopo che fummo passati tutti, quel poveraccio avesse avuto la voglia, il coraggio o fosse capace di potere andare in quel posto .

SELLA BUJA

Camminavamo spediti che era il mezzo del giorno in un sentiero bagnato ma facile al piede e cominciammo a sentirci rincorati.Io stavo parecchio male ed avevo a sicuro la febbre ma non volevo dirlo a nessuno e che nessuno lo capisse.Volevo fare la mia parte e non volevo essere abbandonato da una parte, solo come un cane, ad aspettare di morire di freddo.Trovammo vari bivi presidiati da uno o due soldati che però vennero comandati di restare.Nessuno nel passare credo li abbia guardati in vis (faccia) mentre si passava.Non era bello restare li, lo si capiva anche noi poveri gnurant (cafoni).Alla Buja s'arrivò che era sera senza grandi intoppi.La capanna l'avevano bruciata tagliandoci fuori anche da questa difesa o rinfrancamento,intorno era tutto nero di sfulzine (cenere) e da una parte c'erano diversi alpini come noi sotto delle tende di fortuna.

Non ci dovevano essere appostati alla guardia perchè la nebbia era così fitta che non si vedeva nemmeno gli scarponi.Nessuno ci venne incontro o ci chiese qualcosa.Erano tutti malconci sotto le loro pezze.Non so chi ma avvenne l'ordine di fermarci.Vi si doveva stare accampati per poco ma il fermarsi per me fu la sfortuna.La febbre era già alta e non riuscivo a chiuder la bocca da quanto tremava i denti e, nell'alzarmi ricaddi indietro come un sacco perdendo la ragione.Mi dettero subito un sorso di acqua e poi un goccio di grappa ma non riuscivo nemmeno a parlare.Sentii solo che parlavano fra di loro.Mi portarono sotto una tenda di fortuna, al coperto.Stiedi li non so quantoper terra coperto da un telo.Vidi solo che sfilavano via ed io non riuscivo nemmeno a movere un dito.Non ebbi forza ma mi montò paura e rabbia.Nel riprendermi mi accorsi che intorno c'erano tanti feriti o malati tutti come me, qualcuno ancora sul tavle (tavolo) aspettava d'essere tagliato o medicato.Di quella notte non mi ricordo nulla.Caddi come un tonto in un sonno buio e agitato dai continui lamenti, gridi, invocazioni e preghiere.La mattina olta (dopo) mi scossero dal sonno con uno scrollone per offrirmi della broda gras (brodo caldo con molto grasso) che mi giovò.Ero tutto bagnato e pieno di dolore e la febbre me la sentivo ancora addosso che non mi aveva lasciato.Tentai di alzarmi di per terra senza ricadere arreggendomi alla staccionata e non fu cosa di facile.Ebbi a stare per parecchio attaccato ai legni cercando di farmi svanire il giracapo.Provai, sempre d'aiuto, a fare qualche passo e riuscii a riprendermi un poco.Mi misi vicino ad una stufa e tentai di asciugarmi con le poche forze che avevo.Un soldato mi appellò dicendomi se ero in grado di combattere e gli scossi il capo:andò via bestemmiando qualcosa che non capiiVedevo , da un lato, l'imbocco del sentiero o del passaggio che arrivava li.C'erano due alpini a difesa con la mantella addosso ed il fucile.Non si vedeva a più di dieci lunghezze di metro ed il bianco accecava e confondeva gli occhi.Stetti li parecchio a guardare e riprendermi.S'era messi male.In piedi c'erano pochi fratelli e forse non si arrivava a dieci.Il bivacco era fumante e non ci dava asilo o difesa.Gli altri erano con me sotto la tenda o sotto dei teli di fortuna.L'unico ufficiale era il Signor Maggiore che, come noialtri, non era risparmiato dalle febbri e giaceva da una parte quasi privo di capo.Il suo attendente non lo lasciava un attimo.Era ormai mattina piena che andò a giro a contare anime e armi.Tornò di svelta a raccontare tutto al Signor Maggiore.Io ero lì vicino e sentii che gli diceva che c'erano solo sei, sette armati con pochi colpi da sparare e undici feriti fra gravi e non.Sentii ordinare di gettare le armi giù di sotto e arrendersi che non si poteva ormai resistere.Tutte le armi furono messe da una parte e buttate non so dove.Poi tutti si

radunarono vicino alla tenda ad aspettare il nemico.Non si poteva fare altro e così era stato ordinato.Il tempo passava che non riuscivo di novo a movermi:quando mi fecero cenno di andare a prendere qualcosa di caldo, alla marmitta, da mettere in gavetta, dovetti farmi aiutare che non riuscivo a tirarmi in piedi da solo.Un alpino mi aiutò e mi portò la gavetta lui.Sul foco si teneva una cucma (caffettiera) che bolliva e bolliva e la roba nera mi riprese parecchio.Fu un sacrificio anche per lui l'aiutarmi.Aveva le mani fasciate alla meglio e delle piaghe blè (blu) e nere sulla faccia.Il gelo gli aveva quasi staccato le dita delle mani, mi disse, e la faccia gli si era bruciata perchè non aveva nemmeno en ciof (uno straccio) di che coprirsi nemmeno li. Faceva freddo e la nebbia ci bagnava tutti anche da sotto la tenda.Io non riuscivo a muovermi ancora da dove ero.Nessuno per ore parlò o raccontò le sue storie.Eravamo tutti acciaccati e rassegnati alla prigionia.Solo dopo diverse ore si sentì degli spari e delle grida.L'attendente prese un bastone e ci legò di fretta una pezza chiara e corse verso il sentiero tenendola bene in vista ed urlando a tutti polmoni: “oslifer, oslifer” (arrendersi, arrendersi).Si sentì prima qualche bestemmia in austriaco e poi qualche mezza parola in italiano.Dopo qualche minuto uscirono col fucile spianato dei soldati e poi ancora soldati ed ancora, ancora.Ci circondarono tutti e noi, chi poteva, si alzò le mani.Sbucò anche l'attendente con un, credo, graduato, nemico che andò subito a parlare con il Signor Maggiore.Si presentò con rispetto di grado salutandolo e chiedendo se abbisognasse di qualcosa in un italiano di buona lingua.Parlarono per poco e poi, salutando ancora, girò sui tacchi ed andò via.Restarono solo tre kruki a guardia che non ci tolsero gli occhi da addosso.Ci levarono tutto quello che sia aveva ma non toccarono la roba da mangiare credo per via del nostro ufficiale li presente.Ne passarono tanti di nemici, in poche ore, ed anche quando era già buio.Non ci furono calci o pugni e in principio non ci trattarono male.Passarono diversi ufficiali dei loro a parlare con il Signor Maggiore, sempre con molto rispetto.Passò un intero giorno, che due di noi, se ne andarono morti, senza che nessuno ci dicesse nulla-Passò anche un medico austriaco che venne a dare aiuto al nostro ufficiale.Noi non ci dette nemmeno uno sguardo. Ci trattarono senza nemmeno prenderci per cani e l'unica cosa che ci dettero era della brodaglia calda.Tutti quelli che passavano, come vedevano una cosa che gli piaceva, serviva o per il solo piacere di levarla a noi, ce la pigliava senza tanti complimenti con sputi, offese, minacce col fucile, con la bomba, col coltello o a pedatoni.Non passarono più tanti soldati e qualcuno dei loro ferito venne portato sotto un ricovero fatto apposta per loro.

Poi decisero che si doveva andare via.Il maggiore fu portato da due dei nostri verso la vallata, per la via più corta, mentre noi ci fecero scendere dal sentiero a smanrves (schiaffoni) fino a trovar altri gruppi di altri prigionieri come noi.Poi si camminò tanto e tanto attraversando posti che erano nostri: di fame se n'è patita da subito come s'è patito il freddo e le botte che tanti di noialtri s'è ne sono prese per l'andare piano o rallentare.Nei paesi che si passò non c'era che soldati a mettere roba su roba:parecchia della nostra che avevano abbandonato li.Tanti soldati dei nostri morti messi sulla strada con soldati a scavare buche per tutti.Altri d'obbligo a sistemare posti o raccattare roba.Altri sfiniti e a capo chino stavano di basso con gli occhi persi. Poi, chi ce l'ha fatta, per ora,è arrivato fino qui.

Pietro, invece, mi disse che era arrivato molto prima di me alla Buja ed era subito sceso a valle insieme ad altri alpini e con alcuni del comando, ma che, in un punto nella foresta, che erano già scesi di parecchio, s'erano trovati addosso, e a sorpresa, il nemico che era d'agguato già li ad aspettarli.Molti morirono da subito ed altri, nascondendosi alla meglio fra bosco e roccie ,dovettero arrendersi subito perchè non avevano più colpi ed erano circondati.Questo io so e giuro sul Vangelo che ho visto e fatto io e che ho visto di altri anche nel nome di Pietro.

...nota di chi scrive:Tre giorni fa ho finito di scrivere questo diario su richiesta di Candido e Piero.Mi hanno preso stamani presto e mi hanno portato via con altri.Candido è già da ieri che non lo vedo ma credo che anche lui abbia avuto la stessa sorte.Speriamo di rivederci tutti un giorno, in

un altro luogo e in altre situazioni: questo è stato un autunno freddo della nostra guerra, della nostra vita di uomini e dei nostri cuori che ci ha segnato l'anima per sempre.Non credo proprio che riusciremo a scordare un solo attimo,nei giorni che ci resteranno da vivere, di tutto questi dolorosi accadimenti.

In ricordo

II° Reggimento Alpini Borgo San Dalmazzo.....

“CANDIDO”Soldato Fiocchi Candido di Cesare classe 1898 nato a

Lizzano di Belvedere, Bologna, operaio, celibe,

morto per malattia in un campo di prigionia in Baviera il 4 giugno 1918

“ZANNA” o “L'AUGUSTO”Soldato Zannoni Augusto di Augusto classe 1889 nato a

Savigno, Bologna,contadino, celibe,

morto di broncopolmonite nell'ospedale del campo 312 in Tirolo il 15 novembre 1918

“PIETRO”Soldato Malaguti Luigi di Pietro classe 1893 nato a

Castello d'Argile, Bologna,colono, celibe

morto per tubercolosi nel campo di prigionia di Mauthausen il 31 agosto 1918

“L'ARMANDO”Soldato Freddi Armando di Vincenzo classe 1898 nato a

Monte San Pietro, Bologna, contadino, celibe

disperso nel settore Alto Isonzo il 24 ottobre 1917

“STANGHE”Soldato Stanghellini Celso di Desiderio classe 1890 nato a

Vergato,Bologna,colono, sposato con prole

morto di bronco-polmonite nell'ospedale del campo 61 il 18 novembre 1918

.......e a tutti quelli che sono stati dimenticati.

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