avere e non avere. memorie filosofiche di cavell

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2 FATA MORGANA

FATA MORGANAQuadrimestrale di cinema e visioni

Pellegrini Editore

Direttore Roberto De Gaetano

Comitato scientifico Raymond Bellour, Sandro Bernardi, Francesco Casetti, Antonio Costa, Georges Didi-Huberman, Ruggero Eugeni, Annette Kuhn, David N. Rodowick, Giorgio Tinazzi

Comitato direttivo Marcello W. Bruno, Alessia Cervini,Daniele Dottorini, Bruno Roberti, Salvatore Tedesco, Luca Venzi

Caporedattore Alessandro Canadè

Redazione Daniela Angelucci, Paolo Godani,Andrea Inzerillo, Carmelo Marabello,Emiliano Morreale, Antonella Moscati, Ivelise Perniola,Simona Previti, Antonio Somaini

Responsabile segreteria di redazione Loredana Ciliberto

Segreteria di redazione Simona Busni, Simonetta De Rose,Greta Himmelspach, Caterina Martino, Clio Nicastro, Antonietta Petrelli,Annunziata Procida, Antonio Russo

Progetto grafico Bruno La Vergata

Webmaster Alessandra Fucilla

Direttore Responsabile Walter Pellegrini

Redazione DAMS, Università della CalabriaCubo 17/b, Campus di Arcavacata - 87036 Rende (Cosenza)E-mail [email protected] internet http://fatamorgana.unical.it

Amministrazione - DistribuzioneGRUPPO PERIODICI PELLEGRINIVia Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 CosenzaTel. 0984 795065 - Fax 0984 792672E-mail [email protected] internet www.pellegrinieditore.com

ISSN 1970-5786

Abbonamento annuale ! 35,00; estero ! 47,00; un numero ! 15,00(Gli abbonamenti s’intendono rinnovati automaticamente se non disdetti 30 gg. prima della scadenza) c.c.p. n. 11747870 intestato a Pellegrini Editore - Via G. De Rada, 67/c - 87100 CosenzaPer l’abbonamento on line consultare il sito www.pellegrinieditore.com

FATA MORGANA 3

SOMMARIO

INCIDENZE

7 Il soggetto che si ritrae. Conversazione con Julia Kristeva a cura di Alessia Cervini e Bruno Roberti

FOCUS

17 Ejzen!tejn e i suoi cento anni di solitudine Oksana Bulgakova25 Time-lapse self portrait.

L’autoritratto e la cosa metamorfica Federica Villa35 Figure del sé nel film di famiglia Alice Cati45 Carla Lonzi nello specchio dello schermo Lucia Cardone59 I cameo di Hitchcock come immagini mentali Marcello Walter Bruno71 Andy Warhol allo specchio Anna Luigia De Simone85 Sokurov: l’autoritratto, le Elegie, il mito personale Arianna Salatino99 La vita messa in forma Rosamaria Salvatore111 Homo mundus minor: l’autoritratto digitale Denis Brotto123 Avere e non avere. Memorie filosofiche di Cavell Simona Busni135 Un gioco di specchi Bruno Roberti149 Grado zero moltiplicato per due Marco Grosoli157 Autoritratto come fioritura. Note su Louise Bourgeois Stefano Velotti

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RIFRAZIONI

173 L’autobiografico in un soggetto inedito di Depero: Gloria conquistata

Francesco Casetti, Paolo Dalla Sega189 Autoritratto di Film Dario Cecchi195 Il viaggio di G. Mastorna. Autoritratto senza un volto Alessio Scarlato205 Autoritratto con mamma e puttana Enrico Terrone211 La messa in scena del ricordo. Fotografia e memoria in Il volto di Karin Fabio Pezzetti Tonion217 L’autobiografia fantasmata. My Winnipeg di Guy Maddin Francesca Veneziano221 Autoritratto di sabbia: Les plages d’Agnès Clio Nicastro227 Generation Kill: del gesto autoritrattistico Lorenzo Donghi233 “Dove lei non è”. L’indirizzo utopico della nostalgia Giacomo Coggiola239 Péter Forgács: “memorie dal sottosuolo” Claudia Barolo247 L’autoritratto instabile. L’immagine del proprio profilo in Facebook Simona Pezzano255 Genere e identità: la fotografia di Claude Cahun Federica D’Amico e Caterina Martino265 Ritrarsi. Su alcuni autoscatti di Francesca Woodman Antonietta Petrelli271 Riconoscimento di sé: Face 2 Face di JR e Marco Emanuele Crescimanno277 “Je sais à quoi tu pense”: JLG/JLG Laura Busetta283 Sull’inizio di Histoire(s) du cinéma - 2a Luca Venzi

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Avere e non avere.Memorie filosofiche di Cavell

Simona Busni

Lauren Bacall in

l’autore confessa il legame strettissimo esistente tra le memorie relative alla -

te impossibile discernere le une dalle altre, essendo tutte stipate in un’unica

di un periodo della mia vita, ma un resoconto delle condizioni che esso ha soddisfatto»1. Ancora alla scrittura memoriale è dedicato un passaggio fon-damentale presente nella prima parte di (1979),

in relazione al concetto di criterio e al problema dello scetticismo. Scrive Cavell, commentando l’impressione che l’insegnamento trasmesso dalla

qualcosa di scritto

-ciare a pensare che cosa renda un’opera o un certo lavoro memorabili.

1 S. Cavell, ,

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E naturalmente la risposta a questa sola domanda non dovrebbe distin-

o dalle dimostrazioni con la riga e il cerchio in geometria (o ancora,

certa poesia) non deve essere scritta; i romanzi invece sì. Mi sembra che un pensiero che espressi una volta in merito all’evoluzione della musica stia in relazione con questo. Allora (in , pp. 200-201)2 dissi che, nell’opera di Beethoven, ad un certo punto non è più possibile mettere in relazione ciò che si ascolta con un processo di improvvisazione. Qui vorrei aggiungere il pensiero che, proprio a quel punto, la musica, una tale musica deve essere scritta. Se si vuole considerare che a questo stadio un’opera d’arte musicale richiede parti che siano impredicabili l’una rispetto all’altra (benché, in base all’analisi, si possa dire come una parte derivi dall’altra), allora si può ulteriormente considerare che le annotazioni buttate giù da Beethoven erano necessarie sia perché non tutte le idee sono

pronte lo sono non in qualsiasi compagnia, ma soltanto nella giusta compagnia) e anche perché non tutte sono usabili così come vengono al mondo, ma devono prima, per così dire, svilupparsi al di fuori del grembo materno. Ciò che deve essere abbozzato deve essere scritto. Se ciò che si trova in un quaderno di schizzi lo si annota per con-

che la sua messa in relazione o composizione è quella della poesia. Se lo si abbozza avendo in mente ciò che deve essere, e si riesce in tempo a trasformarlo in modo da fargli prendere il suo posto, potete dire che questa messa in relazione o composizione è essenzialmente

alla critica, o più compiti per critiche diverse)3. Con questa lunghissima parentesi – ho ritenuto necessario riportarla

per intero anche in previsione di ciò che si dirà nel prosieguo – Cavell

2 Cfr. S. Cavell, in Id., ,

3 Id., , tr. it., Carocci, Roma 2001, pp. 27-28.

Simona Busni

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venire dimenticato, in riferimento a una cerchia di umanità intellettuale -

-

ExercisesStanley Cavell, , datata 2010. Per

-losofo americano, è bene partire dai detour, ossia dal concetto di deviazione,

che modo quelle che Freud chiama le deviazioni sul sentiero umano verso la morte – incidenti evitati o su quali ci si è schiantati, estranei presi a cuore

rimproverata, amore inadeguatamente riconosciuto – segnano un tracciato di sforzi riconoscibili per il conseguimento della mia stessa morte» . Nel raccontare la storia della sua vita, Cavell spera di mostrare che, e come, le memorie evocate dalla sua prosa possano contrassegnare ogni sforzo riconoscibile compiuto in vista del raggiungimento della propria morte. Questa speranza comprende ovviamente la possibilità di mostrare che la sua storia non appartiene soltanto a lui. Il vero intento vuole essere quello di testare il proprio grado di rappresentatività all’interno della comunità

-

Cavell ha in mente è il Il Preludioin cui questo testo – pubblicato postumo – esplicita quella parte di storia dell’artista al di fuori della quale egli è riuscito a divenire un certo tipo di scrittore, tenendo presente che il comporre poesie coincide già di per sé con il racconto di una storia e che quindi il racconto della vita di un poeta

analogo, vorrei mostrare che il racconto dei giorni della mia vita, giorni -

5.

Id.,

5 Ivi, p. 5.

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parla, infatti, di giorni “accidentali”, facendo riferimento al concetto di detour, “anonimi” perché volti a testare un determinano livello di rappre-sentatività e “postumi” nel senso in cui la sua scrittura aspira a individuare una percorso tracciabile verso il conseguimento della propria morte. Ma

per Cavell è una sola, ossia che la scrittura deve poter esprimere una pretesa (claim

quanto si dice, ma soltanto che un eventuale disaccordo deve rivendicare di 6. Nell’adeguarsi a una simile tendenza,

L. Austin. Appellandosi al linguaggio che si parla nel quotidiano, e quindi

come ciò che essi direbbero, quando riconoscono che il loro linguaggio è il mio, o posto in altri termini, che quel linguaggio è il nostro, che noi siamo parlanti»7

della prima persona plurale, del “noi” (“ ”), e che Cavell si propone di (1969).

claim, di pretesa a parlare per l’uma-no – vale a dire, di un certo uso universalizzante della voce espresso dalla

arrogation

Wittgenstein e di John L. Austin proprio come una presunzione sistematica della voce, ovvero l’arrogante assunzione del diritto a parlare per gli altri.

implica un passaggio dall’interno all’esterno; la volontà è quella di rife-pitch) e di poter adottare per diritto, in

intera, quanto piuttosto da quello strato rappresentativo di cui un qualsiasi lettore ritiene di poter essere membro. Oltre a quella della voce, un’altra immagine molto frequente, soprattutto in quest’ultimo libro di Cavell, è quella della “postura”, che si rifà direttamente al problema dell’identità in

6 Ivi, p. 6. 7 Ibidem.

Simona Busni

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in grado di discernere le identità compattate nella mia esistenza, questione

8 -gaard, Wittgenstein, rientrano a pieno titolo nella catena della costituzione

non ultima, la madre di Cavell, Fannie Segal, pianista virtuosa e massima

Cavell, si fanno carico di un’ulteriore problematica, connessa al genere, che conduce alla teorizzazione del carattere essenzialmente maschile dello

9.

si compone di quattordici capitoli (parti), scomposti a

titolo. Le date sono quelle in cui Cavell scrive e, dunque, non quelle relative agli eventi passati raccontati. Ci troviamo di fronte a un sistema di doppia datazione, uno schema temporale doppio che prevede l’esplicitazione dei famosi detour

ben precisa nel raccontare la mia vita ha implicato la decisione, o per lo meno un qualcosa che è sopraggiunto accidentalmente al primo pensiero, di far cominciare le memorie indicando la data di ogni giorno di scrittura (non per ritornare consapevolmente sui miei passi per via dell’editing o di una qualche elaborazione iniziale), permettendomi di

in ogni presente da o per ogni passato, così come la memoria ha lo scopo ed esige di essere servita, cosa che sembra avermi liberato dall’indugiare nella mia necessità di trovare un qualche valore di me

8 Ivi, p. 7. 9 Su questo aspetto cfr. S. Cavell, in Id., Un ton pour la philoso-

, tr. fr., Bayard, Paris 2003, pp. 185-236, e Id., Contesting

1996.

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stesso senza negare il fatto di poter restare senza parole come tutti gli altri, pur variando le tipologie di dubbio e di tempo, e come le altre persone per cui sto scrivendo10.

Ed è proprio questa doppia esistenza a costituire il tono della prosa

-

un’assenza ontologica11. Il passato si inserisce nella realtà presente a mo’ di inserto chirurgico e così crea un’impalcatura frattale in cui trovano posto memorie riferite a passati differenti. Ognuno di questi passati si interseca a un determinato presente, operando la biforcazione necessaria per tracciare

tempo della scrittura è per così dire una conseguenza formale, diciamo un andare oltre, l’occasione allegorica di aprire il mio testo con la procedura del cateterismo»12. Affetto da problemi cardiaci, Stanley Cavell decide di

notizia dell’intervento, che, come gli comunica il medico, non può essere più rimandato. Ogni racconto nasce da un’esperienza di rottura, di perdita. E, dunque, se con Cavell ha in un certo senso testato

ha documentato la perdita della sua relazione naturale si trova a dover raccontare qualcos’altro,

a partire da un’altra perdita e da un’altra consapevolezza. Stavolta la rottu-

di Cavell con il proprio corpo, con la malattia, con la vita e con la morte. Così William Rothman, antico allievo di Cavell e a sua volta autore di testi

spera di mostrare che, e come, i “brani” – i giorni, i momenti – evo-

10 Id., , cit., pp. 8-9.11 Su questo aspetto cfr. J.-F. Mattéi, Celle qui

n’était plus, in , a cura di S. Laugier, M. Cerisuelo, Presses

12 S. Cavell, , cit., p. 62.

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cati dalla sua prosa contrassegnano per lui tutti gli sforzi riconosci-

mostrare che, e come, questi “brani” raccontano il modo in cui egli vuole raccontarli, rendendolo capace di riconoscere – sebbene par-zialmente, sebbene in ritardo – il mito illustrato dalla sua vita, una storia che gli è in qualche modo sfuggita – la storia di come la sua vita sarebbe dovuta arrivare a questo, a queste parole, al racconto di questa storia. E spera di mostrare che si tratta di una storia che non appartiene soltanto a lui13.

serio allo stesso tempo, dell’intimità concernente la relazione, nel suo essere .

Il nodo relazionale a cui Rothman allude è individuabile solo a un livello più profondo di analisi. Tradotto letteralmente, -ni dalla memoria, il titolo scelto da Cavell è conforme ai dettami lessicali

aleggia, infatti, nello spazio semantico retrostante l’espressione little did I , che si caratterizza per un uso avverbiale rafforzativo dell’aggettivo

.

titolo, ma comprende anche altri spunti tratti da alcune sequenze precise. A onor del vero, il legame viene esplicitato unicamente nel commento di Rothman – cui segue un inciso tra parentesi in cui si fa cenno al titolo della canzone – il quale essendo collaboratore e amico di Cavell, si è, di fatto, reso portatore di un’intenzionalità autoriale mai espressa a chiare lettere nella

al contesto diegetico in cui essa è eseguita, rendono in maniera eclatante il senso di quello che può essere considerato un problema centrale dell’opera

13 W. Rothman, Prose. La citazione è estrapolata dal testo dell’intervento che Rothman ha tenuto all’ENS di Lione, il 6 maggio del 2010, in occasione del Convegno Internazionale “L’écran de nos pensées (Stanley Cavell)”, nel corso del quale Stanley Cavell è stato insignito di un dottorato .

W. Rothman, Prose, cit.

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esistenziale fondante del nostro essere umani, come forma di ansietà pratica nell’avere un contatto, una prossimità, in generale con il mondo, ma soprat-

in posa languida accanto al pianoforte di una sgangherata orchestrina jazz, così canta al suo uomo – che già a partire da questa pellicola ha le fattezze

-duto in questo modo, forse noi due ci apparteniamo davvero, ma, dopotutto, non ci conosciamo affatto… Forse durerà un giorno soltanto, l’amore è instabile come il tempo, e, dopotutto, non ci conosciamo affatto… Chi può

alcune semplici evidenze, e cioè che queste parole hanno un valore perché vengono cantate e non semplicemente pronunciate all’interno di un dialogo tra personaggi, che ce l’hanno perché è una donna a cantarle, una donna in posa accanto a un pianoforte, e che paradossalmente al cinema, così come

che conta è l’emersione accidentale, anonima e, in un certo senso, postuma di una voce.

; -thians I , sfruttandone a pieno un’altra sequenza, che merita di essere descritta nel dettaglio e contestualizzata. Salone del Hotel Marquis, Fort de France.

Bacall) si intrattengono al bancone del bar con un uomo che dà le spalle alla macchina da presa. Si tratta dell’americano Johnson, cliente di Harry

Gli deve parecchi soldi e ha intenzione di lasciare l’isola senza restituirgli

intenzioni e ne ha reso partecipe Morgan. I due in realtà si sono appena conosciuti. In questa scena, Morgan inizia a chiacchierare con Johnson,

reali intenzioni e di farsi rendere i soldi. Cerca di mantenere la calma, per

-gan indossa il tipico doppiopetto dei capitani di vascello, tra le dita ha una

sull’interlocutore, all’ennesimo suo tentennamento, Morgan ha un impercet-tibile moto di reazione, mentre avvicina la sigaretta alle labbra, e si protende

Simona Busni

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verso di lui, come per colpirlo. È un attimo soltanto. Qualcosa gli illumina

buttandoselo dietro le spalle. L’attenzione di Cavell è puntata proprio sul gesto compiuto dal perso-

naggio di Lauren Bacall, gesto che si caratterizza per il suo essere gradevole

una qualche intimità quanto piuttosto teso a stabilire un’intimità, fatto che richiede un salto di comprensione tale da assumersi la responsabilità di un intervento – riconoscendo che quello stato di cose presupposto è essenziale nel confronto morale – intervenire in assenza della possibilità di dire qual-cosa, una forma di separazione silenziosa, di mutuo rispetto, da cui l’amore dipende»15. Senza rimandare all’evidente rapporto che questa sequenza, e le considerazioni conseguenti, intrattengono con altre sequenze celebri descrit-

al cinema16

(1939), all’interno del quale ha luogo una scena molto simile, riecheggiante certe atmosfere e certi perso-

del sud (1937), su

meno recente, in gioco è sempre la controversa questione – intrinseca a ciò che per Cavell costituisce il cuore pulsante del claimrecupero di un’originaria adeguatezza tra esperienza e linguaggio ordinario, tra le nostre parole e il mondo, tra la nostra esperienza e le cose. Adeguatezza che può evidentemente corrispondere alla scelta del silenzio, e quindi di una sospensione del registro verbale in favore di quello gestuale.

15 S. Cavell, 16 Cfr. soprattutto S. Cavell, -

trimonio, tr. it., Einaudi, Torino 1999; Id., , cit.; Id.

Cavell on Film

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distrarre l’altro e impedirgli così di dare uno sconsiderato e inoppor-tuno pugno, sebbene ampiamente meritato, a un martellante nuovo arrivato. Il gesto manifesta elegantemente una chiara conoscenza, e una conoscenza della giustizia, della passione e della percezione dell’altro, e provoca una correzione razionale senza asserzione, o per lo meno senza negazione, senza moralismo, partecipando all’azione anziché ostacolarla17.

Rientra in questo tipo di meditazioni l’interrogarsi sul titolo, “avere e non avere”, espressione di un annullamento paradigmatico e della copresenza congiuntiva di un’azione e della sua negazione. Cos’è che si ha e non si ha

originale della frase, quel suo scivolare malizioso e leggero (“and to have not”) che si insinua nella sensibilità uditiva del lettore, vagheggiando altre sonorità preesistenti in memoria. Frammenti di memoria letteraria, momenti di scrittura imperitura Per chi suona la campana e l’Ecclesiaste di Fiesta, l’orecchio cavelliano individua quella che potrebbe

avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla»18. Secondo Cavell, il dilemma dell’avere e del non avere è da ascrivere a un’idea di esistenza umana, in base alla quale avere o non avere qualcosa (in questo caso, la carità) rivela il proprio essere nulli, e quindi il non poter essere annoverati nel genere umano. Allo stesso tempo però, l’abilità di rivendicare la propria esistenza all’interno di un certo

in cui non ci troviamo a doverne affrontare una pretesa di rivendicazione. Trattasi del vuoto conoscitivo cardine della condizione umana, un vuoto che

17 S. Cavell, 18 1 Cor 13, 2.

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la negazione, il vero e il falso, il presente e il passato, l’ascolto e la parola, la ripetizione e la creazione, lungo gli strati di una medesima profondità

madre nella quarta scena del terzo atto. E questo tipo di domanda, osserva Cavell, implica che necessariamente noi presumiamo di possedere virtù, (e qualità e limiti e necessità) nella misura in cui questo è l’unico modo con

tempo le abbiamo e non le abbiamo. Credo sia diverso dal modo in cui si possono possedere le orecchie e non ascoltare o gli occhi e non vedere. Noi dobbiamo poter scoprire di possedere una virtù. Ciò mi sembra un aspetto

umana, e di gettare luce sul primato che egli attribuisce alla capacità che ha l’uomo di giudicare se stesso»19. Il tatto nell’asserire l’ovvio, nel dare voce a ciò che altrimenti non sarebbe conoscibile, rappresenta per Stanley

detour

venire sempre dalla cosa sulla quale sei seduto; e tu ti stai accasciando”»20. L’immagine della madre del piccolo Stanley, in piedi accanto al pianoforte, si staglia potente nella mente di chi legge , accostandosi

ci conosciamo affatto…» accompagnata da Hoagy Carmichael nel salone del Hotel Marquis. E così deviazioni intersecano altre deviazioni. Esistenze appartenenti a piani ontologici differenti, incontrandosi, generano nuove biforcazioni del pensiero. Strato su strato, memoria contro memoria. Cavell

-zione del detour sembra emergere dalle membra di un frammento memoriale

19 S. Cavell, 20 Ivi, p. 7.

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