baiutti, m. (2016), generatività ed educazione interculturale, cem mondialità, 2016, 2, pp. 26-28

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IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE 2|2016 febbraio cem.saverianibrescia.it ® Generatività ed educazione Ripartire da Socrate? Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LV - n. 2 - Febbraio 2016 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - contiene I.R. EDUCAZIONE E AUSTERICIDIO LA FORESTA CHE CRESCE RELIGIONE O SPIRITUALITÀ?

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I L M E N S I L E D E L L ’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E

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Generatività ed educazioneRipartire da Socrate?

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I.R.

EDUCAZIONE E AUSTERICIDIO

LA FORESTA CHE CRESCE

RELIGIONE O SPIRITUALITÀ?

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Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

Direzione e RedazioneVia Piamarta 9 - 25121 Brescia tel. 0303772780 - fax 030.3772781

DirettoreAntonella [email protected]

Condirettori Antonio Nanni [email protected] Lucrezia Pedrali [email protected]

Segreteria e sitoMichela [email protected]

Redazione Federico Tagliaferri (caporedattore)[email protected]

Daniele Barbieri, Gianni Caligaris, MarcoDal Corso, Antonella Fucecchi, ElisabettaSibilio, Marco Valli

Collaboratori CEM dell’annata 2015-2016Lubna Ammoune, Silvio Boselli, LucianoBosi, Massimo Bonfatti, Paola Bonsi, Fran-cesco e Giacomo Caligaris, Patrizia Cano-va, Chiara Colombo, Stefano Curci, Agne-se Desideri, p. Arnaldo De Vidi, FiorenzoFerrari, Sara Ferrari, Lino Ferracin, Fran-cesca Galloni, Adel Jabbar, Lorenzo Luatti,Maria Claudia Olivieri, Riccardo Olivieri,Roberto Papetti, Candelaria Romero, Na-dia Savoldelli, Alessio Surian, Aluisi Toso-lini, Sebi Trovato, Roberto Varone, MartinaVultaggio.

Hanno collaborato a questo numero:Silvia Satira, Cristina Bondavalli

Direttore responsabileMarcello Storgato

editorialeLa ri-generazione come crisi 1e come chance Antonella Fucecchi

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

l’altroeditorialeLa foresta che cresce 3a cura della redazione

plusvaloriDal mercato delle indulgenze 4al merchandising del Giubileo Gianni Caligaris

Sommarion. 2 / FEBBRAIO 2016

ascuolaeoltre

bambine e bambini

Commemorazioni, premi Nobel 6e misunderstandingsSebi Trovato

ragazze e ragazzi

L’ora di narrativa - I miei incontri 8Sara Ferrari

generazione y

Intercultura e scuola 10Antonella Fucecchi

ora delle religioni a scuola

Gli atteggiamenti della pedagogia 12interreligiosa: l’ascolto Marco Dal Corso

intercultura dalla psyco(loga)

Culture: accesso/eccesso 13Francesca Galloni

in cerca di futuro

La terza G 14Martina Vultaggio

l’educazione ai tempi del col(l)era

Mala tempora currunt 15Riccardo Olivieri, Silvia Satira

saggezza folle

Religione o spiritualità? 16Marco Valli - Osel Dorje

agenda interculturale

Educazione e austericidio 33Alessio Surian

seconde generazioni

Il potere che le donne 34non sanno di avereLubna Ammoune

ecologia e intercultura

Homo homini lupus 35Marco Valli, Cristina Bondavalli

letterature migranti

Controcanto per «Lo straniero» 36Elisabetta Sibilio

domani è accaduto

L’architetto stupefatto 38e il salto del cavalloa cura di Dibbì

crea-azione

Last Supper 39Nadia Savoldelli

mediamondo 40

nuovi suoni organizzati

Bèla Fleck. La melodia del ritmo 43Luciano Bosi

saltafrontiera

Ma dove sono le parole? 44Lorenzo Luatti

cinema

Inside Out: le emozioni ci manovrano? 45Snoopy & Friends - Il film dei PeanutsCristina Colet, Lino Ferracin

i paradossiDio. Uno, nessuno, centomila 47Arnaldo De Vidi

la pagina dei girovaghi 48Massimo Bonfatti

cem.saverianibrescia.it

[email protected]

Generatività 17ed educazione

Ripartire da Socrate? 18Aluisi Tosolini

Generatività ed educazione 20interculturaleMattia Baiutti

L’educazione nel tempo 24del tecno-nichilismo Mauro Magatti

La cura dell’altro 25come educazioneLuigina Mortari

Intercultura, urbanistica e musei 29settima puntata

a cura di Antonella Fucecchi, Antonio Nanni

Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967

Editore: Centro Saveriano Animazione Missionaria - CSAM, Soc. Coop. a r.l. (in liquidaz.)via Piamarta 9 - 25121 Brescia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127 in data 19/02/1993.

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegno di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 250 del 7 agosto 1990.

I L M E N S I L E D E L L ’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E

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Generatività e educazioneRipartire da Socrate?

R i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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I.R.

EDUCAZIONE E AUSTERICIDIO

LA FORESTA CHE CRESCE

RELIGIONE O SPIRITUALITÀ?

Amministrazione - abbonamentiCentro Saveriano Animazione MissionariaVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax 030.3772781 [email protected]

Quote di abbonamentoCopia singola cartacea € 5,00Cartaceo 10 numeri - annuale € 30,00On line 10 numeri - annuale € 20,00Abbonamento triennale € 80,00Abbonamento d’amicizia € 50,00

Abbonamento CEM / esteroEuropa € 60,00Extra Europa € 70,00

Per le modalità di abbonamento consul-tare il sito cem.saverianibrescia.it

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La ri-generazione come crisie come chance

antonella fucecchi | direttore [email protected] antonella.rankoussi

editoriale

Carissimi lettori,questo editoriale di febbraio sarà dedicato in-teramente alla fase di transizione-trasformazione

che il nostro movimento educativo sta attraversando: èin atto un mutamento irreversibile dei nostri rapporticon la famiglia saveriana obbligata alla scelta di unadrastica politica di riduzione dei costi e di ridimensio-namento annunciato con la chiusura della Libreria deiPopoli che molti di noi hanno conosciuto come un ine-sauribile serbatoio di testi, fucina di idee, e cuore pul-sante della casa di Brescia.Anche il nostro CEM è investito da questa dolorosa si-tuazione ed è costretto ad accelerare il processo di ri-generazione inaugurato a gennaio e a misurarsi con leincognite che il futuro anche prossimo ci riserverà: siamodi fronte ad un radicale mutamento di scenario che in-veste il mondo missionario, il volontariato e il mondo dirapporti che molte realtà associative come la nostra ave-vano creato. Si tratta di un processo di dissoluzione checoinvolge molte testate di ambito missionario, come con-fermano le chiusure di Misna, di Ad gentes, il salvataggioin extremis della rivista Il Regno. Sono i segni di tempidifficili e rischiosi in cui anche il CEM si muove dopodecenni di percorsi formativi caratterizzati da convegniindimenticabili, audaci.Il dono della profezia e della lungimiranza hanno dasempre accompagnato il CEM fin dalla nascita nel lon-tano 1942 in frangenti terribili, generando la capacità dipensare un modo di educare diversamente. Dopo averattraversato come nomadi deserti e oasi, dopo aver in-dicato come pionieri i sentieri di una educazione final-mente liberata, ora, da sentinelle e abitanti del pluriversodobbiamo avere la consapevolezza e il coraggio di af-frontare i segni inconfondibili della crisi che sta inve-stendo anche noi, con l’onestà intellettuale e la franchezzache ci ha sempre contraddistinto, ma anche con il cari-sma della capacità di rinnovamento che CEM ha mo-strato di avere nella sua lunga storia, quando nel 1972 laM di missione diventò la M di Mondialità.La nostra è una fase di chiusura di un ciclo che avrà lasua manifestazione più evidente nel passaggio online

della rivista già a partire da giugno-luglio. Porteremo atermine tutti i numeri dell’annata in corso e ci prepariamoall’approdo definitivo sul web. È una decisione neces-saria e obbligata, non procrastinabile, dovuta alla ne-cessità di contenere i costi e anche all’esigenza di eman-ciparsi progressivamente dalla famiglia saveriana. IlCEM impara a camminare con le proprie gambe e siappresta ad attraversare pertanto una terra di mezzoricca di insidie: cedere alla tentazione di sopravviverenella nicchia, o di accelerare di proposito la propria fine,correre il rischio di restare ancorati al passato e farneun feticcio, ripiegare su un orizzonte localistico.Occorrono allora tutte le risorse che abbiamo saputo in-dividuare come punti di forza: la resilienza, la cura dellerelazioni, l’empatia, la coesione e la partecipazione, losguardo profetico per cogliere nella crisi il kairos, il tem-po giusto per le scelte: si è maturi quando siamo ingrado di decidere, cioè sapere a cosa rinunciare peresserci ancora, di rilanciare con generosità. Abbiamo bisogno di due operazioni parallele e neces-sarie e le svilupperemo negli editoriali dei prossimi nu-meri: fare memoria del passato recente dell’ultimo de-cennio per illustrare e riepilogare il senso e l’identitàdel nostro percorso e prepararci come viandanti, migrantipellegrini a percorrere rotte nuove ed inedite. È nostrodovere aprire spazi di futuro fedeli alla pedagogia inter-culturale che abbiamo assunto come paradigma. Moltitemi si ripropongono con urgenza: la società plurale, lagiustizia sociale, gli squilibri planetari, la crisi dell’Europa,la presenza delle seconde generazioni.

Abbiamo bisogno per esserciancora di tutto il sostegno el’appoggio dei nostri lettori chesono compagni di strada e diricerca, testimoni ed eredidella nostra storia.

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Q uesto numero di CEM Mondialità presenta un dossier, a cura di Aluisi Tosolini, che tratta il tema «Generatività ed

educazione», intitolato « Ripartire da Socrate?». «Non è possibile affrontare il tema del rapporto tra generatività ed

educazione senza ripartire da Socrate - scrive Tosolini -. Benché non abbia lasciato nulla di scritto, non vi è corso

di storia dell’educazione o della pedagogia che non prenda avvio dal maestro di Platone. Non che altri non abbiano fornito

geniali intuizioni alle riflessioni pedagogiche: fatto sta che a Socrate si deve il concetto stesso di generatività in educazione

intesa come arte della maieutica. La metafora usata da Socrate è quella dell’ostetrica: il maestro, il filosofo, è colui che “fa

nascere”, che aiuta a mettere al mondo». «Educazione e generatività sono - afferma l’autore nelle conclusioni -, sostanzialmente,

sinonimi. Mi preme sottolineare che nella con-

temporaneità due sono gli elementi cruciali del-

l’odierna sfida educativa: la dimensione inter-

culturale e la connessa competenza intercultu-

rale; la didattica, ovvero il metodo, la via, con

cui si affrontano le sfide dell’educazione che ri-

chiedono una scuola rinnovata».

Il dossier offre un ricchissimo spaccato delle di-

verse prospettive affrontate dagli studiosi, tutte

riconducibili allo stretto rapporto esistente tra

educazione e generatività.

La parte centrale del numero contiene l’inserto

«Intercultura, urbanistica e musei», settima pun-

tata della serie «Intercultura, dove vai? Dalla

scuola alla città», a cura di Antonella Fucecchi e

Antonio Nanni, che riserva ampio spazio al pro-

gramma europeo sulle Città interculturali e alla

Carta di Siena sui musei e paesaggi culturali.

Segnaliamo altresì, nella prima parte della rivista,

la rubrica «L’educazione ai tempi del col(l)era», a cura di Riccardo Olivieri, che ci presenta l’articolo «Mala tempora currunt»,

che descrive le difficoltà, ma anche l’entusiasmo vissuto dalle comunità islamiche di Torino nell’organizzare la manifestazione

in seguito agli attentati del 13 novembre a Parigi. Nella terza parte, proponiamo, nella rubrica «Saltafrontiera», l’articolo di

Lorenzo Luatti che parla del raro evento della pubblicazione di poesie scritte da bambini delle scuole primarie, originari di

ogni parte del mondo che vivono nelle periferie multietniche di Milano. nnn

Questo numeroa cura di Federico [email protected]

Cari lettori, vi ricordiamo che potete seguire le attività di CEM sul nostro sito internet cem.saverianibrescia.itSiamo inoltre presenti su Facebook f all’indirizzo cemsav

2 | cem mondialità | febbraio 2016

Alessandra DesertiLe illustrazioni di questo numero sono state realizzate daAlessandra Deserti, che ringraziamo di cuore. Ecco una sua brevepresentazione:

«Disegno da quando ne ho memoria; ho sempre prodottoimmagini con soggetti fantastici provenienti dal mio piccolouniverso personale. Cerco sempre di mettere tutto ciò che sono inogni mia illustrazione. Sempre presente è il concetto di vita-morte-vita, dalla morte nasce nuova vita e così nulla muore realmente,ma continua a vivere in eterno. Sento un profondo legame con lanatura che amo e venero a modo mio con i miei lavori. Da essatraggo ispirazione. La cosa che più mi ha avvicinato al mondodell’illustrazione è stata la grande passione che ho per i libri e ilforte desiderio di comunicare con gli altri nel modo a me piùconsono attraverso le immagini... ci sono cose che non possonoessere dette o scritte, ma solo viste e sentite col cuore. Frequentol’ultimo anno della Scuola d’arte del Castello Sforzesco a Milano».

Per contatti: [email protected]

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A fronte di un immaginariomediatico che ha adottato senzavagli critici come chiave di letturaunica degli scenari di crisi attualiquella dello scontro di civiltà, lanostra rivista ha sempre propostopunti di vista alternativi pervalorizzare le relazioni tra universiculturali e religiosi differenti e lo hafatto non per buonismo o correttezzapolitica, ma per onestà intellettuale eperché siamo fermamente convintiche un futuro sia possibile solo secostruito insieme, condiviso.

Crediamo che nessuna civiltà progredisca o sia maiprogredita nella storia nonostante l’altro, ma grazieall’altro, al portato innovativo delle interazioni tra

persone, tra codici culturali, in luoghi di incontro e di scam-bio. Il nuovo si fa strada come la foresta che cresce nel si-lenzio, attraverso gesti forti che, però, non riescono ad ot-tenere visibilità mediatica.Per questo l’altro editoriale è de-dicato alla Carta per i diritti delle minoranze nei paesi mu-sulmani approvata a Marrakesh (Marocco) il 26 gennaio2016. In questa dichiarazione duecentocinquanta autoritàdel mondo religioso islamico provenienti da centoventipaesi si sono riunite in Marocco per volontà del sovranoMohammed VI, in collaborazione con il ministero degli Af-fari Islamici e il Forum per la promozione della pace nellesocietà musulmane negli emirati Arabi Uniti. L’occasioneè offerta dalla ricorrenza dei 1400 anni dalla Carta di Me-dina redatta nel 622 d.C., con la quale il Profeta stipulò unaccordo con la popolazione di Medina per affermare il di-ritto alla libertà religiosa e al rispetto delle minoranze nonmusulmane, oggi gravemente perseguitate.In linea con questo documento, i duecentocinquanta saggiaffermano di aver preso la parola perché «le varie crisiche affliggono l’umanità sottolineano il bisogno urgente dicooperazione fra gruppi religiosi».

l’altroeditoriale

La foresta che cresce

redazione [email protected]

Per saperne di piùwww.marrakeshdeclaration.org

La Carta non si limita ad un invito generico alla tolleranzao al rispetto reciproco, ma entra con coraggio nel meritodi alcune azioni concrete per produrre mutamenti di pro-spettiva nelle società musulmane. Si rivolge ai giuristi per-ché si preoccupino di sviluppare una normativa fondatasul concetto di cittadinanza inclusiva; invita gli istituti sco-lastici musulmani a condurre «una revisione coraggiosadei curriculum educativi che affrontino in modo onesto

ogni argomento che fomenti l’aggressione e l’estremismo,che conduca alla guerra e al caos e comporti la distruzionedelle nostre società condivise». Prosegue con un’esorta-zione ai politici, per concludere con un invito vicino allanostra sensibilità «agli artisti, agli educatori, ai creatividelle nostre società [...] per la nascita di un più ampio mo-vimento che regoli il trattamento delle minoranze». Da ul-timo, l’appello rivolto ai gruppi religiosi ad «affrontare illoro stato reciproco di amnesia selettiva che blocca il ri-cordo di secoli di unione e di vita comune sulla stessaterra, ci rivolgiamo a loro per ricostruire il passato, rilan-ciando questa tradizione di convivialità». Lo spirito dell’in-contro è sintetizzato dalle parole dello Shaykh MuhammadAbu al-Huda: «Siamo tutti ex cittadini dei Cieli, ed abbiamobisogno di lavorare insieme per farvi ritorno».nnn

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4 | cem mondialità | febbraio 2016

Dal mercato delle indulgenzeal merchandising del Giubileo

La mia narrazione nasce da un’espe-rienza diretta, poiché all’epoca mi oc-cupavo di pubblicità e comunicazione

in una delle banche interessate dal busi-ness, ma è solo una fettina dell’enormeoperazione di marketing e merchandisingmessa in atto dal Vaticano. La mia bancafaceva parte di un gruppo che era stato scel-to per essere, in esclusiva, «La banca alservizio del Giubileo».Si legge in una comunicazione di allora allaclientela: «Riteniamo che questa scelta siaanche da ricondurre al riconoscimento diquei valori etici e sociali - quali spirito diservizio, solidarietà, vicinanza alle esigenzenon solo economiche della comunità in cuiopera - che sono, da sempre, fondamentoe motore propulsivo della nostra attività».Le banche del gruppo potevano esporre ve-trofanie nelle filiali e fregiare tutta la propriamodulistica con il logo del Giubileo e la di-citura di cui sopra.

LA «CARTA DEL PELLEGRINO»

Veniamo ai fatti. Mi esprimerò in lire, valutadell’epoca, poiché tradurre il tutto in eurofalserebbe le proporzioni. La prima opera-zione fu la realizzazione della «Carta delpellegrino». Era una plastic card dotata di

NESSUNO, FRA I MIEI AFFEZIONATI LETTORI, MI HA OFFERTO IL SOSPIRATOGRAPPINO, MA IL MIO SENSO DEL DOVERE MI PORTA A RACCONTARVIUGUALMENTE QUALCOSA SUL GRANDE GIUBILEO DEL 2000.

I CATTOLICI TEDESCHI,TOSTI COME AL SOLITO, (E MEMORI DELMERCATO DELLEINDULGENZE CHEACCESE LE POLVERIALLO SCISMALUTERANO) FECEROSAPERE AL MONDOCHE NONINTENDEVANOSBORSARE NEANCHEUN «PFENNIG» PERASSISTERE AGLIEVENTI GIUBILARI

microchip che conteneva gli eventi giubilaria cui intendeva partecipare il pellegrino,una sorta di prenotazione, e la possibilitàdi sconti tariffari (telefonia, mezzi pubblici,musei, pasti). La carta costava 55 mila liree durava tre giorni. Ogni giorno in più pre-vedeva un supplemento di cinquemila lire.Chi avesse voluto ritornare in tempi suc-cessivi doveva prenotare una nuova carta.Ovviamente progettazione e realizzazionecostarono un bel po’ di soldi e fatica. Il ca-nale privilegiato erano le diocesi ed i touroperator, ma chiunque poteva ottenerla an-che agli sportelli o al bancomat. E qui siverificò il primo inciampo: i cattolici tede-schi, tosti come al solito, (e memori delmercato delle indulgenze che accese le pol-veri allo scisma luterano) fecero sapere almondo che non intendevano sborsare ne-anche un pfennig per assistere agli eventigiubilari. Fu un flop; il numero di carte piaz-zate si fermò anni luce prima di compensarei costi. Il Vaticano, serafico, incassò le royaltye passò oltre.

PENNE E OROLOGI

Poi arrivò il merchandising vero e proprio.Su ciò il gruppo bancario fungeva da inter-mediario e agente collocatore, soprattutto

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gianni [email protected]

febbraio 2016 | cem mondialità | 5

con azioni di mailing presso la propria clien-tela. Le commissioni di intermediazioneerano intorno al 20% del prezzo; come silegge in una circolare dell’epoca del ServizioMarketing: «Come noto, l’obiettivo di mini-ma dell’Azienda è che i ricavi da commis-sioni dei prodotti legati al Giubileo copranoi costi sostenuti per la partecipazione alProgetto Giubileo». Un’azienda, all’epocaprestigiosa, produsse una serie di pennestilografiche di alta gamma, col marchiogiubilare. I prezzi andavano dalle 900 milalire ad oltre 1,5 milioni, a seconda dei ma-teriali impiegati. La stessa azienda produsseuna linea a numero limitato di orologi dataschino, in tre versioni: argento, oro, platinocon pietre preziose. Potevano essere ac-quistati anche a rate ed i prezzi andavanodagli 1,5 ai 4,5 milioni di lire. Dai report inmio possesso risulta che la mia azienda nevendette due; il secondo non fu mai conse-gnato e la banca dovette restituire al clientel’acconto versato, con tante scuse. Un altroflop, perché nel frattempo la ditta era fallitae le banche persero le pur magre commis-sioni guadagnate. Il Vaticano, olimpico, in-cassò le royalty e passò oltre.

MONETE E «COLOMBE DELLA PACE»

Poi ci furono le monete. Un’altra aziendaspecializzata produsse una serie di monetecommemorative d’argento e d’oro di variodiametro e con diversi soggetti (Dio Padre,Gesù Cristo, Il Pontefice, Padre Pio, Basilicadi San Pietro, Apertura Porta Santa). Il mo-dello base costava 41 mila lire più 15 miladi spese di spedizione. Il modello top su-perava le 250 mila lire. Potevano esserevendute direttamente allo sportello. Le ven-dite andarono così bene che le banche siridussero ad offrire monete ai propri dipen-denti per incentivarli. Su questo ho un aned-doto personale. Le monete potevano essereprenotate allo sportello bancomat. Io vollitestare la procedura, ma esaurito l’inseri-mento dei dati richiesti, al momento dellaconferma non compariva l’opzione di an-nullamento e così, controvoglia, confermai.Il giorno dopo un collega mi spiegò che l’an-nullamento era automatico se si lasciavanotrascorrere 45 secondi, cosa che vorrei sa-pere quanti nostri clienti potessero intuire.La moneta mi arrivò ed io, per ripicca, nonpagai; dopo di che non ne seppi più nulla:nel frattempo anche questa azienda era fal-lita. Un altro flop. Il Vaticano, pacifico, in-cassò le royalty e passò oltre.Poi arrivarono le «Colombe della pace»,opera di Aligi Sassu, prodotte da una terzaazienda, in metalli pregiati e gemme, in nu-mero limitato. Il modello base costava 2,85milioni (3,170 a rate), il top 7,8 milioni (8,67a rate). In una lettera dell’epoca, l’aziendafaceva notare, con grande delicatezza, che«nel frattempo è avvenuta la scomparsadell’autore dell’opera Aligi Sassu; conside-

rando la celebrità raggiunta da questo ar-tista, l’acquisizione della sua “Colomba dellapace” ispirata al Giubileo dovrebbe suscitareun più alto grado di interesse presso i mi-gliori clienti e gli stessi funzionari della ban-ca». La società è stata messa in liquidazionenell’ottobre del 2001. Il Vaticano, sereno,incassò le royalty e passò oltre.

IL «GIORNALE DEL PELLEGRINO»

Infine la ciliegina sulla torta: il «Giornaledel pellegrino». Era un tabloid quindicinale,di pessima qualità: carta abominevole, gra-fica da bollettino parrocchiale. Contenevaun florilegio di informazioni sul Giubileo,dalle più importanti alle più insulse e dovevauscire durante tutta la durata dell’evento.L’offerta al pubblico (diocesi, parrocchie,singoli fedeli) era quella di prenotare l’interaraccolta che sarebbe stata spedita, rilegata,alla fine della pubblicazione; il tutto al prez-zo di 60 mila lire. Nonostante il prezzo con-tenuto, i parroci arraffavano le copie cheavevamo a disposizione nelle agenzie perla promozione, ma non si abbonavano. Ilgruppo bancario, come si legge in una cir-colare dell’epoca, partiva da una aspettativa:«La vendita di raccolte del “Giornale delPellegrino” ha come obiettivo minimo il re-cupero, a livello di Gruppo, del finanzia-mento di 7,2 miliardi accordato a sostegnodell’iniziativa». A fine lavori, dai report inmio possesso provenienti dalla DirezioneMarketing del gruppo, usciva il numero to-tale di abbonamenti venduti, a livello digruppo: 12. Un flop al cubo. Il Vaticano, or-mai bulimico, incassò i 7 miliardi e si dedicòad altro. Io ho visto solo una fettina dellatorta. Se andate su e-bay troverete oggettidi ogni tipo marchiati Giubileo; ho visto per-fino una confezione di pellicole Kodak collogo giubilare.In questo racconto ho omesso i nomi delleaziende coinvolte per pura pietas, visto chesono tutte fallite. Un unico attore non solonon è fallito, ma si è ingrassato. La bancasi leccò le ferite.Ora, come dicevo nello scorso numero, sicapisce meglio perché Papa Francesco haindetto il Giubileo straordinario dalla seraalla mattina, senza dare tempo al circo dimettersi in moto. nnn

LA MIA BANCA FACEVA PARTE DI UN GRUPPO CHE ERA STATO SCELTOPER ESSERE, IN ESCLUSIVA, «LA BANCA AL SERVIZIO DEL GIUBILEO»

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bambine e bambinisebi [email protected]

ascuolaeoltre

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Il prefetto era lì per noi, non aveva fretta di andarsene, parlava con i bambini usando le parolegiuste. Il mio incubo da commemorazioni si era risolto in un incanto!

Commemorazionipremi Nobel e misunderstandings

all’ignaro consorte un suofantastico quadro ricevuto inregalo per un compleanno,al fine di trasformarlo in uncatafalco da inviare alla no-stra prefettura che, comeogni anno, invitava con unamail le scuole a mandare ma-nufatti per la commemora-zione. Era un’enorme e in-gombrante installazione checontrapponeva immaginitratte da La vita è bella, Ilbambino col pigiama a righee La ladra di libri ad altre fotodi Nobel per la Pace: MadreTeresa, San Suu Kyi, MalalaYousafzai, Mandela, MLK,Medici senza frontiere, Am-

Nel Museo del Nobel varicortometraggimostranocome alcunipremiati sianoriusciti adandare avantisenza perderela speranza e l’ispirazione

nesty, Croce Rossa, Emergen-cy, tutte con le citazioni piùadatte a contrapporsi all’or-rore di guerre ed ai genocidi.Il risultato era curioso, mamolto incisivo: i bambini ave-vano partecipato con ricerchepersonali, avevamo letto bra-ni di libri e biografie, persinoconosciuto gli amici parmi-giani di San Suu Kyi e posse-devamo anche la foto del suoautografo. Eravamo orgoglio-si, così abbiamo spedito,tranquilli di fare bella figura.La commemorazione era sta-

ta (ben) fatta ed io avevochiuso con l’argomento enon ci pensai più.

Una visita del prefetto

Un pomeriggio squilla il tele-fono e dall’altro capo c’è ilmio preside. È una gran bravapersona, ma era appenagiunto nella mia scuola ed ioe lui ci conoscevamo poco.«Signora abbiamo un proble-ma» non è un bell’inizio peruna conversazione telefonica,soprattutto quando ti sta par-lando il tuo dirigente. Il pro-blema era che il catafalco,consegnato in prefettura di-rettamente al prefetto, lo ave-va lasciato parecchio stupito,perché era giunto a Parma dapochissimi giorni, si era tro-vato in ufficio un oggetto gi-gantesco e non sapeva qualefosse il motivo, perciò avevatelefonato al provveditore aglistudi, che, a sua volta, avevachiamato il mio capo perchiederne conto. Ce ne stavavenendo una gamba, direb-bero da noi. Ed era esatta-mente quello che mi passavaper la testa mentre compul-savo la mia mailbox per ritro-vare la lettera della prefetturache pareva nessuno cono-scesse. Insomma, ho passatodei brutti momenti a causadel mio disordine, nella vitacome nella mailbox, ma, ina-spettatamente, il mio capo fumolto solidale e seppe con-

Ho già ampiamentespiegato che, in gen-naio/febbraio, il pe-

riodo delle commemorazionimi manda in ansia per svariatimotivi legati all’argomentoda spiegare a bambini di diecianni cui non è più dato distudiare la storia dei popolimedieval-modern-contempo-ranei e ai quali l’orrore diquelle catastrofi, oltretuttodecontestualizzate, disturbal’animo e toglie comunqueserenità. È così che, giunti allaquinta, dopo essermi arrabat-tata per trovare escamotagein terza ed in quarta per faree non fare, dire e non dire,mi ero risolta con il proporre,a contrasto, i campi di con-centramento (il Miur ci man-da sempre la mail per ricor-darci di ricordare) e le mera-vigliose esistenze dei PremiNobel. Mi pareva un bel-l’espediente mostrare il brut-to ed il bello dell’umanità, co-sì mi sono decisa a sottrarre

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Ispirazioni dal Museo del Nobel

Ora, giusto per spiegarvi meglio che la mia fissa diusare i premi Nobel per educare i cittadini delmondo è davvero di lunga data, dovrei raccontarvidi quando, molti anni or sono, venuta a conoscenzadell’arrivo del Dalai Lama all’aeroporto di Parma,avevo condotto lì la mia classe, senonché eragiunto in auto e stava andando verso un paesinonel reggiano; io e le mie colleghe del tempopraticamente dirottammo la corriera econducemmo lì i bambini ad incontrarlo: conservoancora il petalo di rosa che donò a ciascuno di noi,oltre al suo sorriso che, se ci pensate, è un sorrisoparlante. È importante che queste persone siappalesino nella nostra vita per illuminarlacomunicandoci che si può anche essere migliori,non solo i peggiori.E dovrei raccontarvi di quando io ed il consorte, chenella nostra vita non abbiamo viaggiato insiemegranché, una delle nostre rare volte siamo andati aStoccolma: immaginate a vedere cosa? No? Dietrola sontuosa facciata del Börshuset, in Gamla Stan, ilMuseo del Nobel. L’esposizione si concentra sia suAlfred Nobel sia sui più di 800 vincitori che,all’ingresso, sul soffitto, girano, in ordine casuale,insieme alle rispettive motivazioni. Nelle sale sicustodiscono i loro oggetti personali ed anche leregistrazioni ufficiali dei discorsi di premiazione; unsistema interattivo favorisce la consultazione e lavisita è davvero emozionante: è strano poter dareuno sguardo al laboratorio di Marie Curie oppureincontrare Nelson Mandela all’uscita dalla prigione.Alcuni di loro hanno persino autografato le sediedel Bistro Nobel su cui si sono seduti e che ora sonodelle vere e proprie icone: ti invitano, prima disederti, a rivoltarle per leggere chi l’haautografata. Quando sei lì dentro non puoinon riflettere su come la nostra umanitàdovrebbe poter essere sfruttata al meglio: ilavori dei Nobel sono appassionanti avventurepermeate di avversità e di successi, alcunicortometraggi mostrano come siano riuscitiad andare avanti senza perdere la speranza el’ispirazione.

solarmi nella sua lingua mo-nosillabica che io condivido.Trovammo la mail e tuttosembrava tornato a posto,così di nuovo non ci pensaipiù. Poi, una mattina, rieccoil mio dirigente fare capolinosulla soglia della mia classeper annunciarci che il nostroprefetto sarebbe venuto a co-noscerci. Ansia. Ansia da postcommemorazione dopo quel-la da pre: non potevo farcela!

La commemorazione più emozionante

Trascorre una settimana, era-vamo ormai nei pressi del-l’anniversario delle foibe edecco il dr. Giuseppe Forlani,accompagnato dal preside,fare ingresso nella nostra clas-se. Credo, a posteriori, chesia stata la commemorazionepiù emozionante che io abbiapotuto offrire ai miei scolari:un prefetto che racconta diesser stato prima uno scoute poi un volontario dei vigilidel fuoco come il suo papà;un esperto di protezione ci-vile, di rifugiati, una personasensibile ai problemi delle di-versabilità si era appalesatoin un’anonima classe percompletare, con la sua per-sona tangibile, il nostro per-corso di educazione alla cit-tadinanza globale. E ci haparlato lui di foibe, di italianiche, come gli odierni profu-ghi siriani, avevano affrontatoil mare perché cacciati daquella che consideravano laloro casa.Era lì per noi, non aveva frettadi andarsene, parlava con ibambini usando le parolegiuste. Il mio incubo da com-memorazioni si era risolto inun incanto!

febbraio 2016 | cem mondialità | 7

Una disposizione testamentaria

Il testamento di Alfred Nobelè esposto in copia nella VillaNobel a Sanremo. Esso riserva«una parte infine alla personache più si sia prodigata o ab-bia realizzato il miglior lavoroai fini della fraternità tra lenazioni, per l’abolizione o lariduzione di eserciti perma-nenti e per la formazione el’incremento di congressi perla pace. [...] È mio espressodesiderio che all’atto dell’as-segnazione dei premi non sitenga nessun conto della na-zionalità dei candidati, che aessere premiato sia il migliore,sia questi scandinavo o me-no». Questa onorificenza, ovvia-mente, non è stata esente dacritiche nella sua storia, in par-ticolar modo quella recente,ma, da insegnante, direi chequesto possa anche non in-teressarci in vista del fine cheintendiamo perseguire: esem-pi da contrapporre ai misfattiper riuscire a comunicareun’altra faccia della medagliaumana nei giorni della com-memorazione. nnn

bambine e bambini

Quando ti trovi nelMuseo del Nobel nonpuoi non riflettere sucome la nostraumanità dovrebbepoter essere sfruttataal meglio

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L’ora di narrativaI miei incontri

ragazze e ragazzisara [email protected]

ascuolaeoltre

Per tre anni ho lavorato a progetti di illuminazione e per la vendita di trasformatori e lampadari,i miei piedi per terra li devo anche a quei tre anni.

8 | cem mondialità | febbraio 2016

«Ti ho presa al volo e sonovolato via con te, sui tuoipensieri, sulle tue parole,sui tuoi libri»Massimo Recalcati, «L’ora di lezione»

ascuolaeoltre

Davanti alla macchinet-ta del caffè... «Ha maisentito parlare di

CEM?» - «Sì» - «I suoi ragaz-zi... perché non scrive qual-che pezzo su di loro?» - «...ahah, non sono una filosofa ouna sociologa, io!» - «Proprioperché non fa filosofia è adat-tissima, senza insegnare nullaa nessuno. Provi?». Ho pro-vato. È cominciata così, nel-l’ottobre 2010, il mio viaggioin CEM, davanti al caffè, epoi le e-mail pazienti di Mi-chela che mi indicavano le ca-ratteristiche formali, le sca-denze (i primi due anni nonho fatto ritardi... poi...), e poiil rassicurante Federico a chie-dermi se continuavo a scrivereanche per l’annata seguente,e intanto io leggevo, leggevogli articoli sul CEM, conosce-

Scrivere per CEM

e leggere la rivista miarricchiva

e dava sensoa una

riflessione sulmio essere

a scuola

vo un mondo a me lontano,incontravo Brunetto Salvara-ni, mi sfogavo con Rita Ro-berto per i cattivi incontrisull’educazione di genere, ri-spondevo a Sebi Trovato, do-po aver pianto... Tutto questomi arricchiva e contempora-neamente dava senso a unariflessione sul mio essere ascuola, conservando l’ironiache, quando viene meno, Sa-ra è pesante. Ho riletto tutti imiei pezzi in questi ultimi me-si di aria grigia, li regalo allamia prima tirocinante, TaniaBussi, che, con una dedica daurlo, di quelle che «meno ma-le che vendevo lampadine»,mi ha regalato L’ora di lezionedi Recalcati e mi sono detta:«Se lo fa lui lo faccio an-ch’io!» Non me ne voglianolettori e ragazzi/e.

Si accomodi sul lettino - terapia

Alla scuola materna il mio in-contro educativo è stato conte Lina, eri la cuoca, non riu-scivo a dormire nel grande sa-lone oscurato per il pisolinopomeridiano, così tu mi teneviin cucina, eri dolce, materna,

merso nel latte: ti guardavo,prof di matematica, MaricaFava, un’altra donna minuta,raccontarci di matematica, in-segnarci a contare in base 8facendo finta di essere ragni,lo trovavo stravagante, e an-cora più che una donna cosìpacata e calma, dietro ai suoispessi occhiali scuri e al ber-retto di lana grossa, riuscissea tenere a bada (21?) allievisenza alzare mai la voce. Tiho incontrata davanti all’uni-versità, forse eri tu, non hotrovato il coraggio di ringra-ziarti per quei ragni che mihanno fatto guardare con oc-chi diversi (tanti occhi hannoi ragni). La rossa passione san-guigna, invece, quella era latua, prof di francese, Isa Gar-delli: rossa di capelli e di ca-rattere, alta, sempre ben pet-tinata, mi hai sedotta col tuofrancese e quando ti incontroti bacio ogni volta. Poi il liceoscientifico, il trauma, lo studiosegregante, a recuperare lagrammatica con mia madre,un biennio che non ingrana,un triennio che mi riporta dairagni fino alla poesia e alla fi-losofia (ma ci sono arrivatasolo 10 anni dopo). Cesare,Rusconi. Cesare, camminavinell’aula come una molla, cre-devo che non ci facessi lezio-ne, e faticavo a capire comefacessi a dare i voti, «non sifa che parlare», non tutti ciarrivano allo stesso tempo, iome ne sono accorta studian-do pedagogia, da te ho preso

mi insegnavi a sbucciare lafrutta, la maestra invece mifaceva fare i disegni per la fe-sta del papà, ed io, figlia diseparati, vivevo il mio saltonel buio. Alla scuola elemen-tare ho avuto tre maestre, maricordo solo te Rita Bernardi:minuta, mi hai insegnato cheil sedano beve l’inchiostro esi colora di blu, ma era solol’inizio, la curiosità, gli espe-rimenti, la pazienza, la grandepazienza. I tre anni delle scuo-le medie sono un biscotto im-

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febbraio 2016 | cem mondialità | 9

ragazze e ragazzi

penna leggera tra le mani.Grazie, Aluisi. La SSIS mi haregalato altri due incontri.Prof.ssa Mezzadroli Giusep-pina, eri un balsamo di eroti-smo didattico in mezzo a tut-te quelle galline starnazzanti,fuoco sacro del docente. E tu,mia tutor, Franca Mori, ancoraoggi sei componente essen-ziale del mio circolo ermeneu-tico di grammatica e di cuci-na, mia salvezza nelle crisi sin-tattiche di nervi, ma non solo.Ero molto rigida e tu mi hamostrato come si poteva es-sere calmi e rilassati in classe,come si osserva uno studentee come si rilevano i gesti, i di-sagi, senza giudizio, senzaquel gusto morboso del farsi

gli affari degli altri, al centrosempre loro, sempre gli allievi,anche io allieva. T’ho osser-vata: gestualità morbide chenon lasciavano la classe a fareda tappezzeria, era un incon-tro in ogni ora. E poi - a volteritornano - ritrovo preside(reggente) Aluisi Tosolini: treanni di crescita (studia, lavora,prova), di responsabilità (senon rispondevi a un quesitovoleva dire che la rispostac’era già), di presenza, mai diassenza, acuta. Ancora oggimi capita di appoggiare il mioquarto di bove sul bordo dellacattedra (che uso molto poco)e, dopo aver sentito il tuo «Lavita è difficile…» pongo aimiei allievi la tua domanda:«Non so se rendo l’idea?!» e qui la penna è senza tempo.Sono stata fortunata, co-me dice il mio Maestro diMindfulness - conosciuto gra-zie al CEM - Marco Valli: «Sehai ricevuto tanto ora toccaa te restituire un po’ del buo-no che ti è capitato!» Ci pro-vo, con un’altra consapevo-lezza, Marco, grazie. Ma que-sta è un’altra storia. nnn

3 anni di progetti di illumina-zione e vendita di trasforma-tori e lampadari, i miei piediper terra li devo anche a queitre anni. Poi il concorso e laSSIS (scuola di specializzazio-ne per l’insegnamento), in-contro colui che poi mi avreb-be chiesto di scrivere per ilCEM. Il tuo corso era intensoe leggero, umano e digitale,il mio esame era durato dueminuti (la preparazione setti-mane), il tempo di inviare lamia webquest e il tuo votoche si materializzava sul mioPC, io che mi scusavo per unlink che non funzionava e tuche sdrammatizzavi conun’espressione al di fuoridell’accademico. Ripresi la

persino la camminata su egiù per l’aula, e le domande,e la fantastoria, e l’oggi e l’ar-te che entravano nelle nostrediscussioni in classe ogni gior-no e l’eterna, apparente, di-strazione. Marcella Piacentini,prof di italiano in 5a, un gior-no mi hai sgridato tantissimo,perché non avevo scritto untema decente fino a maggio,poi mi ero lasciata andare,con la penna leggera, in untema su Ungaretti, c’era tuttoil mio mondo in 8 facciate, etu lo avevi letto, e avevi par-lato come parla un dottore,come parla una donna sicura,sorpresa, felice. Da allora nonho mai smesso di scrivere, conla penna leggera. Liberata dalpeso del tema in classe, diclasse. Volevi che andassi aBologna all’università di let-tere, ma alla fine restai a Par-ma, era il periodo del profmarziale, Marzio Pieri: Mae-stro, mi hai portata altrove re-stando presentissimo in aula,in corridoio, in studio. Alla fi-ne dei tuoi corsi mi ritrovavocon la mia amica Alessia achiedermi: «Ma cosa avrà vo-luto dire?», poi il bandolo, trai 49 romanzi letti o i saggi da400 pagine (li leggono ancoraoggi?). Trovare il bandolo eraestremamente erotico, perdirla con Recalcati, ci si arrab-biava persino, lei ci arrivavaprima, e io la seguivo, umil-mente! Pieri, mi hai fatto tor-nare alla matematica dopoessere passata attraverso laletteratura, e poi… ci hai sa-lutate, credevamo che ci man-dassi via, io e Alessia, crede-vamo, era il tuo modo di la-sciarci andare, lei a fare la re-dattrice e io… a vendere lam-padine. Il M’illumino d’im-menso per me ha significato

Dalla quintaliceo non ho

mai smesso discrivere, con

la pennaleggera.

Liberata dalpeso del tema

in classe, di classe

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L’intercultura èl’unica strada

che puòdisinnescare la

miccia dei conflittiinteretnici già in atto

all’interno dellemetropoli del vecchio

continente

generazione yantonella [email protected]

ascuolaeoltre

Esiste un deficit di autorità, autorevolezza, educazione che non solo la scuola, ma anche le istituzioni religiose maggioritarie o minoritarie devono colmare nella cura dei giovani cittadini.

Interculturae scuola

significazione di tempi e luo-ghi, la riformulazione delleregole di uso di beni comuni.Si tratta di questioni concreteche possono essere affrontatecon strumenti politici, forma-tivi e giuridici adeguati, conun lavoro di coinvolgimentodelle istituzioni locali e dellecomunità migranti. Il primopasso deve essere compiutoda chi detiene l’autorità peraprire le frontiere del dialogoe della negoziazione. Centraleè il nodo della concessionedella cittadinanza.L’appartenenza etnica, il san-gue e il clan, non sono gliunici elementi che rendono

il significato di parole chiavecome etica, cittadinanza,identità, cultura, per evitareche subiscano derive non de-mocratiche di tipo autoritario,escludenti, selettive. E la scuo-la è chiamata a farsene carico,se insegnare la comprensioneè forse, secondo l’ultimo Mo-rin1, l’unico vero fine di ogniazione educativa.

Imparare a convivere:diventare cittadini

La costruzione di convivenza,la coesione sociale, sono pro-cessi in divenire nelle nostrecittà europee, non dati e ac-quisiti una volta per tutte; lenuove sfide ci obbligano a ri-considerare i nostri parametri.Tali fenomeni possono appa-rire destabilizzanti, ma sonoanche potenzialmente moltogenerativi. Quando l’altro ir-rompe, impone con la suapresenza una serie di aggiu-stamenti e interrogativi; infattile spinte prodotte dalle mi-grazioni rendono necessarioridefinire, per esempio, i criteridi concessione della cittadi-nanza e, all’interno dei terri-tori e delle realtà locali, la ri-

tale un cittadino: occorre cioècompiere il passaggio, indi-cato dalla studiosa turca Sey-la Benhabib in un testo an-cora attuale2, dal popoloethnos (sangue e famiglia) alpopolo demos (comunità dicittadini che condividono paridiritti e doveri). Inoltre la cit-tadinanza, una volta ottenu-ta per ius sanguinis o ius solio culturae, non è un marchiodi fabbrica inerte, ma un di-

10 | cem mondialità | febbraio 2016

Imutamenti degli scenarisociali e i tempi delle tra-sformazioni possono co-

noscere brusche accelerazionidopo periodi di apparentequiescenza, la liquidità dellasocietà postmoderna, infatti,è caratterizzata anche da im-pennate improvvise: la ripresadi imponenti flussi migratoriverso l’Europa è uno di que-sti. Tali processi richiedonocon urgenza, di nuovo, il ri-corso alla pedagogia inter-culturale e dei suoi percorsiapplicati alla scuola, che han-no conosciuto nel decenniodegli anni Novanta una sta-gione felice per essere poi ac-cantonati come una modapasseggera e buonista.È il caso di chiarire che adot-tare e praticare approcci in-terculturali in ogni spaziopubblico della polis non rap-presenta una scelta opzionale,una concessione, peggio uncedimento o una resa: si trattadel paradigma politico, etico,formativo più adeguato aimutamenti imposti agli Statieuropei da eventi di portataplanetaria. È infatti necessarioriaggiornare periodicamente

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generazione y

febbraio 2016 | cem mondialità | 11

ascuolaeoltre

È necessarioriaggiornareperiodicamenteil significato di parole chiave come eticacittadinanzaidentitàcultura

ritto-dovere che si esercita at-tivamente con scelte respon-sabili. L’intercultura è l’unicastrada che può disinnescarela miccia dei conflitti inter-etnici già in atto all’internodelle metropoli del vecchiocontinente. Esiste un deficitdi autorità, autorevolezza,educazione che non solo lascuola, ma anche le istituzionireligiose maggioritarie o mi-noritarie devono colmare nel-la cura dei giovani cittadini,come i fatti di Colonia dimo-strano. La scuola, dunque, èsempre sotto tiro e vienechiamata in causa perché è illaboratorio della cittadinanza,la palestra della convivenzacivile, l’officina della legalità,ma è anche il luogo dell’alfa-betizzazione relazionale e af-fettiva più rilevante dopo ilcontesto familiare. Per questomotivo le scienze umane e laricerca antropologica e socio-logica scelgono sempre i con-testi educativi e scolastici perrilevare le trasformazioni e imutamenti sociali nella loroincubatrice più importante. Non solo: come gli autori deltesto Le relazioni interetnichea scuola sottolineano nell’in-troduzione a cura di BrunoMazzara: «l’incontro tra per-sone, in quanto portatrici dipatrimoni culturali differentiin perenne fermento, costi-tuisce un importantissimofattore di cambiamento edevoluzione del sistema cultu-rale nel suo complesso»3.

Ma soprattutto il contatto deve poter consentire lo svi-luppo di un legame intimo e personale con l’altra per-sona che porti ad una vera conoscenza e sia alla basedi un’amicizia futura. La qualità di tali contatti che coin-volgono processi cognitivi, affettivi ed emotivi tendonoad incrementare l’empatia, unico vero e duraturo anti-doto al rifiuto dell’altro e alla sua disumanizzazione.La scuola, per tornare a Morin, è impegnata ancorauna volta in una sfida che non può perdere. nnn

1 E. Morin, Insegnare a vivere, manifesto per cambiare l’educazione, Cortina,Milano 2015.2 S. Benhabib, Cittadini globali. Cosmopolitismo e democrazia, Il Mulino,Bologna 2008.3 L.Vezzali, D. Giovannini, Le relazioni interetniche a scuola. Combattere ilpregiudizio negli adolescenti italiani e immigrati, Edizioni junior, Spiaggiari,Parma 2015. Introduzione, p. 7.

Ancora su stereotipi e pregiudizi a scuola

A prima vista il testo citato può sembraresimile agli innumerevoli altri che hannotrattato la questione negli anni Novanta,ma trattandosi di una ricerca sul campocircoscritta a cinque istituti professionalidi Reggio Emilia ha il valore aggiunto diriaggiornare non tanto le premesseteoriche sulla natura del pregiudizio edello stereotipo, ma la ricognizione deifenomeni in atto in un contesto definitoe concreto. La scuola infatti è unosservatorio privilegiato in tutti i cicli diformazione, fin dalla materna, ma nonc’è dubbio che la scuola superiore disecondo grado sia la più cruciale perchéraccoglie studenti in una età reattiva incui alterità, differenza, percezione di sé erelazioni sono temi particolarmentesensibili anche in situazionimonoculturali. Gli autori pertantoaffrontano la questione dei rapportiinteretnici tra studenti delle superioriispirandosi alle teorie di Vygotskij checonsiderano sviluppo cognitivo,apprendimento ed interazione collegatestrettamente con l’ambiente simbolicocondiviso. La zona di contatto culturaleche si crea «spinge l’individuo a elaborareidonee strategie identitarie per ridefinirein chiave dialogica l’immagine di se

stesso e del proprio io e dell’altro gruppoattingendo a rinnovati depositi di risorsesimboliche». Queste dinamiche sono incostante aggiornamento e in continuaevoluzione e l’indagine dei due autoririvela che il sentimento predominante nelcaso di primi contatti tra gruppietnicamente e culturalmente diversi èl’ansia, ossia la paura dell’altro, il timoredi non avere mezzi adeguati per farfronte ad una situazione consideratapericolosa. Stereotipi e pregiudizirappresentano scorciatoie per «scegliereaprioristicamente» che tipo diatteggiamento assumere. Il merocontatto non riduce la rilevanza di talimeccanismi spesso inconsci, perché èdecisiva la qualità del contatto e ilcontesto in cui avviene. La scuola èl’ambiente migliore e più adatto perinstaurare contatti efficaci. Le finalitàstesse dell’istituzione, infatti sonoispirate (o dovrebbero esserlo) a:

z Uguaglianza di status: pari condizionidi partenza, ossia, tutti studenti coinvoltiin processi di apprendimentoz Cooperazione: stile di lavoro e metodocondivisoz Obiettivi comuni: traguardi cognitivi,ma anche relazionaliz Sostegno istituzionale: il valoreformativo della scuola stessa e degliattori che la vivono

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dalle cose, la sordità separadalle persone». In questa vi-sione religiosa tradizionale cipare di scorgere un’icona in-terreligiosa che ci ricorda l’im-portanza dell’ascolto: esso èmolto di più del semplice udi-re e la sua negazione ci privadelle relazioni umane. L’inca-pacità di ascoltare, allora, èmortale, porta all’isolamento,alla separazione dagli altri.Per questo, il comando bibli-co «ascolta Israele» istituiscela persona umana come udi-tore. Per la Bibbia, infatti, tut-to ciò che esiste: «è una me-lodia che si suona da sé. Far-falle, lumache, cicale, formi-che, pettirossi, scoiattoli: cia-scuno di essi è una forma uni-ca di bellezza che scaturendodai loro corpi invade lo spa-zio, sotto forme diverse dimusica, alla ricerca di eco edi risonanze. Ipotizzano cheda qualche parte, al di fuori,giaccia assopita la loro bellaaddormentata, in attesa delloro bacio. E quando avvieneil miracolo, quando qualcosarisponde al loro richiamo dibellezza, si crea un mondo aimmagine e a somiglianzadella loro bellezza» (R. Alves,Parole da mangiare, EdizioniQjqaion, Magnano [Biella]1998, p. 170).Tornare ad ascoltare la melo-dia primordiale è l’invito deiracconti religiosi. nnn

ora delle religionimarco dal [email protected]

ascuolaeoltre

L’atteggiamento del-l’ascolto sembra una ri-chiesta scontata in una

pedagogia interreligiosa chevoglia tenere in considerazio-ne il punto di vista dell’altro.Nella nostra grammatica in-terreligiosa e ben oltre un’in-terpretazione tradizionale,ascoltare impegna, come vuo-le l’etimologia della parola,ad «ob-audire», obbedire al-l’altro. L’ascolto così intesonon è una qualche concessio-ne dell’io alle parole e ai sen-timenti dell’altro, ma diventaimperativo spirituale oltre cheetico: è obbedienza all’altro,ai suoi bisogni, alle sue richie-ste e desideri. Significa, tra-dotto in altra maniera, met-tersi in un rapporto non giu-dicante con l’altro, sospende-re il giudizio che viene da meper provare ad ascoltare la vi-ta che viene dall’altro.Per questo l’ascolto non ri-mane indifferente, neutro,«oggettivo»; esso è semprepartecipante, coinvolgente.Ci sembra che solo in questamaniera sia efficace e abbia

L’ascolto è importante, esso è molto di più del semplice udire e la sua negazione ci priva delle relazioni umane. L’incapacità di ascoltare è mortale, porta all’isolamento, alla separazione dagli altri.

Gli atteggiamentidella pedagogia interreligiosaL’ascolto

L’ascoltopartecipante

sa trasformarel’universalismo

dellasofferenza in

universalismodella

compassione

se di altre esperienze nei con-flitti e per la loro difficile so-luzione: sono i «CommunityReconciliation Programs»(Programmi di riconciliazionecomunitari) dell’Irlanda delNord, la «Truth and Reconci-liation Commission» (Com-missione per la verità e la ri-conciliazione) del Sudafrica ele esperienze di riconciliazio-ne e di discussione attornoall’identità culturale e religio-sa in Bosnia ed Erzegovina.

Ascoltare è molto piùdel semplice udire

Un proverbio africano affer-ma che «se la cecità separa

senso: l’ascolto partecipantesa, infatti, trasformare l’uni-versalismo della sofferenza inuniversalismo della compas-sione. Un ascolto distaccato,freddo, quasi fosse una rac-colta di parole dette da altrima che non coinvolgono la-scia la sofferenza intatta.Questa si redime solo quandol’ascolto del suo dolore micoinvolge al punto tale daprovare ad eliminare o alme-no alleviarlo. So capire l’altroquando sono capace di ascol-tare il suo dolore. Come ci in-segna l’esperienza dell’asso-ciazione Parents’ Circle (Cir-colo dei genitori) che, nellastoria martoriata di Israele ePalestina, riunisce le vittimedel conflitto in vista di unariconciliazione non solo per-sonale, ma anche comunita-ria, perché, come dicono i pa-renti delle vittime, solo ascol-tando il dolore dell’altro sia-mo in grado di capire vera-mente l’altro. E semprel’ascolto partecipato è alla ba-

12 | cem mondialità | febbraio 2016

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Cultureaccesso/eccesso*

L’indignazione di Sunita ci fa riflettere sulle interpretazioni a doppia logica, per cui se sei italiano si guarda a tematiche psicologiche, mentre se hai origini straniere a famiglia e cultura.

degli italiani per poter lavo-rare? Sunita apre il tema dellalegittimità delle informazionie ancor prima della necessità,o scorciatoia, di ottenere no-tizie non direttamente daalunni e famiglia. Potremmochiederci se, al di là di com-prensibili aspetti pratici - pro-blemi di comunicazione e/odi incontro, ecc. -, vi sia dietroun timore preventivo di noncomprendersi (da un puntodi vista culturale oltre che lin-guistico) o di ferire l’altro condomande inopportune, op-pure un bisogno di un inter-locutore più legittimato… Il mediatore culturale, del re-sto, ha un ruolo proprio nelcompensare tali difficoltà eper farlo deve sfoderare mol-teplici competenze1 (cultura-li/interculturali, antropologi-che, negoziali e così via), manon sempre riesce... Nella vi-cenda di Sunita, la mediatricesembra dare per assodata lacausa di quel comportamen-to: non sappiamo se veda so-lo quella, se, a sua volta, ab-

intercultura dalla psyco(loga)francesca [email protected]

ascuolaeoltre

bia un pregiudizio verso iconnazionali o se, invece, vo-glia chiudere la questione,però finisce per semplificaree reificare un tratto culturale. Dalle parole dell’alunna pos-siamo cogliere sia la rabbiadi chi si sente interpretato/eti-chettato senza esser coinvol-to, sia il rischio di appiattirel’altro a idee culturali (chenon è detto condivida) e nonvederne la soggettività. Esclu-dendo questioni personali eintime - come la vergogna -si finisce per offuscare l’aspet-to umano e ridurre le sceltealtrui a logiche razionali econsequenziali, mentre sepensiamo alle nostre emozio-ni, probabilmente potremmosorridere dell’irrazionale e po-co spiegabile mistero che leanima. Se tanto più ritornia-mo all’adolescenza, forse pu-dori, insicurezze, difficoltà colcorpo mutante e i temuti giu-dizi dei pari hanno fatto pren-dere strade simili a molti, in-dipendentemente dai genito-ri. L’indignazione di Sunita cifa riflettere sulle interpreta-zioni a doppia logica, per cuise sei italiano si guarda a te-matiche psicologiche, mentrese hai origini straniere a fa-miglia e cultura. nnn

* Il titolo prende spunto da M. Aime,Eccessi di culture, Einaudi, Torino 2004.1 Oltre a quelle linguistiche e comuni-cative.

indaga significati possibili enon verità assolute.Nello sfogo, anzitutto, la ra-gazza non sembra riconosce-re alla connazionale un ruoloprofessionale, tanto che pre-ferisce connotarla per una ri-cerca di italianizzazione, piut-tosto che con una qualifica,ma così insinua alcuni dubbi:le istituzioni si rivolgono odanno più credibilità a chi ap-pare più simile? Allo stessomodo, i mediatori devonomostrarsi dalla stessa parte

Dalle paroledell’alunnapossiamocogliere sia larabbia di chi sisenteetichettatosenza essercoinvolto, sia ilrischio diappiattire l’altroa idee culturalie non vedernela soggettività

L’accesso a una realtàculturale altra rispettoquella a cui siamo abi-

tuati, in genere, risulta unprocesso delicato in cui tro-vare canali, limiti, ma anchestrumenti interpretativi chepermettano di leggere dati difatto con i giusti occhiali. Inequilibrio verso una biunivo-cità necessaria, ma non scon-tata, spesso affidiamo spie-gazioni e consigli ai mediatoriculturali. Sunita, un’alunnaindiana, adirata proprio conuna mediatrice, invita ad unariflessione di ampia portata:«C’è donna indiana che vestecome italiane… i professorihanno chiesto a lei perchénon facevo ginnastica conpantaloncini corti, lei ha dettoche i miei genitori non voglio-no. Da piccola io mettevopantaloni corti, ora ho vergo-gna e non ho più voluto met-terli, i miei non hanno dettoniente. Perché chiedono a lei?Lei non può dire cose che nonsa, non aiuta così». Le sue parole, pur partendoda una situazione lieve, of-frono molti spunti perun’analisi antropologica che

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minati, computer obsoleti,macchinette del caffè rotte,muri scrostati.Un velo di malinconia mi cat-tura: sicché sono queste, lescuole di serie B, per i citta-dini di serie B. Benvenuti neiprofessionali, noi che abbia-mo frequentato solo i licei.Benvenuti nelle scuole dovegli stranieri di seconda gene-razione sono circa la metà;dove esistono classi con cin-que studenti disabili inseriticontemporaneamente; dovesi fatica a trovare le aziendeper gli stage, la carta perstampare, e l’aula insegnantisembra la vecchia stanza del-la dottrina della mia parroc-chia degli anni ‘80, primadello sviluppo del quartiere.Ne parlo con altri colleghiprecari di altre scuole, del-l’impatto che l’istituto mi hafatto. Se la ridono. Loro han-

La terza Gparte III

in cerca di futuromartina [email protected]

ascuolaeoltre

I nuovi colleghi, che lavorano con passione, non sono giovanissimi, ma sono motivati, mi aiutano a farmi strada tra toner terminati, computer obsoleti, macchinette del caffè rotte, muri scrostati.

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una supplenza al 30 giugnoe mi butto nel mondo dellascuola? Ho avuto poche oreper decidere. Venerdì ero lacoordinatrice di una équipedi dieci persone, e stavo so-stituendo il periodo di mater-nità di chi può permettersi unfiglio. Ma oggi è lunedì e iosono una giovane (mica tan-to…) insegnante di sostegnoalle prime armi, in una scuolasuperiore professionale del-l’entroterra veneto. Pratica-mente il Bronx. A parecchichilometri da casa.La struttura colpisce per la fa-tiscenza e l’inospitalità. Pocomale, penso. Anche il centrodiurno per disabili mi erasembrato così, appena ci homesso piede. Ma a tutto ci siabitua. In compenso, trovodei nuovi colleghi che lavo-rano con passione. Non gio-vanissimi, ma motivati, inseritinel proprio ruolo, mi aiutanoa farmi strada tra toner ter-

Grazie a chi mi ha lettoin precedenza: que-sta è la terza punta-

ta. La terza G, dunque, delnostro Grande Gigante Gen-tile, una figura presa in pre-stito da Roald Dahl. Un gi-gante di cui si ha paura, fin-ché non lo si conosce.La terza G sta per Giorno X,e corrisponde al giorno ane-lato da noi precari, quello incui ci viene proposto un con-tratto a tempo indetermina-to, una supplenza al 30 giu-gno, insomma qualcosa perpoter contare su una bustapaga che non sia più tristedella mancetta dei nonni.Pensate un po’? Dopo alme-no due anni di incertezze, ame tutto ciò è capitato con-temporaneamente. Per cui misono trovata a dover sceglie-re: continuo a fare l’educa-trice con i disabili con unaproposta di contratto a tem-po indeterminato, o accetto

Il grado diciviltà di una

nazione sivaluta in baseallo stato delleproprie scuole

e dei propriospedali. Non

credo sianecessario

aggiungerealtro

no classi nei container o negliscantinati.Il grado di civiltà di una na-zione si valuta in base allostato delle proprie scuole edei propri ospedali. Non cre-do sia necessario aggiungerealtro. Al momento non so co-me sia fare l’insegnante. Hoiniziato da cinque giorni e stoancora elaborando il luttoper aver dovuto lasciare col-leghi e utenti, e il forte dub-bio di aver sbagliato tutto, dinon poter tornare indietro,di aver perso treni che nonripassano.Avanti dunque, sempre e co-munque. Soprattutto quan-do scopri che a carnevaleavrai dei giorni di ferie, e re-tribuiti. Musica per le mieorecchie da trentenne, cheproviene da una generazioneche ha dato tanto e ricevutonulla. Orgogliosi di quelloche si è: poveri, precari, fles-sibili, ma non solo. Per unadescrizione migliore delle mievicende, vi invito a leggere leriflessioni di ZeroCalcalcare,uno della mia generazione:http://www.huffingtonpost.it/2015/12/02/zerocalcare-ren-tenni_n_8695728.html.In attesa di un riscatto col-lettivo. nnn

«Solo per questa volta io ci sta a mangiare la tua zozzura»disse il San Guinario. «Ma ti avverte che se è schifante io te la spacca sulla tua testucola tartarugosa»Roald Dahl, «GGG»

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Il 4 dicembre scorso le co-munità islamiche torinesihanno indetto una mani-

festazione sulla scia di «Notin my name» (Non in mio no-me) che sta caratterizzandola presa di posizione dei mu-sulmani in Europa. Un eventoorganizzato assieme all’asso-ciazionismo pacifista ed aimolti abitanti di un quartiereperiferico, Barriera di Milano,da sempre zona popolare eagglomerato di migranti vec-chi (meridionali) e nuovi (pre-valentemente africani e ru-meni). Un’iniziativa degna dinota soprattutto perché pen-sata e voluta su scala territo-riale, abbandonando le vetri-ne del centro città e pene-trando nelle banlieue, dovecrescono insofferenza e odioverso un modello economicoche crea disoccupazione,ghettizzazione e violenza. Lecomunità islamiche torinesihanno una forte componentemagrebina, sono prevalente-mente liberali e progressiste,spesso al fianco dei movimen-ti sociali per i diritti umani.Tutto questo, però, non ba-sterà ad evitare infiltrazioni o

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Mala temporacurrunt

L’iniziativa delle comunità islamiche torinesi è degna di nota soprattutto perché pensata e voluta su scala territoriale, abbandonando le vetrine del centro città e penetrando nelle banlieue.

l’educazione ai tempi del col(l)erariccardo olivieri - silvia [email protected]

ascuolaeoltre

gesti isolati. E questo lo sannoanche loro. Così come sannoche questo tempo non pas-serà senza un nuovo mondodialogante e solidale con lecomunità cristiane. Accadecosì che il corteo di Barrieraraccolga il sostanziale bene-placito del vescovo Nosiglia,

si snodi tra le chiese del quar-tiere e l’invito raggiunga tuttii parroci della zona che però,a parte «Baba», il parroco ori-ginario della Tanzania (donGodfrey Msumange), decli-nano l’invito senza «fare com-plimenti». Michele Babuin, ilparroco di Maria Regina dellaPace, si fa portavoce di moltialtri, nega i locali della suaparrocchia, che sarebbe do-vuta essere luogo di partenzadel corteo, nella quale aveva-no proposto di fare una pre-ghiera interreligiosa; serra lefinestre dichiarando: «Noncapisco perché dobbiamo farentrare i musulmani in chiesa.Bisogna essere chiari: abbia-mo un Dio diverso».

Il vescovo Nosiglia annunciaimmediatamente l’avvio dipercorsi formativi per i par-roci; mentre Babuin ribadisce«non cambio idea: il Coranopredica pure la pace, ma è lostesso testo citato dai fonda-mentalisti». La sua comunitàparrocchiale lo difende, tuttisi dichiarano tolleranti ed an-tirazzisti, ma anche stanchidi una presenza migrante po-co integrata ed invasiva. Mentre le comunità islamichefanno lo sforzo di schierarsi,abbandonare paure, timori ericatti e sprigionare la propriaenergia positiva, testimonian-do la propria pacifica esisten-za nelle terre d’occidente nel-le quali abitano, venti altret-tanto forti e contrari lo de-potenziano.

Mala tempora currunt.Guerre sante, martiri dellafede, crociati cheminacciano le moschee,proposte idiote dellacampagna elettoraleamericana1, azionidisumane dell’Europa diSchengen, politichexenofobe, pulpiti oveuomini di fede lancianostrali in difesa o in attaccodi popoli e religioni,animando un anacronisticobalzo indietro della societàumana. Ma l’odierno Califfo non haneanche un’unghia dellagrandezza del Saladino,assomiglia più ad uninvasato pittore austriacocon i baffetti; Hollandecondivide con CarloMartello solo l’altezza nonvertiginosa, il presidenteungherese che costruiscemuri di difesa non è certol’imperatore Adriano. Per fortuna in questa epocavive anche un papa cheinvece non vuoleassomigliare proprio anessuno, con lui i tantipadre Baba e tutti queipiccoli operatori di pace,siano essi di fede religiosa olaici, che mettonoquotidianamente le maninella sporcizia del mondo.Ed è nella loro funzioneeducativa all’interno dellecomunità territoriali cherisiede l’unico barlume di speranza mentreall’orizzonte già balenanole luci della catastrofe.

1 V. la proposta elettorale delcandidato repubblicano Trump diimpedire l’ingresso negli States aimusulmani.

Tutti sidichiarano

tolleranti ed antirazzisti,

ma anchestanchi di una

presenzamigrante poco

integrata ed invasiva

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di persone, siano esse adole-scenti o adulte: si confondonola spiritualità e la religionesenza rendersi conto che vipuò essere una spiritualitàscevra da appartenenze reli-giose e che vi può essere reli-gione priva di spiritualità.Che cosa si intende per spiri-tualità? Dice il vocabolario: ilfatto di essere spirituale, diavere natura o carattere spi-rituale… Essere spirituale di-pende da una adesione aduna religione o è una carat-teristica dell’uomo indipen-dentemente da tutto?Che cosa è la religione? Dice ilvocabolario: complesso di cre-denze, sentimenti, riti che le-gano un individuo o un grup-po umano con ciò che esso ri-tiene sacro, in particolare con

saggezza follemarco valli - osel [email protected]

ascuolaeoltre

Credo sia tempo di imparare a distinguere fra religione e spiritualità,ma anche fra fede e spiritualità, perché vi possono essere persone altamente spirituali pur non avendo fede in un Dio personale.

Come in quasi tutti glianni scolastici, anchequesta volta è giunto

il momento della domandafatidica, quella che (chissàperché) mi viene rivolta conuna preoccupante reiterativi-tà: «prof... ma lei, crede?».Come sempre, ho cercato diargomentare la mia risposta,chiedendo cosa il mio giova-ne interlocutore intendessecon «credere» (la fede in unDio personale? In un principiocosmico?), e cercando diesprimere la mia visione dellaspiritualità. Ho chiesto il per-ché della domanda (non sonoun insegnante di Irc) e la ri-sposta mi ha colpito: «Leisembra una persona religio-sa». Questa risposta non po-teva non impressionarmi, vi-sta la mia proverbiale diffi-coltà a sentirmi incasellato inqualsivoglia ideologia o reli-gione. Ho capito che il ragaz-zo intendeva dire che perce-piva in me una tensione spi-rituale che lui istintivamenteassociava ad un’appartenen-za religiosa.Temo che questa confusionesia diffusa fra un gran numero

Religioneo spiritualità?

la divinità. Un complesso dicredenze, di dogmi, di ideeche legano (il termine derivadal latino religare...) cioè unacreazione culturale che nonnecessariamente è connessacon l’intima spiritualità che ètensione verso l’Oltre.Nella nostra tradizione occi-dentale influenzata dal cri-stianesimo viene spontaneoassimilare religiosità e spiri-tualità, cosa che non accadein India o in altri paesi asiaticiove le persone più spirituali(i sannyasin o sadhu) sonopercepite al di là delle cre-denze religiose e godono del-la più alta considerazione,mentre i brahamani (i sacer-doti) sono considerati sem-plici esecutori di rituali (im-portanti ma non essenziali).Credo sia tempo di impararea distinguere fra religione espiritualità ma anche fra fede

Riconoscereche ogni uomo

è fondamentalmentespirituale

è un passo decisivo per un vero dialogofra le persone e non

fra le ideologie16 | cem mondialità | febbraio 2016

e spiritualità, perché vi pos-sono essere persone altamen-te spirituali pur non avendofede in un Dio personale (tuttii seguaci del Buddha, del ta-oismo, del bon, ecc.).Riconoscere la spiritualità laicae atea di tante persone è fon-damentale per superare i neo-fanatismi che stanno cono-scendo una recrudescenza invarie parti del mondo con leloro pretese di verità assolute.Riconoscere che ogni uomo èfondamentalmente spiritualee che può declinare questasua intima natura in infinitimodi, religiosi o meno, è unpasso decisivo per un vero dia-logo fra le persone e non frale ideologie. Se vogliamo av-viare un dialogo interreligiosoe interculturale, dobbiamopartire dalle persone e nondalle idee o dai dogmi, chesono inconciliabili.Se ogni uomo ha la naturailluminata (come dice il Bud-dha) o è fatto a immagine diDio (come dice la Bibbia), al-lora dal quel punto profondo

possiamo partire per un in-contro spirituale auten-tico, che diventi mo-mento di crescita e di«spiritualizzazione»delle rispettive ideolo-gie (religioni). Ricordia-

moci la saggia storia chevede dei religiosi incon-

trare Dio e chiedere qualesia la vera religione... e Diosconsolato rispondere: «mispiace, non so che dire, nonsono religioso!».nnn

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GENERATIVITÀED EDUCAZIONERIPARTIRE DA SOCRATE?ALUISI TOSOLINI

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Non è possibile affrontare il tema del rapporto tra ge-neratività ed educazione senza ripartire da Socrate.Benché non abbia lasciato nulla di scritto, non vi è

corso di storia dell’educazione o della pedagogia che nonprenda avvio dal maestro di Platone. Non che altri (tra cui itroppo bistrattati sofisti) non abbiano fornito geniali intuizionialle riflessioni pedagogiche: fatto sta che a Socrate si deve ilconcetto stesso di generatività in educazione intesa come artedella maieutica. La metafora usata da Socrate è quella del-l’ostetrica: il maestro, il filosofo, è colui che «fa nascere», cheaiuta a mettere al mondo. Per Socrate la maieutica è da inten-dersi come il processo che «trae fuori» dal soggetto in ricercadella verità, mediante il ragionamento, la verità stessa. Famo-sissimo, al riguardo, è il passo tratto dal Menone (82B-85B) incui Socrate, con il solo «domandare», conduce uno schiavoal possesso di importanti conoscenze geometriche, eviden-ziando così le caratteristiche fondamentali della maieutica: ilrifiuto della trasmissione del sapere da un maestro attivo adun discente passivo, la centralità del dialogo come momentodi problematizzazione che conduce alla scoperta della verità.Come ha scritto Franco Cambi: «l’azione educativa di Socrateconsiste nel favorire il dialogo e la sua radicalizzazione, nelsollecitare ad un approfondimento sempre maggiore dei con-

ALUISI TOSOLINI

cetti per raggiungere una loro formulazione più universale epiù critica1».

LA PSICOLOGIA DEL CICLO DI VITA

La psicologia dell’arco di vita (Lifespan Psychology), fondatadallo psicologo tedesco Paul Baltes (1939-2006), si è postal’obiettivo di indagare lo sviluppo umano secondo alcuni con-cetti centrali, che mettono in risalto l’importanza del contestobiologico, storico e culturale in cui l’individuo è inserito. Questiconcetti possono essere così sintetizzati:

a) lo sviluppo e il cambiamento durano tutta la vita;b) gli schemi di cambiamento sono contrassegnati dal plura-

lismo; c) la plasticità (ovvero la capacità dell’individuo di modificarsi

dal suo stesso interno) agisce sui processi psicologici; d) lo sviluppo individuale (ontogenesi) varia con l’evoluzione

della specie (filogenesi);e) lo sviluppo individuale è legato alle influenze del tempo e

del contesto storico; f) lo sviluppo psicologico deve essere analizzato in un con-

testo interdisciplinare.

RIPARTIREDA SOCRATE?

dossierGENERATIVITÀ ED EDUCAZIONE

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LA LEZIONE DI ERIK ERIKSON: LE FASI DELLO SVILUPPO PSICO-SOCIALE

Il primo studioso che ha associato lo sviluppo psicologico al-l’intera durata dell’esistenza è stato, in realtà, il tedesco ErikErikson (1902-94). Nella sua opera più famosa, Infanzia e società(1950), egli ha ripreso e approfondito le fasi di sviluppo dellapersonalità individuate da Freud, arrivando a suddividere l’esi-stenza in otto fasi corrispondenti ad altrettanti periodi critici. Se-condo Erikson, è necessario superare ogni stadio con successoaffinché la tappa successiva non presenti maggiore difficoltà. Ogni fase è caratterizzata dal conflitto tra due concetti contrapposti:il prevalere dell’uno o dell’altro dipende anche dall’interazionecon l’ambiente familiare e sociale. Il superamento dei periodicritici si ha grazie allo sviluppo di abilità psicosociali. Ad esempio,l’evolversi della fiducia al posto della sfiducia, la formazione del-l’identità contro la dispersione dell’identità, la generatività controla stagnazione. Erikson, inoltre, attribuisce a ogni fase una virtù,intesa come punto di forza dell’individuo, ed un correlato rischio.Le singole fasi non sono da considerarsi stadi nettamente separati,quanto piuttosto parti di un insieme funzionale in cui gradatamentela fase precedente si integra con la successiva.

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PER SOCRATE LA MAIEUTICA

È DA INTENDERSI COME IL PROCESSO CHE «TRAE FUORI»

DAL SOGGETTO IN RICERCA DELLA VERITÀ,

MEDIANTE IL RAGIONAMENTO,

LA VERITÀ STESSA

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dossierGENERATIVITÀ ED EDUCAZIONE

Nome fase età polarità

1 orale-sensoriale 0-12/18 mesi È imperniata intorno alla figura materna. Le due polarità che la caratterizzanosono la fiducia e la sfiducia di base. La fiducia è acquisita mediante le espe-rienze sensoriali veicolate dalla madre e permette di gestire le varie frustra-zioni, come la sua momentanea assenza.

2 muscolare-anale-uretrale 18 mesi-3 anni Il bambino impara a controllare gli sfinteri e a camminare, acquistandomaggiore indipendenza. La libera esplorazione dell’ambiente si scontra conrichieste e divieti sempre più pressanti da parte degli adulti. Le due polaritàsono autonomia e vergogna/dubbio e sono correlate allo sviluppo della co-scienza etica.

3 infantile-genitale (3-4/5 anni). L’attività principale in questa fase è il gioco: il bambino sperimenta le propriecapacità attraverso i processi di imitazione e identificazione con gli altri. Ledue polarità sono lo spirito di iniziativa e il senso di colpa, anche in questocaso determinate dalle risposte dell’ambiente: l’atteggiamento attivo edesplorativo viene limitato dalla coscienza, che tende a punire le fantasiesessuali.

4 Fase della latenza età scolare Il bambino si impegna in compiti più maturi e meno ludici, quali le attivitàscolastiche, sportive, artistiche, ovvero impegni che richiedono responsabilità.I due poli contrapposti sono l’industriosità e il senso di inferiorità, quando ilbambino percepisce il fallimento dei propri sforzi.

5 pubertà adolescenza L’adolescente, con la maturazione sessuale, subisce una crisi di identità,poiché scopre la propria specificità rispetto agli altri. Le due polarità entrocui si muovono le sue esperienze sono indicate con i termini identità e di-spersione. mentre la virtù corrispondente è la fedeltà.

6 giovinezza 18 - 24 anni In questo periodo vi è la ricerca di relazioni meno indifferenziate: l’individuosceglie di legare la propria individualità a quella di un’altra persona, inse-rendosi, inoltre, nella società attraverso le amicizie e il lavoro. Questa faseè caratterizzata dall’intimità e dalla solidarietà, contrapposte all’isolamento.

7 generatività età adulta, 25-45 anni L’individuo esplica la sua capacità produttiva e creativa nel lavoro, nell’im-pegno sociale e nella famiglia, attraverso la procreazione. L’esperienza psi-cologica si muove tra il polo della generatività e quello della stagnazione edell’autoassorbimento, quando l’individuo non riesce a uscire da se stessoper contribuire alla crescita della società.

8 maturità e vecchiaia 45 anni-morte contraddistinta dal conflitto tra integrità e disperazione. L’integrità è l’accet-tazione serena dei propri limiti e della finitezza dell’esistenza; la disperazioneimplica, invece, il rimpianto del tempo passato e il desiderio, inevitabilmentefrustrato, di poter ricominciare da capo la propria vita.

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dossierGENERATIVITÀ ED EDUCAZIONE

virtù Rischio

La virtù corrispondente èla speranza, intesa come«la convinzione permanen-te della realizzabilità deidesideri».

Il rischio legato a questa fase è che il dete-riorarsi del rapporto materno possa espri-mersi nella vita adulta in una forma di idola-tria.

La virtù correlata a questafase è la determinazione.

Il pericolo è la degenerazione di questa fasenel legalismo, l’atteggiamento che, in etàadulta, fa provare maggiore soddisfazionenel punire che nel comprendere e nel com-patire.

La virtù connessa a questafase è l’azione per unoscopo.

Il non superamento di questa fase può por-tare in età adulta alla finzione, ovvero allatendenza a inscenare un’identità non propria.

La virtù è la competenza. Erikson individua nell’educazione scolasticail rischio di un eccessivo formalismo che po-trebbe portare, in età adulta, all’inibizionedella spontaneità.

la virtù corrispondente èla fedeltà.

Il rischio è il totalitarismo, ovvero il crederein modo esclusivo e fanatico a un ideale. Ètipica di questa fase, infatti, l’adesione a formeideologiche o l’appartenenza a gruppi checonfermino i propri valori.

La virtù correlata è il sensod’amore.

il risvolto negativo è la creazione di gruppiesclusivi ed elitari, che esprimono una formadi narcisismo comunitario.

La virtù emergente in que-sto periodo è la cura, inte-sa come tendenza a occu-parsi in modo responsabi-le di ciò che si è genera-to.

L’aspetto negativo di questa fase è l’autorita-rismo, inteso come abuso di potere e rifiutodei metodi democratici.

La virtù correlata a questafase è la saggezza.

il risvolto negativo la supponenza, ovvero laconvinzione aprioristica di saper tutto.

(sintesi ripresa da: A. Tosolini, Filosofia e scienze um

ane,Loescher, Torino 2006)

SECONDO ERIKSON, È NECESSARIO

SUPERARE OGNI STADIOCON SUCCESSO

AFFINCHÉ LA TAPPASUCCESSIVA NON

PRESENTI MAGGIOREDIFFICOLTÀ.

OGNI FASE È CARATTERIZZATA

DAL CONFLITTO TRADUE CONCETTI

CONTRAPPOSTI: IL PREVALERE DELL’UNO

O DELL’ALTRO DIPENDEANCHE

DALL’INTERAZIONE CONL’AMBIENTE FAMILIARE

E SOCIALE

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Studiosi successivi hanno proposto cicli di età sempre più brevi e differenziati.L’americano Daniel Levinson (1920-94)2 distingue quattro periodi: fase anterioreall’età adulta (pre-adulthood), prima età adulta (early adulthood), età adulta intermedia(middle adulthood) e tarda età adulta (late adulthood). L’individuo attraversa questediverse stagioni attraverso undici periodi evolutivi: Levison attribuisce a ogni fasealcuni compiti e obiettivi, sottolineando come nessuno di questi può durare tutta lavita, in quanto l’individuo muta con l’età le proprie necessità evolutive. Alle fasi co-struttive, di azione, si alternano le fasi di transizione, corrispondenti a periodi dicrisi, di pausa, in cui l’individuo è sospeso tra il passato e il futuro e rielabora inte-riormente le scelte compiute. Alcuni studiosi criticano la stessa suddivisione in fasi. Tra questi, la psicologa LéonieSugarman3 sostiene che il corso della vita può essere concepito in diversi modi: siacome una serie di stadi associati all’età sia come una sequenza cumulativa, oppurecome una serie di compiti evolutivi o come costruzione narrativa che crea un sensodi continuità dinamica. Occorre, inoltre, aggiungere che i momenti salienti della vitasono esperiti in modo diverso in relazione ad alcune variabili. Ad esempio, l’entratanel mondo del lavoro avviene in periodi e con vissuti differenti, a seconda che il sog-getto sia maschio o femmina, appartenga a un ceto popolare oppure borghese,abbia un livello di istruzione basso o elevato, abiti in una regione economicamentepovera o sviluppata, ecc.

GENERATIVI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI!

Chiara Giaccardi e Mauro Magatti hanno pubblicato, nel 2014, un testo che ha avutoun grande successo: Generativi di tutto il mondo, unitevi! Manifesto per la societàdei liberi (Feltrinelli, Milano 2014). Si tratta di un manifesto, e quindi di un testobreve, di sintesi, frutto di altre ampie e corpose ricerche che nel corso dell’ultimodecennio hanno messo a fuoco la natura antropologica della crisi della contempo-raneità. Nell’introduzione del volume Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismotecno-nichilista (Feltrinelli, Milano 2009) Mauro Magatti scriveva che «il tema difondo è quello della libertà. Il capitalismo tecno-nichilista, infatti, nasce e si sviluppaattorno a un immaginario della libertà che si forma tra la fine degli anni ‘60 e l’iniziodegli anni ‘80. Non si possono capire questi trent’anni se non tenendo in considera-zione questa trasformazione che è insieme sociale, culturale e antropologica». La prima urgenza è la necessità di rimettere in discussione il concetto di crescita -programma, questo, non certo nuovo nel contesto del pensiero critico contemporaneo.Ma, e qui la novità, rimettere in discussione la crescita implica l’andare oltre allasola dinamica economica e politica per affrontare l’immaginario della libertà che siè affermato nei paesi occidentali, imprigionato in una concezione radicalmente in-dividualista e consumista.E, nel volume successivo (La grande contrazione. I fallimenti della libertà e le viedel suo riscatto, Feltrinelli, Milano 2012) l’analisi si fa ancora più serrata mostrandocome il capitalismo tecno-nichilista metta a repentaglio proprio quella libertà che, aparole, viene quotidianamente celebrata e promessa. Libertà che, ridotta a «iper-soggettivismo», finisce per negare se stessa negando l’alterità, ridotta anch’essa oa mera funzione del soggetto o a «scarto», «rifiuto» (si veda Bauman, Vite di scarto,Laterza, Roma-Bari 2005). La crisi della contemporaneità è così raffigurabile come crisi della relazionalità.L’impianto consumistico si organizza - secondo Magatti e Giaccardi - attorno al«circuito potenza-volontà di potenza». Ovvero: dimostriamo di essere liberi deside-rando ed esprimiamo la nostra volontà di essere consumando: consumo, ergo sum.E a questa volontà, caratterizzata da narcisismo e autoreferenzialità, il sistemarisponde con l’unico linguaggio che conosce, la merce.

dossierGENERATIVITÀ ED EDUCAZIONE

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dossierGENERATIVITÀ ED EDUCAZIONE

LA CRISI DELLA CONTEMPORANEITÀ È COSÌRAFFIGURABILE COME CRISI DELLA RELAZIONALITÀ.L’IMPIANTO CONSUMISTICO SI ORGANIZZA ATTORNO AL «CIRCUITO POTENZA-VOLONTÀ DI POTENZA». OVVERO: DIMOSTRIAMO DI ESSERE LIBERI DESIDERANDO ED ESPRIMIAMO LA NOSTRA VOLONTÀDI ESSERE CONSUMANDO: CONSUMO, ERGO SUM. E A QUESTA VOLONTÀ, IL SISTEMA RISPONDE CON L’UNICO LINGUAGGIO CHE CONOSCE, LA MERCE

Ma l’insostenibilità di un modello basato solo sul consumo (cui Ma-gatti ha dedicato il saggio L’infarto dell’economia mondiale, Vita ePensiero, Milano 2014) merita di più e di meglio rispetto alle consuetecritiche «pauperistiche». L’essere umano, infatti, è ontologicamenteun «consumatore», non fosse altro perché è un essere limitato e «dibisogno». Così, scrivono Magatti e Giaccardi, «il consumo è fonda-mentalmente un atto d’incorporazione che avviene attraverso i sensi:acquistando un oggetto, ascoltando un brano musicale, guardandouna partita di calcio, facendo l’amore con il proprio partner, gustandoun gelato, noi incorporiamo la realtà, ne sentiamo il sapore. [...] Ilproblema si verifica quando si pretende di ridurre a questa solamodalità il nostro rapporto con la realtà» (p. 41).Ed è a questo punto che i due autori introducono il concetto che co-stituisce il nucleo della pars construens del manifesto: generatività.Si tratta, come abbiamo visto, di uno dei due termini con cui ErikErikson delinea i due fondamentali, possibili sviluppi della personalitàadulta. Da una parte la stagnazione, la progressiva autocentraturadel soggetto su se stesso, l’incapacità di aprirsi a una dimensioneesistenziale che comporti una responsabilità verso l’altro, verso glialtri. Una personalità narcisistica, incapace d’immaginare un futuro,

di progettare e di proiettarsi fuori dagli angusti limiti dell’io. Alternativaalla stagnazione è la generatività. La personalità generativa accettala sfida del limite e della resistenza contro cui si scontra. L’io gene-rativo, limitandosi, si apre all’illimite dell’altro, e così diventa, infine,se stesso. Decentrato, si riassesta. Perdendosi, si ritrova. La battagliacontro l’ideologia consumistica non necessita solo di un impegnoed una lotta contro ma anche (e soprattutto) di un impegno per. Equi si colloca il senso della generatività: «Il generare la forza percontrastare il dominio uniformante del consumare. La cosa interes-sante, però, è che tale contrasto non avviene sul piano normativo -indicando quello che si deve o non si deve fare - quanto piuttostosul piano della disposizione antropologica. In questo modo, la nostracapacità generativa acquista uno straordinario potenziale di risana-mento di molti fallimenti della libertà contemporanea» (p. 43). L’uomoè un essere ontologicamente generativo: consuma e genera. Sinoad oggi ha soprattutto consumato. Ora è giunto il tempo di lasciarespazio alla generatività.

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L’EDUCAZIONE NEL TEMPO DEL TECNO-NICHILISMO MAURO MAGATTI

Se nel capitalismo societario l’istruzione scolastica aveva ancoraun chiaro mandato - l’istruzione obbligatoria per tutti come baseper creare bravi cittadini - che presupponeva un’idea di tradizionee di autorità, negli ultimi decenni la scuola tende ad assumere unprofilo più tecnico in relazione alle esigenze del mercato del lavoro.Tale trasformazione non va valutata negativamente secondo unalettura ideologica, contrapponendo in maniera unilaterale il vecchiomodello con il nuovo. Tutte e due le soluzioni colgono infatti aspettiimportanti della questione educativa. Il punto è piuttosto valutarele possibili conseguenze di lungo termine di una impostazione cherischia di privilegiare in maniera unilaterale la dimensione tecnica,escludendo in modo intenzionale il piano culturale, morale valorialeche trova nella tradizione il suo alveo naturale. […] Pensata e costruita sull’unico principio dell’autorità tecnica, lascuola - in un mondo altamente tecnicizzato- rischia di perderequella sua alterità costitutiva che rappresenta un presupposto dellastessa idea di libertà. Volendo rispettare in maniera assoluta l’assuntoindividualista secondo cui la donazione di senso è un’azione radi-calmente solitaria, negli ultimi decenni si è rafforzata l’idea secondocui la scuola deve essere un ambiente volontariamente neutrale.In un contesto pluralistico, questo è l’argomento, non ci può essere

altra scelta. Le buone ragioni che stanno dietro a tale impostazionesono note e, almeno in parte, condivisibili […]. In società che si caratterizzano per la convivenza di religioni, gruppietnici, mondi culturali diversi, la questione di quale tipo di educa-zione si possa proporre alle nuove generazioni rimane irrisolta. Inun mondo così tecnologicamente avanzato e culturalmente artico-lato, come facciamo a educare i nostri figli in modo che abbianoun senso di identità dialogica, mantengano vivi i rapporti con lacomunità di cui sentirsi responsabili, siano in grado di trasmettereil patrimonio culturale ricevuto e di arricchirlo sulla base dellenuove condizioni di vita?L’obiettivo di ricostruire una qualche relazione tra la storia delsingolo individuo e il contesto (sociale, culturale, religioso, istitu-zionale) rimane oggi fondamentale per la scuola, congiuntamentealla indispensabile creazione di spazi di confronto al suo interno,tra quei mondi che, al di fuori della scuola, convivono funzionalmentespesso senza alcuna possibilità di conoscersi realmente. A motivodi tali compiti, oggi più che mai cruciali, la scuola mi pare possaessere candidata a divenire uno di quei contro-ambienti in grado,da un lato, di distanziarsi dall’ondata tecno-nichilista e, dall’altro,di insegnare un metodo per la convivenza della diversità.Ripensata come un ponte, una passerella, la scuola può riconoscerecome un grave impoverimento la perdita del proprio radicamentoculturale, a meno che non accetti la riduzione a centro di addestra-mento. E questo vuol dire riconoscere esplicitamente che un man-dato culturale si radica, in una particolarità, ovviamente non chiusasu se stessa ma debitrice, a sua volta, di una storia precedente ecorresponsabile di una vicenda che prepara il futuro attraversol’impronta data al presente. L’educare è sempre espressione diuna alleanza fra generazioni.

M. Magatti, La grande contrazione. I fallimenti della libertà e le vie del suo riscatto,Feltrinelli, Milano 2012, pp. 323-325.

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LA CURA DELL’ALTRO COMEEDUCAZIONELUIGINA MORTARI

L’aver cura dell’esistenza come progetto in vista dell’at-tualizzazione del proprio poter essere possibile, e dunquecome apertura alla trascendenza, trova la sua più radicaleenunciazione nei dialoghi di Platone, dove troviamo So-crate impegnato a teorizzare la primarietà della cura disé intesa come cura dell’anima. Nel Lachete, Lisimaco dà inizio al dialogo affermandoche il compito degli adulti è aver cura dei giovani equesto aver cura significa assumere il compito della loroeducazione affinché divengano eccellenti nell’arte di vi-vere (Platone, Lachete, 179a-d). Nell’Apologia Socrate,enunciando il significato originario della pratica educativa,afferma che il compito dell’educatore è quello di solle-citare l’altro ad «aver cura di sé» (Platone, Apologia diSocrate, 36c) e spiega che l’essenza della cura di séconsiste nell’aver cura della propria anima (epimeleisthaites psyches) affinché acquisisca la forma migliore pos-sibile (Ivi, 30b). L’educazione è dunque una pratica di cura con cui l’adultopromuove nell’altro la capacità di aver cura di sé e poichéil sé coincide con l’anima (Platone, Alcibiade Primo,130e), aver cura di sé significa aver cura dell’anima (Ivi,132c). Nei dialoghi dove Socrate affronta il tema dellacura di sé, intesa come aver cura della propria anima inmodo che trovi per sé la forma migliore possibile, usa iltermine epimeleia, parola che nel greco antico viene uti-lizzata per nominare la cura. Epimeleia sta a indicarequell’aver cura che coltiva l’essere per farlo fiorire. Nonè risposta all’urgenza di sopravvivere, al sentirsi vincolatialla necessità di persistere, ma risponde al desiderio ditrascendenza, al bisogno di orizzonti di senso in cui at-tualizzare il proprio essere in quanto poter essere. Avercura di sé per disegnare di senso la trama del propriotempo significa consentire all’essere di nascere all’esi-stenza.

Luigina Mortari, Alle radici della cura, in «Thaumazein», 1/2013, pp. 30-31 (v. anche Luigina Mortari, Filosofia della cura, Raffaello Cortina,Milano 2015).

Un percorso «simbolico, politico, antropologico. È, cioè, farsitramite perché qualcosa che vale, grazie a noi [...], possa esistere.In questo senso, mettere al mondo include ogni atto di filiazionesimbolica» (p. 44).

METTERE AL MONDO IL MONDO: LA CURA

Immediate le ricadute «educative»: la generatività nasce dall’ascoltoe dall’incontro con l’alterità, è rifiuto del modello trasmissivo, è re-lazione che si fa alleanza e costruzione di un’interazione nella qualetutti cambiano, educatore ed educando. Si tratta di mettere al mondoil mondo nella differenza e con la differenza. Del resto, come scrivevaFranco Cambi4, la struttura di fondo della dimensione interculturalesi trova nella differenza di genere come differenza non riassumibilee non eliminabile. Differenza che è alla base della generatività comealterità (si veda A. Tosolini, Comparare, Erickson, Trento 2010). Edè qui che si inserisce un’ulteriore possibile riflessione su generativitàed educazione che dobbiamo alla filosofa Luigina Mortari ed allasua attenta analisi della cura5. Alla base vi è la consapevolezza chela qualità fondamentale dell’esser-ci è l’essere mancanti di essere,ovvero l’essere limitati, non bastanti a se stessi e quindi bisognosidell’alterità e della relazione con l’alterità. Da qui la cura, che,secondo la filosofa Mortari, si realizza lungo tre assi: a) la cura comeprocurare cose; b) la cura come risposta al bisogno di ulteriorità; c)la cura come terapia/riparazione. La cura, così, si struttura come la«partecipazione del sacro che c’è nell’altro».

LE SFIDE DELLA SCUOLA GENERATIVA

Siamo partiti dalla consapevolezza che educazione e generativitàsono, sostanzialmente, sinonimi. Lungo il percorso abbiamo evi-denziato alcuni degli aspetti della generatività in educazione. Inchiusura mi preme sottolineare che nella contemporaneità due sonogli elementi cruciali - a mio parere - dell’odierna sfida educativa:

z la dimensione interculturale e la connessa competenza intercul-turale;z la didattica, ovvero il metodo, la via, con cui si affrontano le sfidedell’educazione che richiedono una scuola rinnovata. Capace diinterrogarsi sui tempi, gli spazi ed i metodi.

E su questo rinviamo a due approfondimenti specifici: il primo èa cura di Mattia Baiutti (v. infra), mentre il secondo è la ripresa dialcuni dei punti chiave del manifesto delle Avanguardie Educativenato poco più di un anno fa, facilmente reperibile in rete6.

1 F. Cambi, Manuale di storia della pedagogia, Laterza, Roma-Bari 2003.2 D. Levinson, The Seasons of a Man’s Life («Le stagioni della vita dell’uomo»), 1978.3 L. Sugarman, Psicologia del ciclo di vita. Modelli teorici e strategie d’intervento,Cortina, Milano 2003.4 F. Cambi, Intercultura: fondamenti pedagogici, Carocci, Roma 2001.5 L. Mortari, Filosofia della cura, Cortina, Milano 2015.6 Il testo integrale del «Manifesto delle avanguardie educative» è scaricabile all’indirizzohttp://avanguardieeducative.indire.it/wp-content/uploads/2014/10/Manifesto-AE.pdf

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IN CHE MODOL’EDUCAZIONEINTERCULTURALE È GENERATIVA? CHE COSA GENERA?QUESTE SONO LE DOMANDE GUIDADEL PRESENTECONTRIBUTO, IN CUI SI GUARDERÀL’EDUCAZIONEINTERCULTURALEDALLA PROSPETTIVADELLACOMUNICAZIONE.PER PROVARE A DAREUNA RISPOSTA SARÀ NECESSARIODELINEARE UN,SEPPURPROVVISORIO,CONFINE SEMANTICODEL CONCETTO DI «COMPETENZAINTERCULTURALE» E DEL CONTESTO INCUI È QUI INSERITO,OVVEROSIA QUELLO DELLA«COMUNICAZIONEINTERCULTURALE»

GENERATIVITÀ ED EDUCAZIONE INTERCULTURALEMATTIA BAIUTTI [email protected]

VERSO UNA DEFINIZIONE DI COMPETENZAINTERCULTURALE

La competenza interculturale (da ora IC) è oggi al centro di un ampiodibattito (ad es. Deardorff 2009). Quest’ultimo non è squisitamenteaccademico, ma trova terreno fertile anche fra importanti attori sovra-

nazionali come, ad esempio, l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa el’Unesco. L’attenzione istituzionale a tale competenza è tendenzialmentespiegabile col fatto che la IC, come afferma Byram (2008), è una delle pietreangolari della cittadinanza interculturale. Ma che cos’è la IC? Ogni possibile risposta a tale domanda non può che essere intesa comework in progress (Cfr. Baiutti, 2014). Diverse, infatti, sono le problematicheirrisolte che si incontrano nell’approcciarsi a tale interrogativo. Senza pretesadi completezza, se ne riportano alcune:

z Questione terminologica. Le espressioni che afferiscono alla sfera se-mantica della IC sono molte come, ad esempio, global competence, tran-scultural competence, intercultural sensitivity, capabilities. z Questione di definizione e modelli. Nella letteratura internazionale vi èun’abbondanza di modelli e definizioni di IC. Spitzberg e Changnon (2009),nella loro revisione della letteratura dei principali modelli contemporaneidi matrice occidentale, propongono una suddivisione in cinque tematiche:Compositional models, Co-orientational models, Developmental models,Adaptational models, Causal process models.

La definizione e i modelli che attualmente sembrano essere più diffusi sonoquelli proposti da Darla Deardorff (2006). La ricerca empirica condottadall’autrice è il primo tentativo di trovare una definizione comune di IC fraalcuni esperti interculturali (principalmente americani). Secondo questostudio la competenza interculturale è la capacità di comunicare in modoappropriato ed efficace in una situazione interculturale. Tale abilità si basasu attitudini (ad es. curiosità, apertura, rispetto, tolleranza dell’ambiguità),conoscenze (ad es. autoconsapevolezza culturale, comprensione dell’in-fluenza dei contesti nelle visioni del mondo, consapevolezza sociolinguistica),e abilità (ad es. ascoltare, osservare, analizzare, interpretare, creare colle-gamenti) interculturali. Questi tre componenti producono degli effetti interiori, ovverosia lo sviluppodi flessibilità, capacità di adattamento, visione etnorelativa ed empatia. Aloro volta gli effetti interiori determinano degli effetti esteriori che corri-

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spondono al comportarsi e comunicare in modo efficace e ap-propriato durante un’interazione interculturale (parte visibiledella competenza). Di particolare interesse, nei modelli proposti da Deardorff, èche l’autrice valorizza la dimensione delle attitudini - in un lessicopedagogico tradizionale si potrebbe parlare di «saper essere» -spesso considerata in modo superficiale, o comunque secon-dario, rispetto alle altre dimensioni della competenza, ovverosiaquella delle conoscenze («sapere») e quella delle abilità («saperfare»). Un altro pregio del modello di Deardorff è il sottolineareche la IC è un processo in continuo divenire e che, pertanto,continua lungo tutto l’arco della vita.Il concetto di competenza, in generale, è indissolubilmentelegato a quello di azione (Cfr. Castoldi, 2009). Qual è, allora,l’azione connessa alla IC? La risposta a questa domanda risiedenella comunicazione interculturale.

LA COMUNICAZIONE INTERCULTURALE

Anche rispetto alla comunicazione interculturale vi è un’ampialetteratura di riferimento che testimonia un’eterogeneità di puntidi vista, non necessariamente compatibili fra loro. In questasede, la comunicazione interculturale (intercultural communi-cation) è compresa come quella comunicazione che si instaurain un contesto reale fra due o più soggetti che si percepisconocome appartenenti a background culturali diversi: quando ledifferenze culturali che intercorrono fra i soggetti sono suffi-cientemente significative per avere un effetto sulla loro comu-nicazione si può parlare di interazione interculturale (Cfr. Spen-cer-Oatery & Franklin, 2009). Vista l’ambiguità connessa al con-cetto di «cultura», è importante, a questo punto, precisare comelo usiamo: contro una concettualizzazione essenzialista (Cfr.Holliday, 2011) e culturalista (Cfr. Zoletto, 2012), la cultura è quicompresa in senso ampio e dinamico. La cultura è, per dirlaalla Wittgenstein, una forma di vita in continua costruzione nel-l’interazione fra i soggetti. Questa concettualizzazione ci permette di affermare che la co-municazione interculturale può riscontrarsi non solo tra soggettiche provengono fra diverse culture (intese in senso antropolo-gico) ma, anche, fra persone che si differenziano per età, statussociale, genere, orientamento sessuale, idee politiche, lingue,credi religiosi, modi di pensare, valori, eccetera. Quanto dettoè in linea con il documento ministeriale La via italiana per lascuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri(2007) quando afferma che «la relazione interculturale opera ilriconoscimento dell’alunno con la sua storia e la sua identità,

evitando, tuttavia, ogni fissazione rigida di appartenenza cul-turale e ogni etichettamento».

LA GENERATIVITÀ DELLA COMPETENZAINTERCULTURALE

Dopo la succinta trattazione sull’educazione interculturale inchiave comunicativa, ci resta da comprendere in che modoi concetti presentati siano generativi e a che cosa diano vita.Una possibile risposta è che la comunicazione interculturale,in quanto interazione, è per sua stessa natura uno spazio ge-nerativo: nell’azione fra (Cfr. Baiutti, 2015b) le differenze vi èla costruzione di un qualcosa di nuovo. Questo è un nuovointersoggettivo, potremmo dire un nuovo sociale, semprepiù inclusivo che, tuttavia, è difficilmente prevedibile a prioriin tutte le sue sfumature giacché è nella concretezza dellarealtà che si genera e prende forma. Allo stesso tempo, è an-che un nuovo soggettivo, ovverosia un’inedita conoscenza epercezione di sé e dell’altro/a. Quando ci si trova in dialogo con le differenze, infatti, si ènella posizione di dover andare oltre a ciò che si ritiene ovvio,a spiegare all’altro/a ciò che giustifica la propria posizione.Facendo ciò ci si svela all’altro/a, ma, prima di tutto, a sestessi. L’interazione interculturale diventa uno «specchio»(Cfr. Kramsch, 2009) che consente il riflettersi (sia come ri-

EDGAR MORINDOBBIAMO LEGARE

NELLA NOSTRA MENTE I SEGRETI DELL’INFANZIA

(CURIOSITÀ, STUPORE) I SEGRETI

DELL’ADOLESCENZA(ASPIRAZIONE

A UN’ALTRA VITA) I SEGRETI DELLA MATURITÀ

(RESPONSABILITÀ), I SEGRETI DELLA VECCHIAIA

(ESPERIENZA, SERENITÀ).DOBBIAMO VIVERE

PENSARE AGIRE SECONDO LA MASSIMA

«QUELLO CHE NON SI RIGENERA, DEGENERA»E. MORIN, IL METODO. 6. ETICA, RAFFAELLO CORTINA, MILANO 2005

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flettere su se stessi, sia come lo specchiar-si), lo scoprire partidel proprio essere fino a quel momento ombrate. In questosenso, nell’interazione vi è la generazione della propria sogget-tività che, in quanto, tale è una «soggettività-in-processo» (Cfr.Kramsch, 2009).Un esempio di questo «meccanismo» è quando ci si trova in unconflitto culturale, qui concettualizzato come un’incompatibilitàdi valori, visioni del mondo, idee, norme, eccetera, fra un minimodi due persone in interazione. Tale conflitto può trasformarsi nel-l’occasione di un vero e proprio incontro interculturale e quindigeneratore di novità. Il conflitto interculturale, infatti, è uno spaziodialogico dove gli interlocutori sfidano se stessi con l’obiettivodi intrecciarsi all’altro/a. Questo, tuttavia, non comporta che ilconflitto venga necessariamente superato. Ciò che è in discus-sione qui non è, o non direttamente, il risultato in sé quanto, piut-tosto, il modo in cui un conflitto culturale viene affrontato. Comeaffermava il filosofo americano Stanley Cavell (1979), ciò che ciunisce e ci separa non sono i nostri corpi (per loro natura separati)quanto, piuttosto, i nostri atteggiamenti. Un atteggiamento chefavorisce l’incontro interculturale è quello che cerca di capire lemotivazioni che stanno a monte dei propri valori, modi di vederee pensare il mondo e a quelli dell’altro/a. Tale atteggiamentopresuppone relativismo etico, apertura al cambiamento, curiosità,disponibilità a mettersi in discussione e decentramento del sé(Cfr. Baiutti 2015a, in corso di pubblicazione).

ALUISI TOSOLINI

FILOSOFO E PEDAGOGISTA, È

ESPERTO DI EDUCAZIONE INTER-

CULTURALE E PROCESSI EDUCATIVI

NEL TEMPO DELLE NUOVE TECNO-

LOGIE. DIRIGE UN LICEO SCIENTI-

FICO E MUSICALE.

[email protected]

L’A

UTO

RE

DEL

DO

SSIE

R

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Baiutti, M. (2014), Competenz* Intercultural*. Work in Progress, CEM mon-dialità, 2, 2014.

Baiutti, M. (2015a), Un conflitto può essere interculturale?, CEM Mondialità,2, 2015.

Baiutti, M. (2015b), La competenza interculturale per pensare assieme unfuturo possibile, MeTis, V (1), 332-339 (on line: http://www.metis.progedit.com/anno-v-numero-1-062015-leducazione-ai-tempi-della-crisi/129-ex-ordium/701-la-competenza-interculturale-per-pensare-insieme-un-futuro-possibile.html).

Baiutti, M. (in corso di pubblicazione), Rethinking the concept of interculturalconflict: Italian returnees’ attitudes towards others during a cultural conflict,FLEKS Scandinavian Journal of Intercultural Theory and Practice.

Byram, M. (2008), From foreign language education to education for inter-cultural citizenship: Essays and reflections, Clevedon: Multilingual Matters.

Cavell, S. (1979). The claim of reason. Wittgenstein, skepticism, morality,and the tragedy. Oxford: Oxford University Press.

Deardorff, D.K. (2006), Identification and assessment of intercultural compe-tence as a student outcome of internationalization, Journal of Studies in Inter-national Education, 10 (3), 241-266.

Deardorff, D.K. (2009) (a cura di), The SAGE Handbook of Intercultural Com-petence, Thousand Oaks: Sage.

Holliday, A. (2011), Intercultural communication and ideology, Londra, Sage.

Kramsch, C., (2009), The multilingual subject, Oxford, Oxford University Press.

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Spitzberg, B.H. & Changnon, G. (2009), Conceptualizing Intercultural Com-petence, in D.K. Deardorff (a cura di), The SAGE Handbook of InterculturalCompetence, 2-52, Thousand Oaks, Sage.

Zoletto, D. (2012), Dall’intercultura ai contesti eterogenei. Presupposti teoricie ambiti di ricerca, Milano, FrancoAngeli.

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Una città interculturale è possibile. Come si costruisce?Come forse i nostri lettori già sanno, dopo ilnoto programma lanciato nel 2008 dal Con-siglio d’Europa e dalla Commissione euro-pea sulle «Città interculturali», è statapubblicata nel gennaio 2013 una «Guidapratica» che si prefigge di applicareil modello urbano di integrazione in-terculturale per costruire passo dopopasso una città a misura di intercultura-lità (www.coe.int/interculturalcities).Nella «Guida» si riconosce l’importanza di politiche emetodi pratici per la realizzazione di una visibile inte-grazione interculturale nelle varie città europee. Il veropunto di forza per costruire città interculturali sta nel

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a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI2528

INTERCULTURAURBANISTICA E MUSEI

Premessa

L’ inserto che presentiamo in questo numero delCEM è particolarmente interessante perché di-mostra come la nostra rivista - che ha come

obiettivo prioritario quello dell’educazione interculturale- sia parte integrante di quelle realtà italiane ed europee,istituzionali e non, che operano consapevolmente per latrasformazione della società in un’ottica interculturale.In questo senso è possibile affermare che il CEM da tem-po dimostra di essere in Italia un soggetto trainante eche le sue finalità sono tutt’altro che utopistiche. Oggi lacostruzione della convivenza e della società interculturaleappare per le stesse istituzioni europee un obiettivo rea-listico e storicamente necessario. Anche per questo nelpresente inserto abbiamo voluto dare spazio al program-ma europeo sulle Città interculturali e alla Carta di Sienasui musei e paesaggi culturali.

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Educare al patrimonio storico e artistico delle città in chiave interculturale

La città è un grande spazio aperto in cui gli abitanti - siaautoctoni sia stranieri - vivono insieme. Questo avvenivagià all’interno della polis greca dove i «meteci», comesappiamo, erano ritenuti comunque cittadini di serie «b».L’architettura e l’urbanistica hanno sempre avuto un ruoloimportante nella storia delle civiltà in Oriente come inOccidente. Ieri come oggi le città dei vari continenti si

passaggio da un approccio specialistico (ma parziale) adun approccio integrato e di sistema (cioè globale). Inquesto modo si viene infatti a creare uno spirito unitarioe condiviso da tutte le varie componenti che operanoper il bene comune della città. Si tratta di convergeretutti verso l’unico obiettivo programmatico di costruireuna città inclusiva, orgogliosa e ricca delle sue diversità.Inoltre, nella «Guida» si invitano le 20 Città interculturali(11 città pilota dal 2008, per l’Italia troviamo Reggio Emi-lia), le altre 9 dal 2011, a proseguire e a diffondere l’ade-

effetti favorevoli sui processi di governance e sulla pia-nificazione urbanistica, così come sulle politiche abitativee su quelle della sicurezza e dell’ordine pubblico.Sviluppare una visione della città come spazio intercul-turale: questo è l’obiettivo prioritario e centrale su cuiconvergono tutti gli sforzi di coloro che sono impegnatinel programma della città interculturale. Più che aggiun-gere continuamente nuove politiche si tratta quasi sempredi cambiare la visione e cercare di riesaminare e armo-nizzare più efficacemente quello che già si fa.

sione di altre nuove città per questa incoraggiante spe-rimentazione.Bisogna ormai partire dalla consapevolezza che certi ap-procci «classici» alla gestione della diversità nelle città(assimilazionismo, separatismo, multiculturalismo, co-munitarismo…) hanno fatto il loro tempo mostrando tuttii loro limiti. Per questo vanno decisamente superati nelladirezione dell’interculturalità, poiché il tessuto socialediventa più forte e coeso quando si promuove lo scambioe l’interazione tra gruppi diversi per etnia e religione,non quando si creano chiusure e separazioni che alla fineproducono soltanto fondamentalismi religiosi e conflittietnici. Importanti analisi condotte in tempi recenti dimostranocon dati concreti che l’approccio interculturale nella ge-stione della diversità in una città produce la crescita del-l’economia, ha un impatto positivo sull’occupazione, ha

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moschee, pagode, templi…), ai luoghi dell’educazione(asili, scuole, università…) e della cultura (biblioteche, pi-nacoteche, musei…), ai luoghi del lavoro (fabbriche, uffici,negozi…) e dell’economia (banche, centri commerciali...),ai luoghi della legalità e della sicurezza (tribunali, procure,caserme, questure, carceri…), ai luoghi dell’attività sportiva(stadi, campi da gioco palestre, piscine…) e della fruizioneartistica (auditorium, teatri, cinema…). Dalla storia sap-

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Dalla scuola alla città… al mondo digitale

piamo che nelle città italiane dei secoli passati sono natii Comuni e le Signorie, in cui un ruolo centrale era asse-gnato al palazzo del podestà e alla cattedrale vescovile.Oggi la centralità è rappresentata da quelle strutture ar-chitettoniche che nel mondo della globalizzazione rap-presentano il simbolo di chi detiene il potere economicoe finanziario come le banche e le multinazionali.Sottolineare l’esigenza di acquisire competenze intercul-turali anche da parte di coloro che operano nel campodell’urbanistica e dell’architettura significa elevare la qua-

lità civile e culturale per una cura della città anche sottoil profilo ambientale, storico, artistico e territoriale. Nella«Guida pratica» per costruire l’integrazione interculturalenelle nostre città globali, sempre più multietniche e mul-ticulturali, si osserva che «il ruolo dell’urbanistica inter-culturale è quello di creare una dinamica dello spazio ur-bano che agevoli gli incontri e gli scambi tra persone didiverse origini, riducendo al massimo gli ambienti e glispazi che suscitano apprensioni o rivalità e spingono lepersone ad evitarsi». E ancora: «gli ingredienti del conflitto sono questioniinerenti all’interculturalità. L’arte di realizzare spazi pub-blici conviviali non consiste nell’ignorare o evitare taliaspetti, ma nel saperli gestire integrandoli nel processocreativo». E infine: «una buona progettazione dello spaziourbano nell’ottica dell’interculturalità deve superare laproblematica dell’immigrazione e della diversità etnica,

sviluppano costantemente sotto l’impulso della pianifi-cazione urbanistica e degli stili architettonici.A dare una forma stabile agli spazi e ai luoghi delle cittàsono state dunque prevalentemente l’urbanistica e l’ar-chitettura come arte del costruire. Pensiamo alle strade,alle piazze, ai palazzi, ai ponti, alle fontane, alle arcate,alle cinte murarie, ai campanili come ai minareti…Tutta la vita sociale quotidiana che si svolge in una cittàtrova un preciso riscontro sul piano architettonico e ur-banistico. Si pensi ai luoghi di culto (chiese, sinagoghe,

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(Portogallo) Limassol (Cipro), London Lewisham (RegnoUnito), Pecs (Ungheria), San Sebastiano (Spagna). Infine, intorno a Reggio Emilia il 21 settembre 2010 si ècreato un Network italiano delle città interculturali trale quali ricordiamo: Milano, Torino, Palermo, Bari, Olbia,Lodi, Arezzo Senigallia, Forlì, Ravenna, Novellara, Pon-tedera e altre ancora. Tra gli obiettivi di queste città che aderisco al Networkitaliano delle Intercultural Cities troviamo quello di im-pegnarsi per sviluppare una competenza interculturaleall’interno delle istituzioni locali, dei servizi pubblici,della società civile, e ovviamente della scuola. Le cittàche fanno parte della Rete intendono promuovere loscambio delle conoscenze e delle migliori pratiche localiper generare intercultura. Abbiamo voluto segnalare queste città perché riteniamoche tutti gli educatori, e in particolare i Centri intercul-turali e i movimenti come il CEM, debbano valorizzareal massimo il network italiano come opportunità concretaper costruire una cittadinanza meticcia e una convivenzademocratica.

Bibliografia

Un testo fondamentale da leggere è

La città interculturale costruita passo a passo. Guida pratica per l’ap-plicazione del modello urbano di integrazione interculturale, Strasburgo,Consiglio d’Europa 2013 (testo scaricabile anche dalla rete).

Da consultare:

www.coe.int/interculturalcities

Segnaliamo inoltre:

S. Bodo, S. Mastroianni, Educazione al patrimonio in chiave intercultu-rale. Guida per educatori e mediatori museali, Ismu, Milano 2012

G. Spagnuolo (a cura di), Intercultura e internazionalizzazione, FrancoAngeli, Milano 2012

per comprendere tutto il complicato mosaico delle diffe-renze nelle comunità urbane contemporanee».

«Musei e paesaggi culturali» La Carta di SienaIl 7 luglio 2014 nel corso della Conferenza internazionaledi Siena è stata presentata la «Carta sui musei e dei pae-saggi culturali». Nella Carta si afferma che «i musei ita-liani per numero, diffusione e valore del loro patrimonio,costituiscono una componente di rilievo del paesaggioitaliano in grande maggioranza connessi al territorio eal paesaggio di appartenenza». Nel documento si aggiun-ge che il paesaggio culturale italiano per la sua identitàrappresenta un grande «museo a cielo aperto», un «museodiffuso» grande quanto l’intero territorio nazionale. È ne-cessario che il paesaggio e il patrimonio storico e artistico- di cui si parla anche nell’articolo 9 della nostra Costitu-zione - venga tutelato e preservato affinché possa esserefruito e goduto anche dalle generazioni future.Infine nella Carta si sottolinea che i musei devono favorirela creazione di «comunità di paesaggio» consapevoli deivalori identitari, coinvolte nella sua salvaguardia, partecipidel suo sviluppo sostenibile. L’ultimo paragrafo è intitolato, significativamente, «unavisione interculturale del paesaggio». Ciò vuol dire chesiamo chiamati ad arricchire il paesaggio di nuovi e di-versi valori e a potenziare la nostra capacità di parteci-pazione e di considerazione.

Reggio Emilia città interculturalee il network italianoPiù sopra abbiamo scritto che tra le 11 città europee pio-niere - fin dal 2008 - sui temi dell’interculturalità c’è lanostra Reggio Emilia. Le altre città europee sono: Lione(Francia) Berlino (Germania), Patrasso (Grecia), Oslo(Norvegia), Tilburg (Paesi Bassi), Lublino (Polonia), Izha-visk (Federazione Russa), Subotica (Serbia), Neuchatel(Svizzera) Meltopol (Ucraina). Le altre 9 città che nel 2011 si sono aggiunte alle Inter-cultural Cities sono: Botkyrka (Svezia), Copenaghen (Da-nimarca), Ginevra (Svizzera), Dublino (Irlanda), Lisbona

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agenda interculturale

EDUCAZIONEE AUSTERICIDIOALESSIO SURIAN | [email protected]

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Viaggiando fra Sud America e Italia, registrandocome le politiche neoliberali siano dominantinon solo in Europa, ma anche in quei paesi la-tinoamericani che avevano prospettato poten-ziali inversioni di tendenza, sento il desideriodi verificare dove e come 10-15 anni di politichepubbliche progressiste in America Latina ab-biano lasciato un segno in ambito educativo.

Al tempo stesso, questi pensieri evocano la frequente im-permeabilità della pedagogia europea e italiana riguardoal pensiero e alle esperienze pedagogiche latinoamericane(eccezion fatta per il carattere trasformativo delle pratichepromosse da Freire e Boal). Il pensiero va, anzitutto, ai due anni e mezzo che il peru-viano José Mariategui, circa cento anni fa, passò in Italia eal suo ruolo di «ponte» fra pratiche trasformative del Me-diterraneo e delle Ande. È Mariategui a porre con chiarezzala questione territoriale, la necessità di democratizzare esocializzare l’accesso alla terra come condizione per unmiglioramento delle condizioni di vita e di cultura della re-gione andina degli anni ’20 del secolo scorso. È passatoun secolo e la questione posta da Mariategui rimbalza neipaesi del bacino mediterraneo: come è stato possibile svi-luppare in paesi come l’Italia condizioni così poco demo-cratiche e sostenibili in merito all’accesso alla terra, rurale

e urbana, e ai processi produttivi, agricoli e non? Un temachiave per Mariategui in Perù, così come per il suo con-temporaneo Anisio Teixeira, in Bahia e più in generale inBrasile, è come pensare l’educazione non solo in chiave diaccesso, ma anche di qualità e diversificazione delle op-portunità di apprendimento. Nei cambiamenti produttivie tecnologici in atto, Teixeira legge un’opportunità per pro-blematizzare e rendere universali i processi educativi e con-sidera la valutazione la cartina di tornasole di tali processi:una scuola altamente selettiva, per Teixeira, è indice discarsa qualità degli insegnanti, dell’incapacità di rinnovareapprocci educativi che vadano incontro ai profili di chi ap-prende. Nello stesso periodo, in Argentina, Barcos e Vergara affer-mano, rispettivamente, la necessità di liberare i bambinidall’oppressione del metodo, del programma, dell’autoritàdel maestro, degli esami, per «liberarlo dallo spirito delgregge», così come di promuovere, socraticamente, le re-lazioni fra scienza e pratiche, consapevoli che è soprattuttoattraverso l’esperienza che si favorisce la comprensione.L’aprile 1931 sarà momento di coagulo di queste prospettivelatinoamericane: dopo appena quindici giorni dalla suanomina quale direttore della Scuola rurale di Miraflores(Bolivia), Elizardo Perez rinuncia all’incarico per incompa-tibilità con i suoi principi pedagogici. Insieme ad AvelinoSiñani, Perez riuscì a fondare e a far vivere per dieci anni aWarisata, presso il lago Titicaca, una scuola per la popola-zione indigena che pone al centro dell’azione educativa lavita di chi apprende nel contesto della comunità locale,con una dimensione pedagogica fortemente territoriale edi promozione delle culture indigene, che riprende i principiproposti da José Martí legati al carattere popolare e de-mocratico dell’educazione in sintonia con la comunitàlocale per dar vita a processi di co-educazione che faccianodell’educazione un atto di liberazione. La stessa radicalitàcon cui oggi la sociologia dell’educazione brasiliana, conGaudencio Frigotto si e ci domanda quale sia la rispostaeducativa in grado di guardare oltre le gabbie PISA pertrovare risposte, in primo luogo culturali, alle politiche diaustericidio. l

agenda interculturale

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IL POTERE CHE LE DONNENON SANNO DI AVERE

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LUBNA AMMOUNE | [email protected] generazioni

Con «Come diventare italianiin 24 ore. Diario di un’aspi-rante italiana» (Barbera edi-tore, 2010) Laila Wadia,scrittrice italo-indiana di ori-gini persiane, aveva abitua-to i suoi lettori a uno stilegraffiante e ironico. Aveva

reso il tema della cittadinanza leggero,scegliendo un approccio del tutto origi-nale. Nella sua opera successiva «Se tuttele donne», sempre edita da Barbera(2012), con una penna completamentediversa, l’autrice affronta il tema fem-minile, scegliendo di raccontare quat-tordici storie di donne realmente esistiteche le hanno confidato le loro esperienzepiù intime. Averle raccolte insieme inun’unica pubblicazione, tuttavia, nonnecessariamente implica tracciare un filo

zione particolare del loro vissuto su cuila Wadia si sofferma, mostrando unosguardo acuto e profondo. Il lettore èaccompagnato in più di un viaggio dovesi esplorano, seppur per qualche istante,le relazioni umane che mettono al centrola maternità, la guerra, la solitudine, ilsacrificio, la fedeltà, la diversità e com-plementarietà culturali, la rabbia, il per-dono e l’amore. Sono racconti in un cer-to senso che travolgono gli animi e nellaconclusione di ognuno di essi avvienesempre qualcosa di inaspettato. La chiu-sura di una storia non è mai scontata,banale o prevedibile. È come se tra l’unae l’altra ci fosse un colpo di scena chespiazza. Ogni singola riflessione che scaturisceda questi frammenti di esistenza piena-mente vissuta diventa la più poetica ri-sposta a un editoriale che si legge nelleultime pagine del libro. La penna è diGiovanni De Mauro, che scrisse nel no-vembre del 2010 per la rivista Interna-zionale un editoriale dal titolo «Tutte»:«Se tutte le donne andassero a scuola.Se tutte le donne si laureassero. Se tuttele donne smettessero di guardare i pro-grammi televisivi dove le donne sonosvilite. Se tutte le donne non compras-sero più i prodotti che fanno pubblicitàusando il corpo delle donne. Se tutte ledonne imparassero a usare i contraccet-tivi. Se tutte le donne denunciasseroogni violenza subita. Se tutte le donnevotassero solo le donne. Se tutte le don-ne pretendessero dai mariti una divisioneequa dei compiti familiari. Se tutte ledonne lavorassero. Se tutte le donne chelavorano chiedessero di essere pagatedi più. Se tutte le donne imparasserouna lingua straniera. Se tutte le donnespiegassero alle figlie come funziona illoro corpo. Se tutte le donne insegnas-sero ai figli come si stira una camicia.Se tutte le donne imparassero a usare ilcomputer. Se tutte le donne aiutasserole altre donne. Se tutte le donne si or-ganizzassero. Se tutte le donne facesserosentire la loro voce. Se tutte le donnesapessero il potere che hanno». Un con-tributo estremamente evocativo!

comune tra tutte, se non per la questionedi genere. Sono narrazioni coinvolgentie dal respiro letterario completamentediverso da quello proprio dell’autrice,che dimostra la preziosa capacità di sa-persi trasformare. La sua è una pennasensibile e la sua scrittura a tratti pienadi grazia, a tratti colma di candore. Ledonne che scopriamo sono estremamen-te forti e maledettamente fragili. Per cia-scuna di loro, un tratto importante dellavita è racchiuso in poche pagine, capaciperò di rendere il valore estremo dellaloro esistenza. È un attimo o una situa-

SE TUTTE LE DONNE NONCOMPRASSERO PIÙ

I PRODOTTI CHE FANNOPUBBLICITÀ USANDO

IL CORPO DELLE DONNE.SE TUTTE LE DONNE

IMPARASSERO A USARE I CONTRACCETTIVI.

SE TUTTE LE DONNEDENUNCIASSERO OGNI

VIOLENZA SUBITA.SE TUTTE LE DONNE

SAPESSERO IL POTERE CHE HANNO

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Il professor Andrea Canevaro in una recente lezione ma-gistrale ha affermato che «l’uomo trasformandosi dacacciatore in allevatore/coltivatore ha smesso di essereun predatore». Riflessione interessante ma poco fondata:sarebbe meglio dire che «avrebbe potuto smettere diessere un predatore» visto come si è evoluto il percorsostorico. L’etologo Giorgio Celli soleva dire che il cervelloumano è uguale al 95% a quello di un coccodrillo, vo-

lendo dimostrare che la tendenza alla violenza predatoria èancora insita, anche biologicamente, nel nostro essere.L’uomo continua ad avere un atteggiamento predatorio neiconfronti di ogni altra forma di vita (vegetale e animale) e comeogni predatore che si rispetti dà assai poco in cambio di ciòche prende e questo è all’origine di tutti i disastri ambientaliche viviamo e vivremo in futuro. «Finché gli uomini si nutrirannocome le tigri in essi permarrà la natura della tigre» (A. Kingsford):il problema non sta nell’essere vegetariani o meno, ma in untipo di nutrizione selvaggia in cui il piacere dell’accumulo (chesia il frigorifero pieno o il conto in banca) è drammaticamentesimile al piacere ferino della caccia fine a se stessa.«Homo homini lupus» dice la frase mutuata da Plauto, cioèl’uomo è lupo per gli uomini, perché l’uomo non solo riesce adessere un predatore nei confronti della Terra e delle varie formedi vita, ma lo è nei confronti dei suoi stessi simili con unavoracità che richiama una vera e propria antropofagia simbo-lica… lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, delle nazioni ricchesu quelle povere, non è forse una forma di cannibalismo?«Homo homini lupus», ribadisce Thomas Hobbes. Lo stato dinatura è uno stato di guerra incessante di tutti contro tutti:bellum omnium contra omnes. Non vi è nulla di giusto o in-giusto in sé: ognuno ha diritto su tutto e tutti. È un istintonaturale che porta ciascuno a far di tutto per difendersi eprevalere sugli altri... questo principio è alla base dell’agiredell’uomo, che è quindi ben lungi dall’aver superato la fasepredatoria. Le culture e le religioni hanno cercato di limitarel’istinto predatorio dell’uomo spingendo verso l’altruismo ela compassione, cioè la capacità di «sentire insieme all’altro»,con risultati non sempre incoraggianti, infatti duemila annidi cristianesimo e duemilacinquecento di buddhismo nonsembrano avere inciso più di tanto.

HOMOHOMINI LUPUS

Il mondo è ancora pieno di guerre, lo sfruttamento della Terra,del suolo, delle fonti energetiche è ai massimi storici, lo schia-vismo uscito dalla porta rientra in forme subdole dalla finestra.Gli insegnamenti della non-violenza e della compassione paionoinascoltati, eppure… solo accogliendoli potremo sperare inun futuro senza più «predatori umani».Diceva Lanza Del Vasto: «la nonviolenza è cosa semplice, masottile. Difficile da applicare, addirittura da afferrare, che è deltutto estranea alle abitudini comuni. Ma la difficoltà divieneinsormontabile quando si è convinti di averla colta a pieno,quando pare evidente che essa consista nel rifiutare qualsiasiscontro e nel tenersi prudentemente al riparo dalle botte.Noi ci sforzeremo, in tre definizioni, di individuare le sue ca-ratteristiche essenziali:

z Nonviolenza: soluzione dei conflittiz Nonviolenza: forza della giustiziaz Nonviolenza: leva della conversione».

Ecco, risolvere i conflitti, creare giustizia, convertirsi (cioè cambiaredirezione): questo è il cammino, se lo vogliamo percorrere! l

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MARCO VALLI - CRISTINA BONDAVALLI | [email protected] e intercultura

LE CULTURE E LE RELIGIONI HANNO CERCATODI LIMITARE L’ISTINTO PREDATORIO DELL’UOMO

SPINGENDO VERSO L’ALTRUISMO E LACOMPASSIONE, CIOÈ LA CAPACITÀ DI «SENTIRE

INSIEME ALL’ALTRO», CON RISULTATI NONSEMPRE INCORAGGIANTI, INFATTI DUEMILA

ANNI DI CRISTIANESIMO E DUEMILACINQUECENTO DI BUDDHISMO NON

SEMBRANO AVERE INCISO PIÙ DI TANTO

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CONTROCANTOPER «LO STRANIERO»

Questa volta la rubrica lette-raria vi racconterà di due li-bri strettamente legati traloro, uno conseguenza e inun certo senso continuazio-ne dell’altro, i cui autori tut-tavia non si sono mai co-nosciuti. Il primo, molto fa-

moso come il suo autore, è uno dei libripiù letti in Francia, L’étranger di AlbertCamus, pubblicato nel 1942. Ho lasciatoil titolo in francese non per fare sfoggiodi cultura ma perché la sua traduzioneè problematica. Benché sia stato sempretradotto con Lo straniero, e si intitoli cosìanche il bel film di Luchino Visconti trattoda quelle pagine, il romanzo raccontadi un «estraneo», estraneo al paese ealla società in cui vive, al suo prossimo,perfino a se stesso. La parola francese èambigua, comprende entrambi i signifi-cati e forse proprio in virtù di questo èstata scelta da Camus per il suo titolo.Non solo, come dicevo, si tratta di unodei libri più famosi e letti del ‘900 ma ilsuo successo è servito a lanciare in quelpaese i libri tascabili. La più diffusa col-lana di livres de poche francese (la col-lana Folio dell’editore Gallimard) ospitaquesto titolo al numero 2, mentre il nu-mero uno è riservato a un altro grandeclassico del secolo scorso: La condizioneumana di André Malraux.Ma prima di sfogliare il romanzo di Ca-mus vorrei anticipare qualche notiziasull’altro libro di cui vi parlerò. S’intitolaIl caso Meursault e la traduzione italianaè stata pubblicata recentemente da Bom-piani. L’autore, Kamel Daoud, è algerinoe il suo romanzo, come quello di Camus,

si svolge in Algeria. Come Camus, cheera un francese nato in Algeria, Daoudè un giornalista e prima di questo ro-manzo ha pubblicato diversi racconti.Meursault è il protagonista del romanzoconsiderato come il capolavoro della let-teratura esistenzialista. La trama è moltonota ma la ricordo brevemente. La primaparte del libro racconta, in prima perso-na, un periodo della vita di Meursault, apartire dal telegramma che annuncia lamorte di sua madre, da qualche temporicoverata in un ospizio. Si tratta di unpersonaggio molto chiuso e riservatofino all’eccesso, abituato a non manife-stare le sue emozioni. Recatosi all’ospizio per il funerale dellamadre, ha un comportamento tranquillo,non piange, non si dispera. Dopo variincontri e l’inizio di un rapporto d’amorecon Marie, rapidamente messa in crisidalla sua patina di indifferenza, accade

ELISABETTA SIBILIO | [email protected] migranti

QUESTA VOLTA LA RUBRICALETTERARIA VI RACCONTERÀ DI

DUE LIBRI STRETTAMENTE LEGATITRA LORO, UNO CONSEGUENZA

E IN UN CERTO SENSOCONTINUAZIONE DELL’ALTRO,

I CUI AUTORI TUTTAVIA NON SISONO MAI CONOSCIUTI

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che, nel corso di una «normale» gita al marecon degli amici Meursault uccida un uomo percaso, senza nessun motivo. Un uomo che nel corso del romanzo è semprechiamato l’Arabo. La vicenda si svolge neglianni ‘30, durante l’occupazione francese del-l’Algeria, e francese è il tribunale che giudicheràMeursault, decidendo infine di condannarlo amorte. La seconda parte del romanzo racconta,sempre dal punto di vista di Meursault, il pro-cesso e la prigionia. Il fatto è che tutti gli attori del processo, com-preso l’avvocato della difesa, sembrano esserelì non per giudicarlo per la morte dell’Araboma perché, come dice lui stesso, per quella so-cietà borghese, colonialista e ipocrita, «un uo-mo che non piange ai funerali di sua madre ri-schia di essere condannato a morte». Il tribunale non dimostra solo una scarsa pernon dire inesistente sensibilità verso «l’altro»,che non viene considerato nemmeno cometale, che non merita nemmeno un nome, marecita una vera e propria farsa, difendendo falsivalori, propugnando un’etica, così comeun’estetica, fondate sulle apparenze, mostran-dosi incapace di andare un centimetro al di làdelle convenzioni sociali più banali e insignifi-canti. In buona sostanza non giudica «sempli-cemente» un omicida, ma tratta esplicitamentel’imputato come un matricida. Dopo la con-danna il discorso di Meursault diventa tra l’altroun sommesso ma potente atto d’accusa controla pena di morte, la più barbara delle conven-zioni sociali, contro la quale anche Camus com-battè una virulenta battaglia. Anche il cappel-lano che va a visitare Meursault dopo la con-danna, con grande stupore e quasi indigna-zione del condannato, predica valori sociali dicircostanza senza mai fare riferimento all’omi-cidio dell’Arabo.

LA REALTÀ CON GLI OCCHI DELLA VITTIMA

Proprio da qui, da quell’uomo ucciso sullaspiaggia, sotto il sole bruciante, e senza unnome parte il racconto di Daoud con le paroledi Haroun, fratello di Moussa, l’arabo uccisoda Mersault. Racconto che, scritto 70 anni dopo quello diCamus, ne ripercorre molto fedelmente le tappeproiettandolo in una sorta di specchio. Non èpiù la storia vista dalla parte dell’assassino:

questa volta chi racconta vede la realtà con gliocchi della vittima, e di sua madre. All’incipitdello Straniero, «Oggi mamma è morta», ri-sponde Il caso Meursault con «Oggi mamma èancora viva». Nessuna opposizione, però, a Ca-mus, che oltretutto Douad ha dichiarato piùvolte di ammirare tantissimo. Si tratta invecedell’assumere la stessa identica postura ma dalfronte opposto, dalla parte delle vittime madirei anche di chi, contrariamente a Moussa ea Meursault «è ancora vivo».Il romanzo di Daoud è ambientato nel 1962,vent’anni dopo la pubblicazione dello Straniero,nell’anno della sanguinosa riconquista dell’in-dipendenza da parte dell’Algeria e dopo lafuga degli ultimi coloni francesi dal paese. Se-condo me qui il contraltare del tribunale e dellasocietà francese degli occupanti è la madre diMoussa. Personaggio duro e inflessibile chesembra voler riaprire il caso non perché afflittadall’insanabile dolore materno, ma in virtù diun principio di giustizia astratto e vendicativo.Haroun mette in campo una contro-inchiestanel tentativo di dare a quella vittima anonima,citata solo in un paio di trafiletti di giornalegelosamente conservati da sua madre, un nomee un corpo da seppellire e onorare, quel corpodi Moussa che non fu mai ritrovato.In una bella intervista di Anais Ginori su Re-pubblica dell’11 settembre 2015, Daoud sot-tolinea che il suo intento era anche quello diparlare «in letteratura» dell’Algeria di oggi. Ealla domanda su chi siano gli étrangers, gliestranei di oggi, risponde: «Sono gli algerini,indifferenti alla felicità come all’infelicità. Siamo36 milioni di Meursault. L’unica cosa che ac-cende la nostra attenzione è il rapporto conDio, come il protagonista dello Straniero quan-do incontra un prete, dopo che non ha reagitodavanti alla morte di sua madre o al bacio diuna donna sulla spiaggia. Nel mondo arabooggi la sofferenza o la vita non accende piùpassioni, solo la religione è uno stimolo. Infondo non c’è molta differenza tra Meursaultche uccide per noia e un jihadista che lo faconvinto di seguire un versetto».Perché in fondo il tema di questo, come dimolti altri romanzi degli ultimi decenni, è ilrapporto dell’individuo col mondo, la ricerca,più che della felicità, del proprio posto inmezzo agli altri, del significato della propriaesistenza. l

letterature migranti

IL ROMANZO DI DAOUD È AMBIENTATO NEL 1962,VENT’ANNI DOPO LA PUBBLICAZIONEDELLO STRANIERO,NELL’ANNO DELLA SANGUINOSARICONQUISTADELL’INDIPENDENZADA PARTEDELL’ALGERIAE DOPO LA FUGADEGLI ULTIMI COLONI FRANCESI DAL PAESE

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Non so quante persone dalle parti del CEM si ap-passionino all’architettura ma di certo molteamano gli scacchi e si interrogano sulle «regole»del giocare (anche in senso civico); così eccovidi che leggere. Il romanzo La scacchiera di JohnBrunner - un po’ di fantascienza in un quadroassai realistico - ripropone (come scontro urba-nistico e politico) la Steinitz-Cigarin, una celebre

partita a scacchi del 1892. Sarebbe meglio non saperlo pergustare a fondo la «nota» finale, ma visto che la traduzioneitaliana lo sbatte in copertina… adattatevi. Il romanzo è del1965, si intitolava The squares of the City: Urania lo ha riman-dato in edicola e se siete fortunate/i lo trovate ancora. Pur conqualche difettuccio merita di essere letto: per l’invenzionescacchistica, per la trama e per scoprire il migliore Brunner. Ilprolifico scrittore inglese scrisse molte schifezze, un po’ di libridecenti, una decina di ottimi romanzi: La scacchiera segna ilpassaggio dal Brunner «facilone» (per forza, cioè per colpadel mercato) a quello più ambizioso. Egli stesso in più occasioniha raccontato le difficoltà a pubblicarlo: fu bloccato per anni,a dimostrare la cecità di certi editori… infatti il romanzo è co-munque avvincente e non così sovversivo da spaventare.Lo stupore di Boyd Hakluyt, il protagonista - urbanista o peressere più precisi «analista del traffico» - che all’improvviso

L’ARCHITETTO STUPEFATTOE IL SALTO DEL CAVALLO

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DIBBÌ | [email protected] è accaduto

Se volete leggermi sul mio blog: http://danielebarbieri.

wordpress.com

«CHI NON SPERA QUELLO CHE NON SEMBRA SPERABILE NON POTRÀ SCOPRIRNE LA REALTÀ, POICHÉ LO AVRÀ FATTO DIVENTARE, CON IL SUO NON SPERARLO, QUALCOSA CHENON PUÒ ESSERE TROVATO, E A CUI NON PORTA NESSUNA STRADA». ERACLITO

COME POSSIAMO CREARE UN GOVERNO SENZA

IMPALCATURE? ECCO IL PROBLEMACENTRALE DELLA SOCIETÀ

MODERNA»; O FORSE DEL SUO«SPETTACOLO», CIOÈ DELLA

FINZIONE DI NON GOVERNARE MENTRE INVECE TUTTO SI DECIDE

scopre la «politicità» dell’architettura e la dimensione socialedelle città può sorprendere chi legge. Davvero il protagonistanon ha studiato La città nella storia di Lewis Mumford? Possibile,visto che ancor oggi nelle università (almeno in quelle italiane)poco o nulla si studiano, per dirne una, le barriere architetto-niche, fiiiiiguriamoci la dimensione classista dell’urbanistica; equi c’è già un tema che coinvolge CEM.Ma ci interessa anche altro. «Come possiamo creare un governosenza impalcature? Ecco il problema centrale della società mo-derna»; o forse del suo «spettacolo», cioè della finzione di nongovernare mentre invece tutto si decide. «Era il genere di ar-gomentazioni che credevo fosse morto con Stalin e con McCar-thy»; ah Brunner, che ingenuità. Magari in altre vesti il mac-cartismo e lo stalinismo sono purtroppo sempre fra noi.E gli scacchi? «È una questione di combinazioni. Ogni mossadev’essere vista in relazione nell’insieme. E questo vale anchenella vita reale» (oh, sì). Per chi ama/odia la necessità di giocaresecondo le regole ecco una provocazione suggestiva: «Credeche uno scacco, se fosse dotato di cervello pensante e cono-scesse le regole del gioco, se ne starebbe passivamente sulsuo riquadro ad aspettare di essere mangiato? Non credo.Scivolerebbe quatto quatto verso un’altra casella più sicura,approfittando di ogni attimo di distrazione dei giocatori». Oforse rovescerebbe la scacchiera… Dubbi per docenti e discenti:come si organizzano le pedine per cambiare le regole? O per-sino la scacchiera?Lasciando Brunner, sapevate che a lungogran parte della Chiesa cattolica ha ritenuto diabolici gli scacchi?Se posso citare il mio blog... guardate qui: «Re, regine, roghi ecomputer». Il libro italiano più famoso con al centro gli scacchiè forse La variante di Luneburg di Paolo Maurensig che narraun’interminabile partita; ma anche il racconto - o romanzobreve - L’ultima traversa, dello stesso autore, è godibile. l

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A CURA DI NADIA SAVOLDELLI | [email protected]

CITTÀ DEL CAIRO, OGGI. UNAFAMIGLIA DELL’ALTA BORGHESIASI RITROVA PER CENA. SEDUTISU STILOSISSIME SEDIE STARCK,SERVITI DA DOMESTICI ZELANTIE TATE OBBEDIENTI, LA FAMIGLIACONVERSA: BUSINESS,MACCHINE, SOCIETÀ,INSTAGRAM, OCCIDENTE

Ahmed El Attar trasformala sala da pranzo di unafamiglia cairota in unosservatorio sociale. Ciòche accade in scena èsemplice: gli invitati ar-rivano, baci e convene-voli, si siedono a tavola

e attendono la cena. Al centro dellatavola e della famiglia il padre. Neisuoi confronti esagerate manifesta-zioni d’affetto e reverenza mentrelui parla di denaro. Tra una portatae l’altra le donne si scambiano con-sigli su tate thailandesi e gossipdell’ultim’ora, gli uomini discutonotra il serio e il faceto e i domestici,stretti in un’altra gerarchia, servono,si inchinano e sottostanno alle an-gherie di bambini viziati. Una trama semplice che lascia spazioall’osservazione di una società chesotto molti aspetti è simile alla no-stra. «Ho iniziato a scrivere dalla pa-rola attualità - racconta il regista,non nuovo a testi dalla tematica so-ciale - Ma non l’attualità della rivo-

THE LAST SUPPERA TAVOLA NELL’EGITTO BORGHESE DI AHMED EL ATTAR

Per la segnalazione di eventi interculturali

scrivere [email protected]

tribunale impietoso. Un domestico reagisce al-l’ennesima provocazione del bambino. Scoppial’inferno. Crollate le maschere emerge la violen-za. Bisogna punire il colpevole in modo esem-plare, di fronte a tutti per ricordare che l’ordineva mantenuto. Solo il padre ha il potere di de-cidere cosa è giusto e cosa sbagliato. Non esistedifesa e l’ammenda sarà agghiacciante. Con una semplicità invidiabile El Attar riesce arivelare all’interno del microcosmo della famigliail macrocosmo sociale. Il realismo è rotto damomenti di totaleastrazione. Colori,suoni e portate ecce-zionali - pezzi di ani-mali macellati - esal-tano le contraddizio-ni di ciò che stiamoosservando riportan-do in scena il teatro.Rimarcabile invece illavoro sul testo. Lospettatore si confron-ta con un testo senzaalcun senso. In scenasi sprecano parolema non si dice nulla.Un chiacchiericcio senza fondo che la compagniaha riprodotto in un lavoro certosino, riuscendonella difficile impresa di rendere in maniera per-fetta un parlare senza comunicare. I bravissimiundici attori si muovono a loro agio sulla scenae nei panni di questi personaggi che appaionoreali. Lo spettacolo in lingua araba riporta inscena con leggerezza uno dei principi più antichidel teatro. Il regista ci regala un affresco preziosodi una società che conosciamo superficialmente.Il suo pensiero politico si pone senza egocentri-smo e nella scelta del titolo esprime una speranzadi cambiamento. Una cena che sia ultima nonnel senso cristiano del termine ma, piuttosto,per il desiderio che la storia davvero possa cam-biare. l

luzione, piuttosto quella che cono-sce e di cui fa parte la società bor-ghese». E così El Attar siede a tavolal’Egitto che conta e ne mostra la va-cuità. In scena non povertà e anal-fabetismo, ma coloro che hanno lapossibilità di riflettere, viaggiare, ve-dere il mondo e crearsi una coscien-za, ma che non fanno assolutamen-te nulla perché ciechi interiormente.Il sentimento che domina The LastSupper (l’Ultima cena), presentatoal Festival d’Automne di Parigi, è chela storia non ha valore: il mondopuò crollare, cambiare, ma conti-nuerà sempre ed ovunque ad essercigente che vive come niente fosse.La figura paterna è perno della scenacome lo è dell’Egitto. Il padre è ilpresidente, Hosni Moubarak, è Mo-hamed Morsi, è Abd al-Fattah al-Sisi, e come loro, questo omuncolodetiene il potere. El Attar trasformeràla tavolata di sorrisi e smancerie in

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Giovanni SaleIsis islam e cristiani d’OrienteJaca Book, Milano 2016, pp. 168, euro 15

Ecco un libro dettagliato, approfondito e al contempo leggibile per capire l’Isis, la sua storia, le sueradici «religiose». Negli ultimi anni, dopo un periodo di stagnazione, il terrorismo islamico interna-zionale è riesploso, rivendicando la sua pretesa di fondare uno Stato integralmente islamico, omeglio un califfato per tutti i sunniti. Lastrategia dell’Isis, fin dall’inizio, è consistitanel «mettere in sicurezza il territorio» occu-pato nella regione siro-irachena e lanciareoperazioni belliche semi-convenzionali con-tro nemici «vicini», in particolare musulmanisciiti di diversa denominazione e curdi, oggiimpegnati a riguadagnare il terreno perdutoe a «distruggere» lo Stato islamico. Recen-temente questi ha modificato la sua strate-gia di azione colpendo anche il «nemicolontano», cioè l’Occidente, come è avvenutoa Parigi il 13 novembre 2015, una politica che ha portato la «guerra» in Europa e che ci ha costrettia confrontarci con questa realtà che sta prendendo piede sempre più sia in Medio Oriente sia tramolti giovani immigrati. Il testo di Giovanni Sale è un resoconto puntuale e documentato sulmondo sunnita e sull’Isis e anche sulla condizione delle chiese cristiane in oriente. Un libro percapire e conoscere al di là dei luoghi comuni. (Marco Valli)

Raimon PanikkarCristianesimo 2. Una CristofaniaJaca Book, Milano 2016, pp. 432, euro 35

Ed ecco il secondo volume che raccoglie gli scritti di Panikkar sul cristianesimo, principalmentequelli connessi al concetto di cristofania, cioè una spiritualità tesa al rapporto diretto col misterocristico. La visione del cristianesimo di Panikkar è, a suo modo, rivoluzionaria e rivelatrice, e apre aprospettive inesplorate dai più pur rimanendo ancorata alla tradizione. Panikkar è un autore daleggere e rileggere, perché in lui e nel suo pensiero troviamo la perfetta incarnazione del dialogointerreligioso e interculturale. «L’esperienza della maturità cristiana è, per così dire, triplice - scrivePanikkar -. È l’incontro con Cristo nel centro del proprio sé, nel centro della comunità umana e nelcentro della realtà. Il compito umano, in linguaggio cristico, consiste nella “concentrazione” diquesti tre centri, in modo che formino una triplice sfera concentrica, senza però ridurla a una sola.La fede cristiana non è allora propter tuam loquelam (“per la tua parola”), come fu detto alla sa-maritana, non è per autorità, né tanto meno per testimonianza, ma per aver sperimentato. Lacristianìa sorge come una nuova speranza. Però, come ho sempre detto: la speranza non appartieneal futuro, appartiene all’Invisibile». (m.v.)

Serge Latouche (a cura di) Baudrillard o la sovversione attraverso l’ironiaJaca Book, Milano 2016, pp. 78, euro 9

Latouche inizia con questo volumetto una serie dedicata ai precursori della «decrescita felice» e nonpoteva iniziare che da Jean Baudrillard, filosofo e sociologo che ha indagato la postmodernità. Lasua analisi della pubblicità è fondamentale per comprendere la società dell’immagine in cui siamoimmersi. La decostruzione della macchina pubblicitaria, la messa in luce della sua onnipresenza ma-

mediamondo

LA STRATEGIA DELL’ISIS, FIN DALL’INIZIO, ÈCONSISTITA NEL «METTERE IN SICUREZZA IL

TERRITORIO» OCCUPATO NELLA REGIONE SIRO-IRACHENA E LANCIARE OPERAZIONI BELLICHE

SEMI-CONVENZIONALI CONTRO NEMICI«VICINI», IN PARTICOLARE MUSULMANI SCIITI

DI DIVERSA DENOMINAZIONE E CURDI

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nipolatoria e ossessiva sono stupefacenti. La pubblicità ha un ruolo centrale nella realizzazione diuna società dello spettacolo, anticamera della società del simulacro. I primi cinque libri del nostroautore, una vera e propria opera di decostruzione della società della crescita, potrebbero, a unaprima lettura, essere perfino presi per il «pentateuco» della decrescita. Poche pagine, ma ricchissime,che ci consentono di avvicinarci ad un pensatore sorprendente che avrà ancora molto da dirci. (m.v.)

Wendell BerryMangiare è un atto agricoloLindau, Torino 2015, pp. 250, euro 19,50

Wendell Berry, agricoltore, poeta, scrittore e rappresentante dell’ecologia profonda, in questaraccolta di saggi riflette sul ruolo dell’agricoltura in rapporto all’ecologia e alla nutrizione. L’effettosull’agricoltura dell’approccio consumista/capitalista, indifferente ai principi fondamentali della vita,è stato ed è devastante, anche perché essa abbraccia tutto ciò che riguarda la sopravvivenza e il be-nessere dell’uomo: il suolo, l’aria, l’acqua, le piante, gli animali, la produzione di cibo, quindi dienergia. In questi testi Berry riflette sui problemi dell’agricoltura contemporanea e ci indica uncammino non solo auspicabile ma già perseguito da molti, in cui ritorna centrale la gestione re-sponsabile e amorevole della terra e delle creature che su di essa vivono; in cui il coltivare si fondasu principi sostenibili, ecologici e biologici, piuttosto che su principi meccanicisti orientati a ottenereproventi tanto rapidi quanto dannosi. (m.v.)

Javier MelloniVerso un tempo di sintesiLindau, Torino 2015, pp. 248, euro 26

Teologo spagnolo, vicino a Panikkar (a cui dedica il libro), Melloni traccia in queste pagine unpercorso autenticamente interreligioso che può portare a nuove sintesi spirituali, più vicine aibisogni contemporanei. Le grandi tradizioni spirituali e religiose sembrano aver ritrovato un ruolonella vita delle persone, dopo gli anni del secolarismo e della morte di Dio, e per la prima volta nellastoria sono facilmente accessibili anche in luoghi molto lontani da quelli della loro maggiorediffusione. In tale contesto appare sempre più necessario riflettere sulla possibilità di una sintesi, o,quanto meno, di un incontro fra tradizioni, sapienze e concezioni del mondo differenti. In questosuo libro, che è anzitutto un viaggio attraverso le forme in cui si è espressa e si esprime la spiritualità,Melloni suggerisce un atteggiamento di apertura verso tutti gli apporti, per condividere le ricchezzeche ciascuno di essi può offrire e affrontare in modo nuovo le sfide che l’eterno desiderio di capirese stesso, il mondo e Dio, pone all’uomo contemporaneo. (m.v.)

Ernö SzepL’odore umanoCalabuig/Jaca Book, Milano 2016, pp. 216, euro 15

Sugli abomini della Shoah ad opera dei nazisti molto è stato scritto, molto meno su ciò che èsuccesso in altri paesi ove governi ultranazionalisti hanno seguito le loro orme, come in Ungheria.Un poeta e intellettuale ebreo racconta le vicende sue e di un gruppo di ebrei di Budapest nel 1944.Il momento storico è denso e tragico: dall’occupazione tedesca del paese, nel marzo di quell’anno,attraverso i deboli tentativi del reggente Miklós Horthy di proteggere gli ebrei, fino all’avvento delgoverno filo-nazista di Ferenc Szálasi. Testimone e vittima della follia antisemita, Ernö Szép, all’epocasessantenne, osserva le sofferenze della sua gente, la crudeltà degli aguzzini, l’indifferenza di molti

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e la generosità di pochi eroici concittadini. E consegna una storia tragica che non rinuncia a cogliere,nell’abiezione, barlumi di pietà umana, di bellezza, persino di ironia. Un libro importante, perricordare che non solo la Germania nazista si macchiò di crimini tremendi, ma che altri paesi (chevedono ora rinascere il demone del nazionalismo) non furono da meno. Un libro poetico e straziante,luminoso e fosco al contempo, un documento importante che fa capire ciò che è successo inEuropa perché non possa riproporsi anche oggi in qualche altra forma. (m.v.)

Yusuf AtilganHotel MadrepatriaCalabuig/Jaca Book 2015, pp. 179, euro 12

La Turchia è da sempre un paese che mi affascina e inquieta al contempo, col suo essere a cavallofra Europa e mondo arabo, con i trascorsi dell’impero Ottomano, i sogni europei e i fantasmi delpassato (gli eccidi di armeni e di curdi). Un paese che sta creando, e da tempo, una grandeletteratura (pensate a E. Shafak e O. Pamuk negli ultimi anni), ora viene tradotto uno dei capolavoridi Yusuf Atilgan, uno dei padri della nuova letteratura turca. Una sorta di storia di amore e passione(una passione tutta interiore), un delirio della mente e dei sensi fino alla tragedia. Un romanzo«orientale» e contemporaneamente intriso di occidente, un grande romanzo della letteratura con-temporanea. (m.v.)

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LUCIANO BOSInuovi suoni organizzati

Ben ritrovate e ben ritrovati.The Melody of Rhythm èun altro incontro tra culturesonore diverse che può la-sciare un segno indelebilenel sentire di chi ha vogliadi uscire dalla conformantenormalità transcommercia-

le. Il progetto nasce nel 2006 tra il suo-natore di banjo Béla Fleck, il contrab-bassista Edgar Meyer e il suonatore ditabla Zakir Hussain, coadiuvati dalla De-troit Symphony Orchestra e dal suo di-rettore Leonard Slatkin. Béla Fleck, ca-pofila di questo progetto, nasce a NewYork il 10 luglio 1958. Inizia a suonare ilbanjo all’età di 15 anni, e già dalla finedegli anni ’80 è considerato uno dei piùgrandi interpreti di questo strumento.La sua articolata e significativa carrieraartistica non è sintetizzabile in pocheparole, perciò mi limito qui a ricordare i13 Grammy Awards vinti tra il 1995 e il2015, e la sua capacità di abitare age-volmente, sia come suonatore di banjosia come compositore, diversi ambiti mu-sicali: country, bluegrass, classica, jazz epop. Edgar Meyer, del Tennessee, classe1960, di formazione accademica, è unbravissimo musicista e docente univer-sitario di contrabbasso, frequenta dasempre altri ambiti musicali. Collaboracon Fleck da oltre 30 anni ed insiemehanno già composto, nel 2004, un dop-pio concerto per banjo, violoncello e or-chestra. Zakir Hussain, nato il 9 marzo 1951 inIndia, completa il trio, e della sua stra-ordinaria e versatile musicalità parlerònel prossimo numero. I 28 minuti centrali

BÈLA FLECKLA MELODIA DEL RITMO

che costituiscono i 3 movimenti diThe Melody of Rhythm ci conduconoin una dimensione sonora intensa einusuale, caratterizzata da una bellavarietà di linee melodiche, ritmico-melodiche e timbriche magistral-mente esposte dai tre solisti, soste-nuta da un articolato e significativodialogo con l’orchestra. La potenza sinfonica è qui giocatacon tatto ed equilibrio, non risultaesuberante neanche nei momentipiù intensi e abbonda di blocchi so-nori di bassa intensità e di silenzi si-gnificativi. I tre brani introduttivi egli altrettanti conclusivi che comple-tano l’opera sono invece più pregnidi rimandi melodici che spazianodall’Europa dell’Est all’India, con mo-menti dal sapore decisamente tzi-gano, interfacciati e sostenuti dallemirabolanti tessiture ritmico-melo-diche dei tabla di Hussein. In ultima e parziale analisi, un eventosonoro da possedere e riascoltaresaltuariamente, ma regolarmente,nei tempi a venire. Buon ascolto atutte e a tutti. l

IL DISCO

Béla Fleck, Zakir Hussain, Edgar Meyer and The Detroit Symphony OrchestraLeonard Statkin Music Director«The Melody of Rhythm Triple concerto and music for trio»E1 Music, 2009

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LORENZO LUATTI | [email protected]

Un libro di poesia che diven-ta un piccolo bestseller èevento che lascia piacevol-mente sorpresi, emozionapersino, visto lo scarso ap-peal che questo genere let-terario riscuote tra il pub-blico (e nei cataloghi degli

editori). Se poi gli autori del libro in que-stione sono bambini e bambine, per dipiù stranieri in grandissima parte, allorail nostro stupore aumenta a mille, spe-cialmente quando ne abbiamo apprez-zato, con la lettura, la bellezza «poetica»,la profondità di scrittura, l’originalità lin-guistica. Sto parlando di Ma dove sonole parole? (Effigie, Milano, pp. 194), unlibro fatto di tante poesie che ChandraLivia Candiani ha raccolto tra i bambinidelle scuole primarie delle periferie mul-tietniche di Milano, all’interno di seminaridi poesia che questa maestra «speciale»tiene da diversi anni. Gli autori in erba,bambine e i bambini di otto, nove o diecianni, sono italiani e stranieri, figli di im-migrati da ogni parte del mondo, dallaCina al Perù, dall’Ucraina alla Siria; chi èappena arrivato, chi è in Italia da tempo,chi è nato e cresciuto qui. Molti hannostorie di grande sofferenza e fatica. Inprima linea ci sono, o meglio c’erano ibambini rom. C’erano perché, come rac-conta Candiani, lasciando intuire l’entità

MA DOVE SONOLE PAROLE?

che non emarginasse chi parla altre lin-gue. Partiamo da un punto in cui cono-scere molte parole non è affatto quelloche conta. Partiamo dal corpo, dalla pre-senza e dagli stimoli sensoriali che la vitaregala a ogni istante». Il tema che fa dafilo conduttore del laboratorio e del libroè semplice e profondo: il «silenzio» noncome divieto di parola, ma come piacere,spazio e modalità di ascolto di sé e delmondo. Chandra Livia Candiani, apprez-zata poetessa di origine russa, dimostradi saper seminare bene e coltivare il bene:tanta umiltà, nessuna pretesa di formaredei poeti, ma l’intenzione di regalare de-gli strumenti. «Strumenti che non ci abbandoninoquando la vita è dura e non sappiamocome o a chi dirlo, strumenti che non cilascino soli quando la gioia ci sommergee vorremmo lasciare tracce, dire a qual-cuno che si può essere felici. Strumentiper conoscere noi stessi, quando ci siamopersi, per tenerci stretti quando ci sentia-mo abbandonati, per innamorarci di que-sto sconosciuto che ci sta sempre accanto,che siamo noi». Leggere le poesie di questibambini è davvero un’esperienza straor-dinaria. Ne riprendo quattro tra le centi-naia ospitate nella raccolta. l

della perdita, «sono scomparsi dallascuola dopo l’ultimo sgombero. Le loropoesie esprimevano tutta la ricchezza ela differenza di una cultura compatta,articolata e complessa». A colloquio conAndrea Cirolla, con cui ha curato il libro,Candiani spiega così il suo lavoro: «hocercato di inventarmi un piccolo metodo

IL TEMA CHE FA DA FILOCONDUTTORE DEL LABORATORIOE DEL LIBRO È SEMPLICE EPROFONDO: IL «SILENZIO» NONCOME DIVIETO DI PAROLA, MA COME PIACERE, SPAZIO E MODALITÀ DI ASCOLTO DI SÉ E DEL MONDO

Oggi è inverno / sono uscito /ho visto uccello / non canta /ho visto campana / nonsuona / piove / nessuno giocacon me / sono andato a casa/ domani finalmente saràprimavera / uccellicanteranno. (Jack, 11 anni, cinese)

L’addio è molto triste / ècome: / un vestito buttato, /una penna finita, / lasciare unamico d’estate. / L’addiospezza il cuore. (Alexia, 9 anni, filippina)

I miei familiari sognano adocchi aperti / ma pagano aocchi chiusi. / A noi manca /solo / un tocco di pazienza, /un tocco di pazienza perfavore. (Joy, nove anni, filippina)

Le mani che scrivono lepoesie / sono le stesse mani /che fanno le pulizie(Ramayana, 9 anni)

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cinemaCRISTINA COLET, LINO FERRACIN | [email protected]

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RegiaPete Docter, Ronnie Del Carmen.

Film d’animazione.USA. 2015. 95min. Walt DisneyPictures.

LA TRAMA. Riley è una bambina che staattraversando la delicata fase del pas-saggio dall’infanzia alla pubertà. Il tra-sferimento della sua famiglia dal Min-nesota a San Francisco si rivela più trau-matico del previsto e nascono i primiconflitti familiari. Fin qui Inside Out sem-brerebbe un film dal target adolescen-ziale, se non fosse per il suo modo, nondel tutto innovativo però, di esplorarela mente e di far assumere sullo schermoalla componente emotiva sembianze an-tropomorfe. Riley, come ogni essereumano, è animata dalle emozioni chespesso prendono il sopravvento nelle suedecisioni quotidiane. Gioia, Tristezza,Paura, Rabbia, Disgusto spingono, infatti,Riley, un tempo gioiosa bambina, a vivereil disagio tipico della fase adolescenziale,sentendosi improvvisamente incompresadai familiari e dagli amici per uscirne,però, rafforzata e più matura. QuandoGioia e Tristezza vengono espulse dalQuartier Generale, in cui vivono confinate

INSIDE OUTLE EMOZIONI CI MANOVRANO?

in cui sono catalogati i ricordi più lontani,riescono a rientrare al Quartiere Gene-rale, grazie al sodalizio stretto tra di loroper il bene di Riley che ritroverà, così, iricordi perduti e una maggiore consa-pevolezza, pronta a fare ritorno a casaper recuperare il rapporto con i genitorie dare il via a una nuova fase della suavita con un’identità più consolidata.

LE PAROLE DEL REGISTA. «Ero alla caccia diidee per un nuovo film e intanto cercavodi capire cosa stesse succedendo nellatesta di mia figlia Ellie, che allora stavauscendo dall’infanzia per entrare in unafase più complicata. E all’improvviso hocapito: eccolo, il nuovo film! Si svolgerànella mente di una bambina di 11 annidi nome Riley […] Gioia incarna il verodesiderio che ogni genitore nutre per ifigli: vogliamo che siano felici e che tuttovada bene. Paura è sempre sull’orlo di

le emozioni, Riley comincia a perdere isuoi ricordi base e a fare prevalere i sen-timenti di Rabbia, Disgusto e Paura, per-dendo la gioia di vivere che la caratte-rizzava. Si fa strada, così, il progetto difuggire da sola in Minnesota per recu-perare la perduta serenità e le amicizieormai lontane. Attraverso un lungo per-corso a ostacoli, tra passato e presente,secondo quello che ricorderebbe il ca-none del romanzo di formazione, Gioiae Tristezza, dopo essere state catapultatenella memoria a lungo termine, spaziocaratterizzato da interminabili labirinti

IL REGISTAPete Docter (Bloomington, Minnesota, 1968) èun regista, produttore, sceneggiatore eanimatore statunitense. Nominato sei volteall’Oscar con Toy Story - Il mondo dei giocattoli(1996), Monster & Co. (2002) e Up (2010), si èaggiudicato l’ambita statuetta proprio perquest’ultimo. Si descrive come un eccentricoragazzone del Minnesota, cresciuto insolitudine; entra alla Pixar a soli 21 anni,quando Steve Jobs aveva promosso unricambio generazionale nell’azienda. Lavorandodapprima alla sceneggiatura di alcuni film disuccesso, quali Toy Story, A Bug’s Life (1998),ha dato prova della sua abilità come registacon Monster Inc. (2001), confermandosiall’altezza del ruolo con Up.

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cinema

una crisi di nervi. Rabbia è il più buffo ed è statoil più facile da inventare: quadrato, tozzo, con ilfuoco che gli esce dalla testa quando si “infiam-ma”. Disgusto è schizzinosa ma anche raffinata.Tristezza dolce e tenera. Sembra inutile ma nonlo è, perché a volte la cosa migliore è... farsi unbel pianto».

IL FILM. Seppur il film della Pixar non racconti nulladi nuovo, già in passato infatti si era tentato dipresentare una storia dal punto di vista delleemozioni, si pensi ad esempio al film di WoodyAllen Tutto quello che avreste voluto sapere sulsesso ma che non avete mai osato chiedere (Eve-rything You Always Wanted to Know about Sex,But You Were Afraid to Ask, 1972) che mostravaattraverso la mente di un imbranato seduttoregli effetti del corteggiamento, quello che in InsideOut è innovativo è il fatto di rendere tali emozionisotto sembianze antropomorfe. Gioia, Tristezza,Rabbia, Disgusto e Paura, proposte con i coloriche più le rappresentano, contribuiscono a rac-contare, almeno in parte, i meccanismi che con-trollano la mente umana. Tuttavia, sembra ab-bastanza limitante che siano solo queste cinquea emergere, poiché varrebbe almeno la pena ci-tarne alcune altre di rilievo, come l’amore, l’in-vidia e l’odio per arricchire la storia di diversipunti di vista. Le teorie dello psicologo Paul Ek-man sulla scienza cognitivista, a cui il registaPete Docter guarda, raccontano una mente or-ganizzata secondo un modello manageriale concinque emozioni che potrebbero essere tran-quillamente paragonate a degli AD (amministra-tori delegati) che, più o meno, a turno decidonocome animare le giornate di Riley. Benché visi-vamente sia piuttosto affascinante che la mentepossa essere rappresentata come un grandecomputer in cui i ricordi sono catalogati tra me-moria a breve e a lungo termine, e in cui i puntisaldi dell’esistenza, quali famiglia, amicizia, in-

teressi, lealtà, sembrano inca-stonati su di un monte pron-

ti a crollare quando glistessi ricordi vengonomeno, pare riduttivo chela povera Riley sia gover-nata come una marionet-ta dalle emozioni, come

se il raziocinio non avessealcuno spazio nella vita diun essere umano.

RegiaSteve Martino

Film d’animazione.USA. 92min. 2015. 20th Century FoxSNOOPY

& FRIENDSIL FILM DEI PEANUTS

IL REGISTASteve Martino (Dayton, Ohio,1959), dopo la laurea si èdedicato all’animazione. Comeregista ha diretto Ortone e ilmondo dei Chi (2008) e L’eraglaciale 4 - Continenti alladeriva (2012).

LA TRAMA. Per Charlie Brown e i suoiamici l’anno scolastico inizia conuna novità, una nuova compagna:la ragazzina dei capelli rossi. La giàproblematica quotidianità di CharlieBrown si complica ancor di più perl’improvviso indichiarabile amore:per fortuna al suo fianco c’è l’inse-parabile Snoopy, maestro nel risol-vere ogni problema, un po’ menoquello con il Barone Rosso, che haosato rapirgli la cagnetta Fifì.

LE PAROLE DEL REGISTA. «Quando ero unragazzino era Snoopy il mio per-sonaggio preferito, ma con il tem-po ho iniziato ad apprezzare Char-lie Brown. Proprio come lui, erava-mo preoccupati delle sfide che ave-vamo di fronte, sempre un po’ in-timoriti, e ci sono stati giorni dovele sfide sembravano superiori allenostre possibilità. Charlie Brownmi ha però insegnato che il giornodopo bisogna continuare a provar-ci, bisogna non arrendersi mai, es-sere perseveranti. Charlie Brown ciha dato il mood giusto per rag-giungere il nostro scopo».

IL FILM. Nel film ci sono tutte le de-liziose creature di Charles Schulz,ed in prima assoluta la ragazzinadai capelli rossi, mai apparsa innessuna striscia; c’è tutto il tene-rissimo sguardo dell’autore su que-sta piccola umanità; c’è un costan-te sorriso che rasserena gli occhi eil cuore. Se Inside Out è tutto inte-ressato a guardarci dentro provan-do a rappresentare i meccanismipsicologici più reconditi, Snoopy&Friends si guarda attorno, mo-strando come personalità diversesi incontrino e interagiscano tra lo-ro, ricordando il valore dell’amiciziae dell’onestà con una positività difondo che ti fa ripartire ogni voltanonostante Lucy o il Barone Rosso.Un film di sogni, desideri, avven-turose ed eroiche fantasie, aiuti,onestà, battiti di cuori e amicizia.

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Dio: uno, nessuno, centomila

V orrei riflettere ancora sulla religione, con libertà,grazie alla mia fede. Lo faccio a partire dalla miaspecola, Abaetetuba, in Amazzonia. Iniziamo dal-

la divisione classica (per poi mostrare che è obsoleta).Ci sono i «monoteisti»: qui non ci sono musulmani, cisono però gli evangelici (o evangelicali) che professanola fede nel Dio unico della Bibbia. Ci sono gli «atei», innumero crescente, secondo l’ultimo censimento. Ci sonoinfine i «politeisti» (indios, meticci, umbandisti) che sannodi essere circondati da centomila spiriti. Dio: uno, nes-suno, centomila.E i cattolici? Essi professano il monoteismo ma sconfi-nano nel politeismo: venerano gli angeli e i santi, chesono uomini e donne promossi alla categoria di spiritiprotettori. Come cattolico mi sento incomodato e ho no-stalgia della laicità dell’Europa. Il cattolicesimo di quiconcede troppo alla religiosità popolare, tendenzialmentepoliteista, e dimentica che il cristianesimo è essenzial-mente la persona di Gesù Cristo in missione per stabilireil Regno di Dio. Ma nel cattolicesimo quasi-politeista c’èdel provvidenziale. Di fatto il monoteismo oggi è criticato; evidentemente sitratta di una critica non dichiarata, che prende le mosseda lontano. Gli indios del Centro America dicevano che

i conquistatori iberici erano così barbari da adorare unsolo Dio. Tale fede era perniciosa, perché i devoti delDio unico sono automaticamente «devoti del numerouno»: un impero, una storia, un mercato. Era prevedibileuna guerra disuguale tra i saggi «pagani» e gli avidi «mo-noteisti». L’assolutismo porta alla teocrazia. Io lo vedoaccadere qui: i pastori evangelici non solo fanno guerraalle immagini dei santi, che definiscono come idoli, mastabiliscono i divieti di bere alcoolici e fumare, quindientrano in politica per trasformare i divieti in leggi civili,in nome di Dio. Questo è teocrazia. Si tenga presente che il cristianesimo anglosassone pro-testante è più monoteista di quello cattolico iberico, edesso è l’anima dell’impero attuale che si chiama globa-lizzazione. Oggi però il monoteismo anglosassone deveconfrontarsi con il monoteismo islamico. Non c’è possi-bilità di dialogo, perché i monoteisti, come dice il poetaAdonis: «si rivolgono all’altro non per entrare in dialogocon lui, ma con l’obiettivo di convertirlo» e/o di sconfig-gerlo. Così si spiegano il terrorismo e le guerre attuali.Un altro elemento nuovo in religione è la rivincita dellamistica e della poesia (i due termini sono quasi sinonimi).Dice Rudolf Kaiser: «Nella cultura occidentale, l’analisirazionale è stata sempre considerata più della riflessionemistica». Oggi, grazie alle religioni orientali e al pente-costalismo, la mistica sfida il monoteismo. Dice R. Bringhurst: «Profeti del monoteismo, come Platonee Maometto, hanno spesso bandito i poeti. Quei profetisanno che il poeta è pagano e politeista per natura. Incerto senso, anche Dante, Milton, Giovanni della Croce,Teresa d’Avila, Gerard Manley Hopkins e T.S. Eliot sonopagani». Io direi piuttosto che i mistici e i poeti sono pan-teisti. Essi restituiscono la sacralità a tutte le creature; simettono sulla lunghezza d’onda dello spirito e sentonoforte il richiamo di Dio-mistero. Purtroppo oggi, in unasocietà liquida, abbiamo una mistica annacquata, dell’eradell’acquario, new age e next age. nnn

È solo una sensazione, ma ritengo che oggiassistiamo a una palingenesidel fenomeno religioso.

arnaldo de [email protected]

i paradossi

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dei girovaghila pagina Massimo Bonfatti è il creatore della serie dei Girovaghi,

una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello:

una vera riflessione sul tema della diversità.www.massimobonfatti.it - [email protected]

dei girovaghila pagina Massimo Bonfatti è il creatore della serie dei Girovaghi,

una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello:

una vera riflessione sul tema della diversità.www.massimobonfatti.it - [email protected]

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Sentieri rivisitatiRicordando discepoli e maestri

La metafora dei sentieri serve a Corradini per

indicare non il disperdersi nel bosco, ma

all’opposto un possibile ritrovarsi fra persone

che hanno vissuto e possono rivivere relazioni

educative intense. L’autore utilizza a questo

scopo lettere, documenti, profili di suoi

discepoli e maestri: un patrimonio di messaggi

e di dialoghi da condividere con chi oggi è di

scena nella scuola, nell’università e in genere

nel mondo dell’educazione.

Luciano Corradini è professore emerito di pedagogia

generale nell’Università di Roma Tre. È stato docente

nelle scuole secondarie, in varie università,

sottosegretario alla Pubblica Istruzione.

Ha ricevuto la Medaglia d’oro dei benemeriti della

scuola e della cultura.

Una sua biobibliografia si può trovare in

www.lucianocorradini.it

Armando Editore

Euro 18,

Pagine 190

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